📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

IL SIGNORE SOSTIENE IL SUO CONSACRATO 1 Perché le genti sono in tumulto e i popoli cospirano invano?

2 Insorgono i re della terra e i prìncipi congiurano insieme contro il Signore e il suo consacrato:

3 “Spezziamo le loro catene, gettiamo via da noi il loro giogo!“.

4 Ride colui che sta nei cieli, il Signore si fa beffe di loro.

5 Egli parla nella sua ira, li spaventa con la sua collera:

6 “Io stesso ho stabilito il mio sovrano sul Sion, mia santa montagna”.

7 Voglio annunciare il decreto del Signore. Egli mi ha detto: “Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato.

8 Chiedimi e ti darò in eredità le genti e in tuo dominio le terre più lontane.

9 Le spezzerai con scettro di ferro, come vaso di argilla le frantumerai”.

10 E ora siate saggi, o sovrani; lasciatevi correggere, o giudici della terra;

11 servite il Signore con timore e rallegratevi con tremore.

12 Imparate la disciplina, perché non si adiri e voi perdiate la via: in un attimo divampa la sua ira. Beato chi in lui si rifugia. _________________ Note

2,1 Sorto originariamente come inno per l’intronizzazione del re (vv. 6-9), questo salmo regale esprime la certezza che il Signore sosterrà sempre il suo consacrato, nonostante i mutamenti e le alterne vicende della storia. Tutto ciò in Israele si rendeva visibile nella dinastia davidica, depositaria delle promesse e delle benedizioni messianiche (2Sam 7). Questo spiega la lettura messianica del Sal 2 e la sua applicazione (insieme con il Sal 110) a Gesù, Figlio di Dio e messia (At 13,33; Eb 1,5; 5,5).

2,9 Le spezzerai: le forti immagini alludono, probabilmente, all’uso degli antichi di scrivere i nomi dei re e delle città nemiche su vasi di argilla, che venivano poi frantumati per simboleggiarne la caduta e la fine.

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Approfondimenti

Salmo 2 – Congiura contro il Signore e il suo Messia Salmo regale (+ oracolo e motivi sapienziali) Il carme risale all'epoca preesilica. Vi sono diverse incertezze testuali. Il salmo è senza titolo e probabilmente dovette essere il primo e far da prefazione all'intera collezione dei salmi. Infatti At 13,33 citando il v. 7 del Salmo 2 «mio figlio sei tu, oggi ti ho generato» lo riferisce al salmo primo. Il simbolismo presente è quello spaziale, temporale, militare, antropomorfico e sociale. Nel TM il ritmo è quello classico di 3 + 3 accenti. Si divide in quattro strofe in cui intervengono quattro protagonisti:

  1. i nemici ribelli (vv. 1-3),
  2. Dio (vv. 4-6),
  3. il re (vv. 7-9),
  4. il salmista (vv. 10-12ab).

Il v. 12c con l'espressione «Beato chi in lui si rifugia» fa da inclusione con il Sal 1,1 ed è perciò un indizio della precedente fusione tra il Sal 2 e il Sal 1.

vv. 1-3. Nei vv. 1-2 con una serie di iperboli si descrive la rivolta dei popoli vassalli guidati dai loro re e principi per scrollarsi di dosso il dominio del re. Nel v. 3 si riporta in discorso diretto la loro intenzione, il loro programma di insubordinazione e di indipendenza.

vv. 1-2. «le genti... i popoli... i re... i principi»: sono iperboli. Il piccolo stato d'Israele, anche al tempo di Davide, non è stato mai una grande potenza mondiale d'allora, anche se ha avuto alcuni popoli vicini sottomessi e tributari per qualche tempo, come gli Edomiti, i Moabiti, gli Ammoniti... «le genti» (gôyim): sono di per sé i popoli pagani, che difatti stanno fuori dell'alleanza sinaitica, e quindi considerati per la loro idolatria nemici d'Israele e di Dio stesso. «contro il Signore e contro il suo Messia»: si sottolinea che la ribellione al re è anche ribellione al Signore di cui il re è luogotenente, il “consacrato” sulla terra. «Messia»: è così chiamato il re della dinastia davidica, in quanto è stato “unto” (in gr. christos) prima di accedere al suo alto incarico (cfr. 1Sam 16,13). Il titolo di “Unto del Signore” è spesso applicato a un re storico: cfr. 1Sam 24,7.11; 26,9.11.16.23; 2Sam 1,14.16; 19,22. Questo titolo tuttavia viene riferito esplicitamente al Messia solo in Dn 9,25.

v. 3. «Spezziamo le loro catene...»: è il programma di ribellione dei popoli sudditi. Le figure della metonimia e della metafora indicano qui la rottura del giogo della sottomissione cioè del trattato di vassallaggio con il re israelita.

vv. 4-5. «Se ne ride... li schernisce.. li spaventa»: il riso beffardo di Dio, antropomorficamente, indica la sua suprema autorità e dominio, ed è fonte di terrore per i suoi nemici (cfr. Is 17,13). È ricordato altre volte nei Sal 37,13; 59,9, ma anche altrove nella Bibbia: cfr. Gb 9,23. «chi abita i cieli»: il Signore appare in trono come nel Sal 29,10 in Is 6,1-2.

v. 6. «Io l'ho costituito...». è Dio stesso che parla. La sua dichiarazione solenne fa da antitesi a quella spavalda dei popoli ribelli di v. 3. Si ribadisce con questo oracolo sia l'elezione del sovrano davidico, sia quella di Gerusalemme come capitale e centro di culto. Le due elezioni sono strettamente unite e interdipendenti (cfr. Sal 132,13.17).

vv. 7-9. In questi versetti il re, facendo eco all'oracolo del v. 6, ribadisce direttamente la sua figliolanza divina e il compito ricevuto dal Signore di rappresentarlo sulla terra.

v. 7. «Annunzierò il decreto...»: il sovrano sente la necessità di proclamare il decreto (hōq), il “protocollo regale” che legittima e autentica il suo potere regale, per far subito fronte al suoi vassalli ribelli, che volevano approfittare del suo inizio di governo. Per il rito d'intronizzazione cfr. 2Re 11,12; «Tu sei mio figlio...»: qui viene detto del re come singolo individuo: cfr. Sal 110,3. Si tratta di una filiazione simbolica, di una dichiarazione giuridica di adozione. Viene richiamato 2Sam 7,14. «io oggi ti ho generato»: ci si riferisce all'“oggi” della liturgia che rende attuale e operativa la filiazione (Sal 95,8). È il rito di incoronazione che richiama alla nascita spirituale del re.

v. 8. «Chiedi a me..»: è la seconda parte del decreto, ove si sollecita la richiesta di un dono per un buon governo. Probabilmente ciò faceva parte del rituale dell'incoronazione (cfr. Sal 20,5; 21,3.5; 2Sam 24,12).

v. 9. «Le spezzerai... »: è la terza parte dell'oracolo. Si assicura la vittoria completa fino all'annullamento dei nemici. L'immagine del vasi d'argilla ricorda il rito di esecrazione praticato nel mondo orientale. I vasi o le statuette riportanti i nomi dei nemici, venivano frantumati per significare simbolicamente e magicamente l'annullamento dei nemici (cfr. Ger 19,1-2.10.15).

vv. 10-12ab. Dopo la rassegna dei tre principali attori: i nemici, Dio e il re, interviene a conclusione il salmista con un appello di tipo sapienziale ai nemici, per esortarli a desistere dalle loro mire. Li invita alla saggezza, a sottomettersi a Dio e a servirlo. La ribellione è inutile e vana contro Dio che può distruggerli nella sua ira.

v. 11. «servite Dio..»: “servire Dio” significa dargli culto. L'invito viene rivolto a stranieri! È un segno di apertura universalistica. Cfr. anche Sal 102,23. «e con tremore esultate»: il testo qui è corrotto. Alcuni traducono, congetturando, «e baciategli i piedi con tremore». L'immagine, nota nell'Antico Oriente, è un gesto caratteristico del vassallo nei confronti del suo signore e richiama l'atto di sottomissione dei sudditi, cfr. Sal 8,7; 18,39; 45,6; 47,4; 72,9; 110,1; Gs 10,24; 1Re 5,17; Is 49,23; 51,23. Qui, poiché si riferisce a Dio, è un audace antropomorfismo.

v. 12. «e voi perdiate la via»: è una metafora che suggerisce lo smarrimento che, se avviene in luoghi deserti e impervi, porta alla sicura morte, cfr. Sal 1,6. «Beato chi in lui si rifugia»: è una beatitudine aggiunta al salmo che ha la funzione di inclusione con il Sal 1,1, nell'ipotesi della precedente fusione dei due salmi.

Nel NT si cita spesso il Sal 2. Il v. 1 è citato da At 4,25-26; il v. 7 da At 13,33 e da Eb 1,5 e 5,5; i vv. 8-9 sono citati da Ap 2,26-27. In Ap 12,5 e 19,15 si cita il governo con «lo scettro di ferro» di v. 9. Inoltre nei racconti evangelici del battesimo e della trasfigurazione di Gesù si può vedere un'allusione al v. 7: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato». Un'allusione in chiave escatologica del salmo è presente anche in 1Cor 15,24-28.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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SALMI – LIBRO PRIMO (1-41)

La beatitudine del giusto 1 Beato l'uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti,

2 ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte.

3 È come albero piantato lungo corsi d'acqua, che dà frutto a suo tempo: le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa, riesce bene.

4 Non così, non così i malvagi, ma come pula che il vento disperde;

5 perciò non si alzeranno i malvagi nel giudizio né i peccatori nell'assemblea dei giusti,

6 poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti, mentre la via dei malvagi va in rovina. _________________ Note

1,1 L’intera raccolta del Salterio si apre con questo salmo, che delinea il cammino del giusto, in contrapposizione a quello del malvagio. Il salmo si ispira alla letteratura sapienziale, che ama riflettere sulla condizione dell’uomo, sul suo destino e sulle sue scelte, in vista della felicità.

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Approfondimenti

Il libro dei Salmi in ebraico: tɇhillîm, in greco: psalmoi (codice B) e psalterion (codice A) è un libro della Bibbia, appartenente alla terza raccolta, quella degli “Scritti” (kɇtûbîm) secondo il canone ebraico della Bibbia, e a quella dei Libri sapienziali, secondo quello greco dei LXX.

È suddiviso, in analogia al Pentateuco, in cinque parti, marcate da cinque dossologie finali. Esse sono:

  1. Sal 1-41;
  2. Sal 42-72;
  3. Sal 73-89;
  4. Sal 90-106;
  5. Sal 107-150.

I salmi del Salterio canonico sono 150. La loro raccolta attuale è il termine di una lunga attività letteraria e di una successiva sistemazione di raccolte minori formatesi intorno a un nucleo centrale originario. Sulla numerazione dei salmi ci sono delle divergenze tra il Testo Masoretico ™ e il testo greco dei Settanta (LXX) con le versioni che vi dipendono. La discrepanza è dovuta al fatto che un salmo a volte si trova diviso in due, o due di essi sono stati accorpati in uno solo.

