📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

La predicazione a Iconio 1Anche a Icònio essi entrarono nella sinagoga dei Giudei e parlarono in modo tale che un grande numero di Giudei e di Greci divennero credenti. 2Ma i Giudei, che non avevano accolto la fede, eccitarono e inasprirono gli animi dei pagani contro i fratelli. 3Essi tuttavia rimasero per un certo tempo e parlavano con franchezza in virtù del Signore, che rendeva testimonianza alla parola della sua grazia e concedeva che per mano loro si operassero segni e prodigi. 4La popolazione della città si divise, schierandosi alcuni dalla parte dei Giudei, altri dalla parte degli apostoli. 5Ma quando ci fu un tentativo dei pagani e dei Giudei con i loro capi di aggredirli e lapidarli, 6essi lo vennero a sapere e fuggirono nelle città della Licaònia, Listra e Derbe, e nei dintorni, 7e là andavano evangelizzando.

Il miracolo frainteso a Listra 8C’era a Listra un uomo paralizzato alle gambe, storpio sin dalla nascita, che non aveva mai camminato. 9Egli ascoltava Paolo mentre parlava e questi, fissandolo con lo sguardo e vedendo che aveva fede di essere salvato, 10disse a gran voce: «Àlzati, ritto in piedi!». Egli balzò in piedi e si mise a camminare. 11La gente allora, al vedere ciò che Paolo aveva fatto, si mise a gridare, dicendo, in dialetto licaònio: «Gli dèi sono scesi tra noi in figura umana!». 12E chiamavano Bàrnaba «Zeus» e Paolo «Hermes», perché era lui a parlare. 13Intanto il sacerdote di Zeus, il cui tempio era all’ingresso della città, recando alle porte tori e corone, voleva offrire un sacrificio insieme alla folla. 14Sentendo ciò, gli apostoli Bàrnaba e Paolo si strapparono le vesti e si precipitarono tra la folla, gridando: 15«Uomini, perché fate questo? Anche noi siamo esseri umani, mortali come voi, e vi annunciamo che dovete convertirvi da queste vanità al Dio vivente, che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano. 16Egli, nelle generazioni passate, ha lasciato che tutte le genti seguissero la loro strada; 17ma non ha cessato di dar prova di sé beneficando, concedendovi dal cielo piogge per stagioni ricche di frutti e dandovi cibo in abbondanza per la letizia dei vostri cuori». 18E così dicendo, riuscirono a fatica a far desistere la folla dall’offrire loro un sacrificio. 19Ma giunsero da Antiòchia e da Icònio alcuni Giudei, i quali persuasero la folla. Essi lapidarono Paolo e lo trascinarono fuori della città, credendolo morto. 20Allora gli si fecero attorno i discepoli ed egli si alzò ed entrò in città. Il giorno dopo partì con Bàrnaba alla volta di Derbe.

Ritorno ad Antiochia 21Dopo aver annunciato il Vangelo a quella città e aver fatto un numero considerevole di discepoli, ritornarono a Listra, Icònio e Antiòchia, 22confermando i discepoli ed esortandoli a restare saldi nella fede «perché – dicevano – dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni». 23Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto. 24Attraversata poi la Pisìdia, raggiunsero la Panfìlia 25e, dopo avere proclamato la Parola a Perge, scesero ad Attàlia; 26di qui fecero vela per Antiòchia, là dove erano stati affidati alla grazia di Dio per l’opera che avevano compiuto. 27Appena arrivati, riunirono la Chiesa e riferirono tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede. 28E si fermarono per non poco tempo insieme ai discepoli.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

La predicazione a Iconio Iconio, l'odierna Konya, si trova circa 140 km da Antiochia di Pisidia, allora colonia romana. Luca non pare avere notizie precise; segue lo schema presente nella narrazione di Antiochia di Pisidia: predicazione nella sinagoga – successo e opposizione – persecuzione – fuga in altre città. Dio agisce per mano di Paolo e di Barnaba come ha fatto con i Dodici (cf 5,12); c'è quindi continuità tra il collegio apostolico delle origini e coloro che sono all'origine della Chiesa pagano-cristiana. Proprio questa continuità tra i Dodici e i nostri missionari può spiegare perché Luca mantiene il titolo di «apostolo» (vv. 4.14), che avrà letto nella fonte (antiochena?) e che riserva sempre ai Dodici: come questi ultimi, Paolo e Barnaba sono inviati da Gesù risorto per fondare le comunità cristiane. Dopo Iconio, gli evangelizzatori predicano a Listra (o Listri) e a Derbe. Luca conosce l'itinerario trovato probabilmente nell'archivio della Chiesa di Antiochia di Siria.

Il miracolo frainteso a Listra Prima di giungere a Derbe, Paolo e Barnaba si fermano a Listra, cittadina a 30 km da Iconio. Nella trama del libro questa tappa segnala un progresso nella missione: per la prima volta gli evangelizzatori si rivolgono a pagani veri e propri, non «timorati di Dio» legati alla sinagoga. Più precisamente il narratore presenta l'impatto dell'attività missionaria sul paganesimo popolare e i problemi che esso suscita: come esercitare il potere taumaturgico inerente a tale attività senza essere fraintesi e considerati manifestazione di qualche divinità? Il racconto del miracolo (vv. 8-10) segue la struttura tradizionale dei racconti di guarigione; questo miracolo ricorda in particolare quello dello storpio in At 3,2-10, rassomiglianza forse intenzionale per mettere in parallelo e continuità Pietro e Paolo. Il redattore non dimentica l'insegnamento per il lettore e il v. 9 è indirizzato a lui, mostrando il legame che esiste tra la predicazione e l'ascolto come disponibilità alla fede, a sua volta condizione per la guarigione-salvezza. Siccome il racconto di guarigione serve a introdurre la scena successiva, non era opportuno riferire il contenuto del discorso di Paolo. La reazione della folla (vv. 11-13) è in sintonia con la mitologia del posto; essa infatti non manca di suggerire la tradizione locale di Filemone e Bauci, che accolgono in casa Giove e Mercurio(= Zeus ed Hermes) apparsi con aspetto umano. I due missionari sono considerati delle divinità: reazione superstiziosa di persone incolte. Il fatto che i presenti parlino il dialetto serve per la suspense narrativa: gli apostoli non capiscono subito dando il tempo utile per preparare un sacrificio. Scambiare Paolo per Hermes, il dio dell'eloquenza, permette di cogliere la stima di Luca per l'arte oratoria del grande apostolo, cosa che non sembra corrispondere del tutto alla realtà (cfr. 1Cor 2,1-5; 2Cor 10,10; 11,6). Nella descrizione del v. 13 non bisogna andare in cerca della plausibilità storica, ma dell'arte narrativa di Luca. Quando finalmente i due missionari comprendono l'errore, la loro reazione è energica e testimonia l'orrore religioso di un giudeo e di un cristiano di fronte al politeismo, così come di fronte al tentativo di divinizzare un uomo. Segue un breve discorso che anticipa quello di Atene (At 17,22-31): un caratteristico discorso rivolto a un pubblico solo pagano; quindi non ci sono citazioni bibliche, né elementi della storia d'Israele. Trattandosi soltanto dell'inizio di un possibile discorso missionario, manca anche la parte centrale dell'annuncio, l'evento-Cristo e l'appello alla conversione. Il discorso offre al lettore la prima tappa richiesta a un pagano che si converte: allontanarsi dagli idoli per adorare l'unico vero Dio, creatore del mondo. Questo Dio, che ha creato tutto, è anche paziente e buono verso un'umanità nella quale regna la confusione. Egli rivela questo suo modo d'essere concedendo la pioggia e le stagioni con i loro frutti; infine si preoccupa di nutrire l'uomo, rendendolo felice e contento. La reazione al deciso rifiuto di divinizzazione e al discorso anti-politeista di Paolo è descritta con rapidi tratti al v. 18: solo a stento si riesce a impedire il sacrificio. Con i vv. 19-20 si ha un brusco cambiamento di scena: senza soluzione di continuità la persecuzione segue al successo apostolico. Luca ha qualche notizia (cfr. 2Tm 3, 11; 2Cor 11,25: la lapidazione), ma non vuole fare una cronaca; quindi non può essere giudicato secondo i moderni criteri di storicità. A Luca interessa mettere in luce il motivo della persecuzione degli evangelizzatori, l'opposizione dei giudei, la protezione divina degli apostoli. Barnaba è dimenticato per riapparire al v. 20, quando i due partono per Derbe, 90 km da Listra. Luca dà l'impressione di voler finire in fretta questo racconto

Ritorno ad Antiochia Il ritorno ad Antiochia di Siria non avviene per la via più breve, passando per Tarso; i missionari scelgono di ripassare per le città evangelizzate: si tratta di esortare le nuove comunità. Luca offre al lettore una lezione di cura pastorale: è necessario fortificare i convertiti nella nuova esistenza. Da qui l'esortazione a rimanere fedeli nella fede, cioè a perseverare in una vita conforme alle esigenze di Gesù. Ora la sofferenza per la fede è parte della vita cristiana come condizione di salvezza (v. 22b): si tratta di percorrere la stessa via di Gesù per entrare nella gloria (Le 24,26). Per Luca, le tribolazioni non sono riservate agli evangelizzatori, ma riguardano tutti i credenti. Queste non sono identificate con le persecuzioni soltanto, ma con le prove dell'esistenza quotidiana, prove inevitabili in una vita autenticamente cristiana. Non è questione di dolorismo, ma di un cammino posto sotto il disegno divino (espresso dal verbo greco deî, cfr. «dobbiamo» di 14,22; riferito a Gesù: Lc 24,26) che conferisce una dimensione salvifica a queste prove e sofferenze. L'altro impegno della cura pastorale sta nel costituire una struttura che dia stabilità alla vita della comunità (v. 23). Luca nomina gli anziani (presbiteri), una responsabilità collegiale alla testa della comunità, sul modello della Chiesa di Gerusalemme, che a sua volta ricalca l'organizzazione sinagogale; questa struttura era probabilmente dominante nella Chiesa all'epoca del redattore. Infine Luca menziona un atto liturgico (preghiera e digiuno) che ricorda At 13,3; sembra che si riferisca non a un rito di ordinazione, ma a una cerimonia di commiato. Con essa intende affidare tutti i credenti della giovane comunità alla protezione di Dio. Per il seguito il narratore si serve di un itinerario conservato probabilmente nella Chiesa di Antiochia: i missionari percorrono la regione montagnosa della Pisidia; poi scendono a Perge e Attalia (oggi Andalya) per imbarcarsi alla volta di Antiochia. Al v. 26, l'autore si agganncia all'inizio: è compiuta l'opera per la quale i missionari «erano stati raccomandati alla grazia di Dio». Ora quest'opera ha ricevuto un volto: l'entrata dei pagani nella Chiesa come volontà di Dio. Con questo viaggio missionario Luca ha saputo esporre plasticamente il problema che l'assemblea di Gerusalemme dovrà affrontare e risolvere: l'esistenza in terra pagana di Chiese miste, cioè composte da membri provenienti dal giudaismo e dal paganesimo. I vv. 27-28 concludono la seconda parte del libro (8,1b-14,28), che inizia con la persecuzione a Gerusalemme e si chiude con l'entrata dei pagani nella Chiesa. Il seme produce frutto. Il comunicare l'esperienza missionaria alla comunità, dalla quale furono delegati, è un compito importante: accresce la vita stessa della comunità e comunica la dimensione ecclesiale all'impresa missionaria: l'unica Chiesa si incarna in molte Chiese. Anche queste “relazioni” degli evangelizzatori sono a disposizione di Luca per comporre la sua opera. L'ultimo versetto costituisce una pausa narrativa, che descrive la comunione di vita con i fratelli. Il versetto a sua volta si ricollega a 15,35 con il quale fa inclusione racchiudendo la parte centrale del libro: l'assemblea di Gerusalemme.


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Il primo viaggio missionario 13,1-14,28

L'invio in missione 1C’erano nella Chiesa di Antiòchia profeti e maestri: Bàrnaba, Simeone detto Niger, Lucio di Cirene, Manaèn, compagno d’infanzia di Erode il tetrarca, e Saulo. 2Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: «Riservate per me Bàrnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati». 3Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li congedarono.

La missione a Cipro 4Essi dunque, inviati dallo Spirito Santo, scesero a Selèucia e di qui salparono per Cipro. 5Giunti a Salamina, cominciarono ad annunciare la parola di Dio nelle sinagoghe dei Giudei, avendo con sé anche Giovanni come aiutante. 6Attraversata tutta l’isola fino a Pafo, vi trovarono un tale, mago e falso profeta giudeo, di nome Bar-Iesus, 7al seguito del proconsole Sergio Paolo, uomo saggio, che aveva fatto chiamare a sé Bàrnaba e Saulo e desiderava ascoltare la parola di Dio. 8Ma Elimas, il mago – ciò infatti significa il suo nome –, faceva loro opposizione, cercando di distogliere il proconsole dalla fede. 9Allora Saulo, detto anche Paolo, colmato di Spirito Santo, fissò gli occhi su di lui 10e disse: «Uomo pieno di ogni frode e di ogni malizia, figlio del diavolo, nemico di ogni giustizia, quando cesserai di sconvolgere le vie diritte del Signore? 11Ed ecco, dunque, la mano del Signore è sopra di te: sarai cieco e per un certo tempo non vedrai il sole». Di colpo piombarono su di lui oscurità e tenebra, e brancolando cercava chi lo guidasse per mano. 12Quando vide l’accaduto, il proconsole credette, colpito dall’insegnamento del Signore.

Antiochia di Pisidia: il discorso di Paolo 13Salpati da Pafo, Paolo e i suoi compagni giunsero a Perge, in Panfìlia. Ma Giovanni si separò da loro e ritornò a Gerusalemme. 14Essi invece, proseguendo da Perge, arrivarono ad Antiòchia in Pisìdia e, entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, sedettero. 15Dopo la lettura della Legge e dei Profeti, i capi della sinagoga mandarono a dire loro: «Fratelli, se avete qualche parola di esortazione per il popolo, parlate!». 16Si alzò Paolo e, fatto cenno con la mano, disse: «Uomini d’Israele e voi timorati di Dio, ascoltate. 17Il Dio di questo popolo d’Israele scelse i nostri padri e rialzò il popolo durante il suo esilio in terra d’Egitto, e con braccio potente li condusse via di là. 18Quindi sopportò la loro condotta per circa quarant’anni nel deserto, 19distrusse sette nazioni nella terra di Canaan e concesse loro in eredità quella terra 20per circa quattrocentocinquanta anni. Dopo questo diede loro dei giudici, fino al profeta Samuele. 21Poi essi chiesero un re e Dio diede loro Saul, figlio di Chis, della tribù di Beniamino, per quarant’anni. 22E, dopo averlo rimosso, suscitò per loro Davide come re, al quale rese questa testimonianza: “Ho trovato Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore; egli adempirà tutti i miei voleri”. 23Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio inviò, come salvatore per Israele, Gesù. 24Giovanni aveva preparato la sua venuta predicando un battesimo di conversione a tutto il popolo d’Israele. 25Diceva Giovanni sul finire della sua missione: “Io non sono quello che voi pensate! Ma ecco, viene dopo di me uno, al quale io non sono degno di slacciare i sandali”. 26Fratelli, figli della stirpe di Abramo, e quanti fra voi siete timorati di Dio, a noi è stata mandata la parola di questa salvezza. 27Gli abitanti di Gerusalemme infatti e i loro capi non l’hanno riconosciuto e, condannandolo, hanno portato a compimento le voci dei Profeti che si leggono ogni sabato; 28pur non avendo trovato alcun motivo di condanna a morte, chiesero a Pilato che egli fosse ucciso. 29Dopo aver adempiuto tutto quanto era stato scritto di lui, lo deposero dalla croce e lo misero nel sepolcro. 30Ma Dio lo ha risuscitato dai morti 31ed egli è apparso per molti giorni a quelli che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme, e questi ora sono testimoni di lui davanti al popolo. 32E noi vi annunciamo che la promessa fatta ai padri si è realizzata, 33perché Dio l’ha compiuta per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel salmo secondo: Mio figlio sei tu, io oggi ti ho generato. 34Sì, Dio lo ha risuscitato dai morti, in modo che non abbia mai più a tornare alla corruzione, come ha dichiarato: Darò a voi le cose sante di Davide, quelle degne di fede. 35Per questo in un altro testo dice anche: Non permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione. 36Ora Davide, dopo aver eseguito il volere di Dio nel suo tempo, morì e fu unito ai suoi padri e subì la corruzione. 37Ma colui che Dio ha risuscitato, non ha subìto la corruzione. 38Vi sia dunque noto, fratelli, che per opera sua viene annunciato a voi il perdono dei peccati. Da tutte le cose da cui mediante la legge di Mosè non vi fu possibile essere giustificati, 39per mezzo di lui chiunque crede è giustificato. 40Badate dunque che non avvenga ciò che è detto nei Profeti: 41Guardate, beffardi, stupite e nascondetevi, perché un’opera io compio ai vostri giorni, un’opera che voi non credereste se vi fosse raccontata!». 42Mentre uscivano, li esortavano ad annunciare loro queste cose il sabato seguente. 43Sciolta l’assemblea, molti Giudei e prosèliti credenti in Dio seguirono Paolo e Bàrnaba ed essi, intrattenendosi con loro, cercavano di persuaderli a perseverare nella grazia di Dio. 44Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola del Signore. 45Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono ricolmi di gelosia e con parole ingiuriose contrastavano le affermazioni di Paolo. 46Allora Paolo e Bàrnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. 47Così infatti ci ha ordinato il Signore: Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra». 48Nell’udire ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola del Signore, e tutti quelli che erano destinati alla vita eterna credettero. 49La parola del Signore si diffondeva per tutta la regione. 50Ma i Giudei sobillarono le pie donne della nobiltà e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Bàrnaba e li cacciarono dal loro territorio. 51Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio. 52I discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

