📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sulla libertà religiosa DIGNITATIS HUMANAE (7 dicembre 1965)

IL DIRITTO DELLA PERSONA UMANA E DELLE COMUNITÀ ALLA LIBERTÀ SOCIALE E CIVILE IN MATERIA DI RELIGIONE

II. LA LIBERTÀ RELIGIOSA ALLA LUCE DELLA RIVELAZIONE

La dottrina della libertà religiosa affonda le radici nella Rivelazione 9 Quanto questo Concilio Vaticano dichiara sul diritto degli esseri umani alla libertà religiosa ha il suo fondamento nella dignità della persona, le cui esigenze la ragione umana venne conoscendo sempre più chiaramente attraverso l'esperienza dei secoli. Anzi, una tale dottrina sulla libertà affonda le sue radici nella Rivelazione divina, per cui tanto più va rispettata con sacro impegno dai cristiani. Quantunque, infatti, la Rivelazione non affermi esplicitamente il diritto all'immunità dalla coercizione esterna in materia religiosa, fa tuttavia conoscere la dignità della persona umana in tutta la sua ampiezza, mostra il rispetto di Cristo verso la libertà umana degli esseri umani nell'adempimento del dovere di credere alla parola di Dio, e ci insegna lo spirito che i discepoli di un tale Maestro devono assimilare e manifestare in ogni loro azione. Tutto ciò illustra i principi generali sopra cui si fonda la dottrina della presente dichiarazione sulla libertà religiosa. E anzitutto, la libertà religiosa nella società è in piena rispondenza con la libertà propria dell'atto di fede cristiana.

Libertà dell'atto di fede 10 Un elemento fondamentale della dottrina cattolica, contenuto nella parola di Dio e costantemente predicato dai Padri (8), è che gli esseri umani sono tenuti a rispondere a Dio credendo volontariamente; nessuno, quindi, può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà (9). Infatti, l'atto di fede è per sua stessa natura un atto volontario, giacché gli essere umani, redenti da Cristo Salvatore e chiamati (10) in Cristo Gesù ad essere figli adottivi, non possono aderire a Dio che ad essi si rivela, se il Padre non li trae (11) e se non prestano a Dio un ossequio di fede ragionevole e libero. È quindi pienamente rispondente alla natura della fede che in materia religiosa si escluda ogni forma di coercizione da parte degli esseri umani. E perciò un regime di libertà religiosa contribuisce non poco a creare quell'ambiente sociale nel quale gli esseri umani possono essere invitati senza alcuna difficoltà alla fede cristiana, e possono abbracciarla liberamente e professarla con vigore in tutte le manifestazioni della vita. _______________________ NOTE

(8) Cf. LATTANZIO, Divinarum Institutionum, Lib. V, 19: CSEL 19, pp. 463-464, 465; PL 6, 614 e 616 (capp. 20); S. AMBROGIO, Epistola ad Valentinianum Imp., Lett. 21: PL 16, 1005; S. AGOSTINO, Contra litteras Petiliani, lib. II, cap. 83: CSEL 52, p. 112; PL 43, 315; cf. C. 23, q. 5, c. 33 (ed. Friedberg, col. 939); IDEM, Ep. 23: PL 33, 98; IDEM, Ep. 34: PL 33,132; IDEM, Ep. 35: PL 33,135; S. GREGORIO MAGNO, Epistola ad Virgilium et Theodorum Episcopos Massiliae Galliarum, Registrum Epistolarum I, 45: MGH, Ep. I, p. 72; PL 77,510-511 (lib. I, ep. 47): IDEM, Epistola ad Iohannem Episcopum Constantinopolitanum, Registrum Epistolarum III, 52: MGH, Ep. I, p. 210; PL 77,649 (lib. III, ep. 53); cf. D. 45, c. 1 (ed. Friedberg, col. 160); SIN. DI TOLEDO IV, c. 57: MANSI 10, 633; cf. D. 45, c. 5 (ed. Friedberg, col. 161-162); CLEMENTE III: X, V, 6, 9: (ed. Friedberg, col. 774); INNOCENZO III, Epistola ad Arelatensem Archiepiscopum, X, III, 42, (ed. Friedberg, col. 646).

(9) Cf. CIC, can. 1351 [nel nuovo Codice can. 748 § 2]: PIO XII, Discorso ai Prelati Uditori e agli altri ufficiali e impiegati del Tribunale della S. Romana Rota, 6 ott. 1946: AAS 38 (1946), p. 394; IDEM, Encicl. Mystici Corporis, 29 giugno 1943: AAS 35 (1943), p. 243 [Dz 3822].

(10) Cf. Ef 1,5.

(11) Cf. Gv 6,44.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

La concezione cristiana dei diritti della persona – che troverebbe echi nell'antropologia esplicita o implicita di altre tradizioni religiose – sostiene che la libertà inerente al soggetto umano, è chiamata a vivere nella responsabilità per il bene di tutti. Tuttavia, non ha alcuna possibilità di crescere in forza e saggezza senza la mediazione di relazioni umanizzanti che aiutano questa libertà a impegnarsi, a educarsi, a rafforzarsi, e anche a trasmettersi, al di là delle alienazioni dove la pura individualità, abbassata ad individualismo, può solo vegetare. In altri termini, nessuna persona, di fatto, vive da sola nell’universo ma è sempre insieme ad altri con cui è chiamata a costituire una comunità [Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un’etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale (2009), n. 41; Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, nn. 110, 149]. È stato da lungo tempo riconosciuto che non potremmo mai giudicare se una cosa sia meglio di un’altra se una consapevolezza elementare della verità non fosse già stata instillata in noi. Il giudizio della coscienza circa la giustizia dell’agire viene elaborato in base all’esperienza personale, attraverso la riflessione morale; e questo giudizio si definisce in rapporto con l’ethos comunitario che istruisce e rende apprezzabili i comportamenti virtuosi conformi alla verità dell’umano [Cf. Commissione Teologica Internazionale, Alla ricerca di un’etica universale, n. 38]. In questo senso, le comunità di appartenenza (famiglia, nazione, religione) precedono l'individuo per accoglierlo e assisterlo nella grande avventura antropologica della sua personalizzazione integrale [Cf. Id., Comunione e servizio, nn. 41-45; Id., Fede e inculturazione, n. 1.6]. Qui viene verificata la forma storica e sociale di attuazione della natura umana, che comprende un movimento di reciproca integrazione tra verità e libertà.

Il riconoscimento della “pari dignità” delle persone, in ogni caso, non si risolve nella semplice formulazione giuridica degli “uguali diritti”. Una concezione troppo astratta e formale dell’uguaglianza giuridica dei singoli, nell’ambito della legalità istituzionale, tende a ignorare la ricchezza delle differenze che possono e devono essere valorizzate e messe in relazione come fonte di ricchezza umana, e non neutralizzate come se fossero, in sé stesse, fondamento di discriminazione e svuotamento dell’identità. D’altro canto, occorre distinguere le differenze che strutturano la condizione umana dall’arbitrio delle inclinazioni soggettive private. Lo Stato che si limitasse a registrare questi desideri soggettivi, trasformandoli in vincolo del diritto, senza alcun riconoscimento del suo rapporto con il bene comune, rischierebbe di indebolire il sostegno istituzionale delle ragioni etiche che proteggono il legame sociale [Cf. J. Ratzinger-Benedetto XVI, “La moltiplicazione dei diritti e la distruzione dell’idea di diritto” in: Liberare la libertà. Fede e politica nel Terzo Millennio, Cantagalli, Siena 2018, 9-15]. La tutela dell’umano, che è il nostro bene comune più prezioso, viene in tal modo esposta ad una inevitabile erosione, che finisce per danneggiare anche il singolo [In occasione del 60º anniversario della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, la Santa Sede ha richiamato l’attenzione sul fatto che esiste oggi anche un problema di arbitrario riconoscimento di mere opzioni e inclinazioni, ideologicamente manipolate, che poco hanno a che fare con gli autentici diritti dell’uomo. In molti casi, l’idoneità di questi contenuti a rappresentare la dignità dell’umano universale non è realmente passata al vaglio del suo effettivo apporto al bene comune (cf. Mons. S. M. Tommasi, Intervento alla sesta sessione ordinaria del Consiglio dei diritti dell’uomo [10 dicembre 2007], Ginevra)]. In particolare, oggi lo riconosciamo con un’evidenza che in altre epoche non è stata così forte, l’uguale dignità della donna deve tradursi nel compiuto riconoscimento dei diritti umani uguali. Di fatti, «la Bibbia non dà alcun adito al concetto di una superiorità naturale del sesso maschile rispetto a quello femminile» [Commissione Teologica Internazionale, Comunione e servizio, n. 36]. Nonostante che l’uguale dignità della creatura di Dio, in virtù della quale la reciprocità deve esaltare e non mortificare la differenza del suo essere “uomo e donna”, sia chiaramente riconoscibile nel testo veterotestamentario (cf. Gen 2, 18-25), come anche nella parola e nell’atteggiamento di Gesù (cf. Mt 27, 55; 28, 1-8; Mc 7, 24-30; Lc 8, 1-3; Gv 4, 1-42; 11, 20-27; 19, 25) [Cf. san Giovanni Paolo II, Let. Ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), nn. 12-16: AAS 80 (1988), 1681-1692], l’elaborazione concreta e universale di questo principio è appena cominciata, non solo nel pensiero cristiano, ma anche nella cultura civile [Cf. Id., Es. Ap. Familiaris consortio (22 novembre 1981), nn. 22-24: AAS 74 (1982), 84-91; Id., Let. Ap. Mulieris dignitatem, n. 1: AAS 88 (1988), 1653-1655].

da: COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE – SOTTOCOMMISSIONE LIBERTÀ RELIGIOSA, La libertà religiosa per il bene di tutti – approccio teologico alle sfide contemporanee (2019)

🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sulla libertà religiosa DIGNITATIS HUMANAE (7 dicembre 1965)

IL DIRITTO DELLA PERSONA UMANA E DELLE COMUNITÀ ALLA LIBERTÀ SOCIALE E CIVILE IN MATERIA DI RELIGIONE

I. ASPETTI GENERALI DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA

La libertà dei gruppi religiosi 4 La libertà religiosa che compete alle singole persone, compete ovviamente ad esse anche quando agiscono in forma comunitaria. I gruppi religiosi, infatti, sono postulati dalla natura sociale tanto degli esseri umani, quanto della stessa religione.

A tali gruppi, pertanto, posto che le giuste esigenze dell'ordine pubblico non siano violate, deve essere riconosciuto il diritto di essere immuni da ogni misura coercitiva nel reggersi secondo norme proprie, nel prestare alla suprema divinità il culto pubblico, nell'aiutare i propri membri ad esercitare la vita religiosa, nel sostenerli con il proprio insegnamento e nel promuovere quelle istituzioni nelle quali i loro membri cooperino gli uni con gli altri ad informare la vita secondo i principi della propria religione.

