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DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO II

L'OPERA MISSIONARIA IN SE STESSA

Art. 3 – La formazione della comunità cristiana

Il clero indigeno 16 La Chiesa si rallegra vivamente e ringrazia per il dono inestimabile della vocazione sacerdotale che Dio ha concesso a tanti giovani in mezzo a popoli convertiti di recente al cristianesimo. È indubbio che la Chiesa mette più profonde radici in un gruppo umano qualsiasi, quando le varie comunità di fedeli traggono dai propri membri i ministri della salvezza, che nell'ordine dei vescovi, dei sacerdoti e dei diaconi servono ai loro fratelli, sicché le nuove Chiese acquistano a poco a poco la struttura di diocesi, fornite di clero proprio.

Quanto dunque questo Concilio ha deciso intorno alla vocazione ed alla formazione sacerdotale, deve essere religiosamente osservato dove la Chiesa viene stabilita per la prima volta e nelle giovani Chiese. Soprattutto va tenuto presente quel che è stato affermato a proposito della formazione spirituale e della sua stretta coordinazione con quella dottrinale e pastorale, della vita da condurre secondo l'ideale evangelico senza riguardo all'interesse proprio o familiare, nonché della necessità di approfondire il senso del mistero della Chiesa. Da questi principi i sacerdoti impareranno magnificamente a dedicarsi senza riserve al servizio del corpo di Cristo ed al lavoro evangelico, a restare uniti come cooperatori fedeli al proprio vescovo, ad offrire la propria collaborazione ai confratelli (92).

Per il raggiungimento di questo fine generale, l'intero ciclo di formazione degli alunni deve essere ordinato alla luce del mistero della salvezza come è presentato nella sacra Scrittura. Essi devono scoprire questo mistero del Cristo e della salvezza umana presente nella liturgia e viverlo (93).

Tali esigenze comuni della preparazione sacerdotale, anche di ordine pastorale e pratico, indicate dal Concilio (94), vanno armonizzate con la preoccupazione di adeguarsi al particolare modo di pensare e di agire della propria nazione. Bisogna dunque aprire ed affinare lo spirito degli alunni, perché conoscano bene e possano valutare la cultura del loro paese; nello studio delle discipline filosofiche e teologiche essi debbono scoprire quali rapporti intercorrono tra tradizioni e religione nazionale e la religione cristiana (95). Analogamente, la preparazione al sacerdozio deve tenere presenti le necessità pastorali della regione: gli alunni devono apprendere la storia, la finalità e il metodo dell'azione missionaria della Chiesa, nonché le particolari condizioni sociali, economiche e culturali del proprio popolo. Vanno anche educati allo spirito ecumenico e preparati al dialogo fraterno con i non cristiani (96). Tutto questo suppone che gli studi preparatori al sacerdozio si compiano, per quanto è possibile, mantenendo ciascuno il più stretto contatto con la propria nazione (97). E si abbia anche cura di formare alla esatta amministrazione ecclesiastica, anche in senso economico.

Si devono scegliere inoltre dei sacerdoti capaci, perché dopo un certo periodo di pratica pastorale, perfezionino i loro studi superiori nelle università anche straniere, specie in quelle di Roma, ed in altri istituti scientifici, di modo che, come elementi del clero locale con dottrina ed esperienza congrue possano aiutare efficacemente le nuove Chiese nell'adempimento delle funzioni ecclesiastiche più alte.

Laddove le conferenze episcopali lo riterranno opportuno, si restauri l'ordine diaconale come stato permanente, secondo le disposizioni della costituzione sulla Chiesa (98). È bene infatti che gli uomini, i quali di fatto esercitano il ministero di diacono, o perché come catechisti predicano la parola di Dio, o perché a nome del parroco e del vescovo sono a capo di comunità cristiane lontane, o perché esercitano la carità attraverso opere sociali e caritative, siano fortificati dall'imposizione delle mani, che è trasmessa fin dagli apostoli, e siano più saldamente congiunti all'altare per poter esplicare più fruttuosamente il loro ministero con l'aiuto della grazia sacramentale del diaconato.

Catechisti 17 Degna di lode è anche quella schiera, tanto benemerita dell'opera missionaria tra i pagani, che è costituita dai catechisti, sia uomini che donne. Essi, animati da spirito apostolico e facendo grandi sacrifici, danno un contributo singolare ed insostituibile alla propagazione della fede e della Chiesa.

Nel nostro tempo poi, in cui il clero è insufficiente per l'evangelizzazione di tante moltitudini e per l'esercizio del ministero pastorale, il compito del catechista è della massima importanza. Pertanto è necessario che la loro formazione sia perfezionata e adeguata al progresso culturale, in modo che, come validi cooperatori dell'ordine sacerdotale, possano svolgere nella maniera migliore il loro compito, che si va facendo sempre più vasto e impegnativo. Si devono quindi moltiplicare le scuole diocesane e regionali nelle quali i futuri catechisti apprendano sia la dottrina cattolica – specialmente quella che ha per oggetto la Bibbia e la liturgia –, sia anche il metodo catechetico e la tecnica pastorale, e ricevano un'autentica formazione morale cristiana (99) in uno sforzo costante per coltivare la pietà e la santità della vita . Si tengano inoltre dei convegni o corsi periodici per aggiornare i catechisti nelle discipline e tecniche utili al loro ministero e per alimentare e rinvigorire la loro vita spirituale. Inoltre, a quelli che si dedicano completamente a quest'opera bisogna garantire un decoroso tenore di vita e la sicurezza sociale, corrispondendo loro un giusto compenso (100).

È desiderabile che alla formazione ed al sostentamento dei catechisti si provveda convenientemente con sussidi speciali della sacra Congregazione di Propaganda Fide. Se apparirà necessario ed opportuno, si fondi un'opera per i catechisti.

Le Chiese inoltre devono sentire e dimostrare gratitudine per l'opera generosa dei catechisti ausiliari, il cui aiuto sarà loro indispensabile. Sono essi che nelle loro comunità presiedono alla preghiera ed impartiscono l'insegnamento. Ci si deve debitamente preoccupare anche della loro formazione dottrinale e spirituale. È altresì auspicabile che ai catechisti convenientemente formati sia conferita, riconoscendosene l'opportunità, la missione canonica nella pubblica celebrazione della liturgia, perché siano al servizio della fede con maggiore autorità agli occhi del popolo.

Promozione della vita religiosa 18 La vita religiosa deve essere curata e promossa fin dal periodo iniziale della fondazione della Chiesa, perché essa non solo è fonte di aiuti preziosi e indispensabili per l'attività missionaria, ma attraverso una più intima consacrazione a Dio fatta nella Chiesa manifesta anche chiaramente e fa comprendere l'intima natura della vocazione cristiana (101).

Gli istituti religiosi che lavorano alla fondazione della Chiesa, impregnati dei mistici tesori di cui è ricca la tradizione religiosa ecclesiale, devono sforzarsi di metterli in luce e di trasmetterli secondo il genio e il carattere di ciascuna nazione. E devono anche considerare attentamente in che modo le tradizioni di vita ascetica e contemplativa, i cui germi talvolta Dio ha immesso nelle antiche culture prima della predicazione del Vangelo, possano essere utilizzate per la vita religiosa cristiana.

Nelle giovani Chiese bisogna promuovere la vita religiosa nelle sue varie forme, perché essa mostri i diversi aspetti della missione di Cristo e della vita ecclesiale, si consacri alle varie attività pastorali e prepari i propri membri ad esplicarle come si conviene. I vescovi tuttavia in sede di conferenza episcopale facciano attenzione perché non si moltiplichino, danneggiando la vita religiosa e l'apostolato, le congregazioni aventi identica finalità apostolica.

Meritano speciale considerazione le varie iniziative destinate a stabilire la vita contemplativa. Certi istituti, mantenendo gli elementi essenziali della istituzione monastica, tendono a impiantare la ricchissima tradizione del proprio ordine; altri cercano di ritornare alla semplicità delle forme del monachesimo primitivo. Tutti comunque devono cercare un reale adattamento alle condizioni locali. Poiché la vita contemplativa interessa la presenza ecclesiale nella sua forma più piena, è necessario che essa sia costituita dappertutto nelle giovani Chiese.

_______________________ NOTE (92) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sulla Formazione Sacerdotale Optatam totius, nn. 4, 8, 9 [pag. 447ss].

(93) Cf. CONC. VAT. II, Cost. sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 17: AAS 56 (1964), p. 105 [pag. 29].

(94) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sulla Formazione Sacerdotale Optatam totius, n. 1 [pag. 441].

(95) Cf. GIOVANNI XXIII, Princeps Pastorum, 28 nov. 1959: AAS 51 (1959), p. 843-844.

(96) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sull’Ecumenismo Unitatis redintegratio, n. 4: AAS 57 (1965), pp. 94-96 [pag. 315].

(97) Cf. GIOVANNI XXIII, Princeps Pastorum, 28 nov. 1959: AAS 51 (1959), p. 842.

(98) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 29: AAS 57 (1965), p. 36 [pag. 191ss].

(99) Cf. GIOVANNI XXIII, Princeps Pastorum, 28 nov. 1959: AAS 51 (1959), pp. 855.

(100) Si tratta dei cosiddetti “catechisti a tempo pieno”.

(101) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 31, 44: AAS 57 (1965), pp. 37, 50-51 [pag. 193ss, 227ss].

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Approfondimenti

Il Concilio Vaticano II afferma che il Popolo di Dio «costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da Lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti, e, quale luce del mondo e sale della terra, è inviato a tutto il mondo» (Lumen Gentium, 9), che la Chiesa è missionaria, per sua natura e per mandato (Ad gentes divinitus, 2, 35), e pertanto il dovere missionario concerne tutti e ciascuno dei suoi membri e tutte e ciascuna delle sue Chiese e comunità locali (Lumen Gentium, 9).

Tale dovere riguarda primariamente e immediatamente il Papa e i Vescovi (Ad gentes divinitus, 29, 38), e in modo particolare i sacerdoti, i religiosi e le religiose, per la loro consacrazione a servizio di Dio e della Chiesa (bid. 39, 40); ma nessun fedele cristiano deve credersi esonerato da questo dovere, poiché mediante il battesimo è stato incorporato in una Chiesa essenzialmente missionaria (Ibid. 36). Effettivamente, tutti i cristiani sono obbligati a cooperare per le missioni a seconda delle proprie capacità: alcuni potranno farlo con la parola, altri con la penna, questi con il danaro, quelli con il lavoro manuale, altri, infine, dedicheranno alle missioni il loro tempo. A tutti si presenta l’opportunità di offrire per le missioni le loro preghiere, le loro tribolazioni, le loro gioie, i loro dolori.

Ed è così chiara questa universalità del dovere missionario che il Concilio, trattando dell’iniziazione cristiana fra i catecumeni, dispone che questi, prima di ricevere il battesimo, «imparino a cooperare attivamente all’evangelizzazione e all’edificazione della Chiesa» (Ad gentes divinitus, 14).

Riguardo alle Chiese giovani, poi, che in quanto tali sono generalmente molto povere di personale e di mezzi, il Concilio aggiunge essere conveniente che «partecipino quanto prima e di fatto alla missione universale della Chiesa... La comunione con la Chiesa universale raggiungerà in un certo senso la sua perfezione solo quando anche esse prenderanno parte attiva allo sforzo missionario diretto verso le altre nazioni» (Ibid. 20).

Questo dovere di cooperazione all’opera delle missioni potrebbe sembrare a qualcuno – dato l’annunzio di una Giornata Annuale delle Missioni – che si debba compiere soltanto un giorno all’anno. Tutt’altro. Non si tratta di una raccomandazione marginale, ma di un dovere fondamentale del Popolo di Dio, inerente alla natura stessa dell’essere cristiano (Ibid. 36); il «dovere più alto e più sacro della Chiesa» (Ibid. 29).

Come la respirazione non può mai interrompersi, pena la morte, così l’ansia missionaria non può limitarsi ad una sola Giornata Annuale, se non si vuol correre il rischio di compromettere l’avvenire della Chiesa e la nostra stessa esistenza cristiana. Per tale motivo, nell’importante documento Post-conciliare Ecclesiae Sanctae (Ecclesiae Sanctae, III, 3), con cui si applicano alla pastorale pratica le norme conciliari, si afferma che la Giornata Missionaria Mondiale deve essere l’espressione spontanea di uno spirito missionario, tenuto vivo tutti i giorni mediante orazioni e sacrifici quotidiani. L’asfissia spirituale, nella quale oggi tristemente si dibattono in seno alla Chiesa cattolica tanti individui e istituzioni, non avrà forse la sua origine nella prolungata assenza di un autentico spirito missionario?

Problemi a volte immediati, di trascendenza molto limitata, fanno dimenticare il formidabile problema della missione universale della Chiesa.

Quante tensioni interne, che debilitano e lacerano alcune Chiese e Istituzioni locali, scomparirebbero di fronte alla ferma convinzione che la salvezza delle comunità locali si conquista con la cooperazione all’opera missionaria, perché questa sia estesa sino ai confini della terra! (Ad gentes divinitus, 37).

Vi è un’affermazione del Concilio Vaticano II che desideriamo sia meditata attentamente: «È tanta l’armonia e la compattezza delle membra (nel Corpo mistico di Cristo), che un membro il quale non operasse per la crescita del corpo secondo la propria energia, dovrebbe dirsi inutile per la Chiesa e per se stesso» (Apostolicam Actuositatem, 2).

Esiste una circostanza che rende ancora più urgente e grave questa responsabilità missionaria del Popolo di Dio. Ci riferiamo alle molteplici possibilità che offre il mondo odierno per una penetrazione universale e simultanea del Messaggio evangelico. Noi vediamo felicemente convertita in realtà la presenza storica della Chiesa fra tutti i popoli. Nonostante vi siano paesi che si chiudono volontariamente al Vangelo, è un fatto evidente che tutti i popoli si vanno sempre più cercando fra di loro, e si mettono pertanto anche in relazione con la Chiesa.

Questa nuova e provvidenziale situazione della Chiesa nel mondo ci fa comprendere i grandi doveri e vantaggi che oggi ci si offrono nel campo della cooperazione missionaria per una diffusione su scala mondiale dell’ideale missionario e per un aiuto di vaste dimensioni a tutte le missioni della Chiesa.

dal: MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PAOLO VI PER LA GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE 1972

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO II

L'OPERA MISSIONARIA IN SE STESSA

Art. 3 – La formazione della comunità cristiana

La comunità cristiana 15 Lo Spirito Santo, che mediante il seme della parola e la predicazione del Vangelo chiama tutti gli uomini a Cristo e suscita nei loro cuori l'adesione alla fede, allorché rigenera a nuova vita in seno al fonte battesimale i credenti in Cristo, li raccoglie nell'unico popolo di Dio, che è « stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione sacra, popolo di redenti » (81).

Perciò i missionari, come cooperatori di Dio (82), devono dar vita a comunità di fedeli che, seguendo una condotta degna della vocazione alla quale sono state chiamate (83), siano tali da esercitare quella triplice funzione sacerdotale, profetica e regale che Dio ha loro affidata. In questo modo la comunità cristiana diventa segno della presenza divina nel mondo: nel sacrificio eucaristico, infatti, essa passa incessantemente al Padre in unione con il Cristo (84), zelantemente alimentata con la parola di Dio (85) rende testimonianza al Cristo (86) e segue la via della carità, ricca com'è di spirito apostolico (87).

Fin dall'inizio la comunità cristiana deve essere formata in modo che possa provvedere da sola, per quanto è possibile, alle proprie necessità. Un tal gruppo di fedeli, in possesso del patrimonio culturale della nazione cui appartiene, deve mettere profonde radici nel popolo: da esso germoglino famiglie dotate di spirito evangelico (88) e sostenute da scuole appropriate; si costituiscano associazioni e organismi, per mezzo dei quali l'apostolato dei laici sia in grado di permeare di spirito evangelico l'intera società. Risplenda infine la carità tra cattolici appartenenti a diversi riti (89).

