📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

Ambiguità della ricchezza 1L'insonnia del ricco consuma il corpo, i suoi affanni gli tolgono il sonno. 2Le preoccupazioni dell'insonnia non lasciano dormire, come una grave malattia bandiscono il sonno. 3Un ricco fatica nell'accumulare ricchezze, e se riposa è per darsi ai piaceri. 4Un povero fatica nelle privazioni della vita, ma se si riposa cade in miseria. 5Chi ama l'oro non sarà esente da colpa, chi insegue il denaro ne sarà fuorviato. 6Molti sono andati in rovina a causa dell'oro, e la loro rovina era davanti a loro. 7È una trappola per quanti ne sono infatuati⊥, e ogni insensato vi resta preso. 8Beato il ricco che si trova senza macchia e che non corre dietro all'oro⊥. 9Chi è costui? Lo proclameremo beato, perché ha compiuto meraviglie in mezzo al suo popolo. 10Chi ha subìto questa prova ed è risultato perfetto? Sarà per lui un titolo di vanto. Chi poteva trasgredire e non ha trasgredito, fare il male e non lo ha fatto? 11Per questo si consolideranno i suoi beni e l'assemblea celebrerà le sue beneficenze.

Moderazione a tavola 12Sei seduto davanti a una tavola sontuosa? Non spalancare verso di essa la tua bocca e non dire: “Che abbondanza qua sopra!”. 13Ricòrdati che è un male l'occhio cattivo⊥. Che cosa è stato creato peggiore dell'occhio? Per questo esso lacrima davanti a tutti. 14Non tendere la mano dove un altro volge lo sguardo⊥ e non precipitarti sul piatto insieme con lui. 15A partire da te intendi i desideri del tuo prossimo e su ogni cosa rifletti. 16Mangia da uomo frugale ciò che ti è posto dinanzi, non masticare con voracità per non renderti odioso. 17Sii il primo a smettere per educazione, non essere ingordo per non incorrere nel disprezzo. 18Se siedi tra molti invitati, non essere il primo a tendere la mano.

19Per un uomo educato il poco è sufficiente; quando si corica non respira con affanno. 20Il sonno è salubre se lo stomaco è regolato, al mattino ci si alza e si è padroni di sé. Il tormento dell'insonnia e della nausea e la colica accompagnano l'uomo ingordo. 21Se sei stato forzato a eccedere nei cibi, àlzati, va' a vomitare e ti sentirai sollevato⊥. 22Ascoltami, figlio, e non disprezzarmi, alla fine troverai vere le mie parole. In tutte le tue opere sii diligente e nessuna malattia ti coglierà. 23Molti lodano chi è sontuoso nei banchetti, e la testimonianza della sua munificenza è degna di fede. 24La città mormora di chi è tirchio nel banchetto, e la testimonianza della sua avarizia è esatta.

L’uso del vino 25Non fare lo spavaldo con il vino, perché il vino ha mandato molti in rovina. 26La fornace prova il metallo nella tempera, così il vino i cuori, in una sfida di arroganti. 27Il vino è come la vita per gli uomini, purché tu lo beva con misura. Che vita è quella dove manca il vino?⊥ Fin dall'inizio è stato creato per la gioia degli uomini. 28Allegria del cuore e gioia dell'anima è il vino bevuto a tempo e a misura.⊥ 29Amarezza dell'anima è il vino bevuto in quantità, con eccitazione e per sfida. 30L'ubriachezza accresce l'ira dello stolto a sua rovina, ne diminuisce le forze e gli procura ferite. 31Durante un banchetto non rimproverare il vicino, non deriderlo nella sua allegria. Non dirgli parole di biasimo e non affliggerlo chiedendogli quanto ti deve.

_________________ Note

31,25-31 Pur contenendo l’esortazione a fuggire l’ubriachezza (vv. 29-30), questa vivace trattazione non esita a mettere in luce i pregi del vino.

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Approfondimenti

vv. 1-11. Continua la riflessione sulle ricchezze e sull'uso del denaro. In primo piano la diffidenza di Ben Sira per il denaro (vv. 1-7), causa di insonnia e fatica, peccati e rovina. Segue, poi, un profilo lusinghiero del ricco senza macchia, che non corre dietro all'oro. Costui compie meraviglie in mezzo al suo popolo e l'assemblea ne ricorda le beneficenze: allusione, forse, ad apposite iscrizioni per i benefattori delle sinagoghe (vv. 9.11). Può essere proclamato beato, perché ha superato una prova: potendo compiere il male non lo ha fatto (vv. 8-11). È probabile che Ben Sira disapprovi non solo quanti si sono arricchiti con l'inganno e le trasgressioni, ma anche, per contrasto, i loro adulatori.

vv. 12-24. Ecco una sorta di galateo (vv. 12-24), rivolto a chi è invitato (vv. 12-22) e a chi deve invitare (vv. 23-24). Anche la sapienza egiziana conosce esortazioni al dominio di sé in occasione di banchetti. La casistica piuttosto ricca lascia intravedere la stima e la pratica dell'ospitalità nell'Oriente antico. In tutte le situazioni per Ben Sira vale l'invito alla moderazione (v. 22c) e al comportamento educato (vv. 17a.19a), da vero uomo (v. 16a). In caso di forzata smoderatezza, si consiglia il vomito: ma solo per non star male, non per continuare a mangiare, come presso i Romani (v. 21). Chi è moderato in tutte le sue azioni evita le malattie (v. 22d). La città parla, in bene e in male, del munifico e dell'avaro nei banchetti (vv. 23-24).

vv. 25-31. Il brano mette insieme vari insegnamenti sull'uso del vino, quasi a dimostrazione del principio della moderazione (v. 22). Dopo aver richiamato la forza distruttiva della bevanda (vv. 25-26), se ne tesse l'elogio in quanto creatura destinata al bene dell'uomo (vv. 27-28), per poi tornare alle conseguenze negative dell'abuso (vv. 29-30). Il v. 31 è una transizione al brano successivo: consiglia di non approfittare del clima di distensione dei banchetti per chiedere al vicino il saldo dei debiti (18,18; 20,15). I piaceri della vita, vissuti con moderazione, non esauriscono l'orizzonte sapienziale di Ben Sira, per il quale l'amicizia vera è come un vino invecchiato (9,10) e l'amore della sapienza rallegra il cuore, più del vino e della musica (40, 20).

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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L’educazione dei figli 1Chi ama il proprio figlio usa spesso la frusta per lui, per gioire di lui alla fine. 2Chi corregge il proprio figlio ne trarrà vantaggio e se ne potrà vantare con i suoi conoscenti. 3Chi istruisce il proprio figlio rende geloso il nemico e davanti agli amici si rallegra. 4Muore il padre? È come se non morisse, perché dopo di sé lascia uno che gli è simile. 5Durante la vita egli gioisce nel contemplarlo, in punto di morte non prova dolore⊥. 6Per i nemici lascia un vendicatore, per gli amici uno che sa ricompensarli. 7Chi accarezza un figlio ne fascerà poi le ferite, a ogni grido il suo cuore sarà sconvolto. 8Un cavallo non domato diventa caparbio, un figlio lasciato a se stesso diventa testardo. 9Vezzeggia il figlio ed egli ti riserverà delle sorprese, scherza con lui, ti procurerà dispiaceri. 10Non ridere con lui per non doverti rattristare, e non debba alla fine digrignare i denti. 11Non concedergli libertà in gioventù, non prendere alla leggera i suoi errori. 12Piegagli il collo quando è giovane, e battigli i fianchi finché è fanciullo, perché poi intestardito non ti disobbedisca e tu ne abbia un profondo dolore. 13Educa tuo figlio e prenditi cura di lui, così non dovrai sopportare la sua insolenza.

Il bene della salute 14Meglio un povero di aspetto sano e forte che un ricco malato nel suo corpo. 15Salute e vigore valgono più di tutto l'oro, un corpo robusto più di un'immensa fortuna. 16Non c'è ricchezza superiore alla salute del corpo e non c'è felicità più grande della gioia del cuore. 17Meglio la morte che una vita amara, il riposo eterno che una malattia cronica. 18Cose buone versate su una bocca chiusa sono come cibi deposti sopra una tomba. 19A che serve all'idolo l'offerta di frutti? Esso non mangia né sente il profumo; così è per colui che il Signore perséguita⊥. 20Egli guarda con gli occhi e geme, come un eunuco che abbraccia una vergine e geme: ⌈così è per colui che fa giustizia con violenza.⌉

Ansietà e gioia 21Non darti in balìa della tristezza e non tormentarti con i tuoi pensieri. 22La gioia del cuore è la vita dell'uomo⊥, l'allegria dell'uomo è lunga vita. 23Distraiti e consola il tuo cuore, tieni lontana la profonda tristezza, perché la tristezza ha rovinato molti e in essa non c'è alcun vantaggio. 24Gelosia e ira accorciano i giorni, le preoccupazioni anticipano la vecchiaia. 25Un cuore limpido e sereno si accontenta dei cibi e gusta tutto quello che mangia.

_________________ Note

30,1 Nella società antica patriarcale, di cui si adottano i criteri educativi, molto diversi dai nostri, il figlio veniva educato con grande severità (vedi vv. 7-13).

30,13a Il testo ebraico reca: “Correggi tuo figlio e rendi pesante il suo giogo”.

30,18b Il testo ebraico reca: “sono come cibi deposti davanti a un idolo”.

30,25a Il testo ebraico reca: “Il sonno di un cuore sereno è per lui come un cibo succulento”.