Il primo viaggio missionario Si tratta della prima evangelizzazione a largo raggio programmata da una Chiesa locale. Certamente il narratore ha potuto usufruire di qualche tradizione e ricordo storico (itinerario di viaggio, nome dei protagonisti, notizie di persecuzioni, racconti popolari di miracoli), ma il lavoro redazionale è predominante. Luca compone un insieme armonioso, con il discorso di Paolo al centro, e secondo una progressione che va dalla proclamazione del Vangelo nelle sinagoghe della diaspora alla sua proclamazione in ambienti pagani rurali, popolari (Listra). Il tutto serve a confermare le decisioni dell'assemblea di Gerusalemme (At 15,28-29). Luca inoltre, trattandosi del primo viaggio missionario in grande stile, l'ha idealizzato, presentandolo come una missione in piena conformità alle esigenze di Gesù esposte nel vangelo (Lc 9,1-6; 10,1-11). In questo racconto, l'interesse per Saulo sta crescendo: per la prima volta viene chiamato con il nome di Paolo con il quale è conosciuto nella Chiesa. E Paolo poco a poco prende l'iniziativa della missione: se all'inizio il redattore ricorre al binomio «Barnaba e Saulo», a partire daAt 13,9 inverte l'or- dine («Paolo e Barnaba»).

L'invio in missione Per introdurre il racconto, Luca utilizza un elenco di responsabili della comunità di Antiochia, chiamati «profeti e dottori», che hanno rispettivamente la funzione di esortare, incoraggiare la comunità e di insegnare, trasmettendo e approfondendo la tradizione di Gesù. A parte Barnaba e Saulo, gli altri sono rimasti sconosciuti. Il rito dell'elezione e del commiato dei missionari riflette la prassi ecclesiale dell'epoca di Luca: preghiera associata a digiuno, imposizione delle mani come rito che affida alla protezione divina persone scelte dalla comunità. Luca inizia dunque con il quadro solenne di un invio deciso allo Spirito Santo: la missione in terra pagana è voluta da Dio. Il lettore non può nutrire dubbi. Per il momento il narratore scrive soltanto che gli evangelizzatori sono scelti dallo Spirito «per l'opera alla quale li ho destinati», senza precisare concretamente quale. Infatti l'impresa non è programmata da mente umana, ma si svolge sotto la guida dello Spirito Santo che invia due missionari, come raccomandato da Gesù (Le 1O,1); il lettore stesso potrà costatare il lavoro dello Spirito man mano che progredisce nella lettura. Soltanto adesso, nella logica di Luca, Paolo diventa «l'apostolo delle genti», e cioè dopo che Pietro ha inaugurato tale missione.

La missione a Cipro Luca riferisce sommariamente le tappe fino a Pafo, residenza del proconsole Sergio Paolo, ma ricorda che è sempre lo Spirito Santo a guidare la missione; al v. 5 introduce Giovanni detto Marco e lo presenta come «assistente». A Pafo i missionari devono affrontare l'ostacolo di un mago di corte, un certo Bar-Iesu, come ne esistevano molti nella società: teologo di corte, indovino, astrologo, consigliere, membro di una religione marginale; nel linguaggio popolare la parola «mago» è spesso sinonimo di «imbroglione, truffatore». Il redattore riprende una tradizione, con ogni probabilità appartenente al genere «miracolo di punizione» o «giudizio di Dio», destinata a dimostrare la superiorità dell'evangelizzatore e del suo messaggio. Nella persona di Paolo e del mago si contrappongono i veri antagonisti invisibili: Dio e Satana. Un simile racconto era adatto come “portale d'ingresso” per i viaggi missionari: affrontare il mondo pagano richiede il potere di superare colui che ne è il dominatore, Satana. Il racconto non manca di ricordare un famoso modello anticotestamentario: la rivalità tra Mosè/Aronne e i maghi d'Egitto sotto gli occhi del Faraone. Ma Luca s'interessa anche a un altro confronto preannunciatore dell'esperienza di apostolato della Chiesa: il rifiuto globale del popolo d'Israele, rappresentato dal giudeo Bar-Iesu, opposto all'atteggiamento, favorevole al Vangelo, del mondo pagano rappresentato dal romano Sergio Paolo. Il narratore comincia a mettere in primo piano la persona di Paolo: egli solo è attivo e ora riceve per la prima volta il nome di Paolo e così d'ora innanzi sarà sempre chiamato. Luca dedica il v. 12 alla conversione del proconsole. Quest'ultimo non assiste al miracolo per semplice curiosità; vuole ascoltare la parola di Dio (v. 7). Proprio quest'atteggiamento di apertura al Vangelo, e non soltanto la vista del miracolo, provoca la sua adesione alla fede cristiana. La sua conversione è quindi autentica. Evidentemente Luca non dimentica la sua funzione di maestro nei confronti del lettore. Certo, la conversione di un proconsole non può essere soltanto un evento privato, ma dovrebbe aprire un fruttuoso campo d'apostolato a Pafo. Perché allora i missionari lasciano la città? Forse, parlando della conversione del proconsole, Luca segue un intento teologico e catechetico piuttosto che storico.

Antiochia di Pisidia: il discorso di Paolo I due apostoli – escluso Marco che torna a casa (cfr. 15,37-39) – puntano su Antiochia di Pisidia, cioè sul centro narrativo e teologico del primo viaggio missionario. L'insieme della scena è paradigmatico: l'annuncio cristiano prima rivolto a Israele trova una generale accoglienza favorevole; in un secondo tempo c'è il rifiuto di gran parte dei giudei, la conseguente persecuzione e il rivolgersi degli evangelizzatori ai pagani. È uno schema storico-salvifico, che Luca mantiene fedelmente fino alla fine del libro, e che ora sviluppa plasticamente sdoppiando la visita alla sinagoga, con un esito prima positivo e poi negativo.

Il discorso di Paolo è rivolto a giudei, quindi inizia con la storia d'Israele: una storia di promessa salvifica che si realizza nella risurrezione di Gesù. Ma, in quanto pronunciato da Paolo, Luca vi introduce un tema centrale della sua teologia: la giustificazione mediante la fede. Poiché nella sinagoga sono presenti i timorati di Dio (pagani che simpatizzano per la religione d'Israele), il discorso si apre all'universalismo, all'opera “incredibile” di Dio (v. 41), e cioè che la salvezza promessa a Israele sarà proclamata a tutta l'umanità. Il discorso di Paolo giustifica teologicamente il passaggio dalla missione verso Israele alla missione verso i pagani, pur nel rispetto della priorità del popolo eletto. La chiusura d'Israele nei confronti del Vangelo porta alla nascita di una Chiesa essenzialmente pagano-cristiana, che al tempo dell'evangelista non ha più la possibilità di rivolgersi a Israele come popolo. Anche se, rifiutando il Vangelo, Israele rinuncia alla sua funzione nella storia della salvezza, tuttavia conserva il privilegio di popolo della promessa, nel quale la stessa Chiesa pagano-cristiana deve radicarsi in modo permanente, pur senza il popolo giudaico attuale. Per Luca una Chiesa che si stacca dalla sua radice, che è l'Israele di Dio, rompe con la storia della salvezza. Nella pratica poi, sempre per l'autore sacro, il rifiuto da parte dei giudei non è mai totale, così come non è mai totale l'accoglienza da parte dei pagani. E quindi la Chiesa deve instancabilmente annunciare il Vangelo alle due categorie religiose.

Il v. 48 conclude con un'espressione che per il lettore moderno sa di predestinazionismo: «tutti quelli che erano destinati alla vita eterna abbracciarono la fede». Ma tale problematica non appartiene alla mentalità dell'evangelista. Egli vuole soltanto dire che non tutti i pagani di Antiochia hanno accolto la fede che è comunque sempre una grazia. L'espressione certo implica che all'origine della conversione c'è l'azione divina, ma essa non ostacola la libertà di scelta dell'uomo. Se da una parte la parola di Dio si diffonde, come si legge nel sommario del v. 49, dall'altra la reazione ostile si fa più violenta. Vi partecipano donne «di alto rango», assidue frequentatrici della sinagoga: una tradizione attendibile che Luca generalizza per dare un carattere tipico alla scena. La reazione violenta tuttavia tocca non la giovane comunità, ma gli apostoli che devono partire... la missione prosegue.

Conformemente alla consegna data da Gesù (Lc 9,5; 10,11), Paolo e Barnaba compiono un gesto simbolico (v. 51) che indica una rottura totale con la città considerata pagana e quindi impura, gesto però inopportuno visto che ad Antiochia di Pisidia esiste ormai una piccola comunità cristiana! Ma Luca tiene a presentare gli apostoli come dei modelli che si attingono interamente alle consegne di Gesù.

Il racconto finisce con il menzionare la vita della comunità appena nata, ma che ha in sé le caratteristiche dell'autenticità: la pienezza della gioia e la pienezza dello Spirito Santo.


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L'esecuzione di Giacomo, l'arresto e la liberazione di Pietro 1In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa. 2Fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni. 3Vedendo che ciò era gradito ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. Erano quelli i giorni degli Azzimi. 4Lo fece catturare e lo gettò in carcere, consegnandolo in custodia a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, col proposito di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua. 5Mentre Pietro dunque era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui. 6In quella notte, quando Erode stava per farlo comparire davanti al popolo, Pietro, piantonato da due soldati e legato con due catene, stava dormendo, mentre davanti alle porte le sentinelle custodivano il carcere. 7Ed ecco, gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: «Àlzati, in fretta!». E le catene gli caddero dalle mani. 8L’angelo gli disse: «Mettiti la cintura e légati i sandali». E così fece. L’angelo disse: «Metti il mantello e seguimi!». 9Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non si rendeva conto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell’angelo: credeva invece di avere una visione. 10Essi oltrepassarono il primo posto di guardia e il secondo e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città; la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l’angelo si allontanò da lui. 11Pietro allora, rientrato in sé, disse: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che il popolo dei Giudei si attendeva».

Pietro e la prima comunità 12Dopo aver riflettuto, si recò alla casa di Maria, madre di Giovanni, detto Marco, dove molti erano riuniti e pregavano. 13Appena ebbe bussato alla porta esterna, una serva di nome Rode si avvicinò per sentire chi era. 14Riconosciuta la voce di Pietro, per la gioia non aprì la porta, ma corse ad annunciare che fuori c’era Pietro. 15«Tu vaneggi!», le dissero. Ma ella insisteva che era proprio così. E quelli invece dicevano: «È l’angelo di Pietro». 16Questi intanto continuava a bussare e, quando aprirono e lo videro, rimasero stupefatti. 17Egli allora fece loro cenno con la mano di tacere e narrò loro come il Signore lo aveva tratto fuori dal carcere, e aggiunse: «Riferite questo a Giacomo e ai fratelli». Poi uscì e se ne andò verso un altro luogo.

La morte di Erode 18Sul far del giorno, c’era non poco scompiglio tra i soldati: che cosa mai era accaduto di Pietro? 19Erode lo fece cercare e, non essendo riuscito a trovarlo, fece processare le sentinelle e ordinò che fossero messe a morte; poi scese dalla Giudea e soggiornò a Cesarèa. 20Egli era infuriato contro gli abitanti di Tiro e di Sidone. Questi però si presentarono a lui di comune accordo e, dopo aver convinto Blasto, prefetto della camera del re, chiedevano pace, perché il loro paese riceveva viveri dal paese del re. 21Nel giorno fissato Erode, vestito del manto regale e seduto sul podio, tenne loro un discorso. 22La folla acclamava: «Voce di un dio e non di un uomo!». 23Ma improvvisamente un angelo del Signore lo colpì, perché non aveva dato gloria a Dio; ed egli, divorato dai vermi, spirò.

Sommario e conclusione 24Intanto la parola di Dio cresceva e si diffondeva. 25Bàrnaba e Saulo poi, compiuto il loro servizio a Gerusalemme, tornarono prendendo con sé Giovanni, detto Marco.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

Tra la venuta di Barnaba e Saulo a Gerusalemme per la colletta e il loro ritorno ad Antiochia, il narratore inserisce un'unità letteraria, che dà notizia dell'uccisione di Giacomo di Zebedeo, e racconta la miracolosa liberazione di Pietro. Tutto è posto sotto il motivo della persecuzione di Erode Agrippa I, del quale, alla fine, si narra la morte prematura e atroce. Il capitolo segna una svolta importante nella trama del libro: con la morte di Giacomo e la partenza di Pietro si conclude il tempo del collegio dei Dodici, e subentra Giacomo «il fratello del Signore» a capo della Chiesa di Gerusalemme.

L'esecuzione di Giacomo, l'arresto e la liberazione di Pietro La morte di Giacomo pone termine all'esistenza del collegio dei Dodici; e poiché Giacomo non viene sostituito, ciò significa che la Chiesa apostolica giudica superata la sua funzione di rivolgersi unicamente a Israele quale popolo escatologico, significata dal numero Dodici. La persecuzione tocca ora anche la Chiesa di lingua aramaica (cfr. 6,1). Per il redattore questa persecuzione fu gradita non soltanto ai responsabili ma anche «al popolo», finora favorevole alla Chiesa giudeo-cristiana.

Con i vv. 4-5 il narratore descrive l'arresto di Pietro non per dare informazioni al lettore, ma in funzione del racconto, cioè della liberazione miracolosa. Non interessa quindi il luogo e il motivo dell'imprigionamento, interessa mostrare con quanta cura l'apostolo è sorvegliato. Umanamente parlando, Pietro non ha alcuna possibilità di fuggire. Per opportunismo, Agrippa rispetta la Legge e aspetta la fine delle festività per il processo. In contrasto, il v. 5 presenta una Chiesa unita nella preghiera incessante... che quindi sarà esaudita. Nell'ultima notte, cioè alla fine della settimana degli Azzimi, si verifica l'evento straordinario della liberazione. Di nuovo il narratore ricorda al lettore che è impossibile fuggire; per dì più Pietro dorme, quindi non fa nulla per scappare. All'improvviso appare l'angelo in veste teofanìca (la luce è riflesso della gloria divina). L'angelo fa tutto, Pietro esegue gli ordini come in un sogno. Tutto si svolge con rapidità: superamento delle guardie, apertura automatica del portone. L'intero svolgimento serve a mettere in luce la straordinarietà del miracolo. Finalmente Pietro riprende coscienza: non è stato un sogno! Egli interpreta l'evento sotto la forma di un monologo, tecnica narrativa cara all'autore. È Dio il vero protagonista: Egli opera a favore della Chiesa come aveva operato a favore di Israele liberando dalle mani degli oppressori. Le risonanze bibliche e pasquali nel racconto sono evidenti. In questo genere di racconto sono da evitare domande del tipo: come si sa della luce nella cella se tutti dormivano? Come mai, cadendo le catene, non si svegliano anche le guardie che con esse erano legate al prigioniero? Anche se esiste un nucleo storico, il racconto è diventato una lode a Dio e un insegnamento per la fede.