La numerazione dei salmi da 1 a 8 e da 148 a 150 è identica sia nel M che nei LXX.

La divergenza incomincia con il Sal 9 che nei LXX si trova sdoppiato in 9, 1-21 e 9, 22-29 e queste due pericopi corrispondono nel TM rispettivamente al Sal 9 e al Sal 10. Perciò la differenza di unità in più è costante nel IM sui LXX fino al Sal 113. Proseguendo la numerazione si ha che al Sal 114 e 115 del TM corrisponde il Sal 113, 1-8 e il Sal 113, 9-26 dei LXX. IL Sal 116 del TM, scindendosi in Sal 116, 1-9 e Sal 116, 10-19, corrisponde ai Sal 114 e 115 dei LXX. I Sal 117-146 del TM corrispondono poi ai Sal 116-145 dei LXX. E infine il Sal 147 del TM si scinde in Sal 147, 1-11 e 147, 12-20 e questi corrispondono ai Sal 146 e 147 dei LXX. Per maggior praticità si calcoli dal Sal 9 al 147 generalmente un'unità in più nella numerazione del TM. Nell'edizione della Bibbia C.E.I. del 2008 si segue la numerazione ebraica del TM; viene indicata tra parentesi la numerazione dei LXX e della Vulgata.


Salmo 1 – Beatitudine del giusto, rovina dell'empio Salmo sapienziale L'autore medita sulle scelte fondamentali della vita. Questo carme introduce all'intera raccolta dei Salmi. È senza titolo e fuori da qualsiasi collezione. Nei primi secoli del cristianesimo si è fuso con il Sal 2. La cosa è stata facilitata dalla mancanza di titolo in ambedue i salmi e dall'inclusione data dalla “beatitudine” che nel Sal 1 sta all'inizio e nel Sal 2 alla fine. La fusione dei due salmi, comunque, offre uno sguardo d'insieme sui due aspetti fondamentali dell'intero Salterio: quello antropologico-etico (Sal 1) e quello teologico-messianico (Sal 2).

Altre interpretazioni a proposito non mancano. Il Sal 1 inizia con la prima lettera dell'alfabeto ebraico (alef) nella prima parola (’ašrê) e termina con l'ultima (tau) che inizia l'ultima parola (tō’bēd); si esprime così simbolicamente l'arco intero della vita. Stilisticamente il salmo è paragonato a un'esercitazione scolastica, dati i numerosi riferimenti e reminiscenze di altri testi. Il tono è didattico. Procede per antitesi. Il ritmo nel TM è di 3 + 3 accenti, ma procede a fatica. Il campo semantico simbolico è spaziale, vegetale e giudiziale. Divisione: vv. 1-3: quadro del giusto; vv. 4-6: quadro dell'empio.

vv. 1-3. Il giusto è descritto prima negativamente (v. 1) e poi positivamente (v. 2). Con l'immagine dell'albero rigoglioso e sempre coperto di frutti è indicata la fecondità e il benessere della sua esistenza (v. 3).

v. 1. «Beato...»: la voce corrispondente ebraica (’ašrê) è un plurale apparente di grande suggestione. Letteralmente si può tradurre: «beatitudine di...; felicità di...». La forma letteraria della “beatitudine” è una caratteristica della letteratura sapienziale e ricorre molto frequentemente (26 volte) nei salmi. Corrisponde per efficacia alla “benedizione” (Ger 17,7) nell'ambito liturgico e all'esortazione in quello profetico. La beatitudine scaturisce dall'amore di Dio verso il suo fedele che gli corrisponde per i vincoli dell'alleanza. «che non segue... non indugia... non siede»: sono tre atteggiamenti negativi abbinati a tre categorie di persone come «gli empi» (rɇša‘îm), «i peccatori» (ḥaṭṭā’îm) e «gli stolti» (lēṣîm), che il giusto diligentemente evita. Gli «empi» nei salmi sono i nemici di Dio che tramano insidie contro i suoi fedeli (Sal 17,13; 109,2.6.7; 140,4) e la cui prosperità è di grande imbarazzo per il credente (Sal 49;73). I peccatori (lett. «coloro che hanno fallito il bersaglio») è un'espressione generica per indicare coloro che credono di riuscire, ma di fatto falliscono nella vita. Gli stolti sono coloro che professano un ateismo pratico, ironizzando e schernendo Dio, accusandolo di non interessarsi del mondo e degli uomini (Sal 14; Is 5,19). Essi sono anche beffardi (Prv 1,22; 3,34), pettegoli (Prv 22,10) e diffamatori (Is 29,20). «Via dei peccatori»: è un'espressione unica nei salmi. La voce “via” (Sal 5,9; 10,5...) indica vita, atteggiamento, potere, energia vitale e il complesso di norme di vita che guidano l'uomo nella sua esistenza. Per la dottrina delle “due vie” cfr. Dt 30,15.19; Prv 1,10-15; 3,31; 4,18-19; 22,24-25; 23,17; Ger 21,8.

v. 2. «legge del Signore»: la «legge» (torah) significa letteralmente «istruzione, insegnamento di vita», cfr. Sal 19,8-9. «Medita»: Alla lett. «sussurra, bisbiglia, mormora...» (cfr. verbo hgh). Sono coinvolti così nella meditazione lo spirito e il corpo. Unitamente alla “legge” ricorrre per la prima volta nel salterio il nome del Signore (JHWH); «giorno e notte»: espressione polare per dire «sempre», cfr. Gs 1,8. Un elogio spassionato alla legge è il celebre Sal 119.

v. 3. «Sarà come albero...»: per la simbologia vegetale, cfr. Sal 92,13-15; Os 9,13; Ger 17,5-8; Ez 17,5; 19,10; Sir 24, 12-17.

vv. 4-6. Alla descrizione positiva del giusto segue nei vv. 4-5 quella negativa dell'empio, all'albero lussureggiante si oppone la pula dispersa dal vento.

v. 4. «Come pula»: l'immagine è frequente nell'AT, cfr. Sal 35,5; Is 17,13; Sof 2,2; Gb 21,18.

v. 5. «nel giudizio»: l'immagine vegetale della mietitura (pula) e della dispersione degli empi del v. 4 richiama quella della realtà del giudizio escatologico di Dio, ove gli empi non reggeranno alla giustizia di Dio (cfr. Sap 4,20; 5,1). «assemblea dei giusti»: nota il contrasto con il v. 1c. Lì i giusti non seggono «in compagnia degli stolti», qui gli stolti non possono sedere «nell'assemblea dei giusti».

v. 6. «Il Signore veglia...»: il versetto riassume e conferma quanto espresso nel salmo. Da una parte c'è la premura e la tenerezza di Dio, che veglia sui i giusti (vv. 1-3), e dall'altra la conferma della condanna degli empi (vv. 4-5).

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Giobbe vede Dio 1 Giobbe prese a dire al Signore: 2“Comprendo che tu puoi tutto e che nessun progetto per te è impossibile. 3Chi è colui che, da ignorante, può oscurare il tuo piano? Davvero ho esposto cose che non capisco, cose troppo meravigliose per me, che non comprendo. 4Ascoltami e io parlerò, io t'interrogherò e tu mi istruirai! 5Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto. 6Perciò mi ricredo e mi pento sopra polvere e cenere”.

EPILOGO

Gli amici salvati dall'espiazione di Giobbe 7Dopo che il Signore ebbe rivolto queste parole a Giobbe, disse a Elifaz di Teman: “La mia ira si è accesa contro di te e contro i tuoi due amici, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe. 8Prendete dunque sette giovenchi e sette montoni e andate dal mio servo Giobbe e offriteli in olocausto per voi. Il mio servo Giobbe pregherà per voi e io, per riguardo a lui, non punirò la vostra stoltezza, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe”. 9Elifaz di Teman, Bildad di Suach e Sofar di Naamà andarono e fecero come aveva detto loro il Signore e il Signore ebbe riguardo di Giobbe. 10Il Signore ristabilì la sorte di Giobbe, dopo che egli ebbe pregato per i suoi amici. Infatti il Signore raddoppiò quanto Giobbe aveva posseduto.

Giobbe è benedetto da Dio 11Tutti i suoi fratelli, le sue sorelle e i suoi conoscenti di prima vennero a trovarlo; banchettarono con lui in casa sua, condivisero il suo dolore e lo consolarono di tutto il male che il Signore aveva mandato su di lui, e ognuno gli regalò una somma di denaro e un anello d'oro. 12Il Signore benedisse il futuro di Giobbe più del suo passato. Così possedette quattordicimila pecore e seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine. 13Ebbe anche sette figli e tre figlie. 14Alla prima mise nome Colomba, alla seconda Cassia e alla terza Argentea. 15In tutta la terra non si trovarono donne così belle come le figlie di Giobbe e il loro padre le mise a parte dell'eredità insieme con i loro fratelli. 16Dopo tutto questo, Giobbe visse ancora centoquarant'anni e vide figli e nipoti per quattro generazioni. 17Poi Giobbe morì, vecchio e sazio di giorni. _________________ Note

42,6 Il testo è particolarmente complesso e si presta a diverse traduzioni. È possibile renderlo anche così: «Perciò respingo [di contestare ancora], infatti sono consolato, su polvere e cenere».

42,14 Alla prima mise nome: i nomi intendono mettere in luce la bellezza delle tre figlie e si riferiscono al triplice regno: animale, vegetale e minerale. Colomba è l’appellativo che lo sposo, affascinato e innamorato, dà alla sua donna (Ct 2,14; 5,2; 6,9). Cassia, essenza aromatica derivata da una pianta orientale, è uno dei tre profumi citati dal Sal 45 nel descrivere le vesti di nozze del re (Sal 45,9). Argentea vorrebbe rendere, per un lettore moderno, il significato di un’espressione ebraica piuttosto oscura, tradotta talvolta con “Fiala di stibio”; lo stibio (o antimonio), minerale dal colore argenteo, veniva usato dalle donne del Vicino Oriente per rendere più splendente il loro volto.