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Approfondimenti

vv. 1-13. Ben Sira raccomanda un'educazione severa fin dalla tenera età. Così si può evitare quanto prescritto dalla legge (cfr. Dt 21,18-21): cioè che i genitori conducano il figlio testardo e ribelle al tribunale degli anziani della città, che lo condannano alla lapidazione. Una pedagogia severa prepara una fine felice e fiera: allontana le brutte sorprese e permette di lasciare ai posteri – nemici e amici – un degno continuatore del padre. In sintonia con la tradizione sapienziale, per la quale «frusta e correzione in ogni tempo sono saggezza» (22,6b; Pr 13,24; 29,15), Ben Sira respinge l'atteggiamento sia di chi si disinteressa dell'educazione dei figli, che è una vera e propria “occupazione” (v. 13a), sia di chi annulla le distanze nel rapporto educativo. Nei vv. 7-12 prende corpo un manuale di rigorosa pedagogia familiare: abolire carezze e coccole, giochi e scherzi; sin da piccolo (cfr. 7,23) far conoscere giogo e battiture, come si fa con un cavallo da domare, senza concedere spazi di potere e senza sottovalutare i difetti (v. 11).

vv 14-20. Il brano fa l'elogio della salute del corpo: vale più di tutte le fortune (vv. 14-17). È preferibile morire che sopportare una malattia cronica (v. 18; cfr. Tb 3,6). Essa è vista come punizione del peccato (cfr. 5,3b; 38,15; Dt 28,59; Gv 9,2). Perseguitato dal Signore, il malato non può gustare cibi né profumi (v. 19): è nella stessa condizione del morto o dell'idolo al quale i pagani portano cibarie (cfr. Is 57,6; Dn 14,1-22; Sal 115,4-7).

vv. 21-25. Al tema della buona salute si aggancia quello della gioia. Ben Sira invita a concedersi delle distrazioni (v. 23a; cfr. 14,16: qualche manoscritto parla di «amarsi»), evitando di dare preoccupazioni inutili alla propria anima (v. 21; cfr. Mt 6,34). Ne risulta un beneficio anche fisico, capace di influenzare positivamente la lunghezza (vv. 22.24b) ed il gusto della vita (v. 25). Qoelet svolge considerazioni simili, a partire dalla fugacità della giovinezza e collegandole, comunque, con il giudizio di Dio (Qo 11,9-10).

Conclusione. Nell'orizzonte classico, il denaro e i beni di fortuna, i figli e la salute sono segni della divina benedizione. Bisogna imparare a farne un uso saggio, nel rispetto dei comandamenti, ma senza dimenticare i rischi di rimetterci, economicamente e psicologicamente. La pedagogia familiare e religiosa non va oltre un appello alla sana severità della tradizione deuteronomistica. L'ideale di felicità terrena non si piega all'eventualità di una vita amara e fa invocare perfino la morte di fronte ad una malattia cronica. A questo quadro morale, piuttosto statico, il Nuovo Testamento offrirà un respiro teologico nuovo nella relazione del «Padre celeste» con i suoi figli e dei figli tra di loro.

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Il prestito 1Chi pratica la misericordia concede prestiti al prossimo, chi lo sostiene con la sua mano osserva i comandamenti. 2Da' in prestito al prossimo quando ha bisogno, e a tua volta restituisci al prossimo nel momento fissato. 3Mantieni la parola e sii leale con lui, e in ogni momento troverai quello che ti occorre. 4Molti considerano il prestito come cosa trovata e causano fastidi a coloro che li hanno aiutati. 5Prima di ricevere, uno bacia la mano del creditore e parla con voce sommessa delle ricchezze altrui; ma alla scadenza cerca di guadagnare tempo, trova delle scuse e incolpa le circostanze. 6Se paga, a stento riceve la metà, e deve considerarla come una cosa trovata. In caso contrario, spoglia il creditore dei suoi averi e senza motivo se lo rende nemico; maledizioni e ingiurie gli restituisce, e invece della gloria gli rende disprezzo. 7Molti si rifiutano di prestare non per cattiveria, ma per paura di essere derubati senza ragione.

L’elemosina 8Tuttavia sii paziente con il misero, e non fargli attendere troppo a lungo l'elemosina. 9Per amore del comandamento soccorri chi ha bisogno, secondo la sua necessità non rimandarlo a mani vuote. 10Perdi pure denaro per un fratello e un amico, non si arrugginisca inutilmente sotto una pietra. 11Disponi dei beni secondo i comandamenti dell'Altissimo e ti saranno più utili dell'oro. 12Riponi l'elemosina nei tuoi scrigni ed essa ti libererà da ogni male. 13Meglio di uno scudo resistente e di una lancia pesante, essa combatterà per te di fronte al nemico.

Le cauzioni 14L'uomo buono garantisce per il prossimo, ma chi ha perduto ogni vergogna lo abbandona. 15Non dimenticare il favore di chi si è fatto garante, poiché egli si è impegnato per te. 16Il vizioso dilapida i beni del suo garante 17e l'ingrato di cuore abbandona chi l'ha salvato. 18La cauzione ha rovinato molta gente onesta, li ha sballottati come onda del mare. Ha mandato in esilio uomini potenti, li ha costretti a vagare fra genti straniere. 19Un peccatore si precipita verso la garanzia, va dietro ai guadagni e finisce in tribunale. 20Aiuta il tuo prossimo secondo la tua possibilità e bada a te stesso per non rovinarti.

Sobrietà di vita e ospitalità 21Le prime necessità della vita sono acqua, pane e vestito, e una casa che protegga l'intimità. 22Meglio vivere da povero sotto un riparo di tavole, che godere di cibi sontuosi in casa d'altri. 23Sii contento del poco come del molto, e non ti sentirai rinfacciare di essere forestiero. 24Brutta vita andare di casa in casa, non potrai aprire bocca dove sarai forestiero. 25Dovrai accogliere gli ospiti, versare vino senza un grazie, e oltre a ciò ascolterai parole amare: 26“Vieni, forestiero, apparecchia la tavola, se hai qualche cosa sotto mano, dammi da mangiare”. 27“Vattene via, forestiero, c'è uno più importante di te, mio fratello sarà mio ospite, ho bisogno della casa”. 28Per un uomo che ha intelligenza sono dure queste cose: il rimprovero di essere forestiero e l'insulto di un creditore.

_________________ Note

29,1-7 Prestare senza interesse era prescritto dalla legge in favore di ogni Israelita che fosse nel bisogno (Dt 15,7-8). Tuttavia qui viene consigliata anche la prudenza, per non imbattersi in profittatori e truffatori (vedi anche Pr 22,7).

29,14-20 Mentre il libro dei Proverbi mette in guardia dal farsi garanti (Pr 6,1-5; 11,15; 17,18; 22,26-27), il Siracide considera le cauzioni come un aiuto al prossimo (vv. 14-15); ma occorre una grande prudenza (vv.16-20).

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Approfondimenti

In 27,1 Ben Sira aveva affermato che «per amore del denaro molti peccano e la ricerca delle ricchezze fa distogliere lo sguardo» dal povero. Ora nell'intero c. 29 riprende e sviluppa il tema dell'uso del denaro in rapporto a chi ha bisogno di un prestito (vv. 1-7), di un'elemosina (vv. 8-13) o di una cauzione (vv. 14-20). Pur consapevole dei rischi di rimetterci, Ben Sira incoraggia a soccorrere (v. 1) e ad essere magnanimi (v. 8) «per amore del comandamento» (v. 9: charin entolēs), superando la logica dell'amore del denaro (charin diaphorou: 27,1). Il c. 29 si chiude con un quadro patetico dedicato a chi va di casa in casa abusando dell'ospitalità (vv. 21-28). Poi si torna all'ambito familiare: l'educazione dei figli (vv. 1-13), la salute (vv. 14-20) e la gioia di vivere (vv. 21-25).

vv. 1-7. Il brano passa dal punto di vista di colui che fa prestiti (vv. 1-3) a quello di colui che li chiede e non restituisce (v. 4-7). Mentre al primo si raccomanda una generosità religiosa (cfr. Pr 19,17), il secondo è messo in guardia contro l'abuso di considerare il prestito come «cosa trovata» (vv. 4a.6b). Una pennellata ironica (v. 5) e amara (v. 6) descrive colui che domanda il prestito: prima la voce sommessa per ottenere, poi i piagnistei e gli insulti per non restituire. Nel testo si dà per scontato che non deve esserci usura: segno che ci si muove tra correligionari (cfr. Dt 23,20-21). Diversa la prospettiva di Gesù (cfr. Lc 6,34).

vv. 8-13. Dal caso di colui che chiede prestiti senza scrupoli si passa ora a quello di un vero povero: l'elemosina non si può rifiutare a «causa del comandamento» (v. 9a; cfr. Dt 15,7-11). Si fa appello ai comandamenti per valorizzare al massimo le proprie ricchezze mediante la beneficenza (v. 11). Il messaggio sull'elemosina è tradizionale: 3,14-15; 3,30-4,6; Pr 19,17. Nel NT l'orizzonte della ricompensa si allarga oltre la vita presente (cfr. Lc 12,33; 16,9). Il v. 10 apre e chiude con l'idea della perdita: meglio perdere denaro per fratelli e amici, che perderlo a causa della ruggine nell'illusione di conservarlo sotto la pietra (cfr. Is 45,3; Mt 25,18). L'elemosina è un bene paradossale: è la vera ricchezza da conservare al sicuro nei ripostigli (cfr. Mt 6,20; 19,21; Lc 12,33; 16,9) per i giorni di necessità (v. 12), nei quali si rivelerà come scudo e lancia di difesa (v. 13).

vv. 14-20. Mentre il libro dei Proverbi mette in guardia contro la cauzione (6,1-5; 11,15; 22,26-27), Ben Sira la raccomanda, perché la considera un'opera di beneficenza verso il prossimo (cfr. l'inclusione nei vv. 14a.20a). Ma non manca di esortare alla prudenza (v. 20b). Il garante è presentato come salvatore: solo l'uomo dal cuore ingrato lo dimentica (v. 17). Nel brano è considerato peccatore sia chi dilapida i beni del garante, che colui che fa garanzie precipitose e interessate (vv. 16.19), per impossessarsi dei pegni agendo da usuraio (cfr. Es 22,24-25; Lv 25,36; Dt 23,20; 24,12-13; Am 2,8).

vv. 21-28. Il brano esalta l'ideale dell'uomo contento di vivere a casa propria, col poco o col molto che possiede. Bersaglio sono i forestieri (paroikoi/paroikia: 5 volte nel brano), che chiedono ospitalità di casa in casa. Forse si tratta di piccoli commercianti che, per amore di guadagno, sono sempre fuori casa e abusano della generosità di coloro che li accolgono, per lo più correligionari. Ormai non hanno più intelligenza: altrimenti capirebbero l'amarezza e l'umiliazione di quell'andare di casa in casa e preferirebbero una vita dignitosa a casa propria (v. 28). Gesù, nell'inviare i suoi discepoli, ci terrà a distinguerli da questa usanza: «Non passate di casa in casa» (Lc 10,7).