Parimenti ai gruppi religiosi compete il diritto di non essere impediti con leggi o con atti amministrativi del potere civile di scegliere, educare, nominare e trasferire i propri ministri, di comunicare con le autorità e con le comunità religiose che vivono in altre regioni della terra, di costruire edifici religiosi, di acquistare e di godere di beni adeguati.

I gruppi religiosi hanno anche il diritto di non essere impediti di insegnare e di testimoniare pubblicamente la propria fede, a voce e per scritto. Però, nel diffondere la fede religiosa e nell'introdurre pratiche religiose, si deve evitare ogni modo di procedere in cui ci siano spinte coercitive o sollecitazioni disoneste o stimoli meno retti, specialmente nei confronti di persone prive di cultura o senza risorse: un tale modo di agire va considerato come abuso del proprio diritto e come lesione del diritto altrui.

Inoltre la libertà religiosa comporta pure che i gruppi religiosi non siano impediti di manifestare liberamente la virtù singolare della propria dottrina nell'ordinare la società e nel vivificare ogni umana attività. Infine, nel carattere sociale della natura umana e della stessa religione si fonda il diritto in virtù del quale gli esseri umani, mossi dalla propria convinzione religiosa, possano liberamente riunirsi e dar vita ad associazioni educative, culturali, caritative e sociali.

La libertà religiosa della famiglia 5 Ad ogni famiglia -società che gode di un diritto proprio e primordiale- compete il diritto di ordinare liberamente la propria vita religiosa domestica sotto la direzione dei genitori. A questi spetta il diritto di determinare l'educazione religiosa da impartire ai propri figli secondo la propria persuasione religiosa. Quindi deve essere dalla potestà civile riconosciuto ai genitori il diritto di scegliere, con vera libertà, le scuole e gli altri mezzi di educazione, e per una tale libertà di scelta non debbono essere gravati, né direttamente né indirettamente, da oneri ingiusti. Inoltre i diritti dei genitori sono violati se i figli sono costretti a frequentare lezioni scolastiche che non corrispondono alla persuasione religiosa dei genitori, o se viene imposta un'unica forma di educazione dalla quale sia esclusa ogni formazione religiosa.

Cura della libertà religiosa 6 Poiché il bene comune della società—che si concreta nell'insieme delle condizioni sociali, grazie alle quali gli uomini possono perseguire il loro perfezionamento più riccamente o con maggiore facilità —consiste soprattutto nella salvaguardia dei diritti della persona umana e nell'adempimento dei rispettivi doveri (5), adoperarsi positivamente per il diritto alla libertà religiosa spetta tanto ai cittadini quanto ai gruppi sociali, ai poteri civili, alla Chiesa e agli altri gruppi religiosi: a ciascuno nel modo ad esso proprio, tenuto conto del loro specifico dovere verso il bene comune.

Tutelare e promuovere gli inviolabili diritti dell'uomo è dovere essenziale di ogni potere civile (6). Questo deve quindi assicurare a tutti i cittadini, con leggi giuste e con mezzi idonei, l'efficace tutela della libertà religiosa, e creare condizioni propizie allo sviluppo della vita religiosa, cosicché i cittadini siano realmente in grado di esercitare i loro diritti attinenti la religione e adempiere i rispettivi doveri, e la società goda dei beni di giustizia e di pace che provengono dalla fedeltà degli uomini verso Dio e verso la sua santa volontà (7).

Se, considerate le circostanze peculiari dei popoli nell'ordinamento giuridico di una società viene attribuita ad un determinato gruppo religioso una speciale posizione civile, è necessario che nello stesso tempo a tutti i cittadini e a tutti i gruppi religiosi venga riconosciuto e sia rispettato il diritto alla libertà in materia religiosa.

Infine il potere civile deve provvedere che l'eguaglianza giuridica dei cittadini, che appartiene essa pure al bene comune della società, per motivi religiosi non sia mai lesa, apertamente o in forma occulta, e che non si facciano fra essi discriminazioni.

Da ciò segue che non è permesso al pubblico potere imporre ai cittadini con la violenza o con il timore o con altri mezzi la professione di una religione qualsivoglia oppure la sua negazione, o di impedire che aderiscano ad un gruppo religioso o che se ne allontanino. Tanto più poi si agisce contro la volontà di Dio e i sacri diritti della persona e il diritto delle genti quando si usa, in qualunque modo, la violenza per distruggere o per comprimere la stessa religione o in tutto il genere umano oppure in qualche regione o in un determinato gruppo.

I limiti della libertà religiosa 7 Il diritto alla libertà in materia religiosa viene esercitato nella società umana; di conseguenza il suo esercizio è regolato da alcune norme.

Nell'esercizio di ogni libertà si deve osservare il principio morale della responsabilità personale e sociale: nell'esercitare i propri diritti i singoli esseri umani e i gruppi sociali, in virtù della legge morale, sono tenuti ad avere riguardo tanto ai diritti altrui, quanto ai propri doveri verso gli altri e verso il bene comune. Con tutti si è tenuti ad agire secondo giustizia ed umanità.

Inoltre, poiché la società civile ha il diritto di proteggersi contro i disordini che si possono verificare sotto pretesto della libertà religiosa, spetta soprattutto al potere civile prestare una tale protezione; ciò però va compiuto non in modo arbitrario o favorendo iniquamente una delle parti, ma secondo norme giuridiche, conformi all'ordine morale obiettivo: norme giuridiche postulate dall'efficace difesa dei diritti e dalla loro pacifica armonizzazione a vantaggio di tutti i cittadini, da una sufficiente tutela di quella autentica pace pubblica che consiste in una vita vissuta in comune sulla base di una onesta giustizia, nonché dalla debita custodia della pubblica moralità. Questi sono elementi che costituiscono la parte fondamentale del bene comune e sono compresi sotto il nome di ordine pubblico. Per il resto nella società va rispettata la norma secondo la quale agli esseri umani va riconosciuta la libertà più ampia possibile, e la loro libertà non deve essere limitata, se non quando e in quanto è necessario.

Educazione all'esercizio della libertà 8 Nella nostra età gli esseri umani, a motivo di molteplici fattori, vivono in un'atmosfera di pressioni e corrono il pericolo di essere privati della facoltà di agire liberamente e responsabilmente. D'altra parte non sembrano pochi quelli che, sotto il pretesto della libertà, respingono ogni dipendenza e apprezzano poco la dovuta obbedienza.

Ragione per cui questo Concilio Vaticano esorta tutti, ma soprattutto coloro che sono impegnati in compiti educativi, ad adoperarsi per formare esseri umani i quali, nel pieno riconoscimento dell'ordine morale, sappiano obbedire alla legittima autorità e siano amanti della genuina libertà, esseri umani cioè che siano capaci di emettere giudizi personali nella luce della verità, di svolgere le proprie attività con senso di responsabilità, e che si impegnano a perseguire tutto ciò che è vero e buono, generosamente disposti a collaborare a tale scopo con gli altri.

La libertà religiosa, quindi, deve pure essere ordinata e contribuire a che gli esseri umani adempiano con maggiore responsabilità i loro doveri nella vita sociale. _______________________ NOTE

(5) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, 15 maggio 1961: AAS 53 (1961), p. 417; IDEM., Encicl. Pacem in terris, 11 aprile 1963: AAS 55 (1963), p. 273 [Dz 3984].

(6) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 apr. 1963: AAS 55 (1963), pp. 273-274 [Dz 3985]; PIO XII, Messaggio radiofonico, 1° giugno 1942: AAS 33 (1941), p. 200.

(7) Cf. LEONE XIII, Encicl. Immortale Dei, 1o nov. 1885: ASS 18 (1885), p. 161.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Dignitatis humanae propone quattro argomenti che giustificano la scelta della libertà religiosa precisamente come un diritto che si fonda sulla dignità della persona umana (cf. DH 1-8). Questi argomenti sono ampiamente ripresi alla luce della Rivelazione divina (cf. DH 9-11), liberamente accolta nell’atto di fede (cf. DH 10), precisando anche l’esercizio che la Chiesa ne ha fatto (cf. DH 12-14).

Il primo argomento è l’integrità della persona umana, ossia l’impossibilità di separare la sua libertà interiore dalla sua manifestazione pubblica. Questo diritto di libertà non è un fatto soggettivo, ma scaturisce ontologicamente dalla natura e dalla vocazione radicale per cui ogni essere umano è persona, dotata di ragione e volontà in virtù delle quali è chiamata a entrare in una relazione esistenzialmente coinvolgente con il bene, la verità, la giustizia. In termini religiosi, questa intrinseca vocazione dell’essere personale è l’essere umano secondo l’originario disegno divino: creato come capax Dei, aperto alla trascendenza. Questo è il fondamento radicale e ultimo della libertà religiosa (cf. DH 2a, 9, 11, 12). Il punto centrale quindi è la sacrosanta libertà del singolo di non essere forzato o mortificato nell’esercizio autentico della religione. Ogni singolo, a questo riguardo, deve rispondere in maniera responsabile dei suoi atti: nella serietà della sua coscienza del bene e nella libertà della sua ricerca della verità (e giustizia; cf. DH 2, 4, 5, 8, 13).

Il secondo argomento è intrinseco al dovere di cercare la verità, che richiede e presuppone il dialogo tra esseri umani, secondo la loro indole, dunque in maniera sociale. La libertà religiosa, lungi dallo svuotare d’importanza il legame sociale, rimane condizione condivisa della ricerca della verità degna dell’uomo. Il valore del dialogo è decisivo poiché «la verità non s’impone se non in forza della verità stessa, la quale penetra lo spirito soavemente e insieme con vigore» (DH 1c). Il dialogo attivato da tale ricerca consentirà a tutti, senza discriminazioni, di esporre e argomentare la verità ricevuta e scoperta, al fine di riconoscerne l’importanza per l’intera comunità umana (cf. DH 3b)[Cf. anche Concilio Ecumenico Vaticano II, Dich. Nostra aetate (28 ottobre 1965), nn. 1, 5]. Il soggetto della libertà religiosa non è dunque soltanto il singolo, ma anche la comunità e, in particolare, la famiglia. Di qui il richiamo alla necessità dell’esercizio della libertà nella trasmissione dei valori religiosi attraverso l’educazione e l’insegnamento (cf. DH 4, 5, 13b). Per quanto riguarda la famiglia e i genitori si afferma: «Ad ogni famiglia – società che gode di un diritto proprio e primordiale – compete il diritto di ordinare liberamente la propria vita religiosa domestica sotto la direzione dei genitori. A questi spetta il diritto di determinare l’educazione religiosa da impartire ai propri figli secondo la propria persuasione religiosa. Quindi deve essere riconosciuto dall’autorità civile ai genitori il diritto di scegliere, con vera libertà, le scuole e gli altri mezzi di educazione» (DH 5a).

