📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

Sion nella gloria della salvezza 1Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Come fiore di narciso 2fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo. Le è data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron. Essi vedranno la gloria del Signore, la magnificenza del nostro Dio. 3Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. 4Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». 5Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. 6Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. 7La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d’acqua. I luoghi dove si sdraiavano gli sciacalli diventeranno canneti e giuncaie. 8Ci sarà un sentiero e una strada e la chiameranno via santa; nessun impuro la percorrerà. Sarà una via che il suo popolo potrà percorrere e gli ignoranti non si smarriranno. 9Non ci sarà più il leone, nessuna bestia feroce la percorrerà o vi sosterà. Vi cammineranno i redenti. 10Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo; felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Il capitolo 35, che contiene una promessa di salvezza, è stato inserito a questo punto sia per contrapporre al cupo orizzonte del c. 34 la prospettiva di un futuro luminoso, nella gioia della nuova Sion, sia per connettere la seconda parte del libro di Isaia alla prima sottolineando che il tema del giudizio di Is 1-34 è finalizzato e subordinato all'attesa della speranza. Per questo motivo l'autore del presente capitolo ha attinto espressioni e immagini dalle varie parti del libro di Isaia, specialmente da Is 40-66. L'indole chiaramente secondaria dei riferimenti assicura, comunque, che il testo non appartiene letterariamente al Deuterosaia, ma è opera di un redattore recente, forse del sec. IV.

1-2. Il brano inizia descrivendo la trasformazione del deserto e della steppa in un frutteto. Il trionfo della vita e della fecondità nel luogo dell'aridità e della morte segna l'irrompere della gioia che l'autore esprime sfruttando la ricca possibilità dei sinonimi: «rallegrarsi», «esultare», «gioia», «giubilo» (v. 1-2a). In tutto ciò si manifesta la gloria del Signore che ora si rivela nella sua magnificenza (v. 2).

3-4. Si richiama il messaggio della consolazione di 40,1-2.9. L'esortazione che segue è dunque un'istruzione che il Signore dà ai suoi messaggeri. Essi sono chiamati a infondere fiducia e sicurezza (la descrizione del v. 3 si richiama a Gb 4,3-4) invitando il popolo ad essere forte e non temere (cfr. 10,24; Dt 31,6; 2Cr 32,7). Un simile annuncio si fonda sulla presenza del Signore («ecco il vostro Dio», cfr. 40,9). La venuta del Signore per salvare (cfr. 40,10) coincide con la venuta della vendetta, cioè dell'intervento redentore che ristabilisce per il suo popolo le condizioni proprie della salvezza nella giustizia e nella libertà (cfr. 3,8a e inoltre 59,18; 66,6).

5-7. Conclusa l'istruzione divina, il redattore descrive nei vv. 5-6a la nuova condizione. La descrizione simbolica mentre orienta, con la ricchezza del suo linguaggio, ai prodigi della salvezza che trascendono le possibilità dell'uomo, offre anche una costruzione eloquente. Essa inizia con l'annuncio degli occhi che vedono e degli orecchi che ascoltano (cfr. 42, 16-19; 43, 8) e si conclude con il motivo della lingua che proclama con gioia le meraviglie del Signore. L'autore sviluppa il tema delle meraviglie di JHWH descrivendo nei vv. 6b-7 il prodigio delle acque, che scaturiscono «nel deserto» (cfr. 43,20), e della terra riarsa, che si trasforma «in sorgenti d'acqua» (cfr. Es 17,6; Sal 78,20; 107,33.35). La visione e l'ascolto, insieme alla proclamazione della salvezza, costituiscono la caratteristica del popolo rinnovato dalla venuta salvifica del Signore.

8-10. La finale della “piccola apocalisse” è forse un'aggiunta successiva, come si evince dal fatto che non ha corrispondenti con il c. 34. Inoltre la prospettiva dei «riscattati dal Signore» riuniti in Sion riflette il tema del raduno in Sion dei Giudei dispersi, tema che si incontra alla fine delle grandi sezioni della «Visione di Isaia»: 11,11-16; 27,12-13; 35,8-10; 56,8; 66,20. Sullo sfondo della trasformazione del deserto e del rinnovamento del popolo (cfr. vv. 5-6a) l'autore contempla una via «appianata» (cfr. 40,3; 43,19; 49,11; 62,19; e anche 11,16; 19,23). È la via del popolo santo (cfr. Is 62,12a) che si dirige a Sion, nella rinnovata esperienza della redenzione, che dischiude uno spazio pieno di vita, di libertà e di gioia. In un simile spazio non ci saranno più gli «impuri» (idolatri) e gli «stolti», che impediscono lo sviluppo della vita, non ci saranno più bestie feroci, simbolo delle forze che minacciano la libertà, e scompariranno per sempre la tristezza e il pianto.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R I OHomepage

FINE DI EDOM E SALVEZZA DI SION

Giudizio su Edom 1Avvicinatevi, nazioni, per udire, e voi, popoli, prestate ascolto; ascolti la terra e quanti vi abitano, il mondo e quanto produce! 2Poiché il Signore è adirato contro tutte le nazioni ed è sdegnato contro tutti i loro eserciti; li ha votati allo sterminio, li ha destinati al massacro. 3I loro uccisi sono gettati via, si diffonde il fetore dei loro cadaveri; grondano i monti del loro sangue. 4Tutto l’esercito celeste si dissolve, i cieli si arrotolano come un libro, tutto il loro esercito cade come cade il pampino dalla vite, la foglia avvizzita dal fico. 5Poiché nel cielo si è inebriata la mia spada, ecco, si abbatte su Edom, sul popolo che io stermino, per fare giustizia. 6La spada del Signore è piena di sangue, è imbrattata di grasso, del sangue di agnelli e di capri, delle viscere grasse dei montoni, perché si compie un sacrificio al Signore a Bosra, un grande massacro nella terra di Edom. 7Cadono bisonti insieme con essi, giovenchi insieme con tori. La loro terra s’imbeve di sangue, la loro polvere s’impingua di grasso. 8Poiché è il giorno della vendetta del Signore, l’anno della retribuzione per la causa di Sion. 9I torrenti di quella terra si cambieranno in pece, la sua polvere in zolfo, la sua terra diventerà pece ardente. 10Non si spegnerà né di giorno né di notte, sempre salirà il suo fumo; per tutte le generazioni resterà deserta, mai più alcuno vi passerà. 11Ne prenderanno possesso il gufo e la civetta, l’ibis e il corvo vi faranno dimora. Egli stenderà su di essa la misura del vuoto e la livella del nulla. 12Non ci saranno più i suoi nobili, non si proclameranno più re, tutti i suoi prìncipi saranno ridotti a nulla. 13Nei suoi palazzi cresceranno le spine, ortiche e cardi sulle sue fortezze; diventerà una tana di sciacalli, recinto per gli struzzi. 14Bestie selvatiche si incontreranno con iene, i sàtiri si chiameranno l’un l’altro; là si poserà anche Lilit e vi troverà tranquilla dimora. 15Vi si anniderà il serpente, vi deporrà le uova, le farà dischiudere e raccoglierà piccoli alla sua ombra; vi si raduneranno anche gli sparvieri, l’uno in cerca dell’altro. 16Cercate nel libro del Signore e leggete: nessuno di essi vi manca, l’uno non deve attendere l’altro, poiché la bocca del Signore lo ha comandato e il suo spirito li raduna. 17Egli ha gettato per loro la sorte, la sua mano ha diviso per loro la terra con la corda: la possederanno per sempre, la abiteranno di generazione in generazione.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

I capitoli 34 e 35 della «Visione di Isaia» sono conosciuti come “piccola apocalisse di Isaia”, termine dato per distinguerli dalla “grande apocalisse” (cc. 24-27). Questi capitoli formano un dittico dove sono raffigurate sia la sconfitta delle nazioni, il cui rappresentante per antonomasia è Edom (Is 34), sia la salvezza perenne del popolo del Signore (Is 35). Si tratta di due testi recenti come risulta dal loro stile antologico e dalla loro dipendenza da Is 40-66.

Il c. 34, in particolare, presenta una struttura identica al tardo poema di Is 13, come risulta dal seguente prospetto:

  • preparazione della battaglia 13,1 / 34,1
  • annientamento delle nazioni 5-9 / 2-3
  • sconvolgimento cosmico 10-13 / 4-5a
  • conquista della città e annientamento degli abitanti (14-16).17-19 / 5b-8
  • desertificazione del paese 20 / 9-10
  • dominio degli animali selvaggi 21-22 / 11-15.

Il v. 8, che contiene il motivo della «vendetta» divina, assente in Is 13, mostra una sorprendente affinità con la pericope, anch'essa recente, di Is 63,1-6 (cfr. v. 4).

34,1-4. «sterminio» (bèrem), (v. 2): un'antichissima prassi bellica che consisteva nell'uccidere i nemici vinti con tutti i loro beni come offerta alla divinità del popolo vincitore. Il motivo dello «sterminio», che il re Mesa si vanta nella sua stele di aver praticato ai danni di alcune popolazioni di Israele, venne assunto dalla teologia deuteronomistica. Un simile comando “divino” si situa su di un piano simbolico. Esso richiede al popolo del Signore di rinnovare l'ardore del tempo della conquista per rimanere, ora, fedele alle proprie tradizioni e alla propria fede. Questo dato è fondamentale per comprendere il brano. La presentazione del Signore, che ha votato gli eserciti dei popoli allo sterminio, non voleva essere intesa come la predizione di un evento bellico che si concludeva con l'uccisione dei popoli in una ecatombe dalle proporzioni incalcolabili. Il messaggio del testo, nonostante il realismo della sua descrizione, si situa nella linea della reinterpretazione deuteronomistica. Le potenze cosmiche avverse al disegno di Dio e alla sua salvezza cesseranno di ostacolare, con la loro esistenza e azione funesta, il cammino dei redenti verso l'atteso compimento della salvezza.

5. La lotta vittoriosa di Dio in «cielo» (v. 4) raggiunge la terra. Con una suggestiva descrizione poetica, l'autore contempla la spada del Signore (cfr. Ger 46,10; Dt 32,42) che dal cielo si abbatte su Edom. Il popolo degli Edomiti, che aveva goduto della caduta di Gerusalemme ad opera dei Babilonesi e aveva preso parte alla sua distruzione, appare qui il simbolo delle potenze che con la loro oppressione e la loro idolatria minacciano l'esistenza del popolo di JHWH.

6c. Il significato profondo del sacrificio è porre l'uomo in comunione con Dio e quindi nella condizione di ricevere nuovamente la vita dopo che con la propria colpa l'aveva perduta. L'intervento del Signore, mentre segna la fine di un mondo, fa sorgere un mondo nuovo, caratterizzato dalla pienezza della vita (cfr. Is 35).

8. «giorno della vendetta del Signore». In questo contesto il termine «vendetta» non ha il senso negativo delle nostre lingue moderne. Esso connota l'intervento del Signore che ristabilisce l'equilibrio della giustizia riducendo all'impotenza ogni forma di ingiustizia e oppressione.

I vv. 9-15 descrivono la fine totale di queste potenze qui raffigurate emblematicamente nel destino di Edom.

16-17. Testo di non facile interpretazione. Probabilmente i versetti sono opera di un autore posteriore. Egli intese confermare il messaggio di speranza contenuto in questo capitolo rinviando alla lettura del «libro del Signore». Per vari esegeti questa espressione rinvia o al libro di Isaia o a una raccolta di detti profetici. Con pungente ironia (v. 17) l'autore presenta il Signore che distribuisce il paese di Edom in sorte agli animali, come un tempo divise la terra di Canaan per le tribù del suo popolo.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)

Mappa che mostra i Regni dell'Antico vicino Oriente intorno all'830 a.C. I Regni: Fenicia – Marrone; Aram Damasco – Acquamarina; Amon – Arancione; Moab – Viola; Edom – Giallo; Filistea – Rosso; Israele – Blu; Giuda – Marrone rossiccio. La mappa mostra la regione nel IX secolo a.C. – opera derivata di: Richardprins (talk). Autore dell'originale: FinnWikiNo; opera originale, licenza: CC BY-SA 3.0.


