📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

Processo e prigionia di Paolo sotto Felice 1Cinque giorni dopo arrivò il sommo sacerdote Anania insieme ad alcuni anziani e a un avvocato, un certo Tertullo, e si presentarono al governatore per accusare Paolo. 2Quando questi fu fatto venire, Tertullo cominciò l’accusa dicendo: «La lunga pace di cui godiamo, grazie a te, e le riforme che sono state fatte in favore di questa nazione, grazie alla tua provvidenza, 3le accogliamo in tutto e per tutto, eccellentissimo Felice, con profonda gratitudine. 4Ma, per non trattenerti più a lungo, ti prego, nella tua benevolenza, di ascoltarci brevemente. 5Abbiamo scoperto infatti che quest’uomo è una peste, fomenta disordini fra tutti i Giudei che sono nel mondo ed è un capo della setta dei nazorei. 6Ha perfino tentato di profanare il tempio e noi l’abbiamo arrestato. [7] 8Interrogandolo, potrai sapere di persona da lui tutte queste cose delle quali noi lo accusiamo». 9Si associarono all’accusa anche i Giudei, affermando che i fatti stavano così.

10Quando il governatore fece cenno a Paolo di parlare, egli rispose: «So che da molti anni sei giudice di questo popolo e parlo in mia difesa con fiducia. 11Tu stesso puoi accertare che non sono passati più di dodici giorni da quando sono salito a Gerusalemme per il culto. 12Non mi hanno mai trovato nel tempio a discutere con qualcuno o a incitare la folla alla sommossa, né nelle sinagoghe, né per la città 13e non possono provare nessuna delle cose delle quali ora mi accusano. 14Questo invece ti dichiaro: io adoro il Dio dei miei padri, seguendo quella Via che chiamano setta, credendo in tutto ciò che è conforme alla Legge e sta scritto nei Profeti, 15nutrendo in Dio la speranza, condivisa pure da costoro, che ci sarà una risurrezione dei giusti e degli ingiusti. 16Per questo anche io mi sforzo di conservare in ogni momento una coscienza irreprensibile davanti a Dio e davanti agli uomini. 17Ora, dopo molti anni, sono venuto a portare elemosine alla mia gente e a offrire sacrifici; 18in occasione di questi, mi hanno trovato nel tempio dopo che avevo compiuto le purificazioni. Non c’era folla né tumulto. 19Furono dei Giudei della provincia d’Asia a trovarmi, ed essi dovrebbero comparire qui davanti a te ad accusarmi, se hanno qualche cosa contro di me. 20Oppure dicano i presenti stessi quale colpa hanno trovato quando sono comparso davanti al sinedrio, 21se non questa sola frase, che io gridai stando in mezzo a loro: “È a motivo della risurrezione dei morti che io vengo giudicato oggi davanti a voi!”».

22Allora Felice, che era assai bene informato su quanto riguardava questa Via, li congedò dicendo: «Quando verrà il comandante Lisia, esaminerò il vostro caso». 23E ordinò al centurione di tenere Paolo sotto custodia, concedendogli però una certa libertà e senza impedire ad alcuno dei suoi di dargli assistenza. 24Dopo alcuni giorni, Felice arrivò in compagnia della moglie Drusilla, che era giudea; fece chiamare Paolo e lo ascoltava intorno alla fede in Cristo Gesù. 25Ma quando egli si mise a parlare di giustizia, di continenza e del giudizio futuro, Felice si spaventò e disse: «Per il momento puoi andare; ti farò chiamare quando ne avrò il tempo». 26Sperava frattanto che Paolo gli avrebbe dato del denaro; per questo abbastanza spesso lo faceva chiamare e conversava con lui. 27Trascorsi due anni, Felice ebbe come successore Porcio Festo. Volendo fare cosa gradita ai Giudei, Felice lasciò Paolo in prigione.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

L'accusa (vv. 1-9) La requisitoria di Tertullo viene introdotta dall'arrivo della delegazione giudaica: non gli accusatori o i testimoni (i giudei di Efeso o Lisia: cfr. 21,27), ma membri del sinedrio e il sommo sacerdote in persona! Luca senza dubbio vuole accostare il processo di Paolo a quello di Gesù. I sinedriti hanno bisogno di un avvocato di professione: Tertullus è il diminutivo di Tertius. Il suo discorso è elaborato da Luca a regola d'arte. Incomincia con una captatio benevolentiae molto ampia (vv. 2-4) per guadagnarsi il favore del procuratore nei panni del giudice; lo lusinga con il riferimento all'ideologia della pax romana e del benessere. Intelligentemente trasferisce le accuse dal piano delle dispute religiose al piano politico su cui la legge romana può intervenire: Paolo è un fomentatore di disordini. La finale della captatio benevolentiae fa parte del bagaglio retorico: la promessa di essere breve, l'invito ad ascoltare e alla clemenza. Con il v. 5 iniziano le accuse (la narratio), subito pesanti: Paolo è una «peste», provoca sedizioni in tutto l'Impero romano. L'apostolo è detto «capo della setta dei nazorei» (così Luca lo mostra come rappresentante della Chiesa universale) poi si arriva all'accusa precisa (la probatio: v. 6): egli ha tentato di profanare il tempio. Tertullo non specifica le circostanze; il narratore sa che il lettore conosce l'episodio (21,27-30); tuttavia Luca attenua: era solo un tentativo di profanazione. Nella conclusione del v. 8, la peroratio, Tertullo invita Felice a interrogare Paolo... non i testimoni! Non esistono infatti veri testimoni contro Paolo. Gli stessi sinedriti non possono che associarsi alla dichiarazione di Tertullo (v. 9).

La difesa (vv. 10-21) La difesa di Paolo è finalizzata a confutare la requisitoria di Tertullo. L'apostolo in persona, senza l'aiuto di un avvocato, riprende punto per punto le critiche per neutralizzarle. Dopo la necessaria captatio benevolentiae, misurata, senza adulazione (v. 10), l'apostolo controbatte le accuse. Fomentatore di sedizioni? È appena da dodici giorni a Gerusalemme, troppo poco tempo; ed è venuto come pellegrino. Al v. 13 egli fa appello al principio: la colpevolezza (e non l'innocenza) deve essere provata. Al v. 14 egli si riallaccia all'accusa di essere capo di una setta, per arrivare al cuore del problema: la fede nella risurrezione universale, comune al giudaismo come al cristianesimo. Ma allora, riconoscersi cristiano significa in realtà essere un vero giudeo, poiché la fede cristiana altro non è se non il compimento del vero giudaismo. Quindi, Paolo contesta la qualifica di «setta» come se i cristiani fossero eretici e preferisce il termine «Via», più biblico e che definisce la Chiesa come realtà a sé stante senza però strapparla dalle radici biblico-giudaiche. Con ciò l'apostolo è riuscito a trasferire la sua vicenda dal piano della politica al livello di questione religiosa interna, che quindi non richiede l'intervento romano. Sapendo che esiste la speranza nella risurrezione e quindi il giudizio universale di Dio, Paolo si comporta nel presente di conseguenza, e cioè in modo irreprensibile sia nei confronti della Legge sia nei confronti dello Stato romano. Adesso arriva all'accusa di aver profanato il tempio (vv. 17-18): a Gerusalemme era venuto per portare delle elemosine, considerata un'opera di carità che mette in luce la fedeltà dell'apostolo verso il suo popolo (inclusi i cristiani). Ha anche offerto sacrifici: quindi elemosina e sacrificio, cioè amore del prossimo e amore di Dio, i due pilastri della pietà giudaica. Certo, i giudei di Efeso hanno trovato Paolo nel tempio (v. 18), ma per compiere il rito di purificazione, quindi «purificato». La loro assenza implicitamente ora testimonia a favore dell'imputato. I presenti invece (v. 20), cioè i membri del sinedrio, sono testimoni soltanto di una disputa teologica. A conclusione, Luca mette significativamente sulla bocca di Paolo: «oggi sono giudicato da voi a motivo della risurrezione dei morti». Nell'ottica dell'evangelista, la proclamazione è conforme alla fede del giudaismo autentico; egli così prepara la proclamazione centrale dell'annuncio cristiano sulla risurrezione di Gesù (25,19; 26,23).

Il rinvio (vv. 22-23) La sentenza giudiziaria nei confronti di Paolo è rinviata; quindi i suoi avversari non sono riusciti a farlo condannare; prevale la sua innocenza. L'apostolo però vive una situazione tipica di molti altri in balia dell'arbitrio e della venalità dei funzionari di Stato. Anche in questa situazione però Paolo è presentato come un modello: si impegna nell'apostolato, parla ai ricchi di ascesi, di una vita moralmente impeccabile. Il narratore sa diverse cose dalla tradizione: il protrarsi della prigionia di Paolo sotto Felice, qualche cosa del carattere del procuratore e del suo matrimonio con la giudea Drusilla; conosce Porcio Festo come successore di Felice. Dopo l'apologia di Paolo, Felice sospende il giudizio in attesa di ulteriori informazioni (v. 22); perché, se conosceva bene la «Via»? Inoltre, se Felice conosce bene il cristianesimo e sa quindi che Paolo è un suddito leale, perché lo lascia in prigione? Siamo dinanzi al solito contrasto tra la realtà e l'esposizione di Luca. In attesa dell'arrivo di Lisia (ma poi di Lisia non si parla più) Paolo è sottoposto alla custodia militaris liberior: l'apostolo può ricevere visite e assistenza dai suoi.

La decisione (vv. 24-27) Il v. 24 offre un'altra sorpresa per il lettore: Felice fa venire Paolo per ascoltarlo riguardo alla fede cristiana. Ma Felice non è ben informato sulla «Via»? Per Luca è l'occasione di una catechesi: insegnare un comportamento morale nella prospettiva del giudizio divino, catechesi ben adatta al caso di Felice. La reazione di quest'ultimo è quella di un uomo dalla cattiva coscienza. Luca sa distinguere: elogia l'amministrazione e il diritto romani, non sempre il comportamento morale dei suoi funzionari. Felice fa venire Paolo per un altro motivo: estorcergli del denaro (v. 26). L'avidità di Felice era conosciuta (Tacito, Annali 12,54; Storia 5,9). Un motivo in più per spiegare come mai Paolo non è liberato. Un ultimo motivo: fare cosa gradita ai giudei. Ma storicamente parlando, Felice non si curava affatto della simpatia dei giudei. Il motivo reale della non liberazione dell'apostolo è forse la semplice noncuranza di fronte a un caso giudicato di poco rilievo. Al v. 27 il narratore trasmette una notizia sulla quale si discute molto perché non è chiara: «Trascorsi due anni, Felice ricevette come successore Porcio Festo». A cosa si riferiscono i due anni: alla durata del governo di Felice o alla durata della prigionia di Paolo? Non si sa (non esistono notizie circa la durata del governo di Felice). Il contesto suggerisce la durata della prigionia di Paolo.


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Paolo dinanzi al sinedrio 1Con lo sguardo fisso al sinedrio, Paolo disse: «Fratelli, io ho agito fino ad oggi davanti a Dio in piena rettitudine di coscienza». 2Ma il sommo sacerdote Anania ordinò ai presenti di percuoterlo sulla bocca. 3Paolo allora gli disse: «Dio percuoterà te, muro imbiancato! Tu siedi a giudicarmi secondo la Legge e contro la Legge comandi di percuotermi?». 4E i presenti dissero: «Osi insultare il sommo sacerdote di Dio?». 5Rispose Paolo: «Non sapevo, fratelli, che fosse il sommo sacerdote; sta scritto infatti: Non insulterai il capo del tuo popolo». 6Paolo, sapendo che una parte era di sadducei e una parte di farisei, disse a gran voce nel sinedrio: «Fratelli, io sono fariseo, figlio di farisei; sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti».7Appena ebbe detto questo, scoppiò una disputa tra farisei e sadducei e l’assemblea si divise. 8I sadducei infatti affermano che non c’è risurrezione né angeli né spiriti; i farisei invece professano tutte queste cose. 9Ci fu allora un grande chiasso e alcuni scribi del partito dei farisei si alzarono in piedi e protestavano dicendo: «Non troviamo nulla di male in quest’uomo. Forse uno spirito o un angelo gli ha parlato». 10La disputa si accese a tal punto che il comandante, temendo che Paolo venisse linciato da quelli, ordinò alla truppa di scendere, portarlo via e ricondurlo nella fortezza. 11La notte seguente gli venne accanto il Signore e gli disse: «Coraggio! Come hai testimoniato a Gerusalemme le cose che mi riguardano, così è necessario che tu dia testimonianza anche a Roma».

Il complotto contro Paolo 12Fattosi giorno, i Giudei ordirono un complotto e invocarono su di sé la maledizione, dicendo che non avrebbero né mangiato né bevuto finché non avessero ucciso Paolo. 13Erano più di quaranta quelli che fecero questa congiura. 14Essi si presentarono ai capi dei sacerdoti e agli anziani e dissero: «Ci siamo obbligati con giuramento solenne a non mangiare nulla sino a che non avremo ucciso Paolo. 15Voi dunque, insieme al sinedrio, dite ora al comandante che ve lo conduca giù, con il pretesto di esaminare più attentamente il suo caso; noi intanto ci teniamo pronti a ucciderlo prima che arrivi». 16Ma il figlio della sorella di Paolo venne a sapere dell’agguato; si recò alla fortezza, entrò e informò Paolo. 17Questi allora fece chiamare uno dei centurioni e gli disse: «Conduci questo ragazzo dal comandante, perché ha qualche cosa da riferirgli». 18Il centurione lo prese e lo condusse dal comandante dicendo: «Il prigioniero Paolo mi ha fatto chiamare e mi ha chiesto di condurre da te questo ragazzo, perché ha da dirti qualche cosa». 19Il comandante lo prese per mano, lo condusse in disparte e gli chiese: «Che cosa hai da riferirmi?». 20Rispose: «I Giudei si sono messi d’accordo per chiederti di condurre domani Paolo nel sinedrio, con il pretesto di indagare più accuratamente nei suoi riguardi. 21Tu però non lasciarti convincere da loro, perché più di quaranta dei loro uomini gli tendono un agguato: hanno invocato su di sé la maledizione, dicendo che non avrebbero né mangiato né bevuto finché non l’avessero ucciso; e ora stanno pronti, aspettando il tuo consenso». 22Il comandante allora congedò il ragazzo con questo ordine: «Non dire a nessuno che mi hai dato queste informazioni».

Trasferimento a Cesarea 23Fece poi chiamare due dei centurioni e disse: «Preparate duecento soldati per andare a Cesarèa insieme a settanta cavalieri e duecento lancieri, tre ore dopo il tramonto. 24Siano pronte anche delle cavalcature e fatevi montare Paolo, perché venga condotto sano e salvo dal governatore Felice». 25Scrisse una lettera in questi termini: 26«Claudio Lisia all’eccellentissimo governatore Felice, salute. 27Quest’uomo è stato preso dai Giudei e stava per essere ucciso da loro; ma sono intervenuto con i soldati e l’ho liberato, perché ho saputo che è cittadino romano. 28Desiderando conoscere il motivo per cui lo accusavano, lo condussi nel loro sinedrio. 29Ho trovato che lo si accusava per questioni relative alla loro Legge, ma non c’erano a suo carico imputazioni meritevoli di morte o di prigionia. 30Sono stato però informato di un complotto contro quest’uomo e lo mando subito da te, avvertendo gli accusatori di deporre davanti a te quello che hanno contro di lui». 31Secondo gli ordini ricevuti, i soldati presero Paolo e lo condussero di notte ad Antipàtride. 32Il giorno dopo, lasciato ai cavalieri il compito di proseguire con lui, se ne tornarono alla fortezza. 33I cavalieri, giunti a Cesarèa, consegnarono la lettera al governatore e gli presentarono Paolo. 34Dopo averla letta, domandò a Paolo di quale provincia fosse e, saputo che era della Cilìcia, 35disse: «Ti ascolterò quando saranno qui anche i tuoi accusatori». E diede ordine di custodirlo nel pretorio di Erode.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

Paolo dinanzi al sinedrio L'inizio è insolito: Paolo, per primo, prende la parola e dichiara la propria innocenza. La reazione del sommo sacerdote fa pensare allo schiaffo dato a Gesù (Gv 18,19-23), ma il parallelismo è fortuito poiché la menzione dello schiaffo dato a Gesù non fa parte della tradizione sinottica. La risposta di Paolo è violenta: una maledizione che assume il carattere di una minaccia profetica (Luca probabilmente conosce la fine violenta del sommo sacerdote Anania); un'imprecazione («muro imbiancato!»: l'imbiancatura nasconde le crepe del muro; quindi il sommo sacerdote, ovvero il giudaismo, mostra soltanto una solidità apparente); un rimprovero (Anania viola la Legge invece di osservarla). La reazione dei vicini è fiacca (v. 4): si riduce a ricordare che l'autorità del sommo sacerdote proviene da Dio. E Paolo si scusa: non aveva riconosciuto il sommo sacerdote... in una seduta del sinedrio?! Questo è possibile soltanto se la scena si svolge davanti alla torre Antonia. Insomma Luca è riuscito a mostrare che chi dovrebbe osservare la Legge non la osserva, mentre chi è accusato di violarla in realtà la rispetta.