Il terzo argomento scaturisce dalla natura della religione, che l’homo religiosus, in quanto essere sociale, vive e manifesta nella società attraverso atti interni e culto pubblico [Nel riferirsi all’ateismo il Concilio offre una descrizione esistenziale della condizione religiosa come appartenente all’esperienza comune degli uomini (cf. Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. Past. Gaudium et spes, nn. 19-21). È una riflessione permanente nei testi ecclesiali postconciliari. Si vedano le sintesi del Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 27-30 oppure del Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (2004), nn. 14-15. Anche i documenti della Commissione Teologica Internazionale, Il cristianesimo e le religioni (1997), nn. 107-108; Dio Trinità, unità degli uomini. Il monoteismo cristiano contro la violenza (2014), nn. 1-2]. Il diritto alla libertà religiosa si esercita, infatti, nella società umana e consente all’uomo anzitutto l’immunità da qualsiasi coercizione esterna per quanto attiene al rapporto con Dio (cf. DH 2, 3c-e, 4, 10, 11, 13). Le autorità civili e politiche, il cui fine proprio è prendersi cura del bene comune temporale, non hanno alcun diritto d’ingerirsi nelle questioni attinenti alla sfera della libertà religiosa personale che rimane intangibile nella coscienza del singolo, e al tempo stesso nella sua manifestazione pubblica, a meno che non si tratti di una questione di giusto ordine pubblico fondata, in ogni caso, su fatti accertati e corrette informazioni (cf. DH 1, 2, 5).

Il quarto argomento, infine, tocca i limiti del potere puramente umano, civile e giuridico in tema di religione. Occorre che anche la stessa religione abbia piena avvertenza della legittimità o meno delle forme della sua manifestazione pubblica. Infatti, l’esplicitazione dei limiti della libertà religiosa, in ordine alla salvaguardia della giustizia e alla custodia della pace, sono parti integranti del bene comune (cf. DH 3, 4, 7, 8) e coinvolge gli stessi credenti (cf. DH 7, 15).

da: COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE – SOTTOCOMMISSIONE LIBERTÀ RELIGIOSA, La libertà religiosa per il bene di tutti – approccio teologico alle sfide contemporanee (2019)

🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sulla libertà religiosa DIGNITATIS HUMANAE (7 dicembre 1965)

IL DIRITTO DELLA PERSONA UMANA E DELLE COMUNITÀ ALLA LIBERTÀ SOCIALE E CIVILE IN MATERIA DI RELIGIONE

I. ASPETTI GENERALI DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA

Oggetto e fondamento della libertà religiosa 2 Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l'hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione (2). Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società.

A motivo della loro dignità, tutti gli esseri umani, in quanto sono persone, dotate cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di personale responsabilità, sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e ad ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze. Ad un tale obbligo, però, gli esseri umani non sono in grado di soddisfare, in modo rispondente alla loro natura, se non godono della libertà psicologica e nello stesso tempo dell'immunità dalla coercizione esterna. Il diritto alla libertà religiosa non si fonda quindi su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stessa natura. Per cui il diritto ad una tale immunità perdura anche in coloro che non soddisfano l'obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa, e il suo esercizio, qualora sia rispettato l'ordine pubblico informato a giustizia, non può essere impedito.

Libertà religiosa e rapporto dell'uomo con Dio 3 Quanto sopra esposto appare con maggiore chiarezza qualora si consideri che norma suprema della vita umana è la legge divina, eterna, oggettiva e universale, per mezzo della quale Dio con sapienza e amore ordina, dirige e governa l'universo e le vie della comunità umana. E Dio rende partecipe l'essere umano della sua legge, cosicché l'uomo, sotto la sua guida soavemente provvida, possa sempre meglio conoscere l'immutabile verità. Perciò ognuno ha il dovere e quindi il diritto di cercare la verità (3) in materia religiosa, utilizzando mezzi idonei per formarsi giudizi di coscienza retti e veri secondo prudenza.

La verità, però, va cercata in modo rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura sociale: e cioè con una ricerca condotta liberamente, con l'aiuto dell'insegnamento o dell'educazione, per mezzo dello scambio e del dialogo con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca, gli uni rivelano agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di avere scoperta; inoltre, una volta conosciuta la verità, occorre aderirvi fermamente con assenso personale.

L'uomo coglie e riconosce gli imperativi della legge divina attraverso la sua coscienza, che è tenuto a seguire fedelmente in ogni sua attività per raggiungere il suo fine che è Dio. Non si deve quindi costringerlo ad agire contro la sua coscienza. E non si deve neppure impedirgli di agire in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso. Infatti l'esercizio della religione, per sua stessa natura, consiste anzitutto in atti interni volontari e liberi, con i quali l'essere umano si dirige immediatamente verso Dio: e tali atti da un'autorità meramente umana non possono essere né comandati, né proibiti (4). Però la stessa natura sociale dell'essere umano esige che egli esprima esternamente gli atti interni di religione, comunichi con altri in materia religiosa e professi la propria religione in modo comunitario.

Si fa quindi ingiuria alla persona umana e allo stesso ordine stabilito da Dio per gli esseri umani, quando si nega ad essi il libero esercizio della religione nella società, una volta rispettato l'ordine pubblico informato a giustizia.

Inoltre gli atti religiosi, con i quali in forma privata e pubblica gli esseri umani con decisione interiore si dirigono a Dio, trascendono per loro natura l'ordine terrestre e temporale delle cose. Quindi la potestà civile, il cui fine proprio è di attuare il bene comune temporale, deve certamente rispettare e favorire la vita religiosa dei cittadini, però evade dal campo della sua competenza se presume di dirigere o di impedire gli atti religiosi. _______________________ NOTE

(2) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 aprile 1963: AAS 55 (1963), pp. 260-261 [Dz 3961]; PIO XII, Messaggio radiofonico, Con sempre nuova freschezza, 24 dic. 1942: AAS 35 (1943), p. 19; PIO XI, Encicl. Mit brennender Sorge, 14 marzo 1937: AAS 29 (1937), p. 160; LEONE XIII, Encicl. Libertas praestantissimum, 20 giugno 1888: Acta Leonis XIII 8 (1888), pp. 237-238 [Dz 3250-51].

(3) Cf. S. TOMMASO, Summa Theol., I-II, q. 91, a. 1; q. 93, a. 1-2.

(4) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 aprile 1963: AAS 55 (1963), p. 270 [Dz 3980]; PAOLO VI, Messaggio radiofonico, 22 dic. 1964: AAS 57 (1965), pp. 181-182; S. TOMMASO, Summa Theol., I-II, q. 91, a. 4 c.

🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sulla libertà religiosa DIGNITATIS HUMANAE (7 dicembre 1965)

IL DIRITTO DELLA PERSONA UMANA E DELLE COMUNITÀ ALLA LIBERTÀ SOCIALE E CIVILE IN MATERIA DI RELIGIONE

PROEMIO

1 Nell'età contemporanea gli esseri umani divengono sempre più consapevoli della propria dignità di persone (1) e cresce il numero di coloro che esigono di agire di loro iniziativa, esercitando la propria responsabile libertà, mossi dalla coscienza del dovere e non pressati da misure coercitive. Parimenti, gli stessi esseri umani postulano una giuridica delimitazione del potere delle autorità pubbliche, affinché non siano troppo circoscritti i confini alla onesta libertà, tanto delle singole persone, quanto delle associazioni. Questa esigenza di libertà nella convivenza umana riguarda soprattutto i valori dello spirito, e in primo luogo il libero esercizio della religione nella società. Considerando diligentemente tali aspirazioni, e proponendosi di dichiarare quanto e come siano conformi alla verità e alla giustizia, questo Concilio Vaticano rimedita la tradizione sacra e la dottrina della Chiesa, dalle quali trae nuovi elementi in costante armonia con quelli già posseduti.

Anzitutto, il sacro Concilio professa che Dio stesso ha fatto conoscere al genere umano la via attraverso la quale gli uomini, servendolo, possono in Cristo trovare salvezza e pervenire alla beatitudine. Questa unica vera religione crediamo che sussista nella Chiesa cattolica e apostolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato la missione di comunicarla a tutti gli uomini, dicendo agli apostoli: « Andate dunque, istruite tutte le genti battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto quello che io vi ho comandato » (Mt 28,19-20). E tutti gli esseri umani sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ciò che concerne Dio e la sua Chiesa, e sono tenuti ad aderire alla verità man mano che la conoscono e a rimanerle fedeli.

Il sacro Concilio professa pure che questi doveri attingono e vincolano la coscienza degli uomini, e che la verità non si impone che per la forza della verità stessa, la quale si diffonde nelle menti soavemente e insieme con vigore. E poiché la libertà religiosa, che gli esseri umani esigono nell'adempiere il dovere di onorare Iddio, riguarda l'immunità dalla coercizione nella società civile, essa lascia intatta la dottrina tradizionale cattolica sul dovere morale dei singoli e delle società verso la vera religione e l'unica Chiesa di Cristo. Inoltre il sacro Concilio, trattando di questa libertà religiosa, si propone di sviluppare la dottrina dei sommi Pontefici più recenti intorno ai diritti inviolabili della persona umana e all'ordinamento giuridico della società. _______________________ NOTE

(1) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 aprile 1963: AAS 55 (1963), p. 279; ibid., p. 265; PIO XII, Messaggio radiofonico, 24 dic. 1944: AAS 37 (1945), p. 14.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Dignitatis humanae è un testo che ha subito una trasformazione radicale nel corso di ben cinque diverse stesure prima di essere approvato. Il problema fondamentale, che creava maggiori difficoltà, era il modo di definire questa libertà. Nel secondo degli schemi preparati questa veniva presentata come un diritto positivo, come facoltà di agire e diritto a non essere impedito di agire. “Ma già nel terzo schema – ricordava il cardinale domenicano Jérôme Hamer, all’epoca uno degli esperti teologi che aveva collaborato alla stesura – l’ambiguità di una libertà religiosa definita come diritto positivo e negativo era scomparsa. Si parlava ormai di un diritto all’immunità, un diritto a non subire coercizioni da parte di qualsiasi potere umano non solo nella formazione della coscienza in materia religiosa, ma anche nel libero esercizio della religione”. Un contributo decisivo per la formulazione del documento e della definizione della libertà religiosa come immunità era arrivato da Paolo VI, che nel corso di un’udienza pubblica, il 28 giugno 1965, descrivendo la libertà religiosa aveva detto: “Voi vedrete riassunta una gran parte di questa dottrina capitale in due proposizioni famose: in materia di fede che nessuno sia impedito! Che nessuno sia costretto!”.