🔝C A L E N D A R I OHomepage

Intervento salvifico del Signore 1Guai a te, che devasti e non sei stato devastato, che saccheggi e non sei stato saccheggiato: sarai devastato, quando avrai finito di devastare, ti saccheggeranno, quando avrai finito di saccheggiare. 2Pietà di noi, Signore, in te speriamo; sii il nostro braccio ogni mattina, nostra salvezza nel tempo dell’angoscia. 3Alla voce del tuo fragore fuggono i popoli, quando t’innalzi si disperdono le nazioni. 4Si ammucchia la preda come si ammucchiano le cavallette, ci si precipita sopra come si precipitano le locuste. 5Eccelso è il Signore perché abita in alto; egli riempie Sion di diritto e di giustizia. 6C’è sicurezza nei tuoi giorni, sapienza e conoscenza sono ricchezze che salvano; il timore del Signore è il suo tesoro. 7Ecco, gli araldi gridano di fuori, piangono amaramente i messaggeri di pace. 8Sono deserte le strade, non c’è chi passi per la via. È stata infranta l’alleanza, sono stati respinti i testimoni, non si è avuto riguardo per nessuno. 9La terra è in lutto, è piena di squallore, si scolora il Libano e sfiorisce; la pianura di Saron è simile a una steppa, sono brulli i monti di Basan e il Carmelo. 10«Ora mi alzerò – dice il Signore –, ora mi innalzerò, ora mi esalterò. 11Avete concepito fieno, partorirete paglia; il vostro soffio è un fuoco: vi divorerà. 12I popoli saranno fornaci per calce, spini tagliati da bruciare nel fuoco. 13Ascoltate, voi lontani, quanto ho fatto, riconoscete, voi vicini, qual è la mia forza». 14A Sion hanno paura i peccatori, uno spavento si è impadronito dei malvagi. Chi di noi può abitare presso un fuoco divorante? Chi di noi può abitare tra fiamme perenni? 15Colui che cammina nella giustizia e parla con lealtà, che rifiuta un guadagno frutto di oppressione, scuote le mani per non prendere doni di corruzione, si tura le orecchie per non ascoltare proposte sanguinarie e chiude gli occhi per non essere attratto dal male: 16costui abiterà in alto, fortezze sulle rocce saranno il suo rifugio, gli sarà dato il pane, avrà l’acqua assicurata.

Visione del re in Sion 17I tuoi occhi vedranno un re nel suo splendore, contempleranno una terra sconfinata. 18Il tuo cuore mediterà con terrore: «Dov’è colui che registra? Dov’è colui che pesa il denaro? Dov’è colui che ispeziona le torri?». 19Non vedrai più quel popolo insolente, popolo dal linguaggio oscuro, incomprensibile, dalla lingua barbara che non si capisce. 20Guarda Sion, la città delle nostre feste! I tuoi occhi vedranno Gerusalemme, dimora tranquilla, tenda che non sarà più rimossa, i suoi paletti non saranno divelti, nessuna delle sue cordicelle sarà strappata. 21Ma è là che è potente il Signore per noi, regione di fiumi e larghi canali; non ci passerà nave a remi né l’attraverserà naviglio potente. 22Poiché il Signore è nostro giudice, il Signore è nostro legislatore, il Signore è nostro re: egli ci salverà. 23Sono allentate le sue corde, non tengono più l’albero diritto, non spiegano più le vele. Allora sarà divisa in grande abbondanza la preda della rapina. Gli zoppi faranno un ricco bottino. 24Nessuno degli abitanti dirà: «Io sono malato». Il popolo che vi dimora è stato assolto dalle sue colpe.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Intervento salvifico del Signore 33,1-16 I cc. 33-35 sono stati aggiunti come supplemento alla raccolta dei detti del profeta Isaia contenuti nei cc. 1-32. Il c. 33 funge da transizione tra la raccolta e la cosiddetta “piccola apocalisse” dei cc. 34-35. Il capitolo, che si muove in una prospettiva escatologica, è opera di uno scriba che riunisce insieme brani di diverso genere letterario per richiamare l'alternanza di minacce di giudizio, speranza e annuncio di salvezza che caratterizza appunto la «Visione di Isaia». I vv. 1-16 costituiscono la prima parte di questa composizione redazionale che è incentrata sull'intervento salvifico del Signore.

1. Il «Guai» è indirizzato al «devastatore». In questa denominazione volutamente generica la memoria storica facilmente intravede la feroce Assiria e la grande Babilonia. In ogni epoca, però, possono affacciarsi nuovi devastatori e saccheggiatori: coloro che detengono il potere e non lo esercitano secondo le esigenze della giustizia e della difesa dei poveri e dei deboli.

2-6. I versetti sviluppano il tema dell'aiuto del Signore, l'unico che può assicurare la fine del devastatore. Questo aiuto è invocato nel v. 2 con espressioni che riecheggiano i salmi di supplica (cfr. Sal 123,3; inoltre Sal 42; 6,3; 31,10) e che esprimono un'attesa piena di fiduciosa speranza (cfr. Sal 25,21; 33,22; 39,8; Is 25,9; 26,8). La comunità (il «noi» caratterizza questa supplica) si attende che il Signore rinnovi i prodigi della sua potente salvezza, come è indicato dall'immagine del «braccio» che rinvia al messaggio di Is 40,10; 51,5.9; 52,10 (cfr. Sal 89, 14). L'autore contempla nella speranza il tempo in cui la preghiera sarà esaudita.

7-9. L'immagine dei «messaggeri di pace» che ritornano mesti alla città (v. 7) e il breve quadro di strade deserte senza nessun viandante costituiscono lo sfondo sul quale si staglia la figura del tiranno che nella sua orgogliosa potenza «viola» l'alleanza e rimane insensibile alle sofferenze umane («non si è curato di alcuno», se non di se stesso!). La desolazione del v. 9 è un segno eloquente della condizione disperata nella quale la comunità conduce la propria esistenza e innalza la sua preghiera (cfr. v. 2).

10-13. La venuta di JHWH costituisce la grande promessa. Con il suo intervento il Signore attua la sua regalità salvifica, rivelando così la sua santità (cfr. Is 6, 3). Il triplice «Ora» conferma l'immediata vicinanza del momento in cui il Signore, con il suo intervento, mostra la nullità delle trame umane (vv. 11-12; cfr. 5, 24 e 26, 17-18) e porta tutti (indicati nel merismo «i vicini» – «i lontani») a riconoscere la sua opera e la sua forza (v. 13).

14-16. La potenza del Signore che annulla le trame del devastatore rimarrà sempre operante in Gerusalemme, quale condizione di permanente e sicura salvezza nella pace e nella giustizia. I vv. 14-16 delineano questa potenza mediante la paura che in Sion si impadronisce dei «peccatori». La paura, a sua volta, è accentuata mediante un'imitazione letteraria della cosiddetta “istruzione per l'ingresso nel santuario”. Questa istruzione suppone che i pellegrini si presentino alla porta del tempio e chiedano quali siano le condizioni richieste per accedervi. Un sacerdote o un coro di sacerdoti risponde loro indicando i valori vitali ai quali essere coerenti per ottenere la benedizione del Signore (cfr. Sal 15; 24,3-6; Mic 6,6-8). Nel nostro testo (v. 14) i «peccatori» chiedono come sia possibile vivere nella città del Signore e, quindi, vicino alle fiamme perenni (cfr. Es 3,2-3) di un fuoco che divora i nemici (cfr. Dt 4,24; 9,3). La risposta contiene l'indicazione delle richieste (v. 15) unite a una promessa (v. 16). La nuova Sion sarà abitata da chi vivrà nella fedeltà alla sua comunità («giustizia») e nella sincerità.

Visione del re in Sion 33,17-19 Nell'ultima parte del c. 33 il “devastatore” passa sullo sfondo. Il primo piano è occupato dalla figura del re che gli occhi del popolo del Signore potranno vedere (v. 17). Non esiste accordo tra gli esegeti se il termine «re» si riferisca al Signore o al nuovo Davide. Quest'ultima ipotesi sembra più probabile sia perché in ebraico il termine «re» non è munito dell'articolo, mentre lo ha sempre quando è riferito a JHWH, sia per l'importanza che il motivo dell'Emmanuele (Is 7,14), reinterpretato nella linea del nuovo Davide (cfr. Is 11,1-4), ha assunto nella «Visione di Isaia». La contemplazione del «re» e del suo regno, che si estende fino alle regioni lontane della terra, porta nel popolo la coscienza della sua libertà. Le oppressioni che Israele ha subito nella sua storia, con le conseguenti esose tassazioni imposte da funzionari dalla lingua incomprensibile, restano solo un ricordo (cfr. 28,11).

21. Con un'espressione che richiama la finale del libro di Ezechiele («Là è il Signore», Ez 48,35) si afferma la presenza del «potente» in Gerusalemme. Con questo titolo, che in fenicio è un epiteto riservato ai re e agli dei, il nostro autore caratterizza il Signore presente e operante in mezzo al suo popolo. Effettivamente se i fiumi e i canali assicurano la fertilità e la vita dell'Egitto e soprattutto della Mesopotamia (le cui antiche civiltà furono possibili grazie a un sistema efficiente e rigoroso di canalizzazione), Gerusalemme trova nel Signore la sorgente perenne (cfr. Ez 47) della sua vita e della sua pace (cui allude l'assenza di una flotta militare posta a difendere il suo territorio).

23-24. La prima parte del v. 23 è probabilmente una glossa che richiama le navi del v. 21 per insinuare che la potenza marittima è in una condizione tale che non potrà più creare pericolo per Sion. La descrizione della salvezza culmina con l'immagine di un facile bottino, accessibile anche ai «ciechi» e agli «zoppi» (v. 23 de) e con l'affermazione che nessun abitante sarà malato. Si tratta ovviamente di una prospettiva simbolica, il cui senso è svelato nell'affermazione conclusiva del v. 24: il popolo che dimora in Sion è raggiunto dal perdono dei peccati (cfr. 1, 18; 40,2; Sal 32,1).

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R I OHomepage

Il regno della giustizia 1Ecco, un re regnerà secondo giustizia e i prìncipi governeranno secondo il diritto. 2Ognuno sarà come un riparo contro il vento e un rifugio contro l’acquazzone, come canali d’acqua in una steppa, come l’ombra di una grande roccia su arida terra. 3Non saranno più accecati gli occhi di chi vede e gli orecchi di chi sente staranno attenti. 4Gli animi volubili si applicheranno a comprendere e la lingua dei balbuzienti parlerà spedita e con chiarezza. 5L’abietto non sarà più chiamato nobile né l’imbroglione sarà detto gentiluomo, 6poiché l’abietto fa discorsi abietti e il suo cuore trama iniquità, per commettere empietà e proferire errori intorno al Signore, per lasciare vuoto lo stomaco dell’affamato e far mancare la bevanda all’assetato. 7L’imbroglione – iniqui sono i suoi imbrogli – macchina scelleratezze per rovinare gli oppressi con parole menzognere, anche quando il povero può provare il suo diritto. 8Il nobile invece si propone nobili disegni e s’impegna a compiere nobili cose.

Contro la spensieratezza 9Donne spensierate, ascoltate bene la mia voce; figlie baldanzose, porgete l’orecchio alle mie parole. 10Fra un anno e qualche giorno voi tremerete, o baldanzose, perché, finita la vendemmia, non ci sarà più raccolto. 11Temete, o spensierate; tremate, o baldanzose, deponete le vesti, spogliatevi, cingetevi i fianchi di sacco. 12Battetevi il petto per le campagne amene, per i fertili vigneti, 13per la terra del mio popolo, nella quale cresceranno spine e pruni, per tutte le case in gioia, per la città gaudente; 14poiché il palazzo sarà abbandonato, la città rumorosa sarà deserta, l’Ofel e il torrione diventeranno caverne per sempre, gioia degli asini selvatici, pascolo di mandrie.

