📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione sulla sacra Liturgia SACROSANCTUM CONCILIUM (4 dicembre 1963)

CAPITOLO III – GLI ALTRI SACRAMENTI E I SACRAMENTALI

L'unzione degli infermi 73 L'«estrema unzione», che può essere chiamata anche, e meglio, «unzione degli infermi», non è il sacramento di coloro soltanto che sono in fin di vita. Perciò il tempo opportuno per riceverlo ha certamente già inizio quando il fedele, per indebolimento fisico o per vecchiaia, incomincia ad essere in pericolo di morte.

74 Oltre i riti distinti dell'unzione degli infermi e del viatico, si componga anche un «rito continuato», nel quale l'unzione sia conferita al malato dopo la confessione e prima del viatico.

75 Il numero delle unzioni sia riveduto tenendo conto delle diverse situazioni, e le orazioni che accompagnano il rito dell'unzione degli infermi siano adattate in modo da rispondere alle diverse condizioni dei malati che ricevono il sacramento.

Revisione del rito del sacramento dell'ordine 76 Il rito delle ordinazioni sia riveduto quanto alle cerimonie e quanto ai testi. Le allocuzioni del vescovo, all'inizio di ogni ordinazione o consacrazione, possono essere fatte in lingua nazionale. Nella consacrazione episcopale tutti i vescovi presenti possono imporre le mani.

Revisione del rito del matrimonio 77 Il rito della celebrazione del matrimonio, che si trova nel rituale romano, sia riveduto e arricchito, in modo che più chiaramente venga significata la grazia del sacramento e vengano inculcati i doveri dei coniugi. «Se nella celebrazione del sacramento del matrimonio qualche regione usa altre consuetudini e cerimonie degne di essere approvate, il sacro Concilio desidera vivamente che queste vengano senz'altro conservate» [CONCILIO DI TRENTO, Sess. XXIV, Decr. De reformatione, cap. I: ed. cit. (nota 19), t. IX, Actorum pars VI, Friburgi Brisgoviae 1924, p. 969. Cf. Rituale romanum, tit. VIII, c. II, n. 6 (cf. Sacramento del matrimonio, nn. 14-20)]. Inoltre alla competente autorità ecclesiastica territoriale, di cui all'art. 22-2 di questa costituzione, viene lasciata facoltà di preparare, a norma dell'articolo 63, un rito proprio che risponda agli usi dei luoghi e dei popoli, fermo però restando l'obbligo che il sacerdote che assiste chieda e riceva il consenso dei contraenti.

78 In via ordinaria il matrimonio si celebri nel corso della messa, dopo la lettura del Vangelo e l'omelia e prima dell'«orazione dei fedeli». La benedizione della sposa, opportunamente ritoccata così da inculcare ad entrambi gli sposi lo stesso dovere della fedeltà vicendevole, può essere detta nella lingua nazionale. Se poi il sacramento del matrimonio viene celebrato senza la messa, si leggano all'inizio del rito l'epistola e il Vangelo della messa per gli sposi e si dia sempre la benedizione agli sposi.

Revisione dei sacramentali 79 Si faccia una revisione dei sacramentali, tenendo presente il principio fondamentale di una cosciente, attiva e facile partecipazione da parte dei fedeli e avendo riguardo delle necessità dei nostri tempi. Nella revisione dei rituali, da farsi a norma dell'art. 63, si possono aggiungere, se necessario, anche nuovi sacramentali. Le benedizioni riservate siano pochissime e solo a favore dei vescovi o degli ordinari. Si provveda che alcuni sacramentali, almeno in particolari circostanze, e a giudizio dell'ordinario, possano essere amministrati da laici dotati delle qualità convenienti.

La professione religiosa 80 Si sottoponga a revisione il rito della consacrazione delle vergini, che si trova nel pontificale romano. Si componga inoltre un rito per la professione religiosa e la rinnovazione dei voti, che contribuisca ad una maggiore unità, sobrietà e dignità; esso, salvo diritti particolari, dovrà essere adottato da coloro che fanno la professione o la rinnovazione dei voti durante la messa. È cosa lodevole che la professione religiosa si faccia durante la messa.

Revisione dei riti funebri 81 Il rito delle esequie esprima più apertamente l'indole pasquale della morte cristiana e risponda meglio, anche quanto al colore liturgico, alle condizioni e alle tradizioni delle singole regioni.

82 Si riveda il rito della sepoltura dei bambini e sia arricchito di una messa propria.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Un altra questione decisiva – sempre riflettendo su come la Liturgia ci forma – è l’educazione necessaria per poter acquisire l’atteggiamento interiore che ci permette di porre e di comprendere i simboli liturgici. Lo esprimo in modo semplice.

Penso ai genitori e, ancor più, ai nonni, ma anche ai nostri parroci e catechisti. Molti di noi hanno appreso la potenza dei gesti della liturgia – come ad esempio il segno della croce, lo stare in ginocchio, le formule della nostra fede – proprio da loro.

Forse non ne abbiamo il ricordo vivo, ma facilmente possiamo immaginare il gesto di una mano più grande che prende la piccola mano di un bambino e la accompagna lentamente nel tracciare per la prima volta il segno della nostra salvezza. Al movimento si accompagnano le parole, anch’esse lente, quasi a voler prendere possesso di ogni istante di quel gesto, di tutto il corpo: «Nel nome del Padre … e del Figlio … e dello Spirito Santo … Amen». Per poi lasciare la mano del bambino e guardarlo ripetere da solo, pronti a venire in suo aiuto, quel gesto ormai consegnato, come un abito che crescerà con Lui, vestendolo nel modo che solo lo Spirito conosce.

Da quel momento quel gesto, la sua forza simbolica, ci appartiene o, sarebbe meglio dire, noi apparteniamo a quel gesto, ci dà forma, siamo da esso formati.

Non servono troppi discorsi, non è necessario aver compreso tutto di quel gesto: occorre essere piccoli sia nel consegnarlo sia nel riceverlo. Il resto è opera dello Spirito.

Così siamo stati iniziati al linguaggio simbolico. Di questa ricchezza non possiamo farci derubare. Crescendo potremo avere più mezzi per poter comprendere, ma sempre a condizione di rimanere piccoli.

(DESIDERIO DESIDERAVI, Lettera Apostolica di papa FRANCESCO del 29 giugno 2022, 47).


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione sulla sacra Liturgia SACROSANCTUM CONCILIUM (4 dicembre 1963)

CAPITOLO III – GLI ALTRI SACRAMENTI E I SACRAMENTALI

Il catecumenato 64 Si ristabilisca il catecumenato degli adulti diviso in più gradi, da attuarsi a giudizio dell'ordinario del luogo; in questa maniera il tempo del catecumenato, destinato ad una conveniente formazione, potrà essere santificato con riti sacri da celebrarsi in tempi successivi.

Revisione del rito battesimale 65 Nei luoghi di missione sia consentito accogliere, accanto agli elementi propri della tradizione cristiana, anche elementi dell'iniziazione in uso presso ogni popolo, nella misura in cui possono essere adattati al rito cristiano, a norma degli articoli 37-40 di questa costituzione.

66 Siano riveduti entrambi i riti del battesimo degli adulti, sia quello semplice sia quello più solenne connesso con la restaurazione del catecumenato; e sia inserita nel messale romano una messa propria « Nel conferimento del battesimo ».

67 Sia riveduto il rito del battesimo dei bambini e sia adattato alla loro condizione reale. Nel rito stesso siano maggiormente messi in rilievo il posto e i doveri che hanno i genitori e i padrini.