Con i vv. 6-9 si ha una brusca variazione di tema. A Luca preme tornare alla tesi: non c'è rottura tra il cristianesimo e l'autentico giudaismo rappresentato dal fariseismo («lo sono un fariseo, figlio di farisei»). In questi versetti Luca fa la caricatura di una disputa teologica: quale verità aspettarsi da un'assemblea divisa? Al v. 8 il redattore presenta al lettore i sadducei, giudicandoli chiusi a ogni realtà soprannaturale. In realtà, i sadducei erano un gruppo conservatore che accettava soltanto la Torà scritta. L'ambiente si riscalda. Scribi e farisei riconoscono l'innocenza-ortodossia di Paolo, con parole che ricordano il saggio intervento di Gamaliele (5,38-39), nonché la dichiarazione di Pilato nei confronti di Gesù (Le 23,4). La disputa nel giro di pochi istanti si fa tumulto (v. 10) e richiede l'intervento del tribuno per salvare Paolo. Il tribuno avrà capito che il caso-Paolo riguarda questioni teologiche e non un crimine.

Come a Corinto, Paolo riceve un'apparizione del Risorto che lo incoraggia (v. 11). Luca opportunamente rammenta al lettore il programma del libro: da Gerusalemme a Roma. «È necessario»: tutto fa parte di un disegno divino, le sofferenze subìte... e anche l'appello di Paolo all'imperatore (25,11), che lo porterà nella capitale dell'Impero.

Il motivo dell'arresto di Paolo (la profanazione del tempio) è quasi dimenticato, i testimoni sono assenti, l'interrogatorio non viene sviluppato. L'apostolo diventa l'oratore principale e convincerà tutti della sua innocenza, darà testimonianza di fede, renderà il cristianesimo attraente.L'apostolo si trova a suo agio nell'ambiente dei “grandi” di questo mondo. Per Luca era necessario mostrare i contatti positivi della nuova religione con i potenti della terra, per dare credito al cristianesimo presso eventuali lettori non cristiani: la Chiesa non è una setta ripiegata su se stessa.

Il complotto contro Paolo I giudei (Luca generalizza) si radunano per organizzare un complotto. La serietà dell'impegno è indicata dal giuramento e realizzata da una specie di sciopero della fame. Il piano è semplice: pugnalare l'apostolo per strada. Sono necessarie quaranta persone? Nel v. 15 spunta all'improvviso un nipote di Paolo. L'apostolo aveva dunque una sorella sposata a Gerusalemme. Non sappiamo come concretamente si siano svolte le cose; la scena infatti è idilliaca. Comunque la visita ai prigionieri era possibile, ma non il fatto che il prigioniero potesse dare ordini a un centurione (v. 17). Di nuovo il tribuno si comporta da ufficiale ideale (v. 19): con amabilità e prudenza è pronto ad accogliere la richiesta. Il nipote (v. 20) fornisce un'ulteriore precisazione: il complotto avverrà l'indomani, e non manca di dare al tribuno un buon consiglio (v. 21). Il tribuno crede senza esitare alle parole del giovane e appare deciso a prendere le misure adeguate.

Trasferimento a Cesarea Ricevuta la notizia dal nipote di Paolo, il tribuno decide di mandare l'apostolo a Cesarea dove risiedeva il suo superiore, il procuratore romano della Palestina. Per il tribuno conveniva liberarsi della responsabilità, prima di trovarsi nei guai. La scorta è impressionante: 470 soldati sui 1000 presenti a Gerusalemme. Una tale spedizione inevitabilmente si fa notare: addio trasferimento segreto! Almeno una tale scorta dimostra quanto Roma sia preoccupata per la protezione di Paolo.

Al centro del brano c'è la lettera di accompagnamento (vv. 26-30). Luca ci propone una lettera come l'ufficiale romano probabilmente l'avrebbe scritta... se fosse stato Luca! La lettera ha una sua funzione narrativa: ricapitolare per il lettore le vicende dell'arresto di Paolo e preparare il seguito del processo. Essa si apre rispettando le regole dello stile epistolare ellenistico: mittente – destinatario – saluti (v. 26). Viene finalmente rivelato il nome del tribuno, Claudio Lisia. Egli presenta in modo a lui favorevole la vicenda (vv. 27-29), evitando di dire che stava per fustigare un cittadino romano preso erroneamente per un ribelle. Viene in luce l'innocenza di Paolo dinanzi alla legge romana e la non competenza dell'autorità romana in questioni religiose (come nel brano con Gallione: 18,15). Da ultimo, nella lettera si accenna al complotto (v. 30) e, per il lettore, alla garanzia di un processo regolare (il procuratore come giudice competente, la presenza degli accusatori al tribunale).

Ai vv. 31-35 l'ordine del trasferimento viene eseguito. La truppa arriva ad Antipatride fondata da Erode il Grande, 64 km da Gerusalemme: troppo in una notte anche per una marcia forzata! Luca ha una conoscenza approssimativa della Palestina. Mancano ancora 46 km fino a Cesarea. Felice procede a un interrogatorio preliminare per conoscere la provincia d'origine dell'imputato. Secondo il diritto romano, Paolo poteva essere giudicato nel luogo del crimine o essere deferito alla provincia di residenza. Il comportamento di Felice è corretto: l'accusato ha il diritto di essere messo a confronto con gli accusatori per potersi difendere. Nell'attesa, Paolo è sotto custodia nel palazzo costruito da Erode il Grande, che serviva da residenza per il governatore romano.


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L'apologia di Paolo 1«Fratelli e padri, ascoltate ora la mia difesa davanti a voi». 2Quando sentirono che parlava loro in lingua ebraica, fecero ancora più silenzio. Ed egli continuò: 3«Io sono un Giudeo, nato a Tarso in Cilìcia, ma educato in questa città, formato alla scuola di Gamaliele nell’osservanza scrupolosa della Legge dei padri, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi. 4Io perseguitai a morte questa Via, incatenando e mettendo in carcere uomini e donne, 5come può darmi testimonianza anche il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro avevo anche ricevuto lettere per i fratelli e mi recai a Damasco per condurre prigionieri a Gerusalemme anche quelli che stanno là, perché fossero puniti. 6Mentre ero in viaggio e mi stavo avvicinando a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso una grande luce dal cielo sfolgorò attorno a me; 7caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?”. 8Io risposi: “Chi sei, o Signore?”. Mi disse: “Io sono Gesù il Nazareno, che tu perséguiti”. 9Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono la voce di colui che mi parlava. 10Io dissi allora: “Che devo fare, Signore?”. E il Signore mi disse: “Àlzati e prosegui verso Damasco; là ti verrà detto tutto quello che è stabilito che tu faccia”. 11E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni giunsi a Damasco. 12Un certo Anania, devoto osservante della Legge e stimato da tutti i Giudei là residenti, 13venne da me, mi si accostò e disse: “Saulo, fratello, torna a vedere!”. E in quell’istante lo vidi. 14Egli soggiunse: “Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, 15perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito. 16E ora, perché aspetti? Àlzati, fatti battezzare e purificare dai tuoi peccati, invocando il suo nome”. 17Dopo il mio ritorno a Gerusalemme, mentre pregavo nel tempio, fui rapito in estasi 18e vidi lui che mi diceva: “Affréttati ed esci presto da Gerusalemme, perché non accetteranno la tua testimonianza su di me”. 19E io dissi: “Signore, essi sanno che facevo imprigionare e percuotere nelle sinagoghe quelli che credevano in te; 20e quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anche io ero presente e approvavo, e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano”. 21Ma egli mi disse: “Va’, perché io ti manderò lontano, alle nazioni”».

La reazione 22Fino a queste parole erano stati ad ascoltarlo, ma a questo punto alzarono la voce gridando: «Togli di mezzo costui; non deve più vivere!». 23E poiché continuavano a urlare, a gettare via i mantelli e a lanciare polvere in aria, 24il comandante lo fece portare nella fortezza, ordinando di interrogarlo a colpi di flagello, per sapere perché mai gli gridassero contro in quel modo. 25Ma quando l’ebbero disteso per flagellarlo, Paolo disse al centurione che stava lì: «Avete il diritto di flagellare uno che è cittadino romano e non ancora giudicato?». 26Udito ciò, il centurione si recò dal comandante ad avvertirlo: «Che cosa stai per fare? Quell’uomo è un romano!». 27Allora il comandante si recò da Paolo e gli domandò: «Dimmi, tu sei romano?». Rispose: «Sì». 28Replicò il comandante: «Io, questa cittadinanza l’ho acquistata a caro prezzo». Paolo disse: «Io, invece, lo sono di nascita!». 29E subito si allontanarono da lui quelli che stavano per interrogarlo. Anche il comandante ebbe paura, rendendosi conto che era romano e che lui lo aveva messo in catene.

Convocazione del sinedrio 30Il giorno seguente, volendo conoscere la realtà dei fatti, cioè il motivo per cui veniva accusato dai Giudei, gli fece togliere le catene e ordinò che si riunissero i capi dei sacerdoti e tutto il sinedrio; fece condurre giù Paolo e lo fece comparire davanti a loro.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

L'apologia di Paolo Luca stesso definisce questo discorso come «apologia» (v. 1), cioè come un discorso di difesa. Il narratore non ha una tradizione specifica, ma riprende il primo racconto della conversione di Saulo (At 9,1-19a), lo abbrevia, lo riassume supponendolo conosciuto dal lettore, lo arricchisce di qualche dettaglio di tipo biografico (v. 3), aggiunge l'episodio della visione nel tempio (vv. 17-21); il tutto viene narrato alla prima persona singolare e presentato in una luce nuova: Paolo, fedele e pieno di zelo come osservante della Legge e della tradizione dei padri, è divenuto, per volontà di Dio e senza rompere con il giudaismo, zelante apostolo dei pagani.

Con arte, Luca riesce a estrarre l'apologia dal suo contesto narrativo (nessuna allusione all'accusa di aver profanato il tempio) e costruisce un testo che presenta al lettore il problema che preoccupa l'autore sacro riguardo alla Chiesa del suo tempo: una Chiesa composta in maggioranza da non circoncisi ha bisogno di confermare che le sue radici affondano nella storia della salvezza, guidata da Dio con Israele. La missione verso il mondo pagano, di cui Paolo è il principale responsabile, non ha sradicato la Chiesa pagano-cristiana dal suo fondamento giudaico-biblico? Quindi insiste sulla fedeltà dell'apostolo al giudaismo, al quale è solidamente ancorato per nascita, formazione e zelo; l'apparizione del Risorto non implica rottura con il passato; anche come cristiano e apostolo Paolo non ha abbandonato la tradizione del suo popolo. Sulla base di tale fedeltà alla tradizione d'Israele, Paolo viene ufficialmente inviato dal Risorto stesso apparsogli nel tempio di Gerusalemme, quindi nel centro religioso del giudaismo (vv. 17-21), per essere apostolo dei pagani. La missione verso il mondo pagano, e di conseguenza l'esistenza della Chiesa pagano-cristiana, è quanto mai legittimata, è frutto del volere divino. Anzi, ai vv. 18-19 l'argomentazione si rovescia: non Paolo, ma gli stessi giudei che non accolgono il Vangelo si dimostrano infedeli all'Israele di Dio. Proprio il passato di Paolo, scrupoloso praticante della Legge e persecutore dei cristiani, dovrebbe far riflettere i giudei e indurli a credere nel messaggio attuale dell'apostolo. Ogni fariseo sincero avrebbe agito come Paolo.

L'esordio mostra che il discorso è diretto non a una folla infuriata, ma al popolo d'Israele con il quale Paolo si afferma solidale. Ottenuto il silenzio, egli si presenta secondo uno schema comune: nascita – prima educazione – formazione (cfr. 7,20-22), ma tendenzioso: vuole mostrare un Paolo autentico giudeo; quindi il narratore pone l'accento su Gerusalemme come luogo della sua infanzia e formazione, piuttosto che Tarso, luogo di nascita. Luca completa con l'informazione che Saulo ha studiato ai piedi di Gamaliele, noto al lettore da 5,34. Insomma, Paolo è un vero fariseo, in totale contraddizione con l'accusa mossa contro di lui in 21,28. A partire dal v. 4 il narratore si aggancia al racconto di 9,1-2, ma con un crescendo narrativo: Paolo ha perseguitato «a morte» e l'ha fatto in totale solidarietà con l'autorità religiosa di Gerusalemme (v. 5). Nell'apparizione del Risorto (vv. 6-11) viene accentuato il motivo della luce (cfr. 9,3); quindi, la forza dell'evidenza. Ma come nel primo racconto, Luca evita di dire che Saulo ha visto direttamente Gesù risorto: egli distingue l'apparizione a Saulo dalle apparizioni pasquali riservate agli Undici. Da 9,4-7 Luca riprende anche il dialogo tra il Risorto e Saulo, con le dovute variazioni, per non essere ripetitivo. Il dialogo viene interrotto dalla notizia dell'effetto sui compagni di Saulo (v. 9), notizia che in 9,7 viene collocata alla fine del dialogo: ora i compagni vedono la luce, ma non sentono la voce. Si tratta di una variazione narrativa rispetto a 9,7, oppure risponde all'intenzione di sottolineare il tema della luce? Significative le parole d'invio del Risorto: «Alzati, e va' a Damasco, dove ti sarà detto tutto quanto è stabilito che tu faccia» (v. 1Ob), rispetto a quelle pronunciate in 9,6: «Entra in città e ti sarà detto ciò che devi fare». Adesso Paolo viene preparato non solo a ricevere il battesimo, ma anche a tutto ciò che seguirà, cioè alla sua futura missione; il racconto di conversione tende a diventare un racconto di vocazione.

L'episodio su Anania (22,12-16) è abbreviato e narrato dal punto di vista di Paolo ... e dell'autore sacro che accentua la giudaicità di Anania: osservante della Legge e stimato dai giudei della città. Il lettore sa da 9,10 che Anania è cristiano. Tutta l'attenzione si concentra sulle parole che Anania indirizza a Saulo (vv. 14-16). Luca si serve dunque di Anania, stimato giudeo, per fare conoscere ai giudei di Gerusalemme il mandato ricevuto da Paolo ad essere apostolo dei pagani. Paolo è stato chiamato da Dio, al pari dei grandi profeti d'Israele; chiamato a conoscere il disegno di salvezza, a vedere il Risorto, condizione necessaria per essere «apostolo» cioè inviato «presso tutti gli uomini»,come suo testimone. Al v. 16 viene menzionato il battesimo di Saulo, ma in modo da completare la descrizione del primo racconto: là il battesimo è messo in relazione con il recupero della vista e il dono dello Spirito Santo (9,17-18); ora invece è collegato all'invocazione del nome di Gesù (professione di fede) e al perdono dei peccati.

La visione nel tempio (vv. 17-21) segue senza interruzione l'episodio di Damasco; in tal modo la conversione avvenuta a Damasco è messa direttamente in rapporto con l'invio verso i pagani, ricevuto dal Risorto nel tempio di Gerusalemme. La scena è probabilmente redazionale. Il Paolo “cristiano” prega nel tempio: non c'è quindi rottura con la religione d'Israele. Ritroviamo linee care al redattore: il legame tra la preghiera e una manifestazione divina, come pure Gerusalemme quale punto di partenza dell'universalità della salvezza. La parola del Risorto è provocatoria (v. 18) e prepara l'interruzione del discorso da parte dei giudei. L'obiezione di Paolo corrisponde al ragionamento del narratore: il suo passato di persecutore dovrebbe convincere i giudei che lo zelo attuale da parte del cristiano Paolo non può essere in contraddizione con lo zelo passato. Anzi, egli riceve per la prima volta direttamente dalla bocca del Risorto la vocazione ad essere apostolo dei pagani. La vocazione di Paolo proviene dunque direttamente da Gesù risorto e avviene nel e dal centro religioso d'Israele. A questo punto il discorso dell'apostolo è interrotto dagli ascoltatori: avviene al momento opportuno, quando tutto è stato detto.

La reazione La reazione degli ascoltatori è molto ostile e conferma la parola del Risorto (v. 18): Paolo perde tempo a Gerusalemme. L'ordine del tribuno di sottomettere l'apostolo all'interrogatorio con fustigazione sorprende dopo lo scambio di cortesia (21,37-40): non è il tribuno che cambia sentimento, ma Luca che ritorna alla fonte lasciata a partire da 21,36. L'uso della fustigazione per costringere a confessare la verità rientrava nel diritto romano nei confronti di schiavi e di stranieri, non però di cittadini romani. All'ultimo momento, sul punto di essere legato alla colonna/tavolaccio, Paolo estrae la carta vincente: la cittadinanza romana; come cittadino aveva diritto a un regolare processo. L'effetto è immediato: i soldati si allontanano e il tribuno viene colto da paura: è andato contro il diritto legando un cittadino romano. Stupisce che le catene vengano tolte a Paolo soltanto il giorno seguente (v. 30)! In un modo o nell'altro, Paolo ha dovuto provare di essere cittadino romano; forse portava con sé tavolette con il sigillo dei testimoni. A Luca preme mostrare il rispetto del diritto da parte dell'autorità romana. Si arriva a un culmine: Paolo non è soltanto un giudeo perfetto, ma anche un romano in senso pieno, anzi supera perfino il tribuno, visto che è cittadino romano dalla nascita. Come tale, l'apostolo sarà ormai in mano alla giustizia romana che gode tutta la stima di Luca.