Anche lo spirito ecumenico deve essere favorito tra i neofiti, nella chiara convinzione che i fratelli che credono in Cristo sono suoi discepoli, rigenerati nel battesimo e compartecipi di moltissimi tesori del popolo di Dio. Nella misura in cui lo permette la situazione religiosa, va promossa un'azione ecumenica tale che i cattolici, esclusa ogni forma di indifferentismo, di sincretismo e di sconsiderata concorrenza, attraverso una professione di fede – per quanto possibile comune – in Dio ed in Gesù Cristo di fronte ai non credenti, attraverso la cooperazione nel campo tecnico e sociale come in quello religioso e culturale, collaborino fraternamente con i fratelli separati, secondo le norme del decreto sull'ecumenismo. Collaborino soprattutto per la causa di Cristo, che è il loro comune Signore: sia il suo nome il vincolo che li unisce! Questa collaborazione va stabilita non solo tra persone private, ma anche, secondo il giudizio dell'ordinario del luogo, a livello delle Chiese o comunità ecclesiali, e delle loro opere.

I fedeli, che da tutti i popoli sono riuniti nella Chiesa, «non si distinguono dagli altri uomini né per territorio né per lingua né per istituzioni politiche» (90) perciò debbono vivere per Iddio e per il Cristo secondo le usanze e il comportamento del loro paese: come buoni cittadini essi debbono coltivare un sincero e fattivo amor di patria, evitare ogni forma di razzismo e di nazionalismo esagerato e promuovere l'amore universale tra i popoli.

Grande importanza hanno per il raggiungimento di questi obiettivi, e perciò vanno particolarmente curati, i laici, cioè i fedeli che, incorporati per il battesimo a Cristo, vivono nel mondo. Tocca proprio a loro, penetrati dello Spirito di Cristo, agire come un fermento nelle realtà terrene, animandole dall'interno ed ordinandole in modo che siano sempre secondo il Cristo (91).

Non basta però che il popolo cristiano sia presente ed organizzato nell'ambito di una nazione; non basta che faccia dell'apostolato con l'esempio: esso è costituito ed è presente per annunziare il Cristo con la parola e con l'opera ai propri connazionali non cristiani e per aiutarli ad accoglierlo nella forma più piena.

Inoltre, per la costituzione della Chiesa e lo sviluppo della comunità cristiana, sono necessari vari tipi di ministero, che, suscitati nell'ambito stesso dei fedeli da una aspirazione divina, tutti debbono diligentemente promuovere e rispettare: tra essi sono da annoverare i compiti dei sacerdoti, dei diaconi e dei catechisti, e l'Azione cattolica. Parimenti i religiosi e le religiose, per stabilire e rafforzare il regno di Cristo nelle anime, come anche per estenderlo ulteriormente, svolgono un compito indispensabile sia con la preghiera, sia con l'attività esterna. _______________________ NOTE (81) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 9: AAS 57 (1965), p. 13 [pag. 133ss].

(82) Cf. 1 Cor 3,9.

(83) Cf. Ef 4,1.

(84) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 10, 11, 34: AAS 57 (1965), pp. 10-17, 39-40 [pag. 137ss, 199ss].

(85) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Divina Rivelazione Dei Verbum, n. 21: AAS 58 (1966), p. 827 [pag. 543ss].

(86) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 12, 35: AAS 57 (1965), pp. 16, 40-41 [pag. 141ss, 201ss].

(87) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium nn. 23, 36: AAS 57 (1965), pp. 28, 41-42 [pag. 169ss, 203ss].

(88) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 11, 35, 41: AAS 57 (1965), pp. 15-16, 40-41, 47 [pag. 139ss, 201ss, 213ss].

(89) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sulle Chiese Cattoliche Orientali, Orientalium Ecclesiarum, n. 4: AAS 57 (1965), pp. 77-78 [pag. 283ss].

(90) Epist. ad Diognetum, 5: PG 2, 1173; cf. Conc. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 38: AAS 57 (1965), p. 43 [pag. 209].

(91) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium n. 32: AAS 57 (1965), p. 38 [pag. 195ss]; Decr. sull’Apostolato dei Laici Apostolicam Actuositatem, nn. 5-7 [pag. 571ss].

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Approfondimenti

Nata come forma della comunità cristiana in grado di comunicare e far crescere la fede nella storia e di realizzare il carattere comunitario della Chiesa, la parrocchia ha cercato di dare forma al Vangelo nel cuore dell’esistenza umana. Essa è la figura più conosciuta della Chiesa per il suo carattere di vicinanza a tutti, di apertura verso tutti, di accoglienza per tutti. Nel cattolicesimo, in particolare in quello italiano, le parrocchie hanno indicato la “vita buona” secondo il Vangelo di Gesù e hanno sorretto il senso di appartenenza alla Chiesa. Con la sua struttura flessibile, la parrocchia è stata in grado, sia pure a volte con fatica, di rispondere alle trasformazioni sociali e alle diverse sensibilità religiose. A livello di parrocchia si coglie la verità di quanto afferma il Concilio Vaticano II, e cioè che «la Chiesa cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena» [CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, 40].

Oggi, però, questa figura di parrocchia si trova minacciata da due possibili derive: da una parte la spinta a fare della parrocchia una comunità “autoreferenziale”, in cui ci si accontenta di trovarsi bene insieme, coltivando rapporti ravvicinati e rassicuranti; dall’altra la percezione della parrocchia come “centro di servizi” per l’amministrazione dei sacramenti, che dà per scontata la fede in quanti li richiedono. La consapevolezza del rischio non ci fa pessimisti: la parrocchia nel passato ha saputo affrontare i cambiamenti mantenendo intatta l’istanza centrale di comunicare la fede al popolo. Ciò tuttavia non è sufficiente ad assicurarci che anche nel futuro essa sarà in grado di essere concretamente missionaria.

Perché ciò accada, dobbiamo affrontare alcuni snodi essenziali. Il primo riguarda il carattere della parrocchia come figura di Chiesa radicata in un luogo: come intercettare “a partire dalla parrocchia” i nuovi “luoghi” dell’esperienza umana, così diffusi e dispersi? Altrettanto ci interroga la connotazione della parrocchia come figura di Chiesa vicina alla vita della gente: come accogliere e accompagnare le persone, tessendo trame di solidarietà in nome di un Vangelo di verità e di carità, in un contesto di complessità sociale crescente? E ancora, la parrocchia è figura di Chiesa semplice e umile, porta di accesso al Vangelo per tutti: in una società pluralista, come far sì che la sua “debolezza” aggregativa non determini una fragilità della proposta? E, infine, la parrocchia è figura di Chiesa di popolo, avamposto della Chiesa verso ogni situazione umana, strumento di integrazione, punto di partenza per percorsi più esigenti: ma come sfuggire al pericolo di ridursi a gestire il folklore religioso o il bisogno di sacro? Su questi interrogativi dobbiamo misurarci per riposizionare la parrocchia in un orizzonte più spiccatamente missionario.

da: IL VOLTO MISSIONARIO DELLE PARROCCHIE IN UN MONDO CHE CAMBIA, Nota pastorale della C.E.I. (2004)

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CAPITOLO II

L'OPERA MISSIONARIA IN SE STESSA

Art. 2 – La predicazione del Vangelo e la riunione del popolo di Dio

Evangelizzazione e conversione 13 Ovunque Dio apre una porta della parola per parlare del mistero del Cristo (64), ivi a tutti gli uomini (65), con franchezza (66) e con perseveranza deve essere annunziato (67) il Dio vivente e colui che egli ha inviato per la salvezza di tutti, Gesù Cristo (68). Solo così i non cristiani, a cui aprirà il cuore lo Spirito Santo (69), crederanno e liberamente si convertiranno al Signore, e sinceramente aderiranno a colui che, essendo «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6), risponde a tutte le attese del loro spirito, anzi le supera infinitamente.

Una tale conversione va certo intesa come un inizio: eppure è sufficiente perché l'uomo avverta che, staccato dal peccato, viene introdotto nel mistero dell'amore di Dio, che lo chiama a stringere nel Cristo una relazione personale con lui. Difatti, sotto l'azione della grazia di Dio, il neo-convertito inizia un itinerario spirituale in cui, trovandosi già per la fede in contatto con il mistero della morte e della risurrezione, passa dall'uomo vecchio all'uomo nuovo che in Cristo trova la sua perfezione (70). Questo passaggio, che implica un progressivo cambiamento di mentalità e di costumi, deve manifestarsi nelle sue conseguenze di ordine sociale e svilupparsi progressivamente nel tempo del catecumenato. E poiché il Signore in cui si crede è segno di contraddizione (71), non di rado chi si è convertito va incontro a rotture e a distacchi, ma anche a gioie, che Dio generosamente concede (72).

La Chiesa proibisce severamente di costringere o di indurre e attirare alcuno con inopportuni raggiri ad abbracciare la fede, allo stesso modo in cui rivendica energicamente il diritto che nessuno con ingiuste vessazioni sia distolto dalla fede stessa (73).

Secondo una prassi antichissima nella Chiesa, i motivi della conversione vanno bene esaminati, e, se è necessario, purificati.

Catecumenato e iniziazione cristiana 14 Coloro che da Dio, tramite la Chiesa, hanno ricevuto il dono della fede in Cristo (74), siano ammessi nel corso di cerimonie liturgiche al catecumenato. Questo, lungi dall'essere una semplice esposizione di verità dogmatiche e di norme morali, costituisce una vera scuola di formazione, debitamente estesa nel tempo, alla vita cristiana, in cui appunto i discepoli vengono in contatto con Cristo, loro maestro. Perciò i catecumeni siano convenientemente iniziati al mistero della salvezza ed alla pratica della morale evangelica, e mediante dei riti sacri, da celebrare successivamente (75), siano introdotti nella vita religiosa, liturgica e caritativa del popolo di Dio.

In seguito, liberati grazie ai sacramenti dell'iniziazione cristiana dal potere delle tenebre (76), morti e sepolti e risorti insieme con il Cristo (77), ricevono lo Spirito di adozione a figli (78) e celebrano il memoriale della morte e della resurrezione del Signore con tutto il popolo di Dio.

È auspicabile una riforma della liturgia del tempo quaresimale e pasquale, perché sia in grado di preparare l'anima dei catecumeni alla celebrazione del mistero pasquale, durante le cui feste essi per mezzo del battesimo rinascono in Cristo.

Questa iniziazione cristiana nel corso del catecumenato non deve essere soltanto opera dei catechisti o dei sacerdoti, ma di tutta la comunità dei fedeli, soprattutto dei padrini, in modo che i catecumeni avvertano immediatamente di appartenere al popolo di Dio. Essendo la vita della Chiesa apostolica, è necessario che essi imparino a cooperare attivamente all'evangelizzazione ed alla edificazione della Chiesa con la testimonianza della vita e con la professione della fede.

Infine, nel nuovo Codice dovrà essere più esattamente definito lo stato giuridico dei catecumeni. Essi infatti sono già uniti alla Chiesa (79), appartengono già alla famiglia del Cristo (80), e non è raro che conducano già una vita ispirata alla fede, alla speranza ed alla carità. _______________________ NOTE (64) Cf. Col 4,3.

(65) Cf. Mc 16,15.

(66) Cf. At 4,13.29.31; 9,27-28; 13,46; 14,3; 19,8; 26,26; 28,31; 1 Ts 2,2; 2 Cor 3,12; 7,4; Fil 1,20; Ef 3,12; 6,19-20.

(67) Cf. 1 Cor 9,15; Rm 10,14.

(68) Cf. 1 Ts 1,9-10; 1 Cor 1,18-21; Gal 3,1; At 14,15-17; 17,22-31.

(69) Cf. At 16,14.

(70) Cf. Col 3,5-10; Ef 4,20-24.

(71) Cf. Lc 2,34; Mt 10,34-39.

(72) Cf. 1 Ts 1,6.

(73) Cf. CONC. VAT. II, Dich. sulla Libertà Religiosa Dignitatis humanae, nn. 2, 4, 10 [pag. 627ss, 633, 641ss]; Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, n. 21 [pag. 847].

(74) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium,, n. 17: AAS 57 (1965), pp. 20-21 [pag. 153ss].

(75) Cf. CONC. VAT. II, Cost. sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, nn. 64-65: AAS 56 (1964), p. 117 [pag. 55].

(76) Cf. Col 1,13. Su questa libertà dalla schiavitù del demonio e delle tenebre nel Vangelo cf. Mt 12,28; Gv 8,44; 12,31 (cf. 1 Gv 3,8; Ef 2,1-2). Nella Liturgia del Battesimo cf. Rit. Rom.

(77) Cf. Rm 6,4-11; Col 2,12-13; 1 Pt 3,21-22; Mc 16,16.

(78) Cf. 1 Ts 3,5-7; At 8,14-17.

(79) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 14: AAS 57 (1965), p. 19 [pag. 147ss].

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Approfondimenti

Il popolo di Dio ha come primo inderogabile impegno il primo annuncio, la parola della salvezza, l’annuncio di Dio che ci ama fino a mandare il suo Figlio per salvarci e farci vivere la pienezza dell’umanità. Questo annuncio, offerto da una Chiesa caratterizzata dalla gioia che le viene dalla missione, è ciò che si aspetta oggi la gente. Essa ha bisogno di un orientamento, un senso per la vita in un tempo di confusione; essa ha bisogno di trovare ascolto, accoglienza, misericordia e tenerezza. Questo è il primo annuncio che deve essere offerto prima con i gesti che con le prediche.

Bisogna andare al di là della «nuova evangelizzazione», segno caratteristico della missione del tempo di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, per offrire «la Bellezza che salverà il mondo» (Dostoevskij). Il mondo oggi attende un annuncio e insieme una comunità che irradino gioia e attraggano coloro che la incontrano: «La Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione» (EG 14).

Questa parola del Papa Benedetto ripresa con insistita frequenza da Francesco, ha “sconvolto” la tradizionale missione ad gentes. Essa sembra squalificare il nostro fare. Non è vero, essa punta all’anima della missione: non sono più le grandi opere che attirano, ma la testimonianza della gioia dei cristiani che mostrano di aver trovato la gioia e la piena umanizzazione nel vangelo del Signore Gesù.

Dall’urgenza del primo annuncio, viene l’impegno della Chiesa missionaria di aprire a tutti i fedeli i tesori della Parola di Dio e di permettere ai fedeli di leggerla, gustarla e trasformarla in vita vissuta.

Senza pretendere dei metodi rigidi, è importante far giungere i fedeli alla lettura spirituale della Parola, quella che si chiama comunemente la lectio divina.

È molto bello vedere i catecumeni e i neofiti desiderare di leggere la Parola, e di rendersi conto che essa è la sorgente da cui sgorga la ricchezza del catechismo, una specie di roadmap per la vita cristiana e per la vita tout court, parola che aiuta a interpretare la propria storia alla luce della storia della salvezza. Compito molto impegnativo per i pastori, imprescindibile tuttavia, quello di aprire e far conoscere la Scrittura, compito che forma insieme i pastori e il popolo di Dio.

La missione ad gentes ci insegna che oggi la Chiesa nella sua azione evangelizzatrice deve cambiare il passo: la proclamazione della Parola deve ormai passare attraverso il dialogo. Chi annuncia il Vangelo non può più continuare a considerarsi il maestro che insegna, ma si dovrà fare amico dell’altro e mettersi a servizio della verità e dell’altro per poter condividere con lui la sua fede e la sua visione della vita.

Anche qui la Chiesa si ritrova davanti una società non più cristiana (la cristianità) con la quale deve fare i conti mettendosi in paziente e cordiale ascolto per aprire con essa il dialogo.

Le nostre comunità nelle città, ma anche fuori di esse, sono ormai comunità poliedriche, composte di elementi non omogenei dove si trovano gomito a gomito cristiani e non cristiani, credenti e non credenti, persone di religioni diverse.

Finito ogni complesso di superiorità, ci sentiamo, come gli altri, cercatori di Dio, che devono fare i conti con l’alterità culturale e religiosa ed evangelizzare in umiltà, senza pretese di assolutezza, ma riconoscendo di essere noi stessi alla ricerca delle tracce di Dio ovunque nella storia e nelle religioni.

Questa che, di primo colpo, potrebbe sembrare una de-missione, è invece una situazione nuova che può rivelarsi un’opportunità che permette alla Chiesa missionaria di ripartire con un passo più evangelico nel rispetto e nell’umile ascolto dell’altro. Questa rivoluzione del dialogo è un dono di Paolo VI con l’enciclica Ecclesiam suam (1964), ha tracciato per il Concilio il cammino della missione: «La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio» (n. 67).