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Approfondimenti

Giobbe vede Dio (42,1-6) La seconda risposta di Giobbe a Dio, JHWH, costituisce il decisivo punto d'arrivo dell'intreccio conoscitivo e di rivelazione del poema. Giobbe, infatti, riferisce lo straordinario cambiamento della sua conoscenza di Dio. La risonanza che le parole di Dio hanno in Giobbe è determinante per l'esito stesso dell'intera vicenda. Dio ha affidato alla risposta di Giobbe il proseguimento o lo scioglimento della contesa. Dio lo ha reso partecipe della propria prospettiva e Giobbe ha potuto scorgere, al di là delle incongruenze e contraddizioni denunciate, la fondamentale armonia e benevolenza con cui Dio ha creato e governa saldamente il mondo, nella fedeltà al suo disegno e, dunque, con giustizia. Nelle parole di Dio, Giobbe ha potuto percepire l'efficacia del piano divino, perciò, adesso, rispondendo all'interpellanza iniziale di Dio (cfr. 38,2 ora ripresa in 42,3a), dichiara di aver parlato senza comprendere (42,3b). Dunque, Giobbe non ritratta, bensì dopo aver ascoltato le parole di Dio avverte e conferma la ristrettezza delle sue precedenti argomentazioni provenienti da una conoscenza parziale e limitata (cfr. per es. 26,14; 28), capace di cogliere solo dei frammenti e di organizzarli confusamente, ignorando la globalità dei prodigi divini. Così trova anche conferma il disagio ripetutamente manifestato da Giobbe per la finitezza della conoscenza umana (rispetto alle certezze degli amici), che tuttavia ormai viene colmato dal ristabilito contatto con Dio, che Giobbe subito investe di forti aspettative. Infatti, a Dio che lo ha innalzato alla comprensione del suo disegno sulle opere del creato e della storia ora (42,4 riprendendo in parte le parole con le quali provocatoriamente Dio lo aveva interpellato, cfr. 38,3b; 40,7b), Giobbe chiede di essere ancora istruito, per poter comprendere, ancora, il mondo dal punto di vista di Dio. Tuttavia la prova, e, ancor più, la rivelazione di Dio non solo hanno suscitato l'interesse di Giobbe per la prospettiva divina delle cose e degli eventi, ma soprattutto hanno portato a maturazione, in lui, una radicale trasformazione della conoscenza di Dio come egli, solennemente, dichiara (42,5). In passato il sapere e l'adesione di Giobbe a Dio proveniva dall'accoglienza della tradizione di Israele, che, ininterrottamente nel tempo, ha celebrato e trasmesso i racconti delle gesta di JHWH, ma ora la sua conoscenza di JHWH è diventata più profonda e diretta. Giobbe, nella teofania, in realtà, ha ascoltato Dio parlare; inoltre, secondo la concezione biblica, l'uomo non può vedere Dio (cfr. Es 33,20); eppure, egli asserisce: «ora i miei occhi ti hanno veduto». Giobbe vede Dio in un ineffabile evento di fede che lo accomuna a Mosè (cfr. Es 33,23) e ai profeti (cfr. 1Re 19,11; Is 6,1; Ez 1,28). L'uso del singolare (nel TM) «il mio occhio» , è indicativo del valore metaforico dell'espressione atta a sottolineare la straordinaria trasformazione e progressione nella conoscenza, nell'intimità, in un incontro con Dio senza precedenti, dai tratti mistici. Giobbe conosce l'azione di Dio a suo favore, conosce JHWH come suo gō’ēl (cfr. 19, 25); gode, nella storia, della vicinanza di Dio, dell'accesso alla prospettiva di Dio, dell'accresciuta comunione di vita con Dio. La speranza e l'attesa di Giobbe di vedere Dio (cfr. 19, 26-27), così tanto contrastata, si è dunque compiuta a riprova non solo della sua preminente integrità e giustizia (cfr. Sal 11,7; 17,15), ma soprattutto tesa a far crescere la relazione vitale di Giobbe con Dio. Con tale eminente cambiamento di conoscenza da parte di Giobbe giunge, quindi, a soluzione l'intreccio di rivelazione, con un evidente allentarsi della tensione drammatica e la rapida conclusione del discorso.

A questo punto si può capire come le ultime parole di Giobbe (42,6) non riferiscono il suo pentimento, bensì la sua pacificazione. Dio non lo accusa; e non c'è motivo per cui egli debba pentirsi di ciò che ha detto, poiché l'accusa rivolta da Giobbe a Dio era fondata sul desiderio di Dio, per ritrovarlo, per ascoltare la sua voce, a costo persino della vita. Pertanto Giobbe non rinnega né se stesso, né la sua vita, né le sue precedenti argomentazioni, ma respinge di continuare a contestare Dio. La sua percezione della situazione è mutata. Giobbe infatti è soddisfatto, è consolato (42,6, cfr. la nota) da Dio, mentre gli amici avevano fallito in questo. Dio ha risposto al suo grido; il suo conforto è nel rinsaldato contatto vitale con Dio. Egli gode ormai della rinnovata presenza di Dio nella sua vita, espressione della benevolenza divina. Il problema era il nascondimento di Dio, mentre la comunione con Dio ridimensiona anche l'intensità, l'acutezza delle sofferenze e lo sgomento per l'oscurità della vita. Giobbe vuole solo permanere nella vicinanza di dialogo con Dio, che peraltro lo ha introdotto in nuove, impensabili, prospettive e possibilità di conoscenza. Infine, Giobbe non chiede delle cose particolari a Dio, perché per lui la presenza divina costituisce il recupero della pienezza della vita (cfr. Sal 73,26.28).

EPILOGO (42,7-17) L'Epilogo contiene la fine del poema, il risultato ultimo degli eventi narrati, e in particolare la necessaria risoluzione del problema iniziale posto nel Prologo. Tale risoluzione si caratterizza nell'azione divina che determina un nuovo cambiamento di situazione a favore di Giobbe, confermandone così il definitivo successo. L'Epilogo è dominato dal narratore onnisciente che comprime la narrazione verso la conclusione condensando gli eventi, con la preminente caratteristica del tempo del racconto inferiore al tempo della storia. Nell'Epilogo viene riferita la sorte degli amici (vv. 7-10), a cui segue il lieto fine per Giobbe (vv. 11-17).

Gli amici salvati dall'espiazione di Giobbe (42,7-10) Questa sezione è importante per conoscere la sorte degli amici decretata in un esplicito discorso divino di giudizio, ma anche come sutura e raccordo conclusivo fra il testo in prosa e il corpo poetico del poema. Nel discorso, JHWH annuncia la sua collera contro i tre amici (v. 7). E evidente che non si tratta solo di indignazione per il loro comportamento, ma ormai essa indica la condanna (chiesta anche da Giobbe, in 27,7), l'atto della sentenza divina contro i tre amici, con le conseguenze punitive che ne derivano (per altri esempi cfr. 2Sam 12,5; Ez 7,3). JHWH condanna gli amici riguardo alle loro parole e argomentazioni poiché nel confronto con Giobbe essi non hanno parlato di Dio in modo degno di fiducia, con stabilità e fedeltà (cfr. Sal 5 10), come invece ha fatto Giobbe (cfr. Sal 112,7). Ciò che differenzia Giobbe dagli amici è dunque la fedeltà, la sincerità, la confidenza con le quali ha parlato e che lo rendono gradito a Dio (cfr. Sal 51,12; 57,8), mentre gli amici hanno tanto insistito nell'insinuare menzogna e sfiducia fra Dio e l'uomo. Tuttavia l'ultima parola di JHWH, non è mai la condanna, ma la salvezza. Per questo Dio comanda (v. 8), chiede un olocausto, accompagnato dalla preghiera di espiazione di Giobbe (cfr. 1,5), così che desista dal punirli. Per il merito di Giobbe, la cui designazione come «servo» di Dio (cfr. 1,8) è ormai comprovata, JHWH recederà dall'infliggere loro un castigo (si realizzano cosi le parole di Elifaz in 22,30). E interessante anche notare come Giobbe venga chiamato a impetrare il favore divino proprio per coloro che lo hanno deriso e condannato, con una funzione che in qualche modo adombra quella del servo di JHWH di Is 52,13-53,12.

Giobbe è benedetto da Dio (42,11-17) La seconda parte dell'Epilogo è dedicata alla radicale trasformazione della situazione di Giobbe dalla sventura e dalla miseria alla prosperità, ripristinata in misura superiore alla precedente. JHWH realizza tale cambiamento, che il narratore onnisciente riferisce con alcune accentuazioni particolarmente significative. E ragionevole pensare che questo rovesciamento della situazione a favore di Giobbe costituisse la soluzione dell'intreccio del racconto popolare più antico. Innanzitutto il narratore racconta la visita di parenti e di conoscenti (v. 11) che si recano da Giobbe per condolersi e consolarlo della sventura con la quale Dio l'aveva colpito (e non il Satan, di cui peraltro non ricorre più alcun cenno; la sua disfatta è stata totale, e coronata con l'oblio). Si può presumere che, nel racconto più antico, tale visita di consolazione esprimesse la solidarietà immediata per la disgrazia di Giobbe, e la partecipazione al suo lutto anche con la relativa consumazione del cibo speciale stabilito per tale circostanza (cfr. Dt 26,14; Ez 24,17.22; Os 9,4). Tuttavia, nella rielaborazione del racconto, tale visita è stata sostituita con la narrazione dell'arrivo dei tre amici (cfr. 2,11-13), da cui prende avvio il successivo ampliamento della trama. L'incontro con parenti e conoscenti assume dunque un carattere gioioso; insieme celebrano, nel convivio e con doni, il superamento della prova di Giobbe, e quasi si compiacciono per la sua ammirabile rinascita. Ciò che, in tutti modi, preme al narratore è mettere in rilievo che Dio ha trasformato la sciagura di Giobbe in prosperità, incrementando il suo precedente benessere e la sua agiatezza. JHWH, il Signore, ha benedetto Giobbe (v. 12). L'atto fondamentale che, nel poema, fa da inclusione è il benedire. Si evidenzia una singolare corrispondenza: all'inizio, nella prova, Giobbe ha benedetto Dio (cfr. 1,21), e ora, alla fine di tutta la vicenda, è JHWH che benedice Giobbe per la sua fedeltà (cfr. Sal 5,13; 115,13; 128,4). Pertanto, Giobbe gode pienamente della salvezza operata da Dio, conosce nella sua esistenza, nella sua storia, il compimento della promessa del Dio di Israele, JHwH, che fa vivere, che dona la vita.

Ottenute le soluzioni ai due tipi di intreccio, con la trasformazione della conoscenza di Giobbe e il cambiamento della sua situazione ad opera di Dio, la conclusione è, dunque, rapida. Peraltro, si può ormai apprezzare l'abile combinazione dell'intreccio di risoluzione con quello di rivelazione; la loro peculiare interconnessione rende i poema di Giobbe un intenso racconto con una trama unificata, capace ogni volta, in ogni tempo, di coinvolgere fortemente l'uditore e il lettore, così da indurlo a prendere posizione, a partecipare attivamente alle questioni dibattute, agli eventi narrati.