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1Chi si vendica subirà la vendetta del Signore, il quale tiene sempre presenti i suoi peccati. 2Perdona l'offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati. 3Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come può chiedere la guarigione al Signore? 4Lui che non ha misericordia per l'uomo suo simile, come può supplicare per i propri peccati? 5Se lui, che è soltanto carne, conserva rancore,⊥ chi espierà per i suoi peccati? 6Ricòrdati della fine e smetti di odiare, della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti. 7Ricorda i precetti e non odiare il prossimo, l'alleanza dell'Altissimo e dimentica gli errori altrui.

Evita le liti 8Astieniti dalle risse e diminuirai i peccati, perché l'uomo passionale attizza la lite. 9Un uomo peccatore semina discordia tra gli amici e tra persone pacifiche diffonde la calunnia. 10Il fuoco divampa in proporzione dell'esca, ⌈così la lite s'accresce con l'ostinazione;⌉ il furore di un uomo è proporzionato alla sua forza, la sua ira cresce in base alla sua ricchezza. 11Una lite concitata accende il fuoco, una rissa violenta fa versare sangue⊥. 12Se soffi su una scintilla, divampa, se vi sputi sopra, si spegne; eppure ambedue le cose escono dalla tua bocca.

Controlla l’uso della lingua 13Maledici il calunniatore e l'uomo che è bugiardo, perché hanno rovinato molti che stavano in pace. 14Le dicerie di una terza persona hanno sconvolto molti, li hanno scacciati di nazione in nazione; hanno demolito città fortificate e rovinato casati potenti⊥. 15Le dicerie di una terza persona hanno fatto ripudiare donne forti, privandole del frutto delle loro fatiche. 16Chi a esse presta attenzione certo non troverà pace, non vivrà tranquillo nella sua dimora. 17Un colpo di frusta produce lividure, ma un colpo di lingua rompe le ossa. 18Molti sono caduti a fil di spada, ma non quanti sono periti per colpa della lingua. 19Beato chi è al riparo da essa, chi non è esposto al suo furore, chi non ha trascinato il suo giogo e non è stato legato con le sue catene. 20Il suo giogo è un giogo di ferro; le sue catene sono catene di bronzo. 21Spaventosa è la morte che la lingua procura, al confronto è preferibile il regno dei morti. 22Essa non ha potere sugli uomini pii, questi non bruceranno alla sua fiamma. 23Quanti abbandonano il Signore in essa cadranno, fra costoro divamperà senza spegnersi mai. Si avventerà contro di loro come un leone e come una pantera ne farà scempio. 24aEcco, recingi pure la tua proprietà con siepe spinosa, 25be sulla tua bocca fa' porta e catenaccio. 24bMetti sotto chiave l'argento e l'oro, 25ama per le tue parole fa' bilancia e peso. 26Sta' attento a non scivolare a causa della lingua, per non cadere di fronte a chi ti insidia⊥.

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Approfondimenti

27,28-28,7. Il tema della vendetta riservata a Dio (inclusione con ekdikēsis tra 27,28a e 28,1a; cfr. Dt 32,35-36; Rm 12,19) delinea un ideale sapienziale conscio del limite umano e della grandezza di Dio. Forse Ben Sira ha presente la storia di Aman, persecutore del popolo ebraico e ingiusto accusatore di Mardocheo presso il re Assuero (cfr. Est 2-8). Sempre prima della morte – secondo una nota prospettiva di retribuzione – il male si rivelerà insidioso come un leone verso quanti deridono il pio (v. 29). Il brano dedicato al dovere del perdono (28,2-7) contiene accenti molto vicini al Nuovo Testamento (cfr. Mt 6,12 e 18,23-35): concedi il perdono e la misericordia, non nutrire rancore e la tua richiesta di perdono e di guarigione sarà esaudita (vv. 2-5). La consapevolezza di essere “carne”, il ricordarsi delle ultime cose (putrefazione e morte) e dell'alleanza non possono che spingere a lasciar cadere ogni sdegno (vv. 5-7). Superato il precetto di “vendicare il sangue” (Nm 35,19; Dt 19,12), il perdono del nemico era raccomandato anche in Israele (Es 23,4-5; Lv 19,17-18). Il Talmud ribadisce che «se noi non siamo misericordiosi con gli altri, Dio non è misericordioso con noi» (Megillah 28a; cfr. Lc 6,36).

vv. 8-12. Domina il tema della lite (machē: vv. 8.10.11), come terreno favorevole al peccato. L'uomo passionale è appaiato con il peccatore: invece della pace (cfr. Sal 34,15), semina l'ostilità e le calunnie (v. 9b). Maggiori sono forza e ricchezza di un uomo, più pericolose sono le risse che egli provoca (v. 10).

vv. 13-26. Si torna ai danni provocati dall'abuso della lingua (cfr. 5,14-6,1; Gc 3,1-12). Ben Sira esorta a maledire i calunniatori (v. 13) e a stare in guardia per non cadere a causa di essa (vv. 19.26). La calunnia – letteralmente «terza lingua» – è più forte della sferza e della spada (v. 17-18) e non risparmia nessuno: città forti, casati po-tenti, donne eccellenti (vv. 14-15). Il suo giogo di ferro, le sue catene, la morte che procura fanno desiderare l'ade (vv. 19-21). Al suo incendio sfuggono solo gli uomini pii (v. 22). Feroce come il leone e come la pantera, aggredisce «quanti abbandonano il Signore» (vv. 23). È detta “terza” o “tripla” perché – spiega il Talmud – colpisce tre volte: il calunniato, colui che calunnia e colui che presta ascolto (Arakin 15b). Parlando di spostamenti di popoli (v. 14b), Ben Sira forse ha in mente ricordi storici, come la lettera diffamatoria scritta dai Samaritani ad Artaserse, in cui gli Ebrei rimpatriati erano accusati di cercare la ribellione al sovrano, ricostruendo il tempio e le mura di Gerusalemme senza la collaborazione samaritana (cfr. v. 14b con Esd 4,1-16). Le raccomandazioni del maestro (vv. 23-26) si servono di immagini dell'attività economica e commerciale: chiudi a chiave la bocca come recingi la proprietà di spine, pesa le parole come pesi l'argento.

Conclusione. Dopo l'elogio della sapienza, Ben Sira ritorna nel vissuto quotidiano. Dapprima entra nel piccolo mondo della vita affettiva e coniugale, delineando i tratti ideali – dal punto vista umano e religioso – che un marito, nella tradizione giudaica, ha cercato e dovrebbe cercare nella donna (cc. 25-26). La lezione attinge abbondantemente anche alle esperienze negative, le cui protagoniste proverbiali sono donne straniere e di facili costumi. Nei cc. 27-28 Ben Sira si addentra soprattuto nella vita sociale, politica e commerciale. Il culmine morale si trova nel brano sul perdono (27,28-28,7).

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1Per amore del denaro molti peccano, chi cerca di arricchire volta lo sguardo. 2Fra le giunture delle pietre si conficca un piolo, tra la compera e la vendita s'insinua il peccato. 3Se non ti afferri con forza al timore del Signore, la tua casa andrà presto in rovina.

4Quando si scuote un setaccio restano i rifiuti; così quando un uomo discute, ne appaiono i difetti. 5I vasi del ceramista li mette a prova la fornace, così il modo di ragionare è il banco di prova per un uomo. 6Il frutto dimostra come è coltivato l'albero, così la parola rivela i pensieri del cuore. 7Non lodare nessuno prima che abbia parlato, poiché questa è la prova degli uomini.

8Se cerchi la giustizia, la raggiungerai e te ne rivestirai come di un manto di gloria⊥. 9Gli uccelli sostano presso i loro simili, la verità ritorna a quelli che fanno cose giuste. 10Il leone insidia la preda, così il peccato coloro che fanno cose ingiuste. 11Nel discorso del pio c'è sempre saggezza, ma lo stolto muta come la luna. 12Tra gli insensati non perdere tempo, tra i saggi invece férmati a lungo. 13Il parlare degli stolti è un orrore, essi ridono tra i bagordi del peccato. 14Il linguaggio di chi giura spesso fa rizzare i capelli, e i loro litigi fanno turare gli orecchi. 15Spargimento di sangue è la rissa dei superbi, ed è penoso ascoltare le loro invettive.

16Chi svela i segreti perde l'altrui fiducia e non trova più un amico per il suo cuore. 17Ama l'amico e sii a lui fedele, ma se hai svelato i suoi segreti, non corrergli dietro, 18perché, come chi ha perduto uno che è morto, così tu hai perduto l'amicizia del tuo prossimo. 19Come un uccello che ti sei fatto scappare di mano, così hai lasciato andare il tuo amico e non lo riprenderai. 20Non inseguirlo, perché ormai è lontano, è fuggito come una gazzella dal laccio⊥. 21Perché si può fasciare una ferita e un'ingiuria si può riparare, ma chi ha svelato segreti non ha più speranza.