Convocazione del sinedrio Il tribuno non ha ancora le idee chiare sul conto di Paolo; di conseguenza convoca il sinedrio. La cosa è storicamente inverosimile: non ne ha il potere, non ha senso per avere informazioni su Paolo e non vi potrebbe partecipare come pagano. Ma Luca ha un'intenzione: creare un parallelo con la comparizione di Gesù dinanzi al sinedrio. Storicamente è possibile che il tribuno abbia convocato qualche membro del sinedrio per avere informazioni sul caso-Paolo. Luca trasforma il fatto in una seduta ufficiale del sinedrio: la scena supera l'incidente locale per diventare un confronto tra cristianesimo e giudaismo. L'interesse principale del redattore è rivolto alla questione della risurrezione. L'accusa storica (profanazione del tempio) è passata sotto silenzio. Paolo si difende perché, in quanto fariseo, crede nella risurrezione. Viene a galla la tesi di Luca: se i farisei, agli occhi di Luca rappresentanti del giudaismo ortodosso da cui proviene lo stesso Paolo, fossero coerenti con la loro dottrina, accetterebbero persino la visione avuta da Paolo presso Damasco, e quindi Gesù Cristo. La differenza tra cristiani e farisei sta nel fatto che questi ultimi, rifiutando Gesù come Messia, non sono coerenti con la loro stessa dottrina. Ma proprio il rifiuto di vedere compiuta in Gesù la risurrezione che è la speranza d'Israele, ha ridotto il giudaismo a un insieme di partiti divisi e in conflitto tra di loro e, quindi, poco credibile.


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Da Mileto a Gerusalemme 1Appena ci fummo separati da loro, salpammo e per la via diretta giungemmo a Cos, il giorno seguente a Rodi e di qui a Pàtara. 2Trovata una nave che faceva la traversata per la Fenicia, vi salimmo e prendemmo il largo. 3Giunti in vista di Cipro, la lasciammo a sinistra e, navigando verso la Siria, sbarcammo a Tiro, dove la nave doveva scaricare. 4Avendo trovato i discepoli, rimanemmo là una settimana, ed essi, per impulso dello Spirito, dicevano a Paolo di non salire a Gerusalemme. 5Ma, quando furono passati quei giorni, uscimmo e ci mettemmo in viaggio, accompagnati da tutti loro, con mogli e figli, fino all’uscita della città. Inginocchiati sulla spiaggia, pregammo, 6poi ci salutammo a vicenda; noi salimmo sulla nave ed essi tornarono alle loro case.

7Terminata la navigazione, da Tiro approdammo a Tolemàide; andammo a salutare i fratelli e restammo un giorno con loro. 8Ripartiti il giorno seguente, giungemmo a Cesarèa; entrati nella casa di Filippo l’evangelista, che era uno dei Sette, restammo presso di lui. 9Egli aveva quattro figlie nubili, che avevano il dono della profezia. 10Eravamo qui da alcuni giorni, quando scese dalla Giudea un profeta di nome Àgabo. 11Egli venne da noi e, presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: «Questo dice lo Spirito Santo: l’uomo al quale appartiene questa cintura, i Giudei a Gerusalemme lo legheranno così e lo consegneranno nelle mani dei pagani». 12All’udire queste cose, noi e quelli del luogo pregavamo Paolo di non salire a Gerusalemme. 13Allora Paolo rispose: «Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a essere legato, ma anche a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù». 14E poiché non si lasciava persuadere, smettemmo di insistere dicendo: «Sia fatta la volontà del Signore!».

L'incontro con Giacomo 15Dopo questi giorni, fatti i preparativi, salimmo a Gerusalemme. 16Vennero con noi anche alcuni discepoli da Cesarèa, i quali ci condussero da un certo Mnasone di Cipro, discepolo della prima ora, dal quale ricevemmo ospitalità. 17Arrivati a Gerusalemme, i fratelli ci accolsero festosamente. 18Il giorno dopo Paolo fece visita a Giacomo insieme con noi; c’erano anche tutti gli anziani. 19Dopo aver rivolto loro il saluto, si mise a raccontare nei particolari quello che Dio aveva fatto tra i pagani per mezzo del suo ministero. 20Come ebbero ascoltato, davano gloria a Dio; poi dissero a Paolo: «Tu vedi, fratello, quante migliaia di Giudei sono venuti alla fede e sono tutti osservanti della Legge. 21Ora, hanno sentito dire di te che insegni a tutti i Giudei sparsi tra i pagani di abbandonare Mosè, dicendo di non circoncidere più i loro figli e di non seguire più le usanze tradizionali. 22Che facciamo? Senza dubbio verranno a sapere che sei arrivato. 23Fa’ dunque quanto ti diciamo. Vi sono fra noi quattro uomini che hanno fatto un voto. 24Prendili con te, compi la purificazione insieme a loro e paga tu per loro perché si facciano radere il capo. Così tutti verranno a sapere che non c’è nulla di vero in quello che hanno sentito dire, ma che invece anche tu ti comporti bene, osservando la Legge. 25Quanto ai pagani che sono venuti alla fede, noi abbiamo deciso e abbiamo loro scritto che si tengano lontani dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, da ogni animale soffocato e dalle unioni illegittime». 26Allora Paolo prese con sé quegli uomini e, il giorno seguente, fatta insieme a loro la purificazione, entrò nel tempio per comunicare il compimento dei giorni della purificazione, quando sarebbe stata presentata l’offerta per ciascuno di loro.

L'arresto di Paolo 27Stavano ormai per finire i sette giorni, quando i Giudei della provincia d’Asia, come lo videro nel tempio, aizzarono tutta la folla e misero le mani su di lui 28gridando: «Uomini d’Israele, aiuto! Questo è l’uomo che va insegnando a tutti e dovunque contro il popolo, contro la Legge e contro questo luogo; ora ha perfino introdotto dei Greci nel tempio e ha profanato questo luogo santo!». 29Avevano infatti veduto poco prima Tròfimo di Èfeso in sua compagnia per la città, e pensavano che Paolo lo avesse fatto entrare nel tempio. 30Allora tutta la città fu in subbuglio e il popolo accorse. Afferrarono Paolo, lo trascinarono fuori dal tempio e subito furono chiuse le porte. 31Stavano già cercando di ucciderlo, quando fu riferito al comandante della coorte che tutta Gerusalemme era in agitazione. 32Immediatamente egli prese con sé dei soldati e dei centurioni e si precipitò verso di loro. Costoro, alla vista del comandante e dei soldati, cessarono di percuotere Paolo. 33Allora il comandante si avvicinò, lo arrestò e ordinò che fosse legato con due catene; intanto si informava chi fosse e che cosa avesse fatto. 34Tra la folla però chi gridava una cosa, chi un’altra. Non riuscendo ad accertare la realtà dei fatti a causa della confusione, ordinò di condurlo nella fortezza. 35Quando fu alla gradinata, dovette essere portato a spalla dai soldati a causa della violenza della folla. 36La moltitudine del popolo infatti veniva dietro, urlando: «A morte!».

Inizio del discorso di Paolo ai giudei 37Sul punto di essere condotto nella fortezza, Paolo disse al comandante: «Posso dirti una parola?». Quello disse: «Conosci il greco? 38Allora non sei tu quell’Egiziano che in questi ultimi tempi ha sobillato e condotto nel deserto i quattromila ribelli?». 39Rispose Paolo: «Io sono un giudeo di Tarso in Cilìcia, cittadino di una città non senza importanza. Ti prego, permettimi di parlare al popolo». 40Egli acconsentì e Paolo, in piedi sui gradini, fece cenno con la mano al popolo; si fece un grande silenzio ed egli si rivolse loro ad alta voce in lingua ebraica, dicendo:

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

Da Mileto a Gerusalemme Luca descrive il cammino di Paolo verso Gerusalemme come un cammino sempre più simile a quello di Gesù, in un crescendo narrativo che culmina nell'intervento del profeta Agabo. Il presentimento del destino doloroso che attende l'apostolo si fa sempre più forte e preciso. L'unità letteraria può essere divisa in due parti parallele (vv. 1-6 e 7-14), ciascuna delle quali inizia con un breve resoconto delle tappe percorse, cui fa seguito la sosta in una città (Tiro, Cesarea) e si conclude con una scena di addio (vv. 5-6 e 10-14). La «scena di addio» al v. 13 dà la parola a Paolo, il quale spiega il motivo del pianto e della tristezza, che mette in risalto l'affetto che l'apostolo nutre per la Chiesa. Ma come Gesù, anche Paolo è deciso a seguire la volontà divina fino in fondo. Così facendo, Paolo risponde alla propria chiamata (9,16) con una decisione libera e, al tempo stesso, sottoposta al volere di Dio. E la comunità accetta, essendosi definitivamente rivelato il disegno divino, con una esclamazione che ricorda la preghiera di Gesù nell'orto del Getsemani (Le 22,42): Padre, «sia fatta la tua volontà». Vi si esprime non rassegnazione, ma adesione positiva al volere di Dio.

L'incontro con Giacomo Paolo arriva a Gerusalemme, incontra Giacomo e gli anziani, mette al corrente, riceve una accoglienza festosa... tutto come all'assemblea di Gerusalemme (15,3- 5.12.13b-21; cfr. 21,15-25). Esiste inoltre una grande inclusione tra la venuta di Paolo ali' assemblea di Gerusalemme e il suo ultimo arrivo (21, 19.25; cfr. 15, 12.25): così l'intera attività missionaria dell'apostolo delle nazioni è posta sotto il segno dell'unità di Paolo con la Chiesa-madre, dell'unità dunque tra la Chiesa pagano- cristiana e giudeo-cristiana. Nell'ottica di Luca, l'assemblea di Gerusalemme costituisce il vero punto di partenza per la missione nel mondo delle nazioni, missione compiuta da Paolo, legittimo rappresentante della Chiesa apostolica. Ormai a Gerusalemme Pietro e i Dodici sono scomparsi; la Chiesa è solidamente guidata da Giacomo, «fratello del Signore», e dagli anziani. Paolo aggiorna su ciò che Dio ha operato per mezzo di lui nel mondo pagano. Riceve piena approvazione: l'unità che l'apostolo ha vissuto all'assemblea con la Chiesa apostolica continua anche con la Chiesa-madre dell'epoca post-apostolica. Il narratore tuttavia non può tacere che non tutto va liscio (v. 20b). A Gerusalemme ci sono molti giudei diventati cristiani e rimasti «Osservanti della Legge», cioè fedeli a una minuziosa osservanza delle sue prescrizioni. Vuole Luca sottolineare il legame tra la Chiesa e Israele o insinuare una maggiore intransigenza nei confronti di chi non osserva la Legge? Nel v. 21 Giacomo arriva al dunque: circolano voci contro l'insegnamento di Paolo, in particolare quella secondo cui inciterebbe gli ebrei convertiti a non fare circoncidere i propri figli. In realtà Paolo non contestava le pratiche giudaiche, ma teneva a difendere i pagano-cristiani da una loro giudaizzazione; nondimeno affermazioni come quelle di Gal 5,3-4 o Rm 10,4 prestavano facilmente il fianco ad accuse del genere contro l'apostolo.

L'arresto di Paolo Luca dà un resoconto dettagliato, vivo, verosimile dell'arresto di Paolo: l'apostolo viene riconosciuto nel tempio da giudei di Efeso; è trascinato fuori dal cortile dei giudei per essere linciato; l'intervento dei soldati romani lo salva in extremis. Luca, come sempre, mette la sua impronta evidenziando il parallelismo con la passione di Gesù e il motivo apologetico che fa dei giudei i persecutori dei cristiani e i fomentatori di disordini. Le loro calunnie contro Paolo sono false: questi è accusato di insegnare contro la Legge e il tempio nel momento stesso in cui si trova nel tempio per adempiere una prescrizione della Legge! Da parte loro, i Romani svolgono il ruolo dei protettori. Paolo viene riconosciuto da giudei di Efeso giunti a Gerusalemme per la festa di Pentecoste: appaiono particolarmente ostili all'apostolo. Le accuse (egli insegna contro il popolo, contro la Legge e contro il tempio) ricordano quelle mosse contro Gesù, contro Stefano... contro i cristiani al tempo di Luca. L'accusa concreta suona: Paolo avrebbe introdotto greci (pagani) nel cortile interno (il cortile d'Israele o dei giudei) profanando così il luogo santo. Accusa infondata: i giudei di Efeso avevano soltanto riconosciuto in città (e non nel tempio) Trofimo, un cristiano di Efeso (cfr. 20,4). Il comportamento degli insorti (v. 30b) indica l'intenzione di linciare l'apostolo fuori del «cortile d'Israele», per non profanare il luogo sacro con il suo sangue, e con le porte chiuse, per evitare che egli possa trovare rifugio nel tempio. Intervengono i soldati della guarnigione romana stanziata nella torre Antonia, a nord-ovest della spianata del tempio. Anzi, interviene il tribuno in persona, Claudio Lisia (23,26), come conviene alla grandezza dell'apostolo Paolo. L'effetto è immediato: la folla desiste. Paolo è salvato dal linciaggio ma è messo in catene... come aveva predetto Agabo (21, 11). Fino alla fine del libro Paolo assume il volto del prigioniero. Per il momento è legato con due catene, quindi considerato particolarmente pericoloso (cfr. v. 38). Da parte sua, il tribuno si comporta da militare capace e onesto: Paolo viene trattato secondo la procedura legale, chiedendo identità e reato. La folla invece è vista come una massa confusionaria; il popolo di Dio vuole la morte di Paolo come ha voluto quella di Gesù.

Preparazione del discorso di Paolo ai giudei I versetti preparano il discorso che l'apostolo rivolgerà ai giudei, discorso che il redattore ha composto e inserito volutamente in un quadro adeguato al contenuto, ma storicamente inverosimile: come fa Paolo a ottenere il silenzio di una folla inferocita, che poco prima voleva linciarlo? Paolo, incatenato, sta per essere portato nella torre Antonia. Senza paura il prigioniero si rivolge al tribuno con il garbo di un uomo colto. Primo effetto positivo: Paolo non è giudicato come un individuo senza cultura, visto che parla un greco elegante. Altro effetto positivo: non è identificato con quell'Egiziano che nei giorni passati aveva creato disordini. Il tribuno, sentendo Paolo, è subito tranquillizzato. L'apostolo si presenta con fierezza (v. 39); ha la doppia cittadinanza: quella di Tarso e quella romana. Dopo aver fornito le sue generalità, l'apostolo avanza cortesemente la richiesta di poter parlare alla folla; il tribuno non può rifiutare! Al v. 40, Luca crea la scena adatta: è venuto il momento di delineare il profilo religioso dell'apostolo dei pagani di fronte al popolo eletto.


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Da Efeso a Mileto 1Cessato il tumulto, Paolo mandò a chiamare i discepoli e, dopo averli esortati, li salutò e si mise in viaggio per la Macedonia. 2Dopo aver attraversato quelle regioni, esortando i discepoli con molti discorsi, arrivò in Grecia. 3Trascorsi tre mesi, poiché ci fu un complotto dei Giudei contro di lui mentre si apprestava a salpare per la Siria, decise di fare ritorno attraverso la Macedonia. 4Lo accompagnavano Sòpatro di Berea, figlio di Pirro, Aristarco e Secondo di Tessalònica, Gaio di Derbe e Timòteo, e gli asiatici Tìchico e Tròfimo. 5Questi però, partiti prima di noi, ci attendevano a Tròade; 6noi invece salpammo da Filippi dopo i giorni degli Azzimi e li raggiungemmo in capo a cinque giorni a Tròade, dove ci trattenemmo sette giorni. 7Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane, e Paolo, che doveva partire il giorno dopo, conversava con loro e prolungò il discorso fino a mezzanotte. 8C’era un buon numero di lampade nella stanza al piano superiore, dove eravamo riuniti. 9Ora, un ragazzo di nome Èutico, seduto alla finestra, mentre Paolo continuava a conversare senza sosta, fu preso da un sonno profondo; sopraffatto dal sonno, cadde giù dal terzo piano e venne raccolto morto. 10Paolo allora scese, si gettò su di lui, lo abbracciò e disse: «Non vi turbate; è vivo!». 11Poi risalì, spezzò il pane, mangiò e, dopo aver parlato ancora molto fino all’alba, partì. 12Intanto avevano ricondotto il ragazzo vivo, e si sentirono molto consolati. 13Noi, che eravamo già partiti per nave, facemmo vela per Asso, dove dovevamo prendere a bordo Paolo; così infatti egli aveva deciso, intendendo fare il viaggio a piedi. 14Quando ci ebbe raggiunti ad Asso, lo prendemmo con noi e arrivammo a Mitilene. 15Salpati da qui, il giorno dopo ci trovammo di fronte a Chio; l’indomani toccammo Samo e il giorno seguente giungemmo a Mileto. 16Paolo infatti aveva deciso di passare al largo di Èfeso, per evitare di subire ritardi nella provincia d’Asia: gli premeva essere a Gerusalemme, se possibile, per il giorno della Pentecoste.