68 Nel rito del battesimo si prevedano certi adattamenti da usarsi a giudizio dell'ordinario del luogo, in caso di gran numero di battezzandi. Si componga pure un «Rito più breve» che possa essere usato, specialmente in terra di missione, dai catechisti e in genere, in pericolo di morte, dai fedeli, quando manchi un sacerdote o un diacono.

69 In luogo del «Rito per supplire le cerimonie omesse su un bambino già battezzato», se ne componga uno nuovo, nel quale si esprima, in maniera più chiara e più consona, che il bambino, battezzato con il rito breve, è già stato accolto nella Chiesa. Si componga pure un rito per coloro che, già validamente battezzati, si convertono alla Chiesa cattolica. In esso si esprima la loro ammissione nella comunione della Chiesa.

70 Fuori del tempo pasquale l'acqua battesimale può essere benedetta nel corso dello stesso rito del battesimo con una apposita formula più breve.

Revisione del rito della cresima 71 Sia riveduto il rito della confermazione, anche perché apparisca più chiaramente l'intima connessione di questo sacramento con tutta l'iniziazione cristiana; perciò è molto conveniente che la recezione di questo sacramento sia preceduta dalla rinnovazione delle promesse battesimali. Quando si ritenga opportuno, la confermazione può essere conferita anche durante la messa; per quanto riguarda invece il rito da usarsi fuori della messa, si prepari una formula che serva da introduzione.

Revisione del rito della penitenza 72 Si rivedano il rito e le formule della penitenza in modo che esprimano più chiaramente la natura e l'effetto del sacramento.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Che cosa succede nel Battesimo? Che cosa ci si aspetta dal Battesimo? Aspettiamo per i nostri bambini la vita eterna. Questo è lo scopo del Battesimo. Ma, come può essere realizzato? Come il Battesimo può dare la vita eterna? Che cosa è la vita eterna? Si potrebbe dire con parole più semplici: aspettiamo per questi nostri bambini una vita buona; la vera vita; la felicità anche in un futuro ancora sconosciuto. Noi non siamo in grado di assicurare questo dono per tutto l'arco del futuro sconosciuto e, perciò, ci rivolgiamo al Signore per ottenere da Lui questo dono.

Il Battesimo è un dono; il dono della vita. Ma un dono deve essere accolto, deve essere vissuto. Un dono di amicizia implica un «sì» all'amico e implica un «no» a quanto non è compatibile con questa amicizia, a quanto è incompatibile con la vita della famiglia di Dio, con la vita vera in Cristo. E così, nel dialogo dopo la benedizione dell'acqua, vengono pronunciati tre «no» e tre «sì». Si dice «no» e si rinuncia alle tentazioni, al peccato, al diavolo. Nella Chiesa antica questi «no» erano riassunti in una parola che per gli uomini di quel tempo era ben comprensibile: si rinuncia — così si diceva — alla «pompa diabuli», cioè alla promessa di vita in abbondanza, di quell'apparenza di vita che sembrava venire dal mondo pagano, dalle sue libertà, dal suo modo di vivere solo secondo ciò che piaceva. Era quindi un «no» ad una cultura apparentemente di abbondanza di vita, ma che in realtà era una «anticultura» della morte. In questo dialogo battesimale anche il «sì» è articolato in tre adesioni: «sì» al Dio vivente, cioè a un Dio creatore, ad una ragione creatrice che dà senso al cosmo e alla nostra vita; «sì» a Cristo, cioè a un Dio che non è rimasto nascosto ma che ha un nome, che ha parole, che ha corpo e sangue; a un Dio concreto che ci dà la vita e ci mostra la strada della vita; «sì» alla comunione della Chiesa, nella quale Cristo è il Dio vivente, che entra nel nostro tempo, entra nella nostra professione, entra nella vita di ogni giorno. Il Battesimo è dono di vita. È un «sì» alla sfida di vivere veramente la vita, dicendo il «no» all'attacco della morte che si presenta con la maschera della vita; ed è «sì» al grande dono della vera vita, che si è fatta presente nel volto di Cristo, il quale si dona a noi nel Battesimo e poi nell'Eucaristia. Questo breve commento alle parole del dialogo battesimale interpreta quanto si realizza in questo Sacramento.

Oltre alle parole, abbiamo i gesti ed i simboli. Il primo gesto lo abbiamo già compiuto: è il segno della croce, che ci viene dato come scudo che deve proteggere questo bambino nella sua vita; è come un «indicatore» per la strada della vita, perché la croce è il riassunto della vita di Gesù. Poi vi sono gli elementi: l'acqua, l'unzione con l'olio, il vestito bianco e la fiamma della candela. L'acqua è simbolo della vita: il Battesimo è vita nuova in Cristo. L'olio è simbolo della forza, della salute, della bellezza, perché realmente è bello vivere in comunione con Cristo. Poi il vestito bianco, come espressione della cultura della bellezza, della cultura della vita. Ed infine la fiamma della candela, come espressione della verità che risplende nelle oscurità della storia e ci indica chi siamo, da dove veniamo e dove dobbiamo andare.

(tratto dall'omelia di papa BENEDETTO XVI tenuta l'8 gennaio 2006 – festa del Battesimo del Signore, per la celebrazione dei Battesimi nella Cappella Sistina).


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione sulla sacra Liturgia SACROSANCTUM CONCILIUM (4 dicembre 1963)

CAPITOLO III – GLI ALTRI SACRAMENTI E I SACRAMENTALI

Natura dei sacramenti 59 I sacramenti sono ordinati alla santificazione degli uomini, alla edificazione del corpo di Cristo e, infine, a rendere culto a Dio; in quanto segni hanno poi anche un fine pedagogico. Non solo suppongono la fede, ma con le parole e gli elementi rituali la nutrono, la irrobustiscono e la esprimono; perciò vengono chiamati «sacramenti della fede». Conferiscono certamente la grazia, ma la loro stessa celebrazione dispone molto bene i fedeli a riceverla con frutto, ad onorare Dio in modo debito e ad esercitare la carità. È quindi di grande importanza che i fedeli comprendano facilmente i segni dei sacramenti e si accostino con somma diligenza a quei sacramenti che sono destinati a nutrire la vita cristiana.

60 La santa madre Chiesa ha inoltre istituito i sacramentali. Questi sono segni sacri per mezzo dei quali, ad imitazione dei sacramenti, sono significati, e vengono ottenuti per intercessione della Chiesa effetti soprattutto spirituali. Per mezzo di essi gli uomini vengono disposti a ricevere l'effetto principale dei sacramenti e vengono santificate le varie circostanze della vita.

61 Così la liturgia dei sacramenti e dei sacramentali offre ai fedeli ben disposti la possibilità di santificare quasi tutti gli avvenimenti della vita per mezzo della grazia divina, che fluisce dal mistero pasquale della passione, morte e resurrezione di Cristo; mistero dal quale derivano la loro efficacia tutti i sacramenti e i sacramentali. E così non esiste quasi alcun uso retto delle cose materiali, che non possa essere indirizzato alla santificazione dell'uomo e alla ode di Dio.

Revisione dei riti sacramentali 62 Ma nel corso dei secoli si sono introdotti nei riti dei sacramenti e dei sacramentali alcuni elementi, che oggi ne rendono meno chiari la natura e il fine; è perciò necessario compiere in essi alcuni adattamenti alle esigenze del nostro tempo, e per questo il sacro Concilio stabilisce quanto segue per una loro revisione.

