📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

PREGHIERA DEL GIUSTO PERSEGUITATO 1 Lamento che Davide cantò al Signore a causa delle parole di Cus, il Beniaminita.

2 Signore, mio Dio, in te ho trovato rifugio: salvami da chi mi perseguita e liberami,

3 perché non mi sbrani come un leone, dilaniandomi senza che alcuno mi liberi.

4 Signore, mio Dio, se così ho agito, se c'è ingiustizia nelle mie mani,

5 se ho ripagato il mio amico con il male, se ho spogliato i miei avversari senza motivo,

6 il nemico mi insegua e mi raggiunga, calpesti a terra la mia vita e getti nella polvere il mio onore.

7 Sorgi, Signore, nella tua ira, àlzati contro la furia dei miei avversari, svégliati, mio Dio, emetti un giudizio!

8 L'assemblea dei popoli ti circonda: ritorna dall'alto a dominarla!

9 Il Signore giudica i popoli. Giudicami, Signore, secondo la mia giustizia, secondo l'innocenza che è in me.

10 Cessi la cattiveria dei malvagi. Rendi saldo il giusto, tu che scruti mente e cuore, o Dio giusto.

11 Il mio scudo è in Dio: egli salva i retti di cuore.

12 Dio è giudice giusto, Dio si sdegna ogni giorno.

13 Non torna forse ad affilare la spada, a tendere, a puntare il suo arco?

14 Si prepara strumenti di morte, arroventa le sue frecce.

15 Ecco, il malvagio concepisce ingiustizia, è gravido di cattiveria, partorisce menzogna.

16 Egli scava un pozzo profondo e cade nella fossa che ha fatto;

17 la sua cattiveria ricade sul suo capo, la sua violenza gli piomba sulla testa.

18 Renderò grazie al Signore per la sua giustizia e canterò il nome di Dio, l'Altissimo. _________________ Note

7,1 Certo della sua innocenza, l’orante implora l’intervento di Dio contro quanti lo accusano e lo perseguitano. Dio è descritto, da una parte, come giudice giusto, che si erge a proclamare l’innocenza del suo fedele; dall’altra, come il guerriero valoroso che sconfigge i nemici.

7,1 Cus, il Beniaminita: è personaggio sconosciuto. Alcuni lo identificano con un nemico di Davide o con l’Etiope che gli annunziò la morte di Assalonne (2Sam 18,21-32); Cus, in ebraico, è infatti il nome dell’Etiopia.

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Approfondimenti

Salmo 7 – L'innocente perseguitato chiede giustizia Supplica individuale (+ riflessione sapienziale)

C'è lo schema triangolare usuale nelle “Suppliche”: Dio-io (= l'orante) – essi (= i nemici). Il carme è ambientato in un contesto giuridico-giudiziale (molti vocaboli sono del lessico forense). C'è inoltre un simbolismo di tipo militare, materno, teriomorfo e venatorio. Due particolarità distinguono questo salmo dagli altri: la possibilità concessa al colpevole di convertirsi prima dell'esecuzione della sentenza (v. 13) e l'immagine del parto con cui viene descritto l'operato dell'empio (v. 15). Nel suo stato attuale il salmo risale al postesilio, data la presenza di alcuni aramaismi e per l'influsso di Geremia e dei Sapienziali. Strutturalmente il carme inizia con «Signore, mio Dio» (JHWH ‘elōhay) e finisce con «Dio, l'Altissimo» (JHWH ‘elyôn), ma gli appellativi divini abbondano nell'intera composizione.

Divisione: * vv. 2-3: appello introduttivo; * vv. 4-6: giuramento d'innocenza; * vv. 7-14: invocazione del giudizio di Dio con riflessioni sapienziali; * vv. 15-17: riflessione sapienziale sull'empio; * v. 18: conclusione-ringraziamento finale.

vv. 1-3. «come un leone»: il nemico persecutore è paragonato a un leone nella furia bestiale dello sbranare e lacerare la sua preda. L'immagine è plastica. Tra il “perseguitare” (rdp) (v. 2) e lo “sbranare” (trp) (v. 3) c'è in ebraico allitterazione. Per immagini teriomorfe simili cfr. Sal 22,13.14.17.22.

vv. 4-6. Giuramento d'innocenza. Vi si ricorreva quando, esperiti tutti i mezzi normali, non si era raggiunta la verità. Si faceva regolarmente nel tempio alla presenza di un sacerdote (cfr. Dt 17,8-10; 1Re 8,31). L'accusato invocava sul suo capo la vendetta di Dio in caso di colpevolezza (cfr: Gb 31,5-40). La sentenza emessa nel santuario era perciò inappellabile e doveva essere eseguita dalle autorità locali (Dt 19,16-19). Il giuramento d'innocenza si compone di due parti: “la confessione negativa” (vv. 4-5) (protasi) e “l'automaledizione” (v. 6) (apodosi) che si esprimeva con imprecazioni molto vivaci, tipicamente orientali.

v. 4. «se così ho agito»: alla lett. «se ho fatto questo». «Questo» si deve qui intendere come sinonimo di “male, colpa” (con cui sta spesso in parallelismo: Sal 44,18; Sof 2,10), e suppone un'accusa reale fatta al salmista in precedenza. «sulle mie mani»: è una metafora per indicare le opere, le prove della sua colpevolezza, cfr. 1Sam 24,12; 26,18; 1Cr 12,18; Gb 16,17.

v. 5. Riguarda la violazione del diritto nei riguardi del prossimo. Si tratta dell'applicazione della giustizia vendicativa secondo la legge del taglione (Es 21,24-25). «il mio amico»: alla lett. šôlᵉmî è una contrazione di ’îš šᵉlômî (= uomo della mia pace) cioè «alleato» (cfr. Sal 41, 10).

v. 7. «Sorgi»: è l'antico grido di guerra (cfr. Sal 3,8) d'Israele nel deserto. Qui è trasferito dal salmista nel campo forense. «levati... alzati»: con un forte antropomorfismo, in riferimento all'immagine militare di Dio. il salmista si propone di svegliarlo dal sonno dell'indifferenza per giudicare subito gli empi, i nemici arroganti.

v. 9. «Il Signore decide... giudicami...»: dopo la professione di fede sulla prerogativa di Dio in quanto giudice supremo e universale dei popoli (vv. 8-9a) (cfr. Gn 18,25; Sap 12,13), l'orante chiede di essere giudicato da lui «secondo la mia giustizia e secondo la mia innocenza»: queste erano state affermate con il suo giuramento d'innocenza (vv. 4-6), cfr. Sal 26,1-3; 35, 24.

v. 10. «Poni fine al male.. rafforza..»: si sintetizzano le due richieste dei vv. 7-9: la fine degli empi e la stabilità dell'uomo retto (alla lett.: «giusto»); e si riflette poi sull'imparzialità di Dio, in quanto profondo conoscitore dell'uomo, di cui gli sono noti «cuore» e «reni», cioè la sua coscienza (= cuore) e la sua sfera volitiva e affettiva (= reni). Per l'appellativo di Dio in quanto «scrutatore di cuore e di reni» cfr. Sal 11,4-5; 17,3; 26,2; 139,23. L'appellativo è frequente in Geremia (11,20; 12,3; 17,10; 20,12).

v. 11. «La mia difesa...»: in questo versetto, con un altra riflessione sapienziale e di fede, il salmista afferma che come lui così tutti i «retti di cuore» ricevono ugualmente salvezza da Dio. Egli non fa eccezione di persone: il caso personale corrisponde al principio generale. I vv. 11-14 hanno un forte simbolismo bellico.

vv. 15-17. Con il simbolismo del parto (v. 15) e della fossa (trappola), della caccia (v. 16) e della pietra (o rete) lanciata (v. 17), si accenna alla pena del contrappasso dell'empio (cfr. Gb 15,35; Is 33,11). Il male che ha tramato e compiuto si riversa sulla sua testa. Infatti «chi scava una fossa vi cadrà dentro e chi rotola una pietra gli cadrà addosso» (Prv 26,27). Si precisa il pensiero espresso sopra: non è Dio che punisce e annienta il peccatore, è il suo stesso peccato che lo manda in rovina!

v. 18. Il salmista ringrazia, celebrando il Signore per «la sua giustizia», tema centrale di tutto il salmo, invocandolo per due volte: «Signore... Signore altissimo» ™ facendo inclusione con «Signore, mio Dio» dell'apertura del salmo stesso (v. 2). In tutto il salmo così il nome di Dio «Signore» si è sentito per otto volte.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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INVOCAZIONE A DIO NEL DOLORE 1 Al maestro del coro. Per strumenti a corda. Sull'ottava. Salmo. Di Davide.

2 Signore, non punirmi nella tua ira, non castigarmi nel tuo furore.

3 Pietà di me, Signore, sono sfinito; guariscimi, Signore: tremano le mie ossa.

4 Trema tutta l'anima mia. Ma tu, Signore, fino a quando?

5 Ritorna, Signore, libera la mia vita, salvami per la tua misericordia.

6 Nessuno tra i morti ti ricorda. Chi negli inferi canta le tue lodi?

7 Sono stremato dai miei lamenti, ogni notte inondo di pianto il mio giaciglio, bagno di lacrime il mio letto.

8 I miei occhi nel dolore si consumano, invecchiano fra tante mie afflizioni.

9 Via da me, voi tutti che fate il male: il Signore ascolta la voce del mio pianto.

10 Il Signore ascolta la mia supplica, il Signore accoglie la mia preghiera.

11 Si vergognino e tremino molto tutti i miei nemici, tornino indietro e si vergognino all'istante. _________________ Note

6,1-11 All’intensa supplica a Dio, l’orante accompagna la descrizione della sofferenza fisica e interiore che lo tormenta. Il dono della guarigione è equiparato alla vittoria sui nemici. Il salmo, che è una lamentazione individuale, è stato inserito dalla liturgia della Chiesa tra i sette “salmi penitenziali” (così sono chiamati i Sal 6; 32; 38; 51; 102; 130; 143).

6,1 Sull’ottava: si allude forse alla tonalità con cui veniva cantata la composizione.

6,4 L’espressione “fino a quando?”, presente in diversi salmi, va completata con i verbi di volta in volta sottintesi: fino a quando tarderai? fino a quando verrà meno il tuo aiuto? Con “anima” si intende qui la parte più intima dell’essere umano (come già le ossa del v. 3).

