📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

L'arresto di Pietro e Giovanni 1Stavano ancora parlando al popolo, quando sopraggiunsero i sacerdoti, il comandante delle guardie del tempio e i sadducei, 2irritati per il fatto che essi insegnavano al popolo e annunciavano in Gesù la risurrezione dai morti. 3Li arrestarono e li misero in prigione fino al giorno dopo, dato che ormai era sera. 4Molti però di quelli che avevano ascoltato la Parola credettero e il numero degli uomini raggiunse circa i cinquemila.

La testimonianza degli apostoli 5Il giorno dopo si riunirono in Gerusalemme i loro capi, gli anziani e gli scribi, 6il sommo sacerdote Anna, Caifa, Giovanni, Alessandro e quanti appartenevano a famiglie di sommi sacerdoti. 7Li fecero comparire davanti a loro e si misero a interrogarli: «Con quale potere o in quale nome voi avete fatto questo?». 8Allora Pietro, colmato di Spirito Santo, disse loro: «Capi del popolo e anziani, 9visto che oggi veniamo interrogati sul beneficio recato a un uomo infermo, e cioè per mezzo di chi egli sia stato salvato, 10sia noto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui vi sta innanzi risanato. 11Questo Gesù è la pietra, che è stata scartata da voi, costruttori, e che è diventata la pietra d’angolo. 12In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati».

Il sinedrio tiene consiglio 13Vedendo la franchezza di Pietro e di Giovanni e rendendosi conto che erano persone semplici e senza istruzione, rimanevano stupiti e li riconoscevano come quelli che erano stati con Gesù. 14Vedendo poi in piedi, vicino a loro, l’uomo che era stato guarito, non sapevano che cosa replicare. 15Li fecero uscire dal sinedrio e si misero a consultarsi fra loro 16dicendo: «Che cosa dobbiamo fare a questi uomini? Un segno evidente è avvenuto per opera loro; esso è diventato talmente noto a tutti gli abitanti di Gerusalemme che non possiamo negarlo. 17Ma perché non si divulghi maggiormente tra il popolo, proibiamo loro con minacce di parlare ancora ad alcuno in quel nome».

L'ordine di tacere 18Li richiamarono e ordinarono loro di non parlare in alcun modo né di insegnare nel nome di Gesù. 19Ma Pietro e Giovanni replicarono: «Se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. 20Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato». 21Quelli allora, dopo averli ulteriormente minacciati, non trovando in che modo poterli punire, li lasciarono andare a causa del popolo, perché tutti glorificavano Dio per l’accaduto. 22L’uomo infatti nel quale era avvenuto questo miracolo della guarigione aveva più di quarant’anni.

La comunità in preghiera 23Rimessi in libertà, Pietro e Giovanni andarono dai loro fratelli e riferirono quanto avevano detto loro i capi dei sacerdoti e gli anziani. 24Quando udirono questo, tutti insieme innalzarono la loro voce a Dio dicendo: «Signore, tu che hai creato il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano, 25tu che, per mezzo dello Spirito Santo, dicesti per bocca del nostro padre, il tuo servo Davide: Perché le nazioni si agitarono e i popoli tramarono cose vane? 26Si sollevarono i re della terra e i prìncipi si allearono insieme contro il Signore e contro il suo Cristo; 27davvero in questa città Erode e Ponzio Pilato, con le nazioni e i popoli d’Israele, si sono alleati contro il tuo santo servo Gesù, che tu hai consacrato, 28per compiere ciò che la tua mano e la tua volontà avevano deciso che avvenisse. 29E ora, Signore, volgi lo sguardo alle loro minacce e concedi ai tuoi servi di proclamare con tutta franchezza la tua parola, 30stendendo la tua mano affinché si compiano guarigioni, segni e prodigi nel nome del tuo santo servo Gesù». 31Quand’ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono colmati di Spirito Santo e proclamavano la parola di Dio con franchezza.

Sommario 32La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. 33Con grande forza gli apostoli davano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti godevano di grande favore. 34Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto 35e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno.

