📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA: Regole; a Diogneto ● PROFETI ● Concilio Vaticano II ● NUOVO TESTAMENTO

XII. La vera scienza 1. Attendendo e ascoltando con cura, conoscerete quali cose Dio prepara a quelli che lo amano rettamente. Diventano un paradiso di delizie e producono in se stessi, ornati di frutti vari, un albero fruttuoso e rigoglioso. 2. In questo luogo, infatti, fu piantato l'albero della scienza e l'albero della vita; non l'albero della scienza, ma la disubbidienza uccide. 3. Non è oscuro ciò che fu scritto: che Dio da principio piantò in mezzo al paradiso l'albero della scienza e l'albero della vita, indicando la vita con la scienza. Quelli che da principio non la usarono con chiarezza, per l'inganno del serpente furono denudati. 4. Non si ha vita senza scienza, né scienza sicura senza vita vera, perciò i due alberi furono piantati vicino. 5. L'apostolo, comprendendo questa forza e biasimando la scienza che si esercita sulla vita senza la norma della verità, dice: «La scienza gonfia, la carità, invece, edifica». 6. Chi crede di sapere qualche cosa, senza la vera scienza testimoniata dalla vita, non sa: viene ingannato dal serpente, non avendo amato la vita. Lui, invece, con timore conosce e cerca la vita, pianta nella speranza aspettando il frutto. 7. La scienza sia il tuo cuore e la vita la parola vera recepita. 8. Portandone l'albero e cogliendone il frutto abbonderai sempre delle cose che si desiderano davanti a Dio, che il serpente non tocca e l'inganno non avvince; Eva non è corrotta ma è riconosciuta vergine. Si addita la salvezza, gli apostoli sono compresi, la Pasqua del Signore si avvicina, si compiono i tempi e si dispongono in ordine, e il Verbo che ammaestra i santi si rallegra. Per lui il Padre è glorificato; a lui la gloria nei secoli. Amen.

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Approfondimenti

Al capitolo XII troviamo un'interpretazione allegorica dei due alberi del paradiso terrestre che serve a definire il corretto rapporto tra scienza e pratica di vita: “non si ha vita senza scienza, né scienza sicura senza vita vera, perciò i due alberi furono piantati vicino”.

Un’interpretazione letterale della frase riportata ci offre una sintesi della capacità di conoscenza degli uomini di progredire nel sapere scientifico e alla ricerca di senso del concreto quotidiano, immerso come è nella gioia e nei problemi da affrontare nel vissuto. Il progredire della tecnologia impone di definire un corretto rapporto tra scienza e pratica di vita.

Una componente essenziale della natura umana è la ricerca di senso che da sempre ogni uomo, credente e non credente, cerca di capire. L’esistenza è un problema sempre aperto, un’esperienza continua, che non può mai concludersi definitivamente. Essa è costantemente protesa verso il futuro di cui l’uomo è continuamente preoccupato.

L’uomo deve accettare il suo destino di essere mortale per poter vivere meglio e deve riconoscere che sa ben poco, che la ragione ha dei limiti, che la scienza può sbagliare. Il problema è: quanto e che cosa si può e si deve fare.

Il sapere umano deve aiutare a relativizzare la ragione e ad essere consapevole che «dal cuore degli uomini escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza», per usare le parole di Mc 7,21-23, in modo da cercare i segni di una fraternità, all’insegna di una comune miseria, fra gli uomini di tutti i tempi e paesi.

In questo senso, la storia si scopre così una miniera di insegnamenti sulla natura debole e inferma dell’uomo, sulla sua condizione tanto ridicola quanto risibile.

Il senso di assurdità del vivere e il continuo risorgere nella speranza e nell’impegno è tipico dell’etica cristiana che aiuta la ricerca del meglio, spogliato dai fronzoli dell’enfasi, del clamore, dell’ostentazione per vivere con semplicità e pensare con grandezza.

La Lettera di Diogneto è un invito alla ricerca di una felicità e nel modo migliore per conseguirla: da qui l’abbandono di ogni orgoglio intellettuale, l’accettazione dell’esistenza nei suoi vari aspetti, della tolleranza verso le nostre fragili illusioni, le nostre piccinerie per accettare appunto i piaceri che la vita ci può offrire, sopportando i mali e le avversità.