Si può a questo punto notare, infine, che Dio mette alla prova Giobbe (come Abramo) per innalzarlo, per rendere visibile la misura della giustizia, della rettitudine, dell'integrità che Dio gli aveva riconosciuto fin dall'inizio (cfr. 1,8; 2,3). Con la prova Giobbe dimostra ampiamente di meritare tali attributi. Dio, dunque, prova il giusto per innalzarlo. In tal modo si manifesta anche la giustizia divina sulla terra; Dio, infatti, innalza i giusti e abbatte gli empi. Nel complesso, tuttavia, la questione della giustizia è ridimensionata, rispetto al preminente interesse, che risalta nel poema, per la relazione che unisce l'uomo a Dio. Nella prova, Dio ha innalzato Giobbe a sé; lo ha introdotto alle segrete meraviglie della sapienza divina; e nella ritrovata vicinanza, Giobbe conosce più profondamente Dio.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1 Ecco, davanti a lui ogni sicurezza viene meno, al solo vederlo si resta abbattuti. 2Nessuno è tanto audace da poterlo sfidare: chi mai può resistergli? 3Chi mai lo ha assalito e ne è uscito illeso? Nessuno sotto ogni cielo. 4Non passerò sotto silenzio la forza delle sue membra, né la sua potenza né la sua imponente struttura. 5Chi mai ha aperto il suo manto di pelle e nella sua doppia corazza chi è penetrato? 6Chi mai ha aperto i battenti della sua bocca, attorno ai suoi denti terrificanti? 7Il suo dorso è formato da file di squame, saldate con tenace suggello: 8l'una è così unita con l'altra che l'aria fra di esse non passa; 9ciascuna aderisce a quella vicina, sono compatte e non possono staccarsi. 10Il suo starnuto irradia luce, i suoi occhi sono come le palpebre dell'aurora. 11Dalla sua bocca erompono vampate, sprizzano scintille di fuoco. 12Dalle sue narici esce fumo come da caldaia infuocata e bollente. 13Il suo fiato incendia carboni e dalla bocca gli escono fiamme. 14Nel suo collo risiede la forza e innanzi a lui corre il terrore. 15Compatta è la massa della sua carne, ben salda su di lui e non si muove. 16Il suo cuore è duro come pietra, duro come la macina inferiore. 17Quando si alza si spaventano gli dèi e per il terrore restano smarriti. 18La spada che lo affronta non penetra, né lancia né freccia né dardo. 19Il ferro per lui è come paglia, il bronzo come legno tarlato. 20Non lo mette in fuga la freccia, per lui le pietre della fionda sono come stoppia. 21Come stoppia è la mazza per lui e si fa beffe del sibilo del giavellotto. 22La sua pancia è fatta di cocci aguzzi e striscia sul fango come trebbia. 23Fa ribollire come pentola il fondo marino, fa gorgogliare il mare come un vaso caldo di unguenti. 24Dietro di sé produce una scia lucente e l'abisso appare canuto. 25Nessuno sulla terra è pari a lui, creato per non aver paura. 26Egli domina tutto ciò che superbo s'innalza, è sovrano su tutte le bestie feroci”. =●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

40,25-41,26. Il Leviatan, identificato con il coccodrillo (ma cfr. anche 3,8; Sal 74,14; 104,26; Is 27,1), è inavvicinabile e invincibile per l'uomo; esso affronta e regna su tutte le altre fiere. Solo Dio ha creato e domina il Behemot e il Leviatan, che rimandano evidentemente a una pluralità di significati, come simboli mitologici del caos primordiale, o mostri naturali, storici, psichici, comunque terrificanti per l'uomo. Tali mostruose creature rappresentano le forze negative, il male sottomesso e controllato da Dio, che ha cura della creazione. La loro forza distruttiva è ridotta e sminuita ma non annientata; sono assoggettati al controllo divino, nondimeno terrorizzano l'uomo. In tale contesto l'uomo viene esortato a fidarsi di Dio, che non lo abbandona, anche quando è raggiunto da un male ingiusto, senza ragione: esso, infatti, non può sottrarsi all'incomparabile potenza divina. Si propone, dunque, all'uomo una fede impegnata, capace di non incrinarsi dinanzi al mistero divino per cui il male imperversa anche al di là del peccato dell'uomo, malgrado la preminente cura di Dio per il creato. Giunge così la conferma che il problema supremo non è il male, ma il rapporto dell'uomo con Dio, JHWH, Creatore e Signore della storia. L'insistenza sulla potenza divina e soprattutto sull'orientamento fondamentale dell'agire di Dio che provvede e custodisce la magnificenza del creato, e che, nella storia, opera la liberazione degli oppressi e la distruzione degli empi, vuole esprimere e dimostrare, evidentemente, la giustizia di Dio che consiste nella fedeltà al suo piano, alla sua parola, perenne origine e fonte di vita. A questo punto, si può pertanto arguire che la concezione avanzata dagli amici, centrata sulla ricompensa, è respinta da Dio, in quanto riduttiva e deviante. Invece l'atteggiamento di Giobbe che nella sofferenza della prova si imbatte nella segreta dialettica fra il bene e il male in relazione a Dio, nella contrastante percezione di Dio nemico e redentore, e che lotta per non rinunciare all'affermazione del Dio della vita, della sua vita, è approvato da JHWH.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1 Il Signore prese a dire a Giobbe: 2“Il censore vuole ancora contendere con l'Onnipotente? L'accusatore di Dio risponda!“.

3Giobbe prese a dire al Signore: 4“Ecco, non conto niente: che cosa ti posso rispondere? Mi metto la mano sulla bocca. 5Ho parlato una volta, ma non replicherò, due volte ho parlato, ma non continuerò”.

6Il Signore prese a dire a Giobbe in mezzo all'uragano: 7“Cingiti i fianchi come un prode: io t'interrogherò e tu mi istruirai! 8Oseresti tu cancellare il mio giudizio, dare a me il torto per avere tu la ragione? 9Hai tu un braccio come quello di Dio e puoi tuonare con voce pari alla sua? 10Su, órnati pure di maestà e di grandezza, rivèstiti di splendore e di gloria! 11Effondi pure i furori della tua collera, guarda ogni superbo e abbattilo, 12guarda ogni superbo e umilialo, schiaccia i malvagi ovunque si trovino; 13sprofondali nella polvere tutti insieme e rinchiudi i loro volti nel buio! 14Allora anch'io ti loderò, perché hai trionfato con la tua destra.

15Ecco, l'ippopotamo che io ho creato al pari di te, si nutre di erba come il bue. 16Guarda, la sua forza è nei fianchi e il suo vigore nel ventre. 17Rizza la coda come un cedro, i nervi delle sue cosce s'intrecciano saldi, 18le sue vertebre sono tubi di bronzo, le sue ossa come spranghe di ferro. 19Esso è la prima delle opere di Dio; solo il suo creatore può minacciarlo con la spada. 20Gli portano in cibo i prodotti dei monti, mentre tutte le bestie della campagna si trastullano attorno a lui. 21Sotto le piante di loto si sdraia, nel folto del canneto e della palude. 22Lo ricoprono d'ombra le piante di loto, lo circondano i salici del torrente. 23Ecco, se il fiume si ingrossa, egli non si agita, anche se il Giordano gli salisse fino alla bocca, resta calmo.

24Chi mai può afferrarlo per gli occhi, o forargli le narici con un uncino? 25Puoi tu pescare il Leviatàn con l'amo e tenere ferma la sua lingua con una corda, 26ficcargli un giunco nelle narici e forargli la mascella con un gancio? 27Ti rivolgerà forse molte suppliche o ti dirà dolci parole? 28Stipulerà forse con te un'alleanza, perché tu lo assuma come servo per sempre? 29Scherzerai con lui come un passero, legandolo per le tue bambine? 30Faranno affari con lui gli addetti alla pesca, e lo spartiranno tra i rivenditori? 31Crivellerai tu di dardi la sua pelle e con la fiocina la sua testa? 32Prova a mettere su di lui la tua mano: al solo ricordo della lotta, non ci riproverai! _________________ Note

40,1-5 Giobbe si arrende e tace. È questo il senso dell’espressione Mi metto la mano sulla bocca (v. 4).

40,15-24 Conosciuto come “la bestia” per eccellenza (così potrebbe essere inteso il termine ebraico beemòt), l’ippopotamo è descritto come il simbolo delle forze del male che si oppongono a Dio, ma sono da lui dominate e vinte.

40,25-41,26 Il Leviatàn (“tortuoso”) è un mostro dell’antica mitologia orientale, rappresentato come un coccodrillo (vedi 26,13; 40,25).

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Approfondimenti

40,1-2. Il discorso divino suppone a questo punto una pausa, segnalata dalla presenza del narratore (v. 1) che introduce la ripresa dello stesso intervento di JHWH. Si può pensare che una tale pausa manifesti l'attesa per la risposta spontanea di Giobbe, oppure che si tratti di un artificio letterario (reperibile altrove nella Scrittura, cfr. per es. Gn 15,5; 37,21-22), utile qui ad accentuare il passaggio dalla rievocazione dei prodigi divini all'invito decisivo perché Giobbe risponda alle sollecitazioni di Dio (v. 2). È interessante il fatto che Dio si indirizzi a Giobbe (in terza persona come in 38,2), in quanto suo contendente, colui che ha deliberatamente inteso dibattere con Dio (cfr. 13,3.15). A Dio importa, decisamente, Giobbe. Lo ha ascoltato e ha replicato alle sue contestazioni; ma, si sa, Giobbe potrebbe non essere soddisfatto, o voler avanzare altre obiezioni; perciò è Dio che ora insiste perché Giobbe si esprima. Sebbene a Dio non fosse necessaria un'audizione diretta di Giobbe, poiché già conosce i pensieri dell'uomo (cfr. Sal 139,2-4), e il narratore onnisciente avrebbe potuto in vario modo riferirli, non così accade, Infatti solo le parole di Giobbe possono far comprendere e partecipare il lettore all'esperienza del protagonista, riferire l'orientamento del suo itinerario interiore dinanzi alla rivelazione divina. Inoltre Dio si affida ancora una volta alla libertà dell'uomo. Infatti Dio non si è affermato né con dichiarazioni né con minacce, bensì ha incalzato Giobbe con alcune domande lasciandogli l'autonomia nel riconoscimento e nell'adesione, e il pieno diritto di autodeterminazione e di espressione. La relazione fra il Dio d'Israele e l'uomo, anche in circostanze estreme, si configura nell'incommensurabile incontro fra la libertà di Dio e quella dell'uomo. Si osservi infine che nei vv. 1-2 si può riscontrare un importante indizio, attinente l'uso dei nomi divini, che stabilisce un'interconnessione tra la sezione in prosa e la parte poetica del libro, e contribuisce anche a orientare l'interpretazione del poema come racconto unificato. Infatti JHWH (v. 1; ma cfr. 38,1; 40,3.6; 42,1, come nel Prologo e nell'Epilogo) in questa richiesta diretta a Giobbe (v. 2) parla di se riportando dei nomi che Giobbe e tutti i suoi interlocutori hanno usato: ’elôah, šadday (anche ’ēl in 40,9). Un fenomeno in qualche modo paragonabile a questo, con le dovute rilevanti differenze, si ritrova in Gn 17,1, poi ripreso nella mirabile sintesi di Es 6,2-8.