6,6 Si manifesta qui la concezione incerta che l’AT ha dell’oltretomba (chiamato inferi). Nell’aldilà cessa ogni attività e in particolare cessa quel rapporto di adorazione e di lode a Dio, che l’uomo vive nella vita terrena (vedi anche Gb 3,17-19; 14,7-22).

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Approfondimenti

Salmo 6 – Risanami e salvami nel tuo amore Supplica individuale (di un malato) Il salmo è uno dei sette penitenziali (cui appartengono anche i Sal 32; 38; 51; 102; 103; 143). Accanto alla sofferenza fisico-psicologica si intravvede, in modo più sfumato, la sofferenza come frutto del peccato. Sono presenti i tre protagonisti: Dio, l'io, ed essi (i nemici), come è usuale nelle suppliche individuali. Il simbolismo è di carattere antropomorfico, antropologico e militare. Il nome del Signore (JHWH) è menzionato otto volte negli undici versetti del salmo. Questo, nella sua semplicità strutturale, è abbastanza espressivo e vigoroso. Il ritmo nel TM è quello classico di 3 + 3 accenti.

Strutturalmente si divide in:

  • v. 2: introduzione;
  • vv. 3-8: supplica;
  • vv. 9-11: sicurezza dell'ascolto divino e imprecazione contro i nemici.

v. 2. «Signore, non punirmi..»: c'è una venatura di genere sapienziale. Il salmista è cosciente della sua colpevolezza; non reagisce come Giobbe, che sbandiera la sua innocenza davanti alla sua malattia, né come l'orante del Sal 17,2-3. Egli chiede tuttavia a Dio, come a un pedagogo, comprensione nella sua pur giusta punizione, cfr. Ger 10,24; Sap 12,2.

vv. 3-8. La supplica può dividersi in tre strofe:

  • vv. 3-4: sofferenza psico-fisica;
  • vv. 5-6: implorazione;
  • vv. 7-8: descrizione della sofferenza.

vv. 3-4. Nel v. 3 si accenna alla sofferenza fisica estrema («vengo meno... tremano le mie ossa») e si chiede al Signore la guarigione; nel v. 4 si accenna alla sofferenza psichica, riflesso di quella fisica e si chiede, con impazienza, «fino a quando» durerà.

v. 4. «L'anima mia...»: l'espressione traduce l'ebraico napšî. La voce ebraica nepeš indica anzitutto, la gola, il respiro e perciò la vita. La traduzione di nepeš con «anima» non è esatta, perché questa, nella concezione filosofico-teologica occidentale, indica solo a parte spirituale dell'uomo. La voce ebraica significa il contrario di cadavere, perciò «vita» (cfr. Gn 2,7) e quindi la stessa persona umana vivente nella sua totalità; essa equivale al pronome personale “io” rivestito di una certa solennità e quasi come uno sdoppiamento della persona che considera se stessa. «fino a quando...?»: è un'espressione interrogativa ellittica. Indica l'impazienza dell'uomo che geme sotto il peso della sofferenza, punizione divina, e non scorge ancora l'alba della guarigione. Ricorre spesso nei salmi e nella Bibbia.

v. 6. «Nessuno tra i morti... Chi negli inferi...»: il palese ricatto è un ragionamento “ad hominem” nei riguardi di Dio. Il salmista gli ricorda che è bene che egli lo guarisca, perché se muore non può più ricordarsi di lui né lodarlo. Inoltre Dio non ha piacere della morte del malvagio, ma «che desista dalla sua condotta e viva» (Ez 18,23). «gli inferi»: la verità sull'oltretomba (šᵉ’ôl) ha raggiunto progressivamente la luce e la chiarezza finale (cfr. Sap 3; Dn 12; 2 Mac 7). Qui come in altri passi tale dottrina è ancora incerta e non definita; l'oltretomba è visto come il regno della non-vita, delle ombre evanescenti, degli abitanti della polvere (Is 26,19), che non possono “ricordarsi di Dio”, né “lodarlo”. «ti ricorda»: più che al semplice fatto mnemonico comune, ci si riferisce al concetto del “memoriale” il ricordo liturgico, celebrativo della salvezza del Signore (cfr. Is 26,8), stando all'espressione parallela «canta le tue lodi».

vv. 7-8. Con l'immagine iperbolica dell'inondazione (v. 7) e con quella dell'invecchiamento (v. 8) il salmista descrive la sua malattia. Il pianto a dirotto è espressione del dolore interiore; esso manifesta il groviglio dei suoi sentimenti, che sono un misto di apprensione, rimorso, coscienza della colpa ecc. e infine anche ostilità verso i suoi nemici, cfr. v. 9; Is 38,2-3; Lam 1,2; 2,11.18; 3,40-31.

vv. 9-10. Si ha un repentino cambiamento di situazione e di tono. Dopo la scoperta della presenza ostile dei suoi nemici presso di lui e l'istantanea messa in fuga (v. 9a) segue la certezza dell'esaudimento del Signore (vv. 9b-10), cui si aggiunge, per la legge del taglione, un'imprecazione (giustizia distributiva) contro i nemici, che devono battere in ritirata davanti all'intervento salvifico di Dio.

v. 9a. «Via da me...»: è un imperativo plurale sûrû (= allontanatevi), che pronunciato improvvisamente ha la forza di ravvivare l'andamento del salmo e porta all'inattesa scoperta della presenza del nemici del salmista, di cui non si fa cenno prima, «tutti che fate il male»: i malfattori possono essere identificati in quelli che, approfittando dello stato di infermità fisico-morale, accusano l'orante di poca fede in Dio, mettendone in dubbio la presenza e il soccorso nei suoi riguardi; oppure si possono identificare negli amici, spettatori freddi e inerti del male dell'orante, pronti però ad accusarlo di peccato, come gli amici di Giobbe. Possono anche essere lo stesso dolore, la tristezza e la morte personificati.

v. 9b. «il Signore ascolta...»: il salmista è sicuro dell'esaudimento della sua supplica. Questa certezza è ripetuta tre volte come un ritornello nei vv. 9b.10a.10b, ove la voce “Signore” è ripetuta tre volte, il verbo “ascoltare” due volte e il sinonimo “accogliere” una volta. Per molti esegeti questa certezza è supposta provenire dalla prassi dell’oracolo liturgico pronunciato da un profeta o da un sacerdote nel tempio (cfr. Sal 28,6; 34,7; 66,19). In questo salmo però non vi è traccia.

v. 11. «Arrossiscano...»: il versetto segna la continuazione tematica della cacciata dei malfattori del v. 9a. Con la legge del contrappasso, si realizza la giustizia divina sugli «oppressori» (v. 8), sui «malfattori» (v. 9) e sui «nemici» (v. 11). Tutti costoro devono indietreggiare «all'istante», arrossendo e confusi per la presenza dell'azione liberante di Dio, come alla sua apparizione (cfr. Sal 68,2-3; Nm 10,35; Is 33,3). Ciò è una costante nel genere letterario della supplica (cfr. Sal 52,3-7).

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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PREGHIERA DEL MATTINO 1 Al maestro del coro. Per flauti. Salmo. Di Davide.

2 Porgi l'orecchio, Signore, alle mie parole: intendi il mio lamento.

3 Sii attento alla voce del mio grido, o mio re e mio Dio, perché a te, Signore, rivolgo la mia preghiera.

4 Al mattino ascolta la mia voce; al mattino ti espongo la mia richiesta e resto in attesa.

5 Tu non sei un Dio che gode del male, non è tuo ospite il malvagio;

6 gli stolti non resistono al tuo sguardo. Tu hai in odio tutti i malfattori,

7 tu distruggi chi dice menzogne. Sanguinari e ingannatori, il Signore li detesta.

8 Io, invece, per il tuo grande amore, entro nella tua casa; mi prostro verso il tuo tempio santo nel tuo timore.

9 Guidami, Signore, nella tua giustizia a causa dei miei nemici; spiana davanti a me la tua strada.

10 Non c'è sincerità sulla loro bocca, è pieno di perfidia il loro cuore; la loro gola è un sepolcro aperto, la loro lingua seduce.

11 Condannali, o Dio, soccombano alle loro trame, per i tanti loro delitti disperdili, perché a te si sono ribellati.

12 Gioiscano quanti in te si rifugiano, esultino senza fine. Proteggili, perché in te si allietino quanti amano il tuo nome,

13 poiché tu benedici il giusto, Signore, come scudo lo circondi di benevolenza.

_________________ Note

5,1 Nella tradizione biblica, l’ora del sacrificio del mattino è la più propizia alla preghiera e al suo esaurimento da parte del Signore.

5,10 bocca, cuore, gola, lingua: designano la totalità dell’uomo.

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Approfondimenti

Salmo 5 – Al mattino t'invoco e attendo Supplica individuale La struttura del salmo è quella del genere delle “Suppliche”, con la presenza triangolare di “Dio – io (= l'orante) – essi (= i nemici)”. Dio è invocato con due titoli «mio re e mio Dio» (v. 3). L'orante non è ben caratterizzato come negli altri salmi dello stesso genere: non si riportano meriti personali, né si ricordano le sofferenze, né la protesta della propria innocenza. Il tutto è indicato dall'aggettivo “giusto/innocente” (v. 13). I nemici sono caratterizzati da una serie di aggettivi che li rendono piuttosto generici (vv. 5-7.10-11). Il simbolismo di base riguarda l'area sacra del tempio, che è citato espressamente con i vocaboli tecnici di «casa» (bayit) e «tempio della tua santità» (hêkal-qodšᵉkā) nel v. 8. È presente inoltre quello antropomorfico (orecchio, bocca, cuore, gola, lingua) nei vv. 2.10, giudiziale, militare e temporale. Il ritmo del TM è quello del lamento (qînâ) di 3 + 2 accenti. Divisione:

  • vv. 2-4: invocazione introduttiva;
  • vv. 5-7: descrizione e lode della giustizia del giudice divino;
  • vv. 8-9: petizione dell'orante;
  • vv. 10-11: descrizione dei nemici, loro rovina;
  • vv. 12-13: gioia e benedizione per il giusto.

v. 2. «il mio lamento»: il termine corrispondente ebraico hagîg ha due significati; si può tradurre «sussurro» o «lamento, gemito»: con il primo si indica quel bisbiglio, mormorio sommesso, caratteristico della liturgia sinagogale. Girolamo traduce murmur meum; con il secondo si suppone un grido lacerante simile a quello del leone (Is 31,4), tipico della lamentazione orientale (cfr. Is 16,7; Ger 48,5).