L'effusione dello spirito 15Ma infine in noi sarà infuso uno spirito dall’alto; allora il deserto diventerà un giardino e il giardino sarà considerato una selva. 16Nel deserto prenderà dimora il diritto e la giustizia regnerà nel giardino. 17Praticare la giustizia darà pace, onorare la giustizia darà tranquillità e sicurezza per sempre. 18Il mio popolo abiterà in una dimora di pace, in abitazioni tranquille, in luoghi sicuri, 19anche se la selva cadrà e la città sarà sprofondata. 20Beati voi! Seminerete in riva a tutti i ruscelli e lascerete in libertà buoi e asini.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Il regno della giustizia 32,1-8 La pericope è costituita da due parti. La prima (vv. 1-5) contiene una promessa relativa a un re che con i suoi principi attuerà un regno di giustizia in una comunità aperta al disegno del Signore. La maggior parte degli studiosi ritiene questi versetti postesilici. La seconda parte (vv. 6-8), che costituisce un ampliamento della prima, è ancora più recente. La sua forte caratterizzazione sapienziale orienta a situarne la composizione intorno al 400, dopo la composizione del libro dei Proverbi.

1-2. Nel prospettare il nuovo ordinamento l'autore presenta il re futuro che insieme ai suoi principi regnerà, secondo il quadro ideale della monarchia antico-orientale, nella giustizia e nel diritto (cfr. 2Sam 8,15; 1Re 10,9; Ger 22,3.15; 23,5). Questo aspetto, che caratterizza in modo speciale il re del tempo della salvezza (cfr. 9,6; 11,4; 16,5; Zc 9,9 e Sal 72), è sviluppato con le metafore del v. 2 dove i capi per la loro azione diventano «come un riparo» (il vocabolo ricorre solo qui), «come canali» e «come l'ombra di una grande roccia». Significativamente le immagini della protezione incorniciano l'immagine del canale per la quale il re con i suoi principi appare come lo strumento indispensabile per assicurare la vita al suo popolo.

3-5. L'era della salvezza riguarderà, infine, tutto il popolo, che non si troverà più nella condizione descritta da Is 6,9-10 (cfr. 29,10), ma sarà aperto alla rivelazione. Questa trasformazione renderà la comunità partecipe della vera sapienza per cui non si lascerà ingannare dagli “pseudosapienti” che non comunicano il disegno di Dio, ma solo piani insensati e disonesti (v. 5).

6-8. Il comportamento dello stolto è caratterizzato anzitutto con un chiasmo: egli parla (stoltamente), opera (iniquamente), opera (in modo empio), parla (di Dio in modo perverso) (v. 6). A questo quadro si contra: pone il «nobile» (v. 8), un termine che, come quello di «stolto» ha una valenza sociologica e indica l'uomo aperto verso i fratelli e, quindi, dotato di un animo magnanimo e generoso.

Contro la spensieratezza 32,9-14 Questo brano di giudizio, che contrasta con le luminose prospettive di salvezza dei vv. 1-8, è stato posto nell'attuale contesto per sottolineare che le promesse salvifiche riguardano il futuro. Il presente è il tempo che richiede all'uomo di aprirsi con fiducia al Signore se non vuole sperimentare l'amarezza del giudizio. Il detto contiene probabilmente una parola del profeta Isaia pronunciata qualche tempo prima del 701 quando Sennacherib cinse d'assedio Gerusalemme. Esso però è stato rielaborato alla luce dei drammatici eventi che nel 586 culminarono con la caduta di Gerusalemme ad opera di Nabucodonosor.

9. Le donne «spensierate» e «baldanzose» (gli stessi aggettivi si trovano in Am 6,1) sono l'immagine e l'espressione di una società che si è costruita contando sui propri progetti senza aprirsi con fiducia alla parola del Signore (cfr. 3, 18-26). All'orizzonte, però, si profila una grande svolta, nella quale in definitiva si realizza il giudizio di Dio.

L'effusione dello spirito 32,15-20 Il brano è stato composto in funzione della pericope precedente come risulta dalla ripresa del vocabolario della fiducia (cfr. vv. 17-18 con 9-11) e dalle antitesi tematiche che si sviluppano: invece del deserto ci sarà il giardino, invece di presuntuosa spensieratezza si avrà la tranquillità e la pace che si fondano sulla fiducia nel Signore. Si tratta quindi di un testo molto recente che intende reinterpretare la minaccia precedente.

15-18. La domanda di Is 6,11 trova qui la sua risposta. Lo spirito è «infuso» (letteralmente «ridestato») «dall'alto» (v. 15a). Questa espressione, che denota anziutto il cielo in quanto dimora di Dio (cfr. 2Sam 22, 17; Sal 144,7; Is 33,5; 38,14; 57,15), è qui sinonimo del Signore stesso (cfr. Sal 75,6; Is 58,4). Con l'effusione dello spirito giungono i tempi della nuova alleanza (Ez 36, 24-28), del nuovo esodo (Is 63,11-14) e del perdono dei peccati (Sal 51,12-14; cfr. Is 6,10c). L'autore descrive questi tempi con l'immagine del deserto che si trasforma in un giardino così esteso da apparire una «selva» (v. 15b). Il «deserto» e il «giardino» formano così i poli dello spazio salvifico del popolo del Signore che si rinnova, spazio dove «dimorano» e «regnano» il diritto e la giustizia (v. 16). La comunità raggiunta da questi beni, promessi dal Signore, vivrà nella pace (v. 17), e perciò sarà in una condizione antitetica a quella descritta nel v. 9, perché la sua fiducia e «sicurezza» scaturiscono dall'esperienza del Signore e dei suoi doni, dall'esperienza dello spirito (v. 18).

19-20. Probabilmente sono un'aggiunta. Essi assicurano che la promessa si compirà, nonostante le prove che si potranno abbattere sul popolo e sulla sua città.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R I OHomepage

Inutilità dell'alleanza con l'Egitto 1Guai a quanti scendono in Egitto per cercare aiuto, e pongono la speranza nei cavalli, confidano nei carri perché numerosi e sulla cavalleria perché molto potente, senza guardare al Santo d’Israele e senza cercare il Signore. 2Eppure anch’egli è capace di mandare sciagure e non rinnega le sue parole. Egli si alzerà contro la razza dei malvagi e contro l’aiuto dei malfattori. 3L’Egiziano è un uomo e non un dio, i suoi cavalli sono carne e non spirito. Il Signore stenderà la sua mano: inciamperà chi porta aiuto e cadrà chi è aiutato, tutti insieme periranno.

Gerusalemme custodita dal Signore 4Poiché così mi ha parlato il Signore: «Come per la sua preda ruggisce il leone o il leoncello, quando gli si raduna contro tutta la schiera dei pastori, e non teme le loro grida né si preoccupa del loro chiasso, così scenderà il Signore degli eserciti per combattere sul monte Sion e sulla sua collina. 5Come uccelli che volano, così il Signore degli eserciti proteggerà Gerusalemme; egli la proteggerà ed essa sarà salvata, la risparmierà ed essa sarà liberata». 6Ritornate, Israeliti, a colui al quale vi siete profondamente ribellati. 7In quel giorno ognuno rigetterà i suoi idoli d’argento e i suoi idoli d’oro, lavoro delle vostre mani peccatrici. 8Cadrà l’Assiria sotto una spada che non è umana; una spada non umana la divorerà. Se essa sfugge alla spada, i suoi giovani guerrieri saranno ridotti in schiavitù. 9Essa abbandonerà per lo spavento la sua rocca e i suoi capi tremeranno per un’insegna. Oracolo del Signore che ha un fuoco a Sion e una fornace a Gerusalemme.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Inutilità dell'alleanza con l'Egitto 31,1-3 Il contenuto presuppone la stessa situazione di 30,1-5 e mostra che il detto risale al 701, quindi appartiene all'ultimo tempo dell'attività profetica di Isaia. Nell'attuale contesto, dopo l'annuncio della salvezza divina e della definitiva sconfitta dell'«Assiria», appare ancora più insensata la scelta di coloro che, rifiutando la parola di Isaia, scesero in Egitto per chiederne l'aiuto. Una serie di verbi offre un insieme di riferimenti teologici che inquadrano un simile agire. Effettivamente coloro che «scendono in Egitto» e «pongono la speranza» sui cavalli, «confidano» nei carri e nella cavalleria e così «non guardano» al Santo di Israele e «non cercano» il Signore con il desiderio di conoscere e attuare il suo disegno. In altri termini, i responsabili non fondano il loro agire sulla fede (Is 7,9b). La caduta di chi aiuta e di chi è aiutato delinea l'inutilità dell'ostinato ricorso all'intervento dell'Egitto: l'inutilità di una vita non ispirata e guidata dalla fede.

Gerusalemme custodita dal Signore 31,4-9 La pericope si presenta particolarmente complessa. La formula del messaggero che la introduce (v. 4a) è redazionale, dato che in seguito non parla il Signore in prima persona, ma si parla di lui in terza persona. I vv. 6-7 sono da considerare un'aggiunta, come risulta dalla loro forma in prosa. Anche i vv. 8b-9a sembrano appartenere a una mano posteriore poiché si trovano in tensione con il v. 8a. Il testo che rimane (v. 4b-5.8a.9b) si presenta a prima vista come un annuncio di salvezza.

4-5. Il v. 4, privo della formula del messaggero, costituiva in origine un detto di giudizio. Infatti l'espressione ebraica tradotta «per combattere sul monte Sion» può anche significare «per combattere contro il monte Sion», come suggerisce l'immagine del leone che difende la sua preda, che i profeti del sec. VIII hanno utilizzato nel loro annuncio del giudizio divino contro il popolo (cfr. Am 3,12; Os 5,14). In questa prospettiva il profeta vede l'approssimarsi dell'esercito assiro che si dirige contro la città di Gerusalemme con le categorie della guerra santa, però ne inverte gli elementi. Il Signore ora non combatte più contro i nemici del suo popolo (cfr. Dt 20,1-4), ma contro la sua stessa città che non si è abbandonata fiduciosa alla sua parola. Al tempo della redazione giosiana la parola del profeta fu reinterpretata per illuminare la lotta intrapresa dal re Giosia contro l'ormai agonizzante regno assiro (vv. 5.8a.9b).

6-7. L'esortazione è un'aggiunta recente che richiama il testo di 2,20 e i passi affini di 17,8; 27,9; 30,22. Essa appartiene a un redattore che connette la salvezza escatologica con la conversione dall'idolatria e persegue l'ideale di una comunità che rifiuta ogni compromesso con le pratiche idolatriche dell'ambiente in cui vive.

9b. L'immagine del Signore che «ha un fuoco in Sion» richiama il motivo teofanico della rivelazione sul Sinai (Es 19,18). Si insinua così che la presenza del Signore in Sion rende la città luogo santo e inviolabile, dove arde il «fuoco» che consuma i suoi nemici (cfr. Is 30,33).

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R I OHomepage

Contro i figli ribelli 1Guai a voi, figli ribelli – oracolo del Signore – che fate progetti senza di me, vi legate con alleanze che io non ho ispirato, così da aggiungere peccato a peccato. 2Siete partiti per scendere in Egitto senza consultarmi, per mettervi sotto la protezione del faraone e per ripararvi all’ombra dell’Egitto. 3La protezione del faraone sarà la vostra vergogna e il riparo all’ombra dell’Egitto la vostra confusione. 4Quando i suoi capi saranno giunti a Tanis e i messaggeri avranno raggiunto Canes, 5tutti saranno delusi di un popolo che è inutile, che non porterà loro né aiuto né vantaggio, ma solo confusione e ignominia.

Vano è l'aiuto dell'Egitto 6Oracolo sulle bestie del Negheb. In una terra di angoscia e di miseria, della leonessa e del leone che ruggisce, di aspidi e draghi volanti, essi portano le loro ricchezze sul dorso di asini, i loro tesori sulla gobba di cammelli a un popolo che non giova a nulla. 7Vano e inutile è l’aiuto dell’Egitto; per questo lo chiamo «Raab l’ozioso».

La vera alternativa 8Su, vieni, scrivi questo su una tavoletta davanti a loro, incidilo sopra un documento, perché resti per il futuro in testimonianza perenne. 9Poiché questo è un popolo ribelle. Sono figli bugiardi, figli che non vogliono ascoltare la legge del Signore. 10Essi dicono ai veggenti: «Non abbiate visioni» e ai profeti: «Non fateci profezie sincere, diteci cose piacevoli, profetateci illusioni! 11Scostatevi dalla retta via, uscite dal sentiero, toglieteci dalla vista il Santo d’Israele». 12Pertanto dice il Santo d’Israele: «Poiché voi rigettate questa parola e confidate nella vessazione dei deboli e nella perfidia, ponendole a vostro sostegno, 13ebbene questa colpa diventerà per voi come una breccia che minaccia di crollare, che sporge su un alto muro, il cui crollo avviene in un attimo, improvvisamente, 14e s’infrange come un vaso di creta, frantumato senza misericordia, così che non si trova tra i suoi frantumi neppure un coccio con cui si possa prendere fuoco dal braciere o attingere acqua dalla cisterna». 15Poiché così dice il Signore Dio, il Santo d’Israele: «Nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza». Ma voi non avete voluto, 16anzi avete detto: «No, noi fuggiremo su cavalli». Ebbene, fuggite! «Cavalcheremo su destrieri veloci». Ebbene, più veloci saranno i vostri inseguitori. 17Mille saranno come uno solo di fronte alla minaccia di un altro, per la minaccia di cinque vi darete alla fuga, finché resti di voi qualcosa come un palo sulla cima di un monte e come un’asta sopra una collina.

