📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

1Dice il Signore del suo eletto, di Ciro: «Io l’ho preso per la destra, per abbattere davanti a lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso. 2Io marcerò davanti a te; spianerò le asperità del terreno, spezzerò le porte di bronzo, romperò le spranghe di ferro. 3Ti consegnerò tesori nascosti e ricchezze ben celate, perché tu sappia che io sono il Signore, Dio d’Israele, che ti chiamo per nome. 4Per amore di Giacobbe, mio servo, e d’Israele, mio eletto, io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo, sebbene tu non mi conosca. 5Io sono il Signore e non c’è alcun altro, fuori di me non c’è dio; ti renderò pronto all’azione, anche se tu non mi conosci, 6perché sappiano dall’oriente e dall’occidente che non c’è nulla fuori di me. Io sono il Signore, non ce n’è altri. 7Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura; io, il Signore, compio tutto questo.

Giustizia, salvezza e prosperità 8Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia. Io, il Signore, ho creato tutto questo».

Legittimazione della scelta di Ciro 9Guai a chi contende con chi lo ha plasmato, un vaso fra altri vasi d’argilla. Dirà forse la creta al vasaio: «Che cosa fai?» oppure: «La tua opera non ha manici»? 10Guai a chi dice a un padre: «Che cosa generi?» o a una donna: «Che cosa partorisci?». 11Così dice il Signore, il Santo d’Israele, che lo ha plasmato: «Volete interrogarmi sul futuro dei miei figli e darmi ordini sul lavoro delle mie mani? 12Io ho fatto la terra e su di essa ho creato l’uomo; io con le mani ho dispiegato i cieli e do ordini a tutto il loro esercito. 13Io l’ho suscitato per la giustizia; spianerò tutte le sue vie. Egli ricostruirà la mia città e rimanderà i miei deportati, non per denaro e non per regali», dice il Signore degli eserciti. 14Così dice il Signore: «Le ricchezze d’Egitto e le merci dell’Etiopia e i Sebei dall’alta statura passeranno a te, saranno tuoi; ti seguiranno in catene, si prostreranno davanti a te, ti diranno supplicanti: “Solo in te è Dio; non ce n’è altri, non esistono altri dèi”».

Il Signore Dio salvatore 15Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio d’Israele, salvatore. 16Saranno confusi e svergognati quanti s’infuriano contro di lui; se ne andranno con vergogna quelli che fabbricano idoli. 17Israele sarà salvato dal Signore con salvezza eterna. Non sarete confusi né svergognati nei secoli, per sempre.

Il Signore rivela la sua opera 18Poiché così dice il Signore, che ha creato i cieli, egli, il Dio che ha plasmato e fatto la terra e l’ha resa stabile, non l’ha creata vuota, ma l’ha plasmata perché fosse abitata: «Io sono il Signore, non ce n’è altri. 19Io non ho parlato in segreto, in un angolo tenebroso della terra. Non ho detto alla discendenza di Giacobbe: “Cercatemi nel vuoto!”. Io sono il Signore, che parlo con giustizia, che annuncio cose rette.

L'unico Dio salvatore di tutti 20Radunatevi e venite, avvicinatevi tutti insieme, superstiti delle nazioni! Non comprendono quelli che portano un loro idolo di legno e pregano un dio che non può salvare. 21Raccontate, presentate le prove, consigliatevi pure insieme! Chi ha fatto sentire ciò da molto tempo e chi l’ha raccontato fin da allora? Non sono forse io, il Signore? Fuori di me non c’è altro dio; un dio giusto e salvatore non c’è all’infuori di me. 22Volgetevi a me e sarete salvi, voi tutti confini della terra, perché io sono Dio, non ce n’è altri. 23Lo giuro su me stesso, dalla mia bocca esce la giustizia, una parola che non torna indietro: davanti a me si piegherà ogni ginocchio, per me giurerà ogni lingua». 24Si dirà: «Solo nel Signore si trovano giustizia e potenza!». Verso di lui verranno, coperti di vergogna, quanti ardevano d’ira contro di lui. 25Dal Signore otterrà giustizia e gloria tutta la stirpe d’Israele.

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Approfondimenti

Il servo Ciro 44,24-45,7 45,1-4. Il detto rivolto a Ciro presenta una forma simile al rituale dell'intronizzazione del re di Giuda (cfr. Sal 2; 110). Si tratta ovviamente di una finzione letteraria, essendo priva di qualsiasi fondamento l'ipotesi che il Deuteroisaia abbia parlato personalmente con il re persiano. Tale costruzione, però, non è solo un espediente poetico, ma esprime a livello narrativo la fede nella parola del Signore che dirige la storia e quindi raggiunge tutti. Ciro viene presentato come l'eletto (lett. l'unto) del Signore, una qualifica che introduce una grande innovazione nella tradizione e per questo suppone alla sua origine una forte personalità profetica (v. 1a). Come i re di Giuda avevano la funzione di essere strumento del Signore per la pace e la sicurezza del popolo, così Ciro è lo strumento divino dell'imminente liberazione. Secondo il v. 3b Ciro riconoscerà l'azione del Signore che lo chiama. La frase, che probabilmente è un'aggiunta, allude al fatto che egli, concedendo l'autorizzazione agli esuli giudei di ritornare nella loro patria, riconoscerà di fatto l'importanza del «Dio di Israele» e del culto che a Gerusalemme gli sarà dato (cfr. 2Cr 36,22-23; Esd 1,1-4). La chiamata di Ciro e il «titolo» d'onore che riceve nella sua investitura, come afferma il v. 4, sono l'opera che il Signore compie in favore del suo popolo.

5-6b. Vi è una riflessione sulla missione di Ciro che, molto probabilmente, appartiene a una mano più recente.

7. La dichiarazione «io, il Signore, compio tutto questo», che forma inclusione con 44,24, evidenzia che l'unico Signore è operante nella creazione e nella storia. Qui il profeta ha trovato il fondamento indistruttibile della speranza. Per chi vive nella luce di questa fede, infatti, il mondo non può mai produrre situazioni così negative che sfuggano al potere del Signore e rendano impossibile il compimento del suo disegno salvifico.

Giustizia, salvezza e prosperità 45,8 La strofa innica forma, insieme a 44,23, una cornice che conferisce particolare evidenza al detto relativo a Ciro sviluppato nelle due parti appena esaminate. L'inno, molto affine a Sal 85,9-13, abbraccia tutta la realtà con l'immagine della fecondità che è assicurata dall'opera congiunta del cielo (rugiada e pioggia) e della terra (germinazione e frutti). Questa immagine illumina il futuro che si attende nella speranza.

Legittimazione della scelta di Ciro 45,9-13 Il brano presenta notevoli problemi di critica testuale e di interpretazione. I vv. 9-10 sono due detti di minaccia e potrebbero essere abbastanza recenti. Nel contesto attuale hanno la funzione di confutare la reazione suscitata dall'annuncio dell'elezione divina di Ciro. I v. 11-13 costituiscono una legittimazione della scelta del sovrano persiano mediante il quale il Signore realizza la salvezza del suo popolo.

9-10. Con l'immagine del vasaio (v. 9), figura caratteristica della vita quotidiana dell'Antico Oriente, l'autore condanna l'assurda posizione di chi pretende ergersi a giudice dell'operato del Signore (cfr. Ger 18). La stessa condanna è ripetuta con l'immagine del figlio che rifiuta l'opera generatrice dei genitori (v. 10).

11-13. Il versetto 11b potrebbe essere il frammento di una polemica antidolatrica. Afferma la sovranità assoluta del Signore nel suo operare verso i suoi figli. Sulla potenza sovrana del Dio creatore si colloca e si giustifica, per la fede di Israele, la costituzione di Ciro quale strumento dell'intervento salvifico («giustizia») del Signore (v. 13a; cfr. 41,2 e, soprattutto, 41,25; 45,2a). In questo contesto l'affermazione che Ciro ricostruirà la città del Signore e consentirà il ritorno dei deportati, senza alcun personale interesse (v. 13b) appare come una specificazione che riflette una successiva interpretazione degli eventi alla luce della grande promessa del Deuteroisaia.

Il Signore Dio salvatore 45,14-17 Il presente brano non forma un'unità, ma è costituito dalla collezione redazionale di almeno tre frammenti (v. 14; v. 15; vv. 16-17) tra loro diversi per vocabolario, stile e contenuto.

14. L'annuncio dei popoli (cfr. 43, 3) che si recano nella città del Signore (il suffisso femminile mostra che il discorso è rivolto a Sion), portandovi i loro tesori, non appartiene al linguaggio e alle prospettive del Deuteroisaia. Esso corrisponde invece al messaggio di Is 60 (in particolare ai vv. 3-14) e si muove nello stesso orizzonte di Is 66,18-23 e di Is 2,1-4. Il messaggio teologico del testo è particolarmente ricco. Il popolo del Signore che accoglie la salvezza del suo Dio e vive autenticamente in essa diventa centro di attrazione dell'umanità.

15. Nella frase esclamativa «Veramente tu sei un Dio nascosto» si racchiude un contenuto di imponderabili virtualità. Mentre nella tradizione precedente il Signore era presentato direttamente all'opera nella storia del suo popolo, ora si comprende che JHWH, pur operando nella storia, si nasconde dietro i suoi avvenimenti. Ne segue che la vita del popolo dell'alleanza è immersa nel dinamismo, ma anche nell'enigma della storia. Solo la fede che il Signore rimane sempre il Dio di Israele e, quindi, il «salvatore», dona la certezza che egli, anche se nascosto, non è assente, e fonda la possibilità di leggere la storia, scorgendovi i segni della sua opera e l'attuazione del suo disegno.

16-17. I versetti appartengono allo strato che sviluppa la polemica contro le statue degli idoli. Con un'inclusione che determina un forte contrasto si annuncia il fallimento e la rovina dei «fabbricanti di idoli» e la sorte opposta di Israele.

Il Signore rivela la sua opera 45,18-19 Questi due versetti introducono i brani successivi di 45,20-25 e 46,1-13. Nella loro collocazione attuale essi hanno anche la funzione di rilevare che il «Dio nascosto» dona al suo popolo la parola della rivelazione.

L'unico Dio salvatore di tutti 45,20-25 Il brano appartiene al genere letterario della contesa giudiziaria (cfr. 41,1-5; 41,12-19; 43,8-15; 44,6-8). La sua composizione è, però, recente, come risulta sia dai destinatari (i «superstiti delle nazioni») che dal suo contenuto (la conversione di tutti i confini della terra).

20-21. Il nostro detto inizia con la citazione in giudizio dei «superstiti delle nazioni» (v. 20a). La locuzione, che ricorda quella affine del «resto di Israele», si riferisce a coloro che sono sopravvissuti a una battaglia perduta e allo sfacelo che ne è derivato. Se il detto è ritenuto opera del Deuteroisaia, questi superstiti sono da ravvisare nei Babilonesi (ma perché non si dice “superstiti di Babilonia”?). Se invece, come sembra più probabile, si tratta di un detto risalente a un'epoca posteriore, l'espressione assume una connotazione più ampia. Il detto si riferisce alle genti che sono sopravvissute alle numerose guerre che hanno caratterizzato la storia del mondo antico-orientale nei secc. V-IV. Il v. 20b è un'aggiunta che intende allineare il detto con la polemica contro la fabbricazione degli idoli ed è forse stata ispirata da 46, 2.

22-24a. Il fulcro del detto è costituito dall'appello rivolto a tutte le genti perché si volgano al Signore. E significativo che qui non ricorre il verbo tecnico della conversione, ma il verbo che indica l'orientamento del volto e quindi l'apertura libera e personale dell'uomo nei confronti di JHWH, non appena lo si scopre negli eventi della storia illuminati dalla parola profetica che li interpreta. Da qui scaturisce la solenne professione di fede del v. 24: solo nel Signore si trova la «giustizia» (l'ebraico ha un plurale di intensità), vale a dire la fedeltà alla sua promessa di salvezza («vittoria»); solo in lui, quindi, si rivela quella «potenza» che rende possibile, nella fede, la speranza dell'uomo.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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L'acqua dello spirito e della benedizione 1Ora ascolta, Giacobbe mio servo, Israele che ho eletto. 2Così dice il Signore che ti ha fatto, che ti ha formato dal seno materno e ti soccorre: «Non temere, Giacobbe mio servo, Iesurùn che ho eletto, 3poiché io verserò acqua sul suolo assetato, torrenti sul terreno arido. Verserò il mio spirito sulla tua discendenza, la mia benedizione sui tuoi posteri; 4cresceranno fra l’erba, come salici lungo acque correnti. 5Questi dirà: “Io appartengo al Signore”, quegli si chiamerà Giacobbe; altri scriverà sulla mano: “Del Signore”, e verrà designato con il nome d’Israele».

L'unico Signore 6Così dice il Signore, il re d’Israele, il suo redentore, il Signore degli eserciti: «Io sono il primo e io l’ultimo; fuori di me non vi sono dèi. 7Chi è come me? Lo proclami, lo annunci e me lo esponga. Chi ha reso noto il futuro dal tempo antico? Ci annuncino ciò che succederà. 8Non siate ansiosi e non temete: non è forse già da molto tempo che te l’ho fatto intendere e rivelato? Voi siete miei testimoni: c’è forse un dio fuori di me o una roccia che io non conosca?».

Nullità degli idoli 9I fabbricanti di idoli sono tutti vanità e le loro opere preziose non giovano a nulla; ma i loro devoti non vedono né capiscono affatto e perciò saranno coperti di vergogna. 10Chi fabbrica un dio e fonde un idolo senza cercarne un vantaggio? 11Ecco, tutti i suoi seguaci saranno svergognati; gli stessi artefici non sono che uomini. Si radunino pure e si presentino tutti; insieme saranno spaventati e confusi. 12Il fabbro lavora il ferro di una scure, lo elabora sulle braci e gli dà forma con martelli, lo rifinisce con braccio vigoroso; soffre persino la fame, la forza gli viene meno, non beve acqua ed è spossato. 13Il falegname stende la corda, disegna l’immagine con lo stilo; la lavora con scalpelli, misura con il compasso, riproducendo una forma umana, una bella figura d’uomo da mettere in un tempio. 14Egli si taglia cedri, prende un cipresso o una quercia che aveva fatto crescere robusta nella selva; pianta un alloro che la pioggia farà crescere. 15L’uomo ha tutto ciò per bruciare; ne prende una parte e si riscalda o anche accende il forno per cuocervi il pane o ne fa persino un dio e lo adora, ne forma una statua e la venera. 16Una parte la brucia al fuoco, sull’altra arrostisce la carne, poi mangia l’arrosto e si sazia. Ugualmente si scalda e dice: «Mi riscaldo; mi godo il fuoco». 17Con il resto fa un dio, il suo idolo; lo venera, lo adora e lo prega: «Salvami, perché sei il mio dio!». 18Non sanno né comprendono; una patina impedisce ai loro occhi di vedere e al loro cuore di capire. 19Nessuno riflette, nessuno ha scienza e intelligenza per dire: «Ho bruciato nel fuoco una parte, sulle sue braci ho cotto persino il pane e arrostito la carne che ho mangiato; col residuo farò un idolo abominevole? Mi prostrerò dinanzi a un pezzo di legno?». 20Si pasce di cenere, ha un cuore illuso che lo travia; egli non sa liberarsene e dire: «Ciò che tengo in mano non è forse falso?».