Pietro e la prima comunità Pietro sa che, in piena notte, la Chiesa vigila e prega (la comunità era radunata per la vigilia pasquale?). Viene nominato un futuro protagonista: Giovanni (nome ebraico) detto Marco (nome latino). Si tratta del cugino di Barnaba (Col 4,10) nominato in Fm 24? La tradizione lo identifica con l'omonimo evangelista. La casa di Maria è il luogo dove Gesù istituì l'eucaristia? Abbiamo qui la prima testimonianza di una Chiesa domestica a Gerusalemme, e della pratica del culto notturno in uso nella Chiesa primitiva. Inizia ai vv. 13-16 una scena piena di humour che serve a mettere in risalto la grandezza del miracolo e il suo riconoscimento. La schiava non viene creduta; quando insiste, l'assemblea conclude: «Sarà il suo (di Pietro) angelo». Ciò suppone la credenza nell'angelo custode e la convinzione che l'angelo sia il “duplice celeste” della creatura terrena da lui protetta. L'attesa di Pietro, sempre ancora fuori dalla porta a bussare, sottolinea la difficoltà a credere alla sua liberazione e, di conseguenza, la grandezza del miracolo. Pietro, finalmente riconosciuto, può narrare l'accaduto e mettere in luce il vero protagonista: Dio stesso ha compiuto un'opera di liberazione come già aveva fatto nella storia d'Israele. Al v. 17 per la prima volta viene nominato Giacomo, il parente di Gesù, senza altra specificazione; il narratore suppone che il lettore sappia con certezza di chi si parla. Giacomo è nominato al momento in cui Pietro lascia la scena; egli subentra (con il gruppo degli anziani) al collegio dei Dodici, e al suo rappresentante principale, a capo della Chiesa di Gerusalemme. Dal punto di vista narrativo qui si conclude il ciclo di Pietro.

La morte di Erode Con i vv. 18-19 termina il racconto del genere «liberazione miracolosa» con la scoperta della scomparsa del prigioniero e la conseguente punizione delle guardie. Secondo i l diritto romano queste meritano la morte. Da parte sua, il narratore prepara il racconto della punizione del vero colpevole, Agrippa I, che scende a Cesarea, sede della sua residenza abituale, dove subirà il castigo divino. Nei vv. 20-23 Luca si serve di una tradizione indipendente per narrare la morte di Agrippa I: una leggenda di punizione divina per chi si proclama dio, il peccato fondamentale agli occhi di un ebreo come di un cristiano. L'essere roso dai vermi è il castigo tipico dei persecutori nella letteratura giudaico-ellenistica. Aggiungendo questa finale al racconto della persecuzione di Agrippa contro i cristiani (c:fr. 12,1-3), Luca lo trasforma nel genere tipico della mors persecutorum. Con la morte di Agrippa I, nel 44 d.C., la Palestina tornò sotto il dominio romano e fu inserita nella provincia della Siria.

Sommario e conclusione Il sommario riprende il tema della crescita, ma mette «la parola di Dio» come soggetto del verbo; essa è considerata come una realtà viva ed efficace che produce una crescita sempre più numerosa di fedeli; e ciò contrasta con il destino del persecutore: nessun ostacolo potrà fermare il cammino del Vangelo. Menzionando il ritorno ad Antiochia di Barnaba e Saulo, insieme a Giovanni Marco, il narratore prepara la successiva attività missionaria dei cc. 13-14.


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Pietro rende conto alla Chiesa di Gerusalemme 1Gli apostoli e i fratelli che stavano in Giudea vennero a sapere che anche i pagani avevano accolto la parola di Dio. 2E, quando Pietro salì a Gerusalemme, i fedeli circoncisi lo rimproveravano 3dicendo: «Sei entrato in casa di uomini non circoncisi e hai mangiato insieme con loro!». 4Allora Pietro cominciò a raccontare loro, con ordine, dicendo: 5«Mi trovavo in preghiera nella città di Giaffa e in estasi ebbi una visione: un oggetto che scendeva dal cielo, simile a una grande tovaglia, calata per i quattro capi, e che giunse fino a me. 6Fissandola con attenzione, osservai e vidi in essa quadrupedi della terra, fiere, rettili e uccelli del cielo. 7Sentii anche una voce che mi diceva: “Coraggio, Pietro, uccidi e mangia!”. 8Io dissi: “Non sia mai, Signore, perché nulla di profano o di impuro è mai entrato nella mia bocca”. 9Nuovamente la voce dal cielo riprese: “Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo profano”. 10Questo accadde per tre volte e poi tutto fu tirato su di nuovo nel cielo. 11Ed ecco, in quell’istante, tre uomini si presentarono alla casa dove eravamo, mandati da Cesarèa a cercarmi. 12Lo Spirito mi disse di andare con loro senza esitare. Vennero con me anche questi sei fratelli ed entrammo in casa di quell’uomo. 13Egli ci raccontò come avesse visto l’angelo presentarsi in casa sua e dirgli: “Manda qualcuno a Giaffa e fa’ venire Simone, detto Pietro; 14egli ti dirà cose per le quali sarai salvato tu con tutta la tua famiglia”. 15Avevo appena cominciato a parlare quando lo Spirito Santo discese su di loro, come in principio era disceso su di noi. 16Mi ricordai allora di quella parola del Signore che diceva: “Giovanni battezzò con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo”. 17Se dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono che ha dato a noi, per aver creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io per porre impedimento a Dio?». 18All’udire questo si calmarono e cominciarono a glorificare Dio dicendo: «Dunque anche ai pagani Dio ha concesso che si convertano perché abbiano la vita!».

La Chiesa di Antiochia 19Intanto quelli che si erano dispersi a causa della persecuzione scoppiata a motivo di Stefano erano arrivati fino alla Fenicia, a Cipro e ad Antiòchia e non proclamavano la Parola a nessuno fuorché ai Giudei. 20Ma alcuni di loro, gente di Cipro e di Cirene, giunti ad Antiòchia, cominciarono a parlare anche ai Greci, annunciando che Gesù è il Signore. 21E la mano del Signore era con loro e così un grande numero credette e si convertì al Signore. 22Questa notizia giunse agli orecchi della Chiesa di Gerusalemme, e mandarono Bàrnaba ad Antiòchia. 23Quando questi giunse e vide la grazia di Dio, si rallegrò ed esortava tutti a restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore, 24da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede. E una folla considerevole fu aggiunta al Signore. 25Bàrnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Saulo: 26lo trovò e lo condusse ad Antiòchia. Rimasero insieme un anno intero in quella Chiesa e istruirono molta gente. Ad Antiòchia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani. 27In quei giorni alcuni profeti scesero da Gerusalemme ad Antiòchia. 28Uno di loro, di nome Àgabo, si alzò in piedi e annunciò, per impulso dello Spirito, che sarebbe scoppiata una grande carestia su tutta la terra. Ciò che di fatto avvenne sotto l’impero di Claudio. 29Allora i discepoli stabilirono di mandare un soccorso ai fratelli abitanti nella Giudea, ciascuno secondo quello che possedeva; 30questo fecero, indirizzandolo agli anziani, per mezzo di Bàrnaba e Saulo.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

Pietro rende conto alla Chiesa di Gerusalemme Questo brano costituisce l'epilogo del racconto della conversione di Cornelio: l'entrata dei gentili nella Chiesa è dovuta a una precisa volontà di Dio; l'agire di Pietro in casa di Cornelio viene legittimato dalla Chiesa-madre e così la prima Chiesa con membri provenienti dal paganesimo si trova inserita nella comunione con la Chiesa di Gerusalemme, quindi, nel solco dell'unità e della continuità storico-salvifica. Quando la notizia del Battesimo di Cornelio e degli amici giunse a Gerusalemme, non fu accolta bene da «quelli della circoncisione», cioè dai giudeo-cristiani (Luca evita di nominare gli apostoli). Tuttavia il rimprovero riguarda la questione dei pasti in comune tra cristiani provenienti dal giudaismo e cristiani provenienti dal paganesimo. Pietro risponde indirettamente al problema narrando la visione degli animali e, quindi, il superamento del divieto di mangiare animali impuri. Il discorso di Pietro è conciso, riassume i fatti, mettendo in luce gli interventi soprannaturali per convincere l'assemblea che l'accaduto risponde alla volontà divina. Certamente il discorso di Pietro è comprensibile soltanto a chi ha letto At 1O. La ripetizione fa parte dell'arte narrativa, ma ha anche il dovere di non annoiare il lettore; quindi, il narratore introduce variazioni, aggiungendo elementi finora ignoti al lettore. Il discorso convince i giudeo-cristiani della Chiesa-madre: non si può rifiutare il battesimo ai gentili, che hanno ricevuto il dono dello Spirito Santo al pari dei cristiani di Gerusalemme. I presenti lodano Dio per quello che, nel pensiero del redattore, costituisce un motivo fondamentale del libro: l'apertura della Chiesa al mondo pagano, e ciò senza rompere con la Chiesa-madre di Gerusalemme e, di riflesso, con la storia della salvezza. Senza dubbio la realtà storica non è stata così semplice; ma Luca tiene a sottolineare l'importanza teologica del radicamento della Chiesa pagano-cristiana in quella giudeo-cristiana; lo storiografo Luca è sempre anzitutto un teologo.

La Chiesa di Antiochia Con la nascita del primo nucleo pagano-cristiano a Cesarea, Pietro ha inaugurato la missione cristiana verso il mondo delle nazioni. A questo punto Luca, seguendo lo sviluppo teologico-narrativo piuttosto che quello cronologico, può parlare della fondazione della Chiesa di Antiochia, il centro da cui partirà la missione paolina. Riprendendo soltanto ora il filo narrativo sospeso in 8,1.4, l'autore ottiene due effetti: la fedeltà al programma dato dal Risorto in 1,8: prima c'è l'evangelizzazione della Giudea e della Samaria. Altro effetto: mantenere il legame con la Chiesa-madre e, quindi, la continuità storico-salvifica tra Gerusalemme e Antiochia, poiché la nascita del futuro centro di irradiazione del Vangelo appare come il frutto della diffusione della Parola in seguito alla persecuzione dei cristiani a Gerusalemme. Nello stesso tempo il narratore prepara il seguito del libro, puntando l'attenzione anche sui futuri protagonisti Barnaba e Paolo.

L'evangelizzazione ad Antiochia (vv. 19-21) Il narratore si aggancia a 8,4 e parla di un'evangelizzazione che va al di là della Palestina per raggiungere: la Fenicia, cioè il litorale a nord di Cesarea che include le città di Tolemaide, Tiro e Sidone e faceva parte della provincia romana della Siria; l'isola di Cipro, patria di Barnaba; Antiochia sull'Oronte, capitale della provincia romana della Siria-Cilicia. Scrivendo che il Vangelo veniva predicato soltanto ai giudei, Luca rispetta la priorità d'Israele, priorità che, con l'apertura dell'evangelizzazione alle nazioni, sarà soltanto ancora una priorità d'onore. S'impone una novità: giudeo-cristiani di Cipro e della Cirenaica (costa libica) rivolgono il lieto annuncio a dei greci, cioè ad alcuni non-circoncisi. Come la Chiesa di Roma, anche quella di Antiochia è stata fondata da cristiani anonimi. Il primo quadro si conclude a mo' di un sommario (v. 21) con temi tipici: la protezione divina, il motivo della fede e della conversione, il successo missionario. La protezione divina e la fecondità apostolica sono segni che Dio approva l'apertura della Chiesa al mondo pagano.

L'arrivo di Barnaba ad Antiochia (vv. 22-24) L'invio di Barnaba ad Antiochia (cfr. Gal 2, l.13) garantisce la legittimità della nuova comunità pagano-cristiana e assicura l'unità con la Chiesa-madre degli apostoli. Arrivato ad Antiochia, Barnaba svolge il compito del pastore: esortare alla perseveranza, cioè alla vita d'amore nella comunione fraterna. Infine, Luca presenta le qualità del protagonista: un uomo buono (al pari di Giuseppe d'Arimatea: Lc 23,50) e pieno di Spirito Santo per svolgere la sua funzione di responsabile. Il v. 24 finisce con il tema della crescita: ricorda gli inizi fecondi della Chiesa di Gerusalemme dopo la Pentecoste.

L'arrivo di Saulo ad Antiochia (vv. 25-26) Con la notizia del viaggio di Barnaba a Tarso, il narratore riprende la trama della storia di Saulo sospesa in At 9,30. Tornati insieme ad Antiochia, Barnaba e Saulo si dedicano all'insegnamento della comunità e cioè spiegano e approfondiscono la tradizione mediante la Scrittura: esplicano la funzione del dottore (cfr. 13,1). Luca precisa che questa formazione durò un anno ma la loro collaborazione ad Antiochia dev'essere durata molto più di un anno, visto che Paolo vi svolgerà anche una funzione di responsabilità. Il redattore termina con una notizia interessante e storicamente verosimile: ad Antiochia, per la prima volta, i discepoli sono chiamati «cristiani». Il nome proviene dall'ambiente pagano, precisamente latino, e designa i partigiani di Cristo come gruppo distinto: difficile dire se il nome fu dato dall'autorità romana di Antiochia o se si trattava di una designazione popolare.

La colletta (vv. 27-30) L'ultimo quadro parla di una carestia predetta dal profeta Agabo sotto l'imperatore Claudio (41-54 d.C.). In quella occasione Barnaba e Saulo portarono una colletta ai fratelli della Giudea. Agabo comparirà anche inAt 21,10-11 come profeta di sciagura. Per il momento egli preannuncia una carestia che si estenderà «su tutta la terra», cioè investirà l'Impero romano. La risposta dei cristiani di Antiochia è immediata: anche in quel frangente si vive la comunione dei beni come nella Chiesa-madre, ed essi sono pronti ad aiutare chi sta nel bisogno. I delegati della colletta, Barnaba e Saulo, non depongono i soldi ai piedi degli apostoli, ma li consegnano agli anziani (presbiteri) nominati per la prima volta, così come sono nominati per la prima volta i profeti nella Chiesa di Gerusalemme. Luca non descrive la funzione dei profeti cristiani. Stando alle indicazioni delle lettere paoline, il profeta è una persona ispirata che ha il compito, con la parola, di incoraggiare, consolare, attualizzare l'insegnamento di Gesù. Luca ama presentare il profeta secondo l'immagine popolare della sua epoca: il profeta prevede eventi futuri e compie gesti simbolici (cfr. 21,10-11). Anche gli anziani o presbiteri sono nominati per la prima volta in funzione nella Chiesa di Gerusalemme. Non sappiamo quando e in quale occasione un collegio di anziani sia subentrato al collegio dei Dodici. In genere Luca tende a proiettare nel passato una struttura ecclesiale del suo tempo, che richiama un modello giudaico, un modo di governare in vigore nelle comunità palestinese alla fine del I secolo, e che si estese anche alle Chiese paoline della diaspora (At 14,23; 20,17; 1Tm 5,17; Tt 1,5; ecc.). A Gerusalemme tale modello poté entrare in vigore assai presto con Giacomo, il fratello del Signore. Per il redattore questo brano permette di rafforzare nel lettore l'impressione di una grande unità tra le Chiese di Antiochia e di Gerusalemme, e mettere in luce la loro solidarietà: Antiochia invia aiuti materiali alla Chiesa, dalla quale ha ricevuto benefici spirituali.


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Pietro e Cornelio 1Vi era a Cesarèa un uomo di nome Cornelio, centurione della coorte detta Italica. 2Era religioso e timorato di Dio con tutta la sua famiglia; faceva molte elemosine al popolo e pregava sempre Dio. 3Un giorno, verso le tre del pomeriggio, vide chiaramente in visione un angelo di Dio venirgli incontro e chiamarlo: «Cornelio!». 4Egli lo guardò e preso da timore disse: «Che c’è, Signore?». Gli rispose: «Le tue preghiere e le tue elemosine sono salite dinanzi a Dio ed egli si è ricordato di te. 5Ora manda degli uomini a Giaffa e fa’ venire un certo Simone, detto Pietro. 6Egli è ospite presso un tale Simone, conciatore di pelli, che abita vicino al mare». 7Quando l’angelo che gli parlava se ne fu andato, Cornelio chiamò due dei suoi servitori e un soldato, uomo religioso, che era ai suoi ordini; 8spiegò loro ogni cosa e li mandò a Giaffa.

9Il giorno dopo, mentre quelli erano in cammino e si avvicinavano alla città, Pietro, verso mezzogiorno, salì sulla terrazza a pregare. 10Gli venne fame e voleva prendere cibo. Mentre glielo preparavano, fu rapito in estasi: 11vide il cielo aperto e un oggetto che scendeva, simile a una grande tovaglia, calata a terra per i quattro capi. 12In essa c’era ogni sorta di quadrupedi, rettili della terra e uccelli del cielo. 13Allora risuonò una voce che gli diceva: «Coraggio, Pietro, uccidi e mangia!». 14Ma Pietro rispose: «Non sia mai, Signore, perché io non ho mai mangiato nulla di profano o di impuro». 15E la voce di nuovo a lui: «Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo profano». 16Questo accadde per tre volte; poi d’un tratto quell’oggetto fu risollevato nel cielo.