Tratto da: La vita e la scienza nella Lettera a Diogneto – di Bonaventura Marino


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XI. Il loro maestro 1. Non dico stranezze né cerco il falso, ma, divenuto discepolo degli apostoli, divento maestro delle genti e trasmetto in maniera degna le cose tramandate a quelli che si son fatti discepoli della verità. 2. Chi infatti, rettamente istruito e fattosi amico del Verbo, non cerca di imparare saggiamente le cose che dal Verbo furono chiaramente mostrate ai discepoli? Non apparve ad essi il Verbo, manifestandosi e parlando liberamente, quando dagli increduli non fu compreso, ma guidando i discepoli che, da lui ritenuti fedeli, conobbero i misteri del Padre? 3. Egli mandò il Verbo come sua grazia, perché si manifestasse al mondo. Disprezzato dal popolo, annunziato dagli apostoli, fu creduto dai pagani. 4. Egli fin dal principio apparve nuovo ed era antico, e ognora diviene nuovo nei cuori dei fedeli. 5. Egli eterno, in eterno viene considerato figlio. Per mezzo suo la Chiesa si arricchisce e la grazia diffondendosi nei fedeli si moltiplica. Essa ispira saggezza, svela i misteri, preannuncia i tempi, si rallegra per i fedeli, si dona a quelli che la cercano, senza infrangere i giuramenti della fede né oltrepassare i limiti dei padri. 6. Si celebra poi il timore della legge, si riconosce la grazia dei profeti, si conserva la fede dei Vangeli, si conserva la tradizione degli apostoli e la grazia della Chiesa esulta. 7. Non contristando tale grazia, saprai ciò che il Verbo dice per mezzo di quelli che vuole, quando vuole. 8. Per amore delle cose rivelateci vi facciamo partecipi di tutto quanto; per la volontà del Verbo che lo ordina, fummo spinti a parlare con zelo.

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Approfondimenti

I capitoli VII-XII della Lettera a Diogneto si concentrano sulla presentazione di ciò che permette ai cristiani di vivere la loro vita sociale in modo mirabile e paradossale: la fede in Dio, autore della creazione, che si è fatto uomo per amore dell’umanità. Sono stati molto ripresi e commentati i capp. V-VI, tuttavia essi possono essere compresi appieno solo tenendo conto dello sviluppo teologico dei successivi capitoli.

Il testo della Lettera a Diogneto è un testimone fedele di un periodo di persecuzioni, in cui il cristianesimo è una minoranza, sovente disprezzata e conosciuta approssimativamente, dando spazio alla realtà delle minacce rivolte ai cristiani. Tuttavia non ne fa motivo di recriminazione, ma la legge a partire dalla fede, nutrita dalle Scritture e dall’attesa escatologica: il mondo non è giudicato ostile, ma è riconosciuto come il luogo in cui operare perché siano sempre più visibili e vissuti l’amore e la giustizia del Vangelo. Tutto ciò prende corpo nella quotidianità dei cristiani in un impegno a vivere e agire secondo la propria fede. Si tratta, dunque, di un pensiero maturato nel confronto con un tempo e un contesto socioculturale ben precisi, ma elaborato a partire dalla prospettiva della fede cristiana.

I cristiani nel mondo sono chiamati a “vegliare” nel duplice significato di questo termine. Da una parte, si prendono cura della creazione; dall’altro, attendono con impazienza la parusia, la venuta del Signore. Sono, perciò, come la sentinella che attende l’aurora (Salmo 130,6): nelle tenebre della notte aspetta fiduciosa l’avvento della prima luce del giorno.

Così, i cristiani custodiscono il mondo e lo scrutano per potervi riconoscere i segni della presenza di Dio all’opera. Inoltre sono chiamati a risvegliare l’umanità, distogliendola dal torpore della routine e delle piccole preoccupazioni in cui rischia di smarrirsi, per rimettere al centro il rispetto dei valori fondamentali della dignità della persona e della convivenza civile.

L’esercizio di questo duplice compito non è di certo slegato dalla realtà in cui si è inseriti. Rifuggendo da ogni astrazione o teoria, i cristiani, come singoli e come comunità, sono chiamati a confrontarsi con le questioni problematiche presenti nei Paesi in cui vivono (dall’educazione alla legalità, dalla lotta alla povertà alla promozione di uno sviluppo giusto e sostenibile), per riconoscere quali siano prioritarie e cercare di dare una risposta efficace e concreta, o, in altri termini, incarnata.