Conversione a colui che perdona 21Ricorda tali cose, o Giacobbe, o Israele, poiché sei mio servo. Io ti ho formato, mio servo sei tu; Israele, non sarai dimenticato da me. 22Ho dissipato come nube le tue iniquità e i tuoi peccati come una nuvola. Ritorna a me, perché io ti ho redento.

Inno al Signore 23Esultate, cieli, perché il Signore ha agito; giubilate, profondità della terra! Gridate di gioia, o monti, o selve con tutti i vostri alberi, perché il Signore ha riscattato Giacobbe, in Israele ha manifestato la sua gloria.

Il servo Ciro 24Dice il Signore, che ti ha riscattato e ti ha formato fin dal seno materno: «Sono io, il Signore, che ho fatto tutto, che ho dispiegato i cieli da solo, ho disteso la terra; chi era con me? 25Io svento i presagi degli indovini, rendo folli i maghi, costringo i sapienti a ritrattarsi e trasformo in stoltezza la loro scienza; 26confermo la parola del mio servo, realizzo i disegni dei miei messaggeri. Io dico a Gerusalemme: “Sarai abitata”, e alle città di Giuda: “Sarete riedificate”, e ne restaurerò le rovine. 27Io dico all’abisso: “Prosciùgati! Faccio inaridire i tuoi fiumi”. 28Io dico a Ciro: “Mio pastore”; ed egli soddisferà tutti i miei desideri, dicendo a Gerusalemme: “Sarai riedificata”, e al tempio: “Sarai riedificato dalle fondamenta”».

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Approfondimenti

Lode dei redenti 44,1-5 44, 1-5. La pericope appartiene propriamente al genere del responso di salvezza, nel quale l'appello alla fiducia non si basa sugli eventi passati, ma sul futuro dischiuso dalla parola del Dio fedele.

2b-4. Il nome Iesurun, che ricorre solo qui e in Dt 32,15; 33,5-26, evoca probabilmente la nuova condizione del popolo, reso giusto dal suo Dio. La promessa, che fonda l'appello a guardare al futuro con un cuore libero da ogni paura, si presenta nel v. 3 con una formulazione particolarmente ricca. Con un parallelismo artisticamente articolato si prospetta che il dono dell'acqua e dei torrenti connota l'effusione dello spirito sulla discendenza di Israele e quest'affermazione, a sua volta, è illuminata dalla promessa parallela della benedizione divina elargita ai posteri del popolo eletto. Se il simbolo dell'acqua in Ezechiele si trovava già connesso con l'annuncio della vita nuova nello spirito del Signore (cfr. Ez 36, 24-28), il parallelismo tra lo spirito e la benedizione ricorre per la prima volta nel nostro testo. Secondo la formula liturgica di Nm 6,24-26 la benedizione divina connota l'azione del Signore che rinnova l'esodo del suo popolo, gli comunica la vita che scaturisce dal suo amore fedele e misericordioso e lo rinnova nell'alleanza vivificante della sua pace. L'azione divina appare ora connessa con il dono dello spirito.

  1. Il versetto è un'aggiunta che intende commentare la crescita di Israele, promessa nei vv. 3-4, riferendosi al fenomeno del proselitismo (cfr. 56,3.6-8). Si profila qui la concezione del popolo del Signore inteso come comunità che professa la propria fede in JHWH e la propria appartenenza a lui.

L'unico Signore 44,6-8 Si tratta di una nuova contesa giudiziaria che contrappone JHWH agli dei (cfr. 41,1-5; 41,21-28; 43,8-15) e che inizia con l'istanza del Signore che si presenta come l'unico Dio attraverso l'esclusione degli dei sia nella linea del tempo (egli è «il primo e l'ultimo»), sia in quella dello spazio (fuori di lui «non vi sono dei»), sia infine nella linea del confronto («Chi è come me?»). Il confronto, secondo l'ultimo stico del v. 7, ha come punti di riferimento la parola e la storia. Solo a chi nel passato ha annunciato il futuro che si è realizzato e può ugualmente annunciare nel presente quanto succederà, si manifesta Dio.

Nullità degli idoli 44, 9-20 La pericope è una satira mordace contro la costruzione delle statue degli idoli e si situa nella serie dei brani che sviluppano una simile polemica e rappresentano una delle ultime fasi nel processo formativo del libro di Isaia (cfr. 40,19-20; 41,6-7; 45,16-17; inoltre 42,17; 46,1-2.5-7). In particolare il nostro testo è vicino al tono canzonatorio contro il culto delle immagini che si incontra in Daniele, soprattutto nelle parti greche, in Baruc e nelle testimonianze letterarie più recenti della storia di Israele.

9. Si annuncia il tema indicando i tre destinatari della satira. In primo piano compaiono i «fabbricatori di idoli»: Entrano quindi in scena le statue degli idoli che «non giovano a nulla». Compare infine la categoria degli adoratori. Essi «non vedono» e non «capiscono» e perciò la loro vita è destinata al fallimento.

10-11. Il detto si concentra anzitutto sui fabbricatori di idoli. Essi agiscono per il proprio guadagno e preparano la rovina di coloro che prestano culto all'idolo da essi costruito.

12-17. La seconda scena ritrae la formazione di un idolo, conducendo l'uditore-lettore a seguire le faticose fasi della sua costruzione fino al momento in cui, con fine ironia, si presenta l'artefice che adora la sua “creatura”. La satira sviluppa un forte contrasto tra la grande quantità di legno che è utilizzata per gli svariati usi domestici (vv. 15-16) e la parte che rimane inutilizzata per le necessità e le gioie della vita quotidiana ed è dedicata alla costruzione della statua di un dio. La descrizione solenne di questo momento è un aspetto particolarmente riuscito della satira che ritrae dal vivo l'artigiano mentre si costruisce la «sua» statua, ad essa si prostra e, nell'atteggiamento dell'adorazione, la invoca riconoscendola come «suo dio!» (v. 17).

Conversione a colui che perdona 44,21-22 I due versetti si richiamano rispettivamente a Is 44,1 e a 43,25. Si tratta molto probabilmente di un brano redazionale recente. Esso apparteneva già al libro di Isaia prima che vi fossero inseriti i vv. 9-20. Nella forma attuale della «Visione di Isaia» i versetti creano un vigoroso contrasto tra l'insipienza del ricorso agli idoli e il ricordo dell'opera del Signore, che raggiunge l'uomo e lo rinnova con il perdono dei peccati.

Inno al Signore 44,23 Questo breve inno di lode conclude la raccolta di 42,14-44,22. L'invito all'esultanza e al «giubilo» (il vocabolo suppone il grido di acclamazione che celebra la vittoria) per l'intervento salvifico del Signore coinvolge l'intera creazione, chiamata alla gioia e alla salvezza per l'azione redentrice del Signore verso il suo popolo. Il mondo e l'uomo sono profondamente connessi tra loro al punto che entrambi partecipano alla stessa sorte sia nella condanna (cfr. Gn 3,17) che nella salvezza.

Il servo Ciro 44,24-45,7 Il brano è diviso in due parti. Nella prima (44,24-28) il Signore si rivolge al suo popolo, mentre nella seconda (45,1-7) si dirige a Ciro. Le due pericopi, però, non solo contengono lo stesso tema (la salvezza divina per mezzo di Ciro), ma sono anche connesse letterariamente tra loro in modo da formare un'unità redazionale. Ne è una chiara prova il fatto che le parole divine «io ho fatto tutto» (44,24) e «io, il Signore, compio tutto questo» (45,7) costituiscono un inclusione.

44,24b-26a. La parola che il Signore rivolge al suo popolo proclama anzitutto la sua opera nella creazione. La potenza dell'unico creatore rivela la potenza dell'unico redentore. In realtà, con la sua presenza dinamica nella storia, il Signore rende vani i presagi dei «maghi» e degli «indovini» di Babilonia, come rivela privi di fondamento i progetti dei sapienti dell'impero (v. 25).

26b-28. Inizia ora la serie di tre o forse quattro participi del verbo «dire», preceduti in ebraico dall'articolo. La potenza del creatore e redentore si compie mediante la sua parola. Nei vv. 27-28, probabilmente del Deuteroisaia, abbiamo un quadro grandioso dell'irradiazione della parola del Signore. Essa si rivolge all'abisso (v. 27) richiamando la potenza del creatore che ora si sviluppa come forza che realizza la salvezza; si rivolge poi a Ciro (v. 28a), mettendo in luce che il Signore guida la storia.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Appello divino alla fiducia 1Ora così dice il Signore che ti ha creato, o Giacobbe, che ti ha plasmato, o Israele: «Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome: tu mi appartieni. 2Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare, 3poiché io sono il Signore, tuo Dio, il Santo d’Israele, il tuo salvatore. Io do l’Egitto come prezzo per il tuo riscatto, l’Etiopia e Seba al tuo posto. 4Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo, do uomini al tuo posto e nazioni in cambio della tua vita. 5Non temere, perché io sono con te; dall’oriente farò venire la tua stirpe, dall’occidente io ti radunerò. 6Dirò al settentrione: “Restituisci”, e al mezzogiorno: “Non trattenere; fa’ tornare i miei figli da lontano e le mie figlie dall’estremità della terra, 7quelli che portano il mio nome e che per la mia gloria ho creato e plasmato e anche formato”.

Testimoni del Dio liberatore 8Fa’ uscire il popolo cieco, che pure ha occhi, i sordi, che pure hanno orecchi. 9Si radunino insieme tutti i popoli e si raccolgano le nazioni. Chi può annunciare questo tra loro per farci udire le cose passate? Presentino i loro testimoni e avranno ragione, ce li facciano udire e avranno detto la verità. 10Voi siete i miei testimoni – oracolo del Signore – e il mio servo, che io mi sono scelto, perché mi conosciate e crediate in me e comprendiate che sono io. Prima di me non fu formato alcun dio né dopo ce ne sarà. 11Io, io sono il Signore, fuori di me non c’è salvatore. 12Io ho annunciato e ho salvato, mi sono fatto sentire e non c’era tra voi alcun dio straniero. Voi siete miei testimoni – oracolo del Signore – e io sono Dio, 13sempre il medesimo dall’eternità. Nessuno può sottrarre nulla al mio potere: chi può cambiare quanto io faccio?».

Ciro mandato contro Babilonia 14Così dice il Signore, vostro redentore, il Santo d’Israele: «Per amore vostro l’ho mandato contro Babilonia e farò cadere tutte le loro spranghe, e, quanto ai Caldei, muterò i loro clamori in lutto. 15Io sono il Signore, il vostro Santo, il creatore d’Israele, il vostro re».

Il nuovo che supera il passato 16Così dice il Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti, 17che fece uscire carri e cavalli, esercito ed eroi a un tempo; essi giacciono morti, mai più si rialzeranno, si spensero come un lucignolo, sono estinti: 18«Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! 19Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa. 20Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa, per dissetare il mio popolo, il mio eletto. 21Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi.

Contesa giudiziaria con Israele 22Invece tu non mi hai invocato, o Giacobbe; anzi ti sei stancato di me, o Israele. 23Non mi hai portato neppure un agnello per l’olocausto, non mi hai onorato con i tuoi sacrifici. Io non ti ho molestato con richieste di offerte, né ti ho stancato esigendo incenso. 24Non hai acquistato con denaro la cannella per me né mi hai saziato con il grasso dei tuoi sacrifici. Ma tu mi hai dato molestia con i peccati, mi hai stancato con le tue iniquità. 25Io, io cancello i tuoi misfatti per amore di me stesso, e non ricordo più i tuoi peccati. 26Fammi ricordare, discutiamo insieme; parla tu per giustificarti. 27Il tuo primo padre peccò, i tuoi intermediari mi furono ribelli. 28Perciò profanai i capi del santuario e ho votato Giacobbe all’anatema, Israele alle ingiurie».

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Approfondimenti

Appello divino alla fiducia 43,1-7 Nei due responsi di salvezza di questo brano (v. 1-4; 5-7) si incontra il cuore del messaggio del Deuteroisaia: Israele è costantemente situato nell'amore del suo Dio. I due responsi formano un'unità come appare dalla suggestiva inclusione letteraria che pone, quale fondamento dell'appello alla fiducia, la fede nel Signore “creatore del suo popolo”.

1. JHWH parla come «creatore» e «plasmatore» del suo popolo (il Deuteroisaia ricorre a due verbi che si incontrano rispettivamente nei racconti della creazione di Gn 1 e Gn 2). La formula di incoraggiamento, con cui Israele è invitato a uscire fuori dalle proprie paure, si fonda sull'opera stessa del Signore che ha redento il suo popolo e lo ha chiamato per nome (cfr. Os 11,1).

2-3a. L'appello a uscire dalla paura è fondato sulla presenza dinamica del Signore, che libera il suo popolo da tutte le prove (cfr. Dt 20,1-4; Sal 66,8-12). La presenza salvifica del Signore, a sua volta, è la manifestazione storica del vincolo dell'alleanza, come è indicato dal richiamo alla formula dell'alleanza («Io sono... il tuo Dio») e dalla locuzione isaiana «Santo di Israele».

3b-4. Come conseguenza di questo vincolo di alleanza, costituitosi per pura iniziativa divina, Israele è prezioso agli occhi del Signore ed è il “tu” del suo amore. Qui appare la grandezza del popolo agli occhi del Signore che lo ama, nonostante la sua «cecità» e «sordità». La portata di questa prospettiva è straordinaria. Perciò essa si trova ora incorniciata dall'annuncio che il Signore dona i popoli e le nazioni per la redenzione di Israele. Si tratta di affermazioni che forse alludono, concretamente, alla futura conquista dei popoli da parte di Ciro (e dei successori). Il loro intento fondamentale, però, è di proclamare che la storia degli uomini è nelle mani del Signore ed egli la dirige a un fine di salvezza per il suo popolo.