17Mentre Pietro si domandava perplesso, tra sé e sé, che cosa significasse ciò che aveva visto, ecco gli uomini inviati da Cornelio: dopo aver domandato della casa di Simone, si presentarono all’ingresso, 18chiamarono e chiesero se Simone, detto Pietro, fosse ospite lì. 19Pietro stava ancora ripensando alla visione, quando lo Spirito gli disse: «Ecco, tre uomini ti cercano; 20àlzati, scendi e va’ con loro senza esitare, perché sono io che li ho mandati». 21Pietro scese incontro a quegli uomini e disse: «Eccomi, sono io quello che cercate. Qual è il motivo per cui siete venuti?». 22Risposero: «Il centurione Cornelio, uomo giusto e timorato di Dio, stimato da tutta la nazione dei Giudei, ha ricevuto da un angelo santo l’ordine di farti venire in casa sua per ascoltare ciò che hai da dirgli».23Pietro allora li fece entrare e li ospitò.

Il giorno seguente partì con loro e alcuni fratelli di Giaffa lo accompagnarono. 24Il giorno dopo arrivò a Cesarèa. Cornelio stava ad aspettarli con i parenti e gli amici intimi che aveva invitato. 25Mentre Pietro stava per entrare, Cornelio gli andò incontro e si gettò ai suoi piedi per rendergli omaggio. 26Ma Pietro lo rialzò, dicendo: «Àlzati: anche io sono un uomo!». 27Poi, continuando a conversare con lui, entrò, trovò riunite molte persone 28e disse loro: «Voi sapete che a un Giudeo non è lecito aver contatti o recarsi da stranieri; ma Dio mi ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro nessun uomo. 29Per questo, quando mi avete mandato a chiamare, sono venuto senza esitare. Vi chiedo dunque per quale ragione mi avete mandato a chiamare». 30Cornelio allora rispose: «Quattro giorni or sono, verso quest’ora, stavo facendo la preghiera delle tre del pomeriggio nella mia casa, quando mi si presentò un uomo in splendida veste 31e mi disse: “Cornelio, la tua preghiera è stata esaudita e Dio si è ricordato delle tue elemosine. 32Manda dunque qualcuno a Giaffa e fa’ venire Simone, detto Pietro; egli è ospite nella casa di Simone, il conciatore di pelli, vicino al mare”. 33Subito ho mandato a chiamarti e tu hai fatto una cosa buona a venire. Ora dunque tutti noi siamo qui riuniti, al cospetto di Dio, per ascoltare tutto ciò che dal Signore ti è stato ordinato».

Il discorso di Pietro 34Pietro allora prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, 35ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga. 36Questa è la Parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, annunciando la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti. 37Voi sapete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; 38cioè come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui. 39E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce, 40ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, 41non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. 42E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio. 43A lui tutti i profeti danno questa testimonianza: chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati per mezzo del suo nome».

La Pentecoste dei gentili 44Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo discese sopra tutti coloro che ascoltavano la Parola. 45E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si stupirono che anche sui pagani si fosse effuso il dono dello Spirito Santo; 46li sentivano infatti parlare in altre lingue e glorificare Dio. Allora Pietro disse: 47«Chi può impedire che siano battezzati nell’acqua questi che hanno ricevuto, come noi, lo Spirito Santo?». 48E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Quindi lo pregarono di fermarsi alcuni giorni.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

Pietro e Cornelio L'accoglienza di Cornelio nella Chiesa segna l'inizio, per volontà divina e sotto l'autorità di Pietro confermata dalla Chiesa-madre, dell'entrata dei non-giudei nel popolo della salvezza, e quindi l'apertura della missione al mondo di quanti provenivano dal paganesimo. È, nell'ottica di Luca, una tappa decisiva della storia della salvezza, e non manca di sottolinearlo in diversi modi: la lunghezza stessa dell'episodio (è il racconto più esteso del libro); la presenza, nella casa di Cornelio, di numerosi parenti e amici (10,24b.27b.33b), che toglie all'episodio il carattere di un fatto solo privato e lo presenta come l'inizio della Chiesa pagano-cristiana; la giustificazione di Pietro dinanzi alla Chiesa di Gerusalemme (11, 1-18) che rafforza la dimensione ufficiale dell'evento e lo legittima; e non per ultimo la stessa “conversione” di Pietro che, superando le regole di purità e mangiando con dei pagani, apre la Chiesa giudeo-cristiana all'universalismo. L'autore ha probabilmente utilizzato due tradizioni indipendenti: la tradizione sulla conversione di Cornelio, alla quale aggiunge quella della visione di Pietro (10,9-16); vi integra un discorso dell'apostolo (10,34-43) e unifica l'insieme mediante una composizione “a doppia visione”, già usata nel racconto della conversione di Saulo, che permette di presentare l'incontro tra Pietro e Cornelio come un fatto voluto esplicitamente da Dio.

Cornelio abita a Cesarea marittima, 50 km a nord di Giaffa, città che sarà sede dei prefetti e procuratori romani della Giudea fino alla guerra giudaica. Vengono messe in rilievo le sue qualità religiose, simili a quelle del centurione di Cafarnao (cfr. Lc 7,3-5): egli fa parte di quegli uomini, non importa se pagani, che per il loro comportamento religioso e morale sono graditi a Dio; è pio, cioè ha un atteggiamento retto e opposto all'immoralità; è timorato di Dio, forse nel senso di simpatizzante per la religione d'Israele, simpatia dimostrata anche dalle opere caratteristiche della pietà giudaica: elemosina e preghiera. Cornelio e la sua famiglia sono pronti a diventare il primo nucleo di una Chiesa cristiana con membri provenienti dal paganesimo.

La visione dell'angelo si verifica durante l'ora della preghiera pomeridiana. Per descrivere la visione, Luca riprende la struttura teofanica già utilizzata per l'apparizione del Risorto a Saulo. Le parole dell'angelo (v. 4) riprendono la formulazione del linguaggio biblico legato ai sacrifici divenuta tradizionale: la preghiera e le opere buone salgono alla presenza di Dio e hanno lo stesso valore del profumo dei sacrifici compiuti nel tempio. È il concetto del sacrificio spirituale. Dio esaudisce il desiderio profondo del centurione (poter appartenere al popolo della salvezza) e gli fa incontrare il Vangelo. L'affidamento di un compito o missione è l'ultimo elemento della struttura teofanica: far venire Pietro. L'indicazione data dall'angelo è vaga, ma il lettore conosce già Simone (9,43). L'ordine dell'angelo viene eseguito subito (vv. 7-8). Tutto è esemplare nella famiglia di Cornelio.

Nel descrivere l'estasi di Pietro (vv. 9-16), il narratore lega abilmente i versetti precedenti alla tradizione sulla visione di Pietro. Quest'ultimo sale sul terrazzo, che, come «la stanza superiore» di 1, 13, è il luogo propizio alla preghiera, perché implica il distacco dalle faccende quotidiane per la vicinanza a Dio. «Mezzogiorno» (v. 9) è l'ora della rivelazione (cfr. 22,6). Il motivo della fame è inatteso, ma serve a preparare la visione degli animali, la cui descrizione appartiene al genere apocalittico, come: l'atto del vedere, il cielo aperto, l'apparizione di un oggetto molto misterioso che scende. Il v. 12 elenca il contenuto del misterioso lenzuolo: ogni sorta di animali, tranne i pesci(!), come nell'arca di Noè. La voce celeste (v. 13) risponde alla fame di Pietro, ma invita anche a non crearsi problemi di purità legale. La reazione dell'apostolo è negativa e decisa, e così prepara la dichiarazione della voce celeste (v. 15) che rappresenta il culmine della scena: viene abrogata la legge di Lv 11 sulla distinzione tra animali puri e impuri (cfr. Mc 7,19); la parola divina riporta tutta la creazione alla sua bontà originaria (cfr. Gen 1,25). Un ostacolo alla nascita della Chiesa universale viene tolto. Luca chiude la visione dicendo che «ciò si ripeté per tre volte» (v. 16): cosa? Non importa. Il numero dice che quanto Dio ha deciso è irrevocabile. Nel frattempo arrivano gli inviati di Cornelio, mentre Pietro è ancora perplesso sul significato della visione avuta. Un secondo intervento divino – ora dello Spirito Santo – ordina all'apostolo di prendere contatto con i messaggeri e di seguirli.

Luca, in forma di dialogo, riassume ciò che era accaduto da Cornelio. Per finire, Pietro dà ospitalità agli inviati: comincia a superare la barriera tra giudei e pagani (vv. 17-23a).

Pietro parte con i messaggeri, accompagnato anche da «fratelli» (v. 23b), cioè da giudeo-cristiani della comunità di Giaffa (cfr. v. 45), che poi serviranno da testimoni dinanzi alla Chiesa di Gerusalemme. L'episodio assume così un carattere ufficiale. Anche Cornelio non è solo: «i parenti e gli amici più intimi», il futuro nucleo di cristiani, danno la dimensione comunitaria a ciò che sta per accadere: sta nascendo la Chiesa costituita da cristiani provenienti dal giudaismo e dal paganesimo, tutti fratelli e figli di un unico Padre.

Cornelio si comporta da timorato di Dio e sa che Pietro è un Suo inviato (v. 25). L'apostolo ha così l'occasione di proclamare l'uguaglianza fondamentale di tutti gli uomini (v. 26). È quindi rimosso l'ostacolo della discriminazione religiosa tra giudei e gentili, come conferma anche l'amichevole conversazione tra Pietro e Cornelio (v. 27). Rivolgendosi al gruppo di non-giudei radunato in casa, Pietro esplicita (per annullarla) la regola della separazione voluta dalla Legge di Mosè, tra ebrei e stranieri. Siamo in presenza di un versetto centrale dell'intero libro: Pietro ha capito la visione degli animali e la concretizza entrando in casa di un pagano. Ma non basta: per Luca il racconto non ha ancora raggiunto la sua finalità ultima. Perciò fa formulare a Pietro un'ultima domanda: «Per quale motivo mi avete chiamato?». Come risposta, Cornelio racconta la visione da lui avuta (vv. 30-32). In conclusione, egli afferma la sua obbedienza immediata e crea l'attesa per il successivo discorso di Pietro.

Il discorso di Pietro Pietro inizia il suo discorso collocando il suo messaggio nel contesto; segue l'annuncio cristologico con un richiamo al ministero del Battista e di Gesù (conforme alla visione dell'evangelista), l'evento centrale della morte, risurrezione e apparizioni del Risorto, con l'invio a testimoniare. Alla fine, un breve accenno alla funzione di giudice e alla Scrittura, per introdurre il tema della fede e del perdono dei peccati. La tesi è formulata fin dall'inizio: la salvezza è destinata a tutti gli uomini (v. 34). Luca non cancella il privilegio d'Israele come popolo che ha ricevuto la rivelazione, ma afferma che il Vangelo nato in seno al popolo eletto è destinato al mondo intero. Luca tuttavia pone una condizione previa: il timore di Dio e il praticare la giustizia, cioè l'onore reso a Dio nell'accogliere la sua volontà e lo sforzo di incarnarla in un comportamento sociale conforme al volere divino. C'è in Luca una visione ottimista nei confronti del mondo pagano: ovunque possono esistere uomini che conducono una vita gradita a Dio; e le loro opere buone li dispongono ad accogliere il Vangelo. Cornelio ne è il prototipo. Il discorso di Pietro apre teologicamente alla missione universale; la predicazione nel mondo pagano ha per fondamento l'evento pasquale, con il quale Gesù è costituito sovrano universale e giudice escatologico; l'universalismo è preannunciato dalla Scrittura. Importanza particolare è data alla testimonianza apostolica e alla fede quale condizione di salvezza. Manca l'appello al pentimento, perché il contesto non lo esige.

La Pentecoste dei gentili Lo Spirito Santo è effuso su tutti i credenti pagani, provocando il parlare in lingue e la lode a Dio: gli effetti sono simili alla prima Pentecoste, e si svolgono sotto gli occhi dei presenti giudeo-cristiani, colti di sorpresa. In modo inatteso, lo Spirito Santo si comunica prima del battesimo. E quest'effusione dello Spirito, che interrompe al momento opportuno il discorso di Pietro, dimostra che la nascita della Chiesa con membri provenienti dal paganesimo non è frutto della decisione dell'uomo. Luca non vuole dunque negare il legame tra battesimo e dono dello Spirito Santo, ma mettere in luce l'iniziativa divina a favore dei pagani, che accolgono il Vangelo. Ciò implica che la nascita della Chiesa con membri provenienti dal paganesimo non è neanche la conseguenza del rifiuto d'Israele, ma è voluta direttamente da Dio. Nel nostro racconto l'autore sacro considera l'effusione dello Spirito non come un momento del rito battesimale, ma come la sua legittimazione, e il battesimo appare come un atto di obbedienza della Chiesa all'iniziativa divina. Questo dono rende i pagano-cristiani uguali ai giudeo-cristiani, ciò che Pietro esplicita al v. 47: «hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi». Luca pone in questo modo il fondamento dell'accesso dei pagani al battesimo cristiano, cosa che, storicamente, non avvenne senza esitazioni e conflitti. La seconda parte del v. 48 funge da pausa narrativa.


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Saulo vede la gloria di Gesù Risorto 1Saulo, spirando ancora minacce e stragi contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote 2e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco, al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme tutti quelli che avesse trovato, uomini e donne, appartenenti a questa Via. 3E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo 4e, cadendo a terra, udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?». 5Rispose: «Chi sei, o Signore?». Ed egli: «Io sono Gesù, che tu perséguiti! 6Ma tu àlzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare». 7Gli uomini che facevano il cammino con lui si erano fermati ammutoliti, sentendo la voce, ma non vedendo nessuno. 8Saulo allora si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco. 9Per tre giorni rimase cieco e non prese né cibo né bevanda. 10C’era a Damasco un discepolo di nome Anania. Il Signore in una visione gli disse: «Anania!». Rispose: «Eccomi, Signore!». 11E il Signore a lui: «Su, va’ nella strada chiamata Diritta e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso; ecco, sta pregando 12e ha visto in visione un uomo, di nome Anania, venire a imporgli le mani perché recuperasse la vista». 13Rispose Anania: «Signore, riguardo a quest’uomo ho udito da molti quanto male ha fatto ai tuoi fedeli a Gerusalemme. 14Inoltre, qui egli ha l’autorizzazione dei capi dei sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome». 15Ma il Signore gli disse: «Va’, perché egli è lo strumento che ho scelto per me, affinché porti il mio nome dinanzi alle nazioni, ai re e ai figli d’Israele; 16e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome». 17Allora Anania andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: «Saulo, fratello, mi ha mandato a te il Signore, quel Gesù che ti è apparso sulla strada che percorrevi, perché tu riacquisti la vista e sia colmato di Spirito Santo». 18E subito gli caddero dagli occhi come delle squame e recuperò la vista. Si alzò e venne battezzato, 19poi prese cibo e le forze gli ritornarono.

Paolo missionario a Damasco Rimase alcuni giorni insieme ai discepoli che erano a Damasco, 20e subito nelle sinagoghe annunciava che Gesù è il Figlio di Dio. 21E tutti quelli che lo ascoltavano si meravigliavano e dicevano: «Non è lui che a Gerusalemme infieriva contro quelli che invocavano questo nome ed era venuto qui precisamente per condurli in catene ai capi dei sacerdoti?». 22Saulo frattanto si rinfrancava sempre di più e gettava confusione tra i Giudei residenti a Damasco, dimostrando che Gesù è il Cristo. 23Trascorsero così parecchi giorni e i Giudei deliberarono di ucciderlo, 24ma Saulo venne a conoscenza dei loro piani. Per riuscire a eliminarlo essi sorvegliavano anche le porte della città, giorno e notte; 25ma i suoi discepoli, di notte, lo presero e lo fecero scendere lungo le mura, calandolo giù in una cesta.

Paolo a Gerusalemme 26Venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo. 27Allora Bàrnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. 28Così egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore. 29Parlava e discuteva con quelli di lingua greca; ma questi tentavano di ucciderlo. 30Quando vennero a saperlo, i fratelli lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso.

Sommario 31La Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria: si consolidava e camminava nel timore del Signore e, con il conforto dello Spirito Santo, cresceva di numero.

Pietro a Lidda e a Giaffa 32E avvenne che Pietro, mentre andava a far visita a tutti, si recò anche dai fedeli che abitavano a Lidda. 33Qui trovò un uomo di nome Enea, che da otto anni giaceva su una barella perché era paralitico. 34Pietro gli disse: «Enea, Gesù Cristo ti guarisce; àlzati e rifatti il letto». E subito si alzò. 35Lo videro tutti gli abitanti di Lidda e del Saron e si convertirono al Signore.