Così facendo, i cristiani diventano cooperatori di Dio immettendo nel mondo uno spirito nuovo, un dinamismo di vita capace di trasformare la realtà e aprire la strada a una comprensione rinnovata e liberante della vita, intesa come dono ricevuto da condividere.


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X. La carità 1. Se anche tu desideri questa fede, per prima otterrai la conoscenza del Padre. 2. Dio, infatti, ha amato gli uomini. Per loro creò il mondo, a loro sottomise tutte le cose che sono sulla terra, a loro diede la parola e la ragione, solo a loro concesse di guardarlo, lo plasmò secondo la sua immagine, per loro mandò suo figlio unigenito, loro annunziò il Regno nel cielo e lo darà a quelli che l'hanno amato. 3. Una volta conosciutolo, hai idea di qual gioia sarai colmato? Come non amerai colui che tanto ti ha amato? 4. Ad amarlo diventerai imitatore della sua bontà, e non ti meravigliare se un uomo può diventare imitatore di Dio: lo può volendolo lui (l'uomo). 5. Non si è felici nell'opprimere il prossimo, nel voler ottenere più dei deboli, arricchirsi e tiranneggiare gli inferiori. In questo nessuno può imitare Dio, sono cose lontane dalla Sua grandezza! 6. Ma chi prende su di sé il peso del prossimo e in ciò che è superiore cerca di beneficare l'inferiore; chi, dando ai bisognosi ciò che ha ricevuto da Dio, è come un Dio per i beneficati, egli è imitatore di Dio. 7. Allora stando sulla terra contemplerai perché Dio regna nei cieli, allora incomincerai a parlare dei misteri di Dio, allora amerai e ammirerai quelli che sono puniti per non voler rinnegare Dio. Condannerai l'inganno e l'errore del mondo quando conoscerai veramente la vita nel cielo, quando disprezzerai quella che qui pare morte e temerai la morte vera, riservata ai dannati al fuoco eterno che tormenta sino alla fine coloro che gli saranno consegnati. 8. Se conoscerai quel fuoco ammirerai e chiamerai beati quelli che sopportarono per la giustizia il fuoco temporaneo.

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Approfondimenti

La lettera a Diogneto testimonia il modo di vivere la fede cristiana senza ridurla a una lista di precetti e divieti. Il “credo” cristiano non viene presentato come una “formula” da imparare a memoria, ma come una disposizione d’animo; così è stata vissuta dalle prime comunità cristiane immerse nel mondo pagano, ma poi questa attitudine è andata perduta nel tempo con l’affermarsi della cristianità.

La lettera a Diogneto è un testo importante per educare il popolo di Dio; nei suoi dodici brevi capitoli sul come essere e vivere da cristiani, mantiene un suo fascino e genera risorse spirituali. È forse la sobria capacità nell’esprimere la fede che ci spinge a tornare spesso su quest’opera, per approfondirne sempre di più il suo segreto fascino. In meno di 300 righe e 12 asciutti capitoletti custodisce l’essenza del cristianesimo!

Con il cap. X la lettera potrebbe dirsi conclusa sull'esortazione rivolta a Diogneto di abbracciare la nuova fede: i due capitoli finali (X-XI) sono ritenuti un'aggiunta.


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IX. L'economia divina 1. (Dio) dunque avendo da sé tutto disposto con il Figlio, permise che noi fino all'ultimo, trascinati dai piaceri e dalle brame come volevamo, fossimo travolti dai piaceri e dalle passioni. Non si compiaceva affatto dei nostri peccati, ma ci sopportava e non approvava quel tempo di ingiustizia. Invece, preparava il tempo della giustizia perché noi fossimo convinti che in quel periodo, per le nostre opere, eravamo indegni della vita, e ora solo per bontà di Dio ne siamo degni, e dimostrassimo, per quanto fosse in noi, che era impossibile entrare nel regno di Dio e che solo per sua potenza ne diventiamo capaci. 2. Dopo che la nostra ingiustizia giunse al colmo e fu dimostrato chiaramente che come suo guadagno spettava il castigo e la morte, venne il tempo che Dio aveva stabilito per manifestare la sua bontà e la sua potenza. O immensa bontà e amore di Dio. Non ci odiò, non ci respinse e non si vendicò, ma fu magnanimo e ci sopportò e con misericordia si addossò i nostri peccati e mandò suo Figlio per il nostro riscatto; il santo per gli empi, l'innocente per i malvagi, il giusto per gli ingiusti, l'incorruttibile per i corrotti, l'immortale per i mortali. 3. Quale altra cosa poteva coprire i nostri peccati se non la sua giustizia? 4. In chi avremmo potuto essere giustificati noi, ingiusti ed empi, se non nel solo Figlio di Dio? 5. Dolce sostituzione, opera inscrutabile, benefici insospettati! L'ingiustizia di molti viene riparata da un solo giusto e la giustizia di uno solo rende giusti molti. 6. Egli, che prima ci convinse dell'impotenza della nostra natura per avere la vita, ora ci mostra il salvatore capace di salvare anche l'impossibile. Con queste due cose ha voluto che ci fidiamo della sua bontà e lo consideriamo nostro sostentatore, padre, maestro, consigliere, medico, mente, luce, onore, gloria, forza, vita, senza preoccuparsi del vestito e del cibo.