La salvezza futura 18Eppure il Signore aspetta con fiducia per farvi grazia, per questo sorge per avere pietà di voi, perché un Dio giusto è il Signore; beati coloro che sperano in lui. 19Popolo di Sion, che abiti a Gerusalemme, tu non dovrai più piangere. A un tuo grido di supplica ti farà grazia; appena udrà, ti darà risposta. 20Anche se il Signore ti darà il pane dell’afflizione e l’acqua della tribolazione, non si terrà più nascosto il tuo maestro; i tuoi occhi vedranno il tuo maestro, 21i tuoi orecchi sentiranno questa parola dietro di te: «Questa è la strada, percorretela», caso mai andiate a destra o a sinistra. 22Considererai cose immonde le tue immagini ricoperte d’argento; i tuoi idoli rivestiti d’oro getterai via come un oggetto immondo. «Fuori!», tu dirai loro. 23Allora egli concederà la pioggia per il seme che avrai seminato nel terreno, e anche il pane, prodotto della terra, sarà abbondante e sostanzioso; in quel giorno il tuo bestiame pascolerà su un vasto prato. 24I buoi e gli asini che lavorano la terra mangeranno biada saporita, ventilata con la pala e con il vaglio. 25Su ogni monte e su ogni colle elevato scorreranno canali e torrenti d’acqua nel giorno della grande strage, quando cadranno le torri. 26La luce della luna sarà come la luce del sole e la luce del sole sarà sette volte di più, come la luce di sette giorni, quando il Signore curerà la piaga del suo popolo e guarirà le lividure prodotte dalle sue percosse.

Venuta liberatrice del Signore 27Ecco il nome del Signore venire da lontano, ardente è la sua ira e gravoso il suo divampare; le sue labbra traboccano sdegno, la sua lingua è come un fuoco divorante. 28Il suo soffio è come un torrente che straripa, che giunge fino al collo, per vagliare i popoli con il vaglio distruttore e per mettere alle mascelle dei popoli una briglia che porta a rovina. 29Voi innalzerete il vostro canto come nella notte in cui si celebra una festa; avrete la gioia nel cuore come chi parte al suono del flauto, per recarsi al monte del Signore, alla roccia d’Israele. 30Il Signore farà udire la sua voce maestosa e mostrerà come colpisce il suo braccio con ira ardente, in mezzo a un fuoco divorante, tra nembi, tempesta e grandine furiosa. 31Poiché alla voce del Signore tremerà l’Assiria, quando il Signore percuoterà con la verga. 32Ogni colpo del bastone punitivo, che il Signore le farà piombare addosso, sarà accompagnato con tamburelli e cetre. Egli combatterà contro di essa con battaglie tumultuose. 33Il Tofet, infatti, è preparato da tempo: esso è pronto anche per il re. Profondo e largo è il rogo, fuoco e legna abbondano. Lo accenderà, come torrente di zolfo, il soffio del Signore.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Contro i figli ribelli 30,1-5 Come il c. 29 anche il c. 30 fa seguire alla minaccia del giudizio (v. 1-17) l'annuncio della futura salvezza del Signore (vv. 18-26) che segnerà la fine di ogni potere oppressore (v. 27-32). La minaccia del giudizio è costituita da cinque detti originariamente indipendenti (1-5; 6-7; 8-11; 12-14 e 15-17), che il redattore ha riunito considerandoli tra loro complementari. I vv. 1-5 sono un detto di minaccia che presenta una perfetta regolarità nei suoi elementi tipici. Come 29,14; 31,1.3 e 33,1, questo detto, autentico, si riferisce agli intrighi politici che si svilupparono dopo la morte di Sargon II e che videro coinvolto anche il regno di Giuda.

1-2. L'agire dei responsabili, che progettano e stipulano alleanze senza cercare la volontà del Signore (manifestata per mezzo del profeta; cfr. 1Re 22), si configura come ribellione del figlio al padre, un crimine per il quale la futura legislazione deuteronomica, codificando un'antica norma di origine tribale, prevederà la pena di morte (Dt 21,18-21). L'espressione «figli ribelli» implica quindi di per sé la condanna di coloro che cercano un rifugio e un aiuto in un piano che non è in sintonia con il disegno del Signore. Tale è appunto l'alleanza con l'Egitto nella persona del suo faraone, identificato con l'etiope Shabako.

3-5. Il linguaggio di questi versetti richiama da vicino quello della polemica antidolatrica (cfr. 1Sam 12,21; Is 44,9-10; 47,12; 48,17; 57,12; Ger 2,8.11; 7,8; 11,19 e, soprattutto, Ab 2,18-19). È probabile che essi siano un aggiunta che prospetta il pericolo di divinizzare e, quindi, idolatrare il faraone oppressore. Solo il Signore è protezione e riparo perché dischiude sempre nuovi orizzonti di libertà e autenticità a quanti in lui si rifugiano.

Vano è l'aiuto dell'Egitto 30,6-7 Il detto sviluppa lo stesso tema e suppone la stessa situazione dei vv. 1-5. Per questo esso è comunemente ritenuto autentico e posto negli anni 705-701. Il v. 6 sembra alludere alla via percorsa dagli inviati di Ezechia per scendere in Egitto (cfr. v. 2). Chiamando l'Egitto con il nome «Raab», il mostro mitico che personificava le forze del caos, antitetiche alla creazione (cfr. Is 51,9; Gb 9,13), il profeta si innalza alle vette di una forte visione teologica. Quando il popolo del Signore non vive nel dinamismo della fede, apre la porta alle potenze del male che minacciano di introdurre nella sua storia la rovina e il caos. La fede nel Signore, che riduce «Raab» all'inattività, rende possibile guardare al futuro con la luce della speranza.

La vera alternativa 30,8-17 Preparata dalla contrapposizione tra JHWH e «Raab», la nostra pericope descrive la vera alternativa nella quale Israele è chiamato a sviluppare la scelta esistenziale della fede. Sotto il profilo letterario non si tratta di un brano unitario, ma di una “composizione” redazionale. La nota formula del messaggero, presente con alcune varianti nei vv. 12 e 15, consente di individuare tre unità originariamente indipendenti e ora riunite come parti di un unico messaggio: vv. 8-11; 12-14; 15-17. In esse si riflettono essenzialmente gli interventi del profeta negli anni 705-701, mentre la loro attuale “composizione” deriva da una forte reinterpretazione deuteronomistica che ricorre alla parola di Isaia per spiegare la caduta di Gerusalemme.

8-11. Probabilmente l'ordine di scrivere su una tavoletta (v. 8), che richiama da vicino 8,1.16, non si riferisce all'iscrizione di una parola o di una breve frase (nel qual caso si dovrebbe pensare all'espressione «Raab l'ozioso» del v. 7), ma intende un «documento» che contiene il messaggio del profeta connesso con gli eventi del 705-701. Il documento scritto serve come «testimonianza perenne» dell'autenticità delle parole di Isaia e della colpa del popolo che si è chiuso all'annuncio della parola.

12-14. I versetti sono un detto di giudizio connesso redazionalmente («Pertanto») ai versetti precedenti. La colpa del popolo consiste in ciò che Isaia considera “ripudio” della parola profetica, un atteggiamento che porta i destinatari non solo a chiudersi al messaggio, ma a «rigettarlo» perché indegno di essere «scelto» come criterio di vita (il verbo «rigettare» è antitetico a quello dell'elezione).

15-17. L'invettiva del v. 15, autentica, si condensa nella frase «voi non avete voluto» con cui si esprime la chiusura del popolo alla sua salvezza, che il profeta descrive così: «nella conversione e nella calma sta la vostra salvezza, nell’abbandono confidente sta la vostra forza». Il ritornare al Signore, il rimanere serenamente fedeli alla sua parola in mezzo alle prove, sviluppando a livello esistenziale un «abbandono confidente» nella potenza salvifica del Signore: sono questi gli atteggiamenti propri di chi, nella fede, accetta Dio come la sua unica sicurezza (cfr. 7,9b). Il v. 16, probabilmente deuteronomistico, vede la mancanza di fede nella fiducia che l'uomo pone nei propri mezzi e nelle proprie capacità di salvezza. Mentre Isaia minaccia un grave castigo nel quale solo Gerusalemme è risparmiata dalla distruzione (v. 17b), la rilettura deuteronomistica con l'iperbole di mille gettati nel panico da uno solo (v. 17a) richiama, invertendoli, i motivi della guerra sacra (cfr. Dt 32,30) per spiegare la catastrofe del 586. Le immagini isaiane di «un palo sulla cima di un monte» e di «un'asta sopra una collina» esprimono nell'ottica deuteronomistica il drammatico effetto della distruzione di Gerusalemme, ridotta a un cumulo di rovine. L'appello alla fede, con cui Isaia orientava il popolo a percorrere fiducioso le vie dischiuse dalla parola del Signore, acquista ora un nuovo spessore e porterà i suoi frutti nella teologia deuteronomistica dell'esilio e del primo periodo postesilico (cfr. Dt 4; 30).

La salvezza futura 30,18-26 Il v. 18, che suppone il travaglio dell'esilio, è una promessa e pone il futuro del popolo nella luce dell'amore fedele e misericordioso del Signore. Questa promessa di salvezza è stata ampliata nel periodo postesilico dai vv. 19-24, cui venne aggiunta, in seguito, la reinterpretazione escatologica dei vv. 25-26.

18. La bellezza del nostro versetto è data dall'inclusione formata dalla radice verbale che significa «aspettare», «attendere» («aspetta», «spera»). Il Signore attende di «essere propizio (fare grazia)» al suo popolo, egli «sorge» con la sua potenza (cfr. Nm 10,35) per rendere salvificamente operante la sua tenerezza. Perciò egli è proclamato, unico caso in tutta la Scrittura, «Dio di giustizia (Dio giusto)»: colui che, fedele alle sue promesse, realizza la sal-vezza. La contemplazione del Signore che attende il suo popolo culmina nella beatitudine di coloro che lo «attendono (sperano)» affidandosi totalmente alla sua parola. La loro attesa, in sintonia con il disegno divino, non sarà delusa.

19-24. L'autore si rivolge alla comunità cultuale, quale rappresentante di tutto il popolo del Signore. Con un linguaggio che riflette la teologia del Sal 107, il testo assicura la comunità che la sua preghiera sarà esaudita (cfr. Sal 107,6) e, pur in mezzo alle angustie, rivivrà l'esperienza dell'esodo, essendo nutrita e guidata dal suo Dio (vv. 20-21; cfr. Sal 107,5-7). In tale contesto il nostro autore sviluppa il suo messaggio specifico. La comunità vivrà alla presenza del Signore, che non si terrà più nascosto, ma si manifesterà ad essa come il suo “maestro”. Questa prospettiva suggerisce che il nostro testo si richiama alla promessa geremiana della nuova alleanza nella quale si annuncia che tutti «conosceranno» il Signore (Ger 31,31-34); cfr. Ez 36,24-28; Dt 30,6-14; Is 54,4-13.

25-26. Si sviluppa la prospettiva della salvezza nei temini propri della profezia escatologica. «La luce della luna... del sole»: questo motivo, che è presente solo qui nella Scrittura, mentre sarà ripreso nell'apocalittica giudaica (cfr. Libro dei Giubilei 1,29; 19,25; 1Enoch 91,16), caratterizza il giorno nel quale il Signore cura la ferita del suo popolo.