36A Giaffa c’era una discepola chiamata Tabità – nome che significa Gazzella – la quale abbondava in opere buone e faceva molte elemosine. 37Proprio in quei giorni ella si ammalò e morì. La lavarono e la posero in una stanza al piano superiore. 38E, poiché Lidda era vicina a Giaffa, i discepoli, udito che Pietro si trovava là, gli mandarono due uomini a invitarlo: «Non indugiare, vieni da noi!». 39Pietro allora si alzò e andò con loro. Appena arrivato, lo condussero al piano superiore e gli si fecero incontro tutte le vedove in pianto, che gli mostravano le tuniche e i mantelli che Gazzella confezionava quando era fra loro. 40Pietro fece uscire tutti e si inginocchiò a pregare; poi, rivolto al corpo, disse: «Tabità, àlzati!». Ed ella aprì gli occhi, vide Pietro e si mise a sedere. 41Egli le diede la mano e la fece alzare, poi chiamò i fedeli e le vedove e la presentò loro viva. 42La cosa fu risaputa in tutta Giaffa, e molti credettero nel Signore. 43Pietro rimase a Giaffa parecchi giorni, presso un certo Simone, conciatore di pelli.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

A partire da questo capitolo, Luca rivolge la sua attenzione con più decisione all'inizio della missione vera e propria nel mondo pagano, missione che sarà inaugurata da Pietro al c. 10, e della quale lo «strumento eletto» (9,15) sarà Paolo, di cui ora viene narrato l'incontro con il Risorto. Luca racconta la grande svolta nella vita di Saulo: da persecutore accanito a perseguitato ed evangelizzatore convinto. E questa svolta non è dovuta a un'evoluzione psicologica naturale, ma all'intervento diretto, inatteso, travolgente di Cristo risorto. Di conseguenza, la missione rivolta alle nazioni, di cui strumento principale sarà Paolo, non è frutto di un programma umano, ma è voluta e guidata da Dio. Le lettere di Paolo confermano la storicità globale della narrazione lucana (Gal 1,13-23; 1Cor 15,9-10; Fil 3,6). Ma, come sempre, il narratore vuole non tanto offrire un resoconto esatto e oggettivo dell'evento, quanto piuttosto interpretarlo e inserirlo bene nella trama del libro: riconosciamo che Luca è contemporaneamente storiografo, teologo, narratore e pedagogo.

Ciò che Saulo vede, secondo Luca, è «una luce dal cielo»: non direttamente il Risorto, ma la manifestazione gloriosa di Colui che ormai si trova presso Dio. Luca dunque distingue questa manifestazione dalle apparizioni di Gesù risorto ai Dodici prima dell'ascensione, così come vuole mettere in luce la singolarità dell'apparizione presso Damasco rispetto alle altre visioni del Risorto che Paolo avrà in seguito (cfr. 18,9-10; 23,11). Il cadere a terra è la reazione normale dell'uomo di fronte a una manifestazione divina (cfr. Ez 1,26-28). Per la composizione del dialogo tra il Risorto e Saulo (vv. 4b-6), Luca utilizza lo schema teofanico ricorrente nell'AT (cfr. Gen 22,1-2; 31,11-13; 46,2-3; ecc.): si apre con la duplice chiamata, seguita dalla domanda dell'uomo che serve a introdurre l'autorivelazione di Cristo («Io sono Gesù che tu perseguiti»: Gesù risorto si identifica con i suoi seguaci, in particolare quando sono perseguitati); ultimo elemento dello schema è l'invio in missione. Gesù ormai prende in mano il destino di Saulo e lo manda a Damasco... a farsi battezzare. Saulo non viaggia solo; sono con lui forse i compagni della medesima carovana, testimoni di una visione riservata soltanto al futuro evangelizzatore. Come effetto dell'apparizione, la cecità di Saulo non va compresa come una punizione, ma come il simbolo del cammino di fede, che porta l'interessato dalle tenebre alla luce al momento del battesimo. Aver bisogno di essere guidato caratterizza lo stato di totale impotenza, nel quale il feroce persecutore entra a Damasco. Con il v. 9 si conclude il primo insieme del racconto: Saulo è cieco e digiuna (luogo comune nella letteratura biblica: cfr. Es 34,28; Dt 9,9; ecc.) Il digiunare per tre giorni può essere anche compreso, secondo l'uso ecclesiale, come preparazione a ricevere il battesimo.

In modo parallelo avviene l'incontro del Risorto con Anania (vv. 10-16), che Luca presenta come «discepolo», cioè cristiano. Paolo non lo nomina mai nelle lettere. Anania serve da mediazione ecclesiale nell'accogliere Paolo nella comunità cristiana. Per ora, serve da intermediario tra il narratore e il lettore; a lui infatti Gesù comunica ciò che il lettore deve sapere sul futuro di Saulo. La risposta di Anania al Risorto è conforme alla disponibilità di un discepolo e Gesù lo invia all'indirizzo dove alloggia Saulo. L'incontro tra i due non è dovuto al caso, ma corrisponde a un disegno divino (come fa capire la doppia visione). Saulo è in preghiera, quindi pronto ad accogliere il messaggio di Anania. Quest'ultimo invece non accoglie subito il compito affidatogli: una reazione simile fa parte dello schema presente nei racconti di vocazione (Es 3,11; Ger 1,6; Le 1,18-19.34); inoltre permette di confermare al lettore che la vocazione di Paolo viene veramente da Cristo, e di precisarla nella forma di una “profezia programmatica”: Paolo è uno strumento scelto per testimoniare Cristo (nella sua vita cristiana e nella sua attività missionaria) di fronte ai pagani, ai re, agli Israeliti. L'ordine non corrisponde allo schema storico-salvifico (priorità d'Israele), ma annuncia le grandi tappe dell'attività paolina raccontata negli Atti.

Avviene quindi l'incontro “provvidenziale” tra Anania e Saulo (vv. 17-19a), che viene subito riconosciuto come «fratello», inserito nella famiglia di Dio. Anania gli impone le mani per un doppio fine: la guarigione e il dono dello Spirito Santo. L'autore vuole essere catecheticamente completo! Tuttavia Anania non rivela a Saulo quanto il Risorto gli ha detto sul destino del futuro missionario: l'informazione è riservata al lettore; così il racconto rimane volutamente un racconto di conversione e non di invio in missione. Perché? Probabilmente perché, secondo la logica del narratore, Pietro non ha ancora inaugurato la missione verso le nazioni pagane. In conclusione, tutto si risolve in modo positivo: Saulo ritrova la vista, riceve il battesimo e recupera le forze, segno di rinascita a vita nuova.

Saulo inizia subito la sua attività missionaria tra i giudei di Damasco, ciò che le lettere paoline confermavano in parte (Gal 1,15- 17). Ma Luca rimane fedele al suo punto di vista: prima dell'inaugurazione, della missione presso i pagani da parte di Pietro, Saulo opera soltanto nell'ambiente giudaico, mentre l'apostolo, nelle lettere, lascia intendere di aver lavorato tra i Nabatei (quindi pagani) nella parte meridionale di Damasco (Arabia).

Luca mette in luce due aspetti del nuovo convertito: il suo inserimento nella comunità cristiana e la sua attività di evangelizzatore. Questo legame è fondamentale per l'autore: l'evangelizzatore non è mai un uomo isolato dalla realtà ecclesiale. È interessante osservare questa immediata attività missionaria di Saulo che, nel racconto, non è stato finora inviato né dal Risorto né da Anania: probabilmente il narratore dipende da una tradizione paolina che i cristiani dell'epoca conoscevano. Alla stessa conclusione porta il contenuto della predicazione: «proclamare che Gesù è il Figlio di Dio»: è la prima e unica volta che Luca dà un tale contenuto del messaggio; e questo contenuto concorda con l'importanza che Paolo attribuisce al titolo di «Figlio» in senso pregnante (cfr. Gal 1,16) nelle sue lettere.

Lo stupore dei giudei (v. 21), a suo modo, mette in risalto il radicale cambiamento avvenuto in Saulo. Luca conclude menzionando il rafforzamento del battezzato e, di conseguenza, anche la crescita dell'ostilità degli ascoltatori; ciò prepara e introduce il complotto contro di lui. Infatti, Paolo vive presto ciò che è parte costitutiva della vita apostolica: la persecuzione (vv. 23-25). Luca rimane fedele alla sua visione storico-salvifica: Pietro non ha ancora inaugurato la missione nel mondo pagano; quindi, Paolo è minacciato soltanto dai giudei. Egli però sperimenta anche la protezione divina promessa agli apostoli. La sua fuga da Damasco è avventurosa, e lo stesso Paolo la ricorda in 2Cor 11,32-33; tuttavia il pericolo veniva da parte dei Nabatei, non dei giudei! E la fuga, sempre secondo Luca, avvenne «trascorsi parecchi giorni», mentre Paolo scrive dopo tre anni (Gal 1,18).

Paolo va a Gerusalemme e lì avviene l'incontro con gli apostoli. Luca sa che, dopo Damasco, Paolo è andato a Gerusalemme; ma, non conoscendo la lettera ai Galati, non ne conosce le ragioni e approfitta per presentare al lettore un suo motivo che considera fondamentale: stabilire la comunione tra il futuro grande missionario delle nazioni e il collegio dei Dodici. Per farlo, l'autore usa la tecnica narrativa del contrasto: il timore della comunità dinanzi all'ex-persecutore, seguito dall'accoglienza tra gli apostoli, grazie alla mediazione di Barnaba. Per Luca è l'occasione di introdurre di nuovo Barnaba che, tra poco, sarà protagonista nella missione a Cipro. Il redattore ha un'altra intenzione, che esplicita facendo fare a Saulo lo stesso percorso di Stefano: l'apostolato tra gli ellenisti di Gerusalemme, la minaccia di morte da parte loro. Luca, in altre parole, fa assumere a Paolo un comportamento, che redime l'atteggiamento negativo di complicità che egli aveva dimostrato alla morte di Stefano (8,1a). Paolo viene sollevato da tale complicità e ora appare come il degno successore del primo martire.

La partenza di Saulo da Gerusalemme verso Tarso concorda con le indicazioni di Gal 1,21 dove l'apostolo scrive di essersi recato nelle regioni della Siria e della Cilicia che, dal 44 d.C., costituiscono un'unica provincia romana. Ritroveremo Paolo nella narrazione degli Atti a partire da 11,25. Ma già il narratore ha saputo dare al lettore il ritratto di un Paolo dedito con zelo e senza paura alla missione, pur sotto la costante minaccia di persecuzione, e sempre in perfetta unità con il collegio dei Dodici.

Il versetto 31 fa da sommario che serve a segnare un tempo di pausa. Luca guarda indietro, al cammino percorso e fa il punto della situazione della Chiesa. In essa regna la pace non soltanto nel senso di assenza di persecuzione, ma anche come riflesso di una pienezza di vita inaugurata dall'evento-Cristo. Da notare la concentrazione di immagini: l'unica Chiesa si moltiplica, si edifica (idea della costruzione, del tempio) e cammina (idea della via vissuta in santità). Il tutto «nel timore di Dio», cioè in un atteggiamento di obbedienza al volere divino, quindi di disponibilità che permette a Dio di prendere in mano le redini dello sviluppo. La Chiesa è animata dalla forza dello Spirito Santo, visto ora nella sua funzione di consolatore e protettore all'interno della comunità.

Con il v. 32 si apre una nuova sezione in cui si racconta come Pietro inaugura la missione vera e propria verso i pagani.

La guarigione di un paralitico viene narrata secondo lo schema abituale: presentazione del malato, parola autorevole di Pietro, guarigione istantanea e reazione dei presenti. A Luca interessa la figura di Pietro, portavoce del collegio dei Dodici, sempre presente in tutti i momenti di svolta della missione della Chiesa nel contesto dell'ambiente giudaico. L'autore prende un racconto preesistente e, come sua abitudine, lo inserisce nella trama narrativa degli Atti. Pietro è presentato in “visita pastorale” presso «i santi», cioè i cristiani di Lidda, circa 40 km a nord-ovest di Gerusalemme. È un tipico racconto di guarigione, semplice ed essenziale. Da notare l'espressione: «Gesù Cristo ti guarisce», variazione esplicativa di «nel nome di Gesù»; dunque è il Risorto che è all'opera. La guarigione avviene istantaneamente; il guarito, però, non prende il lettuccio e se ne va (cfr. Lc 5,24), ma si fa il letto da sé, visto che si trova a casa sua! Come conclusione, Luca introduce il tema della conversione e lo generalizza a tutti gli abitanti della regione.

Pietro a Giaffa rianima una discepola di nome Tabita. Il racconto ha senza dubbio un fondamento storico, ma viene trasformato in un miracolo di risurrezione che si ispira direttamente, per la composizione, ai miracoli di questo tipo presenti nell'AT: 1Re 17,17-23 e 2Re 4,19-37 con un'influenza di Mc 5,40- 41. Luca s'interessa anche a Tabita descritta come la donna cristiana ideale, che si distingue per le buone opere; e non manca di presentare il miracolo nella trama del libro come un miracolo a servizio della diffusione della Parola (v. 42). Infine, come racconto di risurrezione, non poteva non fare riferimento alla risurrezione di Gesù, premessa della nostra, e diventare un insegnamento per la fede: chi ama non rimane nella morte. La storia si svolge a Giaffa, oggi Tel Aviv, e riguarda una certa Tabita, nome aramaico conosciuto, e tradotto correttamente con “Gazzella”. La donna è un modello di comportamento cristiano (e anche giudaico) e il narratore sa che Dio non dimentica chi fa opere di bene. Tabita muore, il suo corpo viene lavato secondo l'uso antico, ma non imbalsamato né sepolto: è posto in attesa dell'arrivo di Pietro. L'apostolo trova le vedove radunate per il lamento sulla defunta: è la funzione delle prefiche (Mc 5,38), ma il pianto appare sincero, perché eseguito da persone che hanno beneficiato delle buone opere di Tabita. Al comando dell'apostolo, ella apre gli occhi e si siede. Pietro completa il “risveglio” dandole la mano, non per comunicare una forza vitale (cfr. Lc 8,54) ma come gesto di aiuto, e poi la affida alla comunità. Come nella conclusione della narrazione precedente (v. 35), viene introdotto il tema della fede. Luca mette quindi i due racconti in parallelo, sotto il segno della diffusione della Parola, secondo il programma missionario del libro. Anche il miracolo, e non soltanto la parola, diventa testimonianza. Il v. 43, una sorta di sommario, funge da transizione con il racconto successivo. Il soggiorno di Pietro a Giaffa presso un conciatore – mestiere disprezzato – di nome Simone, può essere un ricordo storico; ma si trova al posto giusto? Normalmente Pietro dovrebbe tornare a Lidda da dove proveniva.


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Conclusione del martirio di Stefano 1Saulo approvava la sua uccisione.

LA DIFFUSIONE DELLA PAROLA OLTRE GERUSALEMME (8,1b-14,28)

Transizione In quel giorno scoppiò una violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme; tutti, ad eccezione degli apostoli, si dispersero nelle regioni della Giudea e della Samaria. 2Uomini pii seppellirono Stefano e fecero un grande lutto per lui. 3Saulo intanto cercava di distruggere la Chiesa: entrava nelle case, prendeva uomini e donne e li faceva mettere in carcere. 4Quelli però che si erano dispersi andarono di luogo in luogo, annunciando la Parola.

L'attività di Filippo missionario in Samaria 5Filippo, sceso in una città della Samaria, predicava loro il Cristo. 6E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva. 7Infatti da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti. 8E vi fu grande gioia in quella città.

Simone il mago 9Vi era da tempo in città un tale di nome Simone, che praticava la magia e faceva strabiliare gli abitanti della Samaria, spacciandosi per un grande personaggio. 10A lui prestavano attenzione tutti, piccoli e grandi, e dicevano: «Costui è la potenza di Dio, quella che è chiamata Grande». 11Gli prestavano attenzione, perché per molto tempo li aveva stupiti con le sue magie. 12Ma quando cominciarono a credere a Filippo, che annunciava il vangelo del regno di Dio e del nome di Gesù Cristo, uomini e donne si facevano battezzare. 13Anche lo stesso Simone credette e, dopo che fu battezzato, stava sempre attaccato a Filippo. Rimaneva stupito nel vedere i segni e i grandi prodigi che avvenivano.

Pietro e Giovanni in Samaria 14Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samaria aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni. 15Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; 16non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. 17Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.