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Approfondimenti

La fede cristiana non è frutto d'invenzione umana, ma è la rivelazione dell'amore divino, che nell'invio del Figlio ha riscattato gli uomini dall'abisso in cui la loro incapacità di compiere il bene li aveva gettati. Dio non ha preteso che fossero loro a uscirne, ma il suo stesso apparente ritardo nell'intervenire ha permesso loro di sperimentare più a fondo la sua bontà.


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VIII. L'incarnazione 1. Chi fra tutti gli uomini sapeva perfettamente che cosa è Dio, prima che egli venisse? 2. Vorrai accettare i discorsi vuoti e sciocchi dei filosofi degni di fede? Alcuni affermavano che Dio è il fuoco, ove andranno essi chiamandolo Dio, altri dicevano che è l'acqua, altri che è uno degli elementi da Dio creati. 3. Certo, se qualche loro affermazione è da accettare si potrebbe anche asserire che ciascuna di tutte le creature ugualmente manifesta Dio. 4. Ma tutte queste cose sono ciarle e favole da ciarlatani. 5. Nessun uomo lo vide e lo conobbe, ma egli stesso si rivelò a noi. 6. Si rivelò mediante la fede, con la quale solo è concesso vedere Dio. 7. Dio, signore e creatore dell'universo, che ha fatto tutte le cose e le ha stabilite in ordine, non solo si mostrò amico degli uomini, ma anche magnanimo. 8. Tale fu sempre, è e sarà: eccellente, buono, mite e veritiero, il solo buono. 9. Avendo pensato un piano grande e ineffabile lo comunicò solo al Figlio. 10. Finché lo teneva nel mistero e custodiva il suo saggio volere, pareva che non si curasse e non pensasse a noi. 11. Dopo che per mezzo del suo Figlio diletto rivelò e manifestò ciò che aveva stabilito sin dall'inizio, ci concesse insieme ogni cosa, cioè di partecipare ai suoi benefici, di vederli e di comprenderli. Chi di noi se lo sarebbe aspettato?

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Approfondimenti

L’autore per spiegare l’incarnazione fa riferimento alla filosofia greca. Alcuni filosofi affermavano che Dio era il fuoco, altri che Dio era l’acqua. Invece i cristiani si allontanano dalla filosofia greca delle origini. In questo capitolo si fa riferimento alla rivelazione. Il Dio unico dei cristiani non tiene per se “la Parola” (Logos) ma si rivela. La rivelazione avviene attraverso il figlio.

Pur provenendo dal mondo giudaico, il cristianesimo si rivolge a tutti gli uomini, in modo universale: una rivelazione che è svelamento di un “mistero” (8.10), un inatteso inaudito.

Emergono due concetti importanti del cristianesimo, da una parte, la divinità come provvidente, al contrario del pensiero greco; dall’altra, la pienezza dei tempi.