40,3-5. In questa teofania in cui Dio si è fatto subito riconoscere al suo apparire (cfr. 38,1; altrove cfr. per es. Gn 15,1; 17,1; 28,13; Es 6,2; ecc.), il problema ruota intorno alla conoscenza e, da come Dio ha impostato il discorso, alla trasformazione della conoscenza di Giobbe, così da rimuovere l'opposizione fra Dio e Giobbe. Tuttavia, la risposta di Giobbe è particolarmente contenuta, e manifesta, sostanzialmente, ancora attesa per le parole di Dio. La prima reazione di Giobbe non è di paura, ma di considerazione del proprio limite dinanzi alla maestà di Dio (v. 4). Sul piano emotivo Giobbe è appagato. Infatti egli ha gridato (cfr. 31,35) e Dio, finalmente, gli ha risposto. Per Giobbe, Dio non è più lontano o nascosto. Tuttavia il discorso divino non aggiunge molto a quel che Giobbe stesso ha detto sulla sapienza e sulla potenza di Dio (cfr. per es. 26,7-14). Soprattutto, Dio non ha ancora esaminato la questione del giusto che soffre e dell'empio che invece gode nel mondo. Perciò Giobbe dichiara che ha già espresso le sue opinioni (v. 5) e che quindi non intende replicare. Le sue questioni attendono tuttora di ottenere una risposta da Dio. Giobbe, dunque, resiste ancora a Dio; pertanto, a questo punto, si rende necessario un secondo discorso divino.

40,6-41,26. La risposta di Dio, JHWH, stavolta è immediata. Egli non si tira indietro dinanzi all'aspettativa di Giobbe al quale pone adesso delle domande sulla forza dell'uomo (40,7-14), che appare terrorizzato da mostri come il Behemot (40,15-24) e il Leviatan (40,25-41 26), mentre anch'essi appartengono all'opera creatrice divina.

40,7-14. Dio chiede a Giobbe se per affermare la propria giustizia e innocenza pensa davvero di condannare Dio, e dunque di distruggere, di annullare il diritto divino, eliminando il tal modo le basi stesse della giustizia e del governo sul mondo (40,8). Si tratta di una questione particolarmente importante nella dinamica della vicenda fra Giobbe e Dio, il cui esito rimane ancora incerto. Peraltro non consiste solo nello stabilire chi abbia ragione e chi torto; inoltre dichiarare colpevole Dio per affermare la giustizia dell'uomo ha un rilievo che oltrepassa l'ambito giudiziario e riguarda l'ordine e il governo stesso dell'universo. In realtà Giobbe (a differenza degli amici) aveva escluso una tale alternativa, attendendo l'accertamento della propria giustizia senza rinunciare a Dio, anzi, per riconfermare e ritrovare la comunione di vita con Dio. Nondimeno, Dio ora chiede a Giobbe se dispone di una potenza come quella divina per regolare, per governare il creato. L'azione potente di Dio, la sua ‘ēṣâ (cfr. 38,2), si manifesta nella storia, e, in modo inequivocabile e incontrastabile, per liberare e salvare gli oppressi (cfr. Sal 146,5-9), per abbattere i superbi (cfr. Is 2,10-12) e annientare gli empi. JHWH, si presenta, dunque, come il creatore e il Signore della storia. Le meraviglie del creato e il corso degli eventi lo testimoniano. Può Giobbe, può l'uomo, dimostrare una potenza e un'abilità simili (cfr. Dt 8,17; Sal 44,4)?

vv. 15-24. Il Behemot, sul quale adesso Dio richiama l'attenzione, e poi il Leviatan (40,25-41,26) sono, fra tutti gli animali creati, i più selvaggi e terribili. Il Behemot, identificato con l'ippopotamo, appare un animale possente e imbattibile, e mentre incute terrore nell'uomo, Dio invece, guarda con benevolenza anche il suo riposo. Infatti è Dio che ha creato il Behemot.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1 Sai tu quando figliano i camosci o assisti alle doglie delle cerve? 2Conti tu i mesi della loro gravidanza e sai tu quando devono partorire? 3Si curvano e si sgravano dei loro parti, espellono i loro feti. 4Robusti sono i loro figli, crescono all'aperto, se ne vanno e non tornano più da esse. 5Chi lascia libero l'asino selvatico e chi ne scioglie i legami? 6Io gli ho dato come casa il deserto e per dimora la terra salmastra. 7Dei rumori della città se ne ride e non ode le urla dei guardiani. 8Gira per le montagne, sua pastura, e va in cerca di quanto è verde. 9Forse il bufalo acconsente a servirti o a passare la notte presso la tua greppia? 10Puoi forse legare il bufalo al solco con le corde, o fargli arare le valli dietro a te? 11Ti puoi fidare di lui, perché la sua forza è grande, e puoi scaricare su di lui le tue fatiche? 12Conteresti su di lui, perché torni e raduni la tua messe sull'aia? 13Lo struzzo batte festosamente le ali, come se fossero penne di cicogna e di falco. 14Depone infatti sulla terra le uova e nella sabbia le lascia riscaldare. 15Non pensa che un piede può schiacciarle, una bestia selvatica calpestarle. 16Tratta duramente i figli, come se non fossero suoi, della sua inutile fatica non si preoccupa, 17perché Dio gli ha negato la saggezza e non gli ha dato in sorte l'intelligenza. 18Ma quando balza in alto, si beffa del cavallo e del suo cavaliere. 19Puoi dare la forza al cavallo e rivestire di criniera il suo collo? 20Puoi farlo saltare come una cavalletta, con il suo nitrito maestoso e terrificante? 21Scalpita nella valle baldanzoso e con impeto va incontro alle armi. 22Sprezza la paura, non teme, né retrocede davanti alla spada. 23Su di lui tintinna la faretra, luccica la lancia e il giavellotto. 24Con eccitazione e furore divora lo spazio e al suono del corno più non si tiene. 25Al primo suono nitrisce: “Ah!” e da lontano fiuta la battaglia, gli urli dei capi e il grido di guerra. 26È forse per il tuo ingegno che spicca il volo lo sparviero e distende le ali verso il meridione? 27O al tuo comando l'aquila s'innalza e costruisce il suo nido sulle alture? 28Vive e passa la notte fra le rocce, sugli spuntoni delle rocce o sui picchi. 29Di lassù spia la preda e da lontano la scorgono i suoi occhi. 30I suoi piccoli succhiano il sangue e dove sono cadaveri, là essa si trova”. _________________ Note

39,13-18 Descritto con vivacità, lo struzzo è presentato alla luce della fama popolare, che lo riteneva animale crudele (v. 16) e insipiente (v. 17). Ciò era dovuto al fatto che le sue uova venivano depositate nella sabbia (probabilmente per essere scaldate dal sole cocente del deserto).

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Approfondimenti

vv. 38,39-39,30. Nella straordinaria varietà degli esseri viventi con le loro peculiari caratteristiche si manifesta l'indescrivibile sollecitudine divina. L'uomo ne coglie il movimento, l'insuperabile organizzazione, ma non dispone dei segreti dell'equilibrio naturale. Solo Dio conosce profondamente anche ciò che l'uomo non riesce a comprendere (a conferma di Gb 28). Da una parte, dunque, la gratuità e la premura di Dio per il creato ridimensionano la prepotenza umana, e dall'altra rassicurano l'uomo sul fatto che tutto è nelle mani di Dio. Infatti egli ha cura di tutte le sue creature, dunque anche dell'uomo. Così Dio respinge pure la critica di Giobbe sul modo in cui governa il mondo. L'esaltazione delle opere del creato contenute nel primo discorso divino ribadisce l'insuperabile abilità di Dio, JHWH, come creatore e il suo eminente esercizio di controllo sulla creazione. Peraltro Giobbe non ha mai messo in discussione l'onnipresenza e l'onnipotenza divina, bensì ha avanzato delle questioni sul modo arbitrario, inspiegabile, con cui Dio tratta l'uomo. In Dio è la fonte e l'origine della sapienza e della potenza (cfr. c. 28), ma Giobbe ha osservato e contestato il prevalere degli effetti devastanti della potenza divina soprattutto nei confronti dell'uomo (cfr. 9,4-10). Ora, negli elementi naturali menzionati da Dio, si manifesta una duplice valenza, come nel caso della pioggia che può trasformare il deserto in un giardino oppure provocare dei danni irreparabili (cfr. 38,22-30). Questo duplice carattere evidentemente rimanda a Dio, sorgente unica della prosperità e della sventura, come pure Giobbe aveva riconosciuto (cfr. 2,10). Pertanto lo sviluppo del discorso divino intende sostenere, replicando in tal modo alle contestazioni di Giobbe, che fin dall'inizio Dio ha creato molto più di quanto ha distrutto, perciò gli si deve accordare venerazione e fiducia.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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TEOFANIA

La sollecitudine del creatore verso il creato 1 Il Signore prese a dire a Giobbe in mezzo all'uragano: 2“Chi è mai costui che oscura il mio piano con discorsi da ignorante? 3Cingiti i fianchi come un prode: io t'interrogherò e tu mi istruirai! 4Quando ponevo le fondamenta della terra, tu dov'eri? Dimmelo, se sei tanto intelligente! 5Chi ha fissato le sue dimensioni, se lo sai, o chi ha teso su di essa la corda per misurare? 6Dove sono fissate le sue basi o chi ha posto la sua pietra angolare, 7mentre gioivano in coro le stelle del mattino e acclamavano tutti i figli di Dio? 8Chi ha chiuso tra due porte il mare, quando usciva impetuoso dal seno materno, 9quando io lo vestivo di nubi e lo fasciavo di una nuvola oscura, 10quando gli ho fissato un limite, e gli ho messo chiavistello e due porte 11dicendo: “Fin qui giungerai e non oltre e qui s'infrangerà l'orgoglio delle tue onde”? 12Da quando vivi, hai mai comandato al mattino e assegnato il posto all'aurora, 13perché afferri la terra per i lembi e ne scuota via i malvagi, 14ed essa prenda forma come creta premuta da sigillo e si tinga come un vestito, 15e sia negata ai malvagi la loro luce e sia spezzato il braccio che si alza a colpire? 16Sei mai giunto alle sorgenti del mare e nel fondo dell'abisso hai tu passeggiato? 17Ti sono state svelate le porte della morte e hai visto le porte dell'ombra tenebrosa? 18Hai tu considerato quanto si estende la terra? Dillo, se sai tutto questo! 19Qual è la strada dove abita la luce e dove dimorano le tenebre, 20perché tu le possa ricondurre dentro i loro confini e sappia insegnare loro la via di casa? 21Certo, tu lo sai, perché allora eri già nato e il numero dei tuoi giorni è assai grande! 22Sei mai giunto fino ai depositi della neve, hai mai visto i serbatoi della grandine, 23che io riserbo per l'ora della sciagura, per il giorno della guerra e della battaglia? 24Per quali vie si diffonde la luce, da dove il vento d'oriente invade la terra? 25Chi ha scavato canali agli acquazzoni e una via al lampo tonante, 26per far piovere anche sopra una terra spopolata, su un deserto dove non abita nessuno, 27per dissetare regioni desolate e squallide e far sbocciare germogli verdeggianti? 28Ha forse un padre la pioggia? O chi fa nascere le gocce della rugiada? 29Da qual grembo esce il ghiaccio e la brina del cielo chi la genera, 30quando come pietra le acque si induriscono e la faccia dell'abisso si raggela? 31Puoi tu annodare i legami delle Plèiadi o sciogliere i vincoli di Orione? 32Puoi tu far spuntare a suo tempo le costellazioni o guidare l'Orsa insieme con i suoi figli? 33Conosci tu le leggi del cielo o ne applichi le norme sulla terra? 34Puoi tu alzare la voce fino alle nubi per farti inondare da una massa d'acqua? 35Scagli tu i fulmini ed essi partono dicendoti: “Eccoci!”? 36Chi mai ha elargito all'ibis la sapienza o chi ha dato al gallo intelligenza? 37Chi mai è in grado di contare con esattezza le nubi e chi può riversare gli otri del cielo, 38quando la polvere del suolo diventa fango e le zolle si attaccano insieme? 39Sei forse tu che vai a caccia di preda per la leonessa e sazi la fame dei leoncelli, 40quando sono accovacciati nelle tane o stanno in agguato nei nascondigli? 41Chi prepara al corvo il suo pasto, quando i suoi piccoli gridano verso Dio e vagano qua e là per mancanza di cibo? _________________ Note

38,8-11 Simbolo del caos e di tutto ciò che incute paura all’uomo, il mare è descritto qui come un indifeso neonato, che esce dal seno materno e che Dio avvolge di nubi come di fasce.