22Chi ammicca con l'occhio trama il male, ma chi lo conosce si allontana da lui. 23Davanti a te la sua bocca è dolce e ammira i tuoi discorsi, ma alle tue spalle cambierà il suo parlare e porrà inciampo alle tue parole. 24Io odio molte cose, ma nessuna quanto lui, anche il Signore lo ha in odio. 25Chi scaglia un sasso in alto, se lo tira sulla testa, e un colpo a tradimento ferisce chi lo vibra. 26Chi scava una fossa vi cade dentro⊥, chi tende un laccio vi resta preso. 27Il male si ritorce su chi lo fa, egli non sa neppure da dove gli venga. 28Derisione e insulto per il superbo, la vendetta, come un leone, lo attende al varco. 29Sono presi al laccio quanti gioiscono per la caduta dei pii, il dolore li consumerà prima della loro morte.

30Rancore e ira sono cose orribili, e il peccatore le porta dentro.

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Approfondimenti

26,28-27,10. In apertura un proverbio numerico elenca tre situazioni insopportabili: la miseria del guerriero (l'«uomo ricco» per la Siriaca), il disprezzo del saggio, il peccato del giusto. Il brano presenta un'inclusione sul peccato: quello del giusto e quello dell'ingiusto (26,28 e 27,10). Al centro il peccato del commerciante (26,29; 27,2; cfr. Am 8,4-6; Lv 19,35-36): amore del denaro, frode e, soprattutto, lontananza dallo studio della legge (v. 3; cfr. 38,25-34). Nei vv. 4-7 viene indicato il criterio per far emergere il vero valore di una persona: il suo modo di ragionare (logismos). I frutti rivelano la coltivazione dell'albero (v. 6; cfr. Mt 7,16-19; 12,33-37; Lc 6,43-45). La successiva unità (vv. 8-10) insegna che la giustizia è perseguibile ed utile; il peccato è un'insidia pericolosa come il leone (v. 10; cfr. 21,2c).

vv. 11-21. La pericope ruota attorno a due parole chiave: il “discorrere” (vv. 11-15) e i “segreti” (16-21). Il pio e lo stolto si rivelano diversi: il parlare dell'uno ha sempre saggezza, quello dell'altro cambia come la luna (v. 11). Alcuni Padri e la VL resero popolare questo contrasto opponendo la stabilità del sole alla mutevolezza della luna (v. 11). Il brano sui segreti (mystéria: vv. 16.17.21) è una lezione di prudenza per non rovinare l'amicizia. Ma anche di realismo: è inutile cercare un amico tradito. La situazione è irreparabile come la morte (v. 18) o come la fuga di un uccello o di una gazzella (vv. 19-20). La cornice del brano evidenzia la grossa perdita: la fiducia (pistis: v. 16) e la speranza (elpis: v. 21).

vv. 22-27. L'ipocrisia fa coprire il male con una facciata ed un linguaggio dolci: anche il Signore odia tale comportamento (vv. 22-24). Ma c'è una giustizia immanente – ritiene Ben Sira con gli autori sapienziali – per cui gli effetti del male ricadono su chi lo compie (vv. 25-27; cfr. Sal 57,7).

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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La donna virtuosa 1Fortunato il marito di una brava moglie, il numero dei suoi giorni sarà doppio. 2Una donna valorosa è la gioia del marito, egli passerà in pace i suoi anni. 3Una brava moglie è davvero una fortuna, viene assegnata a chi teme il Signore. 4Ricco o povero, il suo cuore è contento, in ogni circostanza il suo volto è gioioso.

La donna che cede alle passioni 5Di tre cose il mio cuore ha paura, e per la quarta sono spaventato: una calunnia diffusa in città, un tumulto di popolo e una falsa accusa, sono cose peggiori della morte; 6ma crepacuore e lutto è una donna gelosa di un'altra, il flagello della sua lingua fa presa su tutti. 7Giogo di buoi sconnesso è una cattiva moglie, chi la prende è come chi afferra uno scorpione. 8Motivo di grande sdegno è una donna che si ubriaca, non riuscirà a nascondere la sua vergogna. 9Una donna sensuale ha lo sguardo eccitato, la si riconosce dalle sue occhiate. 10Fa' buona guardia a una figlia sfrenata, perché non ne approfitti, se trova indulgenza. 11Guàrdati dalla donna che ha lo sguardo impudente, non meravigliarti se poi ti fa del male. 12Come un viandante assetato apre la bocca e beve qualsiasi acqua a lui vicina, così ella siede davanti a ogni palo e apre a qualsiasi freccia la faretra.

La bellezza della donna 13La grazia di una donna allieta il marito, il suo senno gli rinvigorisce le ossa. 14È un dono del Signore una donna silenziosa, non c'è prezzo per una donna educata. 15Grazia su grazia è una donna pudica, non si può valutare il pregio di una donna riservata. 16Il sole risplende nel più alto dei cieli, la bellezza di una brava moglie nell'ornamento della casa. 17Lampada che brilla sul sacro candelabro, così è la bellezza di un volto su una robusta statura. 18Colonne d'oro su base d'argento sono gambe graziose su solidi piedi.⊥

Luci e ombre nel ritratto della donna 19Figlio, conserva sano il fiore dell'età e non affidare la tua forza a donne straniere. 20Cerca nella pianura un campo fertile per gettarvi il tuo seme, attendendo la progenie. 21Così i frutti che lascerai, fieri della loro nobiltà, prospereranno. 22La donna pagata vale uno sputo, se è sposata, è torre di morte per quanti la usano. 23La moglie empia l'avrà in sorte il peccatore, quella pia sarà data a chi teme il Signore. 24La donna impudica cerca sempre il disonore, una figlia pudica è riservata anche con il marito. 25La donna sfrontata viene stimata come un cane, quella che ha pudore teme il Signore. 26La donna che onora il marito a tutti appare saggia, quella orgogliosa che lo umilia sarà empia per tutti. Felice il marito di una brava moglie, il numero dei suoi giorni sarà raddoppiato. 27La donna che grida ed è chiacchierona è come tromba di guerra che suona la carica. L'uomo che si trova in simili condizioni passa la vita tra rumori di guerra.⌉

Il guerriero, il saggio, il giusto, il commerciante 28Due cose rattristano il mio cuore, e una terza mi provoca collera: un guerriero che languisce nella miseria, uomini saggi trattati con disprezzo e chi passa dalla giustizia al peccato: il Signore lo tiene pronto per la spada.

29⊥È difficile che il commerciante sia esente da colpe e il rivenditore sia indenne da peccato.

_________________ Note

26,19-27 Questi versetti (una delle “aggiunte” del greco) si snodano attraverso antitesi che evidenziano luci e ombre nella figura della donna. Il v. 19 probabilmente allude alla proibizione di contrarre matrimoni misti (Esd 9-10; Ne 13,23-27).

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Approfondimenti

vv. 1-18. Tema centrale ancora la donna. Dopo il quadro negativo, ora quello positivo, molto più breve (cfr. 21,11-28). Anche qui la brava moglie non è vista in sé, ma in relazione alle esigenze e ai desideri del marito. A lui ella dona giorni lunghi (vv. 1-2), buona sorte (v. 3), volto felice (v. 4). Ma la prospettiva propria di Ben Sira emerge nel v. 3b: una buona moglie è premio dato a chi teme il Signore (cfr. Pr 18,22; 19,14). Un altro proverbio numerico introduce il tema di una «donna gelosa di un'altra»: se calunnie, violenze e falsità possono procurare la morte civile, una tale donna è un flagello peggiore: procura un dolore mortale e rende impossibile una vera comunione (vv. 5-6). Il riferimento sotteso alla poligamia (cfr. 25, 14-15) si concentra sulla donna malvagia, ubriaca e sensuale (vv. 7-9). Ne deriva un invito a vigilare (v. 10) per la figlia (semitismo per moglie: cfr. Pr 31,29) e a guardarsi da «un occhio impudente» (v. 11). I vv. 11-12 sembrano allusivi anche all'infedeltà del marito. Segue un ritratto (vv. 13-18) della donna piena di grazia, silenziosa e pudica: è benefica e non ha prezzo, splende come il sole e come il candelabro santo. Il brano fonde gli aspetti estetici con quelli utilitaristici, i richiami religiosi con quelli fisici della presenza femminile. Le metafore dei vv. 17-18 dovrebbero essere ben considerate nel formulare il giudizio circa l'atteggiamento di Ben Sira verso le donne.

vv. 19-27. Anche se è presente solo nel Gr 248 e in siriaco, questo brano – aperto dal vocativo «Figlio mio» (v. 19) – sembra originale. Secondo la tradizione sapienziale (cfr. Pr 31,3), si sconsigliano avventure sessuali con donne straniere, immorali e seduttrici. Si suggerisce di trovare una buona moglie, da cui avere figli (cfr. Tb 4,12-13). La prostituta è disprezzata come uno sputo (sialos è un hapax nel greco dell'AT: v. 22). Tradizionale il messaggio del peccatore che riceve in dote una donna empia (v. 23; cfr. 1, 11-30; 11, 17). Per Ben Sira anche la saggezza della donna si misura dal timore del Signore (v. 25b). Le immagini militari del v. 27 rimandano a Gs 6, 4-20; Gb 39, 24-25.

26,28 – 27, 10. In apertura un proverbio numerico elenca tre situazioni insopportabili: la miseria del guerriero (l'«uomo ricco» per la Siriaca), il disprezzo del saggio, il peccato del giusto. Il brano presenta un'inclusione sul peccato: quello del giusto e quello dell'ingiusto (26, 28 e Zi centro il peccato del commerciante 126,29; 27, 2; oft. Am 8, 4-6; Lv 19, 35-36): amore del denaro, frode e, so-prattutto, lontananza dallo studio della legge (v. 3; cfr. 38, 25-34). Nei vv. 4-7 viene indicato il criterio per far emergere il vero valore di una persona: il suo modo di ragionare (logismos). I frutti rivelano la coltivazione dell'albero (v. 6; cfr. Mt 7, 16-19; 12, 33-37; Lc 6, 43-45). La successiva unità (vv. 8-10) insegna che la giustizia è perseguibile ed utile; il peccato è un'insidia pericolosa come il leone (v. 10; cfr. 21, 2c).