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VII.Dio e il Verbo 1. Infatti, come ebbi a dire, non è una scoperta terrena da loro tramandata, né stimano di custodire con tanta cura un pensiero terreno né credono all'economia dei misteri umani. 2. Ma quello che è veramente signore e creatore di tutto e Dio invisibile, egli stesso fece scendere dal cielo, tra gli uomini, la verità, la parola santa e incomprensibile e l'ha riposta nei loro cuori. Non già mandando, come qualcuno potrebbe pensare, qualche suo servo o angelo o principe o uno di coloro che sono preposti alle cose terrene o abitano nei cieli, ma mandando lo stesso artefice e fattore di tutte le cose, per cui creò i cieli e chiuse il mare nelle sue sponde e per cui tutti gli elementi fedelmente custodiscono i misteri. Da lui il sole ebbe da osservare la misura del suo corso quotidiano, a lui obbediscono la luna che splende nella notte e le stelle che seguono il giro della luna; da lui tutto fu ordinato, delimitato e disposto, i cieli e le cose nei cieli, la terra e le cose nella terra, il mare e le cose nel mare, il fuoco, l'aria, l'abisso, quello che sta in alto, quello che sta nel profondo, quello che sta nel mezzo; lui Dio mandò ad essi. 3. Forse, come qualcuno potrebbe pensare, lo inviò per la tirannide, il timore e la prostrazione? 4. No certo. Ma nella mitezza e nella bontà come un re manda suo figlio, lo inviò come Dio e come uomo per gli uomini; lo mandò come chi salva, per persuadere, non per far violenza. A Dio non si addice la violenza. 5. Lo mandò per chiamare non per perseguitare; lo mandò per amore non per giudicare. 6. Lo manderà a giudicare, e chi potrà sostenere la sua presenza? 7. Non vedi (i cristiani) che gettati alle fiere perché rinneghino il Signore, non si lasciano vincere? 8. Non vedi, quanto più sono puniti, tanto più crescono gli altri? 9. Questo non pare opera dell'uomo, ma è potenza di Dio, prova della sua presenza.

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Approfondimenti

In un quadro sociale e culturale assai simile al nostro, la lettera a Diogneto – che cercava di conoscere le peculiarità della nuova religione diffusasi rapidamente nell’impero romano – presenta l’immagine del Dio dei cristiani. Dall’identità divina esposta nello scritto scaturisce un particolare profilo dei credenti che trova nella pluralità, nella complessità e nella diversità delle occasioni favorevoli per l’annuncio evangelico.

Per l’autore, il Dio unico dei cristiani è diverso da quello dei pagani poiché si è unito al suo popolo – cioè all’umanità – con amore. Questo è reso possibile dal fatto che Dio ha condiviso in Cristo la condizione delle creature ed è divenuto straniero e partecipe in tutto alla vita degli uomini. Questa immagine della divinità genera uno stile particolare che i credenti sono destinati a vivere e a diffondere nella terra. I cristiani, infatti, non usano la violenza per convertire ma propongono la loro novità con la vita vissuta nel quotidiano attraverso scelte ispirate al messaggio evangelico: chi prende su di sé il peso del prossimo e in ciò che è superiore cerca di beneficare l’inferiore; chi, dando ai bisognosi ciò che ha ricevuto da Dio, è come un Dio per i beneficati, egli è imitatore di Dio.

Dall’A Diogneto emerge chiaramente una verità che consiste nello stretto legame fra l’identità divina e l’agire dei cristiani nel mondo. La vita dei credenti è intesa come un vero e proprio luogo teologico nel quale vivere concretamente l’amore donato da Dio. In tal modo i discepoli del Cristo si lasciano plasmare dal Signore nel quale credono sino ad apparire – rispetto agli altri uomini – diversi e rinnovati poiché non fanno il male e si occupano del prossimo. Allora, il profilo dei cristiani nel mondo genera una forma particolare di cittadinanza contraddistinta non dalla paura della diversità o dal semplice rispetto delle leggi bensì dal tentativo di agire per imitare Dio.

Tratto da: La lezione dell’A Diogneto a servizio della Chiesa che verrà


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VI. L'anima del mondo 1. In una parola: i cristiani sono nel mondo quello che è l'anima nel corpo. 2. L'anima si trova in tutte le membra del corpo e anche i cristiani sono sparsi nelle città del mondo. 3. L'anima abita nel corpo, ma non è del corpo; i cristiani abitano nel mondo, ma non sono del mondo. L'anima invisibile è racchiusa in un corpo visibile, anche i cristiani si vedono abitare nel mondo, ma il loro vero culto a Dio rimane invisibile. 5. La carne, pur non avendo ricevuto ingiustizia alcuna, si accanisce con odio e muove guerra all'anima, perché questa le impedisce di godere dei piaceri carnali; così anche il mondo odia i cristiani pur non avendo ricevuto ingiuria alcuna, solo perché questi si oppongono al male. 6. Sebbene ne sia odiata, l'anima ama la carne e le sue membra, così anche i cristiani amano coloro che li odiano. 7. L'anima è rinchiusa nel corpo, ma essa a sua volta sorregge il corpo. Anche i cristiani sono trattenuti nel mondo come in una prigione, ma sono essi che sorreggono il mondo. 8. L'anima immortale abita in una tenda mortale, così anche i cristiani sono come dei pellegrini in viaggio tra cose corruttibili, ma aspettano l'incorruttibilità celeste. 9. L'anima, maltrattata nei cibi e nelle bevande, diventa migliore. Così anche i cristiani, esposti ai supplizi, crescono di numero ogni giorno. 10. Dio li ha messi in un posto così nobile, che non è permesso a loro di abbandonarlo.