Venuta liberatrice del Signore 30,27-33 Questa unità, delimitata dal presentativo «Ecco» (v. 27) e dal termine «Guai», che in 31,1 segna l'inizio di un nuovo detto, continua l'annuncio salvifico del brano precedente presentando il Signore che viene per punire i popoli oppressori, in particolare l'Assiria. Una serie di elementi orienta a ritenere il brano di epoca recente, quando i testi profetici erano letti in prospettiva escatologica o, come sembra più probabile, in un'ottica già apocalittica. Tuttavia non si può escludere che l'unità abbia inglobato un detto risalente alla redazione giosiana. Tale detto, se l'ipotesi è valida, va cercato nei vv. 27a.29-31, dove l'annuncio della punizione divina inferta all'Assiria presenta, sia a livello linguistico che teologico, forti risonanze deuteronomistiche.

27-28. Il testo contiene una solenne teofania che pone l'intervento del Signore nella luce della grandiosa liberazione dall'Egitto. Il Signore viene nella sua «ira ardente» che si manifesta nelle «sue labbra», nella «sua lingua» (dunque nell'efficacia della sua parola) e nella potenza del suo soffio (il termine può anche significare «spirito e così sarà inteso da successive reinterpretazioni apocalitiche). L'immagine del torrente le cui acque «giungono fino al collo» (cfr. Sal 69,2) mostra che da tale potenza si svilupperà una forza distruttrice.

29. Secondo questo versetto la venuta del Signore inaugura l'era della liberazione di Israele. Il titolo «Roccia di Israele» ricorre altrove solo nel testo recente di 2Sam 23,3. Esso esprime con grande efficacia l'esperienza della fede che trova nel Signore l'unica fonte della propria sicurezza e della propria gioia.

30-33. La punizione dell'«Assiria»: nella redazione attuale essa è simbolo della potenza storica che opprime il popolo del Signore. Il v. 33, che in origine si riallacciava al v. 31, descrive la salvezza divina con l'immagine del «Tofet», situato nella valle di Innom (o Geenna), dove è preparato il fuoco che il Signore stesso accenderà nel tempo stabilito per annientare ogni potere oppressore.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R I OHomepage

Giudizio e salvezza di Gerusalemme 1Guai ad Arièl, ad Arièl, città dove si accampò Davide! Aggiungete anno ad anno, si avvicendino i cicli festivi. 2Io metterò alle strette Arièl, ci saranno gemiti e lamenti. Sarà per me come Arièl: 3io mi accamperò tutt’intorno contro di te e ti circonderò di trincee, innalzerò contro di te un vallo. 4Allora prostrata parlerai dalla terra, e dalla polvere saliranno le tue parole; sembrerà di un fantasma la tua voce dalla terra, e dalla polvere la tua parola risuonerà come bisbiglio. 5Sarà come polvere fine la massa dei tuoi nemici e come pula dispersa la massa dei tuoi tiranni. Ma d’improvviso, subito, 6dal Signore degli eserciti sarai visitata con tuoni, rimbombi e rumore assordante, con uragano e tempesta e fiamma di fuoco divoratore. 7E sarà come un sogno, come una visione notturna, la massa di tutte le nazioni che marciano contro Arièl, di quanti l’attaccano e la stringono d’assedio. 8Avverrà come quando un affamato sogna di mangiare, ma si sveglia con lo stomaco vuoto, e come quando un assetato sogna di bere, ma si sveglia stanco e con la gola riarsa: così succederà alla massa di tutte le nazioni che marciano contro il monte Sion.

Condanna per la cecità davanti al Signore 9Fermatevi e stupitevi, accecatevi e rimanete ciechi; ubriacatevi ma non di vino, barcollate ma non per effetto di bevande inebrianti. 10Poiché il Signore ha versato su di voi uno spirito di torpore, ha chiuso i vostri occhi, cioè i profeti, e ha velato i vostri capi, cioè i veggenti. 11Per voi ogni visione sarà come le parole di un libro sigillato: si dà a uno che sappia leggere dicendogli: «Per favore, leggilo», ma quegli risponde: «Non posso, perché è sigillato». 12Oppure si dà il libro a chi non sa leggere dicendogli: «Per favore, leggilo», ma quegli risponde: «Non so leggere».

Contro il culto esteriore 13Dice il Signore: «Poiché questo popolo si avvicina a me solo con la sua bocca e mi onora con le sue labbra, mentre il suo cuore è lontano da me e la venerazione che ha verso di me è un imparaticcio di precetti umani, 14perciò, eccomi, continuerò a operare meraviglie e prodigi con questo popolo; perirà la sapienza dei suoi sapienti e si eclisserà l’intelligenza dei suoi intelligenti».

Contro un agire assurdo 15Guai a quanti vogliono sottrarsi alla vista del Signore per dissimulare i loro piani, a coloro che agiscono nelle tenebre, dicendo: «Chi ci vede? Chi ci conosce?». 16Che perversità! Forse che il vasaio è stimato pari alla creta? Un oggetto può dire del suo autore: «Non mi ha fatto lui»? E un vaso può dire del vasaio: «Non capisce»?

La salvezza è vicina 17Certo, ancora un po’ e il Libano si cambierà in un frutteto e il frutteto sarà considerato una selva. 18Udranno in quel giorno i sordi le parole del libro; liberati dall’oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechi vedranno. 19Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore, i più poveri gioiranno nel Santo d’Israele. 20Perché il tiranno non sarà più, sparirà l’arrogante, saranno eliminati quanti tramano iniquità, 21quanti con la parola rendono colpevoli gli altri, quanti alla porta tendono tranelli al giudice e rovinano il giusto per un nulla. 22Pertanto, dice alla casa di Giacobbe il Signore, che riscattò Abramo: «D’ora in poi Giacobbe non dovrà più arrossire, il suo viso non impallidirà più, 23poiché vedendo i suoi figli l’opera delle mie mani tra loro, santificheranno il mio nome, santificheranno il Santo di Giacobbe e temeranno il Dio d’Israele. 24Gli spiriti traviati apprenderanno la sapienza, quelli che mormorano impareranno la lezione».

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Giudizio e salvezza di Gerusalemme 29,1-8 Il brano è composto da due strofe. I vv. 1-4 sono un detto «Guai» che annuncia l'assedio di Gerusalemme, interpretato teologicamente come giudizio divino, mentre i vv. 5-8 sono una promessa di salvezza che prospetta il totale fallimento degli attacchi delle nazioni contro Gerusalemme. La prima strofa, sostanzialmente autentica, riflette l'annuncio di Isaia tra il 703, anno della defezione di Ezechia da Sennacherib, e il 701, anno in cui il re assiro levò l'assedio da Gerusalemme. I vv. 5-7, invece, appartengono alla redazione giosiana. Il v. 8, infine, è un'aggiunta che reinterpreta il v. 7.

1. «Ariel» il nome viene interpretato come “leone di Dio”, “dono di Dio”, “potente”, “altare di Dio”, “cuore dell'altare” o solo “altare”. È presente diverse volte nell'Antico Testamento, dov'è usato sia come nome di persona (2Sam 23,20 e 1Cr 11,22, Esd 8,16), sia per indicare la città di Gerusalemme (Is 29,1). Viene portato anche da un arcangelo della tradizione apocrifa giudaico-cristiana. Qui il nome si riferisce a Gerusalemme, la città che dal tempo in cui Davide si era accampato contro di essa, per conquistarla (v. 1a; cfr. 2Sam 5,6-7), non aveva più conosciuto né assedio né sconfitta. Ora, nel volgere di un anno o due, nonostante le solenni feste di pellegrinaggio (v.1b), il Signore stesso assedierà Gerusalemme riempiendo la città di lamenti e gemiti (v. 2; cfr. Lam 2,5). L'intervento del Signore, come tutte le altre volte in Isaia, si compie per mezzo del re assiro.

2. L'ultimo stico è probabilmente un'aggiunta che rilegge la minaccia di Isaia alla luce della caduta di Gerusalemme e vede nella città in preda all'incendio e alla distruzione il vero «Ariel». In altri termini la città è diventata come l'altare dove le vittime sacrificali sono immolate e consumate dal fuoco (cfr. Ez 43,15-16). Il fatto che Gerusalemme sia tutto ciò per il Signore («per me») rivela che tale aggiunta reinterpreta l'annuncio isaiano del giudizio. Attraverso la distruzione, il popolo è diventato un'offerta sacrificale al Signore, preludio della dispersione e distruzione dei nemici. Non è da escludere che il nome «Ariel», che compare nella nostra pericope, sia dovuto alla stessa mano redazionale che intese caratterizzare tutto il brano con la sua prospettiva teologica.

5-7. Vi è un annuncio di salvezza, che riecheggia il linguaggio e la concezione del movimento deuteronomistico, e perciò può essere attribuito alla redazione giosiana. Si offre un'interpretazione teologica della liberazione di Gerusalemme dall'esercito assiro nel 701.

Condanna per la cecità davanti al Signore 29,9-12

9-10. È un'accusa pronunciata probabilmente da Isaia dopo che il regno di Giuda si ribellò contro Sennacherib. La durezza del linguaggio è un segno che il profeta parla con l'intento di risvegliare negli uditori la coscienza della propria responsabilità davanti al Signore e alla sua parola. I destinatari dell'accusa non sono esplicitamente nominati. Dal contesto, però, risulta che essa riguarda soprattutto la classe dominante, dalla quale in definitiva erano determinate le scelte politiche dello stato.

11-12. Si tratta di un frammento in prosa che offre una spiegazione secondaria della cecità condannata nei vv. 9-10. Il motivo del libro sigillato appartiene all'immaginario apocalitico (cfr. Dn 12,9): un autore apocalittico attualizza la parola del profeta scorgendo nella chiusura del popolo verso «ogni visione» un segno della sua cecità. Solo chi ha questa visione (cioè l'apocalittico) potrà aprire i sigilli e leggere il libro, comunicando la rivelazione definitiva del Signore e del suo disegno.

Contro il culto esteriore 29,13-14 Il testo è chiaramente delimitato dalla formula «Dice il Signore» del v. 13 e dal «Guai» del v. 15, che segna l'inizio di una nuova pericope. Il nostro detto e un annuncio del giudizio che per vocabolario, stile e bellezza artistica (cfr. le antitesi del v. 13b) è ritenuto autentico e probabilmente è stato pronunciato quando l'esercito di Sennacherib si era già avvicinato a Gerusalemme.

13. Si indica la causa per la quale sulla città sovrasta il giudizio. Il cammino con cui l'uomo si avvicina al Signore non si manifesta solo in una pietà cultuale esteriore, ma coinvolge l'interiorità dell'uomo, secondo il ricco significato simbolico che il termine «cuore» ha nei testi dell'Antico Oriente e nella stessa Scrittura. Tale esigenza di interiorità e autenticità, che sarà ripresa con particolare enfasi nell'esortazione di Dt 6,4-5, suppone una coerenza esistenziale grazie alla quale la vita del credente è in sintonia con le istanze della parola del Signore. Mancando questa sintonia vitale, il culto, da luogo di incontro con il Signore (cfr. Dt 29,3), si riduce a un ritualismo formalistico, scade a livello di «usi umani» e non è più l'ambito dove la santità divina, mediante la parola, raggiunge l'uomo e lo trasforma (cfr. Is 6).

14. L'annuncio del giudizio (v. 14) si concentra nella forma verbale che qui non significa «operare prodigi» (cfr. Sal 4,4; 17,7 e soprattutto, 77,15) ma «realizzare un'opera inaudita» (cfr. 28,29). L'inaudito è che il Signore, che ha compiuto le meraviglie dell'esodo per il suo popolo, ora si volge contro di esso. I «sapienti» e «intelligenti» sono i consiglieri politici del re che ponendo la sicurezza nei loro piani hanno smarrito la certezza vera, che l'uomo sperimenta quando si apre al Signore.

Contro un agire assurdo 29,15-16 La condanna dei capi perché vogliono tenere nascosti i loro piani al popolo e allo stesso profeta, sottraendosi così alla volontà del Signore, orienta a collocare questo detto nel tempo in cui le truppe di Sennacherib si trovavano in Giuda e il re Ezechia mandò una missione al faraone Shabako per intavolare trattative segrete di alleanza. Il profeta scorge in questo tentativo un segno ulteriore della volontà dei responsabili di crearsi un ambito di vita “nascosto” al Signore, dove elaborare i propri piani e pro-getti. L'invettiva del v. 16 si condensa in un'esclamazione che indica la perversa assurdità di una simile condotta, nella quale l'uomo si illude di potersi sottrarre impunemente al disegno divino.