Il dialogo è l’espressione dell’amore della Chiesa per il mondo, non ritenuto più il nemico della Chiesa, ma il partner di una relazione di amicizia che la Chiesa cerca di aprire e intrattenere con tutti nella sincerità della ricerca della verità di Dio.

Da parte dei cristiani legati alla tradizione, si teme che il dialogo comprometta la proclamazione del Vangelo e l’offerta del Battesimo. Noi missionari siamo coscienti che ci sono ambienti in cui l’evangelizzazione non può portare al Battesimo e all'entrata nella Chiesa (cf. Redemptoris missio 10). Non per questo verrà meno la proclamazione del Vangelo, ma, attraverso la testimonianza dei valori evangelici, noi possiamo far maturare la fede e la pratica religiosa dei non cristiani.

Quello che non è lecito è abbandonare questi fratelli che non possono diventare cristiani, perché anch’essi sono fratelli con i quali possiamo vivere quei «valori del regno» che anche Gesù ha promosso nella sua evangelizzazione. E questi sono quei valori che lo Spirito Santo ha seminato nella storia prima dell’arrivo dei missionari ai quali tocca di scoprirli laete et reverenter (con letizia e senso di adorazione, Ad gentes 11), coltivarli e portarli a maturazione.

Come Gesù, anche noi possiamo dire: «Ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare» (Gv 10,16) e affidare allo Spirito di Gesù che ha strade che noi non conosciamo (cf. Gaudium et spes 22) per farle giungere al mistero pasquale.

Certamente il nostro obiettivo inderogabile è far entrare tutti nella comunione con Dio nella Chiesa, anche se qualche volta l’ordine dei tempi si rovescia, secondo il principio scolastico: primum in intentione, ultimum in executione.

da una meditazione di padre Gabriele Ferrari al clero della diocesi di Trento (Tavernerio, 12 novembre 2019)

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO II

L'OPERA MISSIONARIA IN SE STESSA

Introduzione 10 La Chiesa, che da Cristo è stata inviata a rivelare ed a comunicare la carità di Dio a tutti gli uomini ed a tutti i popoli, comprende che le resta ancora da svolgere un'opera missionaria ingente. Ben due miliardi di uomini infatti – ed il loro numero cresce di giorno in giorno – uniti in grandi raggruppamenti e determinati da vincoli culturali stabili, da tradizioni religiose antiche o da salde relazioni sociali, o non hanno ancora o hanno appena ascoltato il messaggio evangelico. Di essi alcuni seguono una delle grandi religioni, altri restano ancora estranei all'idea stessa di Dio, altri ne negano dichiaratamente l'esistenza, anzi talvolta l'avversano. La Chiesa quindi, per essere in grado di offrire a tutti il mistero della salvezza e la vita che Dio ha portato all'uomo, deve cercare di inserirsi in tutti questi raggruppamenti con lo stesso movimento con cui Cristo stesso, attraverso la sua incarnazione, si legò a quel certo ambiente socio-culturale degli uomini in mezzo ai quali visse.

Art. 1 – La testimonianza cristiana

Testimonianza di vita e dialogo 11 È necessario che la Chiesa sia presente in questi raggruppamenti umani attraverso i suo}figli, che vivono in mezzo ad essi o ad essi sono inviati. Tutti i cristiani infatti, dovunque vivano, sono tenuti a manifestare con l'esempio della loro vita e con la testimonianza della loro parola l'uomo nuovo, di cui sono stati rivestiti nel battesimo, e la forza dello Spirito Santo, da cui sono stati rinvigoriti nella cresima; sicché gli altri, vedendone le buone opere, glorifichino Dio Padre (58) e comprendano più pienamente il significato genuino della vita umana e l'universale legame di solidarietà degli uomini tra loro.

Ma perché essi possano dare utilmente questa testimonianza, debbono stringere rapporti di stima e di amore con questi uomini, riconoscersi come membra di quel gruppo umano in mezzo a cui vivono, e prender parte, attraverso il complesso delle relazioni e degli affari dell'umana esistenza, alla vita culturale e sociale. Così debbono conoscere bene le tradizioni nazionali e religiose degli altri, lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo che vi si trovano nascosti; debbono seguire attentamente la trasformazione profonda che si verifica in mezzo ai popoli, e sforzarsi perché gli uomini di oggi, troppo presi da interessi scientifici e tecnologici, non perdano il contatto con le realtà divine, ma anzi si aprano ed intensamente anelino a quella verità e carità rivelata da Dio. Come Cristo stesso penetrò nel cuore degli uomini per portarli attraverso un contatto veramente umano alla luce divina, così i suoi discepoli, animati intimamente dallo Spirito di Cristo, debbono conoscere gli uomini in mezzo ai quali vivono ed improntare le relazioni con essi ad un dialogo sincero e comprensivo, affinché questi apprendano quali ricchezze Dio nella sua munificenza ha dato ai popoli; ed insieme devono tentare di illuminare queste ricchezze alla luce del Vangelo, di liberarle e di ricondurle sotto l'autorità di Dio salvatore.

Presenza della carità 12 La presenza dei cristiani nei gruppi umani deve essere animata da quella carità con la quale Dio ci ha amato: egli vuole appunto che anche noi reciprocamente ci amiamo con la stessa carità (59). Ed effettivamente la carità cristiana si estende a tutti, senza discriminazioni razziali, sociali o religiose, senza prospettive di guadagno o di gratitudine. Come Dio ci ha amato con amore disinteressato, così anche i fedeli con la loro carità debbono preoccuparsi dell'uomo, amandolo con lo stesso moto con cui Dio ha cercato l'uomo. Come quindi Cristo percorreva tutte le città e i villaggi, sanando ogni malattia ed infermità come segno dell'avvento del regno di Dio (60), così anche la Chiesa attraverso i suoi figli si unisce a tutti gli uomini di qualsiasi condizione, ma soprattutto ai poveri ed ai sofferenti, prodigandosi volentieri per loro (61). Essa infatti condivide le loro gioie ed i loro dolori, conosce le aspirazioni e i problemi della vita, soffre con essi nell'angoscia della morte. A quanti cercano la pace, essa desidera rispondere con il dialogo fraterno, portando loro la pace e la luce che vengono dal Vangelo.

I fedeli debbono impegnarsi, collaborando con tutti gli altri, alla giusta composizione delle questioni economiche e sociali. Si applichino con particolare cura all'educazione dei fanciulli e dei giovani nei vari ordini di scuole, che vanno considerate non semplicemente come un mezzo privilegiato per la formazione e lo sviluppo della gioventù cristiana, ma insieme come un servizio di primaria importanza per gli uomini e specialmente per le nazioni in via di sviluppo, in ordine all'elevazione della dignità umana ed alla preparazione di condizioni più umane. Portino ancora i cristiani il loro contributo ai tentativi di quei popoli che, lottando contro la fame, l'ignoranza e le malattie, si sforzano per creare migliori condizioni di vita e per stabilire la pace nel mondo. In questa attività ambiscano i fedeli di collaborare intelligentemente alle iniziative promosse dagli istituti privati e pubblici, dai governi, dagli organismi internazionali, dalle varie comunità cristiane e dalle religioni non cristiane.

La Chiesa tuttavia, non desidera affatto intromettersi nel governo della città terrena. Essa non rivendica a se stessa altra sfera di competenza, se non quella di servire gli uomini amorevolmente e fedelmente, con l'aiuto di Dio (62).

I discepoli di Cristo, mantenendosi in stretto contatto con gli uomini nella vita e nell'attività, si ripromettono così di offrir loro un'autentica testimonianza cristiana e di lavorare alla loro salvezza, anche là dove non possono annunciare pienamente il Cristo. Essi infatti non cercano il progresso e la prosperità puramente materiale degli uomini, ma intendono promuovere la loro dignità e la loro unione fraterna, insegnando le verità religiose e morali che Cristo ha illuminato con la sua luce, e così gradualmente aprire una via sempre più perfetta verso il Signore. In tal modo gli uomini vengono aiutati a raggiungere la salvezza attraverso la carità verso Dio e verso il prossimo; comincia allora a risplendere il mistero del Cristo, in cui appare l'uomo nuovo, creato ad immagine di Dio (63), ed in cui si rivela la carità di Dio. _______________________ NOTE

(58) Cf. Mt 5,16.

(59) Cf. 1 Gv 4,11.

(60) Cf. Mt 9,35ss; At 10,38.

(61) Cf. 2 Cor 12,15.

(62) Cf. Mt 20,26; 23,11; Disc. di PAOLO VI pronunciato in Concilio il 21 nov. 1964: AAS 56 (1964), p. 1013 [pag. 1255s].

(63) Cf. Ef 4,24.

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Approfondimenti

Al centro della missione cristiana vi è il Vangelo di Gesù Cristo, e, di conseguenza, la dinamica missionaria rimane in vita solo se nasce dalla gioia del Vangelo e la testimonia, per il desiderio di condividere con gli altri il dono inestimabile che Dio ci ha fatto. Nella fede, i cristiani ritengono che già la prima parola con la quale inizia la storia della salvezza nel Nuovo Testamento è una parola di gioia, vale a dire il saluto rivolto a Maria dall’Arcangelo Gabriele: “Chaire – rallegrati!” (Lc 1, 28). La gioia è il contenuto centrale del messaggio di Dio, che si chiama “vangelo”. La gioia non solo è contenuta nella parola “evangelium”, ma contagia tutti coloro che ascoltano, annunciano e vivono il Vangelo. Il fatto che la prima parola del Vangelo sia una parola di gioia dimostra chiaramente che il cristianesimo, nella sua più intima essenza, è gioia, ovvero è potenziamento alla gioia operato da Dio.

Il cristianesimo è la religione della gioia, perché annuncia in primo luogo la gioia di Dio per la sua creazione. Da ciò deriva la gioia che noi cristiani possiamo avere nei confronti di Dio. Annunciare questa gioia per Dio è la missione più importante del cristianesimo odierno, come Papa Benedetto XVI ha ripetutamente ricordato: “Risvegliare la gioia per Dio, la gioia per la rivelazione di Dio e per l’amicizia con Dio mi sembra un compito urgente della Chiesa nel nostro secolo. Anche per noi oggi sono assolutamente pertinenti le parole rivolte dal sacerdote Esdra al popolo scoraggiato dopo l’esilio: ‘la gioia del Signore è la nostra forza’ (Nee 8,10).”[40] Anche per Papa Francesco la gioia è una parola chiave, che egli ha fatto risuonare già nella sua prima esortazione apostolica: “Evangelii gaudium”. Di fatti, Papa Francesco è convinto che con Gesù Cristo “sempre nasce e rinasce la gioia” e che quindi abbiamo bisogno di una “nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia” [Francesco, Evangelii gaudium, n. 1].

La gioia è il motore più profondo della missione della Chiesa. La più semplice dimostrazione di ciò è il detto tedesco tratto dalla saggezza popolare che afferma: “La bocca trabocca perché il cuore è pieno di gioia”. Di questa verità facciamo noi stessi esperienza: quando le persone vivono qualcosa di molto bello, come ad esempio delle splendide vacanze, non c’è proprio bisogno di far loro domande o di spingerle a raccontare quello che hanno sperimentato: lo faranno spontaneamente. A volte le parole escono entusiaste dalla bocca, rendendoci partecipi delle esperienze altrui. “La bocca trabocca perché il cuore è pieno di gioia”: questa verità è ancora più valida per la fede cristiana quando riempie il cuore dei fedeli, tanto che essi iniziano spontaneamente ad annunciare il Vangelo, a parlare ad altri di Dio e a trasmettere la gioia di cui sono colmi.

La missione cristiana oggi non è dunque portata avanti mediante campagne pubblicitarie rivolte al consumatore, tramite montagne di documenti o attraverso i mass media. Lo strumento migliore per diffondere Dio sono i credenti stessi, che vivono la loro fede in modo credibile e conferiscono al Vangelo un volto personale. Se Cristo davvero ci illumina come luce del mondo, noi stessi brilleremo, saremo cristiani luminosi, come quelle famose candele finlandesi che bruciano dall’interno verso l’esterno per dare luce [Vgl. K. Kardinal Koch, Das Gute selbst ist kommunikativ – „bonum diffusivum sui“. Evangelisierung als Wirkung eines strahlenden Glaubens, in: G. Augustin (Hrsg.), Die Strahlkraft des Glaubens. Identität und Relevanz des Christseins heute (Freiburg i. Br. 2016) 45-67]. Un cristianesimo missionario ha bisogno soprattutto di battezzati i cui cuori siano stati aperti da Dio e la cui ragione sia stata illuminata dalla luce di Dio, affinché i loro cuori possano toccare i cuori degli altri e la loro ragione possa parlare alla ragione degli altri. Solo attraverso persone che si lasciano toccare da Dio, Dio può arrivare oggi alle persone.

Oggi abbiamo bisogno di un nuovo slancio missionario, al quale Papa Francesco ad esempio ha contribuito quando, in occasione del centenario della Lettera apostolica di Papa Benedetto XV “Maximum illud” sull’attività svolta dai missionari in tutto il mondo, ha proclamato il Mese Missionario Straordinario nell’ottobre del 2019, al fine di “risvegliare maggiormente la consapevolezza della missio ad gentes e di riprendere con nuovo slancio la trasformazione missionaria della vita e della pastorale”. A questo appello possiamo rispondere solo tornando al fondamentale compito missionario dei cristiani e della Chiesa, che consiste nella testimonianza della fede e della vera gioia cristiana donataci dal Vangelo di Gesù Cristo.

da: I FONDAMENTI DELLA VALIDITÀ PERMANENTE DELLA MISSIO AD GENTES – Kurt card. Koch, 2019

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO I

PRINCIPI DOTTRINALI

L'attività missionaria della Chiesa

6 Questo compito, che l'ordine episcopale, a capo del quale si trova il successore di Pietro, deve realizzare con la collaborazione e la preghiera di tutta la Chiesa, è uno ed immutabile in ogni luogo ed in ogni situazione, anche se in base al variare delle circostanze non si esplica allo stesso modo. Le differenze quindi, che pur vanno tenute presenti in questa attività della Chiesa, non nascono dalla natura intrinseca della sua missione, ma solo dalle circostanze in cui la missione stessa si esplica.

Tali condizioni dipendono sia dalla Chiesa, sia dai popoli, dai gruppi umani o dagli uomini, a cui la missione è indirizzata. Difatti la Chiesa, pur possedendo in forma piena e totale i mezzi atti alla salvezza, né sempre né subito agisce o può agire in maniera completa: nella sua azione, tendente alla realizzazione del piano divino, essa conosce inizi e gradi; anzi talvolta, dopo inizi felici, deve registrare dolorosamente un regresso, o almeno si viene a trovare in uno stadio di inadeguatezza e di insufficienza. Per quanto riguarda poi gli uomini, i gruppi e i popoli, solo gradatamente essa può raggiungerli e conquistarli, assumendoli così nella pienezza cattolica. A qualsiasi condizione o stato devono poi corrispondere atti appropriati e strumenti adeguati.

Le iniziative principali con cui i divulgatori del Vangelo, andando nel mondo intero, svolgono il compito di predicarlo e di fondare la Chiesa in mezzo ai popoli ed ai gruppi umani che ancora non credono in Cristo, sono chiamate comunemente «missioni»: esse si realizzano appunto con l'attività missionaria e si svolgono per lo più in determinati territori riconosciuti dalla santa Sede. Fine specifico di questa attività missionaria è la evangelizzazione e la fondazione della Chiesa in seno a quei popoli e gruppi umani in cui ancora non è radicata (34). Così è necessario che dal seme della parola di Dio si sviluppino Chiese particolari autoctone, fondate dovunque nel mondo in numero sufficiente. Chiese che, ricche di forze proprie e di una propria maturità e fornite adeguatamente di una gerarchia propria, unita al popolo fedele, nonché di mezzi consoni al loro genio per viver bene la vita cristiana, portino il loro contributo a vantaggio di tutta quanta la Chiesa. Il mezzo principale per questa fondazione è la predicazione del Vangelo di Gesù Cristo, per il cui annunzio il Signore inviò nel mondo intero i suoi discepoli, affinché gli uomini, rinati mediante la parola di Dio (35), siano con il battesimo aggregati alla Chiesa, la quale, in quanto corpo del Verbo incarnato, riceve nutrimento e vita dalla parola di Dio e dal pane eucaristico (36).