5-7. L'appello a uscire dalla paura si illumina ora con la promessa del ritorno di coloro che furono dispersi a causa dell'esilio. L'immagine di Israele disperso ai quattro punti cardinali, benché iperbolica, non è lontana dal vero.

Testimoni del Dio liberatore 43,8-13 La pericope contiene una nuova contesa giudiziaria caratterizzata dal tema e dagli obiettivi di quelle precedenti (cfr. 41,1-5; 41,21-29). L'accento è qui posto sul popolo del Signore il quale, benché sia cieco e sordo, è chiamato ad essere testimone del suo Dio davanti ai popoli.

8-9a. Nonostante la sua cecità e sordità verso il Signore, il popolo è comunque portatore di un'esperienza autentica («ha occhi e orecchi») e quindi la sua testimonianza è degna di fede. Questa certezza è espressa con lo scenario grandioso di un processo dove Israele affronta gli dei delle genti e produce la sua testimonianza in un'ideale tribuna alla presenza di tutte le nazioni.

10c-13. Il carattere unico del Signore viene prospettato attraverso alcune categorie fondamentali. Anzitutto la categoria del tempo: nessun dio fu formato prima del Signore e nessuno potrà essere operante dopo di lui. Segue la categoria spaziale per sottolineare che fuori del Signore non si trova nessun salvatore (v. 11). Infine viene la categoria della parola che preannuncia la salvezza e la realizza. La fede che questo messaggio sprigiona aiuta a comprendere il significato del genere letterario della nostra pericope. L'autore non pensa, sia pure in termini ideali e simbolici, a una testimonianza di Israele davanti alle nazioni. Si tratta invece di una testimonianza che entra a confronto con esse e che si attua, quindi, nella coscienza stessa del popolo. Anche nelle vicissitudini più enigmatiche della storia la consapevolezza di essere nelle mani del Signore sviluppa quell'energia della speranza che è indispensabile nell'itinerario della liberazione e conduce l'uomo alla riscoperta del suo Dio e salvatore.

Ciro mandato contro Babilonia 43,14-15 Probabilmente il brano allude alla missione di Ciro, suscitato dal Signore per abbattere la potenza che tiene i popoli prigionieri. La caduta di Babilonia costituisce, in ogni caso, un dato certo del messaggio della percope. La forza di tale messaggio è accresciuta dal contesto precedente. È l'opera che il Signore realizza per liberare il suo popolo e nessuno potrà ostacolarla (cfr. v. 13).

Il nuovo che supera il passato 43,16-21 L'annuncio di salvezza (cfr. 41,17-20 e 42,14-17) presenta un carattere particolare. Esso infatti non si configura come risposta a una lamentazione (che nel brano è di fatto assente), ma si sviluppa avendo come sfondo gli inni di lode.

16-17. La forma iniziale del messaggero è sviluppata dall'aggiunta al nome divino di una serie di verbi, che creano un passo dall'inconfondibile fisionomia innica.

18-19a. L'appello a non ricordare «le cose passate» si riferisce agli interventi salvifici del Signore (cfr. 41, 22; 43,9), che si sintetizzano teologicamente nel prodigio dell'esodo (vv. 16-17). La richiesta ha certamente un senso retorico, poiché il profeta richiama spesso questi eventi e in 46,9 chiede esplicitamente che siano ricordati. Essa comunque mette in luce un pericolo che Israele ha avvertito distintamente. La memoria degli eventi salvifici, infatti, è autentica quando sprigiona la fiducia nel Salvatore e rinnova la speranza in un futuro nuovamente raggiunto dalla potenza divina (cfr. Dt 7,17-19). Se invece la memoria si riduce a una ripetizione di formule prive di vita o spinge a una fuga nostalgica verso il passato, allora chiude il popolo alla «cosa nuova» che il Signore suscita per la sua salvezza.

19b-21. L'evento nuovo, che «germoglia» è la via che il Signore apre nel deserto. Da 19b e 20c appare che il deserto presenta il significato già incontrato in 41,17-20 (cfr. 44,1-5). Esso connota simbolicamente il popolo nella sua condizione di «sordo», «cieco» e, quindi, privo di speranza. La via che il Signore apre nel deserto, rinnovando il prodigio della via aperta nel mare (v. 16), indica perciò la stessa trasformazione del popolo, reso capace di dischiudersi alla vita della speranza. Il v. 20ab è una glossa che intende il deserto in senso spaziale e sottolinea che l'opera di Dio per il suo popolo si riverbera a beneficio di tutta la creazione rinnovata (la presenza di «sciacalli» e «struzzi» conferisce un colore ideale a tinta escatologica, cfr. Is 11,6-9).

Contesa giudiziaria con Israele 43,22-28 La pericope è una contesa giudiziaria tra JHWH e Israele e risale a un periodo che si trova sotto l'influsso della teologia cronistica. Ciò risulta sia dal contenuto cultuale del rimprovero che il Signore muove al suo popolo (vv. 22-24a), sia dal tema del perdono dei peccati che riceve particolare enfasi nell'opera del Cronista (cfr. Ne 8-9).

23b-24. Con un'antitesi vigorosa e ardita l'atteggiamento del Signore, che non ha voluto «molestare» il suo popolo con la richiesta di offerte particolarmente gravose (il verbo richiama la schiavitù d'Egitto), è contrapposto alla condotta di Israele che «dà molestia» al Signore con i suoi peccati.

25. La santità del Signore si manifesta significativamente nel perdono dei peccati. L'espressione «per riguardo a me non ricordo più i tuoi peccati» è illuminante. Se il Signore agisse considerando la realtà del suo popolo, egli potrebbe intervenire unicamente per punire il peccato. Solo agendo per riguardo a sé, ossia in considerazione del suo disegno di salvezza e della sua fedeltà all'alleanza, il Signore realizza la trasformazione salvifica del popolo (cfr. Ez 36,22-23).

27-28. «Il tuo primo padre»: a partire dal peccato di Giacobbe, primo padre della nazione (cfr. 48,1.8; 58,14; inoltre Os 12,2-4), la storia del popolo è scandita dalla ribellione di coloro che dovevano mediare la parola del Signore al popolo e dalle profanazioni compiute dai capi dei sacerdoti di Gerusalemme (come si arguisce dall'espressione «principi del santuario» che ricorre in 1Cr 24, 5). La situazione di angustia che il popolo ha sperimentato e sperimenta nella sua storia è dunque la conseguenza della sua infedeltà (cfr. 2Cr 36).

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Presentazione del servo 1Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni. 2Non griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, 3non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta; proclamerà il diritto con verità. 4Non verrà meno e non si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto sulla terra, e le isole attendono il suo insegnamento.

Chiamato per liberare 5Così dice il Signore Dio, che crea i cieli e li dispiega, distende la terra con ciò che vi nasce, dà il respiro alla gente che la abita e l’alito a quanti camminano su di essa: 6«Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, 7perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre. 8Io sono il Signore: questo è il mio nome; non cederò la mia gloria ad altri, né il mio onore agli idoli. 9I primi fatti, ecco, sono avvenuti e i nuovi io preannuncio; prima che spuntino, ve li faccio sentire».

Inno al Signore 10Cantate al Signore un canto nuovo, lodatelo dall’estremità della terra; voi che andate per mare e quanto esso contiene, isole e loro abitanti. 11Esultino il deserto e le sue città, i villaggi dove abitano quelli di Kedar; acclamino gli abitanti di Sela, dalla cima dei monti alzino grida. 12Diano gloria al Signore e nelle isole narrino la sua lode. 13Il Signore avanza come un prode, come un guerriero eccita il suo ardore; urla e lancia il grido di guerra, si mostra valoroso contro i suoi nemici.

Promessa della guida divina 14«Per molto tempo ho taciuto, ho fatto silenzio, mi sono contenuto; ora griderò come una partoriente, gemerò e mi affannerò insieme. 15Renderò aridi monti e colli, farò seccare tutta la loro erba; trasformerò i fiumi in terraferma e prosciugherò le paludi. 16Farò camminare i ciechi per vie che non conoscono, li guiderò per sentieri sconosciuti; trasformerò davanti a loro le tenebre in luce, i luoghi aspri in pianura. Tali cose io ho fatto e non cesserò di fare». 17Retrocedono pieni di vergogna quanti sperano in un idolo, quanti dicono alle statue: «Voi siete i nostri dèi».

Interpretazione dell'esilio 18Sordi, ascoltate, ciechi, volgete lo sguardo per vedere. 19Chi è cieco, se non il mio servo? Chi è sordo come il messaggero che io invio? Chi è cieco come il mio privilegiato? Chi è cieco come il servo del Signore? 20Hai visto molte cose, ma senza farvi attenzione, hai aperto gli orecchi, ma senza sentire. 21Il Signore si compiacque, per amore della sua giustizia, di dare una legge grande e gloriosa. 22Eppure questo è un popolo saccheggiato e spogliato; sono tutti presi con il laccio nelle caverne, sono rinchiusi in prigioni. Sono divenuti preda e non c’era un liberatore, saccheggio e non c’era chi dicesse: «Restituisci». 23Chi fra voi porge l’orecchio a questo, vi fa attenzione e ascolta per il futuro? 24Chi abbandonò Giacobbe al saccheggio, Israele ai predoni? Non è stato forse il Signore contro cui peccò, non avendo voluto camminare per le sue vie e non avendo osservato la sua legge? 25Egli, perciò, ha riversato su di lui la sua ira ardente e la violenza della guerra, che lo ha avvolto nelle sue fiamme senza che egli se ne accorgesse, lo ha bruciato, senza che vi facesse attenzione.

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Approfondimenti

Presentazione del servo 42,1-4 In netta antitesi al «vento» e al «vuoto» delle statue (cfr. 41,29) si erge qui la figura del «servo» che realizza con efficacia la sua missione. Il testo è il primo dei quattro brani che sono conosciuti come “canti del servo del Signore” (42,1-4; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12). A nostro avviso il secondo e il terzo canto, in prima persona, provengono direttamente dal Deutero-isaia che riflette in essi la sua esperienza vocazionale-profetica. Invece il primo e il quarto canto, in terza persona, testimoniano una riflessione posteriore sulla figura del servo. L'inserzione di questi testi nella «Visione di Isaia» ha favorito una ulteriore reinterpretazione della figura del servo che venne riferita a Israele e alla sua missione.

1. La figura del servo rimane piuttosto indeterminata nel testo. Solo la connessione con gli altri canti, in particolare con il secondo, permette di vedere in questo personaggio una figura profetica. Parallela alla frase «il mio servo» è l'espressione «il mio eletto». Questa sottolinea che il servo e tale non per propria scelta, ma unicamente in forza dell'elezione divina, la quale si esprime mediante l'effusione dello spirito del Signore. Unendo il termine «servo» alla frase «che io sostengo» si delinea fin dall'inizio che il servo si troverà in situazioni in cui avrà vitale bisogno dell'aiuto e della forza di JHWH (cfr. 41,10). A sua volta la dichiarazione che il Signore «si compiace» del suo eletto prospetta che il servo realizzerà fedelmente la propria missione adempiendo il disegno di Dio e riuscendo a lui gradito.

2-4a. Si offre un'indicazione generale del metodo con cui il servo attua la sua missione. Le tre frasi negative evidenziano forse il contrasto tra la sua opera e quella dei profeti del giudizio, a lui anteriori. Il servo non grida più nelle piazze per denunciare le infedeltà di Israele e annunciarne la condanna. Il suo è un messaggio di fiducia e di speranza, rivolto agli esuli di Giuda e a quanti condividono la stessa sorte di deportazione. I vv. 3-4a descrivono positivamente l'opera del servo con particolare ricchezza, come appare dalla versione che ne diamo e dalla loro stessa struttura: non romperà la canna spezzata, non spegnerà la fiamma vacillante, con successo promuoverà il “diritto”; non vacilleràsi spezzerà...

La struttura concentrica evidenzia l'importanza e la centralità della seconda affermazione relativa al servo che opera perché si ristabilisca il «diritto», cioè il rapporto salvifico del popolo con il suo Dio. Le due frasi precedenti indicano che egli agirà all'insegna della mansuetudine e della speranza. Invece i due verbi che seguono alla dichiarazione centrale sottolineano la fedeltà del servo che non si lascerà abbattere dalle gravi difficoltà e amare sofferenze, ma persevererà, senza tentennamenti, nel compimento fedele della propria missione.

4b. L'affermazione che «le isole attendono il suo insegnamento» (torah) mette in luce che la missione del servo è connessa con la parola e che il suo messaggio ha un'irradiazione universale. Il mondo attende che si compia la promessa profetica e si attui sulla terra la liberazione dall'oppressore che prolunga nel tempo un potere basato sull'ingiustizia e sulla violenza.

Chiamato per liberare 42,5-9 La pericope ha numerosi contatti stilistici e lessicali con il primo canto del servo. Essa presenta, inoltre, delle affinità con i brani che esaltano la potenza divina di fronte agli idoli e che attribuiscono al Signore l'ascesa vittoriosa di Ciro (cfr. in particolare 41,25-29 e 41,1-5). L'insieme di questi dati orienta a ritenere che il passo è stato posto con l'intento di raccordare la presentazione di Ciro come «eletto del Signore» (cfr. 45,1) con il servo di 42,1-4.

6-7. Con la formula di autopresentazione («Io, JHWH») il Signore si rivolge a un “tu” dietro il quale, con ogni probabilità, è da intravedere il re persiano Ciro. A questo interlocutore il Signore dichiara che lo ha chiamato con un intento di salvezza («per la giustizia», cfr. 45, 13) e che lo ha costituito «alleanza del popolo» e «luce delle nazioni». Il primo termine si connette al motivo del Signore che dirige il destino del popolo e che annuncia i fatti futuri prima che si compiano. Il titolo «luce delle genti» sottolinea l'opera di liberazione che il chiamato compirà secondo il disegno del Signore. Quest'opera è descritta plasticamente nel v. 7 dove l'uscita dei popoli dal «carcere» (di Babilonia) è incorniciata dall'annuncio della liberazione dalla cecità e dalle tenebre. Ogni itinerario di liberazione segna sempre, all'interno della storia umana, la vittoria della luce sulle tenebre (cfr. 9,1).