Il discorso-testamento di Mileto 17Da Mileto mandò a chiamare a Èfeso gli anziani della Chiesa. 18Quando essi giunsero presso di lui, disse loro: «Voi sapete come mi sono comportato con voi per tutto questo tempo, fin dal primo giorno in cui arrivai in Asia: 19ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei; 20non mi sono mai tirato indietro da ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi, in pubblico e nelle case, 21testimoniando a Giudei e Greci la conversione a Dio e la fede nel Signore nostro Gesù. 22Ed ecco, dunque, costretto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme, senza sapere ciò che là mi accadrà. 23So soltanto che lo Spirito Santo, di città in città, mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni. 24Non ritengo in nessun modo preziosa la mia vita, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di dare testimonianza al vangelo della grazia di Dio. 25E ora, ecco, io so che non vedrete più il mio volto, voi tutti tra i quali sono passato annunciando il Regno. 26Per questo attesto solennemente oggi, davanti a voi, che io sono innocente del sangue di tutti, 27perché non mi sono sottratto al dovere di annunciarvi tutta la volontà di Dio. 28Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi per essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio. 29Io so che dopo la mia partenza verranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; 30perfino in mezzo a voi sorgeranno alcuni a parlare di cose perverse, per attirare i discepoli dietro di sé. 31Per questo vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato, tra le lacrime, di ammonire ciascuno di voi. 32E ora vi affido a Dio e alla parola della sua grazia, che ha la potenza di edificare e di concedere l’eredità fra tutti quelli che da lui sono santificati. 33Non ho desiderato né argento né oro né il vestito di nessuno. 34Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani. 35In tutte le maniere vi ho mostrato che i deboli si devono soccorrere lavorando così, ricordando le parole del Signore Gesù, che disse: “Si è più beati nel dare che nel ricevere!”». 36Dopo aver detto questo, si inginocchiò con tutti loro e pregò. 37Tutti scoppiarono in pianto e, gettandosi al collo di Paolo, lo baciavano, 38addolorati soprattutto perché aveva detto che non avrebbero più rivisto il suo volto. E lo accompagnarono fino alla nave.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

Da Efeso a Mileto L'autore riprende il filo narrativo interrotto in 19,21-22. Paolo è passato da Efeso, attraverso la Macedonia, fino in Grecia (Corinto) dove rimase per tre mesi (cfr. 1Cor 16,1-6; 2Cor 2,12-13); a Corinto scriverà la lettera ai Romani. Il progetto di recarsi per nave a Gerusalemme trova conferma in Rm 15,25-26. L'impedimento e il conseguente percorso via terra, a causa di un complotto, è verosimile: se avesse avuto l'intenzione di riattraversarle non si spiegherebbe perché Paolo abbia fatto venire a Corinto dalle varie regioni gli incaricati per la colletta. Nell'ottica di Luca, il viaggio di Paolo da Efeso in Grecia appare come un viaggio per una visita pastorale. Gli incaricati della colletta diventano i compagni dell'apostolo, che lo seguono a Gerusalemme, così come i discepoli seguivano Gesù. Luca tace volutamente il motivo storico del loro viaggio a Gerusalemme; questo viaggio deve assomigliare a quello di Gesù verso il suo arresto. Con la partenza di Paolo da Efeso inizia, nell'ottica di Luca, il viaggio verso Gerusalemme annunciato in 19,21.

La permanenza di una settimana a Troade dà al narratore l'occasione di inserire l'episodio della risurrezione di Eutico (vv. 7-12). Con l'inserimento di questo racconto, il narratore raggiunge una doppia finalità: rompere la monotonia e creare l'atmosfera particolare di questo viaggio a Gerusalemme. La narrazione comporta diversi elementi: un racconto di miracolo, una celebrazione eucaristica, un contesto di addio. Il racconto è la più antica testimonianza (cfr. 1Cor 16,2) sulla celebrazione eucaristica nel «giorno del Signore» (dies dominica). I cristiani si radunano al piano superiore dove e'è posto sufficiente. L'espressione ricorda il luogo dell'ultima cena (Le 22,12), della preghiera degli apostoli (At 1,13), ma anche l'episodio della risurrezione di Tabita(At 9,37.39) e quella compiuta da Elia(1Re 17,19) e da Eliseo (2Re 4,34).

Dopo il racconto del miracolo, Luca riprende l'itinerario: da Troade Paolo va a piedi fino ad Asso, mentre i suoi compagni fanno il tragitto via mare e lo aspettano ad Asso; poi insieme vanno via mare lungo la costa a Mitilene, Chio, Samo, Mileto. Luca sa che Paolo evita Efeso e lo giustifica con il motivo della fretta: ciò non può essere il vero motivo. L'indicazione della Pentecoste come data d'arrivo a Gerusalemme spiega bene la premura dell'apostolo; è una data opportuna per consegnare la colletta e, al tempo stesso, per partecipare alla festa, importante anche per un giudeo-cristiano, ma non spiega perché l'apostolo eviti Efeso. Infatti, mandare qualche collaboratore da Mileto per far venire i responsabili della Chiesa di Efeso a Mileto, distante circa 70 km, richiede almeno 4-5 giorni: Luca frena l'urgenza dell'apostolo! In realtà l'incidente ricordato in 2Cor 1,8 spiega meglio perché Paolo eviti Efeso: forse rischiava la vita.

Il discorso-testamento di Mileto Dopo il discorso ai giudei tenuto ad Antiochia di Pisidia (13,16-41) e quello di Atene rivolto al mondo culturale pagano (17,22-31), Paolo parla adesso alla Chiesa stessa, in particolare ai responsabili della comunità. L'autore sceglie un genere letterario specifico, quello del «discorso di addio», le cui caratteristiche sono le seguenti: il radunarsi di persone che hanno un legame particolare con il protagonista, l'annuncio della morte imminente, lo sguardo alla vita passata e al futuro dei presenti, la proclamazione d'innocenza e gli avvertimenti; infine, la preghiera, la benedizione, l'abbraccio e il pianto. La scelta di tale genere letterario è in linea con il contesto narrativo di partenza e di ultimo incontro, ma anche con l'intento dell'autore sacro di inculcare nella Chiesa post-apostolica il dovere della fedeltà nei confronti del “deposito” ricevuto dalla Chiesa apostolica tramite il suo rappresentante più degno, Paolo.

Tenendo presente il contenuto, si può dividere l'insieme in due parti.

  1. Nei vv. 18- 27 Paolo viene proposto come esempio di comportamento. Egli serve da modello alla Chiesa post-apostolica e, soprattutto, garantisce la validità della Tradizione apostolica ricevuta.
  2. I vv. 28-35 offrono una parenesi che comporta un appello alla vigilanza in vista delle false dottrine, che si diffondono, e un pressante invito all'amore nella comunità.

Il discorso è stato composto dallo stesso autore del libro: esso si inserisce bene nel contesto narrativo, corrisponde al ritratto ideale che Luca dà di Paolo e alla situazione della Chiesa al tempo dell'autore sacro. Il discorso, inoltre, presuppone la conoscenza del martirio dell'apostolo, come suggerisce la scelta del «discorso di addio» e le allusioni nei vv. 24 e 29. Il discorso di Mileto mostra bene i cambiamenti in corso in una Chiesa in cui i testimoni oculari della prima generazione sono morti e l'agire carismatico dello Spirito Santo non è più così chiaramente sperimentato. La Chiesa era chiamata a riferirsi alla Tradizione quale «deposito» ricevuto, identificata da Luca con la dottrina paolina, garantita dall'unità dell'apostolo con i Dodici, dall'integrità della sua vita e del suo insegnamento, integrità confermata da Dio e dal martirio. Acquistano quindi importanza i responsabili della Chiesa, ai quali è affidato il «deposito»! Di conseguenza Luca rivolge la sua attenzione al comportamento dei ministri, presentando loro Paolo come modello: da una parte, essi devono «pascere la Chiesa di Dio» (vigilare contro false dottrine, insegnare e attualizzare il depositum fidei ); dall'altra parte, essi devono anche avere un comportamento etico esemplare. Questi orientamenti si ritrovano nelle lettere pastorali (1Timoteo; 2Timoteo; Tito).

Paolo fa venire gli anziani o presbiteri da Efeso a Mileto (v. 17). Per Luca gli anziani sono i normali ministri di una comunità, ciò che non era ancora il caso fuori Palestina all'epoca di Paolo (cfr. Fil 1,1; 1Cor 12; ecc.). Luca ha quindi presente la Chiesa del suo tempo; attorno a Paolo si radunano i legittimi rappresentanti della Chiesa post-apostolica.

Ai vv. 18b-21 Paolo ricorda il suo comportamento passato non per giustificarsi contro critiche, ma per presentarsi come modello. Per descrivere il ritratto dell'apostolo, Luca si serve di un linguaggio che riecheggia la terminologia del Paolo storico (temi ed elementi letterari caratteristici dell'apostolo raccolti dalla tradizione paolina viva nelle Chiese da lui fondate) e che è sostanzialmente quello della parenesi (esortazione) cristiana della fine del I secolo: «servire il Signore» per Paolo significa una dedizione totale al compito di annunciare il Vangelo e implica un atteggiamento di servizio nei confronti della comunità (cfr. Rm 1,1; Fil 1,1; Gal 1,10; cfr. Rm 14,18; il titolo «servo del Signore» più tardi è attribuito ai responsabili di comunità: 2Tm 2,24); Paolo lo fa «con tutta umiltà» (cfr. 1Cor 2,1-5; 15,8-9; 1Ts 2,1-12; ecc.), «tra le lacrime» (cfr. 2Cor 2,4; Fil 3,18). Le prove dovute alle «insidie dei giudei» sono menzionate lungo il libro degli Atti (9,23-24; 13,50-51; 14,19; ecc.); mancano nel periodo efesino (At 19), periodo che storicamente è stato con ogni probabilità il periodo più difficile nell'attività missionaria dell'apostolo in seguito alle crisi delle comunità e alla contestazione della sua vocazione di apostolo.

I vv. 20-21 presentano Paolo come un apostolo completo in tutti i sensi. Egli ha trasmesso il messaggio cristiano: in tutta la sua forma (annuncio e istruzione), in tutti i modi (pubblico e privato), a tutti i destinatari (giudei e greci), con tutto il contenuto (la conversione e la fede). Paolo è dunque il legittimo rappresentante dell'autentica tradizione apostolica.

Ai vv. 22-24 l'attenzione si concentra sulla situazione presente di Paolo: l'incognita del viaggio verso Gerusalemme. L'apostolo sa di essere «costretto dallo Spirito», quindi di trovarsi sotto una volontà divina alla quale non può sfuggire: è l'equivalente di quanto espresso dal verbo «è necessario» caratteristico delle predizioni di Gesù riguardo alla sua passione. La passione di Paolo corrisponde alla passione di Gesù. Paolo sa soltanto di andare verso «catene e tribolazioni». L'apostolo fa liberamente sua questa volontà divina. Egli è consapevole di non andare incontro a un destino fatale; al contrario, sapendosi mosso dallo Spirito, Paolo sa che anche le sue sofferenze hanno un significato, costituiscono una parte del ministero apostolico.

I vv. 28-31 iniziano con un imperativo «vegliate», rivolto ai presbiteri. Per svolgere la loro funzione nella comunità, essi devono essere attenti a se stessi, visto che la loro condotta dev'essere conforme a quella di Paolo; ma essi devono anche stare in guardia per rimanere nella dottrina ortodossa; essi stessi infatti non sono immuni dal pericolo di false dottrine. Dio stesso li ha «posti» come episkopoi cioè come custodi, sorveglianti, intendenti. L'episcopo non è ancora visto come un incarico distinto da quello dei presbiteri: il termine indica come il presbitero deve svolgere la sua funzione nella Chiesa. E per sottolineare la funzione dei presbiteri come episcopi, l'autore presenta la Chiesa non soltanto nel suo aspetto sociale di comunità da governare, ma nella sua realtà profonda di popolo dell'alleanza che ha il suo fondamento nella stessa realtà trinitaria di Dio: voluta dal Padre, resa possibile da Cristo, guidata dallo Spirito Santo.

Secondo Luca grazie alla morte di Gesù è nata la piena comunione di Dio con il suo popolo. Paolo nei vv. 29-30 esprime in forma profetica ciò che era realtà al tempo di Luca: la minaccia delle false dottrine. I pericoli provengono da fuori: non si tratta di persecuzioni, ma di insegnamenti falsi; provengono da cristiani di altre comunità descritti come «lupi» (cfr. Mt 7,15; 10,16; Gv 10,12; Didachè 16,3; ecc.). Ma il pericolo sorge anche all'interno della Chiesa, rischiando di rompere la comunione fraterna. Nella visione dell'autore degli Atti, con la partenza-morte di Paolo si chiude il tempo della Chiesa delle origini, tempo ideale caratterizzato dall'unità e dalla (quasi) assenza di false dottrine.

I vv. 32-35 concludono il discorso. Paolo affida gli anziani a Dio e alla parola della sua grazia, cioè al Vangelo, che non soltanto contiene il messaggio da annunciare, ma comunica anche la grazia della salvezza. Interessante osservare che l'apostolo non affida la Parola ai presbiteri, visto che hanno il compito di proclamarla, ma affida i presbiteri alla protezione e alla forza salvifica della Parola. Nella sua Parola infatti Dio stesso opera (cfr. Is 55,10-11; 1Ts 2,13; Rm 1,16; ecc.) e comunica la forza di «edificare» la comunità nell'unità (cfr. 9,31). Infine, la Parola ha in sé il potere di concedere l'eredità tra i santificati, cioè la vita eterna, la felicità del mondo futuro promesso agli eletti (Mt 5,4; cfr. At 26,18; Col 1,12-13; Ef 1,18).

Il quadro narrativo che conclude il discorso di Mileto (vv. 36-38) descrive una commovente scena di addio. Una preghiera fatta in comune dà alla scena di addio una dimensione religiosa. Seguono il pianto e il bacio affettuoso, che appartengono al genere del «discorso di addio». Luca tende a mostrare il forte legame che unisce la comunità all'apostolo. Il dolore per la partenza è tanto più intenso in quanto si tratta di una partenza definitiva. Chi scrive queste righe sa del martirio di Paolo. I presbiteri accompagnano Paolo (e gli altri compagni di viaggio?) alla nave; e così il narratore si ricollega all'itinerario.


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L'incontro con i discepoli di Giovanni Battista 1Mentre Apollo era a Corinto, Paolo, attraversate le regioni dell’altopiano, scese a Èfeso. Qui trovò alcuni discepoli 2e disse loro: «Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede?». Gli risposero: «Non abbiamo nemmeno sentito dire che esista uno Spirito Santo». 3Ed egli disse: «Quale battesimo avete ricevuto?». «Il battesimo di Giovanni», risposero. 4Disse allora Paolo: «Giovanni battezzò con un battesimo di conversione, dicendo al popolo di credere in colui che sarebbe venuto dopo di lui, cioè in Gesù». 5Udito questo, si fecero battezzare nel nome del Signore Gesù 6e, non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, discese su di loro lo Spirito Santo e si misero a parlare in lingue e a profetare. 7Erano in tutto circa dodici uomini.

Soggiorno di Paolo a Efeso 8Entrato poi nella sinagoga, vi poté parlare liberamente per tre mesi, discutendo e cercando di persuadere gli ascoltatori di ciò che riguarda il regno di Dio. 9Ma, poiché alcuni si ostinavano e si rifiutavano di credere, dicendo male in pubblico di questa Via, si allontanò da loro, separò i discepoli e continuò a discutere ogni giorno nella scuola di Tiranno. 10Questo durò per due anni, e così tutti gli abitanti della provincia d’Asia, Giudei e Greci, poterono ascoltare la parola del Signore. 11Dio intanto operava prodigi non comuni per mano di Paolo, 12al punto che mettevano sopra i malati fazzoletti o grembiuli che erano stati a contatto con lui e le malattie cessavano e gli spiriti cattivi fuggivano. 13Alcuni Giudei, che erano esorcisti itineranti, provarono anch’essi a invocare il nome del Signore Gesù sopra quanti avevano spiriti cattivi, dicendo: «Vi scongiuro per quel Gesù che Paolo predica!». 14Così facevano i sette figli di un certo Sceva, uno dei capi dei sacerdoti, giudeo. 15Ma lo spirito cattivo rispose loro: «Conosco Gesù e so chi è Paolo, ma voi chi siete?». 16E l’uomo che aveva lo spirito cattivo si scagliò su di loro, ebbe il sopravvento su tutti e li trattò con tale violenza che essi fuggirono da quella casa nudi e coperti di ferite. 17Il fatto fu risaputo da tutti i Giudei e i Greci che abitavano a Èfeso e tutti furono presi da timore, e il nome del Signore Gesù veniva glorificato. 18Molti di quelli che avevano abbracciato la fede venivano a confessare in pubblico le loro pratiche di magia 19e un numero considerevole di persone, che avevano esercitato arti magiche, portavano i propri libri e li bruciavano davanti a tutti. Ne fu calcolato il valore complessivo e si trovò che era di cinquantamila monete d’argento. 20Così la parola del Signore cresceva con vigore e si rafforzava.

LA TESTIMONIANZA DI PAOLO FINO A ROMA (19,21-28,31)

Il progetto di Paolo di fare un viaggio a Gerusalemme 21Dopo questi fatti, Paolo decise nello Spirito di attraversare la Macedonia e l’Acaia e di recarsi a Gerusalemme, dicendo: «Dopo essere stato là, devo vedere anche Roma». 22Inviati allora in Macedonia due dei suoi aiutanti, Timòteo ed Erasto, si trattenne ancora un po’ di tempo nella provincia di Asia.