In questa attività missionaria della Chiesa si verificano a volte condizioni diverse e mescolate le une alle altre: prima c'è l'inizio o la fondazione, poi il nuovo sviluppo o periodo giovanile. Ma, anche terminate queste fasi, non cessa l'azione missionaria della Chiesa: tocca anzi alle Chiese particolari già organizzate continuarla, predicando il Vangelo a tutti quelli che sono ancora al di fuori.

Inoltre i gruppi umani in mezzo ai quali si trova la Chiesa spesso per varie ragioni cambiano radicalmente, donde possono scaturire situazioni del tutto nuove. In questo caso la Chiesa deve valutare se esse sono tali da richiedere di nuovo la sua azione missionaria. Ed ancora, si danno a volte delle circostanze che, almeno temporaneamente, rendono impossibile l'annunzio diretto ed immediato del messaggio evangelico. In questo caso i missionari possono e debbono con pazienza e prudenza, e nello stesso tempo con grande fiducia, offrire almeno la testimonianza della carità e della bontà di Cristo, preparando così le vie del Signore e rendendolo in qualche modo presente.

È evidente quindi che l'attività missionaria scaturisce direttamente dalla natura stessa della Chiesa essa ne diffonde la fede salvatrice, ne realizza l'unità cattolica diffondendola, si regge sulla sua apostolicità, mette in opera il senso collegiale della sua gerarchia, testimonia infine, diffonde e promuove la sua santità. Così l'attività missionaria tra i pagani differisce sia dalla attività pastorale che viene svolta in mezzo ai fedeli, sia dalle iniziative da prendere per ristabilire l'unità dei cristiani. Tuttavia queste due forme di attività si ricongiungono saldamente con l'attività missionaria della Chiesa (37) la divisione dei cristiani è infatti di grave pregiudizio alla santa causa della predicazione del Vangelo a tutti gli uomini (38) ed impedisce a molti di abbracciare la fede. Così la necessità della missione chiama tutti i battezzati a radunarsi in un solo gregge ed a rendere testimonianza in modo unanime a Cristo, loro Signore, di fronte alle nazioni. Essi, se ancora non possono testimoniare pienamente l'unità di fede, debbono almeno essere animati da reciproca stima e amore.

Ragioni dell'attività missionaria 7 La ragione dell'attività missionaria discende dalla volontà di Dio, il quale «vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità. Vi è infatti un solo Dio, ed un solo mediatore tra Dio e gli uomini, Gesù Cristo, uomo anche lui, che ha dato se stesso in riscatto per tutti» (1Tm 2,4-6), «e non esiste in nessun altro salvezza» (At 4,12). È dunque necessario che tutti si convertano al Cristo conosciuto attraverso la predicazione della Chiesa, ed a lui e alla Chiesa, suo corpo, siano incorporati attraverso il battesimo (39). Cristo stesso infatti, «ribadendo espressamente la necessità della fede e del battesimo (cfr. Mc 16,16; Gv 3,5), ha confermato simultaneamente la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano, per così dire, attraverso la porta del battesimo. Per questo non possono salvarsi quegli uomini i quali, pur sapendo che la Chiesa cattolica è stata stabilita da Dio per mezzo di Gesù Cristo come istituzione necessaria, tuttavia rifiutano o di entrare o di rimanere in essa» (40). Benché quindi Dio, attraverso vie che lui solo conosce, possa portare gli uomini che senza loro colpa ignorano il Vangelo a quella fede «senza la quale è impossibile piacergli» (41), è tuttavia compito imprescindibile della Chiesa (42), ed insieme suo sacrosanto diritto, diffondere il Vangelo; di conseguenza l'attività missionaria conserva in pieno – oggi come sempre – la sua validità e necessità.

Grazie ad essa il corpo mistico di Cristo raccoglie e dirige ininterrottamente le sue forze per promuovere il proprio sviluppo (43). A svolgere questa attività le membra della Chiesa sono sollecitate da quella carità con cui amano Dio e con cui desiderano condividere con tutti gli uomini i beni spirituali della vita presente e della vita futura.

Grazie a questa attività missionaria, infine, Dio è pienamente glorificato, nel senso che gli uomini accolgono in forma consapevole e completa la sua opera salvatrice, che egli ha compiuto nel Cristo. Sempre grazie ad essa si realizza il piano di Dio, a cui Cristo in spirito di obbedienza e di amore si consacrò per la gloria del Padre che l'aveva mandato (44) che tutto il genere umano costituisca un solo popolo di Dio, si riunisca nell'unico corpo di Cristo, sia edificato in un solo tempio dello Spirito Santo; tutto ciò, mentre favorisce la concordia fraterna, risponde all'intimo desiderio di tutti gli uomini. Così finalmente si compie davvero il disegno del Creatore, che creò l'uomo a sua immagine e somiglianza, quando tutti quelli che sono partecipi della natura umana, rigenerati in Cristo per mezzo dello Spirito Santo, riflettendo insieme la gloria di Dio, potranno dire: «Padre nostro» (45).

L'attività missionaria nella vita e nella storia 8 L'attività missionaria è anche intimamente congiunta con la natura umana e con le sue aspirazioni. Difatti la Chiesa, per il fatto stesso che annuncia loro il Cristo, rivela agli uomini in maniera genuina la verità intorno alla loro condizione e alla loro vocazione integrale, poiché è Cristo il principio e il modello dell'umanità nuova, cioè di quell'umanità permeata di amore fraterno, di sincerità, di spirito di pace, che tutti vivamente desiderano. Cristo e la Chiesa, che a lui con la sua predicazione evangelica rende testimonianza, superano i particolarismi di razza e di nazionalità, sicché a nessuno e in nessun luogo possono apparire estranei (46). Il Cristo è la verità e la via, che la predicazione evangelica a tutti svela, facendo loro intendere le parole da lui stesso pronunciate: «Convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15). E poiché chi non crede è già condannato (47), è evidente che le parole di Cristo sono insieme parole di condanna e di grazia, di morte e di vita. Soltanto facendo morire ciò che è vecchio possiamo pervenire al rinnovamento della vita: e questo vale anzitutto per le persone, ma vale anche per i vari beni di questo mondo, contrassegnati insieme dal peccato dell'uomo e dalla benedizione di Dio: «tutti infatti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio» (Rm 3,23). Ora nessuno di per se stesso e con le sue forze riesce a liberarsi dal peccato e ad elevarsi in alto, nessuno è in grado di affrancarsi dalla sua debolezza, dalla sua solitudine o dalla sua schiavitù (48) tutti han bisogno del Cristo come di un esempio, di un maestro, di un liberatore, di un salvatore, come di colui che dona la vita. Ed effettivamente nella storia umana, anche dal punto di vista temporale, il Vangelo ha sempre rappresentato un fermento di libertà e di progresso, e si presenta sempre come fermento di fraternità, di umiltà e di pace. Ben a ragione, dunque, Cristo viene esaltato dai fedeli come «l'atteso delle genti ed il loro salvatore» (49).

Carattere escatologico dell'attività missionaria 9 Pertanto, il periodo dell'attività missionaria si colloca tra la prima e la seconda venuta di Cristo, in cui la Chiesa, qual messe, sarà raccolta dai quattro venti nel regno di Dio (50). Prima appunto della venuta del Signore, il Vangelo deve essere annunziato a tutte le nazioni (51).

L'attività missionaria non è altro che la manifestazione, cioè l'epifania e la realizzazione, del piano divino nel mondo e nella storia: con essa Dio conduce chiaramente a termine la storia della salvezza. Con la parola della predicazione e con la celebrazione dei sacramenti, di cui è centro e vertice la santa eucaristia, essa rende presente il Cristo, autore della salvezza. Purifica dalle scorie del male ogni elemento di verità e di grazia presente e riscontrabile in mezzo ai pagani per una segreta presenza di Dio e lo restituisce al suo autore, cioè a Cristo, che distrugge il regno del demonio e arresta la multiforme malizia del peccato. Perciò ogni elemento di bene presente e riscontrabile nel cuore e nell'anima umana o negli usi e civiltà particolari dei popoli, non solo non va perduto, ma viene sanato, elevato e perfezionato per la gloria di Dio, la confusione del demonio e la felicità dell'uomo (52). Così l'attività missionaria tende alla sua pienezza escatologica (53) grazie ad essa, infatti, secondo il modo e il tempo che il Padre ha riservato al suo potere (54), si estende il popolo di Dio, in vista del quale è stato detto in maniera profetica: «Allarga lo spazio della tua tenda, distendi i teli dei tuoi padiglioni! Non accorciare!» (Is 54,2) (55), grazie ad essa cresce il corpo mistico fino alla misura dell'età della pienezza di Cristo (56); grazie ad essa il tempio spirituale, in cui si adora Dio in spirito e verità (57), si amplia e si edifica sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, mentre ne è pietra angolare lo stesso Cristo Gesù (cfr. Ef 2,20). _______________________ NOTE

(34) Già S. TOMMASO D’AQ. parla della missione apostolica di impiantare la Chiesa: cf. Sent. Lib. I, dist. 16, q. 1, a. 2 ad 2 e ad 4; a. 3 sol.; Summa Theol., I, q. 43, a. 7 ad 6; I-II, q. 106, a. 4 ad 4. Cf. BENEDETTO XV, Maximum illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), pp. 445 e 453; PIO XI, Rerum Ecclesiae, 28 feb. 1926: AAS 18 (1926), p. 74; PIO XII, 30 apr. 1939, ai Direttori delle PP. OO. MM.; ID., 24 giug. 1944, ai Direttori delle PP. OO. MM: AAS 36 (1944), p. 210; di nuovo in AAS 42 (1950), p. 727, e 43 (1951), p. 508; ID., 29 giu. 1948 al clero indigeno: AAS 40 (1948), p. 374; ID., Evangelii Praecones, 2 giu. 1951: AAS 43 (1951), p. 507; ID., Fidei Donum, 15 genn. 1957: AAS 49 (1957), p. 236; GIOVANNI XXIII, Princeps Pastorum, 28 nov. 1959: AAS 51 (1959), p. 835; PAOLO VI, Om., 18 ott. 1964: AAS 55 (1964), p. 911. Sia i Sommi Pontefici che i Padri e gli Scolastici parlano della dilatazione della Chiesa: S. TOMMASO D’AQ., Comm. in Matt., 16, 28; LEONE XIII, Enc. Sancta Dei Civitas, 3 dic. 1880: ASS 13 (1880), p. 241; BENEDETTO XV, Enc. Maximum illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), p. 442; PIO XI, Enc. Rerum Ecclesiae, 28 feb. 1926: AAS 18 (1926), p. 65.

(35) Cf. 1 Pt 1,23.

(36) Cf. At 2,42.

(37) Com’è evidente, in questa nozione di attività missionaria sono ovviamente incluse anche quelle parti dell’America Latina nelle quali non ci sono né una propria Gerarchia, né una maturità di vita cristiana, né una sufficiente predicazione del Vangelo. Che poi tali terre siano di fatto riconosciute come di missione dalla Santa Sede non dipende dal Concilio. Per questo, quanto alla connessione tra la nozione di attività missionaria e determinati territori è detto di proposito che questa attività viene svolta “per lo più” in certi territori riconosciuti dalla Santa Sede.

(38) Cf. CONC. VAT. II, Decr. sull’Ecumenismo Unitatis redintegratio, n. 1: AAS 57 (1965), p. 90 [pag. 305ss].

(39) Cf. Mc 16,16; Gv 3,5.

(40) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 14: AAS 57 (1965), p. 18 [pag. 147ss].

(41) Cf. Eb 11,6.

(42) Cf. 1 Cor 9,16.

(43) Cf. Ef 4,11-16.

(44) Cf. Gv 7,18; 8,30 e 44; 8,50; 17,1.

(45) Su questa idea sintetica vedi la dottrina di sant’IRENEO sulla Ricapitolazione. Cf. anche IPPOLITO, De Antichristo, 3: “Volendo tutti e desiderando salvare tutti, volendo essere a capo di tutti i figli di Dio e chiamando tutti i santi in un solo uomo perfetto...”: PG 10, 732; GCS Ippolito I, 2, p. 6; Benedictiones Iacob, 7: T.U., 38-1, p. 18, lin. 4ss; ORIGENE, In Ioann., Tom. I, n. 16: “Unico sarà allora l’atto di conoscere Dio di coloro che sono giunti a Dio, guidati da quel Verbo che è presso Dio, perché così tutti i figli siano pienamente formati nella conoscenza del Padre, come ora il solo Figlio conosce il Padre”: PG 14, 49; GCS Orig. IV, 20; S. AGOSTINO, De sermone Domini in monte, I, 41: “Amiamo quello che con noi può condurre a quei regni, dove nessuno dice: Padre mio, ma tutti all’unico Dio: Padre nostro”: PL 34, 1250; S. CIRILLO D’ALESS., In Ioann. I: “Siamo tutti in Cristo e il carattere comune dell’umanità rivive in lui. Perciò viene detto anche nuovo Adamo... Abitò infatti in noi colui che per natura è Figlio e Dio, per questo gridiamo nel suo Spirito: Abbà, Padre! Il Verbo abita in tutti come in un solo tempio, cioè quello che ha assunto per noi e da noi, perché, avendo tutti in se stesso, ci riconciliasse tutti in un solo corpo, come dice Paolo”: PG 73, 161-164.

(46) BENEDETTO XV, Maximum illud, 30 nov. 1919: AAS 11 (1919), p. 445: “Come la Chiesa di Dio è cattolica e non è estranea a nessun popolo o nazione...”. Cf. GIOVANNI XXIII, Mater et Magistra: “La Chiesa è universale per diritto divino... Inserendosi nella vita dei popoli, non è né si sente mai una istituzione che venga imposta dal di fuori... E quanto in lui rappresenta un valore, qualunque ne sia la natura, viene riaffermato e nobilitato” (cioè, coloro che sono rinati in Cristo): 25 maggio 1961: AAS 53 (1961), p. 444.

(47) Cf. Gv 3,18.

(48) Cf. IRENEO, Adv. Haer., III, 15 n. 3: PG 7, 919: “Furono predicatori della verità e apostoli della libertà”.

(49) Breviario romano, Ant. O [al Magnificat] ai vespri del 23 dicembre.

(50) Cf. Mt 24,31; Didachè, 10,5: FUNK I, p. 32.

(51) Cf. Mc 13,10.

(52) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 17: AAS 57 (1965), pp. 20-21 [pag. 153ss]; S. AGOSTINO, De Civitate Dei, 19, 17: PL 41, 646; Istr. della S. C. di P. F.: Collectanea I, n. 135, p. 42.

(53) Secondo Origene, il Vangelo dev’essere predicato prima della consumazione di questo mondo: Hom. in Luc. XXI: GCS Orig. IX, 136, 21s; In Matth. comm. ser., 39: XI, 75, 25s; Hom. in Ierem., III, 2: VIII, 308, 29s; S. TOMMASO, Summ. Theol., I-II, q. 106, a. 4, ad 4.

(54) Cf. At 1,7.

(55) ILARIO DI POIT., In Ps. 14: PL 9, 301; EUSEBIO DI CESAREA, In Isaiam 54, 2-3: PG 24, 462-463; CIRILLO D’ALESS., In Isaiam V, cap. 54, 1-3: PG 70, 1193.

(56) Cf. Ef 4,13.

(57) Cf. Gv 4,23.