9. Traspare il ruolo fondamentale che la parola svolge nel processo di liberazione del popolo da ogni schiavitù ideologica o idolatrica. Come si è realizzato l'annuncio dei «primi fatti» (il giudizio di Israele), così si realizzerà anche la promessa di quelli nuovi. La fede nella parola sviluppa l'attesa della liberazione e ravviva nel credente la fiducia in JHWH, l'unico che fa conoscere la salvezza futura, prima ancora che germogli.

Inno al Signore 42,10-13 Alla luminosa promessa della salvezza segue un brano innico, il primo di una serie di testi che scandiscono i momenti salienti dei cc. 40-55 (cfr. 44,23; 45,8; 48,20-21; 49,13; 52,9-10). Nell'invito alla lode questi passi sono molto simili ai salmi che appartengono al genere degli inni. Mentre però negli inni salmici l'invito alla lode ha come motivo le manifestazioni storiche dell'amore salvifico del Signore, nei passi innici di Is 40-55 esso si fonda sempre sulla fiducia nell'azione che il Signore sta per compiere: la liberazione del suo popolo.

10-12. L'invito a cantare al Signore un canto «nuovo» (cfr. Sal 96,1 e 98,1), che richiama gli eventi nuovi annunciati al v. 9, si estende anzitutto in un arco che abbraccia orizzontalmente le estremità della terra, si esprime nel fremito del mare e raggiunge le «isole» con i suoi abitanti (v. 10). Successivamente esso si ripercuote in un moto verticale (v. 11) dalle regioni desertiche alla «cima dei monti» coinvolgendo le città e i villaggi con i loro abitanti Kedar è una tribù del deserto siro-arabo; Sela è una città del deserto, nel paese di Edom, che i LXX traducono con Petra).

Promessa della guida divina 42,14-17 Il brano per la sua affinità con 41,17-20 si presenta come un annuncio di salvezza che il Signore comunica rispondendo al lamento del popolo.

14-16. La prima parte del v. 14 suppone il lamento del popolo che sperimenta il silenzio di Dio nel momento della propria angustia (cfr. 63,15; 64,11; Sal 79,5; 85,6; 89,47). La parola di JHWH parte da questo «silenzio» per interpretarlo. Come il tempo della gestazione culmina nel parto, il silenzio del Signore (cui corrisponde la sofferenza di Israele) prepara la generazione di un nuovo popolo e di una nuova umanità. L'intervento del Signore opera la trasformazione necessaria per la nascita del mondo nuovo. L'irruzione di JHWH nella storia trasforma la realtà in modo che, in ogni situazione, si dischiuda la via della libertà. E la via che gli esuli non conoscono più, essendo avvolti nelle tenebre della loro servitù. Perciò l'azione del Signore che guida i ciechi su questo cammino è presentata come opera che trasforma «le tenebre in luce» (cfr. Es 13,21-22). È questa, in definitiva, la grande trasformazione che raggiunge l'uomo e lo libera dalla sua cecità, rendendogli nuovamente possibile credere nel futuro di Dio.

17. Si tratta di un'aggiunta che proviene dalla polemica antidolatrica. Nell'attuale contesto l'aggiunta sottolinea il fallimento totale di quanti hanno posto la loro fiducia negli idoli (cfr. 40,18-20; 44,9-11; 45,16). Solo il Signore libera dalla cecità e dalle tenebre, manifestandosi nella storia come Dio salvatore.

Interpretazione dell'esilio 42,18-25 Il poema è stato inserito qui a motivo del termine «ciechi» del v. 16. Nella sua attuale posizione la pericope sottolinea la necessità della guida del Signore, come è evidenziato dalla condizione di cecità nella quale versa il popolo. Sotto il profilo letterario si ha una contesa giudiziaria che suppone un'accusa simile a quella annunciata in 40,27. Secondo essa il Signore non si cura del suo popolo, anzi rimane cieco davanti al suo amaro destino. La risposta del Signore mostra che la vera causa della sventura risiede nella stessa infedeltà della comunità.

18-20. Davanti all'accusa, che è presupposta dalla pericope, il Signore invita il suo popolo a prendere coscienza della propria sordità e cecità, perché si apra all'ascolto e alla visione. Il vocabolario richiama la grande tradizione testimoniata in Dt 29,3 e ripresa da Isaia (6,3) e dalla tradizione deuteronomistica. Non il Signore è insensibile verso il suo popolo, ma Israele non si è aperto al suo Dio e perciò è diventato il «servo» cieco e il messaggero sordo.

21. E una nuova glossa, che richiama il dono della torah, concesso dal Signore. La cecità del popolo è così reinterpretata come chiusura al dono «grande» e «glorioso» della divina rivelazione.

22-24a. Il popolo è stato depredato e saccheggiato. Tuttavia Israele non deve chiudersi nel suo lamento, che lascerebbe il popolo ancora nella cecità. Il cammino della libertà si dischiude non appena Israele si apre a comprendere il senso della propria storia, e, nell'interrogativo della sua interiore ricerca, giunge a colui che lo ha consegnato ai suoi saccheggiatori e predatori.

24b. Qui si inserisce di nuovo la voce di chi ha messo la cecità di Israele in rapporto con il dono della torah (v. 21). Per il glossatore il popolo comprende la causa della propria rovina quando prende coscienza del suo peccato.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Il primo annuncio di Ciro 1Ascoltatemi in silenzio, isole, e le nazioni riprendano nuova forza! S’avanzino e parlino; raduniamoci insieme in giudizio. 2Chi ha suscitato dall’oriente colui che la giustizia chiama sui suoi passi? Chi gli ha consegnato le nazioni e assoggettato i re? La sua spada li riduce in polvere e il suo arco come paglia dispersa dal vento. 3Li insegue e passa oltre, sicuro; sfiora appena la strada con i piedi. 4Chi ha operato e realizzato questo, chiamando le generazioni fin dal principio? Io, il Signore, sono il primo e io stesso sono con gli ultimi. 5Le isole vedono e ne hanno timore; tremano le estremità della terra, insieme si avvicinano e vengono. 6Si aiutano l’un l’altro; uno dice al compagno: «Coraggio!». 7Il fabbro incoraggia l’orafo; chi leviga con il martello incoraggia chi batte l’incudine, dicendo della saldatura: «Va bene», e fissa l’idolo con chiodi perché non si muova.

Israele servo del Signore 8Ma tu, Israele, mio servo, tu Giacobbe, che ho scelto, discendente di Abramo, mio amico, 9sei tu che io ho preso dall’estremità della terra e ho chiamato dalle regioni più lontane e ti ho detto: «Mio servo tu sei, ti ho scelto, non ti ho rigettato». 10Non temere, perché io sono con te; non smarrirti, perché io sono il tuo Dio. Ti rendo forte e ti vengo in aiuto e ti sostengo con la destra della mia giustizia. 11Ecco, saranno svergognati e confusi quanti s’infuriavano contro di te; saranno ridotti a nulla e periranno gli uomini che si opponevano a te. 12Li cercherai, ma non troverai coloro che litigavano con te; saranno ridotti a nulla, a zero, coloro che ti muovevano guerra. 13Poiché io sono il Signore, tuo Dio, che ti tengo per la destra e ti dico: «Non temere, io ti vengo in aiuto».

Israele rinnovato dall'aiuto divino 14Non temere, vermiciattolo di Giacobbe, larva d’Israele; io vengo in tuo aiuto – oracolo del Signore –, tuo redentore è il Santo d’Israele. 15Ecco, ti rendo come una trebbia acuminata, nuova, munita di molte punte; tu trebbierai i monti e li stritolerai, ridurrai i colli in pula. 16Li vaglierai e il vento li porterà via, il turbine li disperderà. Tu, invece, gioirai nel Signore, ti vanterai del Santo d’Israele.

Il deserto trasformato 17I miseri e i poveri cercano acqua, ma non c’è; la loro lingua è riarsa per la sete. Io, il Signore, risponderò loro, io, Dio d’Israele, non li abbandonerò. 18Farò scaturire fiumi su brulle colline, fontane in mezzo alle valli; cambierò il deserto in un lago d’acqua, la terra arida in zona di sorgenti. 19Nel deserto pianterò cedri, acacie, mirti e ulivi; nella steppa porrò cipressi, olmi e abeti; 20perché vedano e sappiano, considerino e comprendano a un tempo che questo ha fatto la mano del Signore, lo ha creato il Santo d’Israele.

Contesa con gli dei 21Presentate la vostra causa, dice il Signore, portate le vostre prove, dice il re di Giacobbe. 22Si facciano avanti e ci annuncino ciò che dovrà accadere. Narrate quali furono le cose passate, sicché noi possiamo riflettervi. Oppure fateci udire le cose future, così che possiamo sapere quello che verrà dopo. 23Annunciate quanto avverrà nel futuro e noi riconosceremo che siete dèi. Sì, fate il bene oppure il male e ne stupiremo, vedendo l’uno e l’altro. 24Ecco, voi siete un nulla, il vostro lavoro non vale niente, è abominevole chi vi sceglie. 25Io ho suscitato uno dal settentrione ed è venuto, dal luogo dove sorge il sole mi chiamerà per nome; egli calpesterà i governatori come creta, come un vasaio schiaccia l’argilla. 26Chi lo ha predetto dal principio, perché noi lo sapessimo, chi dall’antichità, perché dicessimo: «È giusto»? Nessuno lo ha predetto, nessuno lo ha fatto sentire, nessuno ha udito le vostre parole. 27Per primo io l’ho annunciato a Sion, e a Gerusalemme ho inviato un messaggero di buone notizie. 28Guardai ma non c’era nessuno, tra costoro nessuno era capace di consigliare, nessuno da interrogare per averne una risposta. 29Ecco, tutti costoro sono niente, nulla sono le opere loro, vento e vuoto i loro idoli.

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Approfondimenti

Il primo annuncio di Ciro 41,1-7 I vv. 1-4 sono la prima di una serie di contese giudiziarie che si incontrano in 41,21-29; 43,8-13; 44,6-8; 45,20-25. I vv. 6-7 sono invece un frammento di una satira contro gli idoli. Infine il v. 5 sembra un'aggiunta ai vv. 1-4 per dare risalto all'evento che il Signore ha appena annunciato.

1-4. Nella presente contesa giudiziaria l'orizzonte si dilata e raggiunge le «isole» lontane e, quindi, tutte le nazioni. Effettivamente JHWH le convoca perché quanto sta per succedere non riguarda solo un piccolo popolo, ma appartiene alla storia universale. L'evento annunciato è strettamente connesso con un personaggio che, senza essere nominato, è descritto come dominatore dei popoli e guerriero invincibile. Chi lo ha suscitato? Chi gli ha consegnato i popoli e assoggettato i re? Chi ha realizzato questo? Il confronto con i passi affini mostra che il personaggio in questione è Ciro, re di Persia. Ciro però, per il nostro testo, non è il protagonista delle imprese che trasformeranno il mondo. Perciò la questione fondamentale, sottolineata dal ripetersi incalzante del «Chi» a ogni domanda, si ripropone in tutta la sua portata dopo che non ha trovato in Ciro la sua risposta. Il vero protagonista, colui che «ha operato e realizzato questo», colui che chiama le generazioni perché entrino nella scena della storia è il Signore. È significativo che tale risposta sia data in un'autopredicazione dal Signore stesso. Solo nella rivelazione del Signore l'uomo può conoscere colui che è il primo e al tempo stesso con gli ultimi e, proprio per questo, abbraccia con il suo disegno e la sua opera tutta la storia.

5-7. Con un'efficace allitterazione il v. 5 descrive la reazione di timore e spavento che coglie le isole e i confini della terra. Il termine «isole», però, non indica più, come nel v. 1, gli abitanti delle nazioni radunati dal Signore, ma denota i paesi della terra e i loro popoli in balia del terrore. Il versetto è quindi un'aggiunta e probabilmente fu messa per raccordare il primo annuncio su Ciro con i vv. 6-7 che descrivono le diverse fasi richieste per la costruzione di statue di idoli. Questo brano, molto recente, nell'attuale contesto ha la funzione di far risaltare, con fine ironia, l'inutilità dell'aiuto e del «coraggio» che i popoli si affannano a ottenere dai loro idoli.

Israele servo del Signore 41,8-13 Questo brano è il primo di una serie di “responsi di salvezza” (oltre il presente testo cfr. 41,14-16; 43,1-4.5-7; 44,1-5) che caratterizzano il messaggio del Deuteroisaia. Si tratta di una forma letteraria che non proviene dall'ambiente profetico, ma da quello cultuale. Essa ha potuto essere riconosciuta analizzando la struttura di molti salmi di lamentazione individuale, dove si registra il passaggio dalla supplica accorata alla certezza che la preghiera è stata esaudita. Un simile passaggio suppone che l'orante abbia ricevuto dal sacerdote o da un profeta cultuale un “responso di salvezza”, ossia l'assicurazione che la sua preghiera era stata ascoltata. Il fatto che il Deuteroisaia si sia ispirato a questo genere letterario è un segno eloquente che il nostro profeta intendeva la propria missione nella prospettiva della fiducia e della speranza. La comunità degli esuli poteva ritrovare la sicurezza di un nuovo futuro di salvezza.

8-9. Il detto inizia con una scena dove si staglia il “tu” che il Signore interpella con i nomi solenni di «Israele», «Giacobbe», «discendenza di Abramo». Questi appellativi mettono in luce che tutta la storia di Israele, fin dalle sue origini patriarcali, è illuminata dall'amore del Signore (cfr. Abramo «mio amico») e dalla sua promessa di salvezza. Proprio questo amore costituisce il popolo servo del Signore e suo eletto. Se il primo titolo connota la missione di Israele nella storia, il secondo mette in evidenza che l'origine della missione è nell'elezione, cioè nel disegno imperscrutabile del Signore, che ha scelto il suo popolo e lo ha preso definitivamente per sé quando lo chiamò, in Abramo, dalla lontana Ur.

Israele rinnovato dall'aiuto divino 41,14-16 Anche questo brano presenta la forma di un responso di salvezza. Esso è redazionalmente connesso con 41,8-13 dalle espressioni «non temere», «io vengo in tuo aiuto». E probabile, però, che il detto risalga al tardo periodo postesilico, come risulta dal vocabolario e dalle immagini che richiamano l'apocalittica dei cc. 24-27.