Un esempio positivo: Barnaba 36Così Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Bàrnaba, che significa «figlio dell’esortazione», un levita originario di Cipro, 37padrone di un campo, lo vendette e ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

Il conflitto con l'autorità Narrativamente il racconto è ben legato a ciò che precede: il discorso di Pietro e la guarigione dello storpio. Ma nel quadro ideale della primissima comunità finora esposto entra un elemento nuovo: l'ostilità dell'autorità locale, preludio alla persecuzione. Quest'ultima appare come una logica conseguenza della predicazione e dell'attività taumaturgica degli apostoli. Come vede Luca il conflitto nascente? Non è la rivalità tra due religioni, né la contrapposizione di due sistemi di forze, che vogliono prevalere l'uno sull'altro. La forza del Vangelo sta proprio nell'amore che è servizio. Ma appunto questo messaggio di libertà suscita l'ostilità del potere costituito, che vede minacciato il proprio dominio sulla società. Certo, ci sono due potenze in azione: la potenza dello Spirito di Dio che suscita l'amore e il coraggio della testimonianza; la forza violenta del potere costituito che così fa emergere le forze del male in azione nella storia. Con la predicazione apostolica si sviluppa in mezzo a Israele e poi nel mondo un nuovo modello di società, che inevitabilmente destabilizzerà l'ordine precedente.

L'arresto di Pietro e Giovanni Luca raggruppa l'elemento ostile dell'autorità giudaica e lo mette in contrasto con il popolo in ascolto. Al comportamento negativo dell'autorità fa da contrasto l'inarrestabile crescita della Chiesa, significata dal numero ideale di cinquemila persone (v. 4).

La testimonianza degli apostoli Arriva il giorno del processo. Luca ama comporre questo tipo di scenario solenne, delle grandi occasioni: gli avversari al completo, gli apostoli al centro con Pietro come portavoce, la presenza dello Spirito Santo in coloro che rendono testimonianza. La domanda messa in bocca agli accusatori corrisponde all'interesse didattico del redattore (v. 7): presentare il fondamento del potere di guarire, che sta nella persona (nome) di Gesù Cristo. Pietro prosegue solennemente con l'enunciazione del centro del messaggio cristiano: una menzione concisa della crocifissione-risurrezione di Gesù (v. 10), l'argomento scritturistico (v. 11) e l'appello implicito alla conversione (v. 12) sotto forma di confessione una solenne proclamazione su Gesù risorto, che esprime la convinzione della fede cristiana. La salvezza di Dio è operata unicamente da Gesù in favore di tutti gli uomini!

Il sinedrio tiene consiglio La reazione degli avversari dinanzi al discorso di Pietro è positiva e corrisponde all'apprezzamento dell'evangelista stesso dinanzi al messaggio proclamato: lo stupore di fronte al coraggio e alla sapienza della parola degli evangelizzatori. Si realizza il detto di Gesù: «Vi darò linguaggio e sapienza, così che i vostri avversari non potranno resistere» (Lc 21,15). Il miracolato invece suscita imbarazzo (v. 14). L'assemblea comincia a deliberare sul caso e Luca mette in luce il disegno degli avversari di fronte a un segno divino così evidente: neutralizzare la predicazione apostolica, strumento dell'agire di Dio.

L'ordine di tacere Il sinedrio reagisce non ancora con la persecuzione, ma con un'ammonizione, alla quale gli apostoli replicano formulando un principio universalmente riconosciuto, che quindi anche i responsabili giudei devono ammettere (vv. 19-20): l'autorità divina (la coscienza) è superiore a qualsiasi autorità umana. La novità però sta nell'accettare che l'autorità divina ora si manifesti nella testimonianza apostolica che, a sua volta, poggia su di un incarico al quale gli apostoli non possono sottrarsi: essi sono stati scelti per «vedere e udire» Gesù. Per Luca la funzione degli apostoli (cioè dei Dodici) non è trasmissibile, poiché realizza la continuità tra il Gesù storico e il Risorto presente nella Chiesa. Il processo finisce dunque con una minaccia nei confronti degli apostoli (v. 21). Luca ottiene due effetti: l'affermazione della legittimità della predicazione apostolica (non c'è nulla che meriti una punizione) e il motivo della paura dei capi dinanzi al popolo, evidenziando la distinzione tra il popolo favorevole al Vangelo e l'autorità giudaica ostile. La lode a Dio (conclusione frequente nell'opera lucana) testimonia che Dio è all'opera nell'attività degli apostoli. Il racconto si chiude (v. 22) rivolgendo di nuovo l'attenzione del lettore direttamente allo storpio guarito: quarant'anni di malattia stanno a dimostrare che la guarigione non poteva non essere un «segno» dell'operare escatologico di Dio.