La lingua 63 Non di rado nell'amministrazione dei sacramenti e dei sacramentali può essere molto utile per il popolo l'uso della lingua nazionale; le sia data quindi una parte maggiore secondo le norme che seguono:

a) nell'amministrazione dei sacramenti e dei sacramentali si può usare la lingua nazionale a norma dell'art. 36; b) sulla base della nuova edizione del rituale romano la competente autorità ecclesiastica territoriale, di cui all'art. 22-2 di questa costituzione, prepari al più presto i rituali particolari adattati alle necessità delle singole regioni, anche per quanto riguarda la lingua; questi rituali saranno usati nelle rispettive regioni dopo la revisione da parte della Sede apostolica. Nel comporre i rituali particolari o speciali collezioni di riti non si omettano le istruzioni poste all'inizio dei singoli riti nel rituale romano, sia quelle pastorali e rubricali, sia quelle che hanno una speciale importanza sociale.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Se fossimo giunti a Gerusalemme dopo la Pentecoste e avessimo sentito il desiderio non solo di avere informazioni su Gesù di Nazareth, ma di poterlo ancora incontrare, non avremmo avuto altra possibilità se non quella di cercare i suoi per ascoltare le sue parole e vedere i suoi gesti, più vivi che mai. Non avremmo avuto altra possibilità di un incontro vero con Lui se non quella della comunità che celebra. Per questo la Chiesa ha sempre custodito come il suo più prezioso tesoro il mandato del Signore: “fate questo in memoria di me”.

Fin da subito la Chiesa è stata consapevole che non si trattava di una rappresentazione, fosse pure sacra, della Cena del Signore: non avrebbe avuto alcun senso e nessuno avrebbe potuto pensare di “mettere in scena” – tanto più sotto gli occhi di Maria, la Madre del Signore – quel momento altissimo della vita del Maestro. Fin da subito la Chiesa ha compreso, illuminata dallo Spirito Santo, che ciò che era visibile di Gesù, ciò che si poteva vedere con gli occhi e toccare con le mani, le sue parole e i suoi gesti, la concretezza del Verbo incarnato, tutto di Lui era passato nella celebrazione dei sacramenti [cfr. Leo Magnus, Sermo LXXIV: De ascensione Domini II,1: «quod [...] Redemptoris nostri conspicuum fuit, in sacramenta transivit»].

(DESIDERIO DESIDERAVI, Lettera Apostolica di papa FRANCESCO del 29 giugno 2022, 8-9).


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione sulla sacra Liturgia SACROSANCTUM CONCILIUM (4 dicembre 1963)

CAPITOLO II – IL MISTERO EUCARISTICO

Comunione sotto le due specie 55 Si raccomanda molto quella partecipazione più perfetta alla messa, nella quale i fedeli, dopo la comunione del sacerdote, ricevono il corpo del Signore con i pani consacrati in questo sacrificio. Fermi restando i principi dottrinali stabiliti dal Concilio di Trento [40], la comunione sotto le due specie si può concedere sia ai chierici e religiosi sia ai laici, in casi da determinarsi dalla sede apostolica e secondo il giudizio del vescovo, come per esempio agli ordinati nella messa della loro sacra ordinazione, ai professi nella messa della loro professione religiosa, ai neofiti nella messa che segue il battesimo.

Unità della messa 56 Le due parti che costituiscono in certo modo la messa, cioè la liturgia della parola e la liturgia eucaristica, sono congiunte tra di loro così strettamente da formare un solo atto di culto. Perciò il sacro Concilio esorta caldamente i pastori d'anime ad istruire con cura i fedeli nella catechesi, perché partecipino a tutta la messa, specialmente la domenica e le feste di precetto.

La concelebrazione 57 I La concelebrazione, che manifesta in modo appropriato l'unità del sacerdozio, è rimasta in uso fino ad oggi nella Chiesa, tanto in Oriente che in Occidente. Perciò al Concilio è sembrato opportuno estenderne la facoltà ai casi seguenti: a) al giovedì santo, sia nella messa crismale che nella messa vespertina; b) alle messe celebrate nei concili, nelle riunioni di vescovi e nei sinodi; c) alla messa di benedizione di un abate.

II Inoltre, con il permesso dell'ordinario, a cui spetta giudicare sulla opportunità della concelebrazione: a) alla messa conventuale e alla messa principale nelle diverse chiese, quando l'utilità dei fedeli non richieda che tutti i sacerdoti presenti celebrino singolarmente; b) alle messe nelle riunioni di qualsiasi genere di sacerdoti tanto secolari che religiosi.

II.1 Spetta al vescovo regolare la disciplina della concelebrazione nella propria diocesi;

III Resti sempre però ad ogni sacerdote la facoltà di celebrare la messa individualmente, purché non celebri nel medesimo tempo e nella medesima chiesa in cui si fa la concelebrazione, e neppure il giovedì santo.

58 Venga redatto un nuovo rito della concelebrazione da inserirsi nel pontificale e nel messale romano.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Guardando al futuro, varie sono le sfide alle quali la Liturgia è chiamata a rispondere. Nel corso di questi quarant'anni, infatti, la società ha subito profondi cambiamenti, alcuni dei quali mettono fortemente alla prova l'impegno ecclesiale. C'è davanti a noi un mondo in cui, anche nelle regioni di antica tradizione cristiana, i segni del Vangelo si vanno attenuando. È tempo di nuova evangelizzazione. Da tale sfida la Liturgia è direttamente interpellata.

A prima vista, essa sembra messa fuori gioco da una società ampiamente secolarizzata. Ma è un dato di fatto che, nonostante la secolarizzazione, nel nostro tempo riemerge, in tante forme, un rinnovato bisogno di spiritualità. Come non vedere, in questo, una prova del fatto che nell'intimo dell'uomo non è possibile cancellare la sete di Dio? Esistono domande che trovano risposta solo in un contatto personale con Cristo. Solo nell'intimità con Lui ogni esistenza acquista significato, e può giungere a sperimentare la gioia che fece dire a Pietro sul monte della Trasfigurazione: “Maestro, è bello per noi stare qui” (Lc 9,33 par).

Dinanzi a questo anelito all'incontro con Dio, la Liturgia offre la risposta più profonda ed efficace. Lo fa specialmente nell'Eucaristia, nella quale ci è dato di unirci al sacrificio di Cristo e di nutrirci del suo Corpo e del suo Sangue. Occorre tuttavia che i Pastori facciano in modo che il senso del mistero penetri nelle coscienze, riscoprendo e praticando l'arte “mistagogica”, tanto cara ai Padri della Chiesa [Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Vicesimus quintus (4 dicembre 1988), 21: AAS 81 (1989), 917]. È loro compito, in particolare, promuovere celebrazioni degne, prestando la dovuta attenzione alle diverse categorie di persone: bambini, giovani, adulti, anziani, disabili. Tutti debbono sentirsi accolti all'interno delle nostre assemblee, così da poter respirare l'atmosfera della prima comunità credente: “Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere” (At 2,42).

Un aspetto che occorre coltivare con maggiore impegno all'interno delle nostre comunità è l'esperienza del silenzio. Di esso abbiamo bisogno “per accogliere nei cuori la piena risonanza della voce dello Spirito Santo, e per unire più strettamente la preghiera personale con la Parola di Dio e con la voce pubblica della Chiesa” [Institutio generalis Liturgiae Horarum, 213]. In una società che vive in maniera sempre più frenetica, spesso stordita dai rumori e dispersa nell'effimero, riscoprire il valore del silenzio è vitale. Non a caso, anche al di là del culto cristiano, si diffondono pratiche di meditazione che danno importanza al raccoglimento. Perché non avviare, con audacia pedagogica, una specifica educazione al silenzio dentro le coordinate proprie dell'esperienza cristiana? Sia davanti ai nostri occhi l'esempio di Gesù, che “uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava” (Mc 1,35). La Liturgia, tra i diversi suoi momenti e segni, non può trascurare quello del silenzio.