14. Le espressioni «vermiciattolo di Giacobbe», «larva di Israele» mostrano che Dio fa propria l'amarezza dell'orante che innalza la sua lamentazione nel momento in cui si sente «verme, non uomo» (Sal 22,7; cfr. Sal 119,141). Da questa prossimità del Signore al dolore del suo popolo scaturisce la prospettiva di un nuovo futuro che solo il suo aiuto rende possibile. L'espressione «tuo redentore» proviene dall'antico diritto familiare e tribale e indica il parente più prossimo che ha il diritto e il dovere di liberare un proprio congiunto dalla schiavitù. In definitiva il Signore è il «redentore» non solo perché è il liberatore, ma anzitutto perché è il “parente” che interviene per liberare la sua famiglia.

15-16. L'intervento del Signore trasforma la sorte del suo popolo. Questi non si sentirà più «verme», ma sarà reso come «una trebbia» che stritola monti e colline, riducendo tutto in pula dispersa dal vento. Con questo linguaggio, che ha una tinta apocalittica, l'autore si riferisce non tanto ai popoli nemici, quanto piuttosto ai loro dei che rappresentavano una costante tentazione presso l'Israele del periodo postesilico.

Il deserto trasformato 41,17-20 La pericope è un annuncio di salvezza.

17a. Come risulta da Is 44,1-5 la «sete» simboleggia eloquentemente il desiderio del Signore nell'esperienza del suo amore che è percepito più prezioso della stessa vita (cfr. Sal 42,2-3; 63,2-4; 143,6-7.9-10).

17b-19. Il Signore si presenta ai suoi «poveri» come il Dio che ascolta e che non «abbandona», perché non viene meno a quella relazione di amore che ha la sua espressione sublime nell'alleanza (17b). Con l'immagine dell'acqua, fonte della vita, il profeta si riferirà esplicitamente al dono dello spirito (cfr. 44,3) e della parola (cfr. 55,1-3a). Qui essa connota l'azione del Signore che muta «il deserto in un lago d'acqua» (v. 18) e in un verde giardino. L'affinità lessicale del presente testo con Os 2,5 e la prospettiva di testi come Is 44,3 e 51,3 orientano a ritenere che il «deserto» è simbolo del popolo che, a causa della propria infedeltà, si sente abbandonato dal Signore e in pericolo di morte. La trasformazione del deserto annuncia, quindi, la rinascita del popolo nuovamente raggiunto dalla potenza vivificante del suo Dio.

Contesa con gli dei 41,21-29 La seconda contesa giudiziaria con gli dei forma, come la prima (41,1-5), la cornice all'annuncio di Ciro. La pericope si articola in tre parti: – dichiarazione della nullità degli dei (vv. 21-24); i – intervento efficace del Signore nella scena della storia umana (vv. 25-27); – assenza degli dei nel consiglio divino e loro nullità (vv. 28-29).

21-24. Il Signore sfida gli dei ad addurre le prove del loro carattere divino. Significativamente egli avanza questa sfida come «re di Giacobbe», dunque come colui che guida il suo popolo alla vittoria (v. 21). Con una triplice richiesta si domanda agli dei che annuncino ciò che avviene nella storia in generale (v. 22a), quanto è accaduto nel passato (v. 22b) e quanto avverrà in futuro (v. 23a). Il primo segno della trascendenza divina è la parola che offre l'interpretazione del passato, illumina il presente e orienta il cammino verso il futuro. Dove manca questa parola non si può parlare di mondo divino. La sfida di JHWH si fa ora incalzante con la richiesta agli dei che si mostrino attivi, che nel bene o nel male facciano qualcosa (v. 23b). Al silenzio della parola fa riscontro l'assenza di qualsiasi opera efficace nella storia.

25-27. Nella parte centrale della pericope il Signore presenta le prove che aveva chiesto agli dei. La connessione con la prima parte è evidenziata anche dall'ordine inverso con cui si adducono le prove così che i vv. 21-27 presentano la seguente disposizione chiastica: preannuncio-opera; opera-preannuncio. Il Signore si manifesta anzitutto come colui che agisce operando il bene nella storia. Egli infatti ha suscitato il liberatore che sconfigge i potenti e sottrae i popoli dal giogo dell'oppressione (v. 25). L'azione del Signore è a sua volta accompagnata dalla parola. Questa ha preannunciato il futuro e ora che la promessa si attua lo illumina. Il fatto che il Signore è solo nella sua opera e nella sua parola (nessun altro l'ha predetto!) mette in evidenza che solo lui è salvificamente attivo (v. 26). Ne deriva che chiunque si affida a lui e ascolta la sua parola cammina senza stancarsi verso la salvezza vicina. Probabilmente il v. 27 è un'aggiunta che attualizza il messaggio del testo all'epoca della ricostruzione delle mura di Gerusalemme (cfr. Is 61,1-4).

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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LIBERAZIONE, SPERANZA E CONSOLAZIONE

La consolazione della parola 1«Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio. 2Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati». 3Una voce grida: «Nel deserto preparate la via al Signore, spianate nella steppa la strada per il nostro Dio. 4Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata. 5Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato». 6Una voce dice: «Grida», e io rispondo: «Che cosa dovrò gridare?». Ogni uomo è come l’erba e tutta la sua grazia è come un fiore del campo. 7Secca l’erba, il fiore appassisce quando soffia su di essi il vento del Signore. Veramente il popolo è come l’erba. 8Secca l’erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura per sempre. 9Sali su un alto monte, tu che annunci liete notizie a Sion! Alza la tua voce con forza, tu che annunci liete notizie a Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annuncia alle città di Giuda: «Ecco il vostro Dio! 10Ecco, il Signore Dio viene con potenza, il suo braccio esercita il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede. 11Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri».

Il Creatore e il futuro d'Israele 12Chi ha misurato con il cavo della mano le acque del mare e ha calcolato l’estensione dei cieli con il palmo? Chi ha valutato con il moggio la polvere della terra e ha pesato con la stadera le montagne e i colli con la bilancia? 13Chi ha diretto lo spirito del Signore e come suo consigliere lo ha istruito? 14A chi ha chiesto di consigliarlo, di istruirlo, di insegnargli il sentiero del diritto, di insegnargli la conoscenza e di fargli conoscere la via della prudenza? 15Ecco, le nazioni sono come una goccia che cade da un secchio, contano come polvere sulla bilancia; ecco, le isole pesano quanto un granello di sabbia. 16Il Libano non basterebbe per accendere il rogo, né le sue bestie per l’olocausto. 17Tutte le nazioni sono come un niente davanti a lui, come nulla e vuoto sono da lui ritenute. 18A chi potreste paragonare Dio e quale immagine mettergli a confronto? 19Il fabbro fonde l’idolo, l’orafo lo riveste d’oro, e fonde catenelle d’argento. 20Chi ha poco da offrire sceglie un legno che non marcisce; si cerca un artista abile, perché gli faccia una statua che non si muova. 21Non lo sapete forse? Non lo avete udito? Non vi fu forse annunciato dal principio? Non avete riflettuto sulle fondamenta della terra? 22Egli siede sopra la volta del mondo, da dove gli abitanti sembrano cavallette. Egli stende il cielo come un velo, lo dispiega come una tenda dove abitare; 23egli riduce a nulla i potenti e annienta i signori della terra. 24Sono appena piantati, appena seminati, appena i loro steli hanno messo radici nella terra, egli soffia su di loro ed essi seccano e l’uragano li strappa via come paglia. 25«A chi potreste paragonarmi, quasi che io gli sia pari?» dice il Santo. 26Levate in alto i vostri occhi e guardate: chi ha creato tali cose? Egli fa uscire in numero preciso il loro esercito e le chiama tutte per nome; per la sua onnipotenza e il vigore della sua forza non ne manca alcuna. 27Perché dici, Giacobbe, e tu, Israele, ripeti: «La mia via è nascosta al Signore e il mio diritto è trascurato dal mio Dio»? 28Non lo sai forse? Non l’hai udito? Dio eterno è il Signore, che ha creato i confini della terra. Egli non si affatica né si stanca, la sua intelligenza è inscrutabile. 29Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. 30Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; 31ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi.

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Approfondimenti

Con Is 40, 1-11 inizia la sezione dei cc. 40-55 dove, oltre la parola del profeta convenzionalmente chiamato Deuteroisaia, si percepisce l'intervento redazionale di altri tradenti che miravano sia a sviluppare il messaggio di speranza del nostro autore, sia a inserirlo organicamente nel libro che si era sviluppato a partire da Isaia e sotto l'influsso della sua straordinaria personalità profetica.

La consolazione della parola 40,1-11 La pericope non solo introduce la nuova sezione, ma ne rappresenta anche il prologo per i temi principali che essa anticipa. L'interesse intorno a cui convergono le varie parti del brano (vv. 1-2; 3-5; 6-8; 9-11) non è rappresentato dal messaggero, ma dal messaggio di liberazione e di speranza dischiuso dalla parola del Signore. Attraverso una serie di voci la parola profetica passa di messaggero in messaggero per giungere al cuore di Gerusalemme, che diventa a sua volta, per tutte le città di Giuda, annunciatrice della venuta vittoriosa del Signore.

1-2. Risalgono probabilmente alla fase in cui i cc. 40-66 furono annessi ai cc. 1-39. Il verbo «consolare», che segna l'inizio solenne del nostro testo (si noti la ripetizione stilistica dell'imperativo), è particolarmente frequente in questa seconda parte della «Visione di Isaia» (cfr. 49,13; 51,3.12; 52,9; 57,18; 61,2; 66,13). L'appello a «consolare» conserva anzitutto il suo riferimento alla ricostruzione delle mura di Gerusalemme nel 444, ad opera di Neemia (cfr. 51,3; 59,2; Ne 1-4; 6,1-7,3). Oltre a questo riferimento, probabilmente originario, il tema della consolazione connota anche il messaggio di liberazione, proprio del Deuteroisaia, e la stessa prospettiva escatologica di Gerusalemme finalmente libera da ogni forma di idolatria, perché rinnovata dall'amore del Signore. I destinatari di questo appello secondo il Targum sono i profeti, mentre secondo i LXX sono i sacerdoti. In realtà il testo ebraico con il suo silenzio sull'identità dei messaggeri si muove in uno spazio aperto. Tutti coloro che annunciano la parola di JHWH sono ora interpellati a «parlare al cuore di Gerusalemme» per assicurarla che è giunto il tempo in cui il Signore consola il suo popolo. Il vocabolario riecheggia il tema dell'alleanza, insinuato dalle espressioni «mio popolo», «vostro Dio» (cfr. Dt 26,17-19). In particolare la locuzione «parlare al cuore» (cfr. Gn 34,2; Gdc 19,6; Rt 2,13; Os 2,16) prospetta la comunione sponsale che Gerusalemme è chiamata a vivere con il suo Dio. La singolare affermazione secondo cui Gerusalemme ha ricevuto «doppio castigo» per tutti i suoi peccati indica che la sventura abbattutasi sul popolo «dal tempo dei re d'Assiria fino ad oggi» (Ne 9,32) si riferisce non solo all'esilio babilonese, ma anche alla dominazione persiana, percepita negli ultimi anni come una «schiavitù» nel proprio paese (cfr. Ne 9,36).

3-5. Nei cc. 40-55 il deserto è simbolo di Israele che, per la sua infedeltà, ha perso la propria identità di popolo del Signore (cfr. 41,17 con Os 2,5). La parola profetica opera in questo «deserto» realizzandovi la via che conduce il popolo, trasformato, all'incontro salvifico con il suo Dio. Il motivo della «via» attraversa l'intera «Visione di Isaia», conferendole un'unità redazionale (cfr. 11,16; 18,23; 33,8; 49,11). Come sottolinea il v. 4, che probabilmente è un'aggiunta esplicativa, la preparazione della via comporta l'eliminazione di tutti gli ostacoli che si frappongono. il v. 5 connette la trasformazione del popolo con la rivelazione della gloria del Signore: diversamente dagli dei delle genti, che manifestano la propria potenza nella maestosa raffigurazione delle loro statue, JHWH rivela la sua potenza nel cammino di liberazione che dischiude al suo popolo.

6-8. Nel testo ebraico segue ora un dialogo tra due voci. In esso si percepisce ancora l'eco di una chiamata al ministero profetico e tale eco risulta enfatizzata dalle versioni dei LXX e della Vulgata dove la domanda è messa in bocca a un “io” personale che interloquisce con la “voce” iniziale. La domanda di colui che è invitato a «gridare», probabilmente lo stesso Deuteroisaia, esprime lo stato di smarrimento e sfiducia del popolo. La difficotà del messaggero, però, è superata dallo stesso contenuto del messaggio che gli viene affidato. Esso si riassume consapevolezza della debolezza di «ogni uomo». Una simile coscienza mina alla radice tanto la pretesa di un impero indistruttibile quanto la paura di una “schiavitù” intramontabile. In contrasto con l'inconsistenza degli uomini si erge la parola che il profeta deve annunciare. Essa, in quanto parola del Signore, non appartiene alle realtà destinate a scomparire, ma rimane per sempre con la potenza di realizzare efficacemente nella storia il disegno del Signore. La portata di tale affermazione apparirà nella parte conclusiva (cfr. Is 55,10-12a) che forma con il nostro testo una significativa inclusione.

9-11. L'annuncio ha come contenuto la manifestazione del Signore (cfr. il triplice «Ecco»), che viene con potenza per salvare il suo popolo. L'intervento del Signore è descritto con l'immagine del guerriero forte e invincibile, che rievoca le narrazioni dell'esodo e con la metafora del lavoratore, che porta a casa la ricompensa della sua fatica. Il senso di quest'ultima immagine è da ricercare in Ger 31,16 dove, con gli stessi termini, si presenta il ritorno degli esuli come «compenso» per le preoccupazioni di Rachele. La ricomparsa di questo vocabolo in Is 62,11, oltre che offrire una unità tematica incentrata su Gerusalemme, conferma che il nostro testo è recente e probabilmente si riferisce alla ricostruzione delle mura ad opera di Neemia. Anche l'immagine del Signore «pastore» si riferisce a Gerusalemme dove il Signore raduna tutto il suo popolo avendo particolare cura dei più deboli e bisognosi (cfr. Ez 34,11-16).

Il Creatore e il futuro d'Israele 40,12-31 Il messaggio centrale del testo è l'incommensurabile grandezza di JHWH, Dio creatore che redime il suo popolo rinnovandone la forza e la speranza. I brano si articola in quattro parti (12-17; 18-24; 25-26; 27-31) che sotto il profilo letterario appartengono al genere della disputa, caratterizzata da una serie di domande che si susseguono. Nelle prime tre parti le domande sono evidentemente retoriche e mirano a proclamare la grandezza incomparabile del Signore. In questo modo esse preparano la vera disputa dei vv. 27-31, che è rivolta a vincere la sfiducia del popolo e conseguentemente rappresenta la meta e il culmine dell'intera composizione.