v. 3. «o mio re e mio Dio»: l'espressione «o mio re» (malkî) è originale; non è frequente nei salmi (44,5; 47,7; 68,25; 74,12; 84,4). Questo appellativo rende più familiare all'orante la preghiera. Dio è supposto “re” perché “regna” nei Sal 93,1; 96,10; 97,1; 99,1.

v. 4. «Al mattino... sto in attesa»: secondo la tradizione biblica e giudaica l'ora del sacrificio del mattino è quella più propizia alla preghiera, all'esaudimento (cfr. 2Re 3,20) e al responso di Dio comunicato tramite il sacerdote (cfr. 1Sam 1,9.17; Nm 23,1-6).

vv.5-7. Il salmista con una serie di attributi descrive, elogiandola, la fisionomia di Dio: non c'è nessun compromesso tra Dio e il malvagio. Sono incompatibili! Egli detesta «chi fa il male»! (cfr. Sap 14,9).

vv. 8-9. Per contrasto con i malvagi, significato stilisticamente dall'espressione «ma io» all'inizio del v. 8, l'orante, sebbene si ritenga giusto (v. 13), è ammesso alla presenza di Dio, «per la sua grande misericordia». Tutta la strofa (vv. 8-9) ha una forte impronta cultuale. Nel v. 8 si sottolinea la gratuità della fede e della salvezza di Dio, e nel v. 9 sotto forma di petizione, si sottolinea che solo «per la giustizia di Dio» l'orante può camminare sicuro in mezzo ai suoi nemici. In questa strofa ricorrono per la prima volta nei Salmi due degli attributi dell'alleanza ḥesed (= misericordia, bontà, grazia, fedeltà...) e ṣᵉdāqâ (giustizia).

v. 9. «spianami...il tuo cammino»: l'uomo ha bisogno di lasciarsi guidare da Dio: Gn 24,27; Es 15,13; Sal 77,21.

Nel v. 10 si ha la descrizione dei nemici con quattro figure allegoriche di carattere somatico, simbolo della totalità dell'organismo: bocca, cuore, gola, lingua. Si indica la totalità della perfidia dei nemici: nell'essere e nell'operare, e specificamente descrivono la menzogna e la frode del v. 7. «la loro gola è un sepolcro aperto»: l'immagine di un sepolcro spalancato simbolizza la malvagità dei nemici covata dentro, che si riversa fuori avvolta da parole melliflue e di adulazione.

v. 11. «Condannali...»: il salmista invoca dal Signore la condanna, con un'esplosione imprecatoria di vendetta, come in altri salmi simili. «perché a te si sono ribellati»: i nemici dell'orante sono considerati, come anche altrove, nemici di Dio. Infatti Dio non può restare freddo e indifferente quando viene messo in discussione il suo onore (Sal 78,8).

vv. 12-13. Questi versetti fanno da contrapposizione ai precedenti 10-11. Il v. 12a si contrappone al v. 10, e i vv. 12b-13 si contrappongono al v. 11. Mentre nei vv. 10-11 Dio condanna i malvagi orgogliosi, che rifiutano Dio, nei vv. 12-13 si esprime la sua protezione e benedizione verso i suoi fedeli.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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PREGHIERA DELLA SERA 1 Al maestro del coro. Per strumenti a corda. Salmo. Di Davide.

2 Quando t'invoco, rispondimi, Dio della mia giustizia! Nell'angoscia mi hai dato sollievo; pietà di me, ascolta la mia preghiera.

3 Fino a quando, voi uomini, calpesterete il mio onore, amerete cose vane e cercherete la menzogna?

4 Sappiatelo: il Signore fa prodigi per il suo fedele; il Signore mi ascolta quando lo invoco.

5 Tremate e più non peccate, nel silenzio, sul vostro letto, esaminate il vostro cuore.

6 Offrite sacrifici legittimi e confidate nel Signore.

7 Molti dicono: “Chi ci farà vedere il bene, se da noi, Signore, è fuggita la luce del tuo volto?“.

8 Hai messo più gioia nel mio cuore di quanta ne diano a loro grano e vino in abbondanza.

9 In pace mi corico e subito mi addormento, perché tu solo, Signore, fiducioso mi fai riposare. _________________ Note

4,1 Intensa preghiera individuale, che esprime gratitudine per la salvezza ricevuta. Quanti esitano ad abbandonarsi in Dio e si affidano invece agli idoli (vi allude il v. 3: cose vane) sono esortati a rinnovare la fiducia nel Signore che fa prodigi per il suo fedele (v. 4).

4,1 Nei titoli del Salterio è frequente l’espressione Al maestro del coro. Potrebbe trattarsi di colui che, nel tempio, aveva l’incarico di dirigere il canto.

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Approfondimenti

Salmo 4 – Fiducia e gioia nel Signore Salmo di fiducia. Il carme ispira serenità e pace. La simbologia è di carattere agricolo e liturgico. C'è inoltre il contrasto tra luce e tenebra (vv. 7-9) e tra Dio e gli idoli (= cose vane) (v. 3). Il ritmo nel TM è di 4 + 4 accenti.

Divisione:

  • v. 2: appello introduttivo;
  • vv. 3-6: esortazione ai vacillanti nella fede;
  • vv. 7-9: testimonianza del salmista.

v. 2. «mia giustizia»: è un appellativo divino. La giustizia di Dio è principalmente salvezza, liberazione, speranza, ma anche intervento di giustizia tendente a liberare il suo fedele da una situazione di male e di sofferenza, e dichiarazione di innocenza per chi è calunniato (Sal 17,2). «mi hai liberato»: alla lett. «mi hai portato al largo». Parafrasando il tutto: «dalle strettezze dell'angoscia, mi hai condotto all'aperto».

vv. 3-6. Il salmista esorta i dubbiosi a optare definitivamente per il Signore, che fa prodigi e ascolta il suo fedele (v. 4), ad abbandonare gli idoli (= cose vane... menzogna) (v. 3), ad avere timore del Signore e non peccare (v. 5), a offrirgli sacrifici e ad avere fiducia il lui (v. 6). In questi versetti si delinea un processo di conversione a Dio: riconoscere (v. 4), temere e riflettere (v. 5) ed espiare, offrendo un sacrificio cultuale, come segno di conversione interna che introduce alla piena confidenza in Dio (v. 6).

v. 3. «cose vane... menzogna»: così sono chiamati dispregiativamente gli idoli, cfr. Sal 40,5; Am 2,4.

v. 6. «sacrifici di giustizia»: l'espressione richiama il titolo divino di v. 2: «Dio, mia giustizia». Questi sacrifici, previsti dalla liturgia del tempio e dovuti al Signore (Dt 33,19), hanno valore se sono uniti all'offerta di se stessi (cfr. Sal 51,19; Dn 3,39-40).

vv. 7-9. Davanti all'incertezza e al dubbio di «molti» che nel buio dell'esistenza quotidiana si sono smarriti, l'orante risponde con la testimonianza della sua vita.

v. 7. «il bene»: la voce “bene” (tôb) ha una vasta gamma di significati. Esprime perciò la totalità dell'azione salvifica divina. «Risplenda...»: è la richiesta dei “molti smarriti che nelle loro difficoltà del credere e dell'agire invocano la benevolenza divina. L'intera espressione si richiama alla benedizione sacerdotale di Nm 6,25-26.

vv. 8-9, «gioia... pace»: con immagini agricole (abbondanza di vino e frumento) il salmista testimonia la sua fede e fiducia nel Signore. Infatti «solo» da lui vengono gioia, pace e sicurezza.

Nel NT il v. 5 è citato da Ef 4,26; per la gioia nella tribolazione (vv. 8-9) cfr. 2Cor 7,4; Gal 5,22; 1Ts 1,6.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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LA SALVEZZA VIENE DAL SIGNORE 1 Salmo. Di Davide. Quando fuggiva davanti al figlio Assalonne.

2 Signore, quanti sono i miei avversari! Molti contro di me insorgono.

3 Molti dicono della mia vita: “Per lui non c'è salvezza in Dio!”.

4 Ma tu sei mio scudo, Signore, sei la mia gloria e tieni alta la mia testa.

5 A gran voce grido al Signore ed egli mi risponde dalla sua santa montagna.

6 Io mi corico, mi addormento e mi risveglio: il Signore mi sostiene.

7 Non temo la folla numerosa che intorno a me si è accampata.

8 Sorgi, Signore! Salvami, Dio mio! Tu hai colpito alla mascella tutti i miei nemici, hai spezzato i denti dei malvagi.

9 La salvezza viene dal Signore: sul tuo popolo la tua benedizione. _________________ Note

3,1 Con questo salmo ha inizio la serie delle composizioni che la tradizione attribuisce al re Davide. Il salmo può essere considerato sia una lamentazione individuale (l’orante si sente accerchiato da numerosi nemici, che lo opprimono) sia un salmo di fiducia (l’orante sa che Dio lo protegge e lo pone al sicuro).

3,1 Quando fuggiva: il titolo si riferisce ai fatti narrati in 2Sam 15-17.

3,5 santa montagna: il monte Sion, sul quale sorge il tempio, sede della presenza divina.

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Approfondimenti

Salmo 3 – Signore, mia difesa, sorgi e salvami Supplica individuale (+ motivi di fiducia) Il salmo potrebbe anche far parte dei “Salmi di fiducia” per il motivo di certezza nella divina protezione che contiene (v. 6). Ma l'appartenenza più certa al gruppo delle “Suppliche individuali” è data dalla menzione degli oppressori (v. 2) e della supplica (v. 8) e inoltre dalla impostazione triangolare “Dio – io – essi (= i nemici)” usuale nelle suppliche.

Il titolo attribuisce a Davide la paternità del salmo e ne precisa anche l'occasione storica della composizione: la fuga da Gerusalemme durante la rivolta del figlio Assalonne (2Sam 15-19). Tuttavia non ne resta traccia nel salmo, per cui si tratta probabilmente di un'ambientazione fittizia.

Il ritmo nel TM è quello classico di 3 + 3 accenti.

Un'inclusione è data dal verbo qum (insorgere, sorgere) tra il v. 2 e il v. 8. Nel v. 2 sono i nemici che insorgono, nel v. 8 Dio è invocato perché sorga e salvi il salmista.