Il tumulto degli argentieri 23Fu verso quel tempo che scoppiò un grande tumulto riguardo a questa Via. 24Un tale, di nome Demetrio, che era òrafo e fabbricava tempietti di Artèmide in argento, procurando in tal modo non poco guadagno agli artigiani, 25li radunò insieme a quanti lavoravano a questo genere di oggetti e disse: «Uomini, voi sapete che da questa attività proviene il nostro benessere; 26ora, potete osservare e sentire come questo Paolo abbia convinto e fuorviato molta gente, non solo di Èfeso, ma si può dire di tutta l’Asia, affermando che non sono dèi quelli fabbricati da mani d’uomo. 27Non soltanto c’è il pericolo che la nostra categoria cada in discredito, ma anche che il santuario della grande dea Artèmide non sia stimato più nulla e venga distrutta la grandezza di colei che tutta l’Asia e il mondo intero venerano». 28All’udire ciò, furono pieni di collera e si misero a gridare: «Grande è l’Artèmide degli Efesini!». 29La città fu tutta in agitazione e si precipitarono in massa nel teatro, trascinando con sé i Macèdoni Gaio e Aristarco, compagni di viaggio di Paolo. 30Paolo voleva presentarsi alla folla, ma i discepoli non glielo permisero. 31Anche alcuni dei funzionari imperiali, che gli erano amici, mandarono a pregarlo di non avventurarsi nel teatro. 32Intanto, chi gridava una cosa, chi un’altra; l’assemblea era agitata e i più non sapevano il motivo per cui erano accorsi. 33Alcuni della folla fecero intervenire un certo Alessandro, che i Giudei avevano spinto avanti, e Alessandro, fatto cenno con la mano, voleva tenere un discorso di difesa davanti all’assemblea. 34Appena s’accorsero che era giudeo, si misero tutti a gridare in coro per quasi due ore: «Grande è l’Artèmide degli Efesini!». 35Ma il cancelliere della città calmò la folla e disse: «Abitanti di Èfeso, chi fra gli uomini non sa che la città di Èfeso è custode del tempio della grande Artèmide e della sua statua caduta dal cielo? 36Poiché questi fatti sono incontestabili, è necessario che stiate calmi e non compiate gesti inconsulti. 37Voi avete condotto qui questi uomini, che non hanno profanato il tempio né hanno bestemmiato la nostra dea. 38Perciò, se Demetrio e gli artigiani che sono con lui hanno delle ragioni da far valere contro qualcuno, esistono per questo i tribunali e vi sono i proconsoli: si citino in giudizio l’un l’altro. 39Se poi desiderate qualche altra cosa, si deciderà nell’assemblea legittima. 40C’è infatti il rischio di essere accusati di sedizione per l’accaduto di oggi, non essendoci alcun motivo con cui possiamo giustificare questo assembramento». Detto questo, sciolse l’assemblea.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

L'incontro con i discepoli di Giovanni Battista Luca parla di «discepoli» (v. 1), cioè di cristiani... che non hanno ricevuto lo Spirito Santo!? Perché Paolo li battezza se sono già cristiani? Insomma, Sembra che Luca abbia trasformato membri del movimento battista in cristiani incompleti. La scena appare come una “quarta Pentecoste”. Luca in realtà sta istruendo il lettore: il cristiano vero è colui che riceve non solo il battesimo ma anche il dono dello Spirito Santo. Il battesimo di Giovanni è stato dato soltanto in vista della conversione, considerata da Luca come la prima tappa verso la fede cristiana. Infatti questi «discepoli» si fanno battezzare senza reticenza; sono stati preparati alla fede cristiana dal Battista. Va notato che il battesimo nel nome di Gesù è non soltanto un complemento di quello di Giovanni, ma una novità, com'è nuovo il dono dello Spirito Santo. Al v. 6 viene testimoniata una pratica liturgica, che lega il dono dello Spirito a un'imposizione delle mani associata al rito battesimale. Tipicamente lucana è la manifestazione carismatica dello Spirito Santo (10,46; cfr. 2,11).

Soggiorno di Paolo a Efeso I vv. 8-10 si presentano come un sommario dell'attività di Paolo a Efeso; la sua permanenza in questa città va collocata tra il 52 e il 55 d.C. Ritroviamo lo schema fondamentale: predicazione nella sinagoga – persecuzione e rifiuto di alcuni, conversione di altri – separazione dalla sinagoga e predicazione ai pagani – nascita di una comunità costituita da giudei e pagani convertiti. Con la prolungata predicazione di Paolo, il cristianesimo si diffonde dalla metropoli verso l'intera regione. Difatti la diffusione del Vangelo a partire da Efeso verso le città della regione è storicamente plausibile. Grazie ai collaboratori dell'apostolo, il Vangelo tocca Colossi, Laodicea, Gerapoli... (cfr. Col 1,7; 4,12; Fm 23).

Con il sommario dei vv. 11-12 si mette in luce il potere taumaturgi- co dell'apostolo: Dio agisce in Paolo come in Pietro (At 5,12-16) e come in Gesù (Le 8,46-47). È dunque sempre Dio che opera: ogni interpretazione di tipo magico è fuori strada. Paolo ha avuto il carisma di compiere miracoli, come egli stesso conferma in 2Cor 12,12 e Rm 15,18-19, ma la presentazione che ne fa Luca risale piuttosto a un modello popolare tinto di leggenda. Fa parte della credenza popolare che il contatto fisico diretto o mediante indumenti trasmetta una forza in grado di guarire. Luca non giudica; a lui interessa sottolineare il potere divino che agisce mediante l'apostolo.

Ai vv. 13-17 segue una storia di esorcismo con esito negativo, a carattere di punizione. Gli esorcisti giudei erano di moda; anche Mc 9,38 conosce una tradizione su esorcisti giudei che usavano il nome di Gesù. La formula «nel nome di Gesù» non ha efficacia, perché pronunciata da persone che non ne hanno il diritto. Il finale è caratteristico dei racconti popolari: il cacciatore diventa preda. Luca conclude (v. 17), come in un racconto di miracolo, con l'effetto conseguito: la divulgazione dell'accaduto, il timore di Dio, l'esaltazione del nome del Signore Gesù, cosa che presuppone la conversione.

Con i vv. 18-20 l'autore amplia la conclusione precedente approfittando della localizzazione a Efeso (famoso centro della magia) per ricordare ai cristiani l'incompatibilità delle pratiche magiche con una fede cristiana autentica. Luca lo esemplifica con un gesto pubblico: bruciare i libri con formule magiche. Viene dato il valore: l'equivalente di cinquantamila giorni di paga per un operaio. Incredibile per una comunità costituita in maggioranza da credenti poveri (cfr. 1Cor 1,26). Ma l'autore vuole imprimere nel lettore la serietà di questo taglio, necessario per un cristiano, con la pratica delle arti magiche.

Il v. 20 fa da conclusione, riprendendo il tema della crescita (della Parola o della Chiesa) che attraversa l'intero libro. Il versetto è un sommario: indica una pausa narrativa, nonché la conclusione di tutta la quarta tappa. Benché il racconto dei tempietti di Artemide sia un episodio che si svolge a Efeso, la prospettiva cambia; lo sguardo si indirizza già verso il futuro: Gerusalemme e Roma (vv. 21-22).

LA TESTIMONIANZA DI PAOLO FINO A ROMA (19,21-28,31) Con At 19,21-22 inizia l'ultima tappa del libro. Siamo a una svolta. Se finora Luca ha presentato Paolo come il grande evangelizzatore, fondatore di comunità, d'ora in poi l'apostolo assume i tratti del testimone sofferente di Cristo. Si sta realizzando la profezia del Risorto: «lo gli mostrerò quanto dovrà patire per il mio nome» (9,16). Cambia anche il contenuto dei discorsi: non più l'esposizione dell'annuncio cristiano, con variazioni sul tema, ma un discorso di addio (20,17-38) e diversi discorsi auto-apologetici (22,1-21; 24,10-21; 26,1-23; 28,17-28) nei quali emergono le grandi preoccupazioni di Luca: la legittimità dell'annuncio al mondo pagano, e quindi dell'esistenza delle Chiese pagano-cristiane e del loro rapporto con le Chiese giudeo-cristiane, espressioni dell'unica Chiesa. Gerusalemme cambia volto: non più luogo della nascita della Chiesa e della sua diffusione, ma centro degli avversari del Vangelo, del giudaismo ostile. Con l'arrivo di Paolo a Roma, si sposta anche il centro della Chiesa: la diffusione missionaria universale partirà d'ora innanzi da Roma, centro del mondo pagano (cfr. 1,8), fino alle estremità della terra.

Il progetto di Paolo di fare un viaggio a Gerusalemme Il parallelismo con Lc 9,51-52, la grande svolta nell'attività di Gesù, è senza dubbio voluto: come Gesù conclude l'attività in Galilea e il suo sguardo si volge decisamente verso Gerusalemme, così Paolo termina la sua attività missionaria da uomo libero e guarda al futuro. E come Gesù, così anche Paolo manda messaggeri avanti a sé. Con questo parallelismo, l'autore orienta la comprensione del lettore: Paolo come Gesù! L'apostolo s'incammina dietro al suo Maestro su una via di sofferenza, ma che porterà frutti. Al seguito di Cristo, conscio delle sofferenze che lo aspettano, ma obbediente alla volontà divina, Paolo imbocca decisamente la via verso Gerusalemme dove, innocente, sarà arrestato dai giudei e consegnato ai pagani. Così facendo, Luca presenta Paolo come modello ideale di comportamento, esempio di quello che implica la sequela di Cristo per ogni evangelizzatore e per ogni cristiano, secondo la parola di Gesù: «Ii discepolo non è più grande del suo maestro; tutt'al più, se si lascerà ben formare, sarà come il maestro» (Lc 6,40). Il cammino di Paolo, tuttavia, non si ferma a Gerusalemme; è a partire da Gerusalemme che l'apostolo raggiunge Roma, da dove il Vangelo si diffonderà fino alle estremità della terra.

Il tumulto degli argentieri Un racconto eccezionalmente ampio costituisce la degna conclusione del soggiorno efesino di Paolo. L'episodio conclude l'attività missionaria dell'apostolo e ne costituisce il vertice: la diffusione del Vangelo è tale da mettere in crisi perfino il famosissimo culto della dea Artemide e da minacciare il paganesimo in generale. L'intento apologetico è altrettanto evidente: il cristianesimo non merita l'accusa di offendere il culto ufficiale; quindi, di mancanza di lealtà nei confronti dello Stato. Quello che spinge a insorgere contro la Via non sono convinzioni religiose, ma gli affari; i veri promotori di disordini sono da una parte alcuni affaristi in cerca di guadagno, dall'altra una folla che li segue ciecamente. Il culto di Artemide (la Diana romana) era strettamente correlato a quello della Grande Madre venerata in Asia quale divinità della vita e della fecondità. La sua statua, che si diceva discesa dal cielo, si trovava nell' Artemision, grande tempio di Efeso, che misurava 133 metri di lunghezza e 70 metri di larghezza, con 128 colonne di 19 metri di altezza.

Il motivo che dà origine al tumulto non concerne direttamente Paolo, bensì il confronto del cristianesimo con il politeismo. Luca presenta Demetrio come padrone di una fabbrica di modelli in argento dell' Artemision , con dipendenti a suo servizio. Scrivendo che procurava guadagno agli artigiani, il narratore svela il punto cruciale: la sete di guadagno. Con il v. 25 parte l'azione: convocazione degli artigiani di ditte simili e discorso di Demetrio che lega abilmente la religione con il guadagno: l'annuncio cristiano porta alla rovina del culto della divinità e del commercio ad esso legato. C'è un crescendo: il cristianesimo mette in pericolo non soltanto la categoria degli artigiani, ma anche il culto del tempio a Efeso, perfino la venerazione di Artemide nel mondo. In questo discorso va ammirata l'arte narrativa di Luca.

Il discorso di Demetrio ottiene il successo desiderato: un'ira “santa” riempie gli artigiani e si estende all'intera città. Il teatro è il luogo abituale di tali assembramenti. Il teatro di Efeso poteva contenere circa 25000 persone. La folla trascina con sé Gaio e Aristarco. La menzione dei compagni di Paolo permette al narratore di introdurre l'apostolo nel racconto (vv. 30-31). Paolo vorrebbe recarsi nel teatro e parlare alla folla radunata: che coraggio! Per fortuna viene trattenuto da alcuni amici, definiti «asiarchi». Appare l'immagine lucana di un Paolo, che ha familiarità con l'alta società e, di conseguenza, la presentazione di un cristianesimo che vorrebbe godere della protezione dell'autorità politica. Con il v. 32 si ritorna al tumulto. Nel teatro regna la confusione. Sarebbe un momento opportuno per un intervento di Demetrio; ma ci si dimentica di lui. Al suo posto, e in modo inatteso e oscuro, si fa avanti un Alessandro. Chi è? Cos'ha a che vedere con il racconto? Si può supporre: i giudei, sentendosi minacciati da una folla che non li distingue dai cristiani, mandano avanti Alessandro. Egli cerca di fare un discorso in difesa dei suoi correligionari, ma ottiene l'effetto contrario: aizza i sentimenti antigiudaici della folla.

L'intervento del cancelliere caratterizza l'ultima parte del racconto. Egli inizia il suo discorso con una captatio benevolentiae: la fama di Efeso, custode del tempio di Artemide, è tale da non temere di essere scalfita; possiede la statua discesa dal cielo (si tratta probabilmente di una meteorite). Quindi ogni disordine è inutile. Il cancelliere dichiara i cristiani innocenti dall'accusa di essere dei profanatori e dei bestemmiatori della divinità. È vero! Solo che i cristiani negano semplicemente l'esistenza della divinità! Ma questo non crea disordini sociali da parte loro. Di conseguenza gli artigiani passino per le vie legali. L'argomentazione del cancelliere è all'opposto di quella di Demetrio. Implicitamente ciò corrisponde anche a una dichiarazione d'innocenza di Paolo da parte dell'autorità romana: e questo ha la sua importanza prima dei processi romani che l'apostolo dovrà subire. Il cancelliere riesce a convincere la folla: c'è infatti il rischio che l'assembramento formatosi nel teatro sia giudicato come una sedizione dall'autorità imperiale. Con questo racconto Luca ha raggiunto un triplice scopo: mostrare la superiorità della fede cristiana nei confronti del paganesimo; dare un'immagine ideale del cristianesimo nei confronti della società e della legge romana; discolpare in anticipo Paolo dalle accuse future.


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Paolo a Corinto 1Dopo questi fatti Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto. 2Qui trovò un Giudeo di nome Aquila, nativo del Ponto, arrivato poco prima dall’Italia, con la moglie Priscilla, in seguito all’ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i Giudei. Paolo si recò da loro 3e, poiché erano del medesimo mestiere, si stabilì in casa loro e lavorava. Di mestiere, infatti, erano fabbricanti di tende. 4Ogni sabato poi discuteva nella sinagoga e cercava di persuadere Giudei e Greci. 5Quando Sila e Timòteo giunsero dalla Macedonia, Paolo cominciò a dedicarsi tutto alla Parola, testimoniando davanti ai Giudei che Gesù è il Cristo. 6Ma, poiché essi si opponevano e lanciavano ingiurie, egli, scuotendosi le vesti, disse: «Il vostro sangue ricada sul vostro capo: io sono innocente. D’ora in poi me ne andrò dai pagani». 7Se ne andò di là ed entrò nella casa di un tale, di nome Tizio Giusto, uno che venerava Dio, la cui abitazione era accanto alla sinagoga. 8Crispo, capo della sinagoga, credette nel Signore insieme a tutta la sua famiglia; e molti dei Corinzi, ascoltando Paolo, credevano e si facevano battezzare. 9Una notte, in visione, il Signore disse a Paolo: «Non aver paura; continua a parlare e non tacere, 10perché io sono con te e nessuno cercherà di farti del male: in questa città io ho un popolo numeroso». 11Così Paolo si fermò un anno e mezzo, e insegnava fra loro la parola di Dio. 12Mentre Gallione era proconsole dell’Acaia, i Giudei insorsero unanimi contro Paolo e lo condussero davanti al tribunale 13dicendo: «Costui persuade la gente a rendere culto a Dio in modo contrario alla Legge». 14Paolo stava per rispondere, ma Gallione disse ai Giudei: «Se si trattasse di un delitto o di un misfatto, io vi ascolterei, o Giudei, come è giusto. 15Ma se sono questioni di parole o di nomi o della vostra Legge, vedetevela voi: io non voglio essere giudice di queste faccende». 16E li fece cacciare dal tribunale. 17Allora tutti afferrarono Sòstene, capo della sinagoga, e lo percossero davanti al tribunale, ma Gallione non si curava affatto di questo.

Il ritorno ad Antiochia 18Paolo si trattenne ancora diversi giorni, poi prese congedo dai fratelli e s’imbarcò diretto in Siria, in compagnia di Priscilla e Aquila. A Cencre si era rasato il capo a causa di un voto che aveva fatto. 19Giunsero a Èfeso, dove lasciò i due coniugi e, entrato nella sinagoga, si mise a discutere con i Giudei. 20Questi lo pregavano di fermarsi più a lungo, ma non acconsentì. 21Tuttavia congedandosi disse: «Ritornerò di nuovo da voi, se Dio vorrà»; quindi partì da Èfeso. 22Sbarcato a Cesarèa, salì a Gerusalemme a salutare la Chiesa e poi scese ad Antiòchia. 23Trascorso là un po’ di tempo, partì: percorreva di seguito la regione della Galazia e la Frìgia, confermando tutti i discepoli.

Apollo a Efeso 24Arrivò a Èfeso un Giudeo, di nome Apollo, nativo di Alessandria, uomo colto, esperto nelle Scritture. 25Questi era stato istruito nella via del Signore e, con animo ispirato, parlava e insegnava con accuratezza ciò che si riferiva a Gesù, sebbene conoscesse soltanto il battesimo di Giovanni. 26Egli cominciò a parlare con franchezza nella sinagoga. Priscilla e Aquila lo ascoltarono, poi lo presero con sé e gli esposero con maggiore accuratezza la via di Dio. 27Poiché egli desiderava passare in Acaia, i fratelli lo incoraggiarono e scrissero ai discepoli di fargli buona accoglienza. Giunto là, fu molto utile a quelli che, per opera della grazia, erano divenuti credenti. 28Confutava infatti vigorosamente i Giudei, dimostrando pubblicamente attraverso le Scritture che Gesù è il Cristo.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

Paolo a Corinto Da Atene Paolo scende a Corinto, capitale della provincia romana dell'Acaia. La datazione probabile dell'editto di Claudio è l'anno 49 d.C. questo ci permette di datare l'attività di Paolo e di collocare il soggiorno dell'apostolo a Corinto tra il 50 e il 52 d.C. Paolo trova alloggio presso Aquila, originario della provincia romana del Ponto, sul mar Nero. Luca lo presenta come giudeo, forse era già cristiano, ma l'evangelista vuole dare l'impressione che prima dell'arrivo di Paolo a Corinto non esistessero ancora cristiani in città. Aquila e sua moglie Priscilla (o Prisca) erano appena arrivati da Roma, da dove un editto dell'imperatore Claudio (41-54 d.C.) li aveva costretti a partire. Il v. 3 fornisce un'altra informazione interessante, quella sul mestiere di Paolo. Egli era fabbricante di tende o, più genericamente, lavoratore di cuoio. Le lettere dell'apostolo confermano che egli esercitava una professione manuale (1Ts 2,9; 1Cor 4,12; 9,6).