Il testo definitivo del documento, al paragrafo primo, recita: «E poiché la libertà religiosa… riguarda l’immunità dalla coercizione nella società civile, essa lascia intatta la dottrina tradizionale cattolica sul dovere morale dei singoli e della società verso la vera religione e l’unica Chiesa di Cristo”. L’affermazione del diritto alla libertà religiosa non equivale dunque né a mettere verità e falsità sullo stesso piano, né ad affermare indifferenza o arbitrio in ambito religioso. “Poiché rimane il dovere di formarsi una coscienza vera – ha osservato padre Gianpaolo Salvini – non c’è alcuna opposizione con la consapevolezza della Chiesa di essere l’unica vera religione… Il fondamento della libertà religiosa è espresso in modo assertivo e viene indicato nella dottrina cattolica della dignità della persona umana. Inoltre è visto in modo nuovo il rapporto con i dati biblici e con la rivelazione che, benché non parli espressamente di questo diritto (che è una determinazione civile e giuridica), tuttavia rivela la dignità della persona umana in tutta la sua ampiezza in modo congruo con la libertà dell’atto di fede cristiano”.

da: Andrea Tornielli, Dignitatis humanae, così il Concilio sancì il diritto alla libertà religiosa


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane NOSTRA AETATE (28 ottobre 1965)

Fraternità universale

5 Non possiamo invocare Dio come Padre di tutti gli uomini, se ci rifiutiamo di comportarci da fratelli verso alcuni tra gli uomini che sono creati ad immagine di Dio. L'atteggiamento dell'uomo verso Dio Padre e quello dell'uomo verso gli altri uomini suoi fratelli sono talmente connessi che la Scrittura dice: « Chi non ama, non conosce Dio » (1 Gv 4,8).

Viene dunque tolto il fondamento a ogni teoria o prassi che introduca tra uomo e uomo, tra popolo e popolo, discriminazioni in ciò che riguarda la dignità umana e i diritti che ne promanano.

In conseguenza la Chiesa esecra, come contraria alla volontà di Cristo, qualsiasi discriminazione tra gli uomini e persecuzione perpetrata per motivi di razza e di colore, di condizione sociale o di religione. E quindi il sacro Concilio, seguendo le tracce dei santi apostoli Pietro e Paolo, ardentemente scongiura i cristiani che, «mantenendo tra le genti una condotta impeccabile» (1 Pt 2,12), se è possibile, per quanto da loro dipende, stiano in pace con tutti gli uomini (14), affinché siano realmente figli del Padre che è nei cieli (15).

Tutte e singole le cose stabilite in questo Decreto, sono piaciute ai Padri del Sacro Concilio. E Noi, in virtù della potestà Apostolica conferitaci da Cristo, unitamente ai Venerabili Padri, nello Spirito Santo le approviamo, le decretiamo e le stabiliamo; e quanto stato così sinodalmente deciso, comandiamo che sia promulgato a gloria di Dio.

Roma, presso San Pietro, 28 ottobre 1965. _______________________ NOTE

(14) Cf. Rm 12,18.

(15) Cf. Mt 5,45.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

L’orizzonte dell’unità e della fraternità Il testo si introduce con una significativa evocazione del “nostro tempo”: indicazione che lo apparenta subito al preludio della Gaudium et Spes, in cui la Chiesa si pone con atteggiamento di attenzione e apertura nei confronti del mondo contemporaneo, cercando di intercettarne attese e speranze alla luce dei “segni dei tempi”. Di questo nostro tempo la Nostra Aetate mette a fuoco soprattutto il fenomeno della spinta verso l’unità. Non è usata la parola oggi in voga di “globalizzazione”, ma è descritto efficacemente il processo secondo cui «il genere umano si unifica di giorno in giorno più strettamente e cresce l’interdipendenza tra i vari popoli» (EV I,523).

Questo dato, di per sé sociologico, si unisce alla prospettiva valoriale della “fraternità universale”, a cui il documento dedica le battute conclusive del numero 5, formando così una grande inclusione testuale. Il dato sociologico è letto con la cifra teologica dell’universale relazione di figliolanza degli uomini nei confronti dell’unico Dio, con le conseguenze che ne derivano per un’etica dell’amore senza confini e della lotta a tutte le possibili discriminazioni per motivi di razza o di colore, di condizione sociale o di religione. Un forte monito è indirizzato ai cattolici perché siano uomini e donne di pace secondo la beatitudine evangelica “Beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio” (Mt 5,45).

da: Domenico Sorrentino, NOSTRA AETATE – Senso e prospettive della Dichiarazione del Concilio Vaticano II sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane NOSTRA AETATE (28 ottobre 1965)

La religione musulmana 3 La Chiesa guarda anche con stima i musulmani che adorano l'unico Dio, vivente e sussistente, misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra (5), che ha parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano la sua madre vergine, Maria, e talvolta pure la invocano con devozione. Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno.

Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà.

La religione ebraica 4 Scrutando il mistero della Chiesa, il sacro Concilio ricorda il vincolo con cui il popolo del Nuovo Testamento è spiritualmente legato con la stirpe di Abramo.

La Chiesa di Cristo infatti riconosce che gli inizi della sua fede e della sua elezione si trovano già, secondo il mistero divino della salvezza, nei patriarchi, in Mosè e nei profeti.

Essa confessa che tutti i fedeli di Cristo, figli di Abramo secondo la fede (6), sono inclusi nella vocazione di questo patriarca e che la salvezza ecclesiale è misteriosamente prefigurata nell'esodo del popolo eletto dalla terra di schiavitù. Per questo non può dimenticare che ha ricevuto la rivelazione dell'Antico Testamento per mezzo di quel popolo con cui Dio, nella sua ineffabile misericordia, si è degnato di stringere l'Antica Alleanza, e che essa stessa si nutre dalla radice dell'ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell'ulivo selvatico che sono i gentili (7). La Chiesa crede, infatti, che Cristo, nostra pace, ha riconciliato gli Ebrei e i gentili per mezzo della sua croce e dei due ha fatto una sola cosa in se stesso (8). Inoltre la Chiesa ha sempre davanti agli occhi le parole dell'apostolo Paolo riguardo agli uomini della sua stirpe: « ai quali appartiene l'adozione a figli e la gloria e i patti di alleanza e la legge e il culto e le promesse, ai quali appartengono i Padri e dai quali è nato Cristo secondo la carne» (Rm 9,4-5), figlio di Maria vergine.

Essa ricorda anche che dal popolo ebraico sono nati gli apostoli, fondamenta e colonne della Chiesa, e così quei moltissimi primi discepoli che hanno annunciato al mondo il Vangelo di Cristo.

Come attesta la sacra Scrittura, Gerusalemme non ha conosciuto il tempo in cui è stata visitata (9); gli Ebrei in gran parte non hanno accettato il Vangelo, ed anzi non pochi si sono opposti alla sua diffusione (10). Tuttavia secondo l'Apostolo, gli Ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento (11). Con i profeti e con lo stesso Apostolo, la Chiesa attende il giorno, che solo Dio conosce, in cui tutti i popoli acclameranno il Signore con una sola voce e « lo serviranno sotto uno stesso giogo » (Sof 3,9) (12).

Essendo perciò tanto grande il patrimonio spirituale comune a cristiani e ad ebrei, questo sacro Concilio vuole promuovere e raccomandare tra loro la mutua conoscenza e stima, che si ottengono soprattutto con gli studi biblici e teologici e con un fraterno dialogo.

E se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo (13), tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione, non può essere imputato né indistintamente a tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo.

E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli Ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla sacra Scrittura. Curino pertanto tutti che nella catechesi e nella predicazione della parola di Dio non si insegni alcunché che non sia conforme alla verità del Vangelo e dello Spirito di Cristo.

La Chiesa inoltre, che esecra tutte le persecuzioni contro qualsiasi uomo, memore del patrimonio che essa ha in comune con gli Ebrei, e spinta non da motivi politici, ma da religiosa carità evangelica, deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell'antisemitismo dirette contro gli Ebrei in ogni tempo e da chiunque. In realtà il Cristo, come la Chiesa ha sempre sostenuto e sostiene, in virtù del suo immenso amore, si è volontariamente sottomesso alla sua passione e morte a causa dei peccati di tutti gli uomini e affinché tutti gli uomini conseguano la salvezza. Il dovere della Chiesa, nella sua predicazione, è dunque di annunciare la croce di Cristo come segno dell'amore universale di Dio e come fonte di ogni grazia. _______________________ NOTE

(5) Cf. S. GREGORIO VII, Epist., III, 21, ad Anazir (Al-Nãþir), regem Mauritaniae, ed. E. CASPAR in MGH, Ep. sel. II, 1920, I, p. 288, 11-15; PL 148, 451A.

(6) Cf. Gal 3,7.

(7) Cf. Rm 11,17-24.

(8) Cf. Ef 2,14-16.

(9) Cf. Lc 19,44.

(10) Cf. Rm 11,28.

(11) Cf. Rm 11,28-29; CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium: AAS 57 (1965), p. 20 [pag. 151ss].

(12) Cf. Is 66,23; Sal 64,4; Rm 11,11-32.

(13) Cf. Gv 19,6.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Cristiani – musulmani: dimenticare il passato: voltare pagina! Si potrebbe sintetizzare così il n.3 della Nostra Aetate. Dietro questa dichiarazione ci sono secoli di diffidenza, di paure, di crociate, fino alle più recenti espressioni di una incomprensione storica che conosce forme aggressive, che certo non esprimono, né sul versante musulmano né su quello cristiano, il migliore e più autorevole volto delle due religioni. La breve descrizione che il Concilio fa dell’islam, dichiarando la sua stima per i musulmani, parte dalla visione di Dio, continua con il senso dell’islam come sottomissione ai decreti di Dio sull’esempio di Abramo. Si rintracciano anche due elementi di incontro nella venerazione di Gesù come profeta e nell’onore che i musulmani riservano a Maria. Altrettanto si rileva per l’escatologia e l’impegno nella vita morale. Rimane confermato, in questo quadretto, il principio ermeneutico della ricerca di ciò che è comune, al di là di ciò che divide.