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Approfondimenti

La “missio Dei”: la missione appartiene a Dio La missione è opera di Dio, prima che di coloro che la servono in suo nome! Da questa affermazione traiamo due semplici conclusioni. La prima riguarda l’apertura di orizzonte che questa tesi ha comportato. La missione non è una scelta pratica per l’ampliamento della Chiesa ma è l’opera di Dio per questa umanità. Il testo di Ad Gentes 4 menziona questo fatto presentandolo come opera dello Spirito «nel mondo» già prima della Pentecoste; il n. 7 ribadisce questo agire di Dio «attraverso vie che lui solo conosce» a persone che «senza loro colpa ignorano il vangelo»: nel suo insieme, questa ripresa di Lumen Gentium 168 è di tipo concessivo e perciò limitata ma non si dovrebbe dimenticare né Gaudium et Spes al n. 22 né Redemptoris Missio ai numeri 10 e 20 che la completano. Più che un commento a questi testi può essere utile richiamare un testo di P. Evdokimov che Chiara Lubich aveva la consuetudine di citare, specie nei dialoghi interreligiosi come in quelli con il buddismo giapponese: «noi sappiamo dove è la Chiesa ma non ci è dato di giudicare e dire dove non è». Quello che i testi e le parole ricordate possono dirci è chiaro: vi è un mistero – quello dell’amore di Dio – che avvolge il mondo e la storia umana; è un mistero che non si comprende in termini puramente razionali ma che si percepisce nelle sue dinamiche di agape e di kenosis solo con una vita spirituale intensa. Non ci si impadronisce del mistero ma lo si accoglie e lo si vive come pienezza. Ma se questa è l’esperienza del nostro credere, allora non posso che condividere quanto suggerisce S. Bevans: appoggiandosi a J. Dunn e K. Kim, nella relazione tenuta al Seminario voluto dalla rivista Ad Gentes nella tarda estate del 2011, S. Bevans ha osservato che, se la missione è l’opera di Dio, «allora il primo atto missionario è il discernimento per scoprire il modo in cui lo Spirito si sta muovendo nel mondo per unirsi a quel movimento».

Questo porta in primo piano la problematica dei segni dei tempi e la questione del discernimento. Il discernimento è un interrogarsi sui cambiamenti in atto alla luce della Parola così da ritrovare al suo seguito la bellezza del disegno di Dio. In questo impegno quale il senso della missione? In termini molto generici, possiamo dire che la missione è uno sguardo positivo sulla realtà per leggerla alla luce del vangelo e per trovare in quella Parola, che è sapienza e dinamismo creativo, la forza per metterla in pratica. Ad Gentes 1 indica nella Chiesa – «sacramento universale di salvezza», «sale della terra e luce del mondo» – il vero soggetto della missione e le affida l’incarico di «salvare e rinnovare ogni creatura» riportando ogni cosa all’originario disegno divino. Si tratta di un disegno che il n. 2 descrive come centrato su «la gloria di Dio e la nostra felicità». Il n. 3 assegna alla Chiesa il compito storico di “stabilire la shalom”, descritta come comunione con Dio e fraternità umana; il nesso tra le due cose è tale che non si può rivolgersi a Dio trascurando la causa della persona umana e viceversa. Il n. 4 lega la missione allo Spirito, da sempre all’opera nella storia dell’umanità: lo Spirito «vivifica come loro anima le istituzioni ecclesiastiche, infonde nel cuore dei fedeli lo spirito missionario di Gesù e previene, accompagna e dirige l’azione apostolica».

L’azione missionaria della Chiesa è descritta su questa base ed è già molto. Va detto però che l’essere discepoli di Cristo e l’esserlo in modo missionario ci ha insegnato – in questi dopo il Concilio Vaticano II – l’impegno per la persona umana e l’attenzione ai poveri, la consapevolezza del valore della diversità e la fiducia nell’universalità dell’amore. Mentre le chiese occidentali sono alle prese con il dibattito tra fede e appartenenza, le chiese asiatiche e africane hanno preso in mano il Vangelo e, pur nella sofferenza e non di rado nel martirio, hanno cominciato a viverlo. Ci hanno offerto una testimonianza semplice e chiara, gioiosa e fresca anche nella sua ritualità, esperienziale e piena di vita anche se poco dotta. Non a caso tutti i discorsi sulla recezione del Concilio sono occidentali; le chiese del sud del mondo, più semplicemente, cercano di viverlo. L’interrogativo che ci accompagna oggi è nitido: come sarà la missione del futuro?

La “traditio fidei”: la comunicazione della fede appartiene alla Chiesa Se il cuore della missione è la missio Dei, la trasmissione della fede appartiene alla Chiesa. «Evangelizzare, infatti, è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo» (Evangelii Nuntiandi 14). La traditio fidei è espressione della missio Dei: il suo orizzonte è fissato dall’universalità dell’amore trinitario, è rivelato nella forma della kénosis di Gesù ed ha come contenuto l’agape divina. Tuttavia questa traditio è una realtà tipicamente umana che, in quanto tale, spetta alla Chiesa. Va detto subito che, poiché la fede – legata alla rivelazione divina – è struttura di verità, molte volte facciamo fatica ad accettare quelle forme di comunicazione che passano attraverso la diversità delle posizioni, il problematizzare, il dialogare, l’essere incerti, il complesso maturare delle scelte personali. Riduciamo tutto all’annunciare e all’insegnare; da poco abbiamo cominciato a porre l’accento sul testimoniare. Inoltre la comunicazione religiosa, una volta al centro delle dinamiche sociali, è oggi notevolmente ridimensionata; all’attenzione dei media, se mai, sta il papa ma non certo il parroco o il teologo. Troviamo qui uno dei punti nodali della missione: come comunicare il vangelo? con quali modalità? come mantenere alla comunicazione della fede uno spessore di senso che non l’abbandoni nel puro ambito della soggettività, della realtà virtuale, del simulacro?

Senza addentrarmi in questioni tecniche, osservo che il nostro tempo è sempre più segnato dal superamento della monodirezionalità del comunicare e dalla valorizzazione della interattività con notevoli conseguenze sul piano delle relazioni interpersonali ed interculturali. Inoltre l’appropriazione commerciale dell’altro – musica, vestiti, cibo, ciondoli – ha evidenziato una maniera di concepire le relazioni che resta di stile coloniale, senza nessuna volontà di conoscenza o di dialogo con il suo mondo. A fronte della tecnicità di queste tematiche, la missione appare una realtà quasi dilettantesca e lo stesso impegno della comunità cristiana in questo ambito appare piuttosto marginale.

Al di là di molte osservazioni, vorrei arrischiare anch’io qualche indicazione. In un libro giustamente famoso, Roger P. Schroeder e Stephen B. Bevan hanno offerto un quadro che esplicita i temi fondativi della missione, le sue costanti, il suo contesto ed anche la sua spiritualità. Al centro vi è un dialogo profetico che chiede alla Chiesa una audace umiltà. A questo lavoro ed a quello di David J. Bosch non si può che rimandare. Io vorrei semplicemente richiamare tre atteggiamenti tra i tanti che si potrebbero ricordare.

Il primo è la centralità della testimonianza. Resta fondamentale al riguardo il testo di Evangelii Nuntiandi 41, un testo più citato che praticato: «l’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri; […] è dunque mediante la sua condotta, mediante la sua vita, che la Chiesa evangelizzerà innanzitutto il mondo, vale a dire mediante la sua testimonianza vissuta di fedeltà al Signore Gesù, di povertà e di distacco, di libertà di fronte ai poteri di questo mondo, in una parola, di santità». La testimonianza è poi completata da un insieme di atteggiamenti ben richiamati in Evangelii Gaudium 21-23: «la gioia del vangelo che riempie la vita della comunità», «la libertà inafferrabile della Parola, che è efficace a suo modo, e in forme molto diverse» dai nostri intenti e dalle nostre previsioni ed, infine, «l’intimità itinerante» che lega la Chiesa a Gesù. Ecclesia in Asia descrive questo bisogno di valori spirituali ed, al n. 22, chiede di «dimostrare sensibilità al patrimonio religioso e culturale delle persone tra le quali vivono e che servono».

Il secondo è il coraggio di una sapienza capace di riconciliare dolori e sofferenze e di aprire nuovi orizzonti. L’umanità di Gesù è il modello di questi comportamenti: mostra a tutti un amore liberante che rivela il mistero profondo di Dio e include poveri, peccatori ed emarginati; non cuce una stoffa nuova su un vestito vecchio e non mette vino nuovo in otri vecchi ma proclama la novità del regno che è cominciato. E lo fa in comunione con tutte le persone di buona volontà, specie le persone che hanno una fede. Radicata nell’agape trinitario, la missione «sarà in grado di preservare la validità dei “fini” di tutte le religioni, rendendo al contempo un’umile testimonianza alla travolgente ricchezza del “fine” religioso cristiano dell’intima comunione con Dio, con gli altri e con la totalità del creato».

Un ultimo aspetto oggi segnato da viva riscoperta, ma ugualmente bisognoso di attenzione ed evangelizzazione, è la religiosità popolare. Non vi è dubbio infatti che, non di rado, rimanga in forme rituali prive di una autentica adesione di fede. Evangelii Nuntiandi 48 indica però tre aspetti che sarà bene tenere presenti: il primo è la manifestazione di «una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere»; il secondo riguarda il senso acuto di alcuni attributi di Dio quali «la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante» ed il terzo è l’insieme di atteggiamenti interiori non semplici quali «pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione». Non dovrebbe essere proprio della carità pastorale valorizzare queste importanti dimensioni ed aiutare a superare i rischi di deviazioni? Mantenere il vangelo di Gesù al centro della vita della Chiesa non riguarda solo la Chiesa o i missionari ma riguarda tutti noi; credo che l’augurio più bello che si può fare al termine di questa tre giorni sia alla fin fine questo: tocca a noi, a ciascuno di noi, riscoprire la bellezza del vangelo e lasciare che il vento della sua gioia ci renda felici comunicatori della grandezza rinnovante e riconciliante dell’amore di Dio.

da: Ad Gentes – A. Trevisiol, 2015

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

CAPITOLO I

PRINCIPI DOTTRINALI

La missione del Figlio 3 Questo piano universale di Dio per la salvezza del genere umano non si attua soltanto in una maniera per così dire segreta nell'animo degli uomini, o mediante quelle iniziative anche religiose, con cui essi variamente cercano Dio, nello sforzo di raggiungerlo magari a tastoni e di trovarlo, quantunque egli non sia lontano da ciascuno di noi (cfr. At 17,27): tali iniziative infatti devono essere illuminate e raddrizzate, anche se per benigna disposizione della divina Provvidenza possono costituire in qualche caso un avviamento pedagogicamente valido verso il vero Dio o una preparazione al Vangelo (8). Ma Dio, al fine di stabilire la pace, cioè la comunione con sé, e di realizzare tra gli uomini stessi – che sono peccatori – una unione fraterna, decise di entrare in maniera nuova e definitiva nella storia umana, inviando il suo Figlio a noi con un corpo simile al nostro, per sottrarre a suo mezzo gli uomini dal potere delle tenebre e del demonio (9) ed in lui riconciliare a sé il mondo (10) . Colui dunque, per opera del quale aveva creato anche l'universo (11) Dio lo costituì erede di tutte quante le cose, per restaurare tutto in lui (12).

Ed in effetti Cristo Gesù fu inviato nel mondo quale autentico mediatore tra Dio e gli uomini. Poiché è Dio, in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità (Col 2,9); nella natura umana, invece, egli è il nuovo Adamo, è riempito di grazia e di verità (cfr. Gv 1,14) ed è costituito capo dell'umanità nuova. Pertanto il Figlio di Dio ha percorso la via di una reale incarnazione per rendere gli uomini partecipi della natura divina; per noi egli si è fatto povero, pur essendo ricco, per arricchire noi con la sua povertà (13). Il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita in riscatto dei molti, cioè di tutti (14). I santi Padri affermano costantemente che non fu redento quel che da Cristo non fu assunto (15). Ora egli assunse la natura umana completa, quale essa esiste in noi, infelici e poveri, ma una natura che in lui è senza peccato (16) . Di se stesso infatti il Cristo, dal Padre consacrato ed inviato nel mondo (cfr. Gv 10,36), affermò: «Lo Spirito del Signore è su di me, per questo egli mi ha consacrato con la sua unzione, mi ha inviato a portare la buona novella ai poveri, a guarire quelli che hanno il cuore contrito, ad annunziare ai prigionieri la libertà ed a restituire ai ciechi la vista» (Lc 4,18); ed ancora: «Il Figlio dell'uomo è venuto a cercare e a salvare quello che era perduto» (Lc 19,10).

Ora tutto quanto il Signore ha una volta predicato o in lui si è compiuto per la salvezza del genere umano, deve essere annunziato e diffuso fino all'estremità della terra (17), a cominciare da Gerusalemme (18). In tal modo quanto una volta è stato operato per la salvezza di tutti, si realizza compiutamente in tutti nel corso dei secoli.

La missione dello Spirito Santo 4 Per il raggiungimento di questo scopo, Cristo inviò da parte del Padre lo Spirito Santo, perché compisse dal di dentro la sua opera di salvezza e stimolasse la Chiesa a estendersi. Indubbiamente lo Spirito Santo operava nel mondo prima ancora che Cristo fosse glorificato (19). Ma fu nel giorno della Pentecoste che esso si effuse sui discepoli, per rimanere con loro in eterno (20); la Chiesa apparve ufficialmente di fronte alla moltitudine ed ebbe inizio attraverso la predicazione la diffusione del Vangelo in mezzo ai pagani; infine fu prefigurata l'unione dei popoli nell'universalità della fede attraverso la Chiesa della Nuova Alleanza, che in tutte le lingue si esprime e tutte le lingue nell'amore intende e abbraccia, vincendo così la dispersione babelica (21). Fu dalla Pentecoste infatti che cominciarono gli «atti degli apostoli», allo stesso modo che per l'opera dello Spirito Santo nella vergine Maria Cristo era stato concepito, e per la discesa ancora dello Spirito Santo sul Cristo che pregava questi era stato spinto a cominciare il suo ministero (22). E lo stesso Signore Gesù, prima di immolare in assoluta libertà la sua vita per il mondo, organizzò il ministero apostolico e promise l'invio dello Spirito Santo, in modo che entrambi collaborassero, sempre e dovunque, nella realizzazione dell'opera della salvezza (23). Ed è ancora lo Spirito Santo che in tutti i tempi «unifica la Chiesa tutta intera nella comunione e nel ministero e la fornisce dei diversi doni gerarchici e carismatici» (24) vivificando – come loro anima – le istituzioni ecclesiastiche (25) ed infondendo nel cuore dei fedeli quello spirito missionario da cui era stato spinto Gesù stesso. Talvolta anzi previene visibilmente l'azione apostolica (26), come incessantemente, sebbene in varia maniera, l'accompagna e la dirige (27).

La missione della Chiesa 5 Il Signore Gesù, fin dall'inizio «chiamò presso di sé quelli che voleva e ne costituì dodici che stessero con lui e li mandò a predicare» (Mc 3,13; cfr. Mt 10,1-42) (28). Gli apostoli furono dunque ad un tempo il seme del nuovo Israele e l'origine della sacra gerarchia. In seguito, una volta completati in se stesso con la sua morte e risurrezione i misteri della nostra salvezza e dell'universale restaurazione, il Signore, a cui competeva ogni potere in cielo ed in terra (29), prima di salire al cielo (30), fondò la sua Chiesa come sacramento di salvezza ed inviò i suoi apostoli nel mondo intero, come egli a sua volta era stato inviato dal Padre (31) e comandò loro: «Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutte le cose che io vi ho comandato» (Mt 28,19-20); «Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; chi invece non crederà, sarà condannato » (Mc 16,15). Da qui deriva alla Chiesa l'impegno di diffondere la fede e la salvezza del Cristo, sia in forza dell'esplicito mandato che l'ordine episcopale, coadiuvato dai sacerdoti ed unito al successore di Pietro, supremo pastore della Chiesa, ha ereditato dagli apostoli, sia in forza di quell'influsso vitale che Cristo comunica alle sue membra: «Da lui infatti tutto quanto il corpo, connesso e compaginato per ogni congiuntura e legame, secondo l'attività propria di ciascuno dei suoi organi cresce e si autocostruisce nella carità» (Ef 4,16).

Pertanto la missione della Chiesa si esplica attraverso un'azione tale, per cui essa, in adesione all'ordine di Cristo e sotto l'influsso della grazia e della carità dello Spirito Santo, si fa pienamente ed attualmente presente a tutti gli uomini e popoli, per condurli con l'esempio della vita, con la predicazione, con i sacramenti e con i mezzi della grazia, alla fede, alla libertà ed alla pace di Cristo, rendendo loro facile e sicura la possibilità di partecipare pienamente al mistero di Cristo.