Pietro e Simone il mago 18Simone, vedendo che lo Spirito veniva dato con l’imposizione delle mani degli apostoli, offrì loro del denaro 19dicendo: «Date anche a me questo potere perché, a chiunque io imponga le mani, egli riceva lo Spirito Santo». 20Ma Pietro gli rispose: «Possa andare in rovina, tu e il tuo denaro, perché hai pensato di comprare con i soldi il dono di Dio! 21Non hai nulla da spartire né da guadagnare in questa cosa, perché il tuo cuore non è retto davanti a Dio. 22Convèrtiti dunque da questa tua iniquità e prega il Signore che ti sia perdonata l’intenzione del tuo cuore. 23Ti vedo infatti pieno di fiele amaro e preso nei lacci dell’iniquità». 24Rispose allora Simone: «Pregate voi per me il Signore, perché non mi accada nulla di ciò che avete detto».

Sommario della missione di Samaria 25Essi poi, dopo aver testimoniato e annunciato la parola del Signore, ritornavano a Gerusalemme ed evangelizzavano molti villaggi dei Samaritani.

Filippo e l'eunuco etiope 26Un angelo del Signore parlò a Filippo e disse: «Àlzati e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta». 27Egli si alzò e si mise in cammino, quand’ecco un Etìope, eunuco, funzionario di Candace, regina di Etiopia, amministratore di tutti i suoi tesori, che era venuto per il culto a Gerusalemme, 28stava ritornando, seduto sul suo carro, e leggeva il profeta Isaia. 29Disse allora lo Spirito a Filippo: «Va’ avanti e accòstati a quel carro». 30Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». 31Egli rispose: «E come potrei capire, se nessuno mi guida?». E invitò Filippo a salire e a sedere accanto a lui. 32Il passo della Scrittura che stava leggendo era questo: Come una pecora egli fu condotto al macello e come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca. 33Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato, la sua discendenza chi potrà descriverla? Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita. 34Rivolgendosi a Filippo, l’eunuco disse: «Ti prego, di quale persona il profeta dice questo? Di se stesso o di qualcun altro?». 35Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo della Scrittura, annunciò a lui Gesù. 36Proseguendo lungo la strada, giunsero dove c’era dell’acqua e l’eunuco disse: «Ecco, qui c’è dell’acqua; che cosa impedisce che io sia battezzato?». [37] 38Fece fermare il carro e scesero tutti e due nell’acqua, Filippo e l’eunuco, ed egli lo battezzò. 39Quando risalirono dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più; e, pieno di gioia, proseguiva la sua strada. 40Filippo invece si trovò ad Azoto ed evangelizzava tutte le città che attraversava, finché giunse a Cesarèa.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

Conclusione del martirio di Stefano e transizione Un'annotazione come tra parentesi (At 7,58) ha menzionato per la prima volta Saulo: è parte della tecnica narrativa introdurre in anticipo un personaggio che avrà in seguito un ruolo da protagonista. Viene detto «giovane» più per buon senso che per un'informazione storica. Il legame tra la morte di Stefano e la presenza di Saulo permette di introdurre quest'ultimo nell'atteggiamento di ostilità, che lo caratterizzava prima della conversione (8,1a).

Il narratore utilizza la tecnica dell'incastro per far incrociare temi antecedenti (Stefano) con temi successivi (missione in Samaria e conversione di Saulo). Notiamo l'ordine: persecuzione generalizzata, sepoltura dignitosa di Stefano, Saulo accanito persecutore, diffusione della Parola. Il quadro descrittivo dà un effetto di drammatizzazione; scoppia una grande persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme che provoca una dispersione generale. Il narratore sottolinea l'attività persecutoria di Saulo, e così prepara il racconto della sua conversione (At 9). Ma se la persecuzione fu generale contro la Chiesa di Gerusalemme, come mai gli apostoli possono stare tranquillamente nella città santa (cfr. 8, 1.14)? Sul piano storico, l'ostilità toccò soltanto i cristiani di lingua greca residenti a Gerusalemme. A Luca preme mettere in luce l'aspetto positivo della persecuzione: lungi dal provocare la distruzione, essa produce la diffusione del Vangelo e, di conseguenza, l'inizio della seconda tappa del programma annunciato dal Risorto: la missione in Giudea e in Samaria.

La missione in Samaria L'attenzione del narratore si concentra sulla missione fuori delle mura di Gerusalemme, senza però perdere di vista l'importanza della Chiesa-madre, centro d'unità e, al suo interno, il collegio degli apostoli. Il Vangelo si diffonde rapidamente e in tutte le direzioni. Non viene dimenticato l'agire divino, che guida la missione. Alla Pentecoste di Gerusalemme succede la “Pentecoste” dei Samaritani (8,17) e quella dei pagani (10,44-45). Per ora Luca si limita alla missione in Samaria. In questa unità letteraria si possono distinguere quattro scene. L'attività di Filippo (vv. 5-8). Filippo è uno dei Sette, soprannominato «l'evangelista» (21,8) per la sua attività missionaria. Cacciato da Gerusalemme a causa della persecuzione, svolge la sua missione nella città della Samaria, probabilmente nella capitale che allora si chiamava Sebaste Augusta. Il narratore presenta un quadro generale della sua predicazione, che ricorda la vita della primissima comunità di Gerusalemme: ascolto attento, unanimità, esorcismi e guarigioni come segni, la gioia come effetto. Per Luca, i Samaritani si mostrano globalmente favorevoli al Vangelo. Il racconto appare come una sorta di sommario.

La scena cambia: appare il mago Simone. Costui esercitava il suo fascino in quella medesima città ben prima dell'arrivo di Filippo. La pratica magica era un fenomeno diffuso nel mondo ellenistico, ma proibito dalla Legge di Mosè (cfr. Lv 19,31; 20,6-27; Dt 18,10-11). L'arte magica preoccupa Luca, che ne parla a diverse riprese negli Atti; egli tiene a far risaltare la differenza con l'attività taumaturgica dei missionari cristiani; forse qualche cristiano rimaneva ancora esposto a tale fascino? L'autore afferma che il mago veniva acclamato: «Costui è la potenza di Dio chiamata “la grande”». Probabilmente la folla acclamava Simone che proclamava: «io sono “la grande potenza”». Si considerava l'incarnazione del Dio supremo e si reputava «uomo divino» quali ne circolavano in quell'epoca, incarnazione benefica di una divinità discesa in terra, che si manifestava con miracoli di ogni genere... e che Luca riduce a semplice magia. La figura storica di questo Simone ci sfugge e non ha importanza. Luca non punta a informare, ma a insegnare.

Con il v. 12 si ritorna alla predicazione di Filippo. Il narratore non parla più di miracoli. La vera fede infatti nasce dalla predicazione, e Luca ne sintetizza il contenuto: il Regno di Dio e il nome di Gesù. Il Regno di Dio esprime la continuità con il messaggio del Maestro di Nazaret, mentre il nome di Gesù mette in luce la novità dell'evento pasquale. Il versetto successivo (v. 13) presenta l'incontro tra Filippo e il mago. Caratte- rizzata dalla fede e dal battesimo, la conversione di Simone appare autentica nella presentazione che ne fa Luca. L'interesse del mago per i miracoli è successivo alla sua conversione e prepara l'incontro con Pietro. Perché Luca tiene a registrare questa conversione? Evidentemente vuole mostrare al lettore la superiorità dell'at- tività cristiana su quella del mago: la folla, che andava in estasi di fronte ai prodigi di Simone, vede ora quest'ultimo andare in estasi di fronte al potere di Filippo! Il narratore aggiunge che Simone stava sempre vicino a Filippo, ma adesso quest'ultimo scompare dalla scena e troviamo Simone accanto a Pietro! Forse queste fratture narrative sono dovute al modo di mettere insieme le tradizioni che Luca ha a disposizione.

Giungono Pietro e Giovanni, inviati dal collegio degli apostoli: la loro venuta presuppone la conversione dei Samaritani. Lo scopo immediato della loro visita è la preghiera per il dono dello Spirito Santo, così da inserire la comunità samaritana nella comunione dell'unica Chiesa fondata sugli apostoli. Ma il dono dello Spirito Santo non è forse legato al battesimo? Con molta probabilità Luca si riferisce a due elementi essenziali che facevano parte di un medesimo rito: il battesimo collegato al perdono dei peccati e l'imposizione delle mani insieme alla preghiera per ottenere il dono dello Spirito. Si tratta dunque di due momenti dello stesso rito, che l'autore sacro ora distingue per l'insegnamento che vuole dare: i Samaritani convertiti entrano a pieno diritto nella Chiesa fondata sugli apostoli. Non bisogna allora isolare il rito dell'imposizione delle mani dal contesto battesimale e considerarlo come diritto esclusivo degli apostoli e dei loro successori.

Nell'ultima scena avviene l'incontro tra Simone e Pietro. La scena tuttavia non s'adatta bene al contesto: come spiegare il comportamento di Simone che, diventato cristiano, ha ricevuto il dono dello Spirito Santo come tutti i Samaritani convertiti? Inoltre, adesso lo attrae non il potere di fare miracoli (cfr. 8,13), ma quello di comunicare lo Spirito Santo. Forse ora Luca ha di mira non tanto il problema della magia, quanto piuttosto un problema interno alla comunità del suo tempo: il pericolo legato alla simonia. La forte reazione di Pietro va in tale senso. Come per Anania e Saffìra, l'apostolo smaschera la malvagità nel cuore di Simone e la condanna severamente. Tuttavia Pietro conclude le sue minacce non con una dichiarazione punitiva, ma con un appello alla conversione. Questa richiesta di conversione e la preghiera per il perdono dei peccati non riguardano la prima conversione, cioè il diventare cristiano, bensì il pentimento per un peccato commesso dopo il battesimo. In questo testo affiora la problematica della seconda conversione, che tanto farà discutere in epoca patristica. Simone si pente (v. 24); la sua richiesta di pregare a suo favore riflette l'intento lucano di insegnare: è un invito al pentimento per il peccatore, ma anche ad accogliere nella comunione ecclesiale chi si pente.

Il v. 25 è un sommario che generalizza la predicazione in Samaria. I due apostoli vanno oltre il motivo del loro invio da parte del collegio degli apostoli (cfr. 8,14) e, come Gesù, annunciano il Vangelo nei villaggi. E così la missione in Samaria può essere attribuita agli apostoli conformemente alla parola del Risorto (1,8).

Filippo e l'eunuco etiope La collocazione di questo brano nel libro degli Atti non è casuale: la conversione dell'eunuco segna una tappa nuova nella diffusione del Vangelo, che dal giudaismo avanza verso il mondo pagano. Dopo i Samaritani, visti da Luca come dei giudei paganizzanti, ecco nella persona dell'eunuco un pagano giudaizzante. Narrativamente il brano prepara il lettore all'episodio di Cornelio, cioè alla conversione di un vero pagano (At 10). Logicamente il narratore deve prima raccontare la conversione di Saulo, il futuro grande evangelizzatore delle nazioni (At 9,1-30). Il brano della conversione dell'eunuco doveva essere un racconto in origine indipendente dal contesto attuale. Filippo, infatti, appare non come un missionario taumaturgico, ma come un uomo dello Spirito guidato da Dio, con molti aspetti in comune con i profeti Elia ed Eliseo. L'intento didattico pervade il testo. Viene descritto in modo paradigmatico il cammino di fede che porta l'eunuco a diventare cristiano: l'apertura dell'uomo alla verità, l'approccio guidato alla Scrittura letta in chiave cristologica, il battesimo. Può anche essere significativo per l'autore sacro il fatto che si tratti di un eunuco (il suo battesimo significa superamento del divieto di appartenenza al popolo di Dio: Dt 23,2), e la sua origine etiope ricorda la missione fino ai confini della terra. Storicamente l'attività di Filippo si inserisce nel più ampio quadro della missione degli ellenisti nella pianura costiera, al margine della terra santa, in città come Gaza, Azoto, Cesarea. Non c'è alcun legame letterario con la scena precedente. Filippo sembra trovarsi a Gerusalemme e un angelo, agente soprannaturale a servizio della missione, lo manda sulla via che conduce a Gaza: l'evangelizzazione si estende anche verso il sud, fino a lambire il deserto. La disponibilità di Filippo è totale. Al v. 27 entra in scena la persona da incontrare, un Etiope, quindi proveniente dalla lontana Africa, ai confini del mondo; «un eunuco», forse sinonimo di «alto funzionario» (senza un necessario riferimento a una condizione fisica) a servizio della regina degli Etiopi. Egli simpatizza con il monoteismo giudaico e torna a casa dopo aver compiuto un viaggio a Gerusalemme. Legge il libro di Isaia, ad alta voce com'era abituale nell'antichità. Dopo l'angelo è lo Spirito a guidare Filippo, che obbedisce prontamente: si accosta al carro e, senza salutare, affronta l'argomento; Luca non si perde in inutili digressioni. Il dialogo è formulato in modo da introdurre l'interpretazione cristiana del testo isaiano, scelto non casualmente. Esso permette l'applicazione all'umiliazione-esaltazione di Gesù. Con la domanda (v. 34) l'eunuco offre a Filippo di avviare il suo insegnamento catechetico: si parte dalla Scrittura per arrivare all'evento-Cristo. La catechesi si conclude con il rito battesimale: l'acqua necessaria è a disposizione. Il battesimo dell'Etiope è raccontato con rapidità. Raggiunto il suo fine, la narrazione si chiude rapidamente con l'improvvisa scomparsa di Filippo ad opera dello Spirito del Signore. Nel cuore del neo-battezzato rimane la gioia. L'intera scena non manca di far venire in mente al lettore il racconto dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35). L'insieme si conclude a mo' di sommario sull'attività missionaria di Filippo lungo la costa da Azoto (circa 30 km a nord di Gaza) fino a Cesarea Marittima, dove Filippo si stabilirà (21,8).