Il v. 4 riflette lo schema lucano: la missione inizia nella sinagoga e riguarda giudei e greci; serve a introdurre i versetti seguenti. L'arrivo di Sila, nominato per l'ultima volta negli Atti, e di Timoteo permette a Paolo di dedicarsi pienamente alla missione, perché questi collaboratori, come pare sottinteso, si occupano del lavoro per guadagnare quanto è necessario al sostentamento. Luca dunque riprende e completa lo schema storico-salvifico: l'apostolo si rivolge prima ai giudei e, solo in seguito al loro rifiuto, ai pagani. La reazione di Paolo al rifiuto dei giudei (v. 6) ricorda quella di Antiochia di Pisidia: scuotere la polvere dalle vesti (in 13,51 scuotono la polvere dai piedi) esprime la rottura di comunione (cfr. Ne 5,13; Mc 6,11). Il gesto è accompagnato da una parola di condanna: Paolo dichiara che i giudei si assumono pienamente le gravi e mortali conseguenze del loro rifiuto (cfr. Lv 20,9-17). L'apostolo chiude con un «sono innocente», cioè non colpevole per quello che accadrà contro di loro; in altri termini, nell'ottica del redattore il Vangelo è stato annunciato a Israele pienamente e nella debita forma.

Notizia senza dubbio storica: l'apostolo si trasferisce dalla sinagoga nella casa di un timorato di Dio, Tizio Giusto. Forse Paolo cercava un locale più ampio per gli incontri. Altra notizia storica: la conversione del capo della sinagoga Crispo, confermata da 1Cor 1, 14. Storicamente bisogna forse invertire i fatti: la predicazione di Paolo nella sinagoga produce la conversione di Crispo e di molti altri al suo seguito; queste conversioni costringono l'apostolo a trovare un locale più spazioso, ma provocano anche la rottura con la sinagoga. Dopo la conversione di tante persone, sorprende che Paolo abbia bisogno di essere confortato da un'apparizione del Risorto e invitato a rimanere a Corinto (vv. 9-10). Probabilmente, per Luca, l'apparizione serve a giustificare la lunga permanenza di Paolo a Corinto (un anno e mezzo: v. 11), alla quale finora il lettore non era abituato. Comunque viene ricordato a quest'ultimo che il vero protagonista della missione è il Risorto.

Di questo lungo soggiorno, Luca narra ancora l'episodio di Gallione. Si tratta di una tradizione indipendente (vv. 12-17); il legame con il contesto è letterario e non cronologico, ed è quindi difficile conoscere in quale momento del soggiorno di Paolo a Corinto sia avvenuto l'incidente. La menzione del proconsole Gallione fornisce la più preziosa indicazione cronologica perla vita di Paolo. Gallione, nato a Cordova in Spagna, era fratello maggiore del filosofo Seneca; prese il nome del padre adottivo Lucius Junius Annaeus Gallio. Luca lo descrive quale modello di atteggiamento di un magistrato romano nei confronti del cristianesimo. Gallione fu proconsole dell'Acaia dal 1° luglio del 51 al 30 giugno del 52 con un margine di incertezza di un anno (52/53). L'incertezza rimane anche per la datazione del soggiorno di Paolo a Corinto, visto che non sappiamo in quale momento del proconsolato di Gallione avvenne l'incontro.

L'accusa mossa dai giudei contro Paolo suona: egli persuade gli uomini ad adorare Dio in modo contrario alla legge (si suppone) romana; Paolo cioè suscita disordini e si pone contro le leggi dello Stato. Ma un bravo magistrato non si lascia ingannare e capisce che si tratta di questioni interne al giudaismo. Paolo non ha neanche bisogno di difendersi, tanto è evidente che il cristianesimo non è ostile allo Stato romano. «Vedetevela voi» conclude Gallione: non è un atteggiamento di indifferenza o di negligenza. Il proconsole non si sottrae alla sua responsabilità, ma rinvia i giudei alla loro competenza, a trattare questioni religiose interne. La punta apologetica di Luca è ben presente: il cristianesimo ha diritto di svilupparsi in pace nell'impero. In realtà chi crea disordini sono i giudei (v. 17; cfr. v. 2). La scena si conclude con un incidente (v. 17): il capo della sinagoga Sostene viene percosso. Da chi? Luca lascia intendere da giudei delusi. Sarebbe più logico che se la prendessero con Paolo! Meglio pensare alla folla presente: quindi una mossa antigiudaica, alla quale Gallione assiste senza intervenire.

Il ritorno ad Antiochia La fine del cosiddetto secondo viaggio missionario, così come presentata dal redattore, orienta l'attenzione del lettore sulla grande metropoli di Efeso, il centro nel quale Paolo soggiornerà alcuni anni. Nell'insieme, tuttavia, il narratore non è in grado di motivare i fatti e gli spostamenti dell'apostolo, e non mancano i punti interrogativi: perché Aquila e Priscilla si recano a Efeso? Perché Paolo fa un voto? Qual è? Dove sono i collaboratori dell'apostolo? Perché va a Gerusalemme, città che l'autore sacro evita di nominare? La brevità stessa dell'accenno alla città santa dà l'impressione che Luca voglia presentare l'attività apostolica di Paolo in terra pagana come un unico viaggio che ha come punto di partenza l'assemblea di Gerusalemme (e quindi l'unità con la Chiesa-madre) e come termine il ritorno nella città santa che porta al suo arresto... come per Gesù. Dopo un anno e mezzo di permanenza a Corinto, Paolo lascia la città, insieme ad Aquila e Priscilla. Destinazione: la Siria, cioè Antiochia; trattandosi probabilmente della provincia romana, è inclusa la Palestina e, quindi, Gerusalemme. A Cenere l'apostolo fa un voto: si rade i capelli (Luca sembra identificare questo rito con il voto stesso, allorché il taglio dei capelli sì fa alla fine del voto, a Gerusalemme). Si pensa al voto di nazireato (cfr. Nm 6,1-21), anche se la descrizione che ne fa il narratore è inesatta. Il voto è fatto come ringraziamento per un pericolo scampato o per chiedere una grazia divina. Luca si basa su di un ricordo storico, ma lo menziona perché gli permette di mostrare la fedeltà dell'apostolo ai costumi del giudaismo. Da Paolo stesso sappiamo che, anche se con la sua teologia della giustificazione, ha rotto con il sistema di salvezza del fariseismo, non ha rotto con le tradizioni del suo popolo (cfr. 1Cor 9,20). Nei vv. 19-21, ciò che storicamente era solo uno scalo per la nave con destinazione Cesarea, viene descritto da Luca come un breve soggiorno di Paolo a Efeso; così facendo, egli non soltanto prepara il lettore al cosiddetto terzo viaggio missionario, ma fa di Paolo il fondatore “onorario” della chiesa di Efeso. En passant il narratore accenna all'andata di Paolo a Gerusalemme e poi ad Antiochia. Motivi per recarsi a Gerusalemme non mancano: concludere il voto fatto a Cenere secondo il rito richiesto e sopratutto assicurarsi la comunione della Chiesa-madre con le Chiese fondate in Macedonia e Acaia. Antiochia, da parte sua, rimane sempre la comunità dove Paolo ha vissuto a lungo; probabilmente doveva anche regolare e programmare insieme a Barnaba la colletta, per la quale i due si erano impegnati all'assemblea di Gerusalemme (Gal 2,10). L'apostolo passò l'inverno 51/52 (o 52/53) ad Antiochia prima di tornare a Efeso, passando per la Galazia (meridionale) e la Frigia. In questo viaggio Paolo porta con sé anche Tito (2Cor 8,16; 12,17-18), che gli Atti non menzionano.

Apollo a Efeso Il narratore colma l'intervallo dell'assenza di Paolo a Efeso con una tradizione relativa ad Apollo, personaggio che Paolo menziona diverse volte nella prima lettera ai Corinzi. Sembra essere stato un missionario giudeo-cristiano colto, itinerante, indipendente da Paolo e attivo a Efeso prima di lui. Luca invece lo descrive come un cristiano zelante, ma non del tutto formato, quindi inferiore a Paolo, e che Priscilla e Aquila integreranno pienamente nella Chiesa apostolica. Uomo colto ed eloquente, tratto che corrisponde bene al suo luogo d'origine, Alessandria (capitale intellettuale del mondo antico di allora), era anche «versato nelle Scritture», come Filone d'Alessandria. L'esposizione lucana è maldestra; il narratore non riesce a combinare il suo punto di vista con la tradizione: come può Apollo predicare Gesù, annunciare l'evento pasquale ed essere «ardente nello Spirito», senza conoscere il battesimo cristiano? Luca, non riconoscendo un cristianesimo indipendente dalla tradizione apostolica rappresentata da Paolo, attribuisce ad Apollo un deficit che dovrà essere colmato. L'attività di Apollo a Corinto (v. 27) è confermata da 1Cor 1-4. Egli viene raccomandato dai «fratelli» di Efeso, preoccupazione normale in caso di un missionario itinerante, ma conferma anche l'esistenza di una comunità a Efeso prima dell'arrivo di Paolo, Aquila e Priscilla in quella città. Infatti, se i «fratelli» fossero stati convertiti da questi ultimi, che senso avrebbe scrivere una lettera di raccomandazione da parte di cristiani ancora sconosciuti alla Chiesa di Corinto? A Corinto, Apollo sfrutta la sua conoscenza delle Scritture per confutare con energia e in pubblico (la sinagoga era vietata ai cristiani?) i giudei (non i pagani). Luca quindi colloca l'attività di Apollo, versato nelle Scritture, in relazione con i giudei, cosa che le lettere di Paolo non confermano.


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A Tessalonica e Berea 1Percorrendo la strada che passa per Anfìpoli e Apollònia, giunsero a Tessalònica, dove c’era una sinagoga dei Giudei. 2Come era sua consuetudine, Paolo vi andò e per tre sabati discusse con loro sulla base delle Scritture, 3spiegandole e sostenendo che il Cristo doveva soffrire e risorgere dai morti. E diceva: «Il Cristo è quel Gesù che io vi annuncio». 4Alcuni di loro furono convinti e aderirono a Paolo e a Sila, come anche un grande numero di Greci credenti in Dio e non poche donne della nobiltà. 5Ma i Giudei, ingelositi, presero con sé, dalla piazza, alcuni malviventi, suscitarono un tumulto e misero in subbuglio la città. Si presentarono alla casa di Giasone e cercavano Paolo e Sila per condurli davanti all’assemblea popolare. 6Non avendoli trovati, trascinarono Giasone e alcuni fratelli dai capi della città, gridando: «Quei tali che mettono il mondo in agitazione sono venuti anche qui 7e Giasone li ha ospitati. Tutti costoro vanno contro i decreti dell’imperatore, perché affermano che c’è un altro re: Gesù». 8Così misero in ansia la popolazione e i capi della città che udivano queste cose; 9dopo avere ottenuto una cauzione da Giasone e dagli altri, li rilasciarono. 10Allora i fratelli, durante la notte, fecero partire subito Paolo e Sila verso Berea. Giunti là, entrarono nella sinagoga dei Giudei. 11Questi erano di sentimenti più nobili di quelli di Tessalònica e accolsero la Parola con grande entusiasmo, esaminando ogni giorno le Scritture per vedere se le cose stavano davvero così. 12Molti di loro divennero credenti e non pochi anche dei Greci, donne della nobiltà e uomini. 13Ma quando i Giudei di Tessalònica vennero a sapere che anche a Berea era stata annunciata da Paolo la parola di Dio, andarono pure là ad agitare e a mettere in ansia la popolazione. 14Allora i fratelli fecero subito partire Paolo, perché si mettesse in cammino verso il mare, mentre Sila e Timòteo rimasero là. 15Quelli che accompagnavano Paolo lo condussero fino ad Atene e ripartirono con l’ordine, per Sila e Timòteo, di raggiungerlo al più presto.

Paolo ad Atene 16Paolo, mentre li attendeva ad Atene, fremeva dentro di sé al vedere la città piena di idoli. 17Frattanto, nella sinagoga, discuteva con i Giudei e con i pagani credenti in Dio e ogni giorno, sulla piazza principale, con quelli che incontrava. 18Anche certi filosofi epicurei e stoici discutevano con lui, e alcuni dicevano: «Che cosa mai vorrà dire questo ciarlatano?». E altri: «Sembra essere uno che annuncia divinità straniere», poiché annunciava Gesù e la risurrezione. 19Lo presero allora con sé, lo condussero all’Areòpago e dissero: «Possiamo sapere qual è questa nuova dottrina che tu annunci? 20Cose strane, infatti, tu ci metti negli orecchi; desideriamo perciò sapere di che cosa si tratta». 21Tutti gli Ateniesi, infatti, e gli stranieri là residenti non avevano passatempo più gradito che parlare o ascoltare le ultime novità.

Il discorso di Paolo all’Areòpago 22Allora Paolo, in piedi in mezzo all’Areòpago, disse: «Ateniesi, vedo che, in tutto, siete molto religiosi. 23Passando infatti e osservando i vostri monumenti sacri, ho trovato anche un altare con l’iscrizione: “A un dio ignoto”. Ebbene, colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio. 24Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è Signore del cielo e della terra, non abita in templi costruiti da mani d’uomo 25né dalle mani dell’uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa: è lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. 26Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio 27perché cerchino Dio, se mai, tastando qua e là come ciechi, arrivino a trovarlo, benché non sia lontano da ciascuno di noi. 28In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come hanno detto anche alcuni dei vostri poeti: “Perché di lui anche noi siamo stirpe”. 29Poiché dunque siamo stirpe di Dio, non dobbiamo pensare che la divinità sia simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’arte e dell’ingegno umano. 30Ora Dio, passando sopra ai tempi dell’ignoranza, ordina agli uomini che tutti e dappertutto si convertano, 31perché egli ha stabilito un giorno nel quale dovrà giudicare il mondo con giustizia, per mezzo di un uomo che egli ha designato, dandone a tutti prova sicura col risuscitarlo dai morti».

32Quando sentirono parlare di risurrezione dei morti, alcuni lo deridevano, altri dicevano: «Su questo ti sentiremo un’altra volta». 33Così Paolo si allontanò da loro. 34Ma alcuni si unirono a lui e divennero credenti: fra questi anche Dionigi, membro dell’Areòpago, una donna di nome Dàmaris e altri con loro.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

A Tessalonica e Berea Fedele alla finalità del libro, Luca rivolge la sua attenzione alla diffusione della Parola, e quindi alla nascita delle Chiese, e non alla vita stessa della comunità. L'autore presuppone che il lettore la deduca dal modello della Chiesa-madre nei cc. 2 e 4 del libro. Il lettore vorrebbe anche conoscere qualche cosa sulle occupazioni degli evangelizzatori tra un sabato e l'altro. Paolo stesso informa che lavorava (cfr. 1Ts2,9) e Luca lo sa (cfr. At 18,3; 20,34), ma non crede opportuno dirlo per non distogliere l'attenzione del lettore dall'essenziale. Tessalonica, capitale della provincia romana della Macedonia, godeva della condizione di città libera (amministrazione autonoma, governata da magistrati greci). Era un importante centro politico-economico, culturale e religioso. Paolo si reca nella sinagoga per rispetto alla priorità d'Israele, ma anche per incontrare i greci «credenti in Dio». Il risultato della predicazione nella sinagoga corrisponde all'esperienza generale della missione: pochi giudei e numerosi greci si lasciano convincere. Luca menziona in particolare donne «di alto rango»; forse esprime la stima che l'autore nutre nei confronti della donna nella Chiesa (in 13,50 la stessa categoria di persone è ostile alla predicazione cristiana).