38,22-23 La grandine è spesso considerata nella Bibbia come un’arma usata da Dio per punire.

38,25-30 La descrizione dei diversi fenomeni rispecchia l’antica scienza cosmologica, secondo la quale la pioggia scendeva attraverso canali aperti nel firmamento, e la rugiada cadeva a gocce dall’aria.

38,31-38 Vengono elencati i nomi delle costellazioni e dei corpi celesti che compongono lo Zodiaco. L’Orsa insieme con i suoi figli probabilmente designa la costellazione dell’Orsa minore (v. 32).

38,36 All’ibis e al gallo erano attribuite dagli antichi particolari funzioni meteorologiche. Il primo annunciava le piene del fiume Nilo, il secondo lo spuntare del giorno e le piogge autunnali. L’ibis era l’uccello simbolo della sapienza e il gallo dell’intelligenza.

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Approfondimenti

TEOFANIA (38,1-42,6) La teofania costituisce la nuova, decisiva, svolta narrativa. Il pronunciamento di Dio è l'evento più richiesto e atteso da Giobbe, ma anche quello più contrastato e incerto, sottoposto a ripetuti rinvii. Innanzitutto i tre amici hanno sempre negato la possibilità di un intervento divino; Giobbe, poi, ha insistentemente gridato a Dio ma senza ricevere risposta e anche dopo aver conteso e sfidato apertamente Dio, in una crescente progressione drammatica, ancora un uomo, Eliu, gli risponde che Dio non ha interesse a dibattere, poiché si rivela all'uomo proprio nella sofferenza. Per gli interlocutori di Giobbe è inconcepibile l'evento stesso della rivelazione divina, data l'insolenza di Giobbe, ma soprattutto perché, per loro, tutto è già stabilito fra l'uomo e Dio. Invece, l'intervento divino giunge proprio quando l'uomo ha esaurito le parole, dopo il fallimento di tutti i tentativi umani di comprendere, e in risposta agli appelli di Giobbe.

La straordinaria originalità del contenuto dei due discorsi divini (38,2-40,2; 40,7-41,26) ha alimentato fra gli studiosi moderni non poche questioni sulla loro congruenza, e quindi sulla loro composizione. La sorpresa, tuttavia, costituisce un tratto specifico del poema che tende a stupire il lettore perché tutto quel che era prevedibile risulta scardinato al punto che si osa l'impensabile. Le varie tappe narrative sorprendono non meno del loro contenuto. Il lettore viene allenato a prestare attenzione all'inconsueto. Inoltre il Dio che si rivela fa riferimento alla sua opera creatrice, e alla potenza e sapienza di Dio creatore hanno fatto spesso riferimento tutti i personaggi. Anche lo stile dei discorsi divini è scandito dall'uso delle domande retoriche, che pure costituiscono un tratto caratteristico del poema, e raggiungono proprio nel c. 38 la più alta frequenza e intensità. Queste ed altre peculiarità depongono per l'appartenenza di tale unità narrativa (cc. 38,1-42,6) alla fase fondamentale della composizione dell'opera. Se con la teofania si raggiunge la fase culminante dell'intera vicenda, dove peraltro il mistero divino non è del tutto dissolto, non meno importanti sono le risposte di Giobbe, malgrado la brevità, nello sviluppo dell'intreccio narrativo di conoscenza.

I discorsi di Dio, JHWH, presentano a prima vista dei contenuti inattesi, persino sconcertanti. Nel primo discorso (38,2-40,2) Dio richiama Giobbe (38,2-3) e lo interroga sulla creazione della terra (38,4-7), del mare (38,8-11), della luce (38,12-15); sulla conoscenza delle estremità del mondo e dell'abisso (38,16-21), dei fenomeni atmosferici (38,22-30), dei corpi celesti (38,31-38); sulla cura del leone e del corvo (38,39-41), del parto delle cerve (39,1-4), dell'asino selvatico (39,5-8); sull'agire del bufalo (39,9-12), dello struzzo (39,13-18), del cavallo (39,19-25), dei rapaci (39,26-30). Il discorso si conclude con l'invito per Giobbe a rispondere (40,2). Giobbe, dunque, viene interpellato da Dio sulle meraviglie della creazione, sull'organizzazione e sul funzionamento del mondo, osservato dal punto di vista di Dio.

La sollecitudine del creatore verso il creato 38,1. L'introduzione del narratore è particolarmente sobria e annuncia che JHWH (come nel Prologo e nell'Epilogo, mentre nella Disputa i personaggi avevano chiamato Dio: ’ēl, ’elôah, ’elōhîm, šadday), dalla tempesta, risponde a Giobbe. La tempesta o l'uragano appartengono a quei fenomeni che preludono, di solito, alla teofania biblica (cfr. Es 19,16-19, Sal 18,8-14; 50,3; Na 1,3; Ez 1,4; Zc 9,14; ecc.). Giobbe ha parlato della tempesta attraverso la quale Dio accresceva le sue afflizioni (cfr. 9,17) ed Eliu ha preannunciato tale evento con tremore (cfr. 37,1-5) perché foriero del castigo o della benedizione divina. In questo sfondo inquieto, l'azione che il narratore mette in rilievo è il parlare di Dio, evento che comunque ristabilisce la vicinanza fra Dio e l'uomo, perché nella tradizione biblica, come per Giobbe, è proprio il silenzio di Dio a generare il disorientamento e l'angustia.

vv. 2-3. Dio, JHWH, risponde alle interpellanze di Giobbe interrogandolo. Non si tratta di una provocazione, ma di una comunicazione paradossale atta a condurre Giobbe a considerare gli avvenimenti da un'altra prospettiva, dal punto di vista di Dio. Dio riprende Giobbe perché oscura il consiglio divino, ‘ēṣâ, termine tecnico che designa la deliberazione, il piano di JHWH che opera nella storia (come azione salvifica o di giudizio, cfr. Sal 33,11; 106,13; Is 46,10-11; Ger 49,20; 50,45; ecc.), nella creazione e nel governo del mondo (v. 2; 42,3). Dunque Giobbe ha parlato senza conoscere il piano di Dio proprio mentre ha affermato che esso appartiene a Dio (cfr. 12,13). Peraltro Dio sollecita l'attenzione di Giobbe come quella di chi è pronto a combattere (v. 3; cfr. 40,7; Ger 1,17). Giobbe attendeva di contendere direttamente con Dio; ora è il momento.

vv. 4-7. Innanzitutto Dio interpella Giobbe sull'origine della terra. Dio ha operato come un architetto e ha stabilito la terra come un edificio (cfr. Is 48,13; 51,13), ricevendo la lode, per la realizzazione del suo progetto, dagli altri esseri creati. Ma Giobbe, dov'era quando Dio ha creato il mondo?

vv. 8-11. Solo Dio ha separato le acque (cfr. Gn 1,6-7) e ha posto al mare dei limiti invalicabili (cfr. Gn 1,9; Sal 104,9).

vv. 12-15. A Dio si deve non solo lo spazio, ma anche il tempo, scandito dalla luce, dal ritmico succedersi della sera e del mattino (cfr. Gn 1,3-5). Inoltre l'opposizione fra la luce e i malvagi (cfr. 24,13-18) viene ora confermata, mettendo tuttavia in rilievo che soltanto Dio allontana i malvagi dalla terra; infatti tanti misfatti sfuggono alla giustizia umana.

vv. 16-21. Dio interroga ancora Giobbe sulle estremità, sui limiti del creato: le fonti del mare, le porte della morte, le dimore della luce e delle tenebre. Quale conoscenza Giobbe può produrre così da mostrare di poterle governare?

vv. 22-30. L'attenzione viene ora richiamata sulle riserve della neve e della pioggia (cfr. Sal 33,7; 135,7). Singolare è l'uso che Dio fa dei fenomeni atmosferici in relazione ai conflitti umani (v. 23; cfr. Es 9,13-35; Is 28,17; 30,30; Ez 38,22). Inoltre Dio sparge la pioggia anche là dove non c'è alcun interesse per l'uomo (vv. 26-27). Dunque ritorna il duplice scopo, presentato da Eliu, di tali fenomeni (cfr. 36, 31), con un accento sulla benevolenza divina che eccede l'uomo, il quale non è l'unico oggetto della cura di Dio.

vv. 31-38. Quale conoscenza ha Giobbe delle costellazioni e dei corpi celesti (cfr. 9,9)? Quale influsso può esercitare su di essi? Evidentemente soltanto Dio può disporre di tutta l'attività celeste. Fin qui il discorso di Dio ha rievocato le meraviglie della creazione, i cui segreti sono noti solo a lui. Nella seconda parte l'attenzione è rivolta ai prodigi del mondo animale.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1 Per questo mi batte forte il cuore e mi balza fuori dal petto. 2Udite attentamente il rumore della sua voce, il fragore che esce dalla sua bocca. 3Egli lo diffonde per tutto il cielo e la sua folgore giunge ai lembi della terra; 4dietro di essa ruggisce una voce, egli tuona con la sua voce maestosa: nulla può arrestare il lampo appena si ode la sua voce. 5Dio tuona mirabilmente con la sua voce, opera meraviglie che non comprendiamo! 6Egli infatti dice alla neve: “Cadi sulla terra” e alle piogge torrenziali: “Siate violente”. 7Nella mano di ogni uomo pone un sigillo, perché tutti riconoscano la sua opera. 8Le belve si ritirano nei loro nascondigli e si accovacciano nelle loro tane. 9Dalla regione australe avanza l'uragano e il gelo dal settentrione. 10Al soffio di Dio si forma il ghiaccio e le distese d'acqua si congelano. 11Carica di umidità le nuvole e le nubi ne diffondono le folgori. 12Egli le fa vagare dappertutto secondo i suoi ordini, perché eseguano quanto comanda loro su tutta la faccia della terra. 13Egli le manda o per castigo del mondo o in segno di bontà.