(SPIRITUS ET SPONSA, Lettera Apostolica di papa GIOVANNI PAOLO II del 4 dicembre 2003, nel 40° anniversario della Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla Liturgia, 11-13).


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione sulla sacra Liturgia SACROSANCTUM CONCILIUM (4 dicembre 1963)

CAPITOLO II – IL MISTERO EUCARISTICO

Una più grande ricchezza biblica 51 Affinché la mensa della parola di Dio sia preparata ai fedeli con maggiore abbondanza, vengano aperti più largamente i tesori della Bibbia in modo che, in un determinato numero di anni, si legga al popolo la maggior parte della sacra Scrittura.

L'omelia 52 Si raccomanda vivamente l'omelia, che è parte dell'azione liturgica. In essa nel corso dell'anno liturgico vengano presentati i misteri della fede e le norme della vita cristiana, attingendoli dal testo sacro. Nelle messe della domenica e dei giorni festivi con partecipazione di popolo non si ometta l'omelia se non per grave motivo.

La «preghiera dei fedeli» 53 Dopo il Vangelo e l'omelia, specialmente la domenica e le feste di precetto, sia ripristinata la «orazione comune» detta anche «dei fedeli», in modo che, con la partecipazione del popolo, si facciano speciali preghiere per la santa Chiesa, per coloro che ci governano, per coloro che si trovano in varie necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza di tutto il mondo [Cf. 1Tm 2,1-2].

Lingua nazionale e latino nella messa 54 Nelle messe celebrate con partecipazione di popolo si possa concedere una congrua parte alla lingua nazionale, specialmente nelle letture e nella « orazione comune » e, secondo le condizioni dei vari luoghi, anche nelle parti spettanti al popolo, a norma dell'art. 36 di questa costituzione. Si abbia cura però che i fedeli sappiano recitare e cantare insieme, anche in lingua latina, le parti dell'ordinario della messa che spettano ad essi. Se poi in qualche luogo sembrasse opportuno un uso più ampio della lingua nazionale nella messa, si osservi quanto prescrive l'art. 40 di questa costituzione.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

La costituzione «Sacrosanctum Concilium» ha voluto anche ripristinare «una lettura più abbondante, più varia e più adatta della Sacra Scrittura» (SC 35). La ragione profonda di questa restaurazione è espressa nella costituzione liturgica, «affinché risulti evidente che, nella liturgia, rito e parola sono intimamente connessi» (SC 35), e nella costituzione dogmatica sulla divina rivelazione: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture, come ha fatto anche per il corpo stesso del Signore, non cessando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita alla mensa sia della Parola di Dio, sia del corpo di Cristo e di porgerlo ai fedeli» (DV 21).

L'incremento della vita liturgica e, di conseguenza, lo sviluppo della vita cristiana non si potranno realizzare, se non si promuove continuamente nei fedeli e, prima di tutto, nei sacerdoti, una «soave e viva conoscenza della Sacra Scrittura» (SC 24). La Parola di Dio è adesso più conosciuta nelle comunità cristiane, ma un vero rinnovamento pone ancora e sempre nuove esigenze:

  • la fedeltà al senso autentico della Scrittura da tenersi sempre presente, specie quando essa viene tradotta nelle differenti lingue;
  • il modo di proclamare la Parola di Dio perché possa essere percepita come tale,
  • l'uso dei mezzi tecnici adatti,
  • l'interiore disposizione dei ministri della Parola, al fine di svolgere bene la loro funzione nell'assemblea liturgica (cfr. «Dominicae Cenae», 10),
  • la accurata preparazione dell'omelia attraverso lo studio e la meditazione,
  • l'impegno dei fedeli nel partecipare alla mensa della Parola,
  • il gusto di pregare con i salmi,
  • il desiderio di scoprire il Cristo – come i discepoli a Emmaus – alla mensa della Parola e del pane (cfr. «Liturgia Horarum», Feria II Hebdomadae IV, Oratio ad Vesperas»).

(VICESIMUS QUINTUS ANNUS, Lettera Apostolica di papa GIOVANNI PAOLO II del 4 dicembre 1988, nel 25° anniversario della Costituzione conciliare “Sacrosanctum Concilium” sulla sacra Liturgia, 8).


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione sulla sacra Liturgia SACROSANCTUM CONCILIUM (4 dicembre 1963)

CAPITOLO II – IL MISTERO EUCARISTICO

La messa e il mistero pasquale 47 Il nostro Salvatore nell'ultima cena, la notte in cui fu tradito, istituì il sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue, onde perpetuare nei secoli fino al suo ritorno il sacrificio della croce, e per affidare così alla sua diletta sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e della sua resurrezione: sacramento di amore, segno di unità, vincolo di carità [Cf. S. AGOSTINO, In Ioannis Evangelium Tractatus XXVI, cap. VI, n. 13: PL 35, 1613], convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l'anima viene ricolma di grazia e ci è dato il pegno della gloria futura [Breviario romano, Festa del Ss. Corpo di Cristo, antifona al Magnificat dei II Vespri].

Partecipazione attiva dei fedeli alla messa 48 Perciò la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all'azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente; siano formati dalla parola di Dio; si nutrano alla mensa del corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per la mediazione di Cristo, siano perfezionati nell'unità con Dio e tra di loro [Cf. S. CIRILLO D’ALESS., Commentarium in Ioannis Evangelium, lib. XI, capp. XI-XII: PG 74, 557-565, specialmente 564-565], di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti.

49 Affinché poi il sacrificio della messa raggiunga la sua piena efficacia pastorale anche nella forma rituale, il sacro Concilio, in vista delle messe celebrate con partecipazione di popolo, specialmente la domenica e i giorni di precetto, stabilisce quanto segue:

Revisione dell'ordinario della messa

50 L'ordinamento rituale della messa sia riveduto in modo che apparisca più chiaramente la natura specifica delle singole parti e la loro mutua connessione, e sia resa più facile la partecipazione pia e attiva dei fedeli.

Per questo i riti, conservata fedelmente la loro sostanza, siano semplificati; si sopprimano quegli elementi che, col passare dei secoli, furono duplicati o aggiunti senza grande utilità; alcuni elementi invece, che col tempo andarono perduti, siano ristabiliti, secondo la tradizione dei Padri, nella misura che sembrerà opportuna o necessaria.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

La conoscenza del mistero di Cristo, questione decisiva per la nostra vita, non consiste in una assimilazione mentale di una idea, ma in un reale coinvolgimento esistenziale con la sua persona. In tal senso la Liturgia non riguarda la “conoscenza” e il suo scopo non è primariamente pedagogico (pur avendo un grande valore pedagogico: cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 33) ma è la lode, il rendimento di grazie per la Pasqua del Figlio la cui forza di salvezza raggiunge la nostra vita. La celebrazione riguarda la realtà del nostro essere docili all’azione dello Spirito che in essa opera, finché non sia formato Cristo in noi (cfr. Gal 4,19). La pienezza della nostra formazione è la conformazione a Cristo. Ripeto: non si tratta di un processo mentale, astratto, ma di diventare Lui. Questo è lo scopo per il quale è stato donato lo Spirito la cui azione è sempre e solo quella di fare il Corpo di Cristo. È così con il pane eucaristico, è così per ogni battezzato chiamato a diventare sempre più ciò che ha ricevuto in dono nel battesimo, vale a dire l’essere membro del Corpo di Cristo. Scrive Leone Magno: «La nostra partecipazione al Corpo e al Sangue di Cristo non tende ad altro che a farci diventare quello che mangiamo» [Leo Magnus, Sermo XII: De Passione III,7].