Ai vv. 5-9 si racconta l'avventura capitata a Giasone, probabilmente un giudeo convertito che ospitò gli apostoli, forse anche il loro datore di lavoro. Luca tuttavia imprime il proprio punto di vista nella tradizione ricevuta: colpevolizza i giudei, esagera l'importanza del tumulto e lo trasforma in un'azione giudiziaria. È improbabile che gentaglia di strada trascini un onesto cittadino dinanzi a dei magistrati; normalmente questa gente preferisce la giustizia sommaria! Anche la punizione inflitta a Giasone – una semplice cauzione – indica che il tumulto non aveva la gravità lasciata intendere dal redattore. Le accuse contro il cristianesimo sono di due tipi e corrispondono a quelle mosse al tempo di Luca: mettere sotto-sopra tutta la terra, cioè l'Impero romano (v. 6); la proclamazione di un altro «re», cioè l'accusa di mancanza di lealtà dovuta all'imperatore, di ribellione allo Stato. Segue la partenza verso Berea. La fuga degli apostoli da Tessalonica con l'aiuto della comunità ricorda quella di Paolo da Damasco ed è un tema frequente negli Atti (9,25; 9,30; 13,50-51; 14,20; 17,14): è un aspetto della persecuzione previsto da Gesù (Lc 10,10-16). In contrasto con il comportamento dei giudei di Tessalonica, quelli di Berea sono più accoglienti e aperti. Il motivo della persecuzione viene introdotto al v. 13; essa tuttavia è dovuta ai giudei di Tessalonica. Ne consegue la partenza di Paolo, ma senza Sila e Timoteo che rimangono a Berea, come se il pericolo concernesse soltanto Paolo. Quest'ultimo, invece, accompagnato da fratelli di Berea, arriva al mare. Il testo lascia intendere che l'apostolo giunga ad Atene via mare,

Paolo ad Atene Luca crea un quadro narrativo destinato ad ambientare il discorso dell'apostolo. Egli mette insieme temi ateniesi noti nel mondo ellenistico: i molti templi e divinità, le scuole filosofiche, l'Areopago, la proverbiale curiosità degli Ateniesi. Per Luca Atene rappresenta l'incontro del Vangelo con il mondo della cultura. Non a caso fa parlare l'apostolo all'Areopago dinanzi alle due scuole allora più popolari: gli epicurei e gli stoici. Paolo è solo ad Atene in attesa di Sila e di Timoteo; la sua reazione di fronte alle numerose statue di divinità è tipicamente giudaico-cristiana: non l'ammirazione dinanzi alle opere d'arte, ma lo sdegno contro il culto degli idoli. Lo schema storico-salvifico viene rispettato: Paolo si rivolge prima ai giudei e «credenti in Dio»; ma poi (il tratto è originale negli Atti) assume la veste di filosofo e discute nell'agorà con i passanti e con i filosofi. Tra le accuse mosse contro Paolo e i predicatori cristiani in generale troviamo quella di essere propagandisti di divinità straniere, che corrisponde all'accusa contro Socrate di introdurre in città divinità straniere; l'altra accusa è di essere dei «seminatori di chiacchiere», in altre parole dei ciarlatani. L'Areopago era il colle a nord-ovest dell'Acropoli, era famoso in tutto il mondo antico così come il “Consiglio della città” che si trovava sotto il portico regale a nord-ovest dell'Agorà.

Il discorso di Paolo all’Areòpago Il discorso di Paolo all'Areopago è da considerare come uno dei vertici del libro per l'originalità e per l'importanza che riveste quale esempio di inculturazione. Luca non esita a mutuare espressioni, concetti e perfino citazioni dello stoicismo (si vedano la triade panteistica: vivere-muovere-essere, la citazione di Arato al v. 28b, l'idea su Dio che non ha esigenze, che si prende cura del mondo, l'invito a cercare il logos divino, la parentela tra uomo e divinità) per creare un punto di contatto con l'uditorio, sul quale poi sviluppare il proprio messaggio. Il discorso parte dalla fede biblica nel Dio della rivelazione, creatore dell'universo e dell'uomo, prima di giungere al messaggio propriamente cristiano: il giudizio universale ad opera di Cristo (non nominato), che Dio ha risuscitato dai morti. Pur cercando punti d'intesa con il pensiero culturale pagano, Luca non annacqua l'originalità del messaggio biblico e cristiano. Anche se mutua concetti religiosi dallo stoicismo, l'oratore evita ogni sincretismo. Anzi, questi concetti della filosofia pagana, illuminati dalla fede biblico-cristiana, si vedono svuotati dal loro significato panteistico, per ricevere un contenuto nuovo. Paolo proclama agli Ateniesi che la Provvidenza divina ha dato spazio all'umanità, affinché abbia la possibilità di cercarLo. La ricerca di Dio è dunque iscritta nella natura dell'uomo dalla volontà del Creatore. Luca si pone su un terreno d'incontro con la filosofia greca che, anch'essa, conosce un «cercare la divinità». Ma la prospettiva è diversa: la ricerca di Dio del filosofo riguarda una conoscenza dell'esistenza e dell'essenza della divinità; per Luca (prospettiva biblica) cercare Dio significa lasciarsi coinvolgere esistenzialmente (Dt 4,29; Am 5,6; ecc.). La ricerca di Dio è dunque iscritta nella realtà creaturale dell'uomo; ma, come precisa Paolo, il cammino si fa nell'oscurità (v. 27b). Anche se Dio è vicino all'uomo (Luca di nuovo si serve di concetti dello stoicismo: «Dio è vicino, è con te, è dentro di te», dice Seneca nella sua Lettera 41, I), Egli rimane sempre il Dio nascosto, trascendente (contro il panteismo dello stoicismo). Per l'autore di Atti, una giusta conoscenza di Dio non si ottiene tramite speculazioni astratte che tendono a soddisfare la ricerca intellettuale; la conoscenza di Dio richiede un ascolto da parte dell'uomo, un lasciarsi coinvolgere dal Dio che parla nel creato e nella storia degli uomini e, nell'oggi, richiede un'apertura al messaggio cristiano. Al v. 28, lo sforzo di trovare punti d'intesa con l'uditorio è più che mai evidente. Inizia con una triade di sapore panteistico (vita, moto, essere). Essa dice che l'uomo è totalmente immerso nella divinità. Tuttavia, per Luca, la triade serve a commentare la fede biblica sulla vicinanza del Creatore che dà vita, movimento ed essere alle sue creature. Quando Paolo arriva alla conclusione del discorso (vv. 30-31 ), si allontana decisamente dal terreno comune con la filosofia greca e propone il messaggio cristiano: il tema della conversione al vero Dio, della risurrezione di Gesù e dell'attesa del giudizio (cfr. 1Ts 1,9-1O). Ora, Dio con la proclamazione del Vangelo permette di superare «i tempi dell'ignoranza» e offre una nuova partenza a tutti, quindi anche al mondo pagano. Questo «ma ora» che caratterizza l'oggi, è il tempo inaugurato dalla venuta di Gesù, il tempo presente come tempo di conversione, che termina con il giudizio divino. E per «conversione» l'evangelista non intende soltanto un cambiamento di opinione o un agire secondo la ragione, ma un pentirsi e un rivolgersi con tutto l'essere a Dio e alla sua volontà. Il discorso si chiude in maniera piuttosto brusca, con la menzione della risurrezione di Gesù. Ma Luca tocca proprio il punto più difficile e problematico del messaggio cristiano per la mentalità greca. È conosciuto il gioco di parole: sôma – sêma (corpo – tomba). Nel pensiero greco (platonico) il corpo è visto come la prigione o la tomba dell'anima. Annunciare una risurrezione corporea come compimento definitivo dell'essere umano è un'assurdità. Difatti Luca presenta due tipi di reazione, tutte e due negative: gli uni deridono; gli altri rinviano il dialogo a un'altra occasione. Ma in quale senso? Per approfondire il tema? O nel senso: «Non farti più vedere!»? Quest'ultima possibilità va preferita (cfr. v. 18). In fondo la reazione del mondo pagano non è fondamentalmente diversa da quella di Israele; come i giudei, anche i greci si dividono di fronte alla proclamazione del Vangelo. Questa constatazione è importante per capire correttamente l'ecclesiologia lucana. Il narratore chiude con un risultato positivo: ci sono conversioni. Nomina Dionisio, che la tradizione presenterà come il primo vescovo di Atene (Eusebio di Cesarea, Storia della Chiesa 3,9,10; 4,23,3); Damaris, un nome greco comune. L'autore lascia intendere che dalla predicazione di Paolo ad Atene non è nata una Chiesa. Tuttavia con la conversione di Dionisio, membro del Consiglio della città, il Vangelo porta frutto nel mondo della cultura.


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Attraverso la Macedonia e l'Acaia 1Paolo si recò anche a Derbe e a Listra. Vi era qui un discepolo chiamato Timòteo, figlio di una donna giudea credente e di padre greco: 2era assai stimato dai fratelli di Listra e di Icònio. 3Paolo volle che partisse con lui, lo prese e lo fece circoncidere a motivo dei Giudei che si trovavano in quelle regioni: tutti infatti sapevano che suo padre era greco. 4Percorrendo le città, trasmettevano loro le decisioni prese dagli apostoli e dagli anziani di Gerusalemme, perché le osservassero. 5Le Chiese intanto andavano fortificandosi nella fede e crescevano di numero ogni giorno.

Verso l'Europa 6Attraversarono quindi la Frìgia e la regione della Galazia, poiché lo Spirito Santo aveva impedito loro di proclamare la Parola nella provincia di Asia. 7Giunti verso la Mìsia, cercavano di passare in Bitìnia, ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro; 8così, lasciata da parte la Mìsia, scesero a Tròade. 9Durante la notte apparve a Paolo una visione: era un Macèdone che lo supplicava: «Vieni in Macedonia e aiutaci!». 10Dopo che ebbe questa visione, subito cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci avesse chiamati ad annunciare loro il Vangelo.

A Filippi 11Salpati da Tròade, facemmo vela direttamente verso Samotràcia e, il giorno dopo, verso Neàpoli 12e di qui a Filippi, colonia romana e città del primo distretto della Macedonia. Restammo in questa città alcuni giorni. 13Il sabato uscimmo fuori della porta lungo il fiume, dove ritenevamo che si facesse la preghiera e, dopo aver preso posto, rivolgevamo la parola alle donne là riunite. 14Ad ascoltare c’era anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiàtira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo. 15Dopo essere stata battezzata insieme alla sua famiglia, ci invitò dicendo: «Se mi avete giudicata fedele al Signore, venite e rimanete nella mia casa». E ci costrinse ad accettare. 16Mentre andavamo alla preghiera, venne verso di noi una schiava che aveva uno spirito di divinazione: costei, facendo l’indovina, procurava molto guadagno ai suoi padroni. 17Ella si mise a seguire Paolo e noi, gridando: «Questi uomini sono servi del Dio altissimo e vi annunciano la via della salvezza». 18Così fece per molti giorni, finché Paolo, mal sopportando la cosa, si rivolse allo spirito e disse: «In nome di Gesù Cristo ti ordino di uscire da lei». E all’istante lo spirito uscì. 19Ma i padroni di lei, vedendo che era svanita la speranza del loro guadagno, presero Paolo e Sila e li trascinarono nella piazza principale davanti ai capi della città. 20Presentandoli ai magistrati dissero: «Questi uomini gettano il disordine nella nostra città; sono Giudei 21e predicano usanze che a noi Romani non è lecito accogliere né praticare». 22La folla allora insorse contro di loro e i magistrati, fatti strappare loro i vestiti, ordinarono di bastonarli 23e, dopo averli caricati di colpi, li gettarono in carcere e ordinarono al carceriere di fare buona guardia. 24Egli, ricevuto quest’ordine, li gettò nella parte più interna del carcere e assicurò i loro piedi ai ceppi. 25Verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i prigionieri stavano ad ascoltarli. 26D’improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione; subito si aprirono tutte le porte e caddero le catene di tutti. 27Il carceriere si svegliò e, vedendo aperte le porte del carcere, tirò fuori la spada e stava per uccidersi, pensando che i prigionieri fossero fuggiti. 28Ma Paolo gridò forte: «Non farti del male, siamo tutti qui». 29Quello allora chiese un lume, si precipitò dentro e tremando cadde ai piedi di Paolo e Sila; 30poi li condusse fuori e disse: «Signori, che cosa devo fare per essere salvato?». 31Risposero: «Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia». 32E proclamarono la parola del Signore a lui e a tutti quelli della sua casa. 33Egli li prese con sé, a quell’ora della notte, ne lavò le piaghe e subito fu battezzato lui con tutti i suoi; 34poi li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio. 35Fattosi giorno, i magistrati inviarono le guardie a dire: «Rimetti in libertà quegli uomini!». 36Il carceriere riferì a Paolo questo messaggio: «I magistrati hanno dato ordine di lasciarvi andare! Uscite dunque e andate in pace». 37Ma Paolo disse alle guardie: «Ci hanno percosso in pubblico e senza processo, pur essendo noi cittadini romani, e ci hanno gettato in carcere; e ora ci fanno uscire di nascosto? No davvero! Vengano loro di persona a condurci fuori!». 38E le guardie riferirono ai magistrati queste parole. All’udire che erano cittadini romani, si spaventarono; 39vennero e si scusarono con loro; poi li fecero uscire e li pregarono di andarsene dalla città. 40Usciti dal carcere, si recarono a casa di Lidia, dove incontrarono i fratelli, li esortarono e partirono.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

Attraverso la Macedonia e l'Acaia Paolo e Sila (quest'ultimo per il momento dimenticato) attraversano la Cilicia (Luca menziona l'esistenza di Chiese finora mai nominate) e la catena del Tauro per arrivare a due città che il lettore non ignora: Derbe e Listra (nel v. 2 sarà menzionata anche Iconio). Nella città di Listra il lettore fa la conoscenza di Timoteo, che diventerà il più fedele collaboratore di Paolo. Perché Paolo lo faccia circoncidere rimane oggetto di discussione, che non trova una risposta convincente: un tale atto su chi già è cristiano va contro la convinzione dell'apostolo (cfr. Gal 2,3-5; 5,2-3; 6,11; 1Cor 7,17-19) e contraddice lo svolgimento narrativo degli Atti: Paolo non sta forse portando a queste comunità le decisioni dell'assemblea di Gerusalemme di non imporre la circoncisione a gentili convertiti? Allora è solo per convenienza od opportunismo? La notizia comunque non imbarazza il narratore, anzi favorisce una sua costante preoccupazione: mostrare che Paolo, benché cristiano, non ha rinnegato le sue radici giudaiche. Il brano si chiude con un sommario (v. 5): la fede rafforzata porta come frutto una crescita in estensione. Il versetto costituisce una pausa narrativa. A partire dal versetto seguente il viaggio pastorale diventa viaggio missionario.

Verso l'Europa La narrazione del viaggio fino a Troade è originale sotto diversi punti di vista: Luca non menziona città, ma regioni. Soprattutto lo Spirito Santo svolge un ruolo determinante, intralciando sistematicamente i progetti umani: i missionari percorrono di conseguenza un itinerario soprannaturalmente orientato verso Troade e quindi verso l'Europa. Per primo lo Spirito divino impedisce di recarsi in Asia, cioè a Efeso, poi verso la Bitinia lungo il mar Nero. Non conviene dare troppa importanza alla logica degli spostamenti attraverso le varie regioni, come se l'apostolo non sapesse dove recarsi. Per Luca è forse un semplice mezzo letterario per far capire al lettore che l'arrivo del Vangelo in Europa è voluto da Dio, perché avvenuto sotto la guida dello Spirito Santo. La visione di Paolo a Troade completa l'orientamento che lo Spirito aveva dato alla missione: arrivare in Europa; ciò significa per Luca rivolgersi definitivamente ai non-giudei (senza dimenticare, come sempre, la priorità d'Israele). Lo stesso Paolo, nella lettera ai Filippesi, conferma l'importanza che egli attribuisce al suo arrivo in Europa (Fil 4,15). Il v.10 presenta la prima “sezione noi”, sorprendente e inatteso salto dalla terza alla prima persona plurale, dando l'impressione che un testimone oculare si sia unito al gruppo dei missionari.

A Filippi Luca descrive la traversata del mare nello stile conciso di un giornale di viaggio, fino a giungere a Filippi sulla via Egnazia, che attraversa l'intera Macedonia da un mare all'altro. Il narratore sa che Filippi è una colonia romana, godeva cioè dello jus italicum (esenzione di certe tasse, auto-governo), ma non è corretto quando afferma che è «la prima città del distretto della Macedonia». Filippi non era capoluogo e la Macedonia non era un distretto, ma una provincia con quattro distretti. I dettagli del v. 13 provengono forse da una tradizione locale: gli apostoli si recano fuori città, in un luogo di preghiera o in un luogo di incontro tra alcune donne timorate di Dio, fra le quali c'era Lidia. Ella si apre al Vangelo e con Lidia «e la sua famiglia» nasce la prima Chiesa domestica a Filippi (per Luca: in Europa).

Come a Cipro, anche all'arrivo in Europa il narratore inserisce un momento di confronto con l'Avversario: scontro vittorioso dello Spirito Santo con lo spirito divinatorio in un ambiente tipicamente pagano. La proclamazione della serva è corretta (v. 17), ma bisogna farla tacere perché la verità detta ha un'origine demoniaca. Esisteva il pericolo, secondo l'autore, di pensare che fosse lecito ai cristiani consultare gli oracoli pagani? La storia è costruita sul modello dei racconti di esorcismo nel vangelo (Lc 4,33-37; 8,26-39); manca tuttavia un accenno alla conversione della serva, e la reazione dei presenti si concentra sui padroni di lei e serve a introdurre il racconto seguente.