Il salmo si divide in:

  • vv. 2-3: presentazione degli oppressori;
  • vv. 4-5: supplica fiduciosa;
  • vv. 6-7: espressione di fiducia;
  • vv. 8-9: forte invocazione e atto di fede del salmista.

v. 2. «quanti sono i miei oppressori!»: si esprime la tendenza alla drammatizzazione che ricorre anche altre volte nei salmi (cfr. Sal 22,17; 25,19; 31,14; 38,20; 40,13; 56,3; 69,5; 119,157). «molti contro di me insorgono»: all'insorgere dei molti nemici corrisponde per contrappasso l'invocazione del v. 8, perché il Signore insorga a sua volta contro di essi. L'insorgere dei nemici ricorda il Sal 2,1-3.

** v. 3**. «Neppure Dio lo salva»: alla lett. «Non c'è salvezza per lui in Dio». All'espressione empia dei nemici corrisponde nel v. 9 'atto di fede d'Israele: «Del Signore è salvezza». L'affermazione dei nemici, mentre rivela la loro empietà nei riguardi di Dio, mostra anche il totale isolamento dell'orante che è creduto solo contro la moltitudine avversa.

** v. 4**. «Ma tu...»: cfr. Sal 41,11; 109,21. L'espressione, come l'altra simile «Ma io» (Sal 32,6; 69,14; 70,6; 88,14), nei salmi di supplica, segna il passaggio dallo stato di scoraggiamento e depressione a quello di reazione e di fiducia. «mia difesa»: alla lett. «mio scudo»; l'immagine dello scudo di difesa (māgēn) si trova spesso nei salmi. «sollevi il mio capo»: espressione di vittoria e di riacquistata dignità (cfr. Sal 27,6; 89,18; 110,7; 140,10).

v. 5. «suo monte santo»: alla lett.: «monte della sua santità». È Sion, Gerusalemme, ove c'è il tempio del Signore, sede della presenza di Dio sulla terra. Il sintagma ricorre spesso nei salmi, cfr. Sal 48,2-3.

vv. 6-7. I versetti esprimono, attraverso l'immagine del dormire e dello svegliarsi, la fiducia estrema nel Signore, che non fa temere l'orante neanche davanti a un fortissimo e numeroso esercito.

v. 6. «Io mi corico.... mi risveglio»: per l'immagine, cfr. Sal 4,9; Lv 26,6; Gb 11,19; Prv 3,24. Tutti i verbi sono in ebraico al perfetto; si tratta di un “perfetto di coincidenza” che dà vivacità all'espressione, considerando istantanee due azioni successive nel tempo. Si esprime anche così la somma fiducia nel Signore, che porta a non temere la moltitudine dei nemici (v. 7). C'è la figura del merismo. Nello studio della Bibbia e in genere della letteratura semitica si intende con “merismo” (dal greco merismós «divisione») l'esprimere la totalità di qualcosa tramite l'indicazione di due parti estreme e contrapposte: per esempio “il cielo e la terra” (Gn 14,19.22; 24,3) per indicare “l'universo intero”, “tutto”), «notte e giorno» “per sempre” o “continuamente” (Dt 28,66; 1Re 8,29; Sal 22,2; 88,1), «quando mi siedo e quando mi alzo» per “continuamente” (Sal 139,2).

vv.8-9. Il v. 8 esprime, con un forte grido al Signore, la fiducia del salmista nella salvezza, memore delle altre imprese liberatrici di Dio; il v. 9, rispondendo al grido blasfemo dei nemici del v. 3 «neppure Dio lo salva», riporta le parole del salmista che sono un atto di fede.

v. 8. «Sorgi, Signore»: si invoca il Signore perché “sorga”, opponendosi ai suoi nemici e a quelli del salmista che sono “insorti” per primi (v. 2). Il verbo qum (sorgere, insorgere) fa da inclusione tra il v. 2 e il v. 8. «Hai colpito sulla guancia... hai spezzato i denti..»: Dio è visto come giustiziere e come cacciatore che strappa la preda dai denti dei nemici. E sottintesa la legge del taglione. I verbi che descrivono queste azioni sono nel TM al perfetto; se tradotti al tempo passato, come qui, indicano che il salmista, memore delle azioni di giustizia e di forza di Dio sui nemici del passato, lo invoca anche per compierle oggi. Se invece i perfetti vengono interpretati come “perfetti precativi” hanno la funzione di imperativi. Nel caso indicano ancora la fiducia del salmista non solo negli interventi di Dio, ma anche la certezza nella sicura vittoria. L'azione diventa contemporanea a quella del “sorgere”, e così anche la supplica si fa più appassionata.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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IL SIGNORE SOSTIENE IL SUO CONSACRATO 1 Perché le genti sono in tumulto e i popoli cospirano invano?

2 Insorgono i re della terra e i prìncipi congiurano insieme contro il Signore e il suo consacrato:

3 “Spezziamo le loro catene, gettiamo via da noi il loro giogo!“.

4 Ride colui che sta nei cieli, il Signore si fa beffe di loro.

5 Egli parla nella sua ira, li spaventa con la sua collera:

6 “Io stesso ho stabilito il mio sovrano sul Sion, mia santa montagna”.

7 Voglio annunciare il decreto del Signore. Egli mi ha detto: “Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato.

8 Chiedimi e ti darò in eredità le genti e in tuo dominio le terre più lontane.

9 Le spezzerai con scettro di ferro, come vaso di argilla le frantumerai”.

10 E ora siate saggi, o sovrani; lasciatevi correggere, o giudici della terra;

11 servite il Signore con timore e rallegratevi con tremore.

12 Imparate la disciplina, perché non si adiri e voi perdiate la via: in un attimo divampa la sua ira. Beato chi in lui si rifugia. _________________ Note

2,1 Sorto originariamente come inno per l’intronizzazione del re (vv. 6-9), questo salmo regale esprime la certezza che il Signore sosterrà sempre il suo consacrato, nonostante i mutamenti e le alterne vicende della storia. Tutto ciò in Israele si rendeva visibile nella dinastia davidica, depositaria delle promesse e delle benedizioni messianiche (2Sam 7). Questo spiega la lettura messianica del Sal 2 e la sua applicazione (insieme con il Sal 110) a Gesù, Figlio di Dio e messia (At 13,33; Eb 1,5; 5,5).

2,9 Le spezzerai: le forti immagini alludono, probabilmente, all’uso degli antichi di scrivere i nomi dei re e delle città nemiche su vasi di argilla, che venivano poi frantumati per simboleggiarne la caduta e la fine.

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Approfondimenti

Salmo 2 – Congiura contro il Signore e il suo Messia Salmo regale (+ oracolo e motivi sapienziali) Il carme risale all'epoca preesilica. Vi sono diverse incertezze testuali. Il salmo è senza titolo e probabilmente dovette essere il primo e far da prefazione all'intera collezione dei salmi. Infatti At 13,33 citando il v. 7 del Salmo 2 «mio figlio sei tu, oggi ti ho generato» lo riferisce al salmo primo. Il simbolismo presente è quello spaziale, temporale, militare, antropomorfico e sociale. Nel TM il ritmo è quello classico di 3 + 3 accenti. Si divide in quattro strofe in cui intervengono quattro protagonisti:

  1. i nemici ribelli (vv. 1-3),
  2. Dio (vv. 4-6),
  3. il re (vv. 7-9),
  4. il salmista (vv. 10-12ab).

Il v. 12c con l'espressione «Beato chi in lui si rifugia» fa da inclusione con il Sal 1,1 ed è perciò un indizio della precedente fusione tra il Sal 2 e il Sal 1.

vv. 1-3. Nei vv. 1-2 con una serie di iperboli si descrive la rivolta dei popoli vassalli guidati dai loro re e principi per scrollarsi di dosso il dominio del re. Nel v. 3 si riporta in discorso diretto la loro intenzione, il loro programma di insubordinazione e di indipendenza.

vv. 1-2. «le genti... i popoli... i re... i principi»: sono iperboli. Il piccolo stato d'Israele, anche al tempo di Davide, non è stato mai una grande potenza mondiale d'allora, anche se ha avuto alcuni popoli vicini sottomessi e tributari per qualche tempo, come gli Edomiti, i Moabiti, gli Ammoniti... «le genti» (gôyim): sono di per sé i popoli pagani, che difatti stanno fuori dell'alleanza sinaitica, e quindi considerati per la loro idolatria nemici d'Israele e di Dio stesso. «contro il Signore e contro il suo Messia»: si sottolinea che la ribellione al re è anche ribellione al Signore di cui il re è luogotenente, il “consacrato” sulla terra. «Messia»: è così chiamato il re della dinastia davidica, in quanto è stato “unto” (in gr. christos) prima di accedere al suo alto incarico (cfr. 1Sam 16,13). Il titolo di “Unto del Signore” è spesso applicato a un re storico: cfr. 1Sam 24,7.11; 26,9.11.16.23; 2Sam 1,14.16; 19,22. Questo titolo tuttavia viene riferito esplicitamente al Messia solo in Dn 9,25.

v. 3. «Spezziamo le loro catene...»: è il programma di ribellione dei popoli sudditi. Le figure della metonimia e della metafora indicano qui la rottura del giogo della sottomissione cioè del trattato di vassallaggio con il re israelita.

vv. 4-5. «Se ne ride... li schernisce.. li spaventa»: il riso beffardo di Dio, antropomorficamente, indica la sua suprema autorità e dominio, ed è fonte di terrore per i suoi nemici (cfr. Is 17,13). È ricordato altre volte nei Sal 37,13; 59,9, ma anche altrove nella Bibbia: cfr. Gb 9,23. «chi abita i cieli»: il Signore appare in trono come nel Sal 29,10 in Is 6,1-2.

v. 6. «Io l'ho costituito...». è Dio stesso che parla. La sua dichiarazione solenne fa da antitesi a quella spavalda dei popoli ribelli di v. 3. Si ribadisce con questo oracolo sia l'elezione del sovrano davidico, sia quella di Gerusalemme come capitale e centro di culto. Le due elezioni sono strettamente unite e interdipendenti (cfr. Sal 132,13.17).

vv. 7-9. In questi versetti il re, facendo eco all'oracolo del v. 6, ribadisce direttamente la sua figliolanza divina e il compito ricevuto dal Signore di rappresentarlo sulla terra.