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Approfondimenti

La prima menzione dell'A Diogneto, nei documenti conciliari (che è forse la più importante e certo la più nota) è quella contenuta in Lumen gentium 38, ossia il numero conclusivo del capitolo 4 sui laici: «Ogni laico deve essere davanti al mondo il testimone della ri­surrezione e della vita del Signore Gesù e il segno del Dio vivo. Tutti insieme, e ognuno per la sua parte, devono alimentare il mondo con i frutti spirituali (cf. Gal 5,22) e in esso diffondere lo spirito, da cui sono animati i poveri, i miti e i pacifici, che il Signore nel vangelo proclamò beati (cf. Mt 5,3-9). In una parola: “ciò che l’anima è nel corpo, questo siano nel mondo i cristiani”: Lettera a Diogneto 6)». Il testo conciliare pare quindi quasi riassumere tutto l’insegnamento sulla missione laicale con le parole del nostro scritto sulla famosa opposizione dialettica anima-corpo / cristiani-mondo.

La citazione di A Diogneto VI,1 menzionata da Lumen gentium 38 viene poi richiamata in Gaudium et spes 40 (la Chiesa è «quasi l’anima della società umana»). Se la forma dell’accenno è allusiva, esplicita è invece l’intenzione dei padri conciliari, come si evince dalla nota che accompagna il documento, che rimanda espressamente al testo e alla nota di Lumen gentium 38 in oggetto: «Perciò la Chiesa, che è insieme società visibile e comunità spirituale, cammina insieme con l’umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena; essa è come il fermento e quasi l’anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio».

Anche in Ad Gentes 15 si propone una significa­tiva menzione del nostro scritto. Essa comunque si presenta legger­mente adattata al contesto generale del discorso e piegata alle finalità missionarie ed ecumeniche del tempo: «I fedeli, che da tutti i popoli sono riuniti nella Chiesa, “non sono separati dagli altri uomini né per governo, né per lingua né per istituzioni politiche” (Lettera a Diogneto 5); perciò debbono vivere per Iddio e per il Cristo secondo le usanze e il comportamento del loro paese: come buoni cittadini essi debbono coltivare un sincero e fattivo amor di patria, evitare ogni forma di razzismo e di nazionali­smo esagerato e promuovere l’amore universale tra i popoli».

Le menzioni conciliari dello scritto conservano la loro massima importanza, in quanto il Vaticano II e tutta la sua preparazione sono stati per eccellenza “luogo” di ripensamento in toto della fede cristiana, ossia della presenza evangelizzatrice dei cristiani nel mondo, dove “mondo” significa in primo luogo società, cultura e politica.

Tratto da: L’A Diogneto: una perla della letteratura cristiana antica in alcuni documenti del Concilio Vaticano II


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V. Il mistero cristiano 1. I cristiani non si differenziano dal resto degli uomini né per territorio, né per lingua, né per consuetudini di vita. 2. Infatti non abitano città particolari, né parlano qualche strano linguaggio, né conducono uno speciale genere di vita. 3. La loro dottrina non è stata inventata per riflessione e indagine di uomini amanti delle novità, né essi si appoggiano, come taluni, sopra un sistema filosofico umano. 4. Abitano in città sia greche che barbare, come capita, e pur seguendo nel vestito, nel vitto e nel resto della vita le usanze del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e, per ammissione di tutti, incredibile. 5. Abitano ciascuno la loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutte le attività di buoni cittadini e accettano tutti gli oneri come ospiti di passaggio. Ogni terra straniera è patria loro, e ogni patria è terra straniera. 6. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. 7. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. 8. Vivono nella carne, ma non secondo la carne. 9. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. 10. Trascorrono la loro vita sulla terra, ma la loro cittadinanza è quella del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma, con il loro modo di vivere, superano le leggi. 11. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. 12. Sono sconosciuti eppure condannati. Sono mandati a morte, ma con questo ricevono la vita. 13. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. 14. Sono disprezzati, ma nel disprezzo trovano la loro gloria. Sono oltraggiati e intanto si rende testimonianza alla loro giustizia. 15. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati ed onorano. 16. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. 17. Dai giudei sono combattuti come stranieri, e i pagani li perseguitano. Ma quanti li odiano non sanno dire il motivo della loro inimicizia.