Questo coinvolgimento esistenziale accade – in continuità e coerenza con il metodo dell’incarnazione – per via sacramentale. La Liturgia è fatta di cose che sono esattamente l’opposto di astrazioni spirituali: pane, vino, olio, acqua, profumo, fuoco, cenere, pietra, stoffa, colori, corpo, parole, suoni, silenzi, gesti, spazio, movimento, azione, ordine, tempo, luce. Tutta la creazione è manifestazione dell’amore di Dio: da quando lo stesso amore si è manifestato in pienezza nella croce di Gesù tutta la creazione ne è attratta. È tutto il creato che viene assunto per essere messo a servizio dell’incontro con il Verbo incarnato, crocifisso, morto, risorto, asceso al Padre. Così come canta la preghiera sull’acqua per il fonte battesimale, ma anche quella sull’olio per il sacro crisma e le parole della presentazione del pane e del vino, frutti della terra e del lavoro dell’uomo.

La liturgia dà gloria a Dio non perché noi possiamo aggiungere qualcosa alla bellezza della luce inaccessibile nella quale Egli abita (cfr. 1Tm 6,16) o alla perfezione del canto angelico che risuona eternamente nelle sedi celesti. La Liturgia dà gloria a Dio perché ci permette, qui, sulla terra, di vedere Dio nella celebrazione dei misteri e, nel vederlo, prendere vita dalla sua Pasqua: noi, che da morti che eravamo per le colpe, per grazia, siamo stati fatti rivivere con Cristo (cfr. Ef 2,5), siamo la gloria di Dio. Ireneo, doctor unitatis, ce lo ricorda: «La gloria di Dio è l’uomo vivente, e la vita dell’uomo consiste nella visione di Dio: se già la rivelazione di Dio attraverso la creazione dà la vita a tutti gli esseri che vivono sulla terra, quanto più la manifestazione del Padre attraverso il Verbo è causa di vita per coloro che vedono Dio!» [Irenæus Lugdunensis, Adversus hæreses IV,20,7].

La domanda che ci poniamo è, dunque, come tornare ad essere capaci di simboli? Come tornare a saperli leggere per poterli vivere? Sappiamo bene che la celebrazione dei sacramenti è – per grazia di Dio – efficace in se stessa (ex opere operato) ma questo non garantisce un pieno coinvolgimento delle persone senza un adeguato modo di porsi di fronte al linguaggio della celebrazione. La lettura simbolica non è un fatto di conoscenza mentale, di acquisizione di concetti ma è esperienza vitale.

Anzitutto dobbiamo riacquistare fiducia nei confronti della creazione. Intendo dire che le cose – con le quali i sacramenti “sono fatti” – vengono da Dio, a Lui sono orientate e da Lui sono state assunte, in modo particolare con l’incarnazione, perché diventassero strumenti di salvezza, veicoli dello Spirito, canali di grazia. Qui si avverte tutta la distanza sia dalla visione materialista sia da quella spiritualista. Se le cose create sono parte irrinunciabile dell’agire sacramentale che opera la nostra salvezza, dobbiamo predisporci nei loro confronti con uno sguardo nuovo non superficiale, rispettoso, grato. Fin dall’origine esse contengono il germe della grazia santificante dei sacramenti.

(DESIDERIO DESIDERAVI, Lettera Apostolica di papa FRANCESCO del 29 giugno 2022, 41-43.45-46).


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione sulla sacra Liturgia SACROSANCTUM CONCILIUM (4 dicembre 1963)

CAPITOLO I – PRINCIPI GENERALI PER LA RIFORMA E LA PROMOZIONE DELLA SACRA LITURGIA

V – L'incremento dell'azione pastorale liturgica

43 Lo zelo per la promozione e il rinnovamento della liturgia è giustamente considerato come un segno dei provvidenziali disegni di Dio sul nostro tempo, come un passaggio dello Spirito Santo nella sua Chiesa; esso imprime una nota caratteristica alla vita della Chiesa stessa, anzi a tutto il modo di sentire e di agire religioso del nostro tempo. Per la qual cosa, per favorire sempre più questa azione pastorale liturgica nella Chiesa, il sacro Concilio stabilisce:

Commissione liturgica nazionale 44 Conviene che la competente autorità ecclesiastica territoriale, di cui all'art. 22-2, istituisca una commissione liturgica, la quale si serva dell'aiuto di esperti in liturgia, in musica e arte sacra e in pastorale. La suddetta commissione sia coadiuvata possibilmente da qualche istituto di liturgia pastorale, senza escludere tra i suoi membri, se è utile, la presenza di laici particolarmente esperti in queste materie. Sarà compito della stessa commissione, sotto la guida dell'autorità ecclesiastica territoriale, di cui si è parlato, dirigere l'attività pastorale liturgica nel territorio di sua competenza e promuovere gli studi e i necessari esperimenti ogni volta che si tratti di adattamenti da proporsi alla Sede apostolica.

Commissione liturgica diocesana 45 Parimenti sia costituita nelle singole diocesi la commissione di sacra liturgia allo scopo di promuovere, sotto la guida del vescovo, l'apostolato liturgico. Talvolta può essere opportuno che più diocesi costituiscano una sola commissione per promuovere di comune accordo l'apostolato liturgico.

Altre commissioni 46 Oltre alla commissione di sacra liturgia, siano costituite in ogni diocesi, per quanto possibile, anche le commissioni di musica sacra e di arte sacra. È necessario che queste tre commissioni collaborino tra di loro, anzi talora potrà essere opportuno che formino un unica commissione.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

L’uomo non può «farsi» da sé il proprio culto; egli afferra solo il vuoto, se Dio non si mostra. Quando Mosè dice al faraone: «noi non sappiamo con che cosa servire il Signore» (Es 10,26), nelle sue parole emerge di fatto uno dei principi basilari di tutte le liturgie. […] La vera liturgia presuppone che Dio risponda e mostri come noi possiamo adorarlo. Essa implica una qualche forma di istituzione. Essa non può trarre origine dalla nostra fantasia, dalla nostra creatività, altrimenti rimarrebbe un grido nel buio o una semplice autoconferma”.

Questo carattere non arbitrario del culto emerge per contrasto in modo drammatico nell’episodio del vitello d’oro. “Questo culto, guidato dal sommo sacerdote Aronne, non doveva affatto servire un idolo pagano. L’apostasia è più sottile. […] non si riesce a mantenere la fedeltà al Dio invisibile, lontano e misterioso. Lo si fa scendere al proprio livello, riducendolo a categorie di visibilità e comprensibilità. In tal modo il culto non è più un salire verso di lui, ma un abbassamento di Dio alle nostre dimensioni. […]

L’uomo si serve di Dio secondo il proprio bisogno e così si pone in realtà al di sopra di lui. […] Questo culto diventa così una festa che la comunità si fa da sé; celebrandola, la comunità non fa che confermare se stessa. Dall’adorazione di Dio si passa a un cerchio che gira intorno a se stesso […] La storia del vitello d’oro è un monito contro un culto realizzato a propria misura e alla ricerca di se stessi […]. Ma alla fine resta anche la frustrazione, il senso di vuoto. Non c’è più quell’esperienza di liberazione che ha luogo lì dove avviene un vero incontro con il Dio vivente.