Questa missione continua, sviluppando nel corso della storia la missione del Cristo, inviato appunto a portare la buona novella ai poveri; per questo è necessario che la Chiesa, sempre sotto l'influsso dello Spirito di Cristo, segua la stessa strada seguita da questi, la strada cioè della povertà, dell'obbedienza, del servizio e del sacrificio di se stesso fino alla morte, da cui poi, risorgendo, egli uscì vincitore. Proprio con questa speranza procedettero tutti gli apostoli, che con le loro molteplici tribolazioni e sofferenze completarono quanto mancava ai patimenti di Cristo a vantaggio del suo corpo, la Chiesa (32). E spesso anche il sangue dei cristiani fu seme fecondo (33). _______________________ NOTE

(8) Cf. S. IRENEO, Adv. Haer. III, 18, 1: “Il Verbo, esistente presso Dio, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose, e che era sempre vicino al genere umano...”: PG 7, 932; id. IV, 6, 7: “Infatti il Figlio, vicino fin dall’inizio alla sua creatura, rivela il Padre a tutti quelli che il Padre vuole, e quando vuole e come vuole”: ib. 990; cf. IV, 20, 6 e 7: ib. 1037; Dimostrazione n. 34: Patr. Or. XII, 773; Sources Chrét. 62, Paris 1958, p. 87; CLEMENTE D’ALESS., Protrept., 112, 1: GCS Clemens I, 79; Strom. VI, 6, 44, 1: GCS Clemens II, 453; 13, 106, 3 e 4: ibid. 485. Per la stessa dottrina cf. PIO XII, Messaggio radiofon., 31 dic. 1952; CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 16: AAS 57 (1965), p. 20 [pag. 151ss].

(9) Cf. Col 1,13; At 10,38.

(10) Cf. 2 Cor 5,19.

(11) Cf. Col 1,13; At 10,38.

(12) Cf. Eb 1,2; Gv 1,3 e 10; 1 Cor 8,6; Col 1,16.

(13) Cf. Ef 1,10.

(14) Cf. Mc 10,45.

(15) Cf. S. ATANASIO, Ep. ad Epictetum, 7: PG 26, 1060; S. CIRILLO DI GERUS., Catech. 4,9: PG 33, 465; MARIO VITTORINO, Adv. Arium, 3, 3,: PL 8, 1101; S. BASILIO, Epist. 261, 2: PG 32, 969; S. GREGORIO DI NAZ., Epist. 101: PG 37, 181; S. GREG. DI NISSA, Anthirreticus, Adv. Apollin., 17: PG 45, 1156; S. AMBROGIO, Epist. 48, 5: PL 16, 1153; S. AGOSTINO, In Ioan. Ev. tr. XXIII, 6: PL 35, 1585; C.Chr. 36, 236; inoltre in questo modo dimostra che lo Spirito Santo non ci ha redenti, perché non si incarnato: De Agone Christ. 22,24: PL 40, 302; S. CIRILLO DI ALESS., Adv. Nestor. I, 1: PG 76, 20; S. FULGENZIO, Epist. 17, 3, 5: PL 65, 454; Ad Trasimundum, III, 21: PL 65, 284: sulla tristezza e il timore.

(16) Cf. Eb 4,15; 9,28.

(17) Cf. At 1,8.

(18) Cf. Lc 24,47.

(19) E lo Spirito che ha parlato per mezzo dei profeti: Symb. Constantinopol.: Dz 150 (86) [Collantes 0.509]; S. LEONE MAGNO, Sermo 76: PL 54, 405-406: “Quando il giorno di Pentecoste lo Spirito Santo riempì i discepoli del Signore, non fu l’inizio della missione, ma un aumento di liberalità: perché i patriarchi, i profeti, i sacerdoti e tutti i santi, che erano vissuti nei tempi precedenti, erano stati animati dalla santificazione dello stesso Spirito..., benché la misura dei doni non fosse la stessa”. Anche Sermo 77, 1: PL 54, 412; LEONE XIII, Encicl. Divinum illud, 9 maggio 1897: ASS 29 (1897), pp. 650-651 [Dz 3329]. Anche S. GIOVANNI CRISOSTOMO, sebbene insista sull’originalità della discesa dello Spirito Santo nel giorno di Pentecoste: In Ef. c. 4, Om 10,1: PG 62, 75.

(20) Cf. Gv 14,16.

(21) I Ss. Padri parlano spesso della Babele e della Pentecoste: ORIGENE, In Genesim, c. 1: PG 12, 112; S. GREGORIO DI NAZ., Oratio 41, 16: PG 36, 449; S. GIOVANNI CRISOST., Hom. 2 in Pentec., 2: PG 50, 467; In Act. Apost.: PG 60,44; S. AGOSTINO, En. in Ps. 54, 11: PL 36, 636; CChr 39, 664s; Sermo 271: PL 38, 1245; S. CIRILLO DI ALESS., Glaphyra in Genesim II: PG 69, 79; S. GREGORIO MAGNO, Hom. in Evang., Lib. II, Om. 30, 4: PL 76, 1222; S. BEDA, In Hexaem., lib. III: PL 91, 125. Vedi anche il mosaico nell’atrio della Basilica di S. Marco a Venezia. La Chiesa parla tutte le lingue, e cos raccoglie tutti nella cattolicit della Fede: S. AGOSTINO, Sermones 266, 267, 268, 269: PL 38, 1225-1237; Sermo 175, 3: PL 38, 946; S. GIOVANNI CRISOST., In Ep. I ad Cor., Om. 35: PG 61, 296; S. CIRILLO DI ALESS. Fragm. in Act.: PG 74, 758; S. FULGENZIO, Sermo 8, 2-3: PL 65, 745-744. Sulla Pentecoste come consacrazione degli Apostoli alla missione cf. J.A. CRAMER, Catena in Acta SS. Apostolorum, Oxford 1838, p. 24s.

(22) Cf. Lc 3,22; 4,1; At 10,38.

(23) Cf. Gv 14-17; PAOLO VI, Discorso tenuto in Concilio il 14 sett. 1964: AAS 56 (1964), p. 807 [pag. 1215ss].

(24) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 4: AAS 57 (1965), p. 7 [pag. 119ss].

(25) S. AGOSTINO, Sermo 267, 4: PL 38, 1231: “Lo Spirito Santo adempie in tutta la Chiesa quello che adempie l’anima in tutte le membra di un solo corpo”. Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen Gentium, n. 7 (con la nota 8): AAS 57 (1965), p. 11 [pag. 125ss].

(26) Cf. At 10,44-47; 11,15; 15,8.

(27) Cf. At 4,8; 5,32; 8,26.29.39; 9,31; 10; 11,24-28; 13,2.4.9; 16,6-7; 20,22-23; 21,11 ecc.

(28) Cf. anche Mt 10,1-42.

(29) Cf. Mt 28,18.

(30) Cf. At 1,4-8.

(31) Cf. Gv 20,21.

(32) Cf. Col 1,24.

(33) TERTULLIANO, Apologeticum, 50,13: PL 1, 534; CChr I, 171.

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Approfondimenti

Contenuti principali del Decreto «Ad gentes»

Il decreto appartiene ai documenti «lunghi» del Concilio, e venne approvato come 14° dei sedici documenti. È diviso in 42 articoli, esposti in sei capitoli:

  1. I principi della dottrina missionaria,
  2. L’opera missionaria in se stessa: Testimonianza cristiana, Predicazione del Vangelo e la riunione del popolo di Dio, La formazione della comunità cristiana,
  3. Le Chiese particolari,
  4. I missionari,
  5. L’organizzazione dell’attività missionaria,
  6. La cooperazione missionaria.

È significativo il fatto che il primo capitolo sulla natura teologica delle missioni contiene più note della Scrittura e dei Padri che tutto il resto del decreto. È evidente che i Padri conciliari hanno voluto esprimere così una forte motivazione teologica della missio ad gentes. Negli altri cinque capitoli del Decreto, che espongono i temi classici, sono invece citati solo altri dieci documenti del Concilio Vaticano II già approvati, in modo speciale la Costituzione dogmatica Lumen Gentium e il Magistero ecclesiale sulle missioni degli ultimi 50 anni (prima del Concilio). Ad Gentes situa la missione nel cuore della Chiesa, e distingue chiaramente tra l’attività missionaria e lavoro ecumenico e pastorale: «Le iniziative principali con cui i divulgatori del Vangelo, andando nel mondo intero, svolgono il compito di predicarlo e di fondare la Chiesa in mezzo ai popoli e ai gruppi umani che ancora non credono in Cristo, sono chiamate comunemente ‘missioni’: esse si realizzano appunto con l’attività missionaria» (AG 6). Vediamo alcune idee forti del Decreto, che motivano la Chiesa ad essere sempre più missionaria.

Missio Dei – come motivazione di fondo.

Il ‘grande comando di Gesù’ («Andate in tutto il mondo!...» Mt 28,18-20) – che resta come la parola chiave per molti fratelli protestanti – è stato presentato in una visione più ampia e profonda. Il primo capitolo dottrinale inizia con il piano divino di salvezza che mette in evidenza che la radice originaria della missione della Chiesa è la vita trinitaria di Dio. Per mezzo del Figlio l’Amore del Padre raggiunge ogni uomo nelle forme e vie che solo Lui conosce. Compito della Chiesa è di comunicare instancabilmente questo amore divino, grazie all’azione dello Spirito Santo.

La natura missionaria della Chiesa.

L’indole missionaria viene sottolineata non tanto nel senso geografico, ma sopratutto nel senso teologico, in quanto il destinatario della «missione» non è solo il non-credente, ma anche il credente. «La Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il piano di Dio Padre, deriva la propria origine» (AG 2). Occorre anche ricordare che alcuni si sono posti il problema (e se lo pongono tuttora) se questo allargamento del concetto missionario avesse involontariamente indebolito il significato della missione ad gentes. Riproponiamo questo «dubbio» come sollecitazione a tenere distinto e unito l’appello missionario. In effetti, anche nell’ultimo capitolo (Cooperazione) viene sottolineato il dovere di tutti e ciascuno nella Chiesa di contribuire alla missio ad gentes, secondo il proprio stato e carisma (tutti i fedeli, comunità cristiane, vescovi e sacerdoti, tutti gli istituti religiosi anche e tutti i laici.

La vocazione missionaria ad gentes (ad exteros, ad vitam).

Il decreto espone nel 4° capitolo «chi è il missionario» con tutte le implicazioni della sua formazione. La vocazione missionaria è per tutti i cristiani (AG 23). Chi è il missionario? Colui che è mandato dall’autorità ecclesiastica per proclamare il Vangelo a quelli che non conoscono ancora Gesù Cristo e fonda le nuove Chiese particolari (missionari espliciti). Nello stesso tempo però non c’è nessun cristiano che venga escluso dal compito di testimoniare Gesù, trasmettendo ad altri l’invito del Signore nella vita quotidiana e contribuendo all’attività missionaria esplicita secondo le sue possibilità.

da: Václav Klement, Ad Gentes, sull’attività missionaria della Chiesa (NPG 2012-07-75)

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Decreto sull’attività missionaria della Chiesa AD GENTES (7 dicembre 1965)

PROEMIO 1 Inviata per mandato divino alle genti per essere «sacramento universale di salvezza» (1) la Chiesa, rispondendo a un tempo alle esigenze più profonde della sua cattolicità ed all'ordine specifico del suo fondatore (2), si sforza di portare l'annuncio del Vangelo a tutti gli uomini. Ed infatti gli stessi apostoli, sui quali la Chiesa fu fondata, seguendo l'esempio del Cristo, « predicarono la parola della verità e generarono le Chiese» (3). È pertanto compito dei loro successori perpetuare quest'opera, perché «la parola di Dio corra e sia glorificata» (2Ts 3,1) ed il regno di Dio sia annunciato e stabilito su tutta quanta la terra.

D'altra parte, nella situazione attuale delle cose, in cui va profilandosi una nuova condizione per l'umanità, la Chiesa, sale della terra e luce del mondo (4), avverte in maniera più urgente la propria vocazione di salvare e di rinnovare ogni creatura, affinché tutto sia restaurato in Cristo e gli uomini costituiscano in lui una sola famiglia ed un solo popolo di Dio.

Pertanto questo santo Sinodo, nel rendere grazie a Dio per il lavoro meraviglioso svolto da tutta la Chiesa con zelo e generosità, desidera esporre i principi dell'attività missionaria e raccogliere le forze di tutti i fedeli, perché il popolo di Dio, attraverso la via stretta della croce possa dovunque diffondere il regno di Cristo Signore che abbraccia i secoli col suo sguardo (5), e preparare la strada alla sua venuta.

CAPITOLO I

PRINCIPI DOTTRINALI

Il piano divino di salvezza 2 La Chiesa durante il suo pellegrinaggio sulla terra è per sua natura missionaria, in quanto è dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo che essa, secondo il piano di Dio Padre, deriva la propria origine (6).

Questo piano scaturisce dall'amore nella sua fonte, cioè dalla carità di Dio Padre. Questi essendo il principio senza principio da cui il Figlio è generato e lo Spirito Santo attraverso il Figlio procede, per la sua immensa e misericordiosa benevolenza liberatrice ci crea ed inoltre per grazia ci chiama a partecipa re alla sua vita e alla sua gloria; egli per pura generosità ha effuso e continua ad effondere la sua divina bontà, in modo che, come di tutti è il creatore, così possa essere anche «tutto in tutti» (1Cor 15,28), procurando insieme la sua gloria e la nostra felicità. Ma piacque a Dio chiamare gli uomini a questa partecipazione della sua stessa vita non tanto in modo individuale e quasi senza alcun legame gli uni con gli altri, ma di riunirli in un popolo, nel quale i suoi figli dispersi si raccogliessero nell'unità (7) _______________________ NOTE

(1) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 48: AAS 57 (1965), p. 53 [pag. 233ss].

(2) Cf. Mc 16,15.

(3) S. AGOSTINO, Enarr. in Ps. 44, 23: PL 36, 508; CChr 38,150.

(4) Cf. Mt 5,13-14.

(5) Cf. Sir 36,19Vlg.

(6) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 2: AAS 57 (1965), pp. 5-6 [pag. 115ss].

(7) Cf. Gv 11,52.

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Approfondimenti

Un breve cenno storico

Il Decreto Ad gentes (De activitate missionali Ecclesiae) è il documento che ha ricevuto più voti dai vescovi al Concilio Vaticano II. Nello stesso tempo è uno dei documenti conciliari con una storia più travagliata. La Chiesa è inviata per ‘le nazioni’, ossia «ai popoli o gruppi umani non raggiunti dalla testimonianza delle comunità cristiane e dalla parola del Vangelo» (missio ad gentes). La Chiesa è per natura missionaria (AG 2), chiamata ad una missione senza limiti del tempo e fino agli estremi confini del mondo. Senza dubbio il Decreto Ad gentes ha dato una forte fondazione teologica di impronta essenzialmente missionaria alla missione evangelizzatrice e auto-coscienza ecclesiale. In parole semplici, ciò significa che tutti i fedeli sono chiamati a dare il loro contributo alla missionarietà della Chiesa cattolica. Durante il cammino conciliare, per le diverse esigenze dei Padri furono stese ben sette diverse bozze del Decreto. La presenza personale di Paolo VI nell’aula conciliare (prima presenza del Papa al Concilio durante i lavori!) all’inizio della seduta del 6 novembre 1964, quando si discuteva la sesta bozza, mostrò anche visivamente l’interesse del Papa al tema e la pregnanza di esso nella fase di ripensamento di se stessa della Chiesa. Proprio quel giorno il cardinale Grégoire-Pierre Agagiagian, Prefetto di Propaganda Fide, annunciò la visita del Papa in India come un gesto concreto del suo interesse per le missioni. Ma anche la sesta bozza fu bocciata il 10 novembre 1964, così che una Commissione apposita dovette preparare la settima bozza per l’ultima sessione del Concilio, a partire dal settembre 1965. Così la spinta dei vescovi missionari appoggiati dalle prime generazioni dei vescovi autoctoni dell’Asia e Africa contribuì alla stesura finale del decreto missionario. Nel penultimo giorno del Concilio, 7 dicembre 1965, il Decreto fu votato all’unanimità con 2394 sì e solo 5 voti contrari, risultando il documento accettato con più consenso dai Padri conciliari. Ovviamente il Decreto è solo la punta dell’iceberg dello sviluppo delle missioni cattoliche del 20° secolo. Il Concilio Vaticano II ha portato insieme per la prima volta nella storia della Chiesa un’assemblea veramente ‘cattolica’ – dei vescovi autoctoni e missionari provenienti da tutti i cinque continenti. L’enciclica Fidei donum di Pio XII (1957) aveva lanciato un appello per la globale cooperazione missionaria; e altre due encicliche importanti con taglio missionario erano state pubblicate nel periodo conciliare: Princeps Pastorum (Giovanni XXIII, 1961) e Ecclesiam suam (Paolo VI, 1964). Soprattutto la fine del periodo coloniale europeo e la sorprendente crescita delle comunità cattoliche dell’Africa, negli ultimi 15 anni prima del Concilio (da 11 milioni dei cattolici fino a 25 milioni con 3.3 milioni di catecumeni), mostrava dei cambi epocali delle dinamiche missionarie.