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Proverbi numerici 1Di tre cose si compiace l'anima mia, ed esse sono gradite al Signore e agli uomini: concordia di fratelli, amicizia tra vicini, moglie e marito che vivono in piena armonia. 2Tre tipi di persone detesta l'anima mia, la loro vita è per me un grande orrore: il povero superbo, il ricco bugiardo, il vecchio adultero privo di senno.

3Se non hai raccolto in gioventù, che cosa vuoi trovare nella vecchiaia? 4Quanto s'addice il giudicare ai capelli bianchi e agli anziani il saper dare consigli! 5Quanto s'addice la sapienza agli anziani, il discernimento e il consiglio alle persone onorate! 6Corona dei vecchi è un'esperienza molteplice, loro vanto è temere il Signore.

7Nove situazioni ritengo felici nel mio cuore, la decima la dirò con parole: un uomo allietato dai figli, chi vede da vivo la caduta dei suoi nemici; 8felice chi vive con una moglie assennata, chi non ara con il bue e l'asino insieme, chi non ha peccato con la sua lingua, chi non ha servito a uno indegno di lui; 9felice chi ha trovato la prudenza, chi parla a gente che l'ascolta; 10quanto è grande chi ha trovato la sapienza, ma nessuno supera chi teme il Signore! 11Il timore del Signore vale più di ogni cosa; chi lo possiede a chi potrà essere paragonato? 12Il timore del Signore è inizio di amore per lui, la fede è inizio di adesione a lui.

La donna cattiva 13⊥Qualunque ferita, ma non la ferita del cuore, qualunque malvagità, ma non la malvagità di una donna; 14qualunque sventura, ma non quella causata da persone che odiano, qualunque vendetta, ma non la vendetta dei nemici. 15Non c'è veleno peggiore del veleno di un serpente, non c'è ira peggiore dell'ira di una donna. 16Preferirei abitare con un leone e con un drago piuttosto che abitare con una donna malvagia. 17La malvagità di una donna ne àltera l'aspetto, rende il suo volto tetro come quello di un orso. 18Suo marito siede in mezzo ai suoi vicini e senza volerlo geme amaramente. 19Ogni malizia è nulla di fronte alla malizia di una donna, possa piombarle addosso la sorte del peccatore! 20Come una salita sabbiosa per i piedi di un vecchio, tale la donna linguacciuta per un uomo pacifico. 21Non soccombere al fascino di una donna, per una donna non ardere di passione. 22Motivo di sdegno, di rimprovero e di grande disprezzo è una donna che mantiene il proprio marito. 23Animo abbattuto e volto triste e ferita al cuore è una donna malvagia; mani inerti e ginocchia infiacchite, tale è colei che non rende felice il proprio marito. 24Dalla donna ha inizio il peccato e per causa sua tutti moriamo. 25Non dare all'acqua via d'uscita né libertà di parlare a una donna malvagia. 26Se non cammina al cenno della tua mano⊥, separala dalla tua carne⊥.

_________________ Note

25,1 Le massime qui raccolte ruotano intorno al numero tre (vv. 1-2) e al numero dieci (v. 7-12).

25,8 b chi non ara: questo stico manca nel greco ed è recuperato dall’ebraico.

25,17 Il testo ebraico reca: “La cattiveria di una donna àltera l’aspetto del marito / e ne rende tetro il volto come quello di un orso”.

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Approfondimenti

vv. 1-12. I due proverbi numerici, posti in bocca alla sapienza, ci riportano alla già nota condanna dell'adulterio (cfr. 23,16-28). Qui l'enfasi cade sul compiacimento per l'armonia coniugale (v. 1) e sul disprezzo dell'adulterio dei vecchi (v. 2). Seguono due sezioni che culminano nella lode di chi teme il Signore: i vecchi sono protagonisti della prima (vv. 3-6); nella seconda (vv. 7-12) dieci «situazioni felici», elencate con un altro proverbio numerico (vv. 7-10), si concludono con una sentenza sulla superiorità del timore di Dio (vv. 11-12).

vv. 13-26. Quindici distici dedicati alla donna cattiva. I numerosi riferimenti, espliciti e non, alla donna sono accompagnati sempre da valenze negative. Per Ben Sira la donna è malvagità e cattiveria (vv. 13.19), ira (v. 14), convivenza rischiosa e insopportabile (vv. 15.20), piaga nel cuore e nel corpo (v. 23), motivo di tristezza e di umiliazione per il marito (vv. 18.22), inizio di peccato e causa di morte (v. 24). Di qui i consigli: ai giovani a non lasciarsi sedurre dalla sua bellezza (v. 21); agli sposati a non darle libertà di parola e a separarla dalla propria carne se si rivela non docile (vv. 25-26). È significativo che il capitolo si chiuda evocando il Pentateuco: il peccato di Adamo ed Eva (cfr. v. 24 con Gn 3,3.22) e il ripudio della donna «che non cammina al cenno della mano» (cfr. v. 26 con Dt 24,1).

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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L'ELOGIO DELLA SAPIENZA (24,1-42,14)

1La sapienza fa il proprio elogio⊥, in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria. 2Nell'assemblea dell'Altissimo apre la bocca, dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria⊥: 3“Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo⊥ e come nube ho ricoperto la terra. 4Io ho posto la mia dimora lassù, il mio trono era su una colonna di nubi. 5Ho percorso da sola il giro del cielo, ho passeggiato nelle profondità degli abissi. 6Sulle onde del mare e su tutta la terra, su ogni popolo e nazione ho preso dominio⊥. 7Fra tutti questi ho cercato un luogo di riposo, qualcuno nel cui territorio potessi risiedere. 8Allora il creatore dell'universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele⊥”. 9Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l'eternità non verrò meno. 10Nella tenda santa davanti a lui ho officiato e così mi sono stabilita in Sion. 11Nella città che egli ama mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio potere. 12Ho posto le radici in mezzo a un popolo glorioso, nella porzione del Signore è la mia eredità⊥.

Crescita prodigiosa 13Sono cresciuta come un cedro sul Libano, come un cipresso sui monti dell'Ermon. 14Sono cresciuta come una palma in Engàddi e come le piante di rose in Gerico, come un ulivo maestoso nella pianura e come un platano mi sono elevata⊥. 15Come cinnamòmo e balsamo di aromi, come mirra scelta ho sparso profumo, come gàlbano, ònice e storace, come nuvola d'incenso nella tenda. 16Come un terebinto io ho esteso i miei rami e i miei rami sono piacevoli e belli. 17Io come vite ho prodotto splendidi germogli e i miei fiori danno frutti di gloria e ricchezza. 18Io sono la madre del bell'amore e del timore, della conoscenza e della santa speranza; ⌈eterna, sono donata a tutti i miei figli, a coloro che sono scelti da lui.⌉ 19Avvicinatevi a me, voi che mi desiderate, e saziatevi dei miei frutti, 20perché il ricordo di me è più dolce del miele, il possedermi vale più del favo di miele⊥. 21Quanti si nutrono di me avranno ancora fame e quanti bevono di me avranno ancora sete. 22Chi mi obbedisce non si vergognerà, chi compie le mie opere non peccherà⊥”.

La sapienza e la legge 23Tutto questo è il libro dell'alleanza del Dio altissimo, la legge che Mosè ci ha prescritto, eredità per le assemblee di Giacobbe. 24Non cessate di rafforzarvi nel Signore, aderite a lui perché vi dia vigore. Il Signore onnipotente è l'unico Dio e non c'è altro salvatore al di fuori di lui.⌉ 25Essa trabocca di sapienza come il Pison e come il Tigri nella stagione delle primizie, 26effonde intelligenza come l'Eufrate e come il Giordano nei giorni della mietitura, 27come luce irradia la dottrina, come il Ghicon nei giorni della vendemmia. 28Il primo uomo non ne ha esaurito la conoscenza e così l'ultimo non l'ha mai pienamente indagata. 29Il suo pensiero infatti è più vasto del mare e il suo consiglio è più profondo del grande abisso.

Ben Sira, discepolo e maestro 30⊥Io, come un canale che esce da un fiume e come un acquedotto che entra in un giardino, 31ho detto: “Innaffierò il mio giardino e irrigherò la mia aiuola”. Ma ecco, il mio canale è diventato un fiume e il mio fiume è diventato un mare. 32Farò ancora splendere la dottrina come l'aurora, la farò brillare molto lontano.⊥ 33Riverserò ancora l'insegnamento come profezia, lo lascerò alle generazioni future⊥. 34Vedete che non ho faticato solo per me, ma per tutti quelli che la cercano.

_________________ Note

24,1-42,14 Quest'ampia sezione si apre con la presentazione che la sapienza fa di se stessa, e prosegue con una lunga serie di insegnamenti morali e religiosi che toccano i diversi ambiti della vita dell'uomo e della sua attività, i rapporti con il prossimo e nella società, le diverse categorie di persone, i vizi da evitare e le virtù da acquisire.

24,1 La sapienza personificata si presenta. Si giunge qui a un punto di arrivo nella lunga evoluzione del concetto di sapienza (al riguardo sono testi significativi Pr 8,22-31 e Sap 9,4.10), che non solo è maestra e guida di vita, come nei Proverbi, ma è vista ora come parola creatrice di Dio, con un ruolo decisivo nella storia della salvezza. Oltre che mediante la parola profetica e la legge, Dio rivela se stesso anche con la sapienza. Il NT sembra essersi ispirato anche a questo testo nel descrivere l'attività del Verbo di Dio (vedi in particolare Gv 1,1-18).

24,15 cinnamòmo e balsamo: si tratta di essenze aromatiche caratteristiche dell’Oriente, usate anche nel culto. Di alcune è incerta l’identificazione.

