Capitolo XXII – Il dormitorio dei monaci
1 Ciascun monaco dorma in un letto proprio 2 e ne riceva la fornitura conforme alle consuetudini monastiche e secondo quanto disporrà l’abate. 3 Se è possibile dormano tutti nello stesso locale, ma se il numero rilevante non lo permette, riposino a dieci o venti per ambiente insieme con gli anziani incaricati della sorveglianza. 4 Nel dormitorio rimanga sempre accesa una lampada fino al mattino. 5 Dormano vestiti, con ai fianchi semplici cinture o corde, senza portare coltelli appesi al lato mentre riposano, per non ferirsi nel sonno. 6 Così i monaci siano sempre pronti e, appena dato il segnale, alzandosi senza indugio si affrettino a prevenirsi vicendevolmente per l’Ufficio divino, ma sempre con la massima gravità e modestia. 7 I più giovani non abbiano i letti vicini, ma alternati con quelli dei più anziani. 8 Quando poi si alzano per l’Ufficio divino, si esortino garbatamente a vicenda per prevenire le scuse degli assonnati.
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Approfondimenti
Nella RM si parla del dormitorio nel capitolo sui decani nell'ambito della sorveglianza che essi dovevano esercitare (RM 11,109-120) e se ne parla anche nel c. 29 a proposito dell'orario e del luogo per dormire. SB ne fa un capitolo a parte (RB. 22) subito dopo quello sui decani (RB. 21), come già aveva separato il consiglio dei fratelli dal capitolo sull'abate (RB 2-3) che in RM sono trattati insieme.
SB stabilisce tre cose: un letto per ogni monaco, rifare bene il letto alla levata, dormire vestiti e cinti e quest'ultima cosa per tre ragioni: essere pronti per l'Ufficio divino alla sveglia; evitare i pensieri impuri e la polluzione, non essere in ritardo all'Ufficio divino. SB conserva queste norme modificando qualcosa e abbreviando.
Evoluzione dalla cella al dormitorio, alla stanza singola
RM prescrive un dormitorio unico per tutti; RB una o più sale e inoltre luoghi separati per i novizi (RB 58), i malati (RB 36) e gli ospiti (RB 53). In tutte e due le Regole è scomparso comunque l'uso delle celle separate, uso comune nel cenobitismo del secolo precedente (per il significato della cella, cf. Cassiano, Instit 10; Coll 24).
La sostituzione della cella a favore del dormitorio comune avviene alla fine del secolo V in Gallia (per evitare i vizi della proprietaà privata, della gola, dell'incontinenza), e la cosa si nota anche a Costantinopoli. I motivi iniziali dell'abbandono della cella sono il lavoro manuale e l'Ufficio divino in comune. In questo cambiamento dalla cella al dormitorio si deve vedere il fatto più importante della storia del monachesimo antico. La cella dava al monaco un carattere solitario e contemplativo; il suo abbandono significa che si lascia questo alto ideale per assicurare la pratica di certe virtù elementari; salvare la povertà e i buoni costumi sembra più urgente che l'orazione incessante.
La scelta per il dormitorio non è un progresso, ma un palliativo; la vita comune non è vista come un ideale superiore, ma come un rimedio richiesto dalla debolezza dei costumi. Del resto il sonno preso in comune non è che un ulteriore atto di una evoluzione verso una più stretta vita comunitaria (si iniziò con la preghiera e il lavoro). “Tale cambiamento rispetto alla tradizione è segno di vitalità e di robustezza...; dobbiamo ammirare la libertà che ci si prende di fronte alla materialità della tradizione” (De Vogue).
Quando SB scriveva la Regola (secolo VI), il dormitorio comune era una cosa scontata. Con l'evoluzione poi nel corso dei secoli, specialmente per lo sviluppo preso dal lavoro intellettuale e per le mutate condizioni dei tempi, al dormitorio comune si vennero man mano sostituendo le stanze singole, dove ogni monaco non solo dorme, ma prega o lavora fuori dei tempi e dei luoghi stabiliti per gli atti comuni.
1-4: Letti e dormitorio
Non ci si meravigli del v.1: la disposizione che oggi sarebbe superflua, è comune nelle regole antiche; la rozzezza e la semplicità dei costumi esigeva l'esplicita proibizione che in un solo letto dormissero più persone. Qualche regola fissava anche la distanza tra un letto e l'altro. L'abate dà l'occorrente per il letto – un pagliericcio, una coperta leggera, una pesante e un cuscino; lo sappiamo da un altro passo della Regola (RB 55,15 – “pro modo conversationis”, v. 2).Che cosa significa precisamente? La traduzione più comune è: “secondo il loro genere di vita, secondo le usanze monastiche”, cioè che l'arredamento del letto non disdica alla semplicità e povertà della professione monastica.