Il decreto «Ad gentes» nell’insieme del Concilio Vaticano II

Come nei tempi del Concilio, anche oggi viviamo in un mondo dove circa il 70% della popolazione mondiale non conosce ancora Gesù Cristo. Il Decreto Ad gentes è connesso con la nuova visione di Chiesa della Lumen Gentium: Chiesa come universale sacramento di salvezza (LG 48) condivisa anche dagli altri documenti fondamentali del Concilio, come la Gaudium et Spes (45). Le parole di Gesù, che inviò i discepoli (Mt 28,18-20), erano tra le più citate durante tutto il Concilio. Anche le prime parole del Decreto riassumono il contenuto e il senso: «Inviata per mandato divino alle genti per essere ‘sacramento universale di salvezza’ la Chiesa, rispondendo a un tempo alle esigenze più profonde della sua cattolicità e all’ordine specifico del suo fondatore, si sforza di portare l’annuncio del Vangelo a tutti gli uomini» (AG 1). Di certo altri tre documenti del Vaticano II possono essere definiti «missionari» per la loro prospettiva: Lumen Gentium, Gaudium et Spes e Nostra Aetate. Però Ad gentes è un documento specifico, che tratta esclusivamente dell’attività missionaria. La missio ad gentes nel mondo globalizzato pieno di profondi cambi culturali e sociali, a distanza di quasi cinquanta anni dal Vaticano II, pone ancora le stesse domande che troviamo nei principali documenti del Concilio. Che senso ha proclamare oggi Gesù Cristo quale «insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione» (DV 2) nel mondo pluriculturale e plurireligioso, segnato dalla libertà religiosa? Che senso ha l’affermazione di appartenere alla Chiesa cattolica, quando «quelli che senza colpa ignorano il Vangelo di Cristo e la sua Chiesa ma che tuttavia cercano sinceramente Dio e coll’aiuto della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà di lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna» (LG 16)? Che valore hanno oggi ancora i sacramenti «che conferiscono certamente la grazia» (SC 59), quando non sono più i canali esclusivi della grazia, visto che «la verità e grazia è già presente e riscontrabile in mezzo ai pagani per una segreta presenza di Dio...» (AG 9). Ha ancora senso parlare di missionari e di ‘territori missionari’, oppure per la missio ad gentes basta che molti lavorino per il progresso umano con noi, anche se «negano facilmente Dio o la stessa religione...» (GS 7)? Durante il Concilio si è creato un consenso attorno ad una convinzione: che la missio ad gentes della Chiesa non è basata su un concetto territoriale, ma nell’essere Chiesa nello stato di missione, una Chiesa veramente missionaria. Così la missione è diventata punto centrale della vita di ogni Chiesa locale, di ogni credente. Il Decreto Ad gentes porta ad una rivoluzione copernicana teologica nelle missioni cattoliche, quando coscientemente non usa solo il termine «territori missionari» ma va più in profondità sull’impatto del Vangelo nei diversi gruppi umani e nella cultura. Al centro sta una Chiesa che testimonia e proclama Gesù morto e risorto per la salvezza di tutta l’umanità, una Chiesa «evangelizzata ed evangelizzatrice»: appunto, una Chiesa in stato di missione. Una Chiesa fedele a Gesù, il quale prima ha detto ai suoi discepoli «venite», e nell’ultima pagina dei Vangeli li invia dicendo «andate».

da: Václav Klement, Ad Gentes, sull’attività missionaria della Chiesa (NPG 2012-07-75)

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sulla libertà religiosa DIGNITATIS HUMANAE (7 dicembre 1965)

CONCLUSIONE 15 È manifesto che oggi gli esseri umani aspirano di poter professare liberamente la religione sia in forma privata che pubblica; anzi la libertà religiosa nella maggior parte delle costituzioni è già dichiarata diritto civile ed è solennemente proclamata in documenti internazionali (39).

Non mancano però regimi i quali, anche se nelle loro costituzioni riconoscono la libertà del culto religioso, si sforzano di stornare i cittadini dalla professione della religione e di rendere assai difficile e pericolosa la vita alle comunità religiose.

Il sacro Sinodo, mentre saluta con lieto animo quei segni propizi di questo tempo e denuncia con amarezza questi fatti deplorevoli, esorta i cattolici e invita tutti gli esseri umani a considerare con la più grande attenzione quanto la libertà religiosa sia necessaria, soprattutto nella presente situazione della famiglia umana.

È infatti manifesto che tutte le genti si vanno sempre più unificando, che si fanno sempre più stretti i rapporti fra gli esseri umani di cultura e religione diverse, mentre si fa ognora più viva in ognuno la coscienza della propria responsabilità personale. Per cui, affinché nella famiglia umana si instaurino e si consolidino relazioni di concordia e di pace, si richiede che ovunque la libertà religiosa sia munita di una efficace tutela giuridica e che siano osservati i doveri e i diritti supremi degli esseri umani attinenti la libera espressione della vita religiosa nella società.

Faccia Dio, Padre di tutti, che la famiglia umana, diligentemente elevando a metodo nei rapporti sociali l'esercizio della libertà religiosa, in virtù della grazia di Cristo e per l'azione dello Spirito Santo pervenga alla sublime e perenne «libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21).

7 dicembre 1965 _______________________ NOTE

(39) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 aprile 1963: AAS 55 (1963), pp. 295-296.

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Approfondimenti

Il cristianesimo non chiude la storia della salvezza entro i confini della storia della Chiesa. Piuttosto, nel solco della lezione del Concilio Vaticano II e nell’orizzonte dell’Enciclica Ecclesiam suam di san Paolo VI, la Chiesa apre l’intera storia umana all’azione dell’amore di Dio, il quale «vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4). La forma missionaria della Chiesa, iscritta nella disposizione stessa della fede, obbedisce alla logica del dono, ossia della grazia e della libertà, non a quella del contratto e dell’imposizione. La Chiesa è consapevole del fatto che, anche con le migliori intenzioni, questa logica è stata contraddetta – e sempre è a rischio di esserlo – a motivo di comportamenti difformi e incoerenti con la fede ricevuta. Nondimeno, noi cristiani professiamo con umile fermezza la nostra convinzione che la Chiesa sia sempre guidata dal Signore e sorretta dallo Spirito lungo la strada della sua testimonianza dell’azione salvifica di Dio nella vita di tutti i singoli e di tutti i popoli. E sempre nuovamente s’impegna ad onorare la sua vocazione storica, annunciando il vangelo della vera adorazione di Dio in spirito e verità. Lungo questa strada, in cui la libertà e la grazia s’incontrano nella fede, la Chiesa si rallegra di essere confermata dal Signore, che l’accompagna, e di essere sospinta dallo Spirito che la precede. Sempre di nuovo, perciò, dichiara la propria ferma intenzione di convertirsi alla fedeltà del cuore, del pensiero e delle opere che ristabiliscono la purezza della sua fede.

La testimonianza della fede cristiana abita il tempo e lo spazio della vita personale e comunitaria che sono propri della condizione umana. I cristiani sono consapevoli del fatto che questo tempo e questo spazio non sono spazi vuoti. E neppure spazi indistinti, ossia neutri e indifferenziati rispetto al senso, ai valori, alle convinzioni e ai desideri che danno forma alla cultura propriamente umana della vita. Essi sono spazi e tempi abitati dal dinamismo delle comunità e delle tradizioni, delle aggregazioni e delle appartenenze, delle istituzioni e del diritto. La più forte coscienza del pluralismo dei diversi modi di riconoscere e di attingere il senso della vita individuale e collettiva, che concorre alla formazione del consenso etico e alla manifestazione dell’assenso religioso, impegna giustamente la Chiesa nell’elaborazione di uno stile della testimonianza di fede assolutamente rispettoso della libertà individuale e del bene comune. Questo stile, lungi dall’attenuare la fedeltà all’evento salvifico, che è il tema dell’annuncio della fede, deve rendere ancora più trasparente la sua distanza da uno spirito di dominio, interessato alla conquista del potere fine a sé stesso. Proprio la fermezza con la quale il magistero definisce oggi l’uscita teologica da questo equivoco, consente alla Chiesa di sollecitare una più coerente elaborazione della dottrina politica.

Come membri del Popolo di Dio, ci proponiamo umilmente di rimanere fedeli al mandato del Signore, che invia i discepoli a tutti i popoli della terra per annunciare il Vangelo della misericordia di Dio (cf. Mt 28, 19-20; Mc 16, 15), Padre di tutti, per aprire liberamente i cuori alla fede nel Figlio, fatto uomo per la nostra salvezza. La Chiesa non confonde la propria missione con il dominio dei popoli del mondo e il governo della città terrena. Piuttosto vede nella pretesa di una reciproca strumentalizzazione del potere politico e della missione evangelica una tentazione maligna. Gesù rigettò l’apparente vantaggio di tale progetto come una seduzione diabolica (cf. Mt 4,8-10). Egli stesso respinse chiaramente il tentativo di trasformare il conflitto con i custodi della legge (religiosa e politica) in un conflitto indirizzato alla sostituzione del potere di governo delle istituzioni e della società. Gesù mise chiaramente in guardia i suoi discepoli anche sulla tentazione di conformarsi, nella cura pastorale della comunità cristiana, ai criteri e allo stile dei potenti della terra (cf. Mt 20,25; Mc 10,42; Lc 22,25). Il cristianesimo sa bene, dunque, quale significato e quale immagine deve assumere l’evangelizzazione del mondo. La sua apertura al tema della libertà religiosa è dunque una chiarificazione coerente con lo stile di un annuncio evangelico e di un appello alla fede che presuppongono l’assenza d’indebiti privilegi di certe politiche confessionali e la difesa dei giusti diritti della libertà di coscienza. Questa chiarezza, nello stesso tempo, richiede il pieno riconoscimento della dignità della professione di fede e della pratica del culto nella sfera pubblica. Nella logica della fede e della missione, la partecipazione attiva e riflessiva alla pacifica costruzione del legame sociale, come anche la generosa condivisione dell’interesse per il bene comune, sono implicazioni della testimonianza cristiana.

L’impegno culturale e sociale dell’agire credente, che si esprime anche nella costituzione di aggregazioni intermedie e nella promozione di iniziative pubbliche, è pure una dimensione di questo impegno, che i cristiani sono chiamati a condividere con ogni uomo e donna del loro tempo, indipendentemente dalle differenze di cultura e di religione. Nel dire “indipendentemente” non s’intende, naturalmente, che queste differenze devono essere ignorate e considerate insignificanti. Significa piuttosto che esse devono essere rispettate e giudicate come componenti vitali della persona e valorizzate congruamente nella ricchezza dei loro apporti alla vitalità concreta della sfera pubblica. La Chiesa non ha alcun motivo per scegliere una via della testimonianza diversa. Tutto sia fatto, raccomanda l’Apostolo Pietro, «con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo» (1Pt 3,16). E non si vede nessun ragionevole argomento che debba imporre allo Stato di escludere la libertà della religione nel partecipare alla riflessione e alla promozione delle ragioni del bene comune nell’ambito della sfera pubblica. Lo Stato non può essere né teocratico, né ateo, né “neutro” (come indifferenza che finge l’irrilevanza della cultura religiosa e dell’appartenenza religiosa nella costituzione del soggetto democratico reale); piuttosto è chiamato a esercitare una “laicità positiva” nei confronti delle forme sociali e culturali che assicurano il necessario e concreto rapporto dello Stato di diritto con la comunità effettiva degli aventi diritto.

In questo modo il cristianesimo si dispone a sostenere la speranza di una comune destinazione all’approdo escatologico di un mondo trasfigurato, secondo la promessa di Dio (cf. Ap 21,1-8). La fede cristiana è consapevole del fatto che questa trasfigurazione è un dono dell’amore di Dio per la creatura umana e non il risultato dei propri sforzi di migliorare la qualità della vita personale o sociale. La religione esiste per tenere desta questa trascendenza del riscatto della giustizia della vita e del compimento della sua storia. Il cristianesimo, in particolare, è fondato sull’esclusione del delirio di onnipotenza di ogni messianismo mondano, laico o religioso che sia, il quale porta sempre schiavitù dei popoli e distruzione della casa comune. La cura del creato, affidato sin dall’inizio all’alleanza dell’uomo e della donna (cf. Gen 1,27-28), e l’amore del prossimo (cf. Mt 22,39), che sigilla la verità evangelica dell’amore di Dio, sono il tema di una responsabilità sulla quale tutti saremo giudicati – i cristiani per primi – alla fine del tempo donatoci da Dio per convertirci al suo amore. Il Regno di Dio è già in azione nella storia, in attesa dell’avvento del Signore, che ci introdurrà nel suo compimento. Lo Spirito che dice «Vieni!» (Ap 22,17), che raccoglie i gemiti della creazione (cf. Rom 8,22) e fa «nuove tutte le cose» (Ap 21,5) porta nel mondo il coraggio della fede che sostiene (cf. Rom 8,1-27), in favore di tutti, la bellezza della «ragione [logos] della speranza» (1Pt 3,15) che è in noi. E la libertà, per tutti, di ascoltarlo e di seguirlo.

da: COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE – SOTTOCOMMISSIONE LIBERTÀ RELIGIOSA, La libertà religiosa per il bene di tutti – approccio teologico alle sfide contemporanee (2019)

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sulla libertà religiosa DIGNITATIS HUMANAE (7 dicembre 1965)

IL DIRITTO DELLA PERSONA UMANA E DELLE COMUNITÀ ALLA LIBERTÀ SOCIALE E CIVILE IN MATERIA DI RELIGIONE

II. LA LIBERTÀ RELIGIOSA ALLA LUCE DELLA RIVELAZIONE

La libertà della Chiesa 13 Fra le cose che appartengono al bene della Chiesa, anzi al bene della stessa città terrena, e che vanno ovunque e sempre conservate e difese da ogni ingiuria, è certamente di altissimo valore la seguente: che la Chiesa nell'agire goda di tanta libertà quanta le è necessaria per provvedere alla salvezza degli esseri umani (32). È questa, infatti, la libertà sacra, di cui l'unigenito Figlio di Dio ha arricchito la Chiesa acquistata con il suo sangue. Ed è propria della Chiesa, tanto che quanti l'impugnano agiscono contro la volontà di Dio. La libertà della Chiesa è principio fondamentale nelle relazioni fra la Chiesa e i poteri pubblici e tutto l'ordinamento giuridico della società Civile.

Nella società umana e dinanzi a qualsivoglia pubblico potere, la Chiesa rivendica a sé la libertà come autorità spirituale, fondata da Cristo Signore, alla quale per mandato divino incombe l'obbligo di andare nel mondo universo a predicare il Vangelo ad ogni creatura (33). Parimenti, la Chiesa rivendica a sé la libertà in quanto è una comunità di esseri umani che hanno il diritto di vivere nella società civile secondo i precetti della fede cristiana (34).

Ora, se vige un regime di libertà religiosa non solo proclamato a parole né solo sancito nelle leggi, ma con sincerità tradotto realmente nella vita, in tal caso la Chiesa, di diritto e di fatto, usufruisce di una condizione stabile per l'indipendenza necessaria all'adempimento della sua divina missione: indipendenza nella società, che le autorità ecclesiastiche hanno sempre più vigorosamente rivendicato (35). Nello stesso tempo i cristiani, come gli altri uomini godono del diritto civile di non essere impediti di vivere secondo la propria coscienza. Vi è quindi concordia fra la libertà della Chiesa e la libertà religiosa che deve essere riconosciuta come un diritto a tutti gli esseri umani e a tutte le comunità e che deve essere sancita nell'ordinamento giuridico delle società civili.