(J. Ratzinger, Introduzione allo spirito della liturgia, Edizioni San Paolo, 2001, pp. 17-18). =●=●=●=

Nella nostra riforma liturgica c'è la tendenza, a parer mio sbagliata, ad adattare completamente la liturgia al mondo moderno. Essa dovrebbe quindi diventare ancora più breve e da essa dovrebbe essere allontanato tutto ciò che si ritiene incomprensibile; alla fin fine, essa dovrebbe essere tradotta in una lingua ancora più semplice, più «piatta».

In questo modo, però, l'essenza della liturgia e la stessa celebrazione liturgica vengono completamente fraintese. Perché in essa non si comprende solo in modo razionale, così come si capisce una conferenza, bensì in modo complesso, partecipando con tutti i sensi e lasciandosi compenetrare da una celebrazione che non è inventata da una qualsiasi commissione di esperti, ma che ci arriva dalla profondità dei millenni e, in definitiva, dall'eternità.

(J. Ratzinger, Il sale della terra, Edizioni San Paolo, 2005, p. 199).


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione sulla sacra Liturgia SACROSANCTUM CONCILIUM (4 dicembre 1963)

CAPITOLO I – PRINCIPI GENERALI PER LA RIFORMA E LA PROMOZIONE DELLA SACRA LITURGIA

IV – La vita liturgica nella diocesi e nella parrocchia

41 Il vescovo deve essere considerato come il grande sacerdote del suo gregge: da lui deriva e dipende in certo modo la vita dei suoi fedeli in Cristo. Perciò tutti devono dare la più grande importanza alla vita liturgica della diocesi che si svolge intorno al vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale, convinti che c'è una speciale manifestazione della Chiesa nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dai suoi sacerdoti e ministri [Cf. S. IGNAZIO D’ANTIOCHIA, Ad Magn. 7; Ad Phil. 4; Ad Smyrn. 8: ed F. X. FUNK, cit., (nota 9), I, pp. 236, 266, 281].

Vita liturgica parrocchiale 42 Poiché nella sua Chiesa il vescovo non può presiedere personalmente sempre e ovunque l'intero suo gregge, deve costituire necessariamente dei gruppi di fedeli, tra cui hanno un posto preminente le parrocchie organizzate localmente e poste sotto la guida di un pastore che fa le veci del vescovo: esse infatti rappresentano in certo modo la Chiesa visibile stabilita su tutta la terra. Per questo motivo la vita liturgica della parrocchia e il suo legame con il vescovo devono essere coltivati nell'animo e nell'azione dei fedeli e del clero; e bisogna fare in modo che il senso della comunità parrocchiale fiorisca soprattutto nella celebrazione comunitaria della messa domenicale.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Irrinunciabile, nell'educazione alla preghiera e in particolare nella promozione della vita liturgica, è il compito dei Pastori. Esso implica un dovere di discernimento e di guida. Ciò non va percepito come un principio di irrigidimento, in contrasto con il bisogno dell'animo cristiano di abbandonarsi all'azione dello Spirito di Dio, che intercede in noi e “per noi, con gemiti inesprimibili” (Rm 8, 26). Attraverso la guida dei Pastori si realizza piuttosto un principio di “garanzia”, previsto dal disegno di Dio sulla Chiesa ed esso stesso governato dall'assistenza dello Spirito Santo. Il rinnovamento liturgico realizzato in questi decenni ha dimostrato come sia possibile coniugare una normativa che assicuri alla Liturgia la sua identità e il suo decoro, con spazi di creatività e di adattamento, che la rendano vicina alle esigenze espressive delle varie regioni, situazioni e culture. Non rispettando la normativa liturgica, si giunge talvolta ad abusi anche gravi, che mettono in ombra la verità del mistero e creano sconcerto e tensioni nel Popolo di Dio [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucaristia (17 aprile 2003), 52: AAS 95 (2003), 468; Lett. ap. Vicesimus quintus (4 dicembre 1988), 13: AAS 81 (1989), 910-911]. Tali abusi non hanno nulla a che vedere con l'autentico spirito del Concilio e vanno corretti dai Pastori con un atteggiamento di prudente fermezza. (SPIRITUS ET SPONSA, Lettera Apostolica di papa GIOVANNI PAOLO II del 4 dicembre 2003, nel 40° anniversario della Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla Liturgia, 15). =●=●=●=

Il presbitero vive la sua tipica partecipazione alla celebrazione in forza del dono ricevuto nel sacramento dell’Ordine: tale tipicità si esprime proprio nella presidenza. Come tutti gli uffici che è chiamato a svolgere, non si tratta primariamente di un compito assegnato dalla comunità, quanto, piuttosto, della conseguenza dell’effusione dello Spirito Santo ricevuta nell’ordinazione che lo abilita a tale compito. Anche il presbitero viene formato dal suo presiedere l’assemblea che celebra.

Perché questo servizio venga fatto bene – con arte, appunto – è di fondamentale importanza che il presbitero abbia anzitutto una viva coscienza di essere, per misericordia, una particolare presenza del Risorto. Il ministro ordinato è egli stesso una delle modalità di presenza del Signore che rendono l’assemblea cristiana unica, diversa da ogni altra (cfr. Sacrosanctum Concilium, n. 7). Questo fatto dà spessore “sacramentale” – in senso ampio – a tutti i gesti e le parole di chi presiede. L’assemblea ha diritto di poter sentire in quei gesti e in quelle parole il desiderio che il Signore ha, oggi come nell’ultima Cena, di continuare a mangiare la Pasqua con noi. Il Risorto è, dunque, il protagonista, non lo sono di sicuro le nostre immaturità che cercano, assumendo un ruolo e un atteggiamento, una presentabilità che non possono avere. Il presbitero stesso è sopraffatto da questo desiderio di comunione che il Signore ha verso ciascuno: è come se fosse posto in mezzo tra il cuore ardente d’amore di Gesù e il cuore di ogni fedele, l’oggetto del suo amore. Presiedere l’Eucaristia è stare immersi nella fornace dell’amore di Dio. Quando ci viene dato di comprendere, o anche solo di intuire, questa realtà, non abbiamo di certo più bisogno di un direttorio che ci imponga un comportamento adeguato. Se di questo abbiamo bisogno è per la durezza del nostro cuore. La norma più alta, e, quindi, più impegnativa, è la realtà stessa della celebrazione eucaristica che seleziona parole, gesti, sentimenti, facendoci comprendere se sono o meno adeguati al compito che devono svolgere. È evidente che anche questo non si improvvisa: è un’arte, chiede al presbitero applicazione, vale a dire una frequentazione assidua del fuoco di amore che il Signore è venuto a portare sulla terra (cfr. Lc 12,49).

(DESIDERIO DESIDERAVI, Lettera Apostolica di papa FRANCESCO del 29 giugno 2022, 56-57).


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione sulla sacra Liturgia SACROSANCTUM CONCILIUM (4 dicembre 1963)

CAPITOLO I – PRINCIPI GENERALI PER LA RIFORMA E LA PROMOZIONE DELLA SACRA LITURGIA

D) Norme per un adattamento all'indole e alle tradizioni dei vari Popoli

37 La Chiesa, quando non è in questione la fede o il bene comune generale, non intende imporre, neppure nella liturgia, una rigida uniformità; rispetta anzi e favorisce le qualità e le doti di animo delle varie razze e dei vari popoli. Tutto ciò poi che nel costume dei popoli non è indissolubilmente legato a superstizioni o ad errori, essa lo considera con benevolenza e, se possibile, lo conserva inalterato, e a volte lo ammette perfino nella liturgia, purché possa armonizzarsi con il vero e autentico spirito liturgico.