14Porgi l'orecchio a questo, Giobbe, fermati e considera le meraviglie di Dio. 15Sai tu come Dio le governa e come fa brillare il lampo dalle nubi? 16Conosci tu come le nuvole si muovono in aria? Sono i prodigi di colui che ha una scienza perfetta. 17Sai tu perché le tue vesti sono roventi, quando la terra è in letargo sotto il soffio dello scirocco? 18Hai tu forse disteso con lui il firmamento, solido come specchio di metallo fuso?

19Facci sapere che cosa possiamo dirgli! Noi non siamo in grado di esprimerci perché avvolti nelle tenebre. 20Gli viene forse riferito se io parlo, o, se uno parla, ne viene informato? 21All'improvviso la luce diventa invisibile, oscurata dalle nubi: poi soffia il vento e le spazza via. 22Dal settentrione giunge un aureo chiarore, intorno a Dio è tremenda maestà. 23L'Onnipotente noi non possiamo raggiungerlo, sublime in potenza e rettitudine, grande per giustizia: egli non opprime. 24Perciò lo temono tutti gli uomini, ma egli non considera quelli che si credono sapienti!“. _________________ Note

37,2 il rumore della sua voce: il tuono, chiamato nella Bibbia “voce di Dio” (vedi Sal 29).

37,7 Porre il sigillo indica, qui, far cessare l’attività dell’uomo.

37,10 Il soffio di Dio è qui il vento.

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Approfondimenti

37,1-13. Eliu si sofferma con tremore proprio sui lampi e i tuoni che preludono la bufera, la manifestazione divina (37,1-6). In essi scorge la luce e la voce potente di Dio (cfr. Sal 18,14-15; 29; 77,18-19) che raggiungono e scuotono tutta la terra. Tutto il cosmo è investito dall'iniziativa poderosa di Dio, che costringe gli esseri viventi a cercare riparo, a difendersi dalla tormenta (37,7-12). Al termine dell'inno, Eliu ripropone il duplice scopo di tali fenomeni come strumenti del castigo o della benevolenza di Dio per l'uomo (37,17; cfr. 36,31).

vv. 14-18. Eliu invita di nuovo Giobbe a riflettere sulle meraviglie di Dio e a riconoscere la formidabile disposizione divina dell'ordinamento naturale (cfr. 26,7-14). Egli inoltre interroga Giobbe, con uno stile che anticipa ancora i discorsi divini, riguardo a quale conoscenza dei prodigi della natura può esibire.

vv. 19-24. Per Eliu è inconcepibile che un uomo, Giobbe, pretenda di dibattere con Dio. Infatti la conoscenza umana è avvolta dall'oscurità, rispetto alla perfetta conoscenza e alla sapienza di Dio. Dio è sempre nascosto e l'uomo scorge solo le tracce dello splendore della maestà divina (cfr. 26,14). L'uomo quindi non può trovare né raggiungere Dio. Peraltro la grandezza e la potenza di Dio si manifestano, secondo Eliu, nella sua giustizia (cfr. 36,5) che non opprime l'uomo, non affligge le sue creature, soprattutto non le colpisce arbitrariamente. Per questo gli uomini devono temere di contendere con Dio perché la loro conoscenza è parziale e frammentaria.

Eliu come i tre amici si propone quale difensore del diritto e dell'onore di Dio, ma rispetto ad essi insiste sulla pedagogia divina. La sofferenza di Giobbe non manifesta il castigo divino a motivo delle sue molteplici trasgressioni, piuttosto la correzione di Dio. L'afflizione è il linguaggio con cui Dio richiama l'uomo a sé; è lo strumento con cui Dio purifica l'uomo dalle sue presunzioni e dai suoi misfatti. Pertanto tutto dipende dall'uomo ed Eliu, come i precedenti interlocutori, sollecita Giobbe al pentimento che gli eviterà la distruzione fatale e gli apporterà, invece, il rinnovato dono della vita e della prosperità. Eliu parla per un'impellente esigenza personale con l'intento evidente non di confrontarsi, ma di trionfare soprattutto su Giobbe, esaltando la potenza inaccessibile di Dio. L'intervento di Eliu non allenta la tensione narrativa, né fa evolvere la dinamica del racconto, bensì ne costituisce un'interruzione. Le acute domande di Giobbe attendono ancora una risposta. Il sorprendente intervento di Eliu ha tuttavia presentato, rispetto alla rigidità della posizione sulla quale si sono attestati gli amici, un'ulteriore riflessione con una significativa articolazione. Eliu infatti mette in rilievo il valore della sofferenza che rende l'uomo attento alla correzione divina, gli apre gli occhi sul suo peccato e lo riconduce a Dio. La forte coesione interna, l'autonomia di tale inserzione della quale non ricorre alcun cenno altrove nell'opera, il marcato distacco con cui Eliu rivolge l'attenzione alle parole di Giobbe e le discute a un livello teorico, dottrinale (svincolato dal compiersi del dramma di Giobbe, nel quale invece gli amici apparivano intensamente coinvolti), e inoltre il peculiare contenuto della sua argomentazione, costituiscono alcuni aspetti che inducono a ritenere che i discorsi di Eliu siano stati composti in una fase successiva all'elaborazione fondamentale dell'opera. Si può pensare che nella recezione del poema fosse emersa l'esigenza di attenuare la durezza derivante dai discorsi dei tre amici, di rilanciare l'importanza dell'emblematico caso di Giobbe mettendo in rilievo (rispetto al cenno di Elifaz non più ripreso, cfr. 5,17) la valenza educativa dell'afflizione (cfr. Prv 3,11-12; Dt 8,5), riconfermando, tuttavia, il disagio per la protesta di Giobbe a Dio, la cui corretta applicazione della giustizia rimane fuori discussione. Anche la congruente collocazione di tale unità narrativa, che separa e allontana l'appello di Giobbe dalla teofania, tende a manifestare un forte senso della trascendenza divina, dell'inaccessibilità di Dio all'uomo. Nondimeno i discorsi di Eliu presentano delle considerazioni, per quanto riadattate, che anticipano il contenuto dei discorsi divini. Giobbe, e il lettore, vengono inconsapevolmente introdotti e preparati all'evento straordinario della teofania. Infine tale sorprendente interruzione dell'azione narrativa principale funziona, nell'organizzazione del racconto, come “digressione”, dove, con un'altra modulazione, la vicenda di Giobbe appare come un'occasione formidabile per ricevere l'istruzione divina; essa non estingue l'attesa di Dio e l'urgenza che Dio stesso si pronunci, piuttosto accresce l'incertezza e la suspense intorno a tale evento.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Dio è potente e corregge l'uomo 1 Eliu continuò a dire: 2“Abbi un po' di pazienza e io ti istruirò, perché c'è altro da dire in difesa di Dio. 3Prenderò da lontano il mio sapere e renderò giustizia al mio creatore. 4Non è certo menzogna il mio parlare: è qui con te un uomo dalla scienza perfetta. 5Ecco, Dio è grande e non disprezza nessuno, egli è grande per la fermezza delle sue decisioni. 6Non lascia vivere l'iniquo e rende giustizia ai miseri. 7Non stacca gli occhi dai giusti, li fa sedere sui troni dei re e li esalta per sempre. 8Se sono avvinti in catene, o sono stretti dai lacci dell'afflizione, 9Dio mostra loro gli errori e i misfatti che hanno commesso per orgoglio. 10Apre loro gli orecchi alla correzione e li esorta ad allontanarsi dal male. 11Se ascoltano e si sottomettono, termineranno i loro giorni nel benessere e i loro anni fra le delizie. 12Ma se non ascoltano, passeranno attraverso il canale infernale e spireranno senza rendersene conto. 13I perversi di cuore si abbandonano all'ira, non invocano aiuto, quando Dio li incatena. 14Si spegne in gioventù la loro vita, la loro esistenza come quella dei prostituti. 15Ma Dio libera il povero mediante l'afflizione, e con la sofferenza gli apre l'orecchio.

16Egli trarrà anche te dalle fauci dell'angustia verso un luogo spazioso, non ristretto, e la tua tavola sarà colma di cibi succulenti. 17Ma se di giudizio iniquo sei pieno, giudizio e condanna ti seguiranno. 18Fa' che l'ira non ti spinga allo scherno, e che il prezzo eccessivo del riscatto non ti faccia deviare. 19Varrà forse davanti a lui il tuo grido d'aiuto nell'angustia o tutte le tue risorse di energia? 20Non desiderare che venga quella notte nella quale i popoli sono sradicati dalla loro sede. 21Bada di non volgerti all'iniquità, poiché per questo sei stato provato dalla miseria.

22Ecco, Dio è sublime nella sua potenza; quale maestro è come lui? 23Chi mai gli ha imposto il suo modo d'agire o chi mai ha potuto dirgli: “Hai agito male?”. 24Ricòrdati di lodarlo per le sue opere, che l'umanità ha cantato. 25Tutti le contemplano, i mortali le ammirano da lontano. 26Ecco, Dio è così grande che non lo comprendiamo, è incalcolabile il numero dei suoi anni. 27Egli attrae in alto le gocce d'acqua e scioglie in pioggia i suoi vapori 28che le nubi rovesciano, grondano sull'uomo in quantità. 29Chi può calcolare la distesa delle nubi e i fragori della sua dimora? 30Ecco, egli vi diffonde la sua luce e ricopre le profondità del mare. 31In tal modo alimenta i popoli e offre loro cibo in abbondanza. 32Con le mani afferra la folgore e la scaglia contro il bersaglio. 33Il suo fragore lo annuncia, la sua ira si accende contro l'iniquità. _________________ Note

36,29 I fragori sono il rumore del tuono e la dimora è il cielo, dove risiede Dio, Signore della tempesta e del creato (vedi Sal 18,12; 65,8).

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Approfondimenti

Dio è potente e corregge l'uomo (36,1-37,24) In quest'ultimo ampio discorso Eliu magnifica ripetutamente la grandezza e la potenza divina, preparando e, talvolta, anticipando i discorsi di Dio. Egli innanzitutto continua a parlare in difesa di Dio (36,2-4), ne esalta la grandezza mostrando che dirige gli avvenimenti dei singoli e dei popoli e che fa conoscere all'uomo i suoi misfatti (36,5-10) perché si ravveda e viva (36,11-15). Così Eliu rinnova l'invito a Giobbe ad accogliere l'ammonizione che proviene dalla sua sofferenza (36,16-21). Quindi, con un inno, egli riprende a celebrare la potenza di Dio che ogni uomo può vedere, ma non comprendere (36,22-26), e che si manifesta negli straordinari fenomeni della natura (36,27-37,13). Eliu conclude con un'altra esortazione a Giobbe affinché consideri le meraviglie di Dio (37,14-18), e assicura che, benché non lo si possa trovare e raggiungere, Dio non opprime l'uomo (37,19-24).