Il paragrafo sugli ebrei è quello più corposo della NAe. E non a caso, dato che il documento stesso si era delineato e sviluppato a partire da questo interesse specifico. Com’era da attendersi, è soprattutto questo lo spazio dei frequenti rimandi biblici. La storia di una lunga antitesi, iniziata fin dalla prima ora dei rapporti tra ebrei e giudeo-cristiani, anticipata in qualche modo dalle polemiche di Gesù con farisei, scribi e l’establishment sacerdotale e culminata con la sua morte, dopo duemila anni che hanno visto i pogrom e la shoah, torna ad una pacata rilettura della storia della salvezza e dei testi neotestamentari. Il nuovo clima di dialogo – direi l’imperativo del dialogo – aiuta a ricercare, tra i testi, quelli che meglio possono favorire l’incontro. Ma non è questione di pura etica di un rapporto che vuol tornare ad essere di buon vicinato e quindi opta per le buone maniere! È, piuttosto, e più fondamentalmente, una vera e propria questione di identità che riguarda i discepoli di Cristo. Il cristianesimo del Vaticano II si riscopre radicato nell’humus ebraico con una relazione che non si pone soltanto nel passato, dunque come qualcosa di “archiviabile”, ma è piuttosto un obiettivo, costitutivo e insuperabile rapporto. Lo sviluppo evidente di quel primo rapporto non può essere inteso come una totale alternativa, una “sostituzione” del cristianesimo all’ebraismo, ma piuttosto come una crescita. Riprendendo le affermazioni di Paolo in Rm 11, 17-24, la Chiesa del Vaticano II dichiara di «nutrirsi della radice dell’ulivo buono su cui sono stati innestati i rami dell’ulivo selvatico che sono i popoli pagani». Certo, essa verrebbe meno alla sua identità se non facesse proprio il dolore di Gesù su Gerusalemme, per il fatto che “non ha conosciuto il tempo quando è stata visitata” (cf Lc 19,44). È un dato innegabile, semplicemente storia, che «gli ebrei, in gran parte, non hanno accettato il vangelo e anzi non pochi si sono opposti alla sua diffusione». E tuttavia, continua la dichiarazione, «gli ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui chiamata sono senza pentimento (Rm 11, 28-29)». Chiesa ed ebrei condividono pertanto un “patrimonio comune”, che chiede reciproca conoscenza e stima. Parole inequivocabili, che spazzano via secoli di ostilità. Di portata storica è poi il superamento di quella “vulgata” del popolo “deicida” che ha favorito, se non fomentato, un secolare antisemitismo aperto o strisciante nel mondo cristiano e cattolico. La verità è finalmente ristabilita: se le autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo (Gv 19,6), tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi né agli ebrei del nostro tempo. Un impegno nuovo è quello che assume così la catechesi ecclesiale a dare una versione rispettosa dei fatti, nella consapevolezza, peraltro sempre coltivata nei secoli, che la vera causa della passione di Cristo è stato il peccato di tutti gli uomini. Di qui la deplorazione ed esecrazione di tutti gli odi, le persecuzioni e le manifestazioni di antisemitismo “dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque”. La dichiarazione NAe fa qui, se non una rivoluzione copernicana, una svolta storica: il mistero dell’elezione torna ad essere un mistero di misericordia per tutti e non più una infinita contesa di primogenitura.

da: Domenico Sorrentino, NOSTRA AETATE – Senso e prospettive della Dichiarazione del Concilio Vaticano II sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane NOSTRA AETATE (28 ottobre 1965)

Introduzione 1 Nel nostro tempo in cui il genere umano si unifica di giorno in giorno più strettamente e cresce l'interdipendenza tra i vari popoli, la Chiesa esamina con maggiore attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni non-cristiane. Nel suo dovere di promuovere l'unità e la carità tra gli uomini, ed anzi tra i popoli, essa in primo luogo esamina qui tutto ciò che gli uomini hanno in comune e che li spinge a vivere insieme il loro comune destino.

I vari popoli costituiscono infatti una sola comunità. Essi hanno una sola origine, poiché Dio ha fatto abitare l'intero genere umano su tutta la faccia della terra (1) hanno anche un solo fine ultimo, Dio, la cui Provvidenza, le cui testimonianze di bontà e il disegno di salvezza si estendono a tutti (2) finché gli eletti saranno riuniti nella città santa, che la gloria di Dio illuminerà e dove le genti cammineranno nella sua luce (3).

Gli uomini attendono dalle varie religioni la risposta ai reconditi enigmi della condizione umana, che ieri come oggi turbano profondamente il cuore dell'uomo: la natura dell'uomo, il senso e il fine della nostra vita, il bene e il peccato, l'origine e lo scopo del dolore, la via per raggiungere la vera felicità, la morte, il giudizio e la sanzione dopo la morte, infine l'ultimo e ineffabile mistero che circonda la nostra esistenza, donde noi traiamo la nostra origine e verso cui tendiamo.

Le diverse religioni 2 Dai tempi più antichi fino ad oggi presso i vari popoli si trova una certa sensibilità a quella forza arcana che è presente al corso delle cose e agli avvenimenti della vita umana, ed anzi talvolta vi riconosce la Divinità suprema o il Padre. Questa sensibilità e questa conoscenza compenetrano la vita in un intimo senso religioso.

Quanto alle religioni legate al progresso della cultura, esse si sforzano di rispondere alle stesse questioni con nozioni più raffinate e con un linguaggio più elaborato. Così, nell'induismo gli uomini scrutano il mistero divino e lo esprimono con la inesauribile fecondità dei miti e con i penetranti tentativi della filosofia; cercano la liberazione dalle angosce della nostra condizione sia attraverso forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda, sia nel rifugio in Dio con amore e confidenza. Nel buddismo, secondo le sue varie scuole, viene riconosciuta la radicale insufficienza di questo mondo mutevole e si insegna una via per la quale gli uomini, con cuore devoto e confidente, siano capaci di acquistare lo stato di liberazione perfetta o di pervenire allo stato di illuminazione suprema per mezzo dei propri sforzi o con l'aiuto venuto dall'alto. Ugualmente anche le altre religioni che si trovano nel mondo intero si sforzano di superare, in vari modi, l'inquietudine del cuore umano proponendo delle vie, cioè dottrine, precetti di vita e riti sacri.

La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini.

Tuttavia essa annuncia, ed è tenuta ad annunciare, il Cristo che è « via, verità e vita » (Gv 14,6), in cui gli uomini devono trovare la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato con se stesso tutte le cose (4).

Essa perciò esorta i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi. _______________________ NOTE

(1) Cf. At 17,26.

(2) Cf. Sap 8,1; At 14,17; Rm 2,6-7; 1 Tm 2,4.

(3) Cf. Ap 21,23-24.

(4) Cf. 2 Cor 5,18-19.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

La dichiarazione Nostra Aetate, approvata il 28 ottobre 1965, è il più breve documento del Concilio Vaticano II. Ma è forse il più gravido di novità, nell’ambito dell’autocomprensione della Chiesa, del suo rapporto con le altre religioni, delle conseguenze socioculturali e religiose che ne possono derivare per la storia dell’umanità. Una dichiarazione sentita come “scandalosa” da quei cattolici tradizionalisti che hanno preso le distanze dal Concilio e vedono in questo documento uno dei principali “tradimenti” della fede cattolica.

Occorre riconoscere che l’impostazione della Nostra Aetate rappresenta uno dei punti del Concilio in cui è più visibile il progresso dottrinale, sino ad apparire in alcuni aspetti, senza tuttavia essere in alcun modo un tradimento, più in discontinuità che in continuità con la teologia e il magistero precedente. In questo senso il documento può favorire quella cosiddetta “ermeneutica della discontinuità” che ha finito talvolta per incoraggiare innovazioni post-conciliari spinte ben oltre il dettato conciliare, in nome dello “spirito” del Concilio contrapposto alla sua lettera, ritenuta frutto spurio di compromessi tra contrastanti posizioni teologiche. È noto che questa problematica ha dato vita a un corposo dibattito interpretativo. Alla stigmatizzazione dell’ermeneutica della discontinuità ha provveduto vigorosamente papa Benedetto XVI.

«L'ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare. Essa asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l'unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili. Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi rappresenterebbero il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e in conformità con essi bisognerebbe andare avanti. Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l'intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio. In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito» (Cf BENEDETTO XVI, Discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005).

Preoccupazione, quella di papa Ratzinger, comprensibile di fronte alla marcata tendenza a un riduzionismo conciliare a vantaggio esclusivo dei suoi aspetti innovativi e a fondamento di tesi non giustificabili con le posizioni del Concilio. Ma che la dichiarazione Nostra Aetate esprima un rinnovamento quanto meno audace è indiscutibile: basterebbe a suggerirlo il non piccolo indizio che, a fronte delle numerose citazioni bibliche, quelle del magistero si riducono a due: una di esse è interna al Vaticano II, essendo tratta dalla Lumen Gentium a proposito della irrevocabilità dei doni di Dio per gli ebrei; l’altra rinvia a una pagina interessante quanto peregrina di Gregorio VII, una sua lettera ad Al Nasir re della Mauritania, in cui il Papa si mostra convinto che cristiani e musulmani credano “in un unico Dio, anche se in modo differente”.

In realtà basta poco a notare come, rispetto a una tradizione che, dalla Sacra Scrittura ai due millenni di storia cristiana, ha conosciuto più la psicologia della contrapposizione che quella della “composizione” nel rapporto del cristianesimo con la fenomenologia religiosa universale, queste sobrie ma ariose pagine del Vaticano II inaugurano un tempo nuovo. Quanto questo volesse dire, dal punto di vista operativo, divenne chiaro soprattutto ad Assisi, il 27 ottobre del 1986, quando, per la prima volta nella storia, si vide un Papa, san Giovanni Paolo II, pregare per la pace insieme con i rappresentanti non solo delle diverse confessioni cristiane ma delle principali religioni del mondo. Quell’evento, ormai legato allo slogan “spirito di Assisi”, è la divulgazione e la traduzione operativa più clamorosa della Nostra Aetate, non senza strascichi polemici che continuano ad avvelenare il mondo cattolico .

da: Domenico Sorrentino, NOSTRA AETATE – Senso e prospettive della Dichiarazione del Concilio Vaticano II sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sull’educazione cristiana GRAVISSIMUM EDUCATIONIS (28 ottobre 1965)

Le scuole superiori 10 Analogamente la Chiesa ha grande cura delle scuole di grado superiore specialmente delle università e delle facoltà. Anzi, in tutte quelle che da essa dipendono, mira organicamente a che le varie discipline siano coltivate secondo i propri principi e il proprio metodo, con la libertà propria della ricerca scientifica, in maniera che se ne abbia una sempre più profonda comprensione e, indagando accuratamente le nuove questioni e ricerche suscitate dai progressi dell'epoca moderna, si colga più chiaramente come fede e ragione si incontrano nell'unica verità, seguendo le orme dei dottori della Chiesa, specialmente di S. Tommaso d'Aquino (31). In tal modo si realizzerà come una presenza pubblica, costante ed universale del pensiero cristiano in tutto lo sforzo dedicato a promuovere la cultura superiore; inoltre questi istituti devono formare in tal guisa tutti i loro studenti, che essi diventino uomini veramente insigni per sapere, pronti a svolgere compiti impegnativi nella società e a testimoniare la loro fede di fronte al mondo (32).