38 Salva la sostanziale unità del rito romano, anche nella revisione dei libri liturgici si lasci posto alle legittime diversità e ai legittimi adattamenti ai vari gruppi etnici, regioni, popoli, soprattutto nelle missioni; e sarà bene tener opportunamente presente questo principio nella struttura dei riti e nell'ordinamento delle rubriche.

39 Entro i limiti stabiliti nelle edizioni tipiche dei libri liturgici, spetterà alla competente autorità ecclesiastica territoriale, di cui all'art. 22-2, determinare gli adattamenti, specialmente riguardo all'amministrazione dei sacramenti, ai sacramentali, alle processioni, alla lingua liturgica, alla musica sacra e alle arti, sempre però secondo le norme fondamentali contenute nella presente costituzione.

Progressivo adattamento liturgico 40 Dato però che in alcuni luoghi e particolari circostanze si rende urgente un più profondo adattamento della liturgia, che per conseguenza è più difficile:

  1. Dalla competente autorità ecclesiastica territoriale, di cui all'art. 22-2, venga preso in esame, con attenzione e prudenza, ciò che dalle tradizioni e dall'indole dei vari popoli può opportunamente essere ammesso nel culto divino. Gli adattamenti ritenuti utili o necessari vengano proposti alla Sede apostolica, per essere introdotti col suo consenso.
  2. Affinché poi l'adattamento sia fatto con la necessaria cautela, la Sede apostolica darà facoltà, se è il caso, alla medesima autorità ecclesiastica territoriale di permettere e dirigere, presso alcuni gruppi a ciò preparati e per un tempo determinato, i necessari esperimenti preliminari.
  3. Poiché in materia di adattamento, di solito le leggi liturgiche comportano difficoltà particolari soprattutto nelle missioni, nel formularle si ricorra a persone competenti in materia.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Riscoprire ogni giorno la bellezza della verità della celebrazione cristiana La Liturgia è il sacerdozio di Cristo a noi rivelato e donato nella sua Pasqua, reso oggi presente e attivo attraverso segni sensibili (acqua, olio, pane, vino, gesti, parole) perché lo Spirito, immergendoci nel mistero pasquale, trasformi tutta la nostra vita conformandoci sempre più a Cristo (cfr. SC 7).

La continua riscoperta della bellezza della Liturgia non è la ricerca di un estetismo rituale che si compiace solo nella cura della formalità esteriore di un rito o si appaga di una scrupolosa osservanza rubricale. Ovviamente questa affermazione non vuole in nessun modo approvare l’atteggiamento opposto che confonde la semplicità con una sciatta banalità, l’essenzialità con una ignorante superficialità, la concretezza dell’agire rituale con un esasperato funzionalismo pratico.

Intendiamoci: ogni aspetto del celebrare va curato (spazio, tempo, gesti, parole, oggetti, vesti, canto, musica, …) e ogni rubrica deve essere osservata: basterebbe questa attenzione per evitare di derubare l’assemblea di ciò che le è dovuto, vale a dire il mistero pasquale celebrato nella modalità rituale che la Chiesa stabilisce. Ma anche se la qualità e la norma dell’azione celebrativa fossero garantite, ciò non sarebbe sufficiente per rendere piena la nostra partecipazione.

Lo stupore per il mistero pasquale: parte essenziale dell’atto liturgico Se venisse a mancare lo stupore per il mistero pasquale che si rende presente nella concretezza dei segni sacramentali, potremmo davvero rischiare di essere impermeabili all’oceano di grazia che inonda ogni celebrazione. Non sono sufficienti i pur lodevoli sforzi a favore di una migliore qualità della celebrazione e nemmeno un richiamo all’interiorità: anche quest’ultima corre il rischio di ridursi ad una vuota soggettività se non accoglie la rivelazione del mistero cristiano. L’incontro con Dio non è frutto di una individuale ricerca interiore di Lui ma è un evento donato: possiamo incontrare Dio per il fatto nuovo dell’incarnazione che nell’ultima Cena arriva fino all’estremo di desiderare di essere mangiato da noi. Come ci può accadere la sventura di sottrarci al fascino della bellezza di questo dono?

Dicendo stupore per il mistero pasquale non intendo in nessun modo ciò che a volte mi pare si voglia esprimere con la fumosa espressione “senso del mistero”: a volte tra i presunti capi di imputazione contro la riforma liturgica vi è anche quello di averlo – si dice – eliminato dalla celebrazione. Lo stupore di cui parlo non è una sorta di smarrimento di fronte ad una realtà oscura o ad un rito enigmatico, ma è, al contrario, la meraviglia per il fatto che il piano salvifico di Dio ci è stato rivelato nella Pasqua di Gesù (cfr. Ef 1,3-14) la cui efficacia continua a raggiungerci nella celebrazione dei “misteri”, ovvero dei sacramenti. Resta pur vero che la pienezza della rivelazione ha, rispetto alla nostra finitezza umana, una eccedenza che ci trascende e che avrà il suo compimento alla fine dei tempi quando il Signore tornerà. Se lo stupore è vero non vi è alcun rischio che non si percepisca, pur nella vicinanza che l’incarnazione ha voluto, l’alterità della presenza di Dio. Se la riforma avesse eliminato quel “senso del mistero” più che un capo di accusa sarebbe una nota di merito. La bellezza, come la verità, genera sempre stupore e quando sono riferite al mistero di Dio, porta all’adorazione.

Lo stupore è parte essenziale dell’atto liturgico perché è l’atteggiamento di chi sa di trovarsi di fronte alla peculiarità dei gesti simbolici; è la meraviglia di chi sperimenta la forza del simbolo, che non consiste nel rimandare ad un concetto astratto ma nel contenere ed esprimere nella sua concretezza ciò che significa.

(DESIDERIO DESIDERAVI, Lettera Apostolica di papa FRANCESCO del 29 giugno 2022, 21-26).


🔝C A L E N D A R I OHomepage

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione sulla sacra Liturgia SACROSANCTUM CONCILIUM (4 dicembre 1963)

CAPITOLO I – PRINCIPI GENERALI PER LA RIFORMA E LA PROMOZIONE DELLA SACRA LITURGIA

C) Norme derivanti dalla natura didattica e pastorale della liturgia

33 Benché la sacra liturgia sia principalmente culto della maestà divina, tuttavia presenta anche un grande valore pedagogico per il popolo credente [Cf. CONCILIO DI TRENTO, Sess. XXII, 17 sett. 1562, Dottr. De ss. Missae sacrif., c. 8, ed. cit. (nota 19), t. VIII, p. 961 [Dz 1749; Collantes 9.181]. Nella liturgia, infatti, Dio parla al suo popolo e Cristo annunzia ancora il suo Vangelo; il popolo a sua volta risponde a Dio con il canto e con la preghiera. Anzi, le preghiere rivolte a Dio dal sacerdote che presiede l'assemblea nel ruolo di Cristo, vengono dette a nome di tutto il popolo santo e di tutti gli astanti. Infine, i segni visibili di cui la sacra liturgia si serve per significare le realtà invisibili, sono stati scelti da Cristo o dalla Chiesa. Perciò non solo quando si legge «ciò che fu scritto a nostra istruzione» (Rm 15,4) ma anche quando la Chiesa prega o canta o agisce, la fede dei partecipanti è alimentata, le menti sono elevate verso Dio per rendergli un ossequio ragionevole e ricevere con più abbondanza la sua grazia. Pertanto, nell'attuazione della riforma, si tenga conto delle seguenti norme generali.