36,1-4. La fondamentale preoccupazione di Eliu (come quella degli amici, cfr. 13,7-8) è di difendere Dio, ma con l'autorevolezza che deriva dalla sua presunta completezza dell'esperienza umana. Insomma, Eliu rivendica una competenza di vita superiore a quella di Giobbe.

vv. 5-10. Contro le accuse di Giobbe sull'intervento indiscriminato di Dio (cfr. 12,14-25) o sulla sua noncuranza (cfr. 12,6; 21,7-9; ecc.), Eliu ribatte asserendo l'azione inequivocabile di Dio, il pronunciamento giudiziario divino, che ristabilisce il diritto dei miseri e non conserva in vita i malvagi (cfr. 34,19-28). Dio separa i giusti dai malvagi ed esalta i primi fino a farli sedere in trono con i re. Tuttavia se il giusto è nell'afflizione o nella miseria è perché ha peccato, e Dio vuole richiamarlo per il suo bene, per rendergli del bene; così lo sollecita a rivedere la sua situazione e lo ammonisce a ritornare a lui. Attraverso le sofferenze Dio permette che l'uomo, compreso il giusto, riconosca le sue trasgressioni, il suo peccato. Con l'afflizione Dio rende l'uomo attento ad accogliere la correzione, ad allontanarsi dal male, a respingere l'iniquità (cfr. v. 21). Anche Elifaz aveva parlato della correzione (mûsār) di Dio (cfr. 5,17), ma in un contesto radicalmente negativo per l'uomo in quanto sicuramente colpevole dinanzi a Dio (cfr. 4,17-18). Eliu ammette invece l'esistenza del giusto, soggetto al peccato, e pertanto la sofferenza diventa lo strumento e il luogo dell'avvertimento divino, da cui egli può ritornare a Dio. Il giusto dunque, secondo Eliu, non deve preoccuparsi delle afflizioni: esse sono per il suo bene, affinché si penta della sua malvagità.

vv. 11-15. Dio attraverso la sventura vuole aprire l'orecchio dell'uomo, la sua facoltà di comprendere. Pertanto Dio renderà all'uomo secondo l'accoglienza dell'ammaestramento e dell'invito a ritornare a lui. Eliu distingue fra gli empi che nelle sofferenze attirano l'ira divina poiché maledicono, non supplicano Dio, e gli afflitti ai quali Dio si rivela nell'angustia e che libera mentre sono nell'afflizione (cfr. 2Sam 22,20; Sal 6,5; 50,15; 81,8).

vv. 16-21. Eliu offre un'applicazione delle sue asserzioni rivolgendosi direttamente a Giobbe e facendogli notare che l'afflizione, l'angustia, la sofferenza che lo tormentano sono finalizzate al suo ravvedimento. Benché Eliu ammetta, a differenza degli amici, l'esistenza del giusto, esposto al peccato, tuttavia egli non riesce a evitare di accusare Giobbe, come gli amici, di malvagità e iniquità, attuate con le parole e le azioni (v. 17; cfr. 22,15; 34,8.36). Peraltro l'avvertimento finale di Eliu (v. 21) a Giobbe è proprio di ritrarsi finalmente dalla malvagità, quella forza funesta negativa (’āwĕn) che allontana l'uomo da Dio e che, secondo Elifaz, è prodotta dall'uomo (cfr. 5,6-7). A Eliu non importano gli interrogativi di Giobbe (cfr. per es. 31,2-4), che anzi considera espressione della sua grave deviazione. Per lui, come per gli amici, il problema e la sua soluzione sono soltanto nell'uomo, in Giobbe.

vv. 22-26. Eliu proferisce un inno alla straordinaria potenza divina intercalato da domande retoriche con le quali esprime l'incomparabilità e l'imperscrutabilità di Dio. Innanzitutto, per Eliu, Dio è maestro (môreh), colui che istruisce (v. 22; cfr. 35,11). Eliu dunque vuole mettere in rilievo nella disposizione degli eventi la dimensione pedagogica dell'azione insuperabile e sovrana di Dio (cfr. Is 40,13; Sal 147,5). Benché l'uomo ammiri le grandiose opere divine, non conosce, non può comprendere Dio, tanto la sua grandezza eccede ogni capacità speculativa umana (v. 26; cfr. 37,5).

vv. 27-33. Eliu celebra la grandezza e la potenza di Dio che si manifestano nei fenomeni naturali atmosferici connessi in particolare alla bufera, alla tempesta. E evidente la peculiare relazione di tali fenomeni con la teofania all'interno della tradizione biblica (cfr. Es 19,16.19; Gdc 5,4; ecc.). Pertanto tale inno ha un carattere prolettico, prepara all'imminente rivelazione di Dio a Giobbe (cfr. 38,1-42,6). Eliu osserva che Dio forma le nubi, manda la pioggia, fa udire il tuono e alla sua luce, nel lampo, nulla sulla terra si sottrae (36,27-30). Chi può intendere le sue intenzioni? Infatti Dio si avvale di tali fenomeni per garantire il sostentamento dei popoli e dunque la vita umana (cfr. Es 16,4; Dt 11,13-17), oppure per eseguire, con carestie o alluvioni e altri disastri naturali (cfr. Gn 6,5-9,17; Dt 29,22), il suo giudizio, per punire le trasgressioni umane. I lampi sono presentati come saette che Dio tiene in mano, con le quali egli colpisce, e sono accompagnati dai tuoni che esprimono l'ira divina.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Il comportamento dell'uomo e Dio 1 Eliu prese a dire: 2“Ti pare di aver pensato correttamente, quando dicesti: “Sono giusto davanti a Dio”? 3Tu dici infatti: “A che serve? Quale guadagno ho a non peccare?“. 4Voglio replicare a te e ai tuoi amici insieme con te. 5Contempla il cielo e osserva, considera le nubi, come sono più alte di te. 6Se pecchi, che cosa gli fai? Se aumenti i tuoi delitti, che danno gli arrechi? 7Se tu sei giusto, che cosa gli dai o che cosa riceve dalla tua mano? 8Su un uomo come te ricade la tua malizia, su un figlio d'uomo la tua giustizia! 9Si grida sotto il peso dell'oppressione, si invoca aiuto contro il braccio dei potenti, 10ma non si dice: “Dov'è quel Dio che mi ha creato, che ispira nella notte canti di gioia, 11che ci rende più istruiti delle bestie selvatiche, che ci fa più saggi degli uccelli del cielo?“. 12Si grida, allora, ma egli non risponde a causa della superbia dei malvagi. 13È inutile: Dio non ascolta e l'Onnipotente non vi presta attenzione; 14ancor meno quando tu dici che non lo vedi, che la tua causa sta innanzi a lui e tu in lui speri, 15e così pure quando dici che la sua ira non punisce né si cura molto dell'iniquità. 16Giobbe dunque apre a vuoto la sua bocca e accumula chiacchiere senza senso”. _________________ Note

35,9-16 Il testo ebraico è di difficile interpretazione e non sempre è possibile renderlo con la dovuta chiarezza. Il tema centrale sembra essere: Dio ascolta solo se lo si invoca con cuore umile.

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Approfondimenti

Il comportamento dell'uomo e Dio (35,1-16) Questo nuovo discorso è molto breve e continua l'argomentazione precedente. Eliu attribuisce a Giobbe la questione sul vantaggio che proviene dalla rettitudine dell'uomo (vv. 2-4) e ribatte asserendo che nessuna azione umana può influenzare Dio (vv. 5-9), pertanto ogni pressione su Dio è inutile (vv. 10-16).

vv. 1-4. Eliu riporta, secondo la sua consuetudine, alcuni richiami alle affermazioni di Giobbe, ma con una interpretazione di nuovo provocatoria. Per Eliu, Giobbe avrebbe rivendicato una giustizia superiore a quella di Dio (v. 2). Questo è anche il motivo, riferito dal narratore, che aveva alimentato l'ira di Eliu (cfr. 32,2) e la decisione di intervenire per confutare Giobbe. In realtà Giobbe ha dichiarato ripetutamente la sua innocenza e ha interpellato Dio riguardo al suo agire, senza mai misurare la giustizia di entrambi. Inoltre, benché Eliu continui ad attribuire a Giobbe la questione dell'interesse per l'uomo nella relazione con Dio (v. 3; cfr. 34,9), essa appartiene agli amici (cfr. per es. 22,2-5), ed è anche il motivo della scommessa del Satan (cfr. 1,9). Intatti Giobbe vi ha alluso riportando i pensieri dei malvagi (cfr. 21,15), mentre ha lasciato intendere la tenace speranza di chi nella sventura può attingere alla relazione di comunione vissuta con Dio (cfr. 27,8-10). Peraltro Eliu stavolta annuncia di rispondere non solo a Giobbe, ma anche agli amici (v. 4).

vv. 5-8. La piccolezza dell'uomo non può raggiungere la grandezza di Dio. Pertanto né la rettitudine, né la malvagità influenzano in alcun modo Dio. L'infinita superiorità di Dio rende inconcepibile che il peccato o l'integrità dell'uomo tocchino Dio. Eliu condivide la concezione presentata da Elifaz (cfr. 22,2) secondo la quale è esclusivo interesse dell'uomo accogliere e vivere l'insegnamento divino (cfr. 22,22). Eliu nota che la rettitudine e la malvagità dell'uomo raggiungono e colpiscono i propri simili. Certamente tali argomentazioni rafforzano il concetto dell'imparzialità dell'azione divina, ma anche sottolineano una lontananza estrema fra Dio e l'uomo.

vv. 9-16. L'empietà perpetrata dai malvagi causa il grido degli oppressi; tuttavia, per Eliu, se ad essi Dio non risponde c'è una ragione. Probabilmente gridano per la gravità dell'oppressione (e Dio interviene, cfr. Es 3,7-9), ma, secondo Eliu, non invocano il Dio che li ha creati (cfr. Sal 50,15), che dà loro motivi di canto e di lode nella notte (cioè, nelle avversità, v. 10; con lo stesso senso cfr. Sal 77,7; 119,54) e una capacità di comprendere superiore a tutti gli altri esseri viventi. Così per Eliu, che pure introduce delle distinzioni per opportunità (per contrastare le resistenze di Giobbe), è una menzogna sostenere che Dio non vede o non tiene conto di ciò che avviene. Pertanto Giobbe, che asserisce di non vedere Dio (cfr. 23,8-9), dovrebbe sapere che il giudizio, la sua causa, è già davanti a Dio (contro quello che invece pensa, cfr. 23,3-7) e perciò ora egli dovrebbe attendere le consolazioni divine. Infatti non il giudizio supremo si è abbattuto su Giobbe, ma una punizione tale da indurlo a riconoscere i suoi peccati. Eliu ritiene quindi sproporzionata, fuori luogo, e dunque vana, la contesa di Giobbe con Dio, poiché Dio ha i suoi tempi e le modalità di intervenire, mentre, secondo Eliu, Giobbe deve solo prendere atto della propria colpa.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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