Nelle università cattoliche in cui manchi la facoltà teologica dovrà esserci un istituto o cattedra di teologia, in cui si tengano lezioni adatte anche per gli studenti laici. E poiché le scienze progrediscono essenzialmente grazie alle ricerche specializzate di maggiore importanza scientifica, nelle università e facoltà cattoliche dovranno essere soprattutto curati quegli istituti il cui scopo primo è quello di promuovere la ricerca scientifica.

Il sacro Sinodo raccomanda vivamente di sviluppare le università e le facoltà cattoliche, distribuendole convenientemente nelle diverse parti del mondo; ma esse, più che per il numero, dovranno distinguersi per l'impegno culturale. Ad esse abbiano facile accesso gli alunni che offrono buone speranze di riuscita, anche se di modeste condizioni economiche, specialmente quelli che provengono dalle giovani nazioni.

Essendo l'avvenire della società e della stessa Chiesa intimamente connesso con lo sviluppo intellettuale dei giovani che compiono studi superiori (33) i pastori della Chiesa non devono preoccuparsi soltanto della vita spirituale degli alunni delle università cattoliche, ma, solleciti della formazione spirituale di tutti i loro figli, attraverso opportune intese tra vescovi, devono provvedere affinché anche presso le università non cattoliche esistano convitti e centri universitari cattolici, dove sacerdoti, religiosi e laici, accuratamente scelti e preparati, possano offrire in permanenza alla gioventù universitaria un'assistenza spirituale e intellettuale. Quanto poi ai giovani più capaci delle università cattoliche o delle altre università, che si dimostrino adatti all'insegnamento ed alla ricerca, essi devono essere oggetto di cura particolare ed avviati alla carriera universitaria.

Le facoltà di teologia 11 Molto si attende la Chiesa dall'attività delle facoltà di scienze sacre (34). È ad esse infatti che affida il compito importantissimo di preparare i propri alunni non solo al ministero sacerdotale, ma soprattutto all'insegnamento nelle cattedre di studi ecclesiastici superiori o al lavoro scientifico personale o allo svolgimento delle forme più alte di apostolato intellettuale. È pure compito di queste facoltà approfondire i vari settori delle scienze sacre, in modo che si abbia una intelligenza sempre più piena della rivelazione divina, sia meglio esplorato il patrimonio della sapienza cristiana trasmesso dalle generazioni passate, sia favorito il dialogo con i fratelli separati e con i non cristiani, e si risponda ai problemi emergenti dal progresso delle scienze (35).

Per queste ragioni le facoltà ecclesiastiche, dopo aver sottoposto a opportuna revisione le loro costituzioni, promuovano vigorosamente lo sviluppo delle scienze sacre e delle altre ad esse connesse, e, adottando anche metodi e sussidi più moderni, addestrino i propri studenti alle ricerche più profonde.

La coordinazione delle scuole cattoliche 12 Essendo anche in campo scolastico sommamente necessaria quella cooperazione, che per la sua urgenza va sempre più affermandosi a livello diocesano, nazionale e internazionale, bisogna fare ogni sforzo per coordinare convenientemente tra loro le scuole cattoliche e per favorire tra esse e le altre scuole quella collaborazione richiesta dal bene della comunità umana universale (36).

Da questo maggiore coordinamento e da questo lavoro fatto insieme si raccoglieranno i migliori frutti specialmente nell'ambito degli istituti accademici. Perciò in ogni università le diverse facoltà, nella misura che lo consente la loro materia, devono aiutarsi vicendevolmente. Così pure le stesse università devono agire in piena intesa e in stretta unione tra loro, promuovendo insieme dei convegni internazionali, tenendosi reciprocamente informate circa le loro ricerche scientifiche, comunicandosi le nuove scoperte, scambiandosi i docenti per determinati periodi e sviluppando quelle iniziative che incrementano la loro collaborazione.

CONCLUSIONE Il sacro Sinodo esorta vivamente anche i giovani perché, convinti della eccellenza del compito educativo, siano generosamente pronti ad intraprenderlo, specie in quelle regioni dove lo scarso numero di maestri mette in pericolo l'educazione della gioventù.

Parimenti il Sinodo, nell'esprimere la sua gratitudine ai sacerdoti, religiosi, religiose e laici che in spirito di dedizione evangelica svolgono la nobile opera educativa e didattica di qualsiasi tipo e grado, li esorta a perseverare con generosità nel compito intrapreso, sforzandosi di distinguersi nella formazione degli alunni allo spirito di Cristo, nell'arte pedagogica e nello studio scientifico, in modo che promuovano non solo il rinnovamento della Chiesa all'interno, ma anche ne mantengano e ne accentuino la benefica presenza nel mondo moderno, specie in quello intellettuale. _______________________ NOTE

(31) Cf. PAOLO VI, Discorso davanti al VI Congresso Tomistico Internazionale, 10 sett. 1965: AAS 57 (1965), pp. 788-792.

(32) Cf. PIO XII, Discorso agli insegnanti e agli alunni degli Istituti Superiori Cattolici di Francia, 21 sett. 1950: Discorsi e Radiomessaggi, XII, pp. 219-221; Lett. al XXII Congresso “Pax Romana”, 12 ag. 1952: Discorsi e Radiomessaggi, XIV, pp. 567-569. GIOVANNI XXIII, Discorso alla Federazione delle Università Cattoliche, 1° apr. 1959: Discorsi, Messaggi, Colloqui, I, Roma 1960, pp. 226-229. PAOLO VI, Discorso al Senato Accademico dell’Università Cattolica di Milano, 5 apr. 1964: Encicliche e Discorsi di Paolo VI, II, Roma 1964, pp. 438-443.

(33) Cf. PIO XII, Discorso al Senato Accademico e agli alunni dell’Università di Roma, 15 giugno 1952: Discorsi e Radiomessaggi, XIV, p. 208: “La direzione della società di domani è principalmente riposta nella mente e nel cuore degli universitari di oggi”.

(34) Cf. PIO XI, Cost. Apost. Deus Scientiarum Dominus, 24 maggio 1931: AAS 23 (1931), pp. 245-247.

(35) Cf. PIO XII Encicl. Humani Generis, 12 ag. 1950: AAS 42 (1950), pp. 568s. [in parte Dz 3886-87; Collantes 7.203-04 e 2.076], 578. PAOLO VI, Encicl. Ecclesiam suam, Parte III, 6 ag. 1964: AAS 56 (1964), pp. 637-659. CONC. VAT. II, Decreto sull’Ecumenismo Unitatis Redintegratio: AAS 57 (1965), pp. 90-107.

(36) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 apr. 1963: AAS 55 (1963), p. 284 [Dz 3989] e passim.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Il documento del Vaticano II afferma dunque che tutti i cristiani possiedono il diritto a ricevere un’educazione cristiana, che è volta a far raggiungere ai giovani la maturità umana e a conoscere il mistero della salvezza all’interno del quale sono stati inseriti. Per tale ragione gli allievi devono avere la possibilità di crescere nella fede che hanno ricevuto, e di offrire culto a Dio conducendo una vita di giustizia e santità nella collaborazione all’espansione del Regno di Dio. In tal modo i laici si rendono consapevoli della vocazione ricevuta per modellare cristianamente il mondo nella loro posizione sociale e nel loro apporto. Ciò presuppone il farsi carico dei valori naturali, considerando integralmente l’uomo redento grazie al sacrificio di Cristo. Essendo i cristiani educati e agendo secondo la legge della libertà cristiana, cooperano allo sviluppo della società terrena e lavorano per il regno di Dio al quale sono stati chiamati

da: Tutta l’attualità della dichiarazione “Gravissimum educationis”


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sull’educazione cristiana GRAVISSIMUM EDUCATIONIS (28 ottobre 1965)

La scuola non cattolica 7 La Chiesa inoltre, consapevole del dovere gravissimo di curare diligentemente l'educazione morale e religiosa di tutti i suoi figli, deve rendersi presente con un affetto speciale e con il suo aiuto ai moltissimi suoi figli che vengono educati nelle scuole non cattoliche. Essa assicura questa presenza sia attraverso la testimonianza della vita data dai loro maestri e superiori, sia attraverso l'azione apostolica dei condiscepoli (23), sia soprattutto attraverso il ministero dei sacerdoti e dei laici che insegnano loro la dottrina della salvezza, con metodo adeguato all'età ed alle altre circostanze, ed offrono loro l'aiuto spirituale per mezzo di iniziative opportune secondo le condizioni di tempo e di luogo.

Essa rammenta poi il grave dovere che incombe ai genitori di tutto predisporre o anche di esigere, perché i loro figli possano usufruire di quegli aiuti ed in armonia con la formazione profana progrediscano in quella cristiana. Perciò la Chiesa loda quelle autorità e società civili che, tenendo conto del pluralismo esistente nella società moderna e garantendo la giusta libertà religiosa, aiutano le famiglie perché l'educazione dei loro figli possa aver luogo in tutte le scuole secondo i principi morali e religiosi propri di quelle stesse famiglie (24).

La scuola cattolica 8 La presenza della Chiesa in campo scolastico si rivela in maniera particolare nella scuola cattolica Al pari delle altre scuole, questa persegue le finalità culturali proprie della scuola e la formazione umana dei giovani. Ma suo elemento caratteristico è di dar vita ad un ambiente comunitario scolastico permeato dello spirito evangelico di libertà e carità, di aiutare gli adolescenti perché nello sviluppo della propria personalità crescano insieme secondo quella nuova creatura che essi sono diventati mediante il battesimo, e di coordinare infine l'insieme della cultura umana con il messaggio della salvezza, sicché la conoscenza del mondo, della vita, dell'uomo, che gli alunni via via acquistano, sia illuminata dalla fede (25). Solo così la scuola cattolica, mentre – come è suo dovere – si apre alle esigenze determinate dall'attuale progresso, educa i suoi alunni a promuovere efficacemente il bene della città terrena ed insieme li prepara al servizio per la diffusione del regno di Dio, sicché attraverso la pratica di una vita esemplare ed apostolica diventino come il fermento di salvezza della comunità umana.

Perciò la scuola cattolica, essendo in grado di contribuire moltissimo allo svolgimento della missione del popolo di Dio e di servire al dialogo tra la Chiesa e la comunità degli uomini con loro reciproco vantaggio, conserva la sua somma importanza anche nelle circostanze presenti. Pertanto questo santo Sinodo ribadisce il diritto della Chiesa a fondare liberamente e a dirigere le scuole di qualsiasi ordine e grado, diritto già dichiarato in tanti documenti del magistero (26) esso ricorda che l'esercizio di un tale diritto contribuisce moltissimo anche alla tutela della libertà di coscienza e dei diritti dei genitori, come pure allo stesso progresso culturale.