Semplicità e decoro dei riti 34 I riti splendano per nobile semplicità; siano trasparenti per il fatto della loro brevità e senza inutili ripetizioni; siano adattati alla capacità di comprensione dei fedeli né abbiano bisogno, generalmente, di molte spiegazioni.

Bibbia, predicazione e catechesi liturgica 35 Affinché risulti evidente che nella liturgia rito e parola sono intimamente connessi:

  1. Nelle sacre celebrazioni si restaurerà una lettura della sacra Scrittura più abbondante, più varia e meglio scelta.
  2. Il momento più adatto per la predicazione, che fa parte dell'azione liturgica, nella misura in cui il rito lo permette, sia indicato anche nelle rubriche e il ministero della parola sia adempiuto con fedeltà e nel debito modo. La predicazione poi attinga anzitutto alle fonti della sacra Scrittura e della liturgia, poiché essa è l'annunzio delle mirabili opere di Dio nella storia della salvezza, ossia nel mistero di Cristo, mistero che è in mezzo a noi sempre presente e operante, soprattutto nelle celebrazioni liturgiche.
  3. Si cerchi anche di inculcare in tutti i modi una catechesi più direttamente liturgica; negli stessi riti siano previste, quando necessario, brevi didascalie composte con formule prestabilite o con parole equivalenti e destinate a essere recitate dal sacerdote o dal ministro competente nei momenti più opportuni.
  4. Si promuova la celebrazione della parola di Dio, alla vigilia delle feste più solenni, in alcune ferie dell'avvento e della quaresima, nelle domeniche e nelle feste, soprattutto nei luoghi dove manca il sacerdote; nel qual caso diriga la celebrazione un diacono o altra persona delegata dal vescovo.

Latino e lingue nazionali nella liturgia 36 1. L'uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini. 2. Dato però che, sia nella messa che nell'amministrazione dei sacramenti, sia in altre parti della liturgia, non di rado l'uso della lingua nazionale può riuscire di grande utilità per il popolo, si conceda alla lingua nazionale una parte più ampia, specialmente nelle letture e nelle ammonizioni, in alcune preghiere e canti, secondo le norme fissate per i singoli casi nei capitoli seguenti. 3. In base a queste norme, spetta alla competente autorità ecclesiastica territoriale, di cui all'art. 22-2 (consultati anche, se è il caso, i vescovi delle regioni limitrofe della stessa lingua) decidere circa l'ammissione e l'estensione della lingua nazionale. Tali decisioni devono essere approvate ossia confermate dalla Sede apostolica. 4. La traduzione del testo latino in lingua nazionale da usarsi nella liturgia deve essere approvata dalla competente autorità ecclesiastica territoriale di cui sopra.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Se la riforma della liturgia voluta dal Concilio Vaticano II può considerarsi ormai posta in atto, la pastorale liturgica, invece, costituisce un impegno permanente per attingere sempre più abbondantemente dalla ricchezza della liturgia quella forza vitale che dal Cristo si diffonde alle membra del suo corpo che è la Chiesa.

Poiché la liturgia è l'esercizio del sacerdozio di Cristo, è necessario mantenere costantemente viva l'affermazione del discepolo davanti alla presenza misteriosa di Cristo: «È il Signore!» (Gv 21,7). Niente di tutto ciò che facciamo noi nella liturgia può apparire come più importante di quello che invisibilmente, ma realmente fa il Cristo per l'opera del suo Spirito. La fede viva per la carità, l'adorazione, la lode al Padre e il silenzio di contemplazione, saranno sempre i primi obiettivi da raggiungere per una pastorale liturgica e sacramentale.

Poiché la liturgia è tutta permeata dalla Parola di Dio, bisogna che qualsiasi altra parola sia in armonia con essa, in primo luogo l'omelia, ma anche i canti e le monizioni; che nessun'altra lettura venga a sostituire la parola biblica, e che le parole degli uomini siano al servizio della Parola di Dio, senza oscurarla.

Dato poi che le azioni liturgiche non sono azioni private, ma «celebrazioni della Chiesa quale sacramento di unità» (SC 26), la loro disciplina dipende unicamente dall'autorità gerarchica della Chiesa (cfr. SC 22 e 26). La liturgia appartiene all'intero corpo della Chiesa (cfr. DV 26). È per questo che non è permesso ad alcuno, neppure al sacerdote, né ad un gruppo qualsiasi di aggiungervi, togliervi o cambiare alcunché di proprio arbitrio (cfr. DV 22). La fedeltà ai riti e ai testi autentici della liturgia è una esigenza della «lex orandi», che deve esser sempre conforme alla «lex credendi».

La mancanza di fedeltà su questo punto può anche toccare la validità stessa dei sacramenti.

Essendo celebrazione della Chiesa, la liturgia richiede la partecipazione attiva, consapevole e piena da parte di tutti, secondo la diversità degli ordini e delle funzioni (cfr. DV 26): tutti, i ministri e gli altri fedeli, compiendo la loro funzione, fanno ciò che loro spetta e soltanto ciò che loro spetta (cfr. DV 28). È per questo che la Chiesa dà la preferenza alla celebrazione comunitaria, quando lo comporta la natura dei riti (cfr. DV 27); essa incoraggia la formazione di ministri, lettori, cantori e commentatori, che compiano un vero ministero liturgico (cfr. DV 29), ha ripristinato la concelebrazione (cfr. DV 57; Sacrae Congr. Rituum Decr. generale «Ecclesiae Semper», die 7 mar. 1965: AAS 57 [1965] 410-412), raccomanda la celebrazione comune dell'Ufficio divino (cfr. SC 99).

Poiché la liturgia è la grande scuola di preghiera della Chiesa, si è ritenuta cosa buona introdurre e sviluppare l'uso della lingua viva – senza eliminare l'uso della lingua latina, conservata dal Concilio, per i riti latini (cfr. SC 36) – perché ognuno possa intendere e proclamare nella propria lingua materna le meraviglie di Dio (cfr. At 2,11); come anche aumentare il numero dei prefazi e delle preghiere eucaristiche, che arricchiscono il tesoro della preghiera e l'intelligenza dei misteri di Cristo.

Poiché la liturgia ha un grande valore pastorale, i libri liturgici hanno previsto un margine d'adattamento all'assemblea ed alle persone, ed una possibilità d'apertura al genio ed alla cultura dei diversi popoli (cfr. SC 37-40). La revisione dei riti ha cercato una nobile semplicità (cfr. SC 34) e dei segni facilmente comprensibili, ma la semplicità auspicata non deve degenerare nell'impoverimento dei segni, al contrario: i segni, soprattutto quelli sacramentali, devono possedere la più grande espressività. Il pane e il vino, l'acqua e l'olio, e anche l'incenso, le ceneri, il fuoco e i fiori, e quasi tutti gli elementi della creazione hanno il loro posto nella liturgia come offerta al Creatore e contributo alla dignità e alla bellezza della celebrazione.

(VICESIMUS QUINTUS ANNUS, Lettera Apostolica di papa GIOVANNI PAOLO II del 4 dicembre 1988, nel 25° anniversario della Costituzione conciliare “Sacrosanctum Concilium” sulla sacra Liturgia, 10).


🔝C A L E N D A R I OHomepage