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Il discorso di Stefano 1Disse allora il sommo sacerdote: «Le cose stanno proprio così?». 2Stefano rispose: «Fratelli e padri, ascoltate: il Dio della gloria apparve al nostro padre Abramo quando era in Mesopotamia, prima che si stabilisse in Carran, 3e gli disse: Esci dalla tua terra e dalla tua gente e vieni nella terra che io ti indicherò. 4Allora, uscito dalla terra dei Caldei, si stabilì in Carran; di là, dopo la morte di suo padre, Dio lo fece emigrare in questa terra dove voi ora abitate. 5In essa non gli diede alcuna proprietà, neppure quanto l’orma di un piede e, sebbene non avesse figli, promise di darla in possesso a lui e alla sua discendenza dopo di lui. 6Poi Dio parlò così: La sua discendenza vivrà da straniera in terra altrui, tenuta in schiavitù e oppressione per quattrocento anni. 7Ma la nazione di cui saranno schiavi, io la giudicherò – disse Dio – e dopo ciò usciranno e mi adoreranno in questo luogo. 8E gli diede l’alleanza della circoncisione. E così Abramo generò Isacco e lo circoncise l’ottavo giorno e Isacco generò Giacobbe e Giacobbe i dodici patriarchi. 9Ma i patriarchi, gelosi di Giuseppe, lo vendettero perché fosse condotto in Egitto. Dio però era con lui 10e lo liberò da tutte le sue tribolazioni e gli diede grazia e sapienza davanti al faraone, re d’Egitto, il quale lo nominò governatore dell’Egitto e di tutta la sua casa. 11Su tutto l’Egitto e su Canaan vennero carestia e grande tribolazione e i nostri padri non trovavano da mangiare. 12Giacobbe, avendo udito che in Egitto c’era del cibo, vi inviò i nostri padri una prima volta; 13la seconda volta Giuseppe si fece riconoscere dai suoi fratelli e così fu nota al faraone la stirpe di Giuseppe. 14Giuseppe allora mandò a chiamare suo padre Giacobbe e tutta la sua parentela, in tutto settantacinque persone. 15Giacobbe discese in Egitto. Egli morì, come anche i nostri padri; 16essi furono trasportati in Sichem e deposti nel sepolcro che Abramo aveva acquistato, pagando in denaro, dai figli di Emor, a Sichem. 17Mentre si avvicinava il tempo della promessa fatta da Dio ad Abramo, il popolo crebbe e si moltiplicò in Egitto, 18finché sorse in Egitto un altro re, che non conosceva Giuseppe. 19Questi, agendo con inganno contro la nostra gente, oppresse i nostri padri fino al punto di costringerli ad abbandonare i loro bambini, perché non sopravvivessero. 20In quel tempo nacque Mosè, ed era molto bello. Fu allevato per tre mesi nella casa paterna 21e, quando fu abbandonato, lo raccolse la figlia del faraone e lo allevò come suo figlio. 22Così Mosè venne educato in tutta la sapienza degli Egiziani ed era potente in parole e in opere. 23Quando compì quarant’anni, gli venne il desiderio di fare visita ai suoi fratelli, i figli d’Israele. 24Vedendone uno che veniva maltrattato, ne prese le difese e vendicò l’oppresso, uccidendo l’Egiziano. 25Egli pensava che i suoi fratelli avrebbero compreso che Dio dava loro salvezza per mezzo suo, ma essi non compresero. 26Il giorno dopo egli si presentò in mezzo a loro mentre stavano litigando e cercava di rappacificarli. Disse: “Uomini, siete fratelli! Perché vi maltrattate l’un l’altro?”. 27Ma quello che maltrattava il vicino lo respinse, dicendo: “Chi ti ha costituito capo e giudice sopra di noi? 28Vuoi forse uccidermi, come ieri hai ucciso l’Egiziano?”. 29A queste parole Mosè fuggì e andò a vivere da straniero nella terra di Madian, dove ebbe due figli. 30Passati quarant’anni, gli apparve nel deserto del monte Sinai un angelo, in mezzo alla fiamma di un roveto ardente. 31Mosè rimase stupito di questa visione e, mentre si avvicinava per vedere meglio, venne la voce del Signore: 32“Io sono il Dio dei tuoi padri, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”. Tutto tremante, Mosè non osava guardare. 33Allora il Signore gli disse: “Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo in cui stai è terra santa. 34Ho visto i maltrattamenti fatti al mio popolo in Egitto, ho udito il loro gemito e sono sceso a liberarli. Ora vieni, io ti mando in Egitto”. 35Questo Mosè, che essi avevano rinnegato dicendo: “Chi ti ha costituito capo e giudice?”, proprio lui Dio mandò come capo e liberatore, per mezzo dell’angelo che gli era apparso nel roveto. 36Egli li fece uscire, compiendo prodigi e segni nella terra d’Egitto, nel Mar Rosso e nel deserto per quarant’anni. 37Egli è quel Mosè che disse ai figli d’Israele: “Dio farà sorgere per voi, dai vostri fratelli, un profeta come me”. 38Egli è colui che, mentre erano radunati nel deserto, fu mediatore tra l’angelo, che gli parlava sul monte Sinai, e i nostri padri; egli ricevette parole di vita da trasmettere a noi. 39Ma i nostri padri non vollero dargli ascolto, anzi lo respinsero e in cuor loro si volsero verso l’Egitto, 40dicendo ad Aronne: “Fa’ per noi degli dèi che camminino davanti a noi, perché a questo Mosè, che ci condusse fuori dalla terra d’Egitto, non sappiamo che cosa sia accaduto”. 41E in quei giorni fabbricarono un vitello e offrirono un sacrificio all’idolo e si rallegrarono per l’opera delle loro mani. 42Ma Dio si allontanò da loro e li abbandonò al culto degli astri del cielo, come è scritto nel libro dei Profeti: Mi avete forse offerto vittime e sacrifici per quarant’anni nel deserto, o casa d’Israele? 43Avete preso con voi la tenda di Moloc e la stella del vostro dio Refan, immagini che vi siete fabbricate per adorarle! Perciò vi deporterò al di là di Babilonia. 44Nel deserto i nostri padri avevano la tenda della testimonianza, come colui che parlava a Mosè aveva ordinato di costruirla secondo il modello che aveva visto. 45E dopo averla ricevuta, i nostri padri con Giosuè la portarono con sé nel territorio delle nazioni che Dio scacciò davanti a loro, fino ai tempi di Davide. 46Costui trovò grazia dinanzi a Dio e domandò di poter trovare una dimora per la casa di Giacobbe; 47ma fu Salomone che gli costruì una casa. 48L’Altissimo tuttavia non abita in costruzioni fatte da mano d’uomo, come dice il profeta: 49Il cielo è il mio trono e la terra sgabello dei miei piedi. Quale casa potrete costruirmi, dice il Signore, o quale sarà il luogo del mio riposo? 50Non è forse la mia mano che ha creato tutte queste cose? 51Testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie, voi opponete sempre resistenza allo Spirito Santo. Come i vostri padri, così siete anche voi. 52Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete diventati traditori e uccisori, 53voi che avete ricevuto la Legge mediante ordini dati dagli angeli e non l’avete osservata».

Il martirio di Stefano 54All’udire queste cose, erano furibondi in cuor loro e digrignavano i denti contro Stefano. 55Ma egli, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio 56e disse: «Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio». 57Allora, gridando a gran voce, si turarono gli orecchi e si scagliarono tutti insieme contro di lui, 58lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero i loro mantelli ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. 59E lapidavano Stefano, che pregava e diceva: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». 60Poi piegò le ginocchia e gridò a gran voce: «Signore, non imputare loro questo peccato». Detto questo, morì.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

Il discorso di Stefano Il discorso ha diverse caratteristiche proprie: è il più lungo discorso degli Atti; è la prima presentazione cristiana della storia d'Israele in alcune sue tappe: storia di Dio con Abram (vv. 1-8), con Giuseppe (vv. 9-16), con Mosè (vv. 17-43), il tutto orientato verso la costruzione del tempio di Gerusalemme (vv. 44-50); la narrazione ha una sua originalità. Non sono menzionati i periodi dei Giudici, di Saul e Davide della monarchia. Il discorso corrisponde poco al contesto immediato: Stefano non risponde alle accuse mosse contro di lui dal sinedrio, ma svolge una severa requisitoria che sottolinea la costante disobbedienza degli Israeliti, requisitoria che porterà alla sua uccisione. Ma per l'autore sacro la composizione occupa la giusta posizione nella trama del libro. Scrivendo dopo il 70 d.C. e alla luce della storia d'Israele, Luca propone una lettura cristiana dell'esperienza della Chiesa in rapporto al popolo eletto. Egli vede un collegamento tra la morte di Gesù, la distruzione del tempio e la crescita di un popolo di Dio, cui appartengono persone provenienti dal giudaismo e dal paganesimo. Ne deriva l'importanza data al tema del tempio, simbolo della presenza di YHWH in mezzo a Israele; la sua distruzione è segno che Dio non si lascia rinchiudere in una casa di pietre, segno quindi del superamento del giudaismo, che legittima la missione universale della Chiesa. Proprio il martirio di Stefano inaugurerà l'uscita del Vangelo dai confini di Israele.

Stefano parla ai presenti chiamandoli «fratelli e padri», affermazione di appartenenza alla stessa famiglia religiosa, nonché di rispetto per l'autorità del sinedrio. Il suo discorso inizia con la storia di Abramo, che è all'origine della storia d'Israele, ma dipende interamente da Dio. Dio porta Abramo nella terra che sarà la futura terra del popolo, ma che rimane straniera per l'antenato. La parte del discorso di Stefano dedicata ad Abramo si conclude con una frase di Dio che Luca prende da Gen 15,13-14 e riguarda il soggiorno della discendenza di Abramo in Egitto, ma anche la sua liberazione. Dio non ha dimenticato la propria promessa: farà uscire gli Ebrei ed essi «mi presteranno un culto in questo luogo», cioè nel tempio. Luca ha delineato un profilo di Abramo ad hoc: il patriarca è il depositario della promessa divina per i suoi discendenti. La sua obbedienza, data per scontata, serve a sottolineare l'iniziativa di Dio e la sua fedeltà alla promessa.

La seconda parte del discorso è dedicata al patriarca Giuseppe. Luca riassume la storia e ne dà l'orientamento. In questa vicenda viene messa in risalto una costante della storia della salvezza: il contrasto tra gli inviati di Dio, pieni di grazia e di sapienza, e la testardaggine degli Israeliti. Il narratore inoltre relativizza Canaan come futura terra promessa: dinanzi alla carestia, segno di morte, l'Egitto diventa luogo di salvezza; in Canaan c'è fame, in Egitto c'è pane. «I nostri padri» trovano aiuto in Egitto e tornano in Canaan soltanto per esservi sepolti.

La storia di Mosè è la parte più sviluppata del discorso. A Luca Mosè interessa come figura profetica. Egli incarna il compimento della promessa indirizzata ad Abramo: liberare il popolo dalla schiavitù (cfr. v. 7); a sua volta, Mosè sta all'origine di una nuova promessa, che rimanda a Gesù (v. 37). Emerge un discreto parallelismo tra Mosè e Gesù. Mosè ha realmente compiuto il disegno di liberare Israele dalla schiavitù, come Gesù quello di salvare Israele e le nazioni; entrambi si sono scontrati con l'opposizione degli Israeliti. Inoltre l'adorazione del vitello, incarnazione dell'idolatria, è proprio la negazione totale del culto al vero Dio, e mostra la disobbedienza come una costante della storia d'Israele. In tutto ciò si riflette anche la situazione attuale (per il tempo di Luca) degli ebrei nei confronti di Gesù e della predicazione cristiana.

Stefano conclude con una violenta accusa, che provocherà la reazione omicida dei presenti. La storia d'Israele ha messo in luce un popolo in costante opposizione allo Spirito di Dio. Uccidendo Gesù il Giusto, il sinedrio porta al culmine questa linea di disobbedienza. Significativamente Stefano si stacca dai giudei; non parla più dei «nostri padri» (vv. 11.12.15.38.39.44-45), ma li chiama «i vostri padri» (v. 51). L'ultima accusa di Stefano (la non osservanza della Legge) è inattesa, sopratutto se rivolta a un giudaismo che tendeva a promuovere una meticolosa osservanza della Torà. Certamente Luca pensa a una osservanza che, al di là della lettera, sa cogliere il disegno divino orientato al Messia Gesù. Il discorso di Stefano finisce dunque con una dura condanna, senza appello alla conversione. Una tale condanna si inserisce bene nel contesto del libro e riflette anche la situazione della comunità cristiana al tempo di Luca: emerge l'esperienza deludente della Chiesa della fine del I secolo nei confronti del mondo giudaico. È inopportuno vedere nelle dure accuse di Stefano dei tratti antisemitici. L'autore si situa nella linea anticotestamentaria delle accuse dei profeti: la storia d'Israele come storia di ribellione a Dio è uno schema che percorre tutto l'Antico Testamento.

Il martirio di Stefano Secondo una buona tattica narrativa, il discorso viene interrotto al momento voluto, allorché l'oratore allude alla morte di Gesù per mano dei contemporanei: la disobbedienza del passato si ripete nel presente. Stefano è il primo martire della Chiesa di cui viene raccontata la morte; egli muore per la sua fede nel Risorto. Luca tuttavia non si ferma al resoconto della sua uccisione. Quest'ultima viene inserita nella trama del libro: si conclude la narrazione della vita della Chiesa di Gerusalemme e, dal martirio di Stefano, nasce la prima diffusione del Vangelo fuori dalle mura della città. L'intento di edificare è sempre presente: Stefano, conformato a Gesù, muore da vero cristiano, esempio di fedeltà e di coraggio per tutti i credenti. Alla tattica narrativa si deve anche il rapido e primo accenno a Paolo (Saulo). Nei vv. 54-56 il narratore contrappone con forza la violenta reazione dei sinedriti alla visione di Stefano; reazione violenta prima interiore (rabbia) all'ascolto del discorso, poi esteriorizzata in urla (crescendo narrativo), quando Stefano vede la gloria divina, cioè lo splendore di Dio, e dice di vedere Gesù, il Figlio dell'uomo, in piedi alla Sua destra (cfr. Sai 11O,1). A differenza del Sal 110 e della tradizione cristiana che l'ha assunto, il Figlio dell'uomo non è visto nella posizione seduta, ma in piedi: forse l'autore voleva dire semplicemente che Gesù risorto si trova ormai presso Dio, o voleva dare un significato pregnante allo stare in piedi (per accogliere Stefano, o in veste di avvocato che difende il suo testimone, o come giudice accusatore dei persecutori)? A partire dal v. 57, la scena prende i tratti di un linciaggio. La lapidazione avviene, come si deve, fuori della città; essa era usata contro bestemmiatori, idolatri, ma, nella tradizione giudaica, era anche il destino dei profeti, destino che Gesù stesso aveva annunciato per gli inviati di Dio (Mt 23,29-31). Stefano muore da testimone di Cristo. La sua ultima invocazione lo rende del tutto conforme al Maestro (cfr. Le 23,46) proclamato «Signore» (v. 59). Gesù viene riconosciuto nella sua sovranità divina, realizzazione di tutto ciò che Dio è per l'uomo. Mentre Gesù crocifisso si rivolge al Padre con la certezza di essere accolto presso di lui, il suo discepolo si rivolge a Gesù glorioso implorando di essere accolto da lui. Certamente la descrizione lucana della morte di Stefano è a servizio dell'edificazione del lettore: Stefano è il modello del discepolo di Gesù; egli accoglie la morte pregando, vive fino in fondo l'esigenza di amare il nemico. Con la propria morte, Gesù ha aperto una via, seguita dal suo testimone, via che vale per tutti i credenti.


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La costituzione dei Sette 1In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove. 2Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. 3Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. 4Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola». 5Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. 6Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani. 7E la parola di Dio si diffondeva e il numero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede.

Il processo contro Stefano 8Stefano intanto, pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e segni tra il popolo. 9Allora alcuni della sinagoga detta dei Liberti, dei Cirenei, degli Alessandrini e di quelli della Cilìcia e dell’Asia, si alzarono a discutere con Stefano, 10ma non riuscivano a resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava. 11Allora istigarono alcuni perché dicessero: «Lo abbiamo udito pronunciare parole blasfeme contro Mosè e contro Dio». 12E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso, lo catturarono e lo condussero davanti al sinedrio. 13Presentarono quindi falsi testimoni, che dissero: «Costui non fa che parlare contro questo luogo santo e contro la Legge. 14Lo abbiamo infatti udito dichiarare che Gesù, questo Nazareno, distruggerà questo luogo e sovvertirà le usanze che Mosè ci ha tramandato». 15E tutti quelli che sedevano nel sinedrio, fissando gli occhi su di lui, videro il suo volto come quello di un angelo.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

Nei primi capitoli del libro, Luca ha dato un'immagine molto positiva della Chiesa nascente a Gerusalemme. Con il quinto capitolo l'immagine cambia: è crisi all'interno e all'esterno: dissenso tra cristiani di lingua ebraica e cristiani di lingua greca a Gerusalemme, persecuzione che ormai coinvolge tutta la comunità e non soltanto gli apostoli (che Luca identifica con i Dodici). Ma è una crisi feconda: la Chiesa si sta costituendo nelle sue strutture, e l'unità con gli apostoli non è mai contestata. Con la persecuzione si sta realizzando la seconda tappa del programma tracciato dal Risorto (1,8): il Vangelo esce dalla città santa e si diffonde in Giudea, Samaria e oltre.

La costituzione dei Sette Il lettore viene a sapere che nella Chiesa di Gerusalemme coesistevano due gruppi di cristiani: quelli di lingua ebraica e quelli di lingua greca. I primi erano giudeo-cristiani della Palestina, che abitavano a Gerusalemme e parlavano l'aramaico. I secondi erano sempre degli Israeliti, ma originari della diaspora e parlavano il greco. Questa situazione lascia supporre che i cristiani di Gerusalemme si radunassero per l'eucaristia in luoghi diversi, non per dissenso ma per motivi linguistici. Il problema è che alcuni giudeo-cristiani di lingua greca si lamentavano perché nel servizio quotidiano venivano trascurate le loro vedove. Luca pensa alla comunione dei beni da attuare a favore dei più bisognosi nella comunità. I Dodici prendono in mano la situazione (v, 2): radunano la comunità e propongono una soluzione; la comunità accetta e decide. Luca rimane fedele alla sua visione ecclesiale e approfitta per mettere in luce la funzione degli apostoli: essi sono al servizio della Parola. Accanto ad esso c'è il servizio alla mensa: la cura dei poveri o il servizio durante il pasto fraterno nell'eucaristia? Spetta alla comunità trovare le persone adatte per questo compito (v. 3). «I Sette» corrisponde già a un titolo (cfr. 21,8) come i Dodici: un gruppo storico dunque con un incarico specifico. Sono richiesti dei doni necessari per il loro compito: la sapienza e lo Spirito Santo. Intanto il narratore prepara l'entrata in scena di Stefano e, quindi, il racconto successivo. Il v. 4 ritorna sul ministero degli apostoli, il servizio della Parola e, per la prima volta, aggiunge la preghiera come compito; troviamo così uniti la missione e il culto. Approvata la proposta, Luca dà l'elenco dei Sette (v. 5) con Stefano in testa. Sono nomi greci. Per ultimo è nominato Nicola, proselito di Antiochia, città della Siria menzionata per la prima volta, che in seguito svolgerà un ruolo di primo piano. La cerimonia di investitura si conclude con la presentazione dei prescelti, la preghiera e l'imposizione delle mani (v. 6), un gesto rituale per trasmettere un incarico e il carisma divino ad esso legato. Benché l'incarico dei Sette sia un servizio, cioè un diaconato, Luca evita di definirli «diaconi». Storicamente è molto probabile che i Sette fossero i responsabili del gruppo di lingua greca della Chiesa di Gerusalemme, con una funzione parallela (non concorrenziale) a quella dei Dodici. Un sommario (v. 7) delimita l'unità letteraria e costituisce una piccola pausa per il lettore, proponendo una panoramica della diffusione del Vangelo e del suo frutto, la Chiesa, ancora, e per l'ultima volta, dentro i confini di Gerusalemme. Il sommario termina con una nuova informazione: i sacerdoti abbracciano in massa la fede cristiana. Non provengono dall'aristocrazia sacerdotale, ostile, ma fanno parte dei numerosi sacerdoti comuni, spesso di povera condizione.