24,16 Il terebinto è pianta dai rami molto estesi. Il riferimento agli alberi e ai loro frutti è, nei libri sapienziali, immagine della ricchezza e della fecondità della sapienza.

24,23-29 La sapienza è identificata con la legge data da Dio a Mosè, in favore del suo popolo.

24,25-27 Vengono citati i quattro fiumi del giardino di Eden (Gen 2,11-14). Ad essi si aggiunge il Giordano. Come simbolo di fertilità, il giardino di Eden esprime l’abbondanza dei frutti della sapienza.

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Approfondimenti

Il c. 24 è centrale per collocazione e contenuto. Siamo a metà del libro: con un artificio letterario, la solenne prosopopea o personificazione della sapienza che loda se stessa, Ben Sira ricorda i brani finora dedicati alla sapienza (1,1-10; 4,11-19; 6,18-37; 14,20-15,10) ed introduce la seconda parte (fino a 42,14). La struttura del c. – ispirato a Pr 8 – presenta un'introduzione (vv. 1-2), seguita da sei brani abbastanza facilmente distinguibili: la sapienza nella creazione (vv. 3-6), la sua dimora in Israele (vv. 7-12), la sua identità e utilità raccontata con immagini prese dal mondo vegetale (vv. 13-18), il suo invito (vv. 19-22), la sua identificazione con la legge (vv. 23-29), il ruolo di Ben Sira, discepolo e maestro di sapienza (vv. 30-34). Il c. sintetizza la dottrina sulla sapienza nella creazione e nella storia di Israele, personificando poeticamente un attributo divino (cfr. Pr 1,20-33; 8; 9,1-6; Bar 3,9-4,4; Gb 28). La formulazione di Ben Sira offre un modello letterario che prepara, analogicamente, la strada alla teologia cristiana circa la funzione del Verbo e dello Spirito. Non sembra escluso un influsso letterario nella definizione del logos in Gv 1. La letteratura giudaica posteriore attribuirà l'idea della preesistenza alla legge.

vv. 1-2. Il titolo è già nei mss. greci. Il raggio di presenza della sapienza riguarda il popolo di Israele e la corte celeste, il cielo e la terra.

vv. 3-6. Per origine, la sapienza si identifica con la parola del creatore e con il suo spirito che aleggia sulle acque (cfr. Gn 1). Per funzione, è destinata a dominare tutto l'universo (cfr. Gn 1, 28). L'iniziativa di Dio è indicata con le espressioni «piantare la tenda (BC: porre la dimora)» (v. 4a) e «colonna di nubi» (v. 4b). La skēnē, tenda, ricorda la šekina, la presenza divina per l'ebraismo (cfr. vv. 8bc.10a; Es 40,34-35; Gv 1,14), mentre la nube rimanda alle manifestazioni divine nel deserto (Es 13,21-22; 33, 9-10).

vv. 7-12. Secondo una leggenda rabbinica la legge fu proposta dal Signore a tutti i popoli, ma fu accolta solo da Israele (cfr. Targum Dt 33,2; Aboda Zara 2b). L'ingresso della sapienza in Israele, invece, risponde per Ben Sira ad un comando divino (v. 8a). La sapienza cerca e riceve un luogo di riposo (vv. 7a.8b.11a) e un'eredità (vv. 7b.8d.12b); da un lato vi pianta la sua tenda (v. 8bc), dall'altro vi trova la «tenda santa» di Dio in cui lodarlo con atti di culto (v. 10a; cfr. v. 15d). La dimensione sapienziale si intreccia profondamente con quella cultuale: la sapienza ha funzioni sacerdotali nel deserto (cfr. Es 25-28) e nel tempio di Gerusalemme. Si intravede la stima di Ben Sira per il sacerdozio (cfr. 45,6-25; 50,1-21). La sapienza si lega a Sion (v. 10b), a Gerusalemme (v. 11b). È la città amata (v. 11a), il popolo glorioso (v. 12a). Creata prima dei secoli e indefettibile in eterno (v. 9), essa ha ormai stabilità, potere e radici in questa porzione del Signore (vv. 10b-12; cfr. Dt 32,9).

vv. 13-18. La geografia biblica e la botanica forniscono le immagini per descrivere la natura e la grandezza della sapienza (cfr. l'elenco per magnificare il sommo sacerdote in 50,8.10). La sapienza è gloriosa come i cedri del Libano (cfr. Ez 17,22-24; Is 35,2), verde e vitale come i cipressi dell'Ermon (cfr. 50,10; 2Re 19,23; Ez 31,8; Os 14,9), elevata come le palme di Engaddi sul Mar Morto (Gs 15,62; 2Cr 20,2), portatrice di festa come le piante di rose in Gerico (cfr. 39,13; 50,8; Sap 2,8). E poi ancora come l'ulivo (cfr. 50,10), segno di pace e benedizione (Sal 52,10) e il platano (cfr. Gn 30,37). Il v. 15 ricorre a piante aromatiche, non tutte identificabili, ma riferibili ad un contesto cultuale (cfr. Es 30,23.34). La crescita prodigiosa si manifesta in altezza (vv. 13a.14ad), larghezza (v. 16) e quantità di frutti (vv. 16-17). Il v. 18 – noto dal GrII e dalla Vetus Latina – amplifica i frutti spirituali, presentandoli come «figli» della sapienza. La Vulgata riporta la prima parte del v. 18 e aggiunge: «In me ogni grazia di via e verità, in me ogni speranza di vita e di forza». Si può intravedere, forse, l'influsso di Gv 14,6.

vv. 19-22. La sapienza invita ad avvicinarsi a lei: si presenta come offerta e seduzione insieme; si rivolge a discepoli obbedienti (v. 22a), ma anche a persone che «compiono opere in lei», vivendo cioè una comunione particolare con lei (v. 22b). Tutta la dovizia dei frutti appena presentati eccita il desiderio, rende dolci ricordo e possesso (“eredità”), sazia e introduce di nuovo nella fame e nella sete, libera dalla vergogna e dal peccato. La fame e la sete non si estinguono, ma si aprono nuovi orizzonti. La stessa immagine sarà usata, in modo nuovo, da Gesù: la sua acqua toglie la sete e si trasforma in sorgente zampillante per la vita eterna (Gv 4,13-14); il suo pane dà la vita al mondo (Gv 6,33). Egli solo può dire: «chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete» (Gv 6, 35). “Pane di vita” egli stesso, Gesù riformula le immagini sapienziali in modo personalissimo, scavalcando anche le promesse della sapienza personificata.

vv. 23-29. Dal discorso della sapienza all'insegnamento di Ben Sira, che la identifica con la legge mosaica, letta dai Giudei nelle «assemblee di Giacobbe» (v. 23). Si tratta quasi sicuramente della sinagoga, istituzione tipica del giudaismo della diaspora. Era insieme luogo di culto e di formazione. La saldatura con il Pentateuco è evidente nel riferimento ai quattro fiumi del paradiso terrestre (Pison e Tigri, Eufrate e Ghicon: Gn 2,11-14). Ad essi si aggiungono il Nilo e il Giordano. Il tutto sottolinea la fecondità e l'inesauribilità della sapienza-legge di Israele, i cui orizzonti vanno oltre il mare e l'abisso (cfr. vv. 28-29). Il contesto insidioso e politeista sembra emergere dall'esortazione a rafforzarsi nel Signore, unico salvatore (cfr. v. 24).

vv. 30-34. L'autore si presenta come canale che vuol portare l'acqua della sapienza alle nuove generazioni. Da canale a fiume, a mare: l'esperienza generosa del discepolo si allarga e trasforma in quella del maestro, l'insegnamento sapienziale si qualifica come profezia. In Ben Sira il passato si raccorda con il futuro, passando attraverso un presente di fedele e generosa fatica.

Conclusione. Un c. di grande respiro storico e teologico, immerso in un clima di ottimismo luminoso, nella pacifica intersecazione del cielo e della terra. Grazie alla presenza attiva della sapienza, la “fatica” (v. 34) del saggio non è vana. Dall'ascolto della sapienza preesistente e compagna dell'opera creatrice, Ben Sira passa alla contemplazione del suo «piantare la tenda» (vv. 8.10) nella storia di Israele, al suo identificarsi con la legge mosaica e al suo proporsi come inesauribile vena, pronta ad “irrigare” ogni persona ed ogni cultura che ad essa si apre. La sapienza si intreccia con il culto e con la legge, con la pedagogia e la storia, e si presenta come “parola profetica” (v. 33) per “quanti la cercano” (v. 34). Gli orizzonti del giudaismo sembrano convergere. Il v. 24, del GrII, insinua che il contesto è meno rassicurante di quanto non sembri: il pio israelita cercherà nel Signore la “forza” e la “salvezza”. Segno che la sintesi del c. è provvisoria e piuttosto fragile.

Il Nuovo Testamento rinuncerà al termine sapienza, preferendo parlare di Verbo (logos), che è «venuto a porre la sua tenda in mezzo a noi» (Gv 1,14). Il prologo di Gv descrive l'azione di Gesù-Verbo nel mondo servendosi dell'itinerario della sapienza. Ma sta attento a evitare le confusioni: Gesù non è un'entità mediatrice (parola, giustizia, verità, sapienza), che Israele aveva percepito contemporaneamente in Dio e nel mondo. La sapienza, pur prima nel mondo, non è esistente senza di esso. Gesù, invece, è mediatore presente al mondo fin da quando il mondo esiste, presente a Dio da tutta la sua eternità. Altro da Dio, capace di ascoltarlo e di parlargli, ma non un altro Dio, perché egli è la sua stessa sapienza e la sua stessa parola. Gesù, con la sua mediazione personale, annulla tutte le entità mediatrici coi loro problemi di identità (mitica, immaginaria o poetica).