Nel narrare l'incarcerazione a Filippi, Luca unisce due generi di racconti: una tradizione che comprende l'arresto, le accuse, la fustigazione, l'incarcerazione e la successiva liberazione (vv. 19-24.35-40), maltrattamenti confermati da Paolo in 1Ts 2,2; al centro (vv. 25-34) un racconto di liberazione miracolosa, che confluisce in un racconto di conversione a carattere edificante. I padroni della serva trascinano Paolo e Sila (dov'è Timoteo?) nell'agorà, la piazza centrale dove si svolge la vita pubblica, con la doppia accusa: essi creano disordini a Filippi e predicano usanze vietate ai Romani. Il lettore sa però che il vero motivo è di ordine economico: l'avidità dei padroni. L'accusa riguarda dunque le «Usanze» giudaiche proibite ai Romani (riposo sabbatico, ecc.) perché si opponevano ai loro valori tradizionali mos maiorum e Filippi era una colonia romana. I padroni puntano sull'antigiudaismo diffuso e la reazione della folla è violenta (vv. 22-23): gli apostoli si trovano in prigione senza potersi difendere. Con i vv. 23-24 entriamo nel genere della liberazione miracolosa: la situazione viene presentata in modo tale che non esiste, umanamente parlando, via d'uscita. Gli apostoli cantano lodi, non suppliche per la loro liberazione, ritratto ideale del giusto sofferente (cfr. Dn 3,24), la cui preghiera diventa anche testimonianza. Con «all'improvviso» (v. 26) Luca collega i canti di lode ai fenomeni prodigiosi intesi come risposta divina: terremoto, porte aperte, catene che si sciolgono sono figure letterarie. L'attenzione del narratore va poi al carceriere; si passa così al racconto di conversione. Paolo torna a prendere l'iniziativa e diviene strumento di salvezza. Il terremoto e gli altri prigionieri sono dimenticati. «Signore, che cosa debbo fare per salvarmi?», chiede il carceriere (v. 30). La formulazione è catechetica e la risposta corrisponde all'insegnamento tradizionale di Luca: la salvezza è legata alla fede in Gesù Cristo. Arriva il momento della catechesi battesimale (vv. 32-33). Luca presenta una scena ideale: catechesi- cura delle ferite (riparare il male commesso)– battesimo – pasto (eucaristico?). Tutto si svolge nella stessa notte; la mattina seguente Paolo e Sila sono di nuovo nel carcere, come se nulla fosse accaduto. Si torna, con il v. 35, alla prima parte del racconto (vv. 19-23): viene dato l'ordine di scarcerazione, un'implicita dichiarazione di innocenza per gli apostoli. Paolo però non si dichiara soddisfatto del trattamento subito. Per Luca si tratta di ristabilire l'apostolo e, quindi, la missione cristiana nei suoi pieni diritti. Soltanto adesso Paolo menziona il suo status di cittadino romano. La reazione dei magistrati è di spavento: fustigare un cittadino romano senza prima sottoporlo a processo è reato. Paolo e Sila lasciano Filippi a testa alta. Ma perché l'apostolo non ha dato la sua identità prima? Forse voleva evitare un processo che poteva trascinarsi a lungo, perdendo così tempo nella sua attività missionaria.


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L'assemblea di Gerusalemme 1Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati». 2Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione. 3Essi dunque, provveduti del necessario dalla Chiesa, attraversarono la Fenicia e la Samaria, raccontando la conversione dei pagani e suscitando grande gioia in tutti i fratelli. 4Giunti poi a Gerusalemme, furono ricevuti dalla Chiesa, dagli apostoli e dagli anziani, e riferirono quali grandi cose Dio aveva compiuto per mezzo loro. 5Ma si alzarono alcuni della setta dei farisei, che erano diventati credenti, affermando: «È necessario circonciderli e ordinare loro di osservare la legge di Mosè». 6Allora si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema. 7Sorta una grande discussione, Pietro si alzò e disse loro: «Fratelli, voi sapete che, già da molto tempo, Dio in mezzo a voi ha scelto che per bocca mia le nazioni ascoltino la parola del Vangelo e vengano alla fede. 8E Dio, che conosce i cuori, ha dato testimonianza in loro favore, concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi; 9e non ha fatto alcuna discriminazione tra noi e loro, purificando i loro cuori con la fede. 10Ora dunque, perché tentate Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri né noi siamo stati in grado di portare? 11Noi invece crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati, così come loro». 12Tutta l’assemblea tacque e stettero ad ascoltare Bàrnaba e Paolo che riferivano quali grandi segni e prodigi Dio aveva compiuto tra le nazioni per mezzo loro. 13Quando essi ebbero finito di parlare, Giacomo prese la parola e disse: «Fratelli, ascoltatemi. 14Simone ha riferito come fin da principio Dio ha voluto scegliere dalle genti un popolo per il suo nome. 15Con questo si accordano le parole dei profeti, come sta scritto: 16Dopo queste cose ritornerò e riedificherò la tenda di Davide, che era caduta; ne riedificherò le rovine e la rialzerò, 17perché cerchino il Signore anche gli altri uomini e tutte le genti sulle quali è stato invocato il mio nome, dice il Signore, che fa queste cose, 18note da sempre. 19Per questo io ritengo che non si debbano importunare quelli che dalle nazioni si convertono a Dio, 20ma solo che si ordini loro di astenersi dalla contaminazione con gli idoli, dalle unioni illegittime, dagli animali soffocati e dal sangue. 21Fin dai tempi antichi, infatti, Mosè ha chi lo predica in ogni città, poiché viene letto ogni sabato nelle sinagoghe». 22Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. 23E inviarono tramite loro questo scritto: «Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! 24Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. 25Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, 26uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. 27Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi, a voce, queste stesse cose. 28È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: 29astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!». 30Quelli allora si congedarono e scesero ad Antiòchia; riunita l’assemblea, consegnarono la lettera. 31Quando l’ebbero letta, si rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva. 32Giuda e Sila, essendo anch’essi profeti, con un lungo discorso incoraggiarono i fratelli e li fortificarono. 33Dopo un certo tempo i fratelli li congedarono con il saluto di pace, perché tornassero da quelli che li avevano inviati. [34] 35Paolo e Bàrnaba invece rimasero ad Antiòchia, insegnando e annunciando, insieme a molti altri, la parola del Signore.

I VIAGGI MISSIONARI DI PAOLO (15,36-19,20)

Missione in Macedonia e Acaia (15,36-18,23)

La partenza 36Dopo alcuni giorni Paolo disse a Bàrnaba: «Ritorniamo a far visita ai fratelli in tutte le città nelle quali abbiamo annunciato la parola del Signore, per vedere come stanno». 37Bàrnaba voleva prendere con loro anche Giovanni, detto Marco, 38ma Paolo riteneva che non si dovesse prendere uno che si era allontanato da loro, in Panfìlia, e non aveva voluto partecipare alla loro opera. 39Il dissenso fu tale che si separarono l’uno dall’altro. Bàrnaba, prendendo con sé Marco, s’imbarcò per Cipro. 40Paolo invece scelse Sila e partì, affidato dai fratelli alla grazia del Signore. 41E, attraversando la Siria e la Cilìcia, confermava le Chiese.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

L'assemblea di Gerusalemme Siamo a una svolta nel libro. Viene legittimata la missione verso il mondo pagano sulla base dell'affermazione che non la Legge di Mosè, ma la grazia di Cristo salva. Pietro, che ha inaugurato la missione della Chiesa prima verso Israele (At 2) e poi verso i pagani (At 10), appare per l'ultima volta; subentra Paolo come protagonista principale. Termina il tempo apostolico; in 16,4 i Dodici (cioè gli Undici, in seguito all'uccisione di Giacomo) sono menzionati per l'ultima volta. Anche Gerusalemme passa in secondo piano; la città santa diventa ciò che era all'epoca dello scrittore: un venerato ricordo, ma anche una città divenuta estranea per la sua chiusura al cristianesimo. D'altra parte l'assemblea di Gerusalemme costituisce l'inizio della grande missione dell'epoca post-apostolica, una missione ormai libera dal problema della Legge e che darà nascita alla Chiesa delle genti. Mostrare la continuità tra il tempo apostolico e la Chiesa post-apostolica rima- ne una preoccupazione fondamentale dell'autore sacro: è dal collegio dei Dodici e dalla Chiesa-madre che proviene la legittimazione della missione in terra pagana. L'importanza che Luca attribuisce alle decisioni dell'assemblea di Gerusalemme è data anche dal grandioso scenario che egli offre al lettore: sono presenti gli apostoli, gli anziani, l'intera comunità; sono pronunciati discorsi dalle principali autorità, viene scritta una lettera ufficiale. Insomma Luca presenta un'assemblea plenaria in regola per pronunciare decisioni universalmente vincolanti. Cosa insegna Luca in At 15? Non è direttamente l'accoglienza dei pagani nella Chiesa, questione già risolta in 11,1-18, ma le questioni sorte come conseguenza di tale accoglienza: bisogna circoncidere i pagani convertiti? Come risolvere la convivenza, soprattutto i pasti in comune, tra giudeo-cristiani e pagano-cristiani?

Il problema è esposto con chiarezza fin dal primo versetto: è necessaria la circoncisione per salvarsi? Richiedere ai non-giudei convertiti la circoncisione poteva esprimere la buona intenzione di fame membri d'Israele a pieno titolo, legittimi eredi delle promesse divine al popolo eletto. Paolo e Barnaba sono inviati a Gerusalemme come delegati della Chiesa di Antiochia. Il viaggio avviene per tappe, ripercorrendo zone già evangelizzate. Anche l'accoglienza a Gerusalemme è festosa; sono presenti gli apostoli e gli anziani, sempre nominati insieme in questo capitolo: c'è unità e continuità tra le generazioni di governo.

Nella prima parte del suo discorso, Pietro, si aggancia all'episodio della conversione di Cornelio; nella sua brevità il discorso presuppone la conoscenza dell'evento da parte del lettore. Pietro ricorda alla Chiesa di Gerusalemme, che Luca immagina riunita in un'assemblea plenaria, ciò che già le aveva detto in At 11,4-17. Pietro dunque non tocca direttamente la questione della circoncisione, né si riferisce all'esperienza del primo viaggio missionario fatto da Barnaba e Paolo. Perché? Perché per Luca è l'evento della conversione di Cornelio ad avere un valore fondante e normativo; esso legittima anche la missione di Barnaba e Paolo. Nella seconda parte del suo discorso l'apostolo tira le conseguenze: la libertà dalla Legge per i pagano-cristiani. Ormai opporsi all'evidente volontà di Dio (manifestata nel dono dello Spirito Santo ai pagani convertiti) equivale a «tentare» Dio. Pietro conclude con una professione di fede che capovolge la prospettiva: non i pagani sono salvati come i giudei, ma i secondi sono salvati allo stesso modo dei primi; in altri termini, Dio si è servito del modo di salvare i pagani per fare comprendere ai giudeo-cristiani che anche per loro non la Legge, ma la gratuità divina sta all'origine della loro salvezza. Luca costruisce il discorso di Pietro con un linguaggio paolino: la giustificazione si ottiene mediante la fede e non la Legge. Tuttavia Luca testimonia un paolinismo post-paolino; il suo concetto della Legge come giogo pesante corrisponde alla visione di un cristiano ellenista che guarda dal di fuori. Non è il concetto che ne avevano Gesù, ma neppure Paolo, e tantomeno il giudaismo. Per Luca la Legge non può salvare a motivo dell'incapacità dell'uomo a osservarla e per le sue esigenze di purità, che ostacolano la vita di comunione tra membri provenienti dal giudaismo e membri provenienti dal paganesimo. Per Paolo, invece, è la debolezza della Legge stessa (di fronte all'uomo peccatore) che la rende inefficace.

Dopo il silenzio dell'assemblea che Luca non spiega (silenzio di consenso? di rispetto per Pietro? di buona disposizione ad ascoltare il seguito?) Barnaba e Paolo aggiornano per la quarta volta(!) sugli esiti del primo viaggio missionario, mettendo in luce i segni e i prodigi, garanzia della presenza divina e dell'agire dello Spirito Santo, che conferma l'entrata dei pagani nella Chiesa senza che si sottomettano ai dettami della Legge.

Poi inizia Giacomo, il «fratello del Signore»; egli riassume il pensiero di Pietro, lo fonda con una citazione dell' AT e ne ricava un'applicazione concreta: il decreto apostolico o decreto di Giacomo. Giacomo approva Pietro: il popolo consacrato, che Dio da sempre aveva in mente, è il popolo di Dio identificato con la Chiesa e costituito da membri che provengono dal giudaismo e dal paganesimo. Alla fine, Giacomo tira la conseguenza, tutta lucana: l'entrata delle nazioni nella Chiesa, annunciata dai profeti, comporta la libertà dalla Legge di Mosè. Per Luca questa verità proclamata da Giacomo è definitiva; essa corrisponde al pensiero di Pietro, il rappresentante del collegio apostolico, ed è da sempre prevista da Dio, annunciata dalla Scrittura, confermata da «segni e prodigi». Segue il cosiddetto “decreto di Giacomo”, che Luca non considera una parziale sottomissione alla Legge, ma condizione per consumare i pasti in comune in una Chiesa mista. Storicamente tale decreto riguardava l'osservanza di alcune regole di tipo rituale richieste allo «straniero che abita nel paese» (Lv 17-18), e che ora è esigita ai pagano-cristiani per rendere possibile prendere i pasti in comune con i giudeo-cristiani. Si chiede ai non-giudei convertiti di astenersi dalla carne sacrificata nei templi pagani, di evitare matrimoni incestuosi, di non mangiare animali uccisi senza che ne sia stato tolto il sangue, di non bere tale sangue. Giacomo giustifica questa disposizione al v. 21 con un'affermazione del tutto oscura, ma che probabilmente vuol dire che queste regole sono così conosciute da essere accettate da tutti. In pratica, per consumare i pasti in comune si richiede ai membri provenienti dal paganesimo un compromesso minimo indispensabile con la Legge di Mosè, per rispetto ai giudeo-cristiani, la cui vita continua ad essere regolata dalla Torà.

Viene scritta una lettera dall'assemblea per trasmettere il decreto e dà il carattere ufficiale all'insieme. Il tutto avviene nella totale unanimità dell'intera Chiesa- madre. Per Luca il problema della convivenza tra giudei e pagani convertiti, iniziato con l'episodio di Cornelio, è giudicato definitivamente risolto e chiuso. E dunque il narratore può concentrarsi sulla missione universale di Paolo. Per accompagnare Barnaba e Paolo ad Antiochia sono nominati un certo Giuda Barsabba e Sila, che rappresentano la Chiesa di Gerusalemme.

La decisione dell'assemblea (v. 28) viene espressa con la famosa formula: «Piacque allo Spirito Santo e a noi»: lo Spirito Santo ispira le decisioni dell'autorità prese in unità con la Chiesa; una decisione dunque che suppone la sottomissione allo Spirito Santo e non la sua manipolazione. E la volontà divina è di non imporre ai pagani convertiti il giogo della Legge, ma solo ciò che è necessario non per la salvezza, ma per vivere la comunione tra tutti in una Chiesa mista. La lettera chiude riformulando il decreto di Giacomo con un ordine diverso, ma che corrisponde meglio a quello di Lv 17-18.

L'insieme finisce con un sommario (v. 35). Esso fa inclusione con 14,28, delimitando bene la parte centrale del libro, costituita dall'assemblea di Gerusalemme. Luca insiste sugli effetti del decreto ad Antiochia: gioia, consolazione e conforto. Infatti il decreto pone termine alla serie di problemi nati con la missione presso i pagani. Giuda e Sila tornano a Gerusalemme dopo avere assolto il compito a loro affidato nella lettera: accompagnare con la parola il contenuto dello scritto. I due si congedano con il saluto della pace abituale in Oriente ma che, nel contesto, ha un valore pregante: l'unità tra le Chiese di Antiochia e di Gerusalemme è consolidata.

I VIAGGI MISSIONARI DI PAOLO (15,36-19,20) Dopo l'assemblea di Gerusalemme, nella narrazione degli Atti, la figura di Paolo evolve, entra nella maturità della sua vocazione: non più un evangelizzatore delegato dalla comunità di Antiochia, che svolge la sua attività in quella zona insieme a Barnaba, ma il grande apostolo delle genti, indipendente da qualsiasi Chiesa locale, così come lo conosciamo attraverso le sue lettere; l'apostolo si sa unito direttamente alla Chiesa apostolica tramite l'assemblea di Gerusalemme che ha approvato il Vangelo di Paolo. La quarta tappa può suddividersi in due sezioni, che corrispondono al secondo e terzo viaggio missionario. Le due sezioni sono: l'attività in Europa (Macedonia e Acaia: 15,36-18,23) e l'attività in Asia Minore (Efeso: 18,24-19,20). A partire da 19,21 inizia l'ultima parte del libro: Paolo assume il ruolo di testimone sofferente di Cristo, il cui destino è parallelo a quello di Gesù.

La partenza per la Macedonia e l'Acaia Inizia il secondo viaggio missionario. Ci sono delle novità rispetto al primo (At 13-14): Paolo non parte più con Barnaba, ma con Sila, ed egli non parte più come delegato della Chiesa di Antiochia, bensì di propria iniziativa, anche se con l'accordo della Chiesa (15,40). L'autore sacro tuttavia tiene anche a mostrare la continuità e con l'assemblea di Gerusalemme e con il primo viaggio missionario. Inoltre presenta il nuovo viaggio come una visita pastorale alle Chiese fondate in precedenza. È soltanto per opera dello Spirito Santo che questa visita si trasformerà in un viaggio missionario a largo respiro.

Un primo insieme (vv. 36-41) parla della separazione tra Paolo e Barnaba. Tutto inizia quando, sulla proposta di Paolo di rivedere le comunità già fondate, Barnaba vuole portare anche Giovanni Marco: ne segue il dissenso, del quale Luca rende responsabile Marco. La scena pare costruita dal redattore, che probabilmente avrà avuto una vaga eco dell'incidente di Antiochia (cfr. Gal 2,11-13). Barnaba e Marco tornano a Cipro (patria di Barnaba): la notizia può esse- re storica; li perdiamo di vista. Il futuro della missione si concentra, nel libro, sull'attività di Paolo. Secondo Luca, l'intenzione che muove Paolo a intraprendere questo viaggio è pastorale; la destinazione sono le città dell'Anatolia evangelizzate nel primo viaggio. Paolo e Sila (quest'ultimo per il momento dimenticato) attraversano la Cilicia (Luca menziona l'esistenza di Chiese finora mai nominate) e la catena del Tauro per arrivare a due città già conosciute dal lettore: Derbe e Listra (in 16,2 sarà menzionata anche Iconio).


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