La salvezza è vicina 29,17-24 I presenti versetti nella posizione che occupano attualmente creano un forte contrasto con i vv. 9-16. Il futuro del popolo del Signore non è rinchiuso nella minaccia del giudizio, ma è aperto alla salvezza. La sezione non è autentica, dato il suo evidente carattere antologico che si ispira a vari passi della «Visione di Isaia». Inoltre la prospettiva in cui si muove l'annuncio della salvezza riflette una fase non lontana dalla maturazione apocalittica.

17-18. Si annuncia che la grande svolta è ormai vicina. L'affermazione «ancora un poco» mostra che l'autore del brano si rivolge al popolo mentre si trova ancora in una situazione di angustia, nella quale rischia di perdere la fiducia e la speranza. L'era della salvezza che sta per giungere si manifesterà nella trasformazione della natura (v. 17). In questo scenario simbolico il v. 18 assicura che «in quel giorno» (l'espressione qui non è segno di un'aggiunta redazionale, ma fa parte integrante del discorso iniziato nel v. 17) il castigo annunciato in Is 6,10 e richiamato in 29,9-12 sarà definitivamente superato.

19-21. La descrizione della salvezza si sviluppa in tre motivi. Anzitutto l'autore contempla l'esultanza degli umili ('ănawim). Qui il termine non ha più un significato esclusivamente sociale (povero), ma presenta una valenza teologica: gli umili sono coloro che, nel momento della loro angustia, hanno confidato nel Signore, perseverando nell'attesa della sua salvezza (v. 19). A questa gioia si contrappone la sparizione dei tiranni e dei «beffardi» (v. 20). La rovina degli oppressori comporta, infine, l'eclisse dei giudici iniqui che manipolano i processi per salvare il colpevole e condannare l'innocente (v. 21). Il fatto che proprio in questo contesto riaffiori la critica profetica contro ogni forma di ingiustizia e oppressione è certamente significativo. L'interpretazione teologica dei termini «umili» e «poveri» si sviluppa autenticamente nella misura in cui prende sul serio l'istanza profetica di un mondo plasmato dalla giustizia e dalla fraternità.

22-24. I versetti sono stati aggiunti in periodo successivo per confermare l'annuncio salvifico precedente. In sintonia con il v. 18 la salvezza viene presentata come un vedere «il lavoro» del Signore, cioè l'agire del Signore nella storia e, in particolare, i suoi interventi salvifici per il suo popolo. La comprensione e l'accoglienza dell'opera del Signore porta i fedeli a «santificare» il nome di JHWH, in altri termini a vivere secondo il dono della salvezza ricevuta. Tale significato, che è sviluppato magistralmente in Ez 36,23-28, è inteso anche nel nostro brano, come si evince dall'evidente parallelismo tra le locuzioni «santificheranno il Santo di Giacobbe» e «temeranno il Dio di Israele». Quest'ultima locuzione, che è una variante della formula «temere il Signore», connota il rapporto vitale e autentico che unisce Israele al suo Dio nell'adorazione e nella fedeltà della vita.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R I OHomepage

POEMI SU ISRAELE E SU GIUDA

Contro la corona di Efraim 1Guai alla corona superba degli ubriachi di Èfraim, al fiore caduco, suo splendido ornamento, che domina la fertile valle, o storditi dal vino! 2Ecco, inviato dal Signore, un uomo potente e forte, come nembo di grandine, come turbine rovinoso, come nembo di acque torrenziali e impetuose, getta tutto a terra con violenza. 3Dai piedi verrà calpestata la corona degli ubriachi di Èfraim. 4E avverrà al fiore caduco, al suo splendido ornamento, che domina la valle fertile, come a un fico primaticcio prima dell’estate: uno lo vede e lo mangia appena lo ha in mano. 5In quel giorno sarà il Signore degli eserciti una corona di gloria, uno splendido diadema per il resto del suo popolo, 6ispiratore di giustizia per chi siede in tribunale, forza per chi respinge l’assalto alla porta.

Contro i beffardi ubriachi 7Anche costoro barcollano per il vino, vacillano per le bevande inebrianti. Sacerdoti e profeti barcollano per la bevanda inebriante, sono annebbiati dal vino; vacillano per le bevande inebrianti, s’ingannano mentre hanno visioni, traballano quando fanno da giudici. 8Tutte le tavole sono piene di fetido vomito; non c’è un posto pulito. 9«A chi vuole insegnare la scienza? A chi vuole far capire il messaggio? Ai bambini svezzati, appena staccati dal seno? 10Sì: precetto su precetto, precetto su precetto, norma su norma, norma su norma, un po’ qui, un po’ là». 11Con labbra balbettanti e in lingua straniera parlerà a questo popolo 12colui che aveva detto loro: «Ecco il riposo! Fate riposare lo stanco. Ecco il sollievo!». Ma non vollero udire. 13E sarà per loro la parola del Signore: «Precetto su precetto, precetto su precetto, norma su norma, norma su norma, un po’ qui, un po’ là», perché camminando cadano all’indietro, si producano fratture, siano presi e fatti prigionieri.

Contro i capi del popolo 14Perciò ascoltate la parola del Signore, uomini arroganti, signori di questo popolo che sta a Gerusalemme. 15Voi dite: «Abbiamo concluso un’alleanza con la morte, e con gli inferi abbiamo fatto lega. Il flagello del distruttore, quando passerà, non ci raggiungerà, perché ci siamo fatti della menzogna un rifugio e nella falsità ci siamo nascosti». 16Pertanto così dice il Signore Dio: «Ecco, io pongo una pietra in Sion, una pietra scelta, angolare, preziosa, saldamente fondata: chi crede non si turberà. 17Io porrò il diritto come misura e la giustizia come una livella. La grandine spazzerà via il vostro rifugio fallace, le acque travolgeranno il vostro riparo. 18Sarà annullata la vostra alleanza con la morte; la vostra lega con gli inferi non reggerà. Quando passerà il flagello del distruttore, voi sarete una massa da lui calpestata. 19Ogni volta che passerà, vi prenderà, poiché passerà ogni mattino, giorno e notte. E solo il terrore farà capire il messaggio». 20Troppo corto sarà il letto per distendersi, troppo stretta la coperta per avvolgersi. 21Poiché come sul monte Perasìm si leverà il Signore; come nella valle di Gàbaon si adirerà per compiere l’opera, la sua opera singolare, e per eseguire il lavoro, il suo lavoro inconsueto. 22Ora cessate di agire con arroganza perché non si stringano di più le vostre catene, perché un decreto di rovina io ho udito, da parte del Signore, Dio degli eserciti, riguardo a tutta la terra.

Il consiglio del Signore 23Porgete l’orecchio e ascoltate la mia voce, fate attenzione e sentite le mie parole. 24Forse tutti i giorni l’aratore ara per seminare, rompe e sarchia la terra? 25Forse non ne spiana la superficie, non vi semina l’anéto e non vi sparge il cumìno? E non vi pone grano, miglio e orzo e spelta lungo i confini? 26Gli insegna la regola e lo ammaestra il suo Dio. 27Certo, l’anèto non si batte con il tribbio, né si fa girare sul cumìno il rullo, ma con il bastone si batte l’anèto e con la verga il cumìno. 28Il frumento vien forse schiacciato? Certo, non lo si pesta senza fine, ma vi fanno passare sopra il rullo e le bestie, senza schiacciarlo. 29Anche questo proviene dal Signore degli eserciti: egli si mostra mirabile nei suoi disegni, grande nella sua sapienza.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

POEMI SU ISRAELE E SU GIUDA 28,1- 33,24 La sezione dei cc. 28-33 contiene un'importante raccolta di detti che generalmente riflettono l'ultimo periodo dell'attività di Isaia, al tempo del re Ezechia. Il profeta appare impegnato a tradurre l'esigenza della fede nel concreto delle scelte politiche, sociali e religiose. Solo il detto di 28,1-4 deriva da un periodo precedente ed è stato messo qui a motivo del tema dell'ubriachezza, sviluppato nella pericope successiva. Oltre 28,1-4 provengono da Isaia i seguenti detti: 28,7-12; 28,14-18; 29,1-4.9-10; 29,13-14; 29,15-16; 30,1-5; 30,6-7.8; 30,(8)9-17; 31,1-3. Nella nostra sezione si incontrano anche alcune reinterpretazioni aggiunte che appartengono alla redazione giosiana. Esse sono: 29,5-9; 31,4-5.8-9.

Contro la corona di Efraim 28,1-6 I vv. 1-6 formano un'unità kerygmatica costituita da un detto autentico di Isaia (vv. 1-4) contro Efraim e da una sua reinterpretazione (vv. 5-6). In base al suo contenuto il testo è da collocare verso il 724, poco prima dell'assedio di Samaria ad opera di Salmanassar.

1-4. Samaria è chiamata «corona», con evidente riferimento alla posizione collinare della città, circondata da alte mura e quindi paragonabile a una di quelle ghirlande di fiori che i commensali si ponevano sul capo durante i banchetti (cfr. Am 3,9.15; Os 7,5-7). Il titolo, usato qui in senso ironico, caratterizza l'atteggiamento orgoglioso della città che chiude gli occhi alla propria situazione drammatica abbandonandosi a un'ebbrezza sfrenata. L'espressione parallela «fiore caduco» sottindende che la città ha perso la grandezza e il fasto di un tempo e che la sua fine è ormai vicina, ad opera di un uomo «potente e forte» che «getta tutto a terra con violenza», cioè il re assiro (v. 2). Se il profeta non ne indica esplicitamente il nome, sottolinea, però che l'«uomo forte» è inviato dal Signore. Nella caduta di Samaria si attua quindi il giudizio di JHwH che il popolo attira su di sé con il suo orgoglio e la sua irresponsabilità.

5-6. Sono un'aggiunta che si connette ai versetti precedenti per offrirne una profonda reinterpretazione. Secondo quest'aggiunta, che risale al periodo postesilico, il Signore stesso sarà «corona di gloria» per il «resto del suo popolo» (v. 5). Quanto la predicazione profetica sulla giustizia e la prospettiva isaiana della fede siano rimaste vive nella tradizione di Israele appare proprio da questi versetti dove il «resto», che pone la propria gloria nel Signore, è spinto a praticare la giustizia e riceve dal suo Dio la forza necessaria per respingere ogni assalto nemico. Giustizia, forza e speranza caratterizzano la vita del popolo che non cerca in se la propria sicurezza, ma ha il Signore come propria corona e diadema.

Contro i beffardi ubriachi 28,7-13 In questa pericope i vv. 7b-12, sicuramente autentici, contengono un'amara invettiva di Isaia contro i sacerdoti e i «profeti», che si abbandonano al vizio del bere e non trasmettono più la rivelazione del Signore. Il v. 7a è stato aggiunto quando nella presente raccolta furono inseriti i vv. 1-4. Anche il v. 13, formato dalla combinazione del v. 10 con 8,15, rappresenta un ampliamento secondario.

7-8. Il quadro di avvilente degradazione risulta soprattutto grave per i protagonisti che ne sono coinvolti: i sacerdoti e i profeti cultuali, con i quali Isaia non si è mai identificato, rifiutando per sé l'appellativo di nabî', profeta. Solo a partire dal tempo di Geremia, scomparso ogni pericolo di confusione, il termine nabî' sarà adoperato per indicare uomini come Amos, Osea, Isaia e Michea, per i quali la missione profetica è direttamente connessa con la loro esperienza di vocazione. L'immagine di profeti e sacerdoti che vacillano nella visione e traballano nelle loro sentenze, rivela lo stato drammatico del popolo privo delle necessarie guide spirituali.