v. 7. «Annunzierò il decreto...»: il sovrano sente la necessità di proclamare il decreto (hōq), il “protocollo regale” che legittima e autentica il suo potere regale, per far subito fronte al suoi vassalli ribelli, che volevano approfittare del suo inizio di governo. Per il rito d'intronizzazione cfr. 2Re 11,12; «Tu sei mio figlio...»: qui viene detto del re come singolo individuo: cfr. Sal 110,3. Si tratta di una filiazione simbolica, di una dichiarazione giuridica di adozione. Viene richiamato 2Sam 7,14. «io oggi ti ho generato»: ci si riferisce all'“oggi” della liturgia che rende attuale e operativa la filiazione (Sal 95,8). È il rito di incoronazione che richiama alla nascita spirituale del re.

v. 8. «Chiedi a me..»: è la seconda parte del decreto, ove si sollecita la richiesta di un dono per un buon governo. Probabilmente ciò faceva parte del rituale dell'incoronazione (cfr. Sal 20,5; 21,3.5; 2Sam 24,12).

v. 9. «Le spezzerai... »: è la terza parte dell'oracolo. Si assicura la vittoria completa fino all'annullamento dei nemici. L'immagine del vasi d'argilla ricorda il rito di esecrazione praticato nel mondo orientale. I vasi o le statuette riportanti i nomi dei nemici, venivano frantumati per significare simbolicamente e magicamente l'annullamento dei nemici (cfr. Ger 19,1-2.10.15).

vv. 10-12ab. Dopo la rassegna dei tre principali attori: i nemici, Dio e il re, interviene a conclusione il salmista con un appello di tipo sapienziale ai nemici, per esortarli a desistere dalle loro mire. Li invita alla saggezza, a sottomettersi a Dio e a servirlo. La ribellione è inutile e vana contro Dio che può distruggerli nella sua ira.

v. 11. «servite Dio..»: “servire Dio” significa dargli culto. L'invito viene rivolto a stranieri! È un segno di apertura universalistica. Cfr. anche Sal 102,23. «e con tremore esultate»: il testo qui è corrotto. Alcuni traducono, congetturando, «e baciategli i piedi con tremore». L'immagine, nota nell'Antico Oriente, è un gesto caratteristico del vassallo nei confronti del suo signore e richiama l'atto di sottomissione dei sudditi, cfr. Sal 8,7; 18,39; 45,6; 47,4; 72,9; 110,1; Gs 10,24; 1Re 5,17; Is 49,23; 51,23. Qui, poiché si riferisce a Dio, è un audace antropomorfismo.

v. 12. «e voi perdiate la via»: è una metafora che suggerisce lo smarrimento che, se avviene in luoghi deserti e impervi, porta alla sicura morte, cfr. Sal 1,6. «Beato chi in lui si rifugia»: è una beatitudine aggiunta al salmo che ha la funzione di inclusione con il Sal 1,1, nell'ipotesi della precedente fusione dei due salmi.

Nel NT si cita spesso il Sal 2. Il v. 1 è citato da At 4,25-26; il v. 7 da At 13,33 e da Eb 1,5 e 5,5; i vv. 8-9 sono citati da Ap 2,26-27. In Ap 12,5 e 19,15 si cita il governo con «lo scettro di ferro» di v. 9. Inoltre nei racconti evangelici del battesimo e della trasfigurazione di Gesù si può vedere un'allusione al v. 7: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato». Un'allusione in chiave escatologica del salmo è presente anche in 1Cor 15,24-28.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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SALMI – LIBRO PRIMO (1-41)

La beatitudine del giusto 1 Beato l'uomo che non entra nel consiglio dei malvagi, non resta nella via dei peccatori e non siede in compagnia degli arroganti,

2 ma nella legge del Signore trova la sua gioia, la sua legge medita giorno e notte.

3 È come albero piantato lungo corsi d'acqua, che dà frutto a suo tempo: le sue foglie non appassiscono e tutto quello che fa, riesce bene.

4 Non così, non così i malvagi, ma come pula che il vento disperde;

5 perciò non si alzeranno i malvagi nel giudizio né i peccatori nell'assemblea dei giusti,

6 poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti, mentre la via dei malvagi va in rovina. _________________ Note

1,1 L’intera raccolta del Salterio si apre con questo salmo, che delinea il cammino del giusto, in contrapposizione a quello del malvagio. Il salmo si ispira alla letteratura sapienziale, che ama riflettere sulla condizione dell’uomo, sul suo destino e sulle sue scelte, in vista della felicità.

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Approfondimenti

Il libro dei Salmi in ebraico: tᵉhillîm, in greco: psalmoi (codice B) e psalterion (codice A) è un libro della Bibbia, appartenente alla terza raccolta, quella degli “Scritti” (kᵉtûbîm) secondo il canone ebraico della Bibbia, e a quella dei Libri sapienziali, secondo quello greco dei LXX.

È suddiviso, in analogia al Pentateuco, in cinque parti, marcate da cinque dossologie finali. Esse sono:

  1. Sal 1-41;
  2. Sal 42-72;
  3. Sal 73-89;
  4. Sal 90-106;
  5. Sal 107-150.

I salmi del Salterio canonico sono 150. La loro raccolta attuale è il termine di una lunga attività letteraria e di una successiva sistemazione di raccolte minori formatesi intorno a un nucleo centrale originario. Sulla numerazione dei salmi ci sono delle divergenze tra il Testo Masoretico ™ e il testo greco dei Settanta (LXX) con le versioni che vi dipendono. La discrepanza è dovuta al fatto che un salmo a volte si trova diviso in due, o due di essi sono stati accorpati in uno solo.

La numerazione dei salmi da 1 a 8 e da 148 a 150 è identica sia nel M che nei LXX.

La divergenza incomincia con il Sal 9 che nei LXX si trova sdoppiato in 9, 1-21 e 9, 22-29 e queste due pericopi corrispondono nel TM rispettivamente al Sal 9 e al Sal 10. Perciò la differenza di unità in più è costante nel IM sui LXX fino al Sal 113. Proseguendo la numerazione si ha che al Sal 114 e 115 del TM corrisponde il Sal 113, 1-8 e il Sal 113, 9-26 dei LXX. IL Sal 116 del TM, scindendosi in Sal 116, 1-9 e Sal 116, 10-19, corrisponde ai Sal 114 e 115 dei LXX. I Sal 117-146 del TM corrispondono poi ai Sal 116-145 dei LXX. E infine il Sal 147 del TM si scinde in Sal 147, 1-11 e 147, 12-20 e questi corrispondono ai Sal 146 e 147 dei LXX. Per maggior praticità si calcoli dal Sal 9 al 147 generalmente un'unità in più nella numerazione del TM. Nell'edizione della Bibbia C.E.I. del 2008 si segue la numerazione ebraica del TM; viene indicata tra parentesi la numerazione dei LXX e della Vulgata.


Salmo 1 – Beatitudine del giusto, rovina dell'empio Salmo sapienziale L'autore medita sulle scelte fondamentali della vita. Questo carme introduce all'intera raccolta dei Salmi. È senza titolo e fuori da qualsiasi collezione. Nei primi secoli del cristianesimo si è fuso con il Sal 2. La cosa è stata facilitata dalla mancanza di titolo in ambedue i salmi e dall'inclusione data dalla “beatitudine” che nel Sal 1 sta all'inizio e nel Sal 2 alla fine. La fusione dei due salmi, comunque, offre uno sguardo d'insieme sui due aspetti fondamentali dell'intero Salterio: quello antropologico-etico (Sal 1) e quello teologico-messianico (Sal 2).

Altre interpretazioni a proposito non mancano. Il Sal 1 inizia con la prima lettera dell'alfabeto ebraico (alef) nella prima parola (’ašrê) e termina con l'ultima (tau) che inizia l'ultima parola (tō’bēd); si esprime così simbolicamente l'arco intero della vita. Stilisticamente il salmo è paragonato a un'esercitazione scolastica, dati i numerosi riferimenti e reminiscenze di altri testi. Il tono è didattico. Procede per antitesi. Il ritmo nel TM è di 3 + 3 accenti, ma procede a fatica. Il campo semantico simbolico è spaziale, vegetale e giudiziale. Divisione: vv. 1-3: quadro del giusto; vv. 4-6: quadro dell'empio.

vv. 1-3. Il giusto è descritto prima negativamente (v. 1) e poi positivamente (v. 2). Con l'immagine dell'albero rigoglioso e sempre coperto di frutti è indicata la fecondità e il benessere della sua esistenza (v. 3).

v. 1. «Beato...»: la voce corrispondente ebraica (’ašrê) è un plurale apparente di grande suggestione. Letteralmente si può tradurre: «beatitudine di...; felicità di...». La forma letteraria della “beatitudine” è una caratteristica della letteratura sapienziale e ricorre molto frequentemente (26 volte) nei salmi. Corrisponde per efficacia alla “benedizione” (Ger 17,7) nell'ambito liturgico e all'esortazione in quello profetico. La beatitudine scaturisce dall'amore di Dio verso il suo fedele che gli corrisponde per i vincoli dell'alleanza. «che non segue... non indugia... non siede»: sono tre atteggiamenti negativi abbinati a tre categorie di persone come «gli empi» (rᵉša‘îm), «i peccatori» (ḥaṭṭā’îm) e «gli stolti» (lēṣîm), che il giusto diligentemente evita. Gli «empi» nei salmi sono i nemici di Dio che tramano insidie contro i suoi fedeli (Sal 17,13; 109,2.6.7; 140,4) e la cui prosperità è di grande imbarazzo per il credente (Sal 49;73). I peccatori (lett. «coloro che hanno fallito il bersaglio») è un'espressione generica per indicare coloro che credono di riuscire, ma di fatto falliscono nella vita. Gli stolti sono coloro che professano un ateismo pratico, ironizzando e schernendo Dio, accusandolo di non interessarsi del mondo e degli uomini (Sal 14; Is 5,19). Essi sono anche beffardi (Prv 1,22; 3,34), pettegoli (Prv 22,10) e diffamatori (Is 29,20). «Via dei peccatori»: è un'espressione unica nei salmi. La voce “via” (Sal 5,9; 10,5...) indica vita, atteggiamento, potere, energia vitale e il complesso di norme di vita che guidano l'uomo nella sua esistenza. Per la dottrina delle “due vie” cfr. Dt 30,15.19; Prv 1,10-15; 3,31; 4,18-19; 22,24-25; 23,17; Ger 21,8.