Da parte loro gli insegnanti ricordino che dipende essenzialmente da loro che la scuola cattolica sia in grado di realizzare i suoi scopi e le sue iniziative (27). Essi dunque devono prepararsi scrupolosamente, per essere forniti della scienza sia profana che religiosa, attestata dai relativi titoli di studio, e ampiamente esperti nell'arte pedagogica, aggiornata con le scoperte del progresso contemporaneo. Stretti tra loro e con gli alunni dal vincolo della carità e ricchi di spirito apostolico, essi devono dare testimonianza sia con la vita sia con la dottrina all'unico Maestro che è Cristo. Collaborino anzitutto con i genitori; insieme con essi tengano debito conto, in tutto il ciclo educativo, della differenza di sesso e del fine particolare che all'uno e all'altro sesso la divina Provvidenza ha stabilito nella famiglia e nella società; si sforzino di stimolare l'azione personale dei loro alunni e continuino, una volta che questi abbiano terminato i loro studi, ad assisterli con il loro consiglio e con la loro amicizia, anche fondando associazioni di ex alunni, in cui aleggi il vero spirito ecclesiale. E ci tiene il sacro Sinodo a dichiarare che il ministero di questi maestri è autentico apostolato, sommamente conveniente e necessario anche nei nostri tempi, ed è insieme reale servizio reso alla società. Ai genitori cattolici ricorda poi l'obbligo di affidare, secondo le concrete circostanze di tempo e di luogo, i loro figli alle scuole cattoliche, di aiutarle secondo le loro possibilità e di collaborare con esse per il bene dei loro figli (28).

Differenti forme di scuola cattolica 9 A questo ideale di scuola cattolica devono sforzarsi di conformarsi tutte le scuole che, a qualunque titolo, dipendono dalla Chiesa, anche se la scuola cattolica in base alle situazioni locali può assumere varie forme (29). S'intende che la Chiesa ha sommamente a cuore anche quelle scuole cattoliche le quali, specie nei territori di missione, son pure frequentate da alunni non cattolici.

Del resto, nella costituzione e nell'ordinamento delle scuole cattoliche bisogna guardare alle necessità dell'evoluzione del nostro tempo. A tale fine, fermo restando l'impegno di promuovere le scuole di grado elementare e secondario, in quanto costituiscono il fondamento dell'educazione, si deve fare gran conto di quelle che sono particolarmente richieste dalle condizioni attuali. Tali sono quelle che vanno sotto il nome di scuole professionali (30) e tecniche, gli istituti destinati all'alfabetizzazione degli adulti, allo sviluppo dei servizi sociali ed a coloro che per difetti naturali abbisognano di assistenza particolare, ed anche le scuole di formazione per maestri sia per l'insegnamento religioso che per le altre forme di educazione.

Il sacro Sinodo esorta vivamente i pastori della Chiesa e i fedeli tutti a non risparmiare sacrificio alcuno nell'aiutare le scuole cattoliche, ad assolvere sempre meglio il loro compito ed a venire incontro soprattutto alle necessità di coloro che non hanno mezzi economici o sono privi dell'aiuto e dell'affetto della famiglia o sono estranei al dono della fede.

_______________________ NOTE

(23) La Chiesa dà grande valore all’azione apostolica che i maestri e i condiscepoli cattolici possono svolgere anche in queste scuole.

(24) Cf. PIO XII, Discorso all’Associazione Maestri Cattolici di Baviera, 31 dic. 1956: Discorsi e Radiomessaggi XVIII, p. 745s.

(25) Cf. SIN. PROV. DI WESTMINSTER I del 1852: Collectio Lacensis III, col. 1334, ab. PIO XI, Encicl. DDivini Illius Magistri, l.c. [nota 6], p. 77s. PIO XII, Discorso all’Associazione Maestri cattolici di Baviera, 31 dic. 1956: Discorsi e Radiomessaggi, XVIII, p. 746. PAOLO VI, Discorso ai membri della F.I.D.A.E. (Federazione Istituti Dipendenti dall’Autorità Ecclesiastica), 30 dic. 1963: Encicliche e Discorsi di Paolo VI, I, Roma 1964, p. 602s.

(26) Cf. anzitutto i documenti citati alla nota 1; questo diritto della Chiesa è inoltre proclamato da molti Sinodi provinciali e in recentissime Dichiarazioni di parecchie Conferenze Episcopali. (27) Cf. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, l.c. [nota 6], p. 80s. PIO XII, Discorso all’Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi (U.C.I.I.M.), 5 genn. 1954: Discorsi e Radiomessaggi, XV, pp. 551-556. GIOVANNI XXIII, Discorso al VI Congresso dell’Associazione Italiana Maestri Cattolici (A.I.M.C.), 5 sett. 1959: Discorsi, Messaggi, Colloqui, I, Roma 1960, pp. 427-431.

(28) Cf. PIO XII, Discorso all’Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi (U.C.I.I.M.), 5 genn. 1954: l.c., p. 555.

(29) Cf. PAOLO VI, Discorso all’Ufficio Internazionale dell’Educazione Cattolica (O.I.E.C.), 25 febbr. 1964: Encicliche e Discorsi di Paolo VI, II, Roma 1964, p. 232.

(30) Cf. PAOLO VI, Discorso all’Associazione Cristiana Lavoratori Italiani (A.C.L.I.), 6 ott. 1963: Encicliche e Discorsi di Paolo VI, I, Roma 1964, p. 229.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

La funzione dello stato in materia di educazione

Sono molteplici i motivi che giustificano l’interesse dei poteri pubblici per l’insegnamento. Dal punto di vista pratico, è un fatto verificato a livello internazionale che, per l’effettiva crescita della libertà e del progresso socio-economico delle società, è necessario che i pubblici poteri garantiscano un certo livello culturale della popolazione. Infatti una società complessa potrà funzionare correttamente soltanto se c’è un’adeguata distribuzione dell’informazione e delle conoscenze che poi debbono essere gestite; e inoltre, se c’è una sufficiente comprensione per le virtù e per le norme che rendono possibile la convivenza civile e condizionano i comportamenti individuali e collettivi.

Basti pensare, per esempio, quanto sia importante combattere l’analfabetismo per migliorare la giustizia sociale, e capire così come lo Stato detenga poteri, funzioni e diritti inderogabili in materia di promozione e diffusione dell’educazione, di cui ogni persona ha un diritto inalienabile [Cfr. Giovanni Paolo II, Allocuzione all’Unesco , 2-VI-1980; Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione Libertatis conscientia , n. 92].

Questo giustifica, come concreta esigenza del bene comune, che l’ordinamento statale stabilisca livelli adeguati d’insegnamento il cui efficace profitto possa legittimamente preparare per accedere a determinati corsi universitari o ad altri tipi di attività professionali.

In tale situazione ci si può chiedere se le competenze dei genitori e quelle dello Stato sono in disaccordo o incompatibili, o se invece possono diventare complementari. In ogni caso, ci si deve chiedere: come si possono rapportare l’un l’altro? Fino a che punto lo Stato può legiferare senza soppiantare i diritti dei genitori? Quando potrebbe intervenire per garantire i diritti dei bambini di fronte ai genitori?

In realtà si tratta di questioni che non riguardano la funzione che nel campo dell’insegnamento, di per sé, spetta allo Stato. Tuttavia, contrariamente a ciò che sarebbe desiderabile, si osserva nei poteri pubblici una tendenza, che si va manifestando in molti Paesi almeno dal XVIII secolo: avocare a sé in modo sempre più esclusivo la funzione educativa, raggiungendo in certi casi pressoché totali livelli di monopolio nella scuola.

Alla radice di questo interesse c’è la pretesa di estendere a tutte le persone un’etica unica, che corrisponderebbe a una morale civica, il cui contenuto sarebbe formato da alcuni principi etici minimi di validità universale e condivisi da tutti. In tal modo, nei casi più estremi, si è caduti in una concezione quasi totalitaria, perché mira a sostituirsi al cittadino nella responsabilità di esercitare un proprio giudizio di moralità e di coscienza, impedendo altri progetti o stili di vita che non siano quelli promossi dall’opinione pubblica creata e sostenuta dallo Stato.

Lo strumento per diffondere questi obiettivi è stato la difesa a oltranza dell’insegnamento neutro nella scuola pubblica, l’isolamento o il soffocamento economico delle iniziative di insegnamento nate in seno alla società civile o, in modo indiretto, la prescrizione da parte della legislazione statale di requisiti di omologazione o programmazione generale, con un tale grado di concretezza ed esaustività da eliminare in pratica le possibilità di specificità delle alternative di carattere sociale, dando luogo di fatto a un monopolio sull’educazione o alla esistenza puramente formale del pluralismo scolastico.

In tale contesto si può affermare che la pretesa neutralità dei programmi statali è soltanto apparente, perché essi implicano una precisa posizione ideologica. Inoltre in Occidente si può constatare che le iniziative di questo tipo di solito sono unite al desiderio di affrancare la cultura umana da ogni concezione religiosa, o all’intento di relativizzare alcuni beni morali che sono fondamentali, come il senso dell’affettività e dell’amore, della maternità, il diritto alla vita dal primo istante del concepimento sino alla morte naturale...

Negli ultimi anni questa posizione è stata rafforzata applicando alla scuola alcuni principi più consoni all’ambito universitario, come la libertà di cattedra e di espressione di chi si dedica alla funzione di docente. In questo modo la libertà educativa si restringe alla presunta libertà che avrebbe l’insegnante per esprimere le proprie idee e formare a suo capriccio i propri alunni, come una concessione che lo Stato gli ha delegato.

Al fondo di questi modi di concepire la libertà si nota un profondo pessimismo intorno alle possibilità della persona umana e della capacità dei genitori, e della società in generale, di garantire ai figli una formazione nella virtù e nella responsabilità civica.

Le difficoltà si superano quando si considera che la scuola compie una funzione di supplenza nei riguardi dei genitori e che «i pubblici poteri hanno il dovere di garantire tale diritto dei genitori e di assicurare le condizioni concrete per poterlo esercitare» [Catechismo della Chiesa Cattolica , n. 2229], ossia, devono essere guidati dal principio di sussidiarietà.

da: Il diritto dei genitori di educare i propri figli (II)


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sull’educazione cristiana GRAVISSIMUM EDUCATIONIS (28 ottobre 1965)

Vari mezzi al servizio dell'educazione cristiana 4 Nell'assolvere il suo compito educativo la Chiesa utilizza tutti i mezzi idonei, ma si preoccupa soprattutto di quelli che sono i mezzi suoi propri. Primo tra questi è l'istruzione catechetica (16), che dà luce e forza alla fede, nutre la vita secondo lo spirito di Cristo, porta a partecipare in maniera consapevole e attiva al mistero liturgico (17), ed è stimolo all'azione apostolica. La Chiesa valorizza anche e tende a penetrare del suo spirito e ad elevare gli altri mezzi che appartengono al patrimonio comune degli uomini e che sono particolarmente adatti al perfezionamento morale ed alla formazione umana, quali gli strumenti di comunicazione sociale (18), le molteplici società a carattere culturale e sportivo, le associazioni giovanili e in primo luogo le scuole.