9-10. La situazione appare nella sua tragica gravità nei v. 9-10, dove i sacerdoti e i profeti, ubriachi, si burlano del profeta. Per essi egli si illude di «insegnare la scienza» (era compito specifico del sacerdote far “conoscere” il disegno divino) e di «insegnare la scienza e far capire il messaggio» (ritenuto compito proprio dei “profeti cultuali”). Essi non sono bambini appena svezzati e quindi si ritengono rispettivamente esperti nel campo della scienza e in quello della visione (v. 9). Il senso del v. 10 dipende dall'interpretazione della frase. Secondo alcuni la prima parte allude al carattere moralistico della predicazione isaiana, mentre la seconda ironizza sulle promesse salvifiche del profeta. Secondo altri, invece, la frase sviluppa ulteriormente l'allusione ai bambini svezzati, in quanto le parole usate servivano ad apprendere le lettere “S” e “Q” nell'insegnamento dell'alfabeto ebraico. Secondo questa interpretazione i sacerdoti e i profeti deridono la predicazione di Isaia, come se fosse la ripetizione («un po' qui, un po là») di parole puerili, che non reggono di fronte al loro messaggio.

11-12. L'ultima parte del detto contiene anzitutto l'annuncio del giudizio (v. 11). Il Signore si rivolgerà ancora al popolo, che ha rifiutato la sua parola, «in lingua straniera»: una chiara allusione all'Assiria che il profeta considera come lo strumento con cui Dio compie il suo giudizio contro il suo popolo. Secondo il v. 12, che offre una sintesi della predicazione isaiana, il profeta ha annunciato al popolo il «riposo» assicurato dalla presenza del Signore in mezzo al suo popolo e nella sua città (Emmanuele). Non ascoltando il profeta, il popolo si è chiuso al dono divino del «riposo»; in altri termini si è chiuso alla fede e, con essa, alla fiducia e alla libertà.

Contro i capi del popolo 28,14-22 Il brano suppone lo stesso contesto storico del precedente; i suoi destinatari però non sono i sacerdoti e i profeti, ma i capi del popolo (cfr. v. 14b) i quali ritengono di essersi garantita la salvezza con le alleanze.

14-15. Il profeta si rivolge direttamente ai capi, apostrofati come «uomini di scherno», perché nella loro arroganza si beffano della parola del profeta. Le espressioni «alleanza con la morte» e «lega con gli inferi» non ricorrono altrove nella Scrittura. Esse, comunque, non intendono alludere a riti occulti in onore del dio ugaritico Mot (Morte) o di Osiride, il dio della morte venerato in Egitto. Le frasi in questione rappresentano una dichiarazione sarcastica con cui Isaia descrive il vanto dei capi che con le loro alleanze (soprattutto con l'Egitto) si sono garantiti contro «il flagello distruttore» (evidente allusione all'esercito assiro). L'ultimo distico del v. 15, anche se in bocca ai capi, riflette il pensiero del profeta. Ogni sicurezza che non si fondi nel Signore equivale a un rifugiarsi nella menzogna e nella falsità e, quindi, non libera dalla rovina che si riteneva definitivamente evitata.

16-18. La risposta del Signore all'arroganza dei capi si articola in due parti. La prima (vv. 16-17a), che contiene una promessa di salvezza, interrompe la sequenza denuncia-condanna, propria di un detto del giudizio, ed è probabilmente un'aggiunta postesilica. Con l'immagine della pietra scelta, saldamente fondata, che il Signore pone in Sion, si annuncia un nuovo tempio (cfr. Sal 87), simbolo del popolo rinnovato secondo le istanze fondamentali dell'alleanza: la fede («chi crede non vacillerà») e la fraternità vissuta secondo le esigenze del diritto e della giustizia (cfr. Os 2,16). Il testo richiama da vicino la descrizione di Gerusalemme «città della giustizia» e «città fedele» di 1,26. La singolare ricchezza teologica di questo passo risulta confermata dal fatto che esso venne in seguito letto in prospettiva messianica. La seconda parte è costituita dal detto originario di Isaia che annuncia, in forma chiastica, il crollo di tutte le illusioni annunciate dai capi nel v. 15.

19-22. Nei presenti versetti sono raccolte alcune reinterpretazioni del messaggio isaiano. Il v. 22 è probabilmente un'aggiunta di natura apocalittica. Il suo autore vede nel giudizio dei v. 14-21 la prefigurazione del giudizio che riguarderà tutta la terra. L'invito a non agire con «arroganza» mostra che anche in questa tarda aggiunta risuona l'energica condanna isaiana di ogni orgoglio dell'uomo che costruisce la propria esistenza senza «ascoltare la parola del Signore».

Il consiglio del Signore 28,23-29 Mediante una parabola agricola la pericope intende spiegare l'opera «singolare» e «inconsueta» del Signore, di cui si parla al v. 21. Certamente i profeti, e tra essi Isaia, si sono richiamati nei loro detti a espressioni e tradizioni sapienziali. Il brano, tuttavia, non può essere attribuito a Isaia sia perché suppone il v. 21, che è esso stesso già un'aggiunta, sia perché si muove chiaramente nel mondo della sapienza. Ne sono un segno evidente sia la formula sapienziale di invito all'ascolto (v. 23), sia la proclamazione del consiglio e della «sapienza» del Signore (v. 29).

23-26. La parabola si presenta con una struttura armonicamente elaborata. Dopo la formula sapienziale di invito all'ascolto (v. 23), diversa dalla formula introduttiva dell'insegnamento profetico (cfr. v. 14), la parabola descrive, con una domanda retorica, il procedere del contadino che rispetta i tempi per arare e seminare nel modo appropriato (vv. 24-25). Il v. 26, che conclude la prima parte, afferma che il Signore «insegna» al contadino la «perizia» necessaria per compiere il lavoro secondo la norma (letteralmente «il diritto»).

27-29. La seconda parte della parabola (vv. 27-28) descrive i diversi procedimenti richiesti per la raccolta di ciò che a suo tempo si è seminato (aneto, cumino, frumento). La sottolineatura che il frumento «non lo si pesta senza fine» anzi si fa attenzione a non schiacciarlo (v. 28), richiama l'agire del Signore che ha provato il suo popolo per purificarlo, non per annientarlo. Con il v. 29a, simmetrico al v. 26, la seconda parte si conclude proclamando che tutto questo «proviene» (lett. «esce») dal Signore delle schiere. Il v. 29b costituisce la conclusione nella quale l'intera parabola raggiunge il suo vero scopo: orientare a comprendere il mirabile disegno del Signore nelle diverse e alterne vicende della storia. Il Signore giudica e salva secondo il suo ineffabile disegno. Perciò il giudizio, in quanto purifica, contiene il germe della salvezza e la salvezza, a sua volta, rappresenta il fiore del giudizio.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R I OHomepage

Vittoria sul caos 1In quel giorno il Signore punirà con la spada dura, grande e forte, il Leviatàn, serpente guizzante, il Leviatàn, serpente tortuoso, e ucciderà il drago che sta nel mare.

La vigna escatologica 2In quel giorno la vigna sarà deliziosa: cantàtela! 3Io, il Signore, ne sono il guardiano, a ogni istante la irrigo; per timore che la si danneggi, ne ho cura notte e giorno. 4Io non sono in collera. Vi fossero rovi e pruni, muoverei loro guerra, li brucerei tutti insieme. 5Oppure si afferri alla mia protezione, faccia la pace con me, con me faccia la pace!

Giacobbe nei giorni futuri 6Nei giorni che verranno Giacobbe metterà radici, Israele fiorirà e germoglierà, riempirà il mondo di frutti. 7Lo ha percosso quanto lo percosse il suo percussore? Oppure fu da lui ucciso come lo furono i suoi uccisori? 8Egli è entrato in contesa con lui, cacciandolo via, respingendolo, lo ha rimosso con il suo soffio impetuoso, come quando tira il vento d’oriente! 9Proprio così sarà espiata l’iniquità di Giacobbe e questo sarà tutto il frutto per la rimozione del suo peccato: mentre egli ridurrà tutte le pietre dell’altare come si fa delle pietre che si polverizzano per la calce, non erigeranno più pali sacri né altari per l’incenso. 10La fortezza è divenuta desolata, un luogo spopolato e abbandonato come un deserto; vi pascola il vitello, vi si sdraia e ne bruca gli arbusti. 11I suoi rami seccandosi si spezzeranno; le donne verranno ad accendervi il fuoco. Certo, si tratta di un popolo privo d’intelligenza; per questo non ne avrà pietà chi lo ha creato né chi lo ha formato ne avrà compassione.

Sul monte Sion 12Avverrà che, in quel giorno, il Signore batterà le spighe, dal Fiume al torrente d’Egitto, e voi sarete raccolti uno a uno, Israeliti. 13Avverrà che in quel giorno suonerà il grande corno, verranno gli sperduti nella terra d’Assiria e i dispersi nella terra d’Egitto. Essi si prostreranno al Signore sul monte santo, a Gerusalemme.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

27,1-13. Il capitolo conclusivo dell'Apocalisse isaiana contiene quattro detti escatologici riuniti insieme per integrare, con l'apporto delle loro specifiche prospettive, il quadro delineato dal messaggio dei precedenti capitoli.

Vittoria sul caos 27,1 Il primo detto è costituito dal v. 1. Si tratta di un annuncio del giudizio rivolto non contro un popolo particolare, ma contro le stesse potenze del caos di cui le strutture dell'ingiustizia e dell'oppressione sono altrettante manifestazioni storiche concrete. Il testo si ispira alla mitologia cananea e la reinterpreta. «Il drago che sta nel mare» è un'indicazione simbolica delle potenze del male che tendono a risucchiare la creazione nel caos originario. Con la vittoria del Signore, che rievoca le meraviglie presso il mare (cfr. Es 15), si realizzerà la creazione nuova.

La vigna escatologica 27, 2-5 Il canto della vigna, nel contesto che occupa, costituisce una suggestiva corona degli annunci di salvezza contenuti nei cc. 24-26. Il brano si situa all'interno di una ricca tradizione (cfr. Ez 15,3-8; Is 5,1-7; Sal 80,9-19).

2-3. Il canto inizia con la contemplazione della vigna che appare come luogo di delizia e di gioia. Il v. 2 presenta il Signore come il guardiano della sua vigna. Questo titolo divino richiama l'invocazione dei salmi (cfr. Sal 12,8; 32,7, 64,2 e 140,2.5), con cui si chiede al Signore che custodisca la vita dei suoi fedeli proteggendoli dagli empi (cfr. Gb 7,20 dove Dio è chiamato «custode dell'uomo»).

4-5. La vigna deliziosa vive nel tempo dell'amore fedele e sponsale del Signore (cfr. Is 54,4-10; 61,10-62,5). Con un esplicito richiamo al «rovi e pruni» di Is 5, si annuncia che il Signore distruggerà i nemici del suo popolo, così che in futuro la vigna possa svilupparsi in piena fedeltà (v. 4b). Poiché l'immagine dei «rovi e pruni» sembra indicare dei nemici interni alla comunità, alcuni studiosi hanno visto nel nostro canto un'allusione ai Samaritani e un appello conclusivo all'unità di tutta la comunità con i Signore. Tale spiegazione non può escludersi; essa comunque riguarda l'origine del testo. Nella sua attuale collocazione redazionale esso è inteso in senso escatologico e orienta la speranza della comunità verso il futuro promesso da colui che qui si rivela custode e difensore della sua vigna.

Giacobbe nei giorni futuri 27,6-11

27,6-9. Questi versetti presentano notevoli difficoltà. Una luce per la comprensione può venire dal fatto che il v. 6 richiama l'immagine della vite, che mette radici e cresce, in sintonia con il Sal 80,9-12. Il versetto è dunque un commento al canto della vigna. Nonostante le numerose prove incontrate nella sua storia, il popolo del Signore ha davanti a sé un futuro di crescita e di sviluppo («riempirà il mondo di frutti»). In realtà le prove provenivano dal Signore (v. 7 e v. 8) e miravano non alla morte, ma alla conversione e, quindi, alla vita. Se al canto della vigna di Is 5 che poneva il popolo sotto il giudizio divino, seguiva la pagina della vocazione di Is 6, nella quale la purificazione del profeta appariva come simbolo della futura salvezza del popolo, qui, dopo il canto della vigna deliziosa di Is 27,2-5, si annuncia esplicitamente (v. 9) che attraverso la purificazione il Signore opera l'espiazione della colpa di Giacobbe: situa nuovamente il popolo nell'ambito della vita, perdonando il suo peccato (cfr. Is 6,7). Segno dell'opera divina è la scomparsa definitiva di ogni idolatria e delle sue molteplici espressioni cultuali.