v. 2. «legge del Signore»: la «legge» (torah) significa letteralmente «istruzione, insegnamento di vita», cfr. Sal 19,8-9. «Medita»: Alla lett. «sussurra, bisbiglia, mormora...» (cfr. verbo hgh). Sono coinvolti così nella meditazione lo spirito e il corpo. Unitamente alla “legge” ricorrre per la prima volta nel salterio il nome del Signore (JHWH); «giorno e notte»: espressione polare per dire «sempre», cfr. Gs 1,8. Un elogio spassionato alla legge è il celebre Sal 119.

v. 3. «Sarà come albero...»: per la simbologia vegetale, cfr. Sal 92,13-15; Os 9,13; Ger 17,5-8; Ez 17,5; 19,10; Sir 24, 12-17.

vv. 4-6. Alla descrizione positiva del giusto segue nei vv. 4-5 quella negativa dell'empio, all'albero lussureggiante si oppone la pula dispersa dal vento.

v. 4. «Come pula»: l'immagine è frequente nell'AT, cfr. Sal 35,5; Is 17,13; Sof 2,2; Gb 21,18.

v. 5. «nel giudizio»: l'immagine vegetale della mietitura (pula) e della dispersione degli empi del v. 4 richiama quella della realtà del giudizio escatologico di Dio, ove gli empi non reggeranno alla giustizia di Dio (cfr. Sap 4,20; 5,1). «assemblea dei giusti»: nota il contrasto con il v. 1c. Lì i giusti non seggono «in compagnia degli stolti», qui gli stolti non possono sedere «nell'assemblea dei giusti».

v. 6. «Il Signore veglia...»: il versetto riassume e conferma quanto espresso nel salmo. Da una parte c'è la premura e la tenerezza di Dio, che veglia sui i giusti (vv. 1-3), e dall'altra la conferma della condanna degli empi (vv. 4-5).

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Giobbe vede Dio 1 Giobbe prese a dire al Signore: 2“Comprendo che tu puoi tutto e che nessun progetto per te è impossibile. 3Chi è colui che, da ignorante, può oscurare il tuo piano? Davvero ho esposto cose che non capisco, cose troppo meravigliose per me, che non comprendo. 4Ascoltami e io parlerò, io t'interrogherò e tu mi istruirai! 5Io ti conoscevo solo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti hanno veduto. 6Perciò mi ricredo e mi pento sopra polvere e cenere”.

EPILOGO

Gli amici salvati dall'espiazione di Giobbe 7Dopo che il Signore ebbe rivolto queste parole a Giobbe, disse a Elifaz di Teman: “La mia ira si è accesa contro di te e contro i tuoi due amici, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe. 8Prendete dunque sette giovenchi e sette montoni e andate dal mio servo Giobbe e offriteli in olocausto per voi. Il mio servo Giobbe pregherà per voi e io, per riguardo a lui, non punirò la vostra stoltezza, perché non avete detto di me cose rette come il mio servo Giobbe”. 9Elifaz di Teman, Bildad di Suach e Sofar di Naamà andarono e fecero come aveva detto loro il Signore e il Signore ebbe riguardo di Giobbe. 10Il Signore ristabilì la sorte di Giobbe, dopo che egli ebbe pregato per i suoi amici. Infatti il Signore raddoppiò quanto Giobbe aveva posseduto.

Giobbe è benedetto da Dio 11Tutti i suoi fratelli, le sue sorelle e i suoi conoscenti di prima vennero a trovarlo; banchettarono con lui in casa sua, condivisero il suo dolore e lo consolarono di tutto il male che il Signore aveva mandato su di lui, e ognuno gli regalò una somma di denaro e un anello d'oro. 12Il Signore benedisse il futuro di Giobbe più del suo passato. Così possedette quattordicimila pecore e seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine. 13Ebbe anche sette figli e tre figlie. 14Alla prima mise nome Colomba, alla seconda Cassia e alla terza Argentea. 15In tutta la terra non si trovarono donne così belle come le figlie di Giobbe e il loro padre le mise a parte dell'eredità insieme con i loro fratelli. 16Dopo tutto questo, Giobbe visse ancora centoquarant'anni e vide figli e nipoti per quattro generazioni. 17Poi Giobbe morì, vecchio e sazio di giorni. _________________ Note

42,6 Il testo è particolarmente complesso e si presta a diverse traduzioni. È possibile renderlo anche così: «Perciò respingo [di contestare ancora], infatti sono consolato, su polvere e cenere».

42,14 Alla prima mise nome: i nomi intendono mettere in luce la bellezza delle tre figlie e si riferiscono al triplice regno: animale, vegetale e minerale. Colomba è l’appellativo che lo sposo, affascinato e innamorato, dà alla sua donna (Ct 2,14; 5,2; 6,9). Cassia, essenza aromatica derivata da una pianta orientale, è uno dei tre profumi citati dal Sal 45 nel descrivere le vesti di nozze del re (Sal 45,9). Argentea vorrebbe rendere, per un lettore moderno, il significato di un’espressione ebraica piuttosto oscura, tradotta talvolta con “Fiala di stibio”; lo stibio (o antimonio), minerale dal colore argenteo, veniva usato dalle donne del Vicino Oriente per rendere più splendente il loro volto.

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Approfondimenti

Giobbe vede Dio (42,1-6) La seconda risposta di Giobbe a Dio, JHWH, costituisce il decisivo punto d'arrivo dell'intreccio conoscitivo e di rivelazione del poema. Giobbe, infatti, riferisce lo straordinario cambiamento della sua conoscenza di Dio. La risonanza che le parole di Dio hanno in Giobbe è determinante per l'esito stesso dell'intera vicenda. Dio ha affidato alla risposta di Giobbe il proseguimento o lo scioglimento della contesa. Dio lo ha reso partecipe della propria prospettiva e Giobbe ha potuto scorgere, al di là delle incongruenze e contraddizioni denunciate, la fondamentale armonia e benevolenza con cui Dio ha creato e governa saldamente il mondo, nella fedeltà al suo disegno e, dunque, con giustizia. Nelle parole di Dio, Giobbe ha potuto percepire l'efficacia del piano divino, perciò, adesso, rispondendo all'interpellanza iniziale di Dio (cfr. 38,2 ora ripresa in 42,3a), dichiara di aver parlato senza comprendere (42,3b). Dunque, Giobbe non ritratta, bensì dopo aver ascoltato le parole di Dio avverte e conferma la ristrettezza delle sue precedenti argomentazioni provenienti da una conoscenza parziale e limitata (cfr. per es. 26,14; 28), capace di cogliere solo dei frammenti e di organizzarli confusamente, ignorando la globalità dei prodigi divini. Così trova anche conferma il disagio ripetutamente manifestato da Giobbe per la finitezza della conoscenza umana (rispetto alle certezze degli amici), che tuttavia ormai viene colmato dal ristabilito contatto con Dio, che Giobbe subito investe di forti aspettative. Infatti, a Dio che lo ha innalzato alla comprensione del suo disegno sulle opere del creato e della storia ora (42,4 riprendendo in parte le parole con le quali provocatoriamente Dio lo aveva interpellato, cfr. 38,3b; 40,7b), Giobbe chiede di essere ancora istruito, per poter comprendere, ancora, il mondo dal punto di vista di Dio. Tuttavia la prova, e, ancor più, la rivelazione di Dio non solo hanno suscitato l'interesse di Giobbe per la prospettiva divina delle cose e degli eventi, ma soprattutto hanno portato a maturazione, in lui, una radicale trasformazione della conoscenza di Dio come egli, solennemente, dichiara (42,5). In passato il sapere e l'adesione di Giobbe a Dio proveniva dall'accoglienza della tradizione di Israele, che, ininterrottamente nel tempo, ha celebrato e trasmesso i racconti delle gesta di JHWH, ma ora la sua conoscenza di JHWH è diventata più profonda e diretta. Giobbe, nella teofania, in realtà, ha ascoltato Dio parlare; inoltre, secondo la concezione biblica, l'uomo non può vedere Dio (cfr. Es 33,20); eppure, egli asserisce: «ora i miei occhi ti hanno veduto». Giobbe vede Dio in un ineffabile evento di fede che lo accomuna a Mosè (cfr. Es 33,23) e ai profeti (cfr. 1Re 19,11; Is 6,1; Ez 1,28). L'uso del singolare (nel TM) «il mio occhio» , è indicativo del valore metaforico dell'espressione atta a sottolineare la straordinaria trasformazione e progressione nella conoscenza, nell'intimità, in un incontro con Dio senza precedenti, dai tratti mistici. Giobbe conosce l'azione di Dio a suo favore, conosce JHWH come suo gō’ēl (cfr. 19, 25); gode, nella storia, della vicinanza di Dio, dell'accesso alla prospettiva di Dio, dell'accresciuta comunione di vita con Dio. La speranza e l'attesa di Giobbe di vedere Dio (cfr. 19, 26-27), così tanto contrastata, si è dunque compiuta a riprova non solo della sua preminente integrità e giustizia (cfr. Sal 11,7; 17,15), ma soprattutto tesa a far crescere la relazione vitale di Giobbe con Dio. Con tale eminente cambiamento di conoscenza da parte di Giobbe giunge, quindi, a soluzione l'intreccio di rivelazione, con un evidente allentarsi della tensione drammatica e la rapida conclusione del discorso.

A questo punto si può capire come le ultime parole di Giobbe (42,6) non riferiscono il suo pentimento, bensì la sua pacificazione. Dio non lo accusa; e non c'è motivo per cui egli debba pentirsi di ciò che ha detto, poiché l'accusa rivolta da Giobbe a Dio era fondata sul desiderio di Dio, per ritrovarlo, per ascoltare la sua voce, a costo persino della vita. Pertanto Giobbe non rinnega né se stesso, né la sua vita, né le sue precedenti argomentazioni, ma respinge di continuare a contestare Dio. La sua percezione della situazione è mutata. Giobbe infatti è soddisfatto, è consolato (42,6, cfr. la nota) da Dio, mentre gli amici avevano fallito in questo. Dio ha risposto al suo grido; il suo conforto è nel rinsaldato contatto vitale con Dio. Egli gode ormai della rinnovata presenza di Dio nella sua vita, espressione della benevolenza divina. Il problema era il nascondimento di Dio, mentre la comunione con Dio ridimensiona anche l'intensità, l'acutezza delle sofferenze e lo sgomento per l'oscurità della vita. Giobbe vuole solo permanere nella vicinanza di dialogo con Dio, che peraltro lo ha introdotto in nuove, impensabili, prospettive e possibilità di conoscenza. Infine, Giobbe non chiede delle cose particolari a Dio, perché per lui la presenza divina costituisce il recupero della pienezza della vita (cfr. Sal 73,26.28).