La comunità in preghiera La preghiera della comunità viene così messa in relazione con l'accaduto. Emergono diversi aspetti della vita della Chiesa: il ritorno dell'evangelizzatore in seno alla comunità dopo aver subito un pericolo fuori (cfr. 12,12); la consuetudine dell'aggiornamento che rende la comunità partecipe dell'esperienza apostolica (cfr. 11,4; 14,27); il posto centrale della preghiera comunitaria fatta in unità (la Chiesa è una comunità orante). La preghiera inizia con l'invocare Dio, creatore del mondo e quindi sovrano universale, e come tale anche padre della storia, in particolare della storia d'Israele (v. 24): la comunità cristiana si sente coinvolta in quello che il profeta ha predetto sull'avversità toccata a Gesù. Al v. 28 Luca esprime il pensiero cristiano: il comportamento negativo degli avversari di Gesù in realtà ha contribuito al compimento del piano divino di salvezza. Con una formula tipica (v. 29a) viene introdotta la domanda vera e propria; si torna alla situazione presente della comunità: Dio deve occuparsi delle minacce degli avversari della Chiesa. Da notare che la comunità non chiede di essere liberata dalla persecuzione, bensì di avere la forza di affrontarla e di trovare in essa il coraggio della testimonianza, la grazia della parresia, del parlare con franchezza, a testa alta. Si prega più per la diffusione del Vangelo che per la sorte personale degli evangelizzatori. Questi ultimi sono «servi» del Signore, titolo che esprime la coscienza di avere un compito da svolgere in obbedienza a Dio. Infine la preghiera fa una menzione speciale dei miracoli e delle guarigioni: sono un elemento importante della missione, nell'ottica di Luca. Essi sono compiuti da Dio, mediante il Risorto che ha mandato lo Spirito Santo. Segue l'esaudimento divino sotto forma di una “piccola Pentecoste” (v. 31). Per Luca, la missione è costitutiva della vita stessa della Chiesa, e il dono dello Spirito è dato essenzialmente in funzione di tale finalità.

Sommario Viene presentato di nuovo un quadro ideale della prima comunità di Gerusalemme. È evidente lo sforzo del narratore di conciliare il radicalismo delle esigenze di Gesù con la situazione della Chiesa postpasquale, con uno sguardo particolare ai ricchi ai quali egli propone di vivere le richieste di Gesù aiutando i poveri della comunità. La comunità è vista nella sua vita d'unità. La descrizione del v. 32 suggerisce al lettore l'ideale dell'amicizia, com'era sognato nel mondo ellenistico: tra amici tutto è in comune. Tuttavia il binomio «cuore e anima» è biblico (Dt 6,5; 10,12; ecc.) e la sua scelta non è casuale. Luca fa capire al lettore che l'unanimità vissuta nella Chiesa non riflette soltanto il modello greco dell'amicizia, ma si basa sulla fede, è la comunione dei credenti. Senza escludere l'amicizia, l'autore insegna che il fondamento del legame che unisce i credenti tra di loro non è soltanto una simpatia naturale che fiorisce in amicizia, ma la fede che presuppone la conversione e si apre a tutti, simpatici o meno. D'altra parte, questa sinfonia dei cuori non si riduce in un bel sentimento fraterno, ma vuole concretizzarsi nella comunione dei beni. Viene infine precisata la comunione dei beni nel suo svolgimento concreto: chi ha dei beni aiuta i poveri della Chiesa, ma in modo organizzato, e cioè mettendo il ricavato dei beni venduti ai piedi degli apostoli. Questi ultimi assumono dunque una funzione amministrativa nella comunità. Luca dunque applica alla vita della comunità l'esigenza radicale di Gesù per essere suoi discepoli: il distacco dai beni. Ma, al contrario di Qumran, esso non viene istituzionalizzato; rimane una pratica lasciata alla libera iniziativa del singolo, pur essendo un'esigenza di fede, dovuta cioè alla conversione del cuore, all'amore che rende attenti ai bisogni altrui. L'evangelista propone questo tipo di società nuova a tutta la Chiesa come ideale a cui tendere.

Un esempio positivo: Barnaba Il testo dà un esempio positivo, quello di Barnaba, che l'autore sacro presenta per bene al lettore, visto il suo futuro ruolo nella Chiesa, descritto nel libro. L'esempio addotto mostra che il gesto di Barnaba era eccezionale nella comunità di Gerusalemme tanto da conservarne il ricordo; eccezionale non per mancanza di generosità, ma perché c'erano pochi ricchi in essa. È tuttavia inverosimile che la generosità di Barnaba fosse tale da vendere tutto per entrare nel novero dei bisognosi, come lascerebbe intendere il v. 37! Con ogni probabilità ha venduto il suo campo prima di stabilirsi ad Antiochia di Siria (cfr. 11,22).