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Approfondimenti

Quale vita i cristiani vivono nel mondo? E cosa significa che «ogni terra straniera è patria loro, e ogni patria è terra straniera»?

Per far luce sulla vita dei cristiani in mezzo a tutte le altre persone, bisogna anzitutto guardare alla vita di Gesù, cui i suoi discepoli fin dai primi secoli si sono ispirati. Gesù ha condiviso con discepoli e discepole la sua itineranza, a partire dalla Galilea, passando per città e villaggi, fino alla morte a Gerusalemme. Nel suo peregrinare ha incontrato tutti: giusti e peccatori, malati e sani, giovani e vecchi, giudei e pagani.

La comunità cristiana comincia a delineare il suo rapporto con il mondo a partire dall’esempio di Gesù: una comunità aperta a tutti dunque, senza discriminazioni di lingua, cultura o status sociale. La fede in Gesù Cristo implica una testimonianza concreta nella società, anche attraverso azioni, scelte, comportamenti che hanno un’incidenza politica, sociale ed economica: «[I cristiani] obbediscono alle leggi stabilite, ma, con il loro modo di vivere, superano le leggi». Ogni terra straniera è per loro patria, perché la fraternità che si sentono chiamati a costruire supera i confini tracciati dalla politica; e ogni patria è per loro terra straniera, perché in ultima istanza questa fraternità e solidarietà assaporate oggi attendono una pienezza che sarà possibile solo nel compimento del regno di Dio, vera “patria” del cristiano e di ogni uomo e di ogni donna, dove la morte e il male non ci saranno più e si gusterà solo una vita traboccante di gioia condivisa in cui tutti sono inclusi.


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III. Il culto giudaico 1. Inoltre, credo che tu piuttosto desideri sapere perché essi non adorano Dio secondo gli ebrei. 2. Gli ebrei hanno ragione quando rigettano l'idolatria, di cui abbiamo parlato, e venerano un solo Dio e lo ritengono padrone di tutte le cose. Ma sbagliano se gli tributano un culto simile a quello dei pagani. 3. Come i greci, sacrificando a cose insensibili e sorde dimostrano stoltezza, così essi, pensando di offrire a Dio come ne avesse bisogno, compiono qualche cosa che è simile alla follia, non un atto di culto. 4. «Chi ha fatto il cielo e la terra e tutto ciò che è in essi», e provvede tutti noi delle cose che occorrono, non ha bisogno di quei beni. Egli stesso li fornisce a coloro che credono di offrirli a lui. 5. Quelli che con sangue, grasso e olocausti credono di fargli sacrifici e con questi atti venerarlo, non mi pare che differiscano da coloro che tributano riverenza ad oggetti sordi che non possono partecipare al culto. Immaginarsi poi di fare le offerte a chi non ha bisogno di nulla!

IV. Il ritualismo giudaico 1. Non penso che tu abbia bisogno di sapere da me intorno ai loro scrupoli per certi cibi, alla superstizione per il sabato, al vanto per la circoncisione, e alla osservanza del digiuno e del novilunio: tutte cose ridicole, non meritevoli di discorso alcuno. 2. Non è ingiusto accettare alcuna delle cose create da Dio ad uso degli uomini, come bellamente create e ricusarne altre come inutili e superflue? 3. Non è empietà mentire intorno a Dio come di chi impedisce di fare il bene di sabato? 4. Non è degno di scherno vantarsi della mutilazione del corpo, come si fosse particolarmente amati da Dio? 5. Chi non crederebbe prova di follia e non di devozione inseguire le stelle e la luna per calcolare i mesi e gli anni, per distinguere le disposizioni divine e dividere i cambiamenti delle stagioni secondo i desideri, alcuni per le feste, altri per il dolore? 6. Penso che ora tu abbia abbastanza capito perché i cristiani a ragione si astengono dalla vanità, dall'impostura, dal formalismo e dalla vanteria dei giudei. Non credere di poter imparare dall'uomo il mistero della loro particolare religione.