EPILOGO (42,7-17) L'Epilogo contiene la fine del poema, il risultato ultimo degli eventi narrati, e in particolare la necessaria risoluzione del problema iniziale posto nel Prologo. Tale risoluzione si caratterizza nell'azione divina che determina un nuovo cambiamento di situazione a favore di Giobbe, confermandone così il definitivo successo. L'Epilogo è dominato dal narratore onnisciente che comprime la narrazione verso la conclusione condensando gli eventi, con la preminente caratteristica del tempo del racconto inferiore al tempo della storia. Nell'Epilogo viene riferita la sorte degli amici (vv. 7-10), a cui segue il lieto fine per Giobbe (vv. 11-17).

Gli amici salvati dall'espiazione di Giobbe (42,7-10) Questa sezione è importante per conoscere la sorte degli amici decretata in un esplicito discorso divino di giudizio, ma anche come sutura e raccordo conclusivo fra il testo in prosa e il corpo poetico del poema. Nel discorso, JHWH annuncia la sua collera contro i tre amici (v. 7). E evidente che non si tratta solo di indignazione per il loro comportamento, ma ormai essa indica la condanna (chiesta anche da Giobbe, in 27,7), l'atto della sentenza divina contro i tre amici, con le conseguenze punitive che ne derivano (per altri esempi cfr. 2Sam 12,5; Ez 7,3). JHWH condanna gli amici riguardo alle loro parole e argomentazioni poiché nel confronto con Giobbe essi non hanno parlato di Dio in modo degno di fiducia, con stabilità e fedeltà (cfr. Sal 5 10), come invece ha fatto Giobbe (cfr. Sal 112,7). Ciò che differenzia Giobbe dagli amici è dunque la fedeltà, la sincerità, la confidenza con le quali ha parlato e che lo rendono gradito a Dio (cfr. Sal 51,12; 57,8), mentre gli amici hanno tanto insistito nell'insinuare menzogna e sfiducia fra Dio e l'uomo. Tuttavia l'ultima parola di JHWH, non è mai la condanna, ma la salvezza. Per questo Dio comanda (v. 8), chiede un olocausto, accompagnato dalla preghiera di espiazione di Giobbe (cfr. 1,5), così che desista dal punirli. Per il merito di Giobbe, la cui designazione come «servo» di Dio (cfr. 1,8) è ormai comprovata, JHWH recederà dall'infliggere loro un castigo (si realizzano cosi le parole di Elifaz in 22,30). E interessante anche notare come Giobbe venga chiamato a impetrare il favore divino proprio per coloro che lo hanno deriso e condannato, con una funzione che in qualche modo adombra quella del servo di JHWH di Is 52,13-53,12.

Giobbe è benedetto da Dio (42,11-17) La seconda parte dell'Epilogo è dedicata alla radicale trasformazione della situazione di Giobbe dalla sventura e dalla miseria alla prosperità, ripristinata in misura superiore alla precedente. JHWH realizza tale cambiamento, che il narratore onnisciente riferisce con alcune accentuazioni particolarmente significative. E ragionevole pensare che questo rovesciamento della situazione a favore di Giobbe costituisse la soluzione dell'intreccio del racconto popolare più antico. Innanzitutto il narratore racconta la visita di parenti e di conoscenti (v. 11) che si recano da Giobbe per condolersi e consolarlo della sventura con la quale Dio l'aveva colpito (e non il Satan, di cui peraltro non ricorre più alcun cenno; la sua disfatta è stata totale, e coronata con l'oblio). Si può presumere che, nel racconto più antico, tale visita di consolazione esprimesse la solidarietà immediata per la disgrazia di Giobbe, e la partecipazione al suo lutto anche con la relativa consumazione del cibo speciale stabilito per tale circostanza (cfr. Dt 26,14; Ez 24,17.22; Os 9,4). Tuttavia, nella rielaborazione del racconto, tale visita è stata sostituita con la narrazione dell'arrivo dei tre amici (cfr. 2,11-13), da cui prende avvio il successivo ampliamento della trama. L'incontro con parenti e conoscenti assume dunque un carattere gioioso; insieme celebrano, nel convivio e con doni, il superamento della prova di Giobbe, e quasi si compiacciono per la sua ammirabile rinascita. Ciò che, in tutti modi, preme al narratore è mettere in rilievo che Dio ha trasformato la sciagura di Giobbe in prosperità, incrementando il suo precedente benessere e la sua agiatezza. JHWH, il Signore, ha benedetto Giobbe (v. 12). L'atto fondamentale che, nel poema, fa da inclusione è il benedire. Si evidenzia una singolare corrispondenza: all'inizio, nella prova, Giobbe ha benedetto Dio (cfr. 1,21), e ora, alla fine di tutta la vicenda, è JHWH che benedice Giobbe per la sua fedeltà (cfr. Sal 5,13; 115,13; 128,4). Pertanto, Giobbe gode pienamente della salvezza operata da Dio, conosce nella sua esistenza, nella sua storia, il compimento della promessa del Dio di Israele, JHwH, che fa vivere, che dona la vita.

Ottenute le soluzioni ai due tipi di intreccio, con la trasformazione della conoscenza di Giobbe e il cambiamento della sua situazione ad opera di Dio, la conclusione è, dunque, rapida. Peraltro, si può ormai apprezzare l'abile combinazione dell'intreccio di risoluzione con quello di rivelazione; la loro peculiare interconnessione rende i poema di Giobbe un intenso racconto con una trama unificata, capace ogni volta, in ogni tempo, di coinvolgere fortemente l'uditore e il lettore, così da indurlo a prendere posizione, a partecipare attivamente alle questioni dibattute, agli eventi narrati.

Si può a questo punto notare, infine, che Dio mette alla prova Giobbe (come Abramo) per innalzarlo, per rendere visibile la misura della giustizia, della rettitudine, dell'integrità che Dio gli aveva riconosciuto fin dall'inizio (cfr. 1,8; 2,3). Con la prova Giobbe dimostra ampiamente di meritare tali attributi. Dio, dunque, prova il giusto per innalzarlo. In tal modo si manifesta anche la giustizia divina sulla terra; Dio, infatti, innalza i giusti e abbatte gli empi. Nel complesso, tuttavia, la questione della giustizia è ridimensionata, rispetto al preminente interesse, che risalta nel poema, per la relazione che unisce l'uomo a Dio. Nella prova, Dio ha innalzato Giobbe a sé; lo ha introdotto alle segrete meraviglie della sapienza divina; e nella ritrovata vicinanza, Giobbe conosce più profondamente Dio.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1 Ecco, davanti a lui ogni sicurezza viene meno, al solo vederlo si resta abbattuti. 2Nessuno è tanto audace da poterlo sfidare: chi mai può resistergli? 3Chi mai lo ha assalito e ne è uscito illeso? Nessuno sotto ogni cielo. 4Non passerò sotto silenzio la forza delle sue membra, né la sua potenza né la sua imponente struttura. 5Chi mai ha aperto il suo manto di pelle e nella sua doppia corazza chi è penetrato? 6Chi mai ha aperto i battenti della sua bocca, attorno ai suoi denti terrificanti? 7Il suo dorso è formato da file di squame, saldate con tenace suggello: 8l'una è così unita con l'altra che l'aria fra di esse non passa; 9ciascuna aderisce a quella vicina, sono compatte e non possono staccarsi. 10Il suo starnuto irradia luce, i suoi occhi sono come le palpebre dell'aurora. 11Dalla sua bocca erompono vampate, sprizzano scintille di fuoco. 12Dalle sue narici esce fumo come da caldaia infuocata e bollente. 13Il suo fiato incendia carboni e dalla bocca gli escono fiamme. 14Nel suo collo risiede la forza e innanzi a lui corre il terrore. 15Compatta è la massa della sua carne, ben salda su di lui e non si muove. 16Il suo cuore è duro come pietra, duro come la macina inferiore. 17Quando si alza si spaventano gli dèi e per il terrore restano smarriti. 18La spada che lo affronta non penetra, né lancia né freccia né dardo. 19Il ferro per lui è come paglia, il bronzo come legno tarlato. 20Non lo mette in fuga la freccia, per lui le pietre della fionda sono come stoppia. 21Come stoppia è la mazza per lui e si fa beffe del sibilo del giavellotto. 22La sua pancia è fatta di cocci aguzzi e striscia sul fango come trebbia. 23Fa ribollire come pentola il fondo marino, fa gorgogliare il mare come un vaso caldo di unguenti. 24Dietro di sé produce una scia lucente e l'abisso appare canuto. 25Nessuno sulla terra è pari a lui, creato per non aver paura. 26Egli domina tutto ciò che superbo s'innalza, è sovrano su tutte le bestie feroci”. =●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

40,25-41,26. Il Leviatan, identificato con il coccodrillo (ma cfr. anche 3,8; Sal 74,14; 104,26; Is 27,1), è inavvicinabile e invincibile per l'uomo; esso affronta e regna su tutte le altre fiere. Solo Dio ha creato e domina il Behemot e il Leviatan, che rimandano evidentemente a una pluralità di significati, come simboli mitologici del caos primordiale, o mostri naturali, storici, psichici, comunque terrificanti per l'uomo. Tali mostruose creature rappresentano le forze negative, il male sottomesso e controllato da Dio, che ha cura della creazione. La loro forza distruttiva è ridotta e sminuita ma non annientata; sono assoggettati al controllo divino, nondimeno terrorizzano l'uomo. In tale contesto l'uomo viene esortato a fidarsi di Dio, che non lo abbandona, anche quando è raggiunto da un male ingiusto, senza ragione: esso, infatti, non può sottrarsi all'incomparabile potenza divina. Si propone, dunque, all'uomo una fede impegnata, capace di non incrinarsi dinanzi al mistero divino per cui il male imperversa anche al di là del peccato dell'uomo, malgrado la preminente cura di Dio per il creato. Giunge così la conferma che il problema supremo non è il male, ma il rapporto dell'uomo con Dio, JHWH, Creatore e Signore della storia. L'insistenza sulla potenza divina e soprattutto sull'orientamento fondamentale dell'agire di Dio che provvede e custodisce la magnificenza del creato, e che, nella storia, opera la liberazione degli oppressi e la distruzione degli empi, vuole esprimere e dimostrare, evidentemente, la giustizia di Dio che consiste nella fedeltà al suo piano, alla sua parola, perenne origine e fonte di vita. A questo punto, si può pertanto arguire che la concezione avanzata dagli amici, centrata sulla ricompensa, è respinta da Dio, in quanto riduttiva e deviante. Invece l'atteggiamento di Giobbe che nella sofferenza della prova si imbatte nella segreta dialettica fra il bene e il male in relazione a Dio, nella contrastante percezione di Dio nemico e redentore, e che lotta per non rinunciare all'affermazione del Dio della vita, della sua vita, è approvato da JHWH.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1 Il Signore prese a dire a Giobbe: 2“Il censore vuole ancora contendere con l'Onnipotente? L'accusatore di Dio risponda!“.