La missione della Chiesa 14 La Chiesa cattolica per obbedire al divino mandato: «Istruite tutte le genti» (Mt 28,19), è tenuta ad operare instancabilmente «affinché la parola di Dio corra e sia glorificata» (2Ts 3,1).

La Chiesa esorta quindi ardentemente i suoi figli affinché « anzitutto si facciano suppliche, orazioni, voti, ringraziamenti per tutti gli uomini... Ciò infatti è bene e gradito al cospetto del Salvatore e Dio nostro, il quale vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità» ( Tm 2, 1-4).

I cristiani, però, nella formazione della loro coscienza, devono considerare diligentemente la dottrina sacra e certa della Chiesa (36). Infatti per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di verità e sua missione è di annunziare e di insegnare autenticamente la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare autoritativamente i principi dell'ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana. Inoltre i cristiani, comportandosi sapientemente con coloro che non hanno la fede, s'adoperino a diffondere la luce della vita con ogni fiducia (37) e con fortezza apostolica, fino all'effusione del sangue, « nello Spirito Santo, con la carità non simulata, con la parola di verità» (2Cor 6,6-7).

Infatti il discepolo ha verso Cristo Maestro il dovere grave di conoscere sempre meglio la verità da lui ricevuta, di annunciarla fedelmente e di difenderla con fierezza, non utilizzando mai mezzi contrari allo spirito evangelico. Nello stesso tempo, però, la carità di Cristo lo spinge a trattare con amore, con prudenza e con pazienza gli esseri umani che sono nell'errore o nell'ignoranza circa la fede (38). Si deve quindi aver riguardo sia ai doveri verso Cristo, il Verbo vivificante che deve essere annunciato, sia ai diritti della persona umana, sia alla misura secondo la quale Dio attraverso il Cristo distribuisce la sua grazia agli esseri umani che vengono invitati ad accettare e a professare la fede liberamente. _______________________ NOTE

(32) Cf. LEONE XIII, Lettera Officio sanctissimo, 22 dic. 1887: ASS 20 (1887), p. 269; IDEM, Lettera Ex litteris, 7 aprile 1887: ASS 19 (1886), p. 465.

(33) Cf. Mc 16,15; Mt 28,18-20; PIO XII, Encicl. Summi Pontificatus, 20 ott. 1939: AAS 31 (1939), pp. 445-446.

(34) Cf. PIO XI, Lettera Firmissimam constantiam, 28 marzo 1937: AAS 29 (1937), p. 196.

(35) Cf. PIO XII, Discorso Ci riesce, 6 dic. 1953: AAS 45 (1953), p. 802.

(36) Cf. PIO XII, Messaggio radiofonico, 23 marzo 1952: AAS 44 (1952), pp. 270-278.

(37) Cf. At 4,29.

(38) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 aprile 1963: AAS 55 (1963), pp. 299-300 [in parte Dz 3996].

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Approfondimenti

La Chiesa proclama la libertà religiosa per tutti

La libertà religiosa può essere realmente garantita soltanto nell’orizzonte di una visione umanistica aperta alla cooperazione e alla convivenza, profondamente radicata nel rispetto per la dignità della persona e per la libertà della coscienza. Del resto, mutilata di quest’apertura umanistica, che opera come lievito della cultura civile, la stessa esperienza religiosa perde il suo autentico fondamento nella verità di Dio, e diventa vulnerabile alla corruzione dell’umano[86]. La sfida è alta. Gli adattamenti della religione alle forme del potere mondano, pur se giustificati in nome della possibilità di ottenere migliori vantaggi per la fede, sono una tentazione costante e un rischio permanente. La Chiesa deve sviluppare una particolare sensibilità nel discernimento di questo compromesso, impegnandosi costantemente nella sua purificazione dai cedimenti alla tentazione della “mondanità spirituale” [Cf. id., Es. Ap. Evangelii gaudium, nn. 93-97: AAS 105 (2013), 1059-1061]. La Chiesa deve esaminare sé stessa per ritrovare con sempre rinnovato slancio la via della vera adorazione di Dio «in spirito e verità» (Gv 4, 23) e dell’amore «di prima» (Ap 2, 4). Essa deve aprire, proprio attraverso questa continua conversione, l’accesso del Vangelo all’intimità del cuore umano, in quel punto in cui esso cerca – segretamente e anche inconsapevolmente – il riconoscimento del vero Dio e della religione vera. Il Vangelo è realmente capace di smascherare la manipolazione religiosa, che produce effetti di esclusione, di avvilimento, di abbandono e di separazione fra gli uomini.

In definitiva, la visione propriamente cristiana della libertà religiosa attinge la sua più profonda ispirazione alla fede nella verità del Figlio fatto uomo per noi e per la nostra salvezza. Per mezzo di Lui, il Padre attrae a sé tutti i figli dispersi e tutte le pecore senza pastore (cf. Gv 10, 11-16;12,32; Mt 9,36; Mc 6,34). E lo Spirito raccoglie i gemiti (cf. Rom 8, 22), anche i più confusi e impercettibili, della creatura in ostaggio delle potenze del peccato, trasformandoli in preghiera. Lo Spirito di Dio agisce comunque, liberamente e con potenza. Dove però l’essere umano è messo in grado di esprimere liberamente il suo gemito e la sua invocazione, l’azione dello Spirito diventa riconoscibile per tutti coloro che cercano la giustizia della vita. E la sua consolazione si fa testimonianza di un’umanità riconciliata. La libertà religiosa libera lo spazio per la coscienza universale di appartenere ad una comunità di origine e di destino che non vuole rinunciare a tenere viva l’attesa di una giustizia della vita che siamo in grado di riconoscere, ma incapaci di onorare con le nostre sole forze. Il mistero della ricapitolazione in Cristo di ogni cosa, custodisce, per noi e per tutti, l’amorevole attesa dei frutti dello Spirito per ognuno, e l’emozionato annuncio della venuta del Figlio, per tutti (cf. Ef 1, 3-14).

da: COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE – SOTTOCOMMISSIONE LIBERTÀ RELIGIOSA, La libertà religiosa per il bene di tutti – approccio teologico alle sfide contemporanee (2019)

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sulla libertà religiosa DIGNITATIS HUMANAE (7 dicembre 1965)

IL DIRITTO DELLA PERSONA UMANA E DELLE COMUNITÀ ALLA LIBERTÀ SOCIALE E CIVILE IN MATERIA DI RELIGIONE

II. LA LIBERTÀ RELIGIOSA ALLA LUCE DELLA RIVELAZIONE

Modo di agire di Cristo e degli apostoli 11 Dio chiama gli esseri umani al suo servizio in spirito e verità; per cui essi sono vincolati in coscienza a rispondere alla loro vocazione, ma non coartati. Egli, infatti, ha riguardo della dignità della persona umana da lui creata, che deve godere di libertà e agire con responsabilità. Ciò è apparso in grado sommo in Cristo Gesù, nel quale Dio ha manifestato se stesso e le sue vie in modo perfetto. Infatti Cristo, che è Maestro e Signore nostro (12), mite ed umile di cuore (13) ha invitato e attratto i discepoli pazientemente (14). Certo, ha sostenuto e confermato la sua predicazione con i miracoli per suscitare e confortare la fede negli uditori, ma senza esercitare su di essi alcuna coercizione (15). Ha pure rimproverato l'incredulità degli uditori, lasciando però la punizione a Dio nel giorno del giudizio (16). Mandando gli apostoli nel mondo, disse loro: «Chi avrà creduto e sarà battezzato, sarà salvo. Chi invece non avrà creduto sarà condannato» (Mc 16,16). ma conoscendo che la zizzania è stata seminata con il grano, comandò di lasciarli crescere tutti e due fino alla mietitura che avverrà alla fine del tempo (17). Non volendo essere un messia politico e dominatore con la forza (18) preferì essere chiamato Figlio dell'uomo che viene «per servire e dare la sua vita in redenzione di molti» (Mc 10,45). Si presentò come il perfetto servo di Dio (19) che «non rompe la canna incrinata e non smorza il lucignolo che fuma» (Mt 12,20). Riconobbe la potestà civile e i suoi diritti, comandando di versare il tributo a Cesare, ammonì però chiaramente di rispettare i superiori diritti di Dio: «Rendete a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21). Finalmente ha ultimato la sua rivelazione compiendo nella croce l'opera della redenzione, con cui ha acquistato agli esseri umani la salvezza e la vera libertà. Infatti rese testimonianza alla verità (20), però non volle imporla con la forza a coloro che la respingevano. Il suo regno non si erige con la spada (21) ma si costituisce ascoltando la verità e rendendo ad essa testimonianza, e cresce in virtù dell'amore con il quale Cristo esaltato in croce trae a sé gli esseri umani (22).

Gli apostoli, istruiti dalla parola e dall'esempio di Cristo, hanno seguito la stessa via. Fin dal primo costituirsi della Chiesa i discepoli di Cristo si sono adoperati per convertire gli esseri umani a confessare Cristo Signore, non però con un'azione coercitiva né con artifizi indegni del Vangelo, ma anzitutto con la forza della parola di Dio (23), Con coraggio annunziavano a tutti il proposito di Dio salvatore, «il quale vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,4); nello stesso tempo, però, avevano riguardo per i deboli, sebbene fossero nell'errore, mostrando in tal modo come «ognuno di noi renderà conto di sé a Dio» (Rm 14,12) (24) e sia tenuto ad obbedire soltanto alla propria coscienza. Come Cristo, gli apostoli hanno sempre cercato di rendere testimonianza alla verità di Dio, arditamente osando dinanzi al popolo e ai principi di «annunziare con fiducia la parola di Dio» (At 4,31) (25). Con ferma fede ritenevano che lo stesso Vangelo fosse realmente la forza di Dio per la salvezza di ogni credente (26). Sprezzando quindi tutte «le armi carnali» (27) seguendo l'esempio di mansuetudine e di modestia di Cristo, hanno predicato la parola di Dio (28) pienamente fiduciosi nella divina virtù di tale parola del distruggere le forze avverse a Dio e nell'avviare gli esseri umani alla fede e all'ossequio di Cristo (29), Come il Maestro, così anche gli apostoli hanno riconosciuto la legittima autorità civile: «Non vi è infatti potestà se non da Dio», insegna l'Apostolo, il quale perciò comanda: «Ognuno sia soggetto alle autorità in carica... Chi si oppone alla potestà, resiste all'ordine stabilito da Dio» (Rm 13,1-5) (30). Nello stesso tempo, però, non hanno avuto timore di resistere al pubblico potere che si opponeva alla santa volontà di Dio: «È necessario obbedire a Dio prima che agli uomini» (At 5,29) (31). La stessa via hanno seguito innumerevoli martiri e fedeli attraverso i secoli e in tutta la terra.

La Chiesa segue le tracce di Cristo e degli apostoli 12 La Chiesa pertanto, fedele alla verità evangelica, segue la via di Cristo e degli apostoli quando riconosce come rispondente alla dignità dell'uomo e alla rivelazione di Dio il principio della libertà religiosa e la favorisce. Essa ha custodito e tramandato nel decorso dei secoli la dottrina ricevuta da Cristo e dagli apostoli. E quantunque nella vita del popolo di Dio, pellegrinante attraverso le vicissitudini della storia umana, di quando in quando si siano avuti modi di agire meno conformi allo spirito evangelico, anzi ad esso contrari, tuttavia la dottrina della Chiesa, secondo la quale nessuno può essere costretto con la forza ad abbracciare la fede, non è mai venuta meno.

Il fermento evangelico ha pure lungamente operato nell'animo degli esseri umani e molto ha contribuito perché gli uomini lungo i tempi riconoscessero più largamente e meglio la dignità della propria persona e maturasse la convinzione che la persona nella società deve essere immune da ogni umana coercizione in materia religiosa. _______________________ NOTE

(12) Cf. Gv 13,13.

(13) Cf. Mt 11,29.

(14) Cf. Mt 11,28-30; Gv 6,67-68.

(15) Cf. Mt 9,28-29; Mc 9,23-24; 6,5-6; PAOLO VI, Encicl. Ecclesiam suam, 6 ag. 1964: AAS 56 (1964), pp. 642-643.

(16) Cf. Mt 11,20-24; Rm 12,19-20; 2 Ts 1,8.

(17) Cf. Mt 13,30.40-42.

(18) Cf. Mt 4,8-10; Gv 6,15.

(19) Cf. Is 42,1-4.

(20) Cf. Gv 18,37.

(21) Cf. Mt 26,51-53; Gv 18,36.

(22) Cf. Gv 12,32.

(23) Cf. 1 Cor 2,3-5; 1 Ts 2,3-5.

(24) Cf. Rm 14,1-23; 1 Cor 8,9-13; 10,23-33.

(25) Cf. Ef 6,19-20.

(26) Cf. Rm 1,16.

(27) Cf. 2 Cor 10,4; 1 Ts 5,8-9.

(28) Cf. Ef 6,11-17.

(29) Cf. 2 Cor 10,3-5.

(30) Cf. 1 Pt 2,13-17.

(31) Cf. At 4,19-20.

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Approfondimenti

La libertà religiosa può essere realmente garantita soltanto nell’orizzonte di una visione umanistica aperta alla cooperazione e alla convivenza, profondamente radicata nel rispetto per la dignità della persona e per la libertà della coscienza. Del resto, mutilata di quest’apertura umanistica, che opera come lievito della cultura civile, la stessa esperienza religiosa perde il suo autentico fondamento nella verità di Dio, e diventa vulnerabile alla corruzione dell’umano [Cf. Francesco, Let. Enc. Laudato si’, nn. 115-121: AAS 107 (2015), 893-895]. La sfida è alta. Gli adattamenti della religione alle forme del potere mondano, pur se giustificati in nome della possibilità di ottenere migliori vantaggi per la fede, sono una tentazione costante e un rischio permanente. La Chiesa deve sviluppare una particolare sensibilità nel discernimento di questo compromesso, impegnandosi costantemente nella sua purificazione dai cedimenti alla tentazione della “mondanità spirituale” [Cf. id., Es. Ap. Evangelii gaudium, nn. 93-97: AAS 105 (2013), 1059-1061.]. La Chiesa deve esaminare sé stessa per ritrovare con sempre rinnovato slancio la via della vera adorazione di Dio «in spirito e verità» (Gv 4, 23) e dell’amore «di prima» (Ap 2, 4). Essa deve aprire, proprio attraverso questa continua conversione, l’accesso del Vangelo all’intimità del cuore umano, in quel punto in cui esso cerca – segretamente e anche inconsapevolmente – il riconoscimento del vero Dio e della religione vera. Il Vangelo è realmente capace di smascherare la manipolazione religiosa, che produce effetti di esclusione, di avvilimento, di abbandono e di separazione fra gli uomini.

  1. In definitiva, la visione propriamente cristiana della libertà religiosa attinge la sua più profonda ispirazione alla fede nella verità del Figlio fatto uomo per noi e per la nostra salvezza. Per mezzo di Lui, il Padre attrae a sé tutti i figli dispersi e tutte le pecore senza pastore (cf. Gv 10, 11-16; 12, 32; Mt 9, 36; Mc 6, 34). E lo Spirito raccoglie i gemiti (cf. Rom 8, 22), anche i più confusi e impercettibili, della creatura in ostaggio delle potenze del peccato, trasformandoli in preghiera. Lo Spirito di Dio agisce comunque, liberamente e con potenza. Dove però l’essere umano è messo in grado di esprimere liberamente il suo gemito e la sua invocazione, l’azione dello Spirito diventa riconoscibile per tutti coloro che cercano la giustizia della vita. E la sua consolazione si fa testimonianza di un’umanità riconciliata. La libertà religiosa libera lo spazio per la coscienza universale di appartenere ad una comunità di origine e di destino che non vuole rinunciare a tenere viva l’attesa di una giustizia della vita che siamo in grado di riconoscere, ma incapaci di onorare con le nostre sole forze. Il mistero della ricapitolazione in Cristo di ogni cosa, custodisce, per noi e per tutti, l’amorevole attesa dei frutti dello Spirito per ognuno, e l’emozionato annuncio della venuta del Figlio, per tutti (cf. Ef 1, 3-14).

da: COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE – SOTTOCOMMISSIONE LIBERTÀ RELIGIOSA, La libertà religiosa per il bene di tutti – approccio teologico alle sfide contemporanee (2019)

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