Il processo contro Stefano Il parallelismo tra il racconto di Stefano e quello della passione di Gesù è da sempre stato notato. La configurazione di Stefano al Maestro nella sofferenza lascia trasparire l'identità profonda del discepolo autentico. Il nome di Stefano è posto in testa al v. 8 che introduce la scena del processo, un versetto che ha l'aspetto di un sommario. Perché pieno di Spirito Santo, Stefano è anche «pieno di grazia e di potenza». Luca tiene a sottolineare la sua attività taumaturgica, che lo innalza accanto a Gesù e agli apostoli. Il versetto seguente (v. 9) lascia supporre che sia la sua attività evangelizzatrice in sinagoghe, dove si radunano ebrei di lingua greca, a suscitare ostilità. Luca dà l'impressione di volere mettere a confronto con Stefano gli ellenisti dei vari gruppi presenti a Gerusalemme. Una sua eventuale funzione nel servire a mensa non è mai menzionata.

Impotenti di fronte alla parola di Stefano, i giudei cambiano tattica: inducono alcuni a spargere la falsa notizia che Stefano bestemmia contro Mosè e Dio (vv. 10-11); anche nel processo contro Gesù vengono introdotti falsi testimoni. L'accusa è grave: bestemmiare contro Mosè e contro Dio può significare che parole considerate offensive verso la Legge siano intese anche come bestemmia contro Dio che l'ha donata; ma è possibile che la bestemmia contro Dio sia un riferimento preparatorio all'accusa di ostilità contro il tempio. Il risultato è immediato: Stefano viene trascinato dinanzi al sinedrio (v. 12). La scena è drammatica; per la prima volta negli Atti anche il popolo si mostra ostile.

Al v. 14 gli accusatori riportano il detto di Gesù che riguarda la distruzione del tempio (Mc 14,58), ma che Luca aveva omesso nel suo racconto della passione. Tuttavia nel nostro testo, la parola di Gesù diventa parola di Stefano su quanto Gesù avrebbe operato. Il lettore sa che tale profezia si è verificata nel 70 d.C. ad opera dei Romani. La seconda parte dell'accusa (v. 14b) afferma che Gesù cambierà i costumi tramandati da Mosè. L'autore sacro si riferisce probabilmente al nuovo modo di interpretare la Legge da parte della Chiesa, cioè un'interpretazione basata sull'insegnamento del Maestro e sull'esperienza fatta nel mondo pagano (superamento della circoncisione, pasti consumati in comune con ex-pagani...). Al v. 15 il narratore riesce ad attirare l'attenzione su Stefano e su quanto dirà. Il volto di Stefano irradia gloria. Non è da escludere che Luca voglia mettere questa trasfigurazione in parallelo con quella di Gesù, dove trasfigurazione e passione sono legate (Lc 9,31).


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Un esempio negativo: Anania, con sua moglie Saffìra 1Un uomo di nome Anania, con sua moglie Saffìra, vendette un terreno 2e, tenuta per sé, d’accordo con la moglie, una parte del ricavato, consegnò l’altra parte deponendola ai piedi degli apostoli. 3Ma Pietro disse: «Anania, perché Satana ti ha riempito il cuore, cosicché hai mentito allo Spirito Santo e hai trattenuto una parte del ricavato del campo? 4Prima di venderlo, non era forse tua proprietà e l’importo della vendita non era forse a tua disposizione? Perché hai pensato in cuor tuo a quest’azione? Non hai mentito agli uomini, ma a Dio». 5All’udire queste parole, Anania cadde a terra e spirò. Un grande timore si diffuse in tutti quelli che ascoltavano. 6Si alzarono allora i giovani, lo avvolsero, lo portarono fuori e lo seppellirono. 7Avvenne poi che, circa tre ore più tardi, entrò sua moglie, ignara dell’accaduto. 8Pietro le chiese: «Dimmi: è a questo prezzo che avete venduto il campo?». Ed ella rispose: «Sì, a questo prezzo». 9Allora Pietro le disse: «Perché vi siete accordati per mettere alla prova lo Spirito del Signore? Ecco qui alla porta quelli che hanno seppellito tuo marito: porteranno via anche te». 10Ella all’istante cadde ai piedi di Pietro e spirò. Quando i giovani entrarono, la trovarono morta, la portarono fuori e la seppellirono accanto a suo marito. 11Un grande timore si diffuse in tutta la Chiesa e in tutti quelli che venivano a sapere queste cose.

Sommario 12Molti segni e prodigi avvenivano fra il popolo per opera degli apostoli. Tutti erano soliti stare insieme nel portico di Salomone; 13nessuno degli altri osava associarsi a loro, ma il popolo li esaltava. 14Sempre più, però, venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne, 15tanto che portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro. 16Anche la folla delle città vicine a Gerusalemme accorreva, portando malati e persone tormentate da spiriti impuri, e tutti venivano guariti.

Una nuova minaccia di persecuzione 17Si levò allora il sommo sacerdote con tutti quelli della sua parte, cioè la setta dei sadducei, pieni di gelosia, 18e, presi gli apostoli, li gettarono nella prigione pubblica. 19Ma, durante la notte, un angelo del Signore aprì le porte del carcere, li condusse fuori e disse: 20«Andate e proclamate al popolo, nel tempio, tutte queste parole di vita». 21Udito questo, entrarono nel tempio sul far del giorno e si misero a insegnare. Quando arrivò il sommo sacerdote con quelli della sua parte, convocarono il sinedrio, cioè tutto il senato dei figli d’Israele; mandarono quindi a prelevare gli apostoli nella prigione. 22Ma gli inservienti, giunti sul posto, non li trovarono nel carcere e tornarono a riferire: 23«Abbiamo trovato la prigione scrupolosamente sbarrata e le guardie che stavano davanti alle porte, ma, quando abbiamo aperto, non vi abbiamo trovato nessuno». 24Udite queste parole, il comandante delle guardie del tempio e i capi dei sacerdoti si domandavano perplessi a loro riguardo che cosa fosse successo. 25In quel momento arrivò un tale a riferire loro: «Ecco, gli uomini che avete messo in carcere si trovano nel tempio a insegnare al popolo». 26Allora il comandante uscì con gli inservienti e li condusse via, ma senza violenza, per timore di essere lapidati dal popolo. 27Li condussero e li presentarono nel sinedrio; il sommo sacerdote li interrogò 28dicendo: «Non vi avevamo espressamente proibito di insegnare in questo nome? Ed ecco, avete riempito Gerusalemme del vostro insegnamento e volete far ricadere su di noi il sangue di quest’uomo». 29Rispose allora Pietro insieme agli apostoli: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini. 30Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce. 31Dio lo ha innalzato alla sua destra come capo e salvatore, per dare a Israele conversione e perdono dei peccati. 32E di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono». 33All’udire queste cose essi si infuriarono e volevano metterli a morte. 34Si alzò allora nel sinedrio un fariseo, di nome Gamaliele, dottore della Legge, stimato da tutto il popolo. Diede ordine di farli uscire per un momento 35e disse: «Uomini d’Israele, badate bene a ciò che state per fare a questi uomini. 36Tempo fa sorse Tèuda, infatti, che pretendeva di essere qualcuno, e a lui si aggregarono circa quattrocento uomini. Ma fu ucciso, e quelli che si erano lasciati persuadere da lui furono dissolti e finirono nel nulla. 37Dopo di lui sorse Giuda il Galileo, al tempo del censimento, e indusse gente a seguirlo, ma anche lui finì male, e quelli che si erano lasciati persuadere da lui si dispersero. 38Ora perciò io vi dico: non occupatevi di questi uomini e lasciateli andare. Se infatti questo piano o quest’opera fosse di origine umana, verrebbe distrutta; 39ma, se viene da Dio, non riuscirete a distruggerli. Non vi accada di trovarvi addirittura a combattere contro Dio!». Seguirono il suo parere 40e, richiamati gli apostoli, li fecero flagellare e ordinarono loro di non parlare nel nome di Gesù. Quindi li rimisero in libertà. 41Essi allora se ne andarono via dal sinedrio, lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù. 42E ogni giorno, nel tempio e nelle case, non cessavano di insegnare e di annunciare che Gesù è il Cristo.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

Un esempio negativo: Anania, con sua moglie Saffìra Esiste un peccato nella comunità cristiana che ne minaccia l'identità: l'attaccamento al denaro, causa di divisione. La punizione immediata e straordinaria fa parte del genere letterario, il cui centro d'interesse sta però non nella punizione del trasgressore, ma nel superamento di un ostacolo che minaccia la comunità. La colpa non consiste nell'avere trattenuto parte del ricavato (il mettere in comune è facoltativo: v. 4), ma nell'avere mentito allo Spirito Santo. L'agire di Anania e Saffìra è grave perché, sotto le apparenze del bene, si nasconde un atteggiamento dominato da interessi egoistici, che lacera l'unità di cuore, quindi la vera identità del popolo di Dio. Il cuore diviso dei due coniugi ha dato spazio a Satana, l'avversario per eccellenza dell'unità, quell'unità che deve caratterizzare il vero Israele. A Luca preme mostrare l'importanza fondamentale della comunione ecclesiale per l'identità della Chiesa; la sua perdita metterebbe a rischio l'attuazione del piano divino sull'umanità. L'esempio di Anania e Saffìra non è un caso isolato, ma una minaccia permanente all'interno della Chiesa; quindi Luca narra l'episodio con i toni di un severo ammonimento. Il motivo del grande timore conclude il racconto, timore reverenziale in se- guito all'esperienza di un intervento divino, e timore che si estende a «tutta la Chiesa» (v. 11), cioè alla comunità di Gerusalemme unita attorno agli apostoli, con un cuore e un'anima sola, e che rappresenta la comunità dei credenti sparsa ovunque sulla terra.

Sommario Questo sommario fa da transizione, riprendendo e generalizzando alcuni temi precedenti: il radunarsi dei membri della Chiesa sotto i portici di Salomone, la concordia, il favore del popolo, la crescita della comunità la cui fama si estende al di fuori delle mura di un edificio. C'è un'insistenza particolare sull'attività taumaturgica degli apostoli. Il potere di compiere miracoli è dunque parte integrante dell'attività missionaria; in essa è all'opera la mano di Dio. Nel v. 12b il redattore ritorna sul tema della concordia, ma ora, dopo l'episodio di Anania e Saffìra, il lettore la guarda con più serietà: l'unità può essere minacciata ogni momento. Nell'ultima parte del sommario (v. 15) Pietro è di nuovo al centro. La scena ricorda la vita pubblica di Gesù circondato non solo da discepoli, ma da tanta gente bisognosa di aiuto. C'è continuità tra Gesù e la Chiesa postpasquale. Luca sembra riprendere una credenza popolare su Pietro fatta di religiosità e di superstizione. Entrare nell'ombra di una persona significa entrare in contatto con la persona stessa e con la forza che la anima. Certo Luca evita l'elemento magico: la forza che emana dall'ombra di Pietro è la forza benefica di Dio, la stessa forza che emanava da Gesù e toglieva l'impurità (cfr. Mc 5,30). Nel versetto conclusivo (v. 16), per la prima volta, lo sguardo oltrepassa le mura di Gerusalemme: il narratore prepara il lettore alla successiva missione in Giudea.

Una nuova minaccia di persecuzione Il racconto assomiglia molto alla scena di At 4, 1-22. C'è tuttavia una progressione narrativa: sono coinvolti non soltanto Pietro e Giovanni, ma tutti gli apostoli; la reazione al discorso di Pietro non è più lo stupore (4,13.16), ma la decisione di una condanna a morte; e il processo si conclude non solo con una minaccia, ma con una fustigazione. La prima parte della narrazione (vv. 17-26) è piuttosto strana. Un imprigionamento senza processo, una liberazione miracolosa che ricorda molto quella di Pietro (At 12,3-11), ma che appare del tutto inattesa e perfettamente inutile, poiché gli apostoli vengono a trovarsi nella stessa situazione di prima: sono di nuovo arrestati! Il valore teologico della liberazione miracolosa viene indicato dall'angelo: gli apostoli hanno la missione divina di proclamare «questa Vita», cioè l'annuncio che comunica la Vita a chi lo accoglie. E nessuna autorità religiosa o politica potrà impedire tale annuncio e arrestare la diffusione del Vangelo. Dio interverrà sempre in favore di coloro che invia. Per il momento, essendo il messaggio rivolto a Israele, gli apostoli predicano nel tempio, centro religioso d'Israele. In seguito, la stessa volontà divina esorterà Paolo a uscire in fretta dal tempio per predicare alle nazioni (22,17-21).

Ai vv. 27-32 comincia la scena del processo che, dal punto di vista narrativo, è la continuazione del primo processo (4,7-22), poiché riprende il divieto di predicare con il quale esso terminava. Il sommo sacerdote formula l'accusa (v. 28), ma deve ammettere che questa predicazione ha ormai raggiunto tutta la città santa; egli riferisce anche l'accusa che la Chiesa rivolge all'autorità giudaica circa la morte di Gesù. La difesa fatta da Pietro e dagli apostoli diventa l'occasione per testimoniare Cristo. Pietro conclude con il tema della funzione apostolica della testimonianza (v. 32). Nella testimonianza degli apostoli si attua quella dello Spirito Santo. Grazie a tale presenza divina, la parola di Pietro dinanzi al tribunale non si limita a una difesa, ma si fa annuncio. La testimonianza dello Spirito Santo è anzitutto testimonianza interiore: Egli comunica la certezza che Gesù è stato costituito Messia e Signore, e illumina gli eventi della sua morte e risurrezione. Lo Spirito dà anche una testimonianza esterna a «quanti gli obbediscono», cioè a tutti i credenti: il carisma di profetare, i miracoli, la crescita della comunità, nonché i segni negativi (come la morte di Anania e Saffìra).

La reazione dei presenti è violenta (condanna a morte degli apostoli), ma viene attenuata dall'inatteso intervento di Gamaliele (vv. 33-39). Evidentemente la reazione così violenta del sinedrio non si spiega come divergenza dottrinale; la causa è più profonda: l'autorità giudaica si sente minacciata nel suo potere e quindi nella sua esistenza. L'intervento di Gamaliele mira a evitare che il sinedrio assuma nei confronti degli apostoli una decisione, che lo porrebbe direttamente contro Dio. Gamaliele conclude il suo discorso a mo' di avvertimento (vv. 38-39): non si dia fastidio a questi uomini! Se la predicazione apostolica è di origine soltanto umana, cadrà da sé; se viene da Dio, non si potrà fermarla, passando dalla parte degli avversari di Dio. Luca giudica il ragionamento convincente, poiché il sinedrio aderì unanimemente alla logica del grande rabbi. In realtà la decisione del sinedrio (v. 40) contraddice l'adesione al consiglio di Gamaliele, poiché gli apostoli vengono percossi e ricevono il divieto di predicare. Il narratore vuole senza dubbio conciliare due dati emersi dal racconto: l'autorità giudaica si dimostra «in lotta contro Dio» (da qui la fustigazione e il divieto di predicare), ma l'annuncio cristiano proviene da Dio e non può essere fermato (i fatti danno ragione a Gamaliele). Quindi gli apostoli vengono liberati.

Il v. 41 si rivolge al lettore e presenta gli apostoli come modello in quel paradossale comportamento che è la gioia nella sofferenza per il nome di Gesù: «Beati voi quando gli altri vi odieranno a causa del Figlio dell'uomo» (Lc 6,22 e v. 23). Questa sofferenza fa imboccare al credente la via di Gesù, che dalla passione porta alla vita: il discepolo è come il maestro. Il v. 42 è un breve sommario che conclude la sezione: in contrasto con il divieto di predicare e sullo sfondo della persecuzione, la missione degli apostoli a Gerusalemme raggiunge la massima intensità; dal tempio penetra in tutte le case. I tempi per diffondere la Parola oltre le mura della città, in conformità con il programma dettato dal Risorto (1,8), sono ormai maturi. Ma sarà Dio a dare il via attraverso gli eventi.


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