10-11. L'immagine della fortezza che crolla ricorda, nel contesto dei cc. 24-27, il destino della città del caos. L'immagine dei rami, che seccandosi si spezzano e servono per accendere il fuoco, richiama da vicino il detto sulla vigna infruttuosa di Ez 15; perciò anche i vv. 10-11 intendono essere un commento al canto della vigna deliziosa e identificano coloro che non ricorrono alla protezione del Signore con gli empi della città del caos destinati a perire. Non si può escludere che i versetti contengano una velata allusione al destino di Samaria, di cui si condanna la separazione insipiente dalla comunità di Gerusalemme. Nell'attuale contesto, però, ci sembra che il messaggio sia stato compreso in una prospettiva più universale.

Sul monte Sion 27,12-13 Si riassume la connotazione escatologica dei cc. 24-27, annunciando il ritorno dei figli di Israele dall'Assiria e dall'Egitto (v. 12). Le immagini della trebbiatura e del suono della tromba saranno poi riprese dall'apocalittica e inserite nel contesto del giudizio che accompagna la fine di questo mondo. Nel nostro testo esse presentano l'opera del Signore che cerca uno per uno i figli del suo popolo e li convoca «sul monte santo, in Gerusalemme»: il monte del banchetto (Is 25) e il monte della rivelazione (Is 2). L'immagine del ritorno del popolo del Signore costituisce una solenne conclusione parallela a Is 11,12-16 e 35,1-10. Ciò conferma che l'Apocalisse isaiana va vista non come unità a sé stante, ma come il culmine delle sentenze contro le genti, con le quali forma la grande sezione dei cc. 13-27.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R I OHomepage

Il canto per la città forte 1In quel giorno si canterà questo canto nella terra di Giuda: «Abbiamo una città forte; mura e bastioni egli ha posto a salvezza. 2Aprite le porte: entri una nazione giusta, che si mantiene fedele. 3La sua volontà è salda; tu le assicurerai la pace, pace perché in te confida. 4Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna, 5perché egli ha abbattuto coloro che abitavano in alto, ha rovesciato la città eccelsa, l’ha rovesciata fino a terra, l’ha rasa al suolo. 6I piedi la calpestano: sono i piedi degli oppressi, i passi dei poveri».

Il giusto nella prova degli ultimi tempi 7Il sentiero del giusto è diritto, il cammino del giusto tu rendi piano. 8Sì, sul sentiero dei tuoi giudizi, Signore, noi speriamo in te; al tuo nome e al tuo ricordo si volge tutto il nostro desiderio. 9Di notte anela a te l’anima mia, al mattino dentro di me il mio spirito ti cerca, perché quando eserciti i tuoi giudizi sulla terra, imparano la giustizia gli abitanti del mondo. 10Si usi pure clemenza al malvagio: non imparerà la giustizia; sulla terra egli distorce le cose diritte e non guarda alla maestà del Signore. 11Signore, si era alzata la tua mano, ma essi non la videro. Vedranno, arrossendo, il tuo amore geloso per il popolo, e il fuoco preparato per i tuoi nemici li divorerà. 12Signore, ci concederai la pace, perché tutte le nostre imprese tu compi per noi. 13Signore, nostro Dio, altri padroni, diversi da te, ci hanno dominato, ma noi te soltanto, il tuo nome invocheremo. 14I morti non vivranno più, le ombre non risorgeranno; poiché tu li hai puniti e distrutti, hai fatto svanire ogni loro ricordo. 15Hai fatto crescere la nazione, Signore, hai fatto crescere la nazione, ti sei glorificato, hai dilatato tutti i confini della terra. 16Signore, nella tribolazione ti hanno cercato; a te hanno gridato nella prova, che è la tua correzione per loro. 17Come una donna incinta che sta per partorire si contorce e grida nei dolori, così siamo stati noi di fronte a te, Signore. 18Abbiamo concepito, abbiamo sentito i dolori quasi dovessimo partorire: era solo vento; non abbiamo portato salvezza alla terra e non sono nati abitanti nel mondo. 19Ma di nuovo vivranno i tuoi morti. I miei cadaveri risorgeranno! Svegliatevi ed esultate voi che giacete nella polvere. Sì, la tua rugiada è rugiada luminosa, la terra darà alla luce le ombre. 20Va’, popolo mio, entra nelle tue stanze e chiudi la porta dietro di te. Nasconditi per un momento, finché non sia passato lo sdegno. 21Perché ecco, il Signore esce dalla sua dimora per punire le offese fatte a lui dagli abitanti della terra; la terra ributterà fuori il sangue assorbito e più non coprirà i suoi cadaveri.

=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

Il canto per la città forte 26,1-6 Il testo è affine, per forma e contenuto, all'inno di 25,1-6 e perciò deve essere attribuito allo stesso strato. Si tratta di un inno che è modellato sulla forma di un antico canto di vittoria e si presenta suddiviso in due parti. Nei vv. 1-4 il popolo dei giusti (qui parla un “noi” mentre in Is 25, 1-6 parla un “io”) loda una città, che è ovviamente da identificare con Gerusalemme; invece nei vv. 5-6 si parla della distruzione di una città che aveva la pretesa di innalzarsi con la sua forza al di sopra di tutti. Inserito nell'attuale contesto dalla formula redazionale «In quel giorno», l'inno assume una tonalità escatologica che ravviva la sicurezza nell'imminente vittoria del Signore, quando per il popolo fedele giungerà «quel giorno», il giorno della liberazione definitiva.

1-4. La comunità sa di avere, in Gerusalemme, «una città forte», che ha resistito alle prove più amare della storia e ora si presenta nuovamente circondata da mura e baluardo, eretti dal Signore per la «salvezza» del suo popolo. Questa espressione, che vede nelle mura la garanzia della sicurezza e della tranquillità del popolo, orienta a ritenere che l'inno sia stato originariamente composto in occasione della ricostruzione delle mura di Gerusalemme ad opera di Neemia. Nell'attuale prospettiva escatologica il contesto storico è trasceso.

5-6. La seconda parte conferma l'affermazione che presentava il Signore come «roccia eterna». Coloro che «abitavano in alto», che rifiutavano di accogliere nella propria vita il disegno del Signore, difensore dei poveri e degli oppressi (cfr. Sal 9,10-11; 10,12-18) sono stati abbattuti da JHWH. La stessa fine è riservata alla città «eccelsa» (cfr. 24,10), caratterizzata dalla pretesa della propria superiorità e dalla sete di imporre su tutti il proprio dominio.

Il giusto nella prova degli ultimi tempi 26,7-21 Il brano appartiene allo strato fondamentale e la sua composizione è avvenuta non molto dopo quella di 24,1-20. Dopo l'inizio (v. 7), costituito da una sentenza di tipo sapienziale, segue un testo contraddistinto dal dialogo della comunità (prima persona plurale) con il Signore. La composizione, che sotto certi aspetti può essere definita una lamentazione, si conclude con il v. 18. Il v. 19 è un'aggiunta nella quale si risponde al lamento del popolo con l'annuncio della risurrezione. Infine i vv. 20-21, che per il genere letterario si distinguono dai precedenti, possono però essere ritenuti parte del testo in quanto suppongono la stessa situazione di prova escatologica e rappresentano la risposta dell'autore al lamento innalzato dal popolo al suo Dio. L'unione dei vv. 20-21 ai vv. 7-18 risulta confermata dal carattere peculiare di questi ultimi. In essi, intatti, non solo l'autore ha rinunciato al metro proprio della lamentazione, ma si riscontrano anche una presenza particolarmente accentuata del motivo della fiducia e un tono didattico che nei vv. 7a.9b e 10a assume addirittura la forma di un detto sapienziale. Questi rilevi formali orientano a vedere nel salmo un forte carattere parenetico che culmina nell'esortazione dei vv. 20-21.

7-9. Vi si trova una confessione di fiducia, il cui fondamento è presentato, in modo originale, nella sentenza del v. 7. La confessione del Signore che libera la vita dei fedeli dagli impedimenti dell'ingiustizia e della perversità è la base della fiducia. Essa si caratterizza come speranza che si sviluppa «nella via dei giudizi» divini, vale a dire in un cammino plasmato dalla parola che illumina le diverse situazioni della vita e della storia con la luce del disegno del Signore (v. 8). Perciò la comunità vive in un'ardente attesa del Signore, che si rende presente nella storia («nome») e nel «ricordo» dei suoi prodigi (cfr. Es 3,15), un'attesa che investe la totalità della persona («anima, «spirito») e la totalità del tempo (notte e giorno), perché mossa dalla certezza che solo nei «giudizi» del Signore l'uomo può imparare la giustizia (v. 9).

*11. «amore geloso»: la gelosia, nell'antica tradizione di Israele, connotava la potenza dell'amore con cui il Signore tutela il suo nome punendo le infedeltà del suo popolo. Qui, come in Zc 1,14-16; 8,2, il vocabolo appare con una nuova sottolineatura. La gelosia che JHWH ha per la sua gloria diventa la gelosia per il popolo, potenza d'amore che in ogni avversità dischiude un futuro di liberazione. L'immagine del fuoco preparato per i nemici del popolo, che sono per ciò stesso i nemici di JHWH, esprime con efficacia la dimensione salvifica della gelosia del Signore per il suo popolo (cfr. 9,6; 37,32; Sal 25,3; 86,17).

12-15. Nell'ottica del Signore «geloso per il suo popolo», si rinnova la confessione della fiducia. JHWH certamente esaudirà la preghiera del suo popolo concedendo la pace (v. 12). Questa certezza è rafforzata dal ricordo dei «padroni» che hanno dominato su Israele e che ora sono morti e non potranno più ritornare. Il Signore non solo li ha distrutti esaudendo la preghiera di Israele, ma ha fatto crescere e dilatare la nazione. Questa descrizione, che in parte è influenzata da 54,1-3, vede nella liberazione dalle dominazioni passate il segno dell'atteso intervento del Signore che inaugurerà la pienezza della salvezza.

16-18. Di nuovo un lamento rivolto direttamente al Signore. Nella supplica al Signore e nel riconoscimento della prova come «correzione» divina (cfr. Dt 8,2-5), il testo offre un prezioso orientamento alla comunità afflitta da un'angosciante frustrazione che coinvolge il significato stesso della sua esistenza e missione. L'immagine dei dolori del parto, cui non segue nessuna nascita (vv. 17-18a), è particolarmente espressiva di questo senso di frustrazione e di impotenza.

19. Colui che inserì questa aggiunta non solo testimonia di aver compreso dove il testo raggiungeva il suo vertice, ma mostra anche che l'annuncio della risurrezione è scaturito dalla fecondità della fede di Israele. La fede nella risurrezione qui appare con una ricchezza singolare che si sprigiona da tre antitesi nette e vigorose: i morti del Signore vivranno, i cadaveri (quelli che per la loro condizione cadono perché privi dell'energia vitale) sorgeranno (liberi dal giogo della morte); coloro che scendono nella «polvere» (qui sinonimo della tenebrosa regione dei morti) si sveglieranno (nella luce della vita e della rivelazione) e gioiranno (nell'esperienza piena della salvezza). La finale del v. 19 richiama il fondamento stesso della fede nella risurrezione. Fondendo insieme le immagini della rugiada (simbolo di vita rinnovata e feconda) e della luce (simbolo di vita nella benedizione divina, cfr. 9,1; 42,6.16; 58,8.10; Sal 27,1; 36,10; Nm 6,24-25), l'autore presenta il Signore nella sua potenza infinita che investe la regione della morte (qui denominata «terra») costringendola a «dare alla luce» coloro che in essa trascorrono un'esistenza umbratile, priva della vera vita. L'immagine della vita, che la morte non può tenere in suo potere, apre una prospettiva incommensurabile nell'orizzonte della speranza che anima il brano.

20-21. Nell'immagine della terra che scoprirà il sangue versato dalla violenza degli uomini (cfr. Gn 4,10) si racchiude una grande certezza. Nonostante il momentaneo trionfo della violenza e dell'ingiustizia, nessuna colpa potrà rimanere nascosta e impunita. Nel futuro dischiuso dalla promessa, la creazione non sarà più coinvolta dalla colpa dell'uomo, ma diventerà lo spazio di un mondo nuovo: il mondo della salvezza nel quale si realizzano i valori della giustizia, del diritto, dell'amore e della tenerezza (cfr. Os 2, 21).

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


🔝C A L E N D A R I OHomepage