Però, considerando sopratutto un testo parallelo della “Vita Pachomii” 22 (in cui si nota la diversità di condotta individuale in seno alla stessa comunità monastica), si potrebbe anche intendere: “secondo il grado di fervore della vita monastica”. La “conversatio” (il modo di condurre la vita monastica) può essere , secondo la Regola, “miserabile” (RB 1,21), può essere all'inizio o alla perfezione (RB 73,1-2), è capace di un progresso (RB Prol. 49). A ciascuno di questi gradi corrisponde una maniera diversa di usare i beni materiali. Riguardo al letto, il tenore stabilito dalla Regola (RB 55,15) è il massimo; ognuno può avere bisogno di meno, secondo il grado di ascesi raggiunto. “Questa diversità di osservanza in seno alla comunità può sembrare estrema al nostro gusto di uniformità, ma non per questo è in disaccordo con lo spirito del cenobitismo antico, dalle origini all'epoca stessa di SB” (DeVogue).
3-4: La lampada accesa di notte
RM prevedeva che i letti fossero a cerchio intorno al letto dell'abate (RM 29,2-4) e che la lampada fosse spenta subito dopo che tutti si erano messi a letto (RM 29,6); per non sprecare olio, si dice!) e quindi se c'era bisogno di alzarsi di notte, si doveva parlare. RB divide la comunità nel caso fosse troppo numerosa, in vari dormitori secondo le decanie e vuole che una lampada arda sempre nel dormitorio; e quindi che sia conservato il silenzio.
5-8: Modo di dormire e di levarsi
Gli antichi dormivano nudi; però i monaci devono dormire vestiti, Come risulta da RB 55,10 i monaci indossavano di notte una “tunica” corrispondente quasi alla nostra camicia e la “cuculla”, che non aveva la forma attuale, ma somigliava piuttosto a un'ampia tonaca e arrivava al ginocchio o ai piedi. Di questi indumenti se ne prevedono due per “cambiarsi di notte e per lavarle” (RB 55,10).
Portavano poi ai fianchi una cintura o corda, richiamandosi anche di notte al precetto del Signore: “Siano cinti i vostri fianchi...” (Lc 12,35). Per capire tutto il v.5, bisogna ricordare che di giorno i monaci portavano una cintura larga di cuoio, detta “bracile” (RB 55,19), a cui si appendevano utensili da lavoro. SB avverte che i fratelli devono, sì, essere cinti anche di notte, ma non di bracile, bensì di cinture semplici, di cordicelle, per evitare il pericolo di portare a letto anche i coltelli e le roncole, che sono abitualmente appesi al bracile. Tale pericolo è descritto nei particolari da RM 11,112.
v.6. Stando a letto vestiti e cinti, i monaci erano già in ordine per poter accorrere all'Ufficio notturno. Un po' di pulizia e il necessario cambiamento degli indumenti per il giorno, si faceva dopo, forse prima di andare al lavoro. “Così i monaci siano sempre pronti...”: c'è in questa frase tutta la spiritualità della veglia e dell'attesa del Signore; il tema della vigilanza (Mt 24,42-51; 25,1-13; Mc 13,33-37; Lc 12,35-48) era così caro al monachesimo antico; tutta la vita monastica deve essere una vigilia orante, una perenne attesa del Signore, che è sempre vicino, ma che viene sempre, finché tornerà definitivamente.
v.7. I letti dei giovani sono alternati a quelli degli anziani (seniori = adulti, o più probabilmente i decani): RB non pensa tanto ai pericoli per la castità, piuttosto alla dissipazione e alla pigrizia.
v.8. Alla levata i monaci si esortino vicendevolmente. SB è condotto da due principi: la carità fraterna (relazioni orizzontali che mancano in RM) e il ritegno nel parlare. I monaci vengono consigliati non solo ad emularsi nell'accorrere all'Ufficio, sia pur sempre con gravita` (v.6), ma anche a dirsi parole di incoraggiamento sia pure con moderazione (v.8), per togliere ogni scusa ai sonnolenti.
Nonostante quindi la gravità del silenzio notturno (cf. RB 42), SB mette le relazioni fraterne al di sopra, mostrando fino a qual punto egli consideri vitale l'educazione reciproca, il rapporto dei fratelli, di cui tratterà esplicitamente negli ultimi capitoli della Regola.
Tratto da: APPUNTI SULLA REGOLA DI S. BENEDETTO – di D. Lorenzo Sena, OSB. Silv.
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