12-17. Le domande retoriche del v. 12 sono costituite dai verbi che indicano l'azione dell'artigiano: «misurare», «calcolare», «pesare». In questo passo, però, i verbi sono riferiti alle realtà fondamentali della creazione (mare, cielo, terra, montagne), realtà che provengono dal Signore ed eccedono ogni comprensione umana. Come JHWH non conobbe né rivali né suggeritori nella creazione, così non conosce rivali nella storia, dove attua il suo disegno di salvezza. Le stesse nazioni, se commisurate alla grandezza divina, risultano insignificanti come «il pulviscolo sulla bilancia». L'affermazione del v. 15 è ripresa nel v. 17, formando una cornice letteraria al v. 16, il cui messaggio risulta così fortemente evidenziato.

18-24. Nessuno può essere paragonato a Dio e non esiste immagine che possa essere messa a confronto con lui. Questa affermazione, racchiusa nella domanda del v. 18b, è stata successivamente reinterpretata come polemica contro gli idoli dai vv. 19-20. Nell'attuale contesto i presenti versetti, che con la loro satira sulla costruzione dell'idolo si situano nella linea di 41,5-7; 44,9-20; 46,5-7, segnano un crescendo: nemmeno l'idolo, costruito dalla tecnica dell'uomo, può essere comparato al Signore. Originariamente invece i v. 18 era seguito, senza soluzione di continuità, dalle quattro domande del v. 21, dove appare la ricerca dell'effetto oratorio mediante la ripetizione di frasi parallele miranti ad attirare l'attenzione sul problema che si affronta. Nel nostro caso le domande retoriche intendono richiamare alla coscienza del popolo l'azione potente e meravigliosa del Dio creatore. I vv. 22-24 sviluppano le conseguenze che derivano da questa visione di fede maturata nella ricca storia del popolo dell'alleanza: di fronte al Signore, che siede nella potenza della sua regalità «sopra la volta del mondo», appare l'infima piccolezza di tutti gli abitanti della terra, compresi i più potenti.

26.Insieme al verbo «creare», particolarmente frequente in Is 40-55, il testo presenta l'azione creatrice degli astri con un linguaggio che rievoca la liberazione di Israele dall'Egitto (cfr. Es 12,51). Le allusioni permettono di individuare la meta cui tendono le prime tre parti: preparare il popolo ad accogliere il messaggio della speranza, che lo raggiunge proprio mentre vive nella sfiducia del momento presente e senza alcuna prospettiva di salvezza per il futuro.

27-31. In questa ultima parte la domanda non è più retorica. Nel v. 27b è registrata una formula di lamento (cfr. Sal 44,25) che imita le lamentazioni liturgiche secondo cui la sorte dell'orante è nascosta al Signore. JHWH, creatore di tutto, non è il Dio di un periodo della storia, ma il Dio eterno (cfr. Sal 90,2.4). Diversamente dall'idolo, egli non rimane inerte, ma opera instancabilmente e comunica la forza a chi è «stanco». Incominciata da queste frasi, che parlano di un Dio che non si affatica, anzi che infonde il vigore a chi ne è privo, si trova l'affermazione sul carattere insondabile dell'intelligenza divina (cfr. v. 14). Proprio da questa costruzione appare che il disegno di Dio, pur nella sua “imperscrutabilità”, ha un'evidente connotazione salvifica. La parola del profeta ha così «preparato» la via della fiducia nel popolo, manifestando l'atteggiamento fondamentale richiesto dalla fede: la speranza nel Signore.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Ambasciata di Merodac-Baladàn 1In quel tempo Merodac-Baladàn, figlio di Baladàn, re di Babilonia, mandò lettere e un dono a Ezechia, perché aveva sentito che era stato malato ed era guarito. 2Ezechia ne fu molto lieto e mostrò agli inviati la stanza del tesoro, l’argento e l’oro, gli aromi e l’olio prezioso, tutto il suo arsenale e quanto si trovava nei suoi magazzini; non ci fu nulla che Ezechia non mostrasse loro nella reggia e in tutto il suo regno. 3Allora il profeta Isaia si presentò al re Ezechia e gli domandò: «Che cosa hanno detto quegli uomini e da dove sono venuti a te?». Ezechia rispose: «Sono venuti a me da una regione lontana, da Babilonia». 4Quegli soggiunse: «Che cosa hanno visto nella tua reggia?». Ezechia rispose: «Hanno visto quanto si trova nella mia reggia; non c’è nulla nei miei magazzini che io non abbia mostrato loro». 5Allora Isaia disse a Ezechia: «Ascolta la parola del Signore degli eserciti: 6Ecco, verranno giorni nei quali tutto ciò che si trova nella tua reggia e ciò che hanno accumulato i tuoi padri fino ad oggi sarà portato a Babilonia; non resterà nulla, dice il Signore. 7Prenderanno i figli che da te saranno usciti e che tu avrai generato, per farne eunuchi nella reggia di Babilonia». 8Ezechia disse a Isaia: «Buona è la parola del Signore, che mi hai riferito». Egli pensava: «Per lo meno vi saranno pace e stabilità nei miei giorni».

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Approfondimenti

La narrazione della visita fatta a Ezechia da Merodach-Baladan è stata presa da 2Re 20,12-19 e inserita, insieme ai cc. 36-38, nella «Visione di Isaia». Sostenuto dal re di Elam, Merodach-Baladan fu re di Babilonia dal 721 al 710. Dopo un breve periodo in cui dovette fuggire dalla città, egli riconquistò il trono, deciso a contrastare la supremazia assira, stipulando alleanze e sobillando ribellioni. L'ambasciata al re Ezechia, che si verificò probabilmente nel 703, va situata in questo contesto diplomatico mirante a destabilizzare la potente Assiria. La motivazione del v. 1b, secondo cui il re di Babilonia intende congratularsi con Ezechia per la sua guarigione, è perciò solo redazionale e ha lo scopo di collegare la pericope alle narrazioni precedenti. Ezechia, a motivo delle trattative in corso, mostra agli inviati i tesori e le risorse di cui può disporre nell'eventuale coalizione antiassira e che il testo descrive con una lista dettagliata (v. 2). Il fatto suscita l'intervento di Isaia. Il profeta, reagendo al progetto di una coalizione antiassira, pronuncia una condanna in cui dichiara che «non resterà nulla» di quanto i re di Giuda hanno accumulato nel passato. La precisazione che i tesori saranno portati a Babilonia è con ogni probabilità un'aggiunta che si riferisce alla deportazione del 586. L'aggiunta del v. 7 si situa nella stessa linea e intende offrire una spiegazione del fatto sconcertante dell'esilio, quando alcuni principi della casa di Giuda si trovarono al servizio del re babilonese. Ezechia, accettando la parola del profeta, riconosce praticamente la propria colpa. Questo messaggio, con cui si chiude la raccolta delle parole del profeta Isaia, introduce l'annuncio della consolazione che caratterizza i cc. 40-66. Riconoscendo la propria colpa il popolo si prepara ad accogliere il Signore che viene per liberarlo e rinnovarlo con il suo amore.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Malattia e guarigione di Ezechia 1In quei giorni Ezechia si ammalò mortalmente. Il profeta Isaia, figlio di Amoz, si recò da lui e gli disse: «Così dice il Signore: “Da’ disposizioni per la tua casa, perché tu morirai e non vivrai”». 2Ezechia allora voltò la faccia verso la parete e pregò il Signore 3dicendo: «Signore, ricòrdati che ho camminato davanti a te con fedeltà e con cuore integro e ho compiuto ciò che è buono ai tuoi occhi». Ed Ezechia fece un gran pianto. 4Allora la parola del Signore fu rivolta a Isaia dicendo: 5«Va’ e riferisci a Ezechia: “Così dice il Signore, Dio di Davide, tuo padre: Ho udito la tua preghiera e ho visto le tue lacrime; ecco, io aggiungerò ai tuoi giorni quindici anni. 6Libererò te e questa città dalla mano del re d’Assiria; proteggerò questa città”. 7Da parte del Signore questo ti sia come segno che il Signore manterrà questa promessa che ti ha fatto. 8Ecco, io faccio tornare indietro di dieci gradi l’ombra sulla meridiana, che è già scesa con il sole sull’orologio di Acaz». E il sole retrocesse di dieci gradi sulla scala che aveva disceso.

9Cantico di Ezechia, re di Giuda, quando si ammalò e guarì dalla malattia: 10«Io dicevo: “A metà dei miei giorni me ne vado, sono trattenuto alle porte degli inferi per il resto dei miei anni”. 11Dicevo: “Non vedrò più il Signore sulla terra dei viventi, non guarderò più nessuno fra gli abitanti del mondo. 12La mia dimora è stata divelta e gettata lontano da me, come una tenda di pastori. Come un tessitore hai arrotolato la mia vita, mi hai tagliato dalla trama. Dal giorno alla notte mi riduci all’estremo. 13Io ho gridato fino al mattino. Come un leone, così egli stritola tutte le mie ossa. Dal giorno alla notte mi riduci all’estremo. 14Come una rondine io pigolo, gemo come una colomba. Sono stanchi i miei occhi di guardare in alto. Signore, io sono oppresso: proteggimi”. 15Che cosa dirò perché mi risponda, poiché è lui che agisce? Fuggirò per tutti i miei anni nell’amarezza dell’anima mia. 16Il Signore è su di loro: essi vivranno. Tutto ciò che è in loro è vita del suo spirito. Guariscimi e rendimi la vita. 17Ecco, la mia amarezza si è trasformata in pace! Tu hai preservato la mia vita dalla fossa della distruzione, perché ti sei gettato dietro le spalle tutti i miei peccati. 18Perché non sono gli inferi a renderti grazie, né la morte a lodarti; quelli che scendono nella fossa non sperano nella tua fedeltà. 19Il vivente, il vivente ti rende grazie, come io faccio quest’oggi. Il padre farà conoscere ai figli la tua fedeltà. 20Signore, vieni a salvarmi, e noi canteremo con le nostre cetre tutti i giorni della nostra vita, nel tempio del Signore».

21Isaia disse: «Si vada a prendere un impiastro di fichi e si applichi sulla ferita, così guarirà». 22Ezechia disse: «Qual è il segno che salirò al tempio del Signore?».

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Approfondimenti

Il c. 38 narra la grave malattia che colpì il re Ezechia e la sua guarigione dopo l'intervento del profeta Isaia. La pericope si formò probabilmente al tempo di Giosia, dato che essa si trovava nel numero delle narrazioni su Ezechia che furono accolte in 2Re e, successivamente, recepite anche nella «Visione di Isaia».

4-6. Il titolo «Dio di Davide, tuo padre», che ricorre solo nel passo parallelo di 2Re e in 2Cr 21,12; 34, 3, è stato modellato sul motivo del «Dio dei padri» (cfr. «Dio di Abramo tuo padre») per ancorare la promessa di Natan alle più antiche tradizioni della fede di Israele. Il Signore, fedele alla promessa fatta alla casa di Davide e a tutto Israele, prolunga la vita del re di quindici anni. Questa indicazione, che appartiene a una pagina edificante, non può essere messa in rapporto con gli eventi del 701, trattandosi di un racconto che originariamente era autonomo e che è stato connesso con le precedenti narrazioni solo in modo redazionale e senza preoccupazioni storiche.

7-8. Il testo ebraico non sembra indicare una meridiana con le ore segnate su una parete, ma piuttosto i gradinindi una scala esterna, che conduceva al piano superiore. Forse nella retrocessione dell'ombra di dieci gradi, anziché il suo normale allungarsi col declinare del giorno, e solo in questo, va ravvisato il “segno” che il v. 8a annuncia e di cui il v. 8b narra la realizzazione.

38,9-20. Il v. 9, che introduce il “cantico di Ezechia” (vv. 10-20), suona come un corpo estraneo nella narrazione. Anche il v. 21 non si innesta bene con la finale del salmo. Queste osservazioni mostrano che il cantico è stato interpolato. Una certa affinità con il libro di Giobbe e la presenza di chiari aramaismi nei vv. 12.18 orientano a collocarlo nel tardo periodo postesilico. Si tratta di un salmo di ringraziamento così strutturato: ricordo del pericolo mortale (vv. 10-14), rievocazione della supplica (v. 15-16), racconto della liberazione (v. 17), ringraziamento personale (vv. 18-19), ringraziamento della comunità (v. 20). La struttura mostra che il salmo è sorto nell'ambito della ricca tradizione liturgica relativa al sacrificio di lode.

10-12. L'immagine della morte come evento tenebroso trova qui una descrizione poetica e al tempo stesso teologica. La morte è l'opposto di un'esistenza caratterizzata dall'esperienza del Signore e dalla comunione con gli uomini (v. 11). Con due metafore originali (la tenda dei beduini-pastori divelta e la recisione dall'ordito) il poeta passa dall'“io” iniziale del soliloquio («Non vedrò più...») al colloquio con il “tu” divino, che «In un giorno e una notte» conduce l'orante alla sua fine.

13-16. Al ricordo della sventura segue la rievocazione della supplica, che si trova racchiusa tra l'iniziale «Io ho gridato» (v. 13) e l'invocazione finale (v. 16c), mentre nella parte centrale il riconoscimento della propria angustia si fonde con la richiesta d'aiuto (v. 14c). Entro queste coordinate il testo sviluppa una gamma di atteggiamenti esistenziali in un'incalzante dialettica tra il dinamismo della fede e l'enigma del dolore che proprio nella morte manifesta la sua impenetrabile irrazionalità. Così il Signore è percepito nell'immagine del leone che stritola le profondità dell'esistenza privandola di ogni speranza (v. 13), mentre la situazione dell'orante trova la propria raffigurazione nella rondine che pigola sommessa e nella colomba che geme indifesa. Il salmista percepisce, impotente, il peso dell'oppressione che gli impedisce di elevare il suo sguardo a colui dal quale può venirgli l'aiuto (v. 14). Egli lancia, però, il suo grido con cui, come Gb 10,1-7, si appella a Dio (unico “redentore”) contro Dio, percepito, con pena interiore e insonne amarezza, come colui che «ha fatto tutto questo» (v. 15). L'appello a Dio sfocia nella fiducia (v. 16) che rinnova nell'orante la preghiera con cui invoca la vita nella pienezza dello spirito rinnovato.