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Preghiera per la vigilanza 1Signore, padre e padrone della mia vita, non abbandonarmi al loro volere, non lasciarmi cadere a causa loro. 2Chi fustigherà i miei pensieri e chi insegnerà la sapienza al mio cuore, perché non siano risparmiati i miei errori e i loro peccati non restino impuniti, 3perché non si moltiplichino i miei errori e non aumentino di numero i miei peccati, e io non cada davanti ai miei avversari e il nemico non gioisca su di me? ⌈Per loro è lontana la speranza della tua misericordia.⌉ 4Signore, padre e Dio della mia vita,⊥ non darmi l'arroganza degli occhi 5e allontana da me ogni smodato desiderio. 6Sensualità e libidine non s'impadroniscano di me, a desideri vergognosi non mi abbandonare.

La disciplina della lingua 7Ascoltate, figli, come disciplinare la bocca, chi ne tiene conto non sarà colto in flagrante⊥. 8Il peccatore è vittima delle proprie labbra, il maldicente e il superbo vi trovano inciampo. 9Non abituare la bocca al giuramento⊥, non abituarti a proferire il nome del Santo⊥. 10Infatti, come un servo interrogato accuratamente non mancherà di prendere lividure, così chi giura e pronuncia il Nome di continuo di certo non sarà esente da peccato. 11Un uomo dai molti giuramenti accumula iniquità; il flagello non si allontana dalla sua casa. Se sbaglia, il suo peccato è su di lui; se non ne tiene conto, pecca due volte. Se giura il falso, non sarà giustificato, e la sua casa si riempirà di sventure. 12C'è un modo di parlare paragonabile alla morte: che non si trovi nella discendenza di Giacobbe! Da tutto questo infatti staranno lontano i pii, così non si rotoleranno nei peccati. 13Non abituare la tua bocca a grossolane volgarità, in esse infatti c'è motivo di peccato. 14Ricorda tuo padre e tua madre quando siedi tra i grandi, perché non lo dimentichi davanti a loro e per abitudine non dica sciocchezze, e non giunga a desiderare di non essere nato e maledica il giorno della tua nascita. 15Un uomo abituato a discorsi ingiuriosi non si correggerà in tutta la sua vita.

Esortazione a non cadere nella lussuria e nell’adulterio 16Due tipi di persone moltiplicano i peccati, e un terzo provoca l'ira: una passione ardente come fuoco acceso non si spegnerà finché non sia consumata; un uomo impudico nel suo corpo non desisterà finché il fuoco non lo divori; 17per l'uomo impudico ogni pane è appetitoso, non si stancherà finché non muoia. 18L'uomo infedele al proprio letto dice fra sé: “Chi mi vede? C'è buio intorno a me e le mura mi nascondono; nessuno mi vede, perché temere? Dei miei peccati non si ricorderà l'Altissimo”⊥. 19Egli teme solo gli occhi degli uomini, non sa che gli occhi del Signore sono mille volte più luminosi del sole; essi vedono tutte le vie degli uomini e penetrano fin nei luoghi più segreti. 20Tutte le cose, prima che fossero create, gli erano note, allo stesso modo anche dopo la creazione. 21Quest'uomo sarà condannato nelle piazze della città⊥, sarà sorpreso dove meno se l'aspetta⊥. 22Così anche la donna che tradisce suo marito e gli porta un erede avuto da un altro. 23Prima di tutto ha disobbedito alla legge dell'Altissimo, in secondo luogo ha commesso un torto verso il marito, in terzo luogo si è macchiata di adulterio e ha portato in casa figli di un estraneo. 24Costei sarà trascinata davanti all'assemblea e si procederà a un'inchiesta sui suoi figli. 25I suoi figli non metteranno radici, i suoi rami non porteranno frutto. 26Lascerà il suo ricordo come una maledizione, la sua infamia non sarà cancellata.

Nulla è meglio 27I superstiti sapranno che nulla è meglio del timore del Signore, nulla è più dolce dell'osservare i suoi comandamenti. 28Grande gloria è seguire Dio, essere a lui graditi è lunga vita.

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Approfondimenti

vv. 22,27-23,28. La preghiera iniziale (22,27-23,6) sembra fare da introduzione all'intero c. 23: il tema della protezione dai peccati della lingua (22,27-23,1) è sviluppato in 23,7-15; il tema della sensualità e libidine (vv. 2-6) è ripreso nei vv. 16-26. Il c. segue e commenta il decalogo con chiari riferimenti alla sovranità di Dio (vv. 1.4.18e) e al suo nome santo (vv. 9b.10c), al rispetto dei genitori (v. 14a) e della verità nel testimoniare (vv. 9-11), alla condanna delle passioni licenziose (vv. 4-6.16-26) e delle relazioni adulterine dell'uomo e della donna (vv. 18.23). Il v. 27 sembra riassumere e concludere in modo elegante i contenuti esposti sin dall'inizio del libro, oltre che nel presente c.: chi vivrà saprà che nulla è meglio e più soddisfacente del timore del Signore e dell'osservanza dei suoi comandamenti. Il v. 28, del GrII, amplifica il versetto precedente: grande gloria nel seguire il Signore e vita lunga nell'essere da lui accolti (cfr. Sal 73,24).

**vv. 22,27-23,6. La preghiera parte dalla consapevolezza dell'umana fragilità di fronte al peccato (cfr. 21,1-3) e chiede l'aiuto divino nel controllo della lingua (22,27-23,1) e della sensualità (23,2-6). Per invocare la presenza correttiva e liberante di Dio, padre e padrone della sua vita, di fronte ai rischi cui lo espongono la bocca e i pensieri, l'orante ricorre a due domande sapienziali (22,27; 23,2). Il senso è ovvio, come per la domanda sapienziale incontrata in 22,14. La novità più rilevante è nell'appellativo padre, rivolto a Dio (cfr. 51,1.10). Il triplice riferimento alla caduta, causata da bocca e labbra non custodite (22,27c), da pensieri non controllati (23,1c) – caduta ignominiosa davanti agli avversari (v. 3c) – sottolinea la profonda angustia che pervade l'intero brano: Dio solo, fonte della vita morale, può liberare da tutto ciò. I nemici sono quasi personificati: hanno un “volere” (v. 1b) e spadroneggiano su chi viene abbandonato in loro balia (vv. 4b.6b). Si manifestano negli occhi eccitati (v. 4b; 26,9), nella sensualità (“brama del ventre”), nella libidine (synousiasmos, rapporto sessuale, è un hapax) e nella passione impudente (v. 6). Echeggia l'insegnamento sull'avversario interno, che l'uomo deve imparare a dominare (cfr. 21, 27). Di fronte a tutto ciò emerge la grandezza fiduciosa di questo orante che, insidiato dalla sua natura, non si rassegna a rimanere senza la disciplina della sapienza (v. 2b) e a vedere allontanarsi la misericordia di Dio (v. 3e). Altre preghiere si trovano in 36,1-22 e 51,1-12.

vv. 23,7-15. Tema centrale, come sviluppo della prima parte della preghiera: la bocca (22,27; vv. 7a.13a) da disciplinare, liberandola in tempo da cattive abitudini (vv. 9ab. 13a.14d.15a). Esse si rivelano nel ricorso frequente al «nome del Santo» (vv. 9b.10c), ai giuramenti più o meno voluti (vv. 9-11), alla bestemmia rea di morte, indegna del popolo d'Israele e degli uomini pii (vv. 12-13), ai discorsi sconvenienti davanti ai grandi della città (vv. 14-15). Chi non previene tali abitudini si espone al rischio di rovinarsi (vv. 7-8), di peccare (vv. 10c.13b), di riempire di sventure la sua casa (v. 11b.f) e di dover maledire il giorno della sua nascita (v. 14f; cfr. 21, 27). Per evitare tutto ciò, Ben Sira propone la sua paideia stomatos (cfr. l'inclusione/contrasto nei vv. 7a.15b) e il ricordo del padre e della madre (v. 14a), come richiamo a una condotta nobile.

vv. 23,16-26. Il brano sviluppa la seconda parte della preghiera, occupandosi dell'adulterio dell'uomo (vv. 16-21) e della donna (vv. 22-26). Un proverbio numerico (v. 16) rivela l'importanza dell'argomento (cfr. 25,1-2.7-11; 26,5; 50,25-26; Prv 6,16-19; 30,15-33). La forza distruttiva della passione è paragonata al fuoco che non si ferma prima di avere bruciato tutto (v. 16): essa porta alla morte (v. 17; cfr. 6,2-4). Nei vv. 18-20 la sapienza si fa eco della tradizione religiosa: Dio vede tutto, nulla sfugge all'Altissimo. I suoi occhi non sono come quelli degli uomini: vincono tenebre e muri (v. 18c), vedono le vie degli uomini e gli angoli più nascosti (v. 19de). Egli è il creatore che sa tutto delle sue opere, dall'inizio alla fine (v. 20).

Conclusione: l'adultero non rimane mai nascosto, ma viene condannato dal tribunale cittadino. Per la donna lo sviluppo è simile (outōs: v. 22a): richiamato il caso (v. 22), vengono presentati la motivazione (v. 23), l'ambito (v. 24a) e le conseguenze (vv. 24b-26) della condanna.

vv. 23,27-28. La chiusura riassume gli insegnamenti di Ben Sira finora esposti e guarda al futuro: i posteri si renderanno ben conto di cosa è veramente conveniente. Sapranno apprezzare – sembra dire Ben Sira – ciò che i contemporanei trascurano o sottovalutano: il timore del Signore ed i suoi comandamenti. Ivi sono gloria e lunga vita, concetti anch'essi proiettati verso il futuro, forse con una sfumatura ultraterrena.