3Giobbe prese a dire al Signore: 4“Ecco, non conto niente: che cosa ti posso rispondere? Mi metto la mano sulla bocca. 5Ho parlato una volta, ma non replicherò, due volte ho parlato, ma non continuerò”.

6Il Signore prese a dire a Giobbe in mezzo all'uragano: 7“Cingiti i fianchi come un prode: io t'interrogherò e tu mi istruirai! 8Oseresti tu cancellare il mio giudizio, dare a me il torto per avere tu la ragione? 9Hai tu un braccio come quello di Dio e puoi tuonare con voce pari alla sua? 10Su, órnati pure di maestà e di grandezza, rivèstiti di splendore e di gloria! 11Effondi pure i furori della tua collera, guarda ogni superbo e abbattilo, 12guarda ogni superbo e umilialo, schiaccia i malvagi ovunque si trovino; 13sprofondali nella polvere tutti insieme e rinchiudi i loro volti nel buio! 14Allora anch'io ti loderò, perché hai trionfato con la tua destra.

15Ecco, l'ippopotamo che io ho creato al pari di te, si nutre di erba come il bue. 16Guarda, la sua forza è nei fianchi e il suo vigore nel ventre. 17Rizza la coda come un cedro, i nervi delle sue cosce s'intrecciano saldi, 18le sue vertebre sono tubi di bronzo, le sue ossa come spranghe di ferro. 19Esso è la prima delle opere di Dio; solo il suo creatore può minacciarlo con la spada. 20Gli portano in cibo i prodotti dei monti, mentre tutte le bestie della campagna si trastullano attorno a lui. 21Sotto le piante di loto si sdraia, nel folto del canneto e della palude. 22Lo ricoprono d'ombra le piante di loto, lo circondano i salici del torrente. 23Ecco, se il fiume si ingrossa, egli non si agita, anche se il Giordano gli salisse fino alla bocca, resta calmo.

24Chi mai può afferrarlo per gli occhi, o forargli le narici con un uncino? 25Puoi tu pescare il Leviatàn con l'amo e tenere ferma la sua lingua con una corda, 26ficcargli un giunco nelle narici e forargli la mascella con un gancio? 27Ti rivolgerà forse molte suppliche o ti dirà dolci parole? 28Stipulerà forse con te un'alleanza, perché tu lo assuma come servo per sempre? 29Scherzerai con lui come un passero, legandolo per le tue bambine? 30Faranno affari con lui gli addetti alla pesca, e lo spartiranno tra i rivenditori? 31Crivellerai tu di dardi la sua pelle e con la fiocina la sua testa? 32Prova a mettere su di lui la tua mano: al solo ricordo della lotta, non ci riproverai! _________________ Note

40,1-5 Giobbe si arrende e tace. È questo il senso dell’espressione Mi metto la mano sulla bocca (v. 4).

40,15-24 Conosciuto come “la bestia” per eccellenza (così potrebbe essere inteso il termine ebraico beemòt), l’ippopotamo è descritto come il simbolo delle forze del male che si oppongono a Dio, ma sono da lui dominate e vinte.

40,25-41,26 Il Leviatàn (“tortuoso”) è un mostro dell’antica mitologia orientale, rappresentato come un coccodrillo (vedi 26,13; 40,25).

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Approfondimenti

40,1-2. Il discorso divino suppone a questo punto una pausa, segnalata dalla presenza del narratore (v. 1) che introduce la ripresa dello stesso intervento di JHWH. Si può pensare che una tale pausa manifesti l'attesa per la risposta spontanea di Giobbe, oppure che si tratti di un artificio letterario (reperibile altrove nella Scrittura, cfr. per es. Gn 15,5; 37,21-22), utile qui ad accentuare il passaggio dalla rievocazione dei prodigi divini all'invito decisivo perché Giobbe risponda alle sollecitazioni di Dio (v. 2). È interessante il fatto che Dio si indirizzi a Giobbe (in terza persona come in 38,2), in quanto suo contendente, colui che ha deliberatamente inteso dibattere con Dio (cfr. 13,3.15). A Dio importa, decisamente, Giobbe. Lo ha ascoltato e ha replicato alle sue contestazioni; ma, si sa, Giobbe potrebbe non essere soddisfatto, o voler avanzare altre obiezioni; perciò è Dio che ora insiste perché Giobbe si esprima. Sebbene a Dio non fosse necessaria un'audizione diretta di Giobbe, poiché già conosce i pensieri dell'uomo (cfr. Sal 139,2-4), e il narratore onnisciente avrebbe potuto in vario modo riferirli, non così accade, Infatti solo le parole di Giobbe possono far comprendere e partecipare il lettore all'esperienza del protagonista, riferire l'orientamento del suo itinerario interiore dinanzi alla rivelazione divina. Inoltre Dio si affida ancora una volta alla libertà dell'uomo. Infatti Dio non si è affermato né con dichiarazioni né con minacce, bensì ha incalzato Giobbe con alcune domande lasciandogli l'autonomia nel riconoscimento e nell'adesione, e il pieno diritto di autodeterminazione e di espressione. La relazione fra il Dio d'Israele e l'uomo, anche in circostanze estreme, si configura nell'incommensurabile incontro fra la libertà di Dio e quella dell'uomo. Si osservi infine che nei vv. 1-2 si può riscontrare un importante indizio, attinente l'uso dei nomi divini, che stabilisce un'interconnessione tra la sezione in prosa e la parte poetica del libro, e contribuisce anche a orientare l'interpretazione del poema come racconto unificato. Infatti JHWH (v. 1; ma cfr. 38,1; 40,3.6; 42,1, come nel Prologo e nell'Epilogo) in questa richiesta diretta a Giobbe (v. 2) parla di se riportando dei nomi che Giobbe e tutti i suoi interlocutori hanno usato: ’elôah, šadday (anche ’ēl in 40,9). Un fenomeno in qualche modo paragonabile a questo, con le dovute rilevanti differenze, si ritrova in Gn 17,1, poi ripreso nella mirabile sintesi di Es 6,2-8.

40,3-5. In questa teofania in cui Dio si è fatto subito riconoscere al suo apparire (cfr. 38,1; altrove cfr. per es. Gn 15,1; 17,1; 28,13; Es 6,2; ecc.), il problema ruota intorno alla conoscenza e, da come Dio ha impostato il discorso, alla trasformazione della conoscenza di Giobbe, così da rimuovere l'opposizione fra Dio e Giobbe. Tuttavia, la risposta di Giobbe è particolarmente contenuta, e manifesta, sostanzialmente, ancora attesa per le parole di Dio. La prima reazione di Giobbe non è di paura, ma di considerazione del proprio limite dinanzi alla maestà di Dio (v. 4). Sul piano emotivo Giobbe è appagato. Infatti egli ha gridato (cfr. 31,35) e Dio, finalmente, gli ha risposto. Per Giobbe, Dio non è più lontano o nascosto. Tuttavia il discorso divino non aggiunge molto a quel che Giobbe stesso ha detto sulla sapienza e sulla potenza di Dio (cfr. per es. 26,7-14). Soprattutto, Dio non ha ancora esaminato la questione del giusto che soffre e dell'empio che invece gode nel mondo. Perciò Giobbe dichiara che ha già espresso le sue opinioni (v. 5) e che quindi non intende replicare. Le sue questioni attendono tuttora di ottenere una risposta da Dio. Giobbe, dunque, resiste ancora a Dio; pertanto, a questo punto, si rende necessario un secondo discorso divino.

40,6-41,26. La risposta di Dio, JHWH, stavolta è immediata. Egli non si tira indietro dinanzi all'aspettativa di Giobbe al quale pone adesso delle domande sulla forza dell'uomo (40,7-14), che appare terrorizzato da mostri come il Behemot (40,15-24) e il Leviatan (40,25-41 26), mentre anch'essi appartengono all'opera creatrice divina.

40,7-14. Dio chiede a Giobbe se per affermare la propria giustizia e innocenza pensa davvero di condannare Dio, e dunque di distruggere, di annullare il diritto divino, eliminando il tal modo le basi stesse della giustizia e del governo sul mondo (40,8). Si tratta di una questione particolarmente importante nella dinamica della vicenda fra Giobbe e Dio, il cui esito rimane ancora incerto. Peraltro non consiste solo nello stabilire chi abbia ragione e chi torto; inoltre dichiarare colpevole Dio per affermare la giustizia dell'uomo ha un rilievo che oltrepassa l'ambito giudiziario e riguarda l'ordine e il governo stesso dell'universo. In realtà Giobbe (a differenza degli amici) aveva escluso una tale alternativa, attendendo l'accertamento della propria giustizia senza rinunciare a Dio, anzi, per riconfermare e ritrovare la comunione di vita con Dio. Nondimeno, Dio ora chiede a Giobbe se dispone di una potenza come quella divina per regolare, per governare il creato. L'azione potente di Dio, la sua ‘ēṣâ (cfr. 38,2), si manifesta nella storia, e, in modo inequivocabile e incontrastabile, per liberare e salvare gli oppressi (cfr. Sal 146,5-9), per abbattere i superbi (cfr. Is 2,10-12) e annientare gli empi. JHWH, si presenta, dunque, come il creatore e il Signore della storia. Le meraviglie del creato e il corso degli eventi lo testimoniano. Può Giobbe, può l'uomo, dimostrare una potenza e un'abilità simili (cfr. Dt 8,17; Sal 44,4)?

vv. 15-24. Il Behemot, sul quale adesso Dio richiama l'attenzione, e poi il Leviatan (40,25-41,26) sono, fra tutti gli animali creati, i più selvaggi e terribili. Il Behemot, identificato con l'ippopotamo, appare un animale possente e imbattibile, e mentre incute terrore nell'uomo, Dio invece, guarda con benevolenza anche il suo riposo. Infatti è Dio che ha creato il Behemot.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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