La scuola 5 Tra tutti gli strumenti educativi un'importanza particolare riveste la scuola (19), che in forza della sua missione, mentre con cura costante matura le facoltà intellettuali, sviluppa la capacità di giudizio, mette a contatto del patrimonio culturale acquistato dalle passate generazioni, promuove il senso dei valori, prepara alla vita professionale, genera anche un rapporto di amicizia tra alunni di carattere e condizione sociale diversa, disponendo e favorendo la comprensione reciproca. Essa inoltre costituisce come un centro, alla cui attività ed al cui progresso devono insieme partecipare le famiglie, gli insegnanti, i vari tipi di associazioni a finalità culturali, civiche e religiose, la società civile e tutta la comunità umana.

È dunque meravigliosa e davvero importante la vocazione di quanti, collaborando con i genitori nello svolgimento del loro compito e facendo le veci della comunità umana, si assumono il compito di educare nelle scuole. Una tale vocazione esige speciali doti di mente e di cuore, una preparazione molto accurata, una capacità pronta e costante di rinnovamento e di adattamento.

Diritti e doveri dei genitori 6 I genitori, avendo il dovere ed il diritto primario e irrinunciabile di educare i figli, debbono godere di una reale libertà nella scelta della scuola. Perciò i pubblici poteri, a cui incombe la tutela e la difesa della libertà dei cittadini, nel rispetto della giustizia distributiva, debbono preoccuparsi che le sovvenzioni pubbliche siano erogate in maniera che i genitori possano scegliere le scuole per i propri figli in piena libertà, secondo la loro coscienza (20).

D'altra parte, tocca allo Stato provvedere perché tutti i cittadini possano accedere e partecipare in modo conveniente alla cultura e si preparino adeguatamente all'esercizio dei doveri e dei diritti civili. Sempre lo Stato dunque deve tutelare il diritto dei fanciulli ad una conveniente educazione scolastica, vigilare sulla capacità degli insegnanti e sulla serietà degli studi, provvedere alla salute degli alunni ed in genere promuovere tutto l'ordinamento scolastico tenendo presente il principio della sussidiarietà ed escludendo quindi ogni forma di monopolio scolastico. Tale monopolio infatti contraddice ai diritti naturali della persona umana, allo sviluppo e alla divulgazione della cultura, alla pacifica convivenza dei cittadini ed anche al pluralismo, che è oggi la regola in moltissime società (21).

Il sacro Sinodo esorta dunque i fedeli a collaborare generosamente sia nella ricerca dei metodi educativi idonei e dell'ordine degli studi, sia nella formazione dei maestri che sappiano bene educare i giovani e, soprattutto attraverso le associazioni tra genitori, ad aiutare positivamente e costantemente il compito della scuola e in particolare quell'educazione morale, che essa deve fornire (22).

_______________________ NOTE

(16) Cf. PIO XI, Motu proprio Orbem catholicum, 29 giugno 1923: AAS 15 (1923), pp. 327-329; Decr. Provido sane, 12 genn. 1935: AAS 27 (1935), pp. 145-152. CONC. VAT. II, Decr. sulla missione pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, nn. 13 e 14[pag. 361ss].

(17) Cf. CONC. VAT. II, Costit. sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 14: AAS 56 (1964), p. 104 [pag. 28ss].

(18) Cf. CONC. VAT. II, Decreto sugli strumenti di comunicazione sociale Inter mirifica, nn. 13 e 14: AAS 56 (1964), p. 149s [pag. 105ss].

(19) Cf. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, l.c. [nota 6], p. 76; PIO XII, Discorso all’Associazione dei Maestri Cattolici della Baviera, 31 dic. 1956: Discorsi e Radiomessaggi XVIII, p. 746.

(20) Cf. SIN. PROV. DI CINCINNATI III del 1861: Collectio Lacensis, III, col. 1240, cd; PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, l.c. [nota 6], pp. 60, 63s [in parte Dz 3693-95].

(21) Cf. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, l.c. [nota 6], p. 63; Encicl. Non abbiamo bisogno, 29 giugno 1931: AAS 23 (1931), p. 305. PIO XII, Lett. della Segreteria di Stato alla XXVIII Settimana Soc. Ital., 20 sett. 1955: L’Osservatore Romano, 29 sett. 1955. PAOLO VI, Discorso all’Associazione Cristiana Lavoratori Italiani (A.C.L.I.), 6 ott. 1963: Encicliche e Discorsi di Paolo VI, I, Roma 1964, p. 230.

(22) Cf. GIOVANNI XXIII, Messaggio per il trentesimo anniversario dell’emanazione dell’Enc. Divini Illius Magistri, 30 dic. 1959: AAS 52 (1960), p. 57.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

I genitori e le scuole

La scuola dev’essere considerata in questo contesto: come una istituzione destinata a collaborare con i genitori nel loro lavoro educativo. Prendere coscienza di questa realtà appare più urgente se consideriamo che attualmente sono numerosi i motivi che possono indurre i genitori – a volte senza esserne interamente consapevoli – a non comprendere l’ampiezza del meraviglioso lavoro di loro competenza, rinunciando in pratica al ruolo di educatori integrali.

L’emergenza educativa, tante volte evidenziata da Benedetto XVI, affonda le radici in questo disorientamento: «L’educazione tende ampiamente a ridursi alla trasmissione di determinate abilità, o capacità di fare, mentre si cerca di appagare il desiderio di felicità delle nuove generazioni colmandole di oggetti di consumo e di gratificazioni effimere» [Benedetto XVI, Discorso al Convegno della Diocesi di Roma , 11-VI-2007] ; in tal modo i giovani «si sentono alla fine lasciati soli davanti alle grandi domande che nascono inevitabilmente dentro di loro» [Benedetto XVI, Discorso alla Conferenza Episcopale italiana , 29-V-2008] , alla mercé di una società e una cultura che ha fatto del relativismo il proprio credo.

Alle prese con queste possibili difficoltà, e come conseguenza del loro diritto naturale, i genitori devono rendersi conto che la scuola è, in certo qual modo, un prolungamento della loro famiglia: uno strumento del loro compito personale di genitori e non soltanto un luogo dove viene fornita ai figli una serie di conoscenze.

Come primo requisito, lo Stato deve salvaguardare la libertà delle famiglie, in modo che possano scegliere a ragion veduta la scuola o i centri d’insegnamento da essi giudicati più convenienti per l’educazione dei propri figli. Non c’è dubbio che nel suo ruolo di tutela del bene comune lo Stato può vantare alcuni diritti e alcuni doveri nell’educazione, ma su questo punto ritorneremo in un prossimo articolo. In ogni caso, tale intervento non può scontrarsi con la legittima pretesa dei genitori di educare i propri figli in armonia con i beni che essi stessi sostengono e praticano, e che ritengono capaci di arricchire la loro discendenza.

Come insegna il Concilio Vaticano II, il potere pubblico – sia pure solo per una questione di giustizia distributiva – deve offrire i mezzi e le condizioni favorevoli perché i genitori possano «scegliere le scuole per i propri figli in piena libertà, secondo la loro coscienza» [Concilio Vaticano II, dich. Gravissimum educationis , n. 6] . Per questo è così importante che coloro che lavorano nell’ambito politico o in un altro campo collegato con l’opinione pubblica si adoperino perché tale diritto sia salvaguardato e, per quanto possibile, sostenuto.

L’interesse dei genitori per l’educazione dei figli si deve manifestare in mille dettagli. A prescindere dalla istituzione nella quale studiano i figli, è naturale che i genitori s’interessino dell’aria che vi si respira e dei contenuti che lì si trasmettono.

Viene tutelata così la libertà degli alunni , il diritto che non si deformi la loro personalità e non si annullino le loro attitudini, il diritto a ricevere una formazione sana, senza che si abusi della loro naturale docilità imponendo opinioni o criteri umani di parte. Così si permette e si stimola che i ragazzi sviluppino un sano spirito critico, e nello stesso tempo si dimostra che l’interesse dei genitori in questo campo va oltre i risultati scolastici.cati dai genitori, che non perdono mai di vista ciò che si aspettano da costoro e stanno attenti a che rispondano alle loro intenzioni e aspettative.

La comunicazione fra i genitori e i figli è altrettanto importante di quella che si stabilisce fra i genitori e gli insegnanti. Una chiara conseguenza di concepire la scuola come uno strumento in più della propria attività educativa è la collaborazione che i genitori offrono alle iniziative dell’istituto e al suo progetto educativo.

In questo senso è importante partecipare alle attività promosse dalle scuole: per fortuna sempre più spesso esse, indipendentemente dal fatto di essere di iniziativa pubblica o privata, organizzano con una certa cadenza le giornate delle porte aperte , incontri sportivi o riunioni informative di taglio più accademico. Soprattutto a quest’ultimo tipo di incontri è bene che vadano, se possibile, entrambi i coniugi, anche nel caso in cui questo richieda un certo sacrificio di tempo o di organizzazione: in questo modo si fa capire con i fatti al figlio che i due genitori considerano la scuola un elemento di rilievo nella vita familiare.

In tale contesto, lasciarsi coinvolgere nelle associazioni di genitori – collaborando alla organizzazione di eventi, facendo proposte positive, o anche partecipando negli organi di governo – apre tutta una serie di possibilità educative. Non c’è dubbio che svolgere correttamente una funzione di questo tipo richiede un notevole spirito di sacrificio: è necessario dedicare tempo per instaurare un rapporto con altre famiglie, conoscere gli insegnanti, partecipare alle riunioni...

Tuttavia queste difficoltà sono ampiamente compensate – soprattutto per un’anima innamorata di Dio e desiderosa di servire – dall’apertura di un campo apostolico, la cui ampiezza non è possibile misurare: anche se gli statuti della scuola, in genere, non permettono di intervenire direttamente in alcuni aspetti dei programmi educativi, si è nelle condizioni di coinvolgere e spingere gli insegnanti e i dirigenti affinché l’insegnamento trasmetta virtù, bene e bellezza.

Gli altri genitori saranno le prime persone ad apprezzare tale impegno, e per essi un genitore inserito nell’attività della scuola – o perché detiene tale incarico o perché di propria iniziativa mostra di adoperarsi a favore del clima che s’instaura nella classe – diventa un punto di riferimento: una persona da interpellare per la sua esperienza o a cui chiedere consiglio nell’educazione dei propri figli.

Si fa strada così un’amicizia personale, e con essa una possibilità apostolica che finisce per fare del bene a tutte le persone dell’ambito educativo nel quale crescono i figli.

da: Il diritto dei genitori di educare i propri figli (I)


🔝C A L E N D A R I OHomepage