17. Con l'annuncio della guarigione si proclama il valore salvifico della perseveranza nella fiducia. Il Signore libera dalla fossa della tomba in quanto è colui che perdona i peccati (cfr. Gb 33,18; Sal 16,10; 30,10). L'immagine di JHWH che si getta i peccati dietro le spalle è particolarmente significativa. Non vedendo più i peccati, ormai allontanati per sempre (cfr. Sal 103,12), il Signore si rivolge all'orante, dischiudendogli un futuro di vita e di amore.

20. Il salmo si conclude con il “noi” della comunità. Essa infatti non è solo l'ambito umano al quale l'orante nuovamente si riunisce, ma anche il soggetto arricchito dalla nuova esperienza di “aiuto” divino e perciò coinvolto, per «tutti i giorni», nel canto che celebra il nome del Signore.

21-22. La promessa della guarigione del re, riportata dopo l'inno (e non prima di esso come nel passo parallelo di 2Re), racchiude il salmo in una suggestiva inclusione costituita dal verbo «guarire» (v. 21; cfr. v. 9). Anche la notizia che Ezechia chiede un segno, spinto dalla speranza di entrare nel tempio (v. 22), è stata trasferita dalla sua collocazione originaria, attestata in 2Re, nella sede attuale. È probabile che si sia voluto concludere la narrazione allo stesso modo del cantico (cfr. v. 20), con il motivo del tempio quale luogo dove si canta la lode del Signore e si proclama la sua fedeltà.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1Quando udì, il re Ezechia si stracciò le vesti, si ricoprì di sacco e andò nel tempio del Signore. 2Quindi mandò Eliakìm il maggiordomo, Sebna lo scriba e gli anziani dei sacerdoti ricoperti di sacco dal profeta Isaia, figlio di Amoz, 3perché gli dicessero: «Così dice Ezechia: “Giorno di angoscia, di castigo e di disonore è questo, perché i bimbi stanno per nascere, ma non c’è forza per partorire. 4Forse il Signore, tuo Dio, udrà le parole del gran coppiere che il re d’Assiria, suo signore, ha inviato per insultare il Dio vivente e lo castigherà per le parole che il Signore, tuo Dio, avrà udito. Innalza ora una preghiera per quel resto che ancora rimane”». 5Così i ministri del re Ezechia andarono da Isaia. 6Disse loro Isaia: «Riferite al vostro signore: “Così dice il Signore: Non temere per le parole che hai udito e con le quali i ministri del re d’Assiria mi hanno ingiuriato. 7Ecco, io infonderò in lui uno spirito tale che egli, appena udrà una notizia, ritornerà nella sua terra e nella sua terra io lo farò cadere di spada”». 8Il gran coppiere ritornò, ma trovò il re d’Assiria che combatteva contro Libna; infatti aveva udito che si era allontanato da Lachis,

Secondo racconto 9avendo avuto, riguardo a Tiraka, re d’Etiopia, questa notizia: «Ecco, è uscito per combattere contro di te». Allora il re d’Assiria inviò di nuovo messaggeri a Ezechia dicendo: 10«Così direte a Ezechia, re di Giuda: “Non ti illuda il tuo Dio in cui confidi, dicendo: Gerusalemme non sarà consegnata in mano al re d’Assiria. 11Ecco, tu sai quanto hanno fatto i re d’Assiria a tutti i territori votandoli allo sterminio. Soltanto tu ti salveresti? 12Gli dèi delle nazioni, che i miei padri hanno devastato, hanno forse salvato quelli di Gozan, di Carran, di Resef e i figli di Eden che erano a Telassàr? 13Dove sono il re di Camat e il re di Arpad e il re della città di Sefarvàim, di Ena e di Ivva?”». 14Ezechia prese la lettera dalla mano dei messaggeri e la lesse, poi salì al tempio del Signore, l’aprì davanti al Signore 15e pregò davanti al Signore: 16«Signore degli eserciti, Dio d’Israele, che siedi sui cherubini, tu solo sei Dio per tutti i regni della terra; tu hai fatto il cielo e la terra. 17Porgi, Signore, il tuo orecchio e ascolta; apri, Signore, i tuoi occhi e guarda. Ascolta tutte le parole che Sennàcherib ha mandato a dire per insultare il Dio vivente. 18È vero, Signore, i re d’Assiria hanno devastato le nazioni e la loro terra, 19hanno gettato i loro dèi nel fuoco; quelli però non erano dèi, ma solo opera di mani d’uomo, legno e pietra: perciò li hanno distrutti. 20Ma ora, Signore, nostro Dio, salvaci dalla sua mano, perché sappiano tutti i regni della terra che tu solo sei il Signore». 21Allora Isaia, figlio di Amoz, mandò a dire a Ezechia: «Così dice il Signore, Dio d’Israele: “Poiché tu mi hai pregato riguardo a Sennàcherib, re d’Assiria, 22questa è la sentenza che il Signore ha pronunciato contro di lui: Ti disprezza, ti deride la vergine figlia di Sion. Dietro a te scuote il capo la figlia di Gerusalemme. 23Chi hai insultato e ingiuriato? Contro chi hai alzato la voce e hai levato in alto i tuoi occhi? Contro il Santo d’Israele! 24Per mezzo dei tuoi ministri hai insultato il mio Signore e hai detto: Con la moltitudine dei miei carri sono salito in cima ai monti, sugli estremi gioghi del Libano: ne ho reciso i cedri più alti, i suoi cipressi migliori, sono penetrato nel suo angolo più remoto, nella sua foresta lussureggiante. 25Io ho scavato e bevuto le acque, ho fatto inaridire con la pianta dei miei piedi tutti i fiumi d’Egitto. 26Non l’hai forse udito? Da tempo ho preparato questo, da giorni remoti io l’ho progettato; ora lo eseguo. E sarai tu a ridurre in mucchi di rovine le città fortificate. 27I loro abitanti, stremati di forza, erano atterriti e confusi, erano erba del campo, foglie verdi d’erbetta, erba di tetti, grano riarso prima di diventare messe. 28Che tu ti sieda, esca o rientri, io lo so. 29Poiché il tuo infuriarti contro di me e il tuo fare arrogante è salito ai miei orecchi, porrò il mio anello alle tue narici e il mio morso alle tue labbra; ti farò tornare per la strada per la quale sei venuto”. 30Questo sarà per te il segno: mangiate quest’anno il frutto dei semi caduti, nel secondo anno ciò che nasce da sé, nel terzo anno seminate e mietete, piantate vigne e mangiatene il frutto. 31Il residuo superstite della casa di Giuda continuerà a mettere radici in basso e a fruttificare in alto. 32Poiché da Gerusalemme uscirà un resto, dal monte Sion un residuo. Lo zelo del Signore degli eserciti farà questo. 33Pertanto così dice il Signore riguardo al re d’Assiria: “Non entrerà in questa città né vi lancerà una freccia, non l’affronterà con scudi e contro di essa non costruirà terrapieno. 34Ritornerà per la strada per cui è venuto; non entrerà in questa città. Oracolo del Signore: 35Proteggerò questa città per salvarla, per amore di me e di Davide mio servo”». 36Ora l’angelo del Signore uscì e colpì nell’accampamento degli Assiri centoottantacinquemila uomini. Quando i superstiti si alzarono al mattino, ecco, erano tutti cadaveri senza vita.

Ripresa del primo racconto 37Sennàcherib, re d’Assiria, levò le tende, partì e fece ritorno a Ninive, dove rimase. 38Mentre si prostrava nel tempio di Nisroc, suo dio, i suoi figli Adrammèlec e Sarèser lo colpirono di spada, mettendosi quindi al sicuro nella terra di Araràt. Al suo posto divenne re suo figlio Assarhàddon.

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Approfondimenti

Sennacherib contro Gerusalemme – conclusione del primo racconto 36,1-37,8 37,1-7. La terza scena è caratterizzata dalla reazione di Ezechia. Il v. 3 sintetizza l'angoscia con una vigorosa affermazione («Giorno di angoscia, di castigo e di vergogna») che è commentata con un detto proverbiale. Con l'immagine del parto che non si compie si allude al pericolo mortale che incombe e, al tempo stesso, si constata il carattere “infecondo” della situazione storica nella quale il popolo vive la propria esistenza (cfr. Is 26,18). La risposta di Isaia (vv. 5-7) è un detto di salvezza che raggiunge direttamente il cuore della situazione umanamente senza via di uscita. L'invito a «non temere» (cfr. 7,4-9; Dt 7,17-19; 20,1-4) rivela l'impotenza delle parole pronunciate dal Rab-šaqeh a nome del re di Assiria. Il lettore della «Visione di Isaia», che ascoltava l'annuncio della morte del re, puntualmente verificatasi, percepiva subito che l'esortazione a non temere era stata confermata dalla storia.

Secondo racconto 37,9-36 In 37,9 inizia una seconda narrazione che riguarda il pericolo incorso da Gerusalemme ad opera del re Sennacherib e l'intervento di Isaia presso il re Ezechia. La prima e la seconda narrazione presentano certamente delle peculiarità. Invece del Rab-šaqeh con il suo «grande esercito» qui entrano in scena dei «messaggeri» (v. 10) che portano un'ambasciata (v. 14); il testo registra una preghiera di Ezechia che ne evidenzia l'animo religioso (vv. 16-20); infine l'intervento di Isaia riceve maggior risalto dai detti che gli sono attribuiti (vv. 21-35). Tuttavia la struttura dei due testi mostra che le rispettive narrazioni sono resoconti paralleli che riguardano la situazione in cui venne a trovarsi Gerusalemme nel 701. La seconda narrazione, inoltre, presuppone la prima. Le parole di Sennacherib (vv. 10-13) riprendono il discorso di 36,13-20 e sembrano riassumerlo. Inoltre l'esortazione «Non ti illuda il tuo Dio» in ebraico presenta la stessa costruzione e lo stesso vocabolario dell'invito che in 37,14 l'alto ufficiale assiro rivolge in nome del suo re al popolo di Gerusalemme, perché non si lasci ingannare da Ezechia. La pericope si suddivide in quattro parti: il messaggio di Sennacherib a Ezechia (vv. 9b-13), la preghiera di Ezechia nel tempio (vv. 14-20); l'intervento di Isaia (vv. 21-35); infine la distruzione dell'esercito assiro davanti a Gerusalemme (v. 36).

16-20. La preghiera messa in bocca a Ezechia riflette le caratteristiche letterarie e i temi teologici propri della tradizione deuteronomistica. Nei momenti forti della narrazione l'opera storica deuteronomistica pone in bocca al re una preghiera che ha lo scopo di offrire un'interpretazione teologica di ciò che si narra (cfr. 2Sam 7,18-29: preghiera di Davide dopo la promessa di Natan; 1Re 8,23-53: preghiera di Salomone dopo la consacrazione del tempio). La preghiera inizia con una confessione del Signore Dio di Israele, presente salvificamente nel tempio di Gerusalemme (come suggerisce la locuzione «siedi sui cherubini», che in origine era riferita all'arca sulla quale erano affisse due statue di cherubini le cui ali interne si stendevano sopra il propiziatorio: cfr. Sal 80,2; 99,1-2; Es 37,6-9) e «Dio per tutti i regni della terra», essendo egli il creatore (v. 16). La confessione del Signore fonda la supplica che si esprime con particolare ricchezza formulaica: porgi l'orecchio, ascolta, apri gli occhi, guarda, ascolta (v. 17). È significativo, però, che l'oggetto di tali verbi non sia direttamente, come nei testi che contengono queste formule, l'afflizione e la miseria dell'orante o del popolo, ma le parole con cui Sennacherib ha esternato il suo disprezzo del Dio vivente. La preghiera sviluppa poi (v. 18-19) una riflessione nella quale si riconoscono le vittorie riportate da Sennacherib sugli altri popoli, ma si afferma al tempo stesso che il Signore non può essere posto sullo stesso piano dei loro dei, «gettati nel fuoco», dato che essi non sono Dio, ma soltanto opera delle mani degli uomini. Questa affermazione, che riflette la polemica antidolatrica del periodo esilico e postesilico, nella redazione finale di Is 36-37, costituisce la risposta alla pretesa blasfema del re assiro di porre JHWH sullo stesso piano degli dei dei popoli vinti. Il Signore, il Dio di tutti i popoli della terra, è il Dio vivente. Per questo, contro quanto consigliava il re assiro (cfr. 16,15.18), la preghiera invoca la liberazione, muovendosi unicamente nell'ambito della fede. La vittoria del Signore sugli idoli si realizza nel cuore orante di chi costruisce la propria esistenza sulla fiducia in lui.

22-29. La parola pronunciata dal Signore contro Sennacherib è in realtà una satira (vv. 22b-29) contro l'orgoglio megalomane del re assiro, che nella sua stoltezza ha insultato e schernito il Santo di Israele. I vari richiami alla narrazione preesistente ci assicurano che la satira è stata composta per essere inserita nell'attuale contesto come “annuncio del giudizio” che sta per abbattersi sul re nemico. Più difficile è stabilire il tempo di questa composizione. La satira inizia presentando il disprezzo della comunità di Gerusalemme verso un anonimo “tu” che è da identificare, narrativamente, con Sennacherib (ma il poema lascia intenzionalmente aperta la possibilità di una continua attualizzazione). I vv. 24-25 riportano le parole dette dal re per mezzo dei suoi ministri. Il re esalta le sue imprese che lo hanno portato sulla cima dei monti del Libano e si equipara allo stesso Dio quando dichiara di aver fatto inaridire «tutti i torrenti d'Egitto» (v. 25). I vv. 26-28 contengono la risposta divina all'autoesaltazione del re. Le vittorie del re erano parte di un disegno divino, stabilito da tempo (cfr. Is 10,5). La descrizione degli «abitanti delle fortezze» in preda al panico illumina anche la condizione del re che, contrariamente alla sua autoesaltazione, è un mortale conosciuto dal Signore in tutte le dimensioni della sua esistenza e del suo operare (come insinuano le locuzioni merismatiche del v. 28). La satira ha così posto le premesse per la sentenza divina annunciata nel v. 29. Il Signore non rimane indifferente contro l'insolenza del re, che ha agito contro il suo piano.