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Approfondimenti

Uno sconosciuto autore cristiano del II secolo scrive a un colto pagano, Diogneto, il quale vuole capire chi sono e come vivono i cristiani, e conoscere il loro messaggio. La lettera continua con una critica sommaria e dura del giudaismo.


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I. Esordio 1. Vedo, ottimo Diogneto, che tu ti accingi ad apprendere la religione dei cristiani e con molta saggezza e cura cerchi di sapere di loro. A quale Dio essi credono e come lo venerano, perché tutti disdegnano il mondo e disprezzano la morte, non considerano quelli che i greci ritengono dèi, non osservano la superstizione degli ebrei, quale amore si portano tra loro, e perché questa nuova stirpe e maniera di vivere siano comparsi al mondo ora e non prima. 2. Comprendo questo tuo desiderio e chiedo a Dio, che ci fa parlare e ascoltare, che sia concesso a me di parlarti perché tu ascoltando divenga migliore, e a te di ascoltare perché chi ti parla non abbia a pentirsi.

II. L'idolatria 1. Purìficati da ogni pregiudizio che ha ingombrato la tua mente e spògliati dell'abitudine ingannatrice e fatti come un uomo nuovo da principio, per essere discepolo di una dottrina anche nuova come tu stesso hai ammesso. Non solo con gli occhi, ma anche con la mente considera di quale sostanza e di quale forma siano quelli che voi chiamate e ritenete dèi. 2. Non (sono essi) pietra come quella che si calpesta, bronzo non migliore degli utensili fusi per l'uso, legno già marcio, argento che ha bisogno di un uomo che lo guardi perché non venga rubato, ferro consunto dalla ruggine, argilla non più scelta di quella preparata a vile servizio? 3. Non (sono) tutti questi (idoli) di materia corruttibile? Non sono fatti con il ferro e con il fuoco? Non li foggiò lo scalpellino, il fabbro, l'argentiere o il vasaio? Prima che con le loro arti li foggiassero, ciascuno di questi (idoli) non era trasformabile, e non lo può (essere) anche ora? E quelli che ora sono gli utensili della stessa materia non potrebbero forse diventare simili ad essi se trovassero gli stessi artigiani? 4. E per l'opposto, questi da voi adorati non potrebbero diventare, ad opera degli uomini, suppellettili uguali alle altre? Non sono cose sorde, cieche, inanimate, insensibili, immobili? Non tutte corruttibili? Non tutte distruttibili? 5. Queste cose chiamate dèi, a queste servite, a queste supplicate, infine ad esse vi assimilate. 6. Perciò odiate i cristiani perché non le credono dèi. 7. Ma voi che li pensate e li immaginate tali non li disprezzate più di loro? Non li deridete e li oltraggiate più voi che venerate quelli di pietra e di creta senza custodi, mentre chiudete a chiave di notte quelli di argento e di oro, e di giorno mettete le guardie perché non vengano rubati? 8. Con gli onori che credete di rendere loro, se hanno sensibilità, siete piuttosto a punirli. Se non hanno i sensi siete voi a svergognarli con sacrificio di sangue e di grassi fumanti. 9. Provi qualcuno di voi queste cose, permetta che gli vengano fatte. Ma l'uomo di propria volontà non sopporterebbe tale supplizio perché ha sensibilità e intelligenza; ma la pietra lo tollera perché non sente. 10. Molte altre cose potrei dirti perché i cristiani non servono questi dèi. Se a qualcuno ciò non sembra sufficiente, credo inutile parlare anche di più.

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Approfondimenti

Uno sconosciuto autore cristiano del II secolo scrive a un colto pagano, Diogneto, il quale vuole capire chi sono e come vivono i cristiani, e conoscere il loro messaggio.

Fu il Concilio Vaticano II a rendere famosa in età moderna la lettera a Diogneto citandola ben tre volte, in Lumen gentium 38, in Dei Verbum 4 e in Ad gentes 15.

La lettera si apre con le domande relative ai cristiani, poste dal pagano Diogneto: qual è il Dio dei cristiani, qual è la religione che permette loro di disprezzare a tal punto il mondo e la morte? E in che cosa si differenzia da quelle dei greci e dei giudei? E perché questa religione, se è la vera, è apparsa nel mondo così tardi? L'autore risponde criticando sommariamente e duramente il politeismo.


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