Conclusione. Un c. di grande respiro filosofico e religioso, pur nell'ottica della sapienza tradizionale. Le concezioni dell'uomo di fronte a Dio e delle relazioni uomo – donna secondo la legge emergono con limpida coerenza, in una solare ripresentazione della morale deuteronomica. Il vero saggio comincia dalla preghiera: conosce la sua debolezza e chiede l'aiuto dell'Altissimo, padrone della vita, perché lo liberi dai pericoli della lingua e della passione. È un appello al padre, amato e temuto, i cui occhi «sono miriadi di volte più luminosi del sole» (v. 19c). Seguire lui è fonte di vita, di benedizione e di gloria. Il peccato – specie quello derivato dal cattivo uso della lingua e dal mancato dominio della lussuria – allontana dal Santo (vv. 9-10), dall'Altissimo e dalla sua legge (vv. 18-19.23a.27c). Così si va incontro alla morte (vv. 12a. 17b), alla maledizione (vv. 14f.26a), alla condanna da parte della città (v. 21) e dell'assemblea (v. 24a), alla mancanza di frutti (v. 25) e all'infamia perenne (v. 26b). Le generazioni future riconosceranno ciò che è «meglio e più dolce» (v. 27): non il «timore degll occhi degli uomini» (v. 19a), ma «il timore del Signore» (v. 27b) e l'obbedienza alla sua legge (v. 23a).

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Il pigro 1Il pigro è simile a una pietra insudiciata, tutti fischiano in suo disprezzo. 2Il pigro è simile a una palla di sterco, chi la raccoglie scuote la mano.

I figli e l’onore della famiglia 3Un figlio maleducato è la vergogna di un padre, se è una figlia il danno è più grave. 4Una figlia sensata troverà marito, la svergognata è un dolore per chi l'ha generata. 5La figlia sfacciata disonora il padre e il marito, dall'uno e dall'altro sarà disprezzata. 6Un discorso inopportuno è come musica in caso di lutto, ma frusta e correzione sono saggezza in ogni tempo. 7I figli che hanno di che vivere con una vita onesta fanno dimenticare l'umile origine dei loro genitori. 8I figli che millantano superbia e cattiva educazione disonorano la nobiltà delle loro famiglie.⌉

Lo stolto 9Chi ammaestra uno stolto è come uno che incolla cocci, ⌈che sveglia un dormiglione da un sonno profondo.⌉ 10Parlare a uno stolto è parlare a chi ha sonno; alla fine dirà: “Cosa c'è?”. 11Piangi per un morto perché ha perduto la luce, piangi per uno stolto perché ha perduto il senno. Piangi meno per un morto perché ora riposa, ma la vita dello stolto è peggiore della morte. 12Il lutto per un morto dura sette giorni, per uno stolto ed empio tutti i giorni della sua vita. 13Con uno stolto non prolungare il discorso, e non frequentare l'insensato: ⌈nella sua insipienza ti disprezzerà in ogni modo.⌉ Guàrdati da lui, per non avere noie e per non contaminarti al suo contatto. Evitalo e troverai pace, non sarai disgustato dalla sua insipienza. 14Che c'è di più pesante del piombo? E qual è il suo nome, se non quello di stolto? 15Sabbia, sale e massa di ferro si portano meglio che un insensato.

Invito alla fermezza 16Una travatura di legno ben connessa in una casa non viene scompaginata per un terremoto, così un cuore consolidato da matura riflessione non si scoraggia nel momento critico. 17Un cuore sorretto da sagge riflessioni è come un bel fregio su parete levigata. 18Ciottoli posti su un'altura di fronte al vento non resistono, così un cuore meschino, basato su stolti pensieri, non regge di fronte a un qualsiasi timore.

Come comportarsi con gli amici 19Chi punge un occhio lo fa lacrimare, chi punge un cuore ne scopre il sentimento. 20Chi scaglia un sasso contro gli uccelli li mette in fuga, chi offende un amico rompe l'amicizia. 21Se hai sguainato la spada contro un amico, non disperare: può esserci un ritorno. 22Se hai aperto la bocca contro un amico, non temere: può esserci riconciliazione, tranne il caso d'insulto, di arroganza, di segreti svelati e di un colpo a tradimento; in questi casi ogni amico scompare. 23Conquìstati la fiducia del prossimo nella sua povertà, per godere con lui nella sua prosperità. Nel tempo della tribolazione restagli vicino, per avere parte alla sua eredità. ⌈L'apparenza infatti non è sempre da disprezzare né deve meravigliare che un ricco non abbia senno.⌉ 24Prima del fuoco c'è vapore e fumo di fornace, così prima del sangue ci sono le ingiurie. 25Non mi vergognerò di proteggere un amico, non mi nasconderò davanti a lui. 26Se mi succederà il male a causa sua, chiunque lo venga a sapere si guarderà da lui.

Preghiera per la vigilanza 27Chi porrà una guardia alla mia bocca, e alle mie labbra un sigillo guardingo, perché io non cada per colpa loro e la mia lingua non sia la mia rovina?

_________________ Note

22,3-8 Sullo sfondo di queste massime sui figli va colta la mentalità dell’antico mondo orientale che, pregiudizialmente, preferiva il figlio alla figlia.

22,6 frusta e correzione: si riferisce a un metodo educativo che non risparmiava le punizioni corporali.

22,15 Sabbia, sale e ferro: erano considerati gli elementi più pesanti da trasportare.

22,27-23,6 Preghiera per la vigilanza

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Approfondimenti

Il c. 22 presenta un riferimento iniziale all'uomo pigro (vv. 1-2), seguito da quattro tematiche principali: il comportamento dei figli e l'onore familiare (vv. 3-8), l'utilità di non avere a che fare con lo stolto (vv. 9-15), il confronto tra il cuore deciso e quello incerto (vv. 16-18), l'amicizia che finisce e quella che dura (vv. 19-26). L'ultimo v. avvia la pericope iniziale del c. 23.

vv. 1-2. Il tema della pigrizia è legato a quello della sporcizia, forse per allusione alla miseria cui conduce (cfr. Pr 24,30-34). In Ez 4,12.15 lo sterco è usato come combustibile in un contesto di precarietà.

vv. 3-8. Se un figlio senza disciplina è motivo di vergogna, una figlia è comunque un guaio più grande. L'Ebreo del tempo considerava una sventura la nascita di una figlia: nella preghiera quotidiana ringraziava Dio per non averlo fatto nascere donna (cfr. Menahôt 43b). In caso di donna prudente, il suo valore viene considerato in base al beneficio che ne riceve il marito (cfr. 26,1-4.13-18; Pr 12,4; 18,22; 31,10-12.23-28); se si rivela svergognata, allora diventa causa di dolore per il padre che l'ha educata male (vv. 3-5; cfr. 42,9-14). Genitore e marito la disprezzeranno. Disciplina e correzione corporale (vv. 3a.6b) hanno ampio spazio nella sapienza tradizionale: chi usa spesso la frusta gioisce alla fine (30,1; cfr. Pr 13,24; 19,18; 22,15; 23,13-14), mentre un giovane lasciato a se stesso finisce per disonorare la madre (Pr 29,15). Ben Sira ribadisce il principio secondo cui la “stirpe buona” si vede nel comportamento onesto e nell'educazione (vv. 7-8). Achikar assiro afferma: «Il ricco non dica: “Grazie alla mia ricchezza io sono illustre”» (109).

vv. 9-15. L'inutilità di correggere lo stolto è resa con immagini eloquenti: è come incollare cocci, svegliare un dormiglione (v. 9) o parlare ad uno che ha sonno (v. 10); lo stolto è peggiore di un morto, che viene pianto solo sette giorni e non tutta la vita (vv. 11-12). L'invito finale riassume l'intento del brano: evitare a tutti i costi l'insensato (v. 13), che stanca più della sabbia, del sale e di una palla di ferro (v. 15). È facile indovinare che lo stolto è più pesante del piombo (v. 14). Considerazioni simili si trovano nella Storia di Achikar 2,45-46: «Figlio mio, ho portato sale e trasportato piombo, e non ho visto nulla di più pesante del debito che uno deve pagare quando non aveva preso a prestito. Figlio mio, ho portato sale e trasportato pietre, e mi hanno valutato come un uomo che va ad abitare nella casa di suo suocero» (cfr. anche 3,58).

vv. 16-18. Tema centrale è il contrasto tra il cuore deciso del saggio (vv. 16c.17a) e quello incerto dello stolto (v. 18c). Tre immagini sono prese dall'arte del costruire: il legno che puntella e resiste (v. 16a), l'intonaco (v. 17b) e i sassi su di un muro elevato (v. 18a). L'ultima immagine forse ricorda l'uso di mettere sui muretti di cinta sassi la cui caduta richiama l'attenzione del custode.

vv. 19-26. L'amicizia – di cui Ben Sira ha parlato in 6,5-17 e 12,8-18 – corre rischi. Cause della sua fine sono l'offesa (v. 20b), l'insulto e l'arroganza, lo svelamento dei segreti e il tradimento (v, 22cde). L'insulto precede la violenza, come il fumo il fuoco (v. 24). Il quadro è realistico. Altre colpe contro l'amicizia, dovute alla spada (v. 21) e alla bocca (v. 22ab), sono sanabili. Anche di fronte alle disgrazie dell'amico non bisogna arretrare (v. 23ac) né vergognarsi (v. 25): ne verrà bene nel momento propizio (v. 23bd). L'apparenza del povero e del ricco ingannano spesso (v. 23ef). In caso di guai, tutti si guarderanno da tale amicizia (v. 26).

Conclusione. Il noto realismo di Ben Sira si muove in campi consueti: la critica sociale della pigrizia, l'onore procurato dall'educazione e dall'onestà dei figli, la saggezza di non perdere tempo con lo stolto, la capacità di vivere amicizie dignitose e durature. Tuttavia il pragmatismo della lezione di Ben Sira sull'amicizia è ben lontano dal “premio grande” che l'Altissimo darà a chi segue l'insegnamento di Gesù ed impara ad amare i nemici e a fare del bene “senza sperarne nulla” (cfr. Lc 6, 27-30).

(cf. PIETRO FRANGELLI, Siracide – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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