30-32. I versetti sono una seconda interpolazione, più recente, rivolta a Ezechia, riguardante, in realtà, la Gerusalemme escatologica e la sua missione. Il detto suppone ancora un breve periodo di prova, ma prospetta, a partire dal terzo anno, un tempo di prosperità. Il tema del «resto» è qui compreso nella luce della salvezza escatologica, operata dallo «zelo del Signore degli eserciti» (cfr. 9,6). Si tratta di una prospettiva diversa da quella del profeta Isaia per il quale il «resto» era il segno del giudizio divino contro il suo popolo. Essa è stata forse sviluppata nel periodo postesilico, in connessione con il tema del tempio (il «monte Sion») e ha certamente esercitato un influsso importante nella teologia della «Visione di Isaia».

33-35. Incontriamo la risposta di Isaia introdotta al v. 21. Il messaggio, che si riferisce ai fatti del 701, fu successivamente arricchito con la solenne dichiarazione del Signore che copre «questa città» con la sua protezione (cfr. 31,5; 38,6; Zc 9,15; 12,8) per salvarla. Il Signore, proteggendo Gerusalemme, manifesta la sua gloria e compie la promessa fatta a Davide suo servo (cfr. 2 Sam 7; Sal 132, 8-11). Appare qui una prospettiva messianica che si situa nella linea della tradizione scandita da Is 7;9;11 e che trova nel Sal 132 il suo migliore commento.

36. L'intervento del Signore nell'accampamento assiro è pensato alla stregua della morte che colpì i primogeniti in Egitto (cfr. Es 12,29). Si tratta di un'immagine con cui l'autore interpreta la notizia storica della città di Gerusalemme risparmiata da Sennacherib in una prospettiva teologica. Il Signore interviene in modo imprevisto e imprevedibile per aprire le vie della vita e della libertà, là dove il popolo si vede accerchiato dalle forze ostili della distruzione e della morte.

Ripresa del primo racconto 37,37-38 I versetti sono la conclusione della prima narrazione che, in tal modo, include in se stessa la seconda. Nel racconto della morte del re, secondo la parola detta da Isaia a Ezechia (cfr. 37,7), riaffiora l'ironia già incontrata nel c. 36. Alla notizia del faraone che muoveva i suo esercito contro di lui (37,9a), Sennacherib ritorna a Ninive. Qui il re, che non conosceva limiti alla propria potenza e dichiarava vana la confidenza del popolo e di Ezechia nel Signore, muore vittima di una congiura proprio mentre si trova nel tempio a pregare il «suo» dio.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Sennacherib contro Gerusalemme – primo racconto 1Nell’anno quattordicesimo del re Ezechia, Sennàcherib, re d’Assiria, salì contro tutte le città fortificate di Giuda e le prese. 2Il re d’Assiria mandò da Lachis a Gerusalemme, dal re Ezechia, il gran coppiere con una schiera numerosa. Egli si fermò presso il canale della piscina superiore, che è nella via del campo del lavandaio. 3Gli andarono incontro, Eliakìm, figlio di Chelkia, il maggiordomo, Sebna lo scriba e Iòach, figlio di Asaf, l’archivista. 4Il gran coppiere disse loro: «Riferite a Ezechia: “Così dice il grande re, il re d’Assiria: Che fiducia è quella nella quale confidi? 5Domando: forse che la sola parola delle labbra può essere di consiglio e di forza per la guerra? Ora, in chi confidi per ribellarti a me? 6Ecco, tu confidi su questo sostegno di canna spezzata, che è l’Egitto, che penetra nella mano, forandola, a chi vi si appoggia; tale è il faraone, re d’Egitto, per tutti coloro che confidano in lui. 7Se mi dici: Noi confidiamo nel Signore, nostro Dio, non è forse quello stesso del quale Ezechia eliminò le alture e gli altari, ordinando alla gente di Giuda e di Gerusalemme: Vi prostrerete solo davanti a questo altare? 8Ora fa’ una scommessa col mio signore, re d’Assiria; io ti darò duemila cavalli, se potrai mettere tuoi cavalieri su di essi. 9Come potrai far voltare indietro uno solo dei più piccoli servi del mio signore? Ma tu confidi nell’Egitto per i carri e i cavalieri! 10Ora, non è forse secondo il volere del Signore che io sono salito contro questa terra per mandarla in rovina? Il Signore mi ha detto: Sali contro questa terra e mandala in rovina”». 11Eliakìm, Sebna e Iòach risposero al gran coppiere: «Per favore, parla ai tuoi servi in aramaico, perché noi lo comprendiamo; non parlarci in giudaico: il popolo che è sulle mura ha orecchi per sentire». 12Il gran coppiere replicò: «Forse il mio signore mi ha inviato per pronunciare tali parole al tuo signore e a te e non piuttosto agli uomini che stanno sulle mura, ridotti a mangiare i propri escrementi e a bere la propria urina con voi?». 13Il gran coppiere allora si alzò in piedi e gridò a gran voce in giudaico, e disse: «Udite le parole del grande re, del re d’Assiria. 14Così dice il re: “Non vi inganni Ezechia, poiché non potrà liberarvi. 15Ezechia non vi induca a confidare nel Signore, dicendo: Certo, il Signore ci libererà, questa città non sarà consegnata in mano al re d’Assiria”. 16Non ascoltate Ezechia, poiché così dice il re d’Assiria: “Fate la pace con me e arrendetevi. Allora ognuno potrà mangiare i frutti della propria vigna e del proprio fico e ognuno potrà bere l’acqua della sua cisterna, 17fino a quando io verrò per condurvi in una terra come la vostra, terra di frumento e di mosto, terra di pane e di vigne. 18Non vi inganni Ezechia dicendo: Il Signore ci libererà! Forse gli dèi delle nazioni sono riusciti a liberare ognuno la propria terra dalla mano del re d’Assiria? 19Dove sono gli dèi di Camat e di Arpad? Dove sono gli dèi di Sefarvàim? Hanno forse liberato Samaria dalla mia mano? 20Quali mai, fra tutti gli dèi di quelle regioni, hanno liberato la loro terra dalla mia mano, perché il Signore possa liberare Gerusalemme dalla mia mano?”». 21Quelli tacquero e non gli risposero nulla, perché l’ordine del re era: «Non rispondetegli». 22Eliakìm, figlio di Chelkia, il maggiordomo, Sebna lo scriba e Iòach, figlio di Asaf, l’archivista, si presentarono a Ezechia con le vesti stracciate e gli riferirono le parole del gran coppiere.

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Approfondimenti

NARRAZIONI DU ISAIA 36,1-39,88 I capitoli 36-39 formano una sezione narrativa in cui sono riuniti ben quattro racconti. Infatti nei cc. 36-37 sono state riunite insieme due narrazioni. La prima descrive la missione del «gran coppiere» a Gerusalemme (36,1-2), il suo discorso alle autorità inviate da Ezechia (36,3-10) e a tutto il popolo (36,11-20), la reazione degli inviati del re e di Ezechia stesso (36,21-37,1), la missione regia a Isaia (37,2-4), la risposta del profeta (vv. 5-7), e, infine, la realizzazione della parola di Isaia (vv. 8-9a.37-38). La seconda narrazione (37,9b-36), dal carattere più edificante, descrive l'invio di messaggeri da parte di Sennacherib al re Ezechia (37,9b-13), la reazione religiosa di quest'ultimo (37,14-20), l'intervento di Isaia che annuncia la salvezza di Gerusalemme (37,21-35) e la realizzazione della promessa, mediante la liberazione prodigiosa di Gerusalemme (37,36). La narrazione del c. 38, originariamente autonoma, narrava la malattia e la guarigione di Ezechia ad opera del profeta Isaia. Essa venne connessa redazionalmente alla narrazione dei cc. 36-37, interessata alla sorte di Gerusalemme, sia mediante la locuzione «In quei giorni» (v. 1) sia con l'aggiunta del v. 6 che contiene, insieme alla promessa della guarigione del re (unico tema del capitolo), l'annuncio della liberazione di Gerusalemme. infine anche la narrazione della missione di Merodach-Baladan (c. 39) originariamente era autonoma, non avendo correlazione né con la minaccia di Sennacherib (cc. 36-37), né con la malattia di Ezechia (c. 38). La connessione redazionale della narrazione, che tratta un fatto cronologicamente antecedente agli episodi riportati nei capitoli precedenti, è operata mediante la locuzione «In quel tempo», posta all'inizio, e mediante il v. 1b secondo cui il re di Babilonia intese congratularsi con Ezechia per la sua guarigione. Se si eccettua il salmo attribuito a Ezechia (38,9-20) i capitoli sono sostanzialmente identici alla narrazione di 2Re 18,17-20,19. L'analisi delle varianti minori che esistono tra i due testi ha portato gli esegeti a riconoscere la dipendenza dei capitoli di Is 36-39 da quelli corrispondenti di 2Re. La loro storia può essere così tratteggiata a grandi linee. Il carattere di unità letterariamente conclusa, che caratterizza le narrazioni, mostra che esse in origine formavano dei racconti che, alla pari di altri relativi alle azioni dei profeti o alle tradizioni dei santuari, circolavano autonomamente. I racconti, in una fase in cui già erano stati uniti, vennero inseriti nel libro dei Re. Infine l'interesse per le tradizioni relative a Isaia favorì anche la loro inserzione redazionale nel libro che porta il nome del nostro profeta.

Sennacherib contro Gerusalemme – primo racconto 36,1-37,8 Questo brano è un capolavoro di arte narrativa nella quale l'intreccio psicologico e la ricchezza teologica si fondono in una sintesi di singolare bellezza e di suggestiva efficacia. Dopo la frase introduttiva (36,1), il racconto si divide in tre scene.

La prima (36,2-10), che avviene davanti alle mura della città, narra l'incontro tra gli inviati di Ezechia e l'alto ufficiale assiro. La seconda scena (36,11-22) è dominata dalle parole blasfeme pronunciate dall'inviato di Sennacherib. La terza scena (37,1-7) descrive la reazione di Ezechia (37,1), la missione ad Isaia (37,2-4) e la risposta del profeta (vv. 5-7).

La conclusione inizia con il v. 8, prosegue ne v. 9a e, dopo l'interruzione dovuta all'inserimento della seconda narrazione, ricompare nei vv. 37-38. Essa narra il compimento della parola del profeta. Il discorso dell'alto ufficiale assiro è incentrato nell'esortazione a non avere fiducia nel Signore e quindi sviluppa un tema totalmente antitetico alla predicazione di Isaia. Dalle prospettive appena rilevate risulta evidente che lo scopo principale della narrazione è di confermare la verità della parola del profeta. Alla luce di questi dati è possibile supporre che il racconto sia stato elaborato già al tempo di Giosia per illuminare, con la parola del grande profeta del sec. VIII, sia il programma politico di riconquista delle terre che un tempo costituivano il regno di Israele, sia il programma religioso, insinuando che la centralizzazione del culto avrebbe attirato il favore del Signore (cfr. 36, 7 dove l'interpretazione opposta è significativamente messa in bocca all'ufficiale assiro).

36,1-3. Il re assiro si è già impadronito delle fortezze di Giuda e si trova a Lachis, la città più importante dopo Gerusalemme, dalla quale distava soltanto 40 km circa. II termine «gran coppiere», che traduce l'espressione assira Rab-šaqeh, è un titolo che denota un alto ufficiale militare. Tra i rappresentanti del regno di Giuda, mandati a incontrare il Rab-šaqeh, il v. 3 nomina Sebna che è scriba regio, mentre l'ufficio più alto di «preposto al palazzo (maggiordomo)», da lui tenuto in precedenza, è ora nelle mani di Eliakim (cfr. 22,15-23).

4-10. Il discorso del gran coppiere (vv. 4-10), una libera creazione dell'autore della narrazione, ruota intorno al tema della fiducia. La domanda iniziale del v. 4: «Che cos'è questa fiducia con cui confidate? (BC: Che significa questa sicurezza che dimostri?)» è ripresa dalla forte antitesi del v. 5: «in chi confidi tu, che ti ribelli contro di me?». Qui è facile percepire il pensiero del narratore che scorge (e vuole che si scorga) l'atteggiamento empio dell'uomo che, forte del suo potere, intende che i popoli sottomessi ripongano nella sua persona la fiducia e la sicurezza del loro futuro. L'autore condivide in pieno il giudizio del Rab-šaqeh secondo cui l'Egitto è «un sostegno di canna spezzata» che danneggia la mano di chi vi si appoggia (v. 6). Questa è appunto la prospettiva del profeta Isaia, come emerge dai suoi detti (cfr. 10,8-9.13-14; 19,1-15; 30, 1-5).

11-12. I presenti versetti, con la richiesta, peraltro disattesa, che il Rab-šaqeh parli nella lingua aramaica, costituiscono una sosta narrativa. Incontriamo qui una notizia culturale rilevante. Verso la fine del sec. vii il popolo parlava la lingua “giudaica” e non comprendeva ancora l'aramaico, che era allora la lingua imperiale della diplomazia.

13-20. Il discorso sviluppa un attacco diretto contro la fede del popolo che confessa JHWH come il suo liberato-re. Si divide in due parti, il cui inizio è rappresentato, con piccole varianti, dall'invito rivolto al popolo a non lasciarsi illudere da Ezechia (vv. 14.18) e a non credere alla sue promesse che sono riassunte nella formula «il Signore ci libererà» (vv. 15.18). Nella prima parte (vv. 14-17) l'attenzione si concentra sul re assiro che, per bocca del suo ufficiale, si presenta con le stesse caratteristiche che gli scritti deuteronomistici attribuiscono al Signore. Egli garantisce la sicurezza per il momento presente e, soprattutto, promette un paese simile a quello in cui ora si trovano, dotato di tutte le ricchezze con cui in Dt 8 è descritta la terra data dal Signore. E facile percepire la mordace ironia con cui le promesse del re assiro erano lette a un popolo che aveva vissuto l'amara esperienza dell'esilio. Nella seconda parte (36, 18-20) 1l discorso sviluppa un attacco frontale contro l'affermazione fondamentale della tede ebraica: «il Signore ci libererà» (cfr. Es 6,6). Il Rab-šaqeh mette il Signore sullo stesso piano degli altri dei. Perciò egli rileva che la stessa Samaria non ha potuto sottrarsi al potere del re assiro.

21-22. Il silenzio dei dignitari di Giuda, in questo con-testo, e molto eloquente e, nella narrazione, assume un ricco significato simbolico. La fiducia nel Signore sviluppa proprio nelle ore storiche del silenzio i germi della libertà futura. Con i segni del dolore (cfr. Gn 37,29; 1Sam 4,12ss.) i dignitari comunicano al re le parole dell'alto ufficiale assiro.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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