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La guarigione dello storpio 1Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera delle tre del pomeriggio. 2Qui di solito veniva portato un uomo, storpio fin dalla nascita; lo ponevano ogni giorno presso la porta del tempio detta Bella, per chiedere l’elemosina a coloro che entravano nel tempio. 3Costui, vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, li pregava per avere un’elemosina. 4Allora, fissando lo sguardo su di lui, Pietro insieme a Giovanni disse: «Guarda verso di noi». 5Ed egli si volse a guardarli, sperando di ricevere da loro qualche cosa. 6Pietro gli disse: «Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, àlzati e cammina!». 7Lo prese per la mano destra e lo sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono 8e, balzato in piedi, si mise a camminare; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando Dio. 9Tutto il popolo lo vide camminare e lodare Dio 10e riconoscevano che era colui che sedeva a chiedere l’elemosina alla porta Bella del tempio, e furono ricolmi di meraviglia e stupore per quello che gli era accaduto.

Il discorso di Pietro nel tempio 11Mentre egli tratteneva Pietro e Giovanni, tutto il popolo, fuori di sé per lo stupore, accorse verso di loro al portico detto di Salomone. 12Vedendo ciò, Pietro disse al popolo: «Uomini d’Israele, perché vi meravigliate di questo e perché continuate a fissarci come se per nostro potere o per la nostra religiosità avessimo fatto camminare quest’uomo? 13Il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù, che voi avete consegnato e rinnegato di fronte a Pilato, mentre egli aveva deciso di liberarlo; 14voi invece avete rinnegato il Santo e il Giusto, e avete chiesto che vi fosse graziato un assassino. 15Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni. 16E per la fede riposta in lui, il nome di Gesù ha dato vigore a quest’uomo che voi vedete e conoscete; la fede che viene da lui ha dato a quest’uomo la perfetta guarigione alla presenza di tutti voi. 17Ora, fratelli, io so che voi avete agito per ignoranza, come pure i vostri capi. 18Ma Dio ha così compiuto ciò che aveva preannunciato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo doveva soffrire. 19Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati 20e così possano giungere i tempi della consolazione da parte del Signore ed egli mandi colui che vi aveva destinato come Cristo, cioè Gesù. 21Bisogna che il cielo lo accolga fino ai tempi della ricostituzione di tutte le cose, delle quali Dio ha parlato per bocca dei suoi santi profeti fin dall’antichità. 22Mosè infatti disse: Il Signore vostro Dio farà sorgere per voi, dai vostri fratelli, un profeta come me; voi lo ascolterete in tutto quello che egli vi dirà. 23E avverrà: chiunque non ascolterà quel profeta, sarà estirpato di mezzo al popolo. 24E tutti i profeti, a cominciare da Samuele e da quanti parlarono in seguito, annunciarono anch’essi questi giorni. 25Voi siete i figli dei profeti e dell’alleanza che Dio stabilì con i vostri padri, quando disse ad Abramo: Nella tua discendenza saranno benedette tutte le nazioni della terra. 26Dio, dopo aver risuscitato il suo servo, l’ha mandato prima di tutto a voi per portarvi la benedizione, perché ciascuno di voi si allontani dalle sue iniquità».

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

La guarigione dello storpio Un miracolo simile si legge all'inizio dell'attività di Gesù (il paralitico di Cafanao in Lc 5,17-26): tra i due racconti c'è un voluto effetto di eco, che mette in luce la continuità tra l'agire di Gesù e quello dei suoi apostoli. L'ambientazione è nel centro religioso d'Israele al momento del sacrificio pomeridiano, intorno alle ore 15:00. La localizzazione nel tempio ha la sua importanza per Luca: egli tiene a radicare la Chiesa nascente nella fede d'Israele e, quindi, nella storia della salvezza. L'anonimo malato è storpio dalla nascita, quindi inguaribile; ciò, per contrasto, metterà in luce la grandezza del miracolo. Solo Pietro parla e agisce e lo fa in piena conformità con l'ordine dato da Gesù agli evangelizzatori: «Non prendete nulla per il viaggio... né soldi...» (Lc 9,3), al momento di ricevere il carisma della guarigione. Il lettore non deve però confondere tale potere, compiuto «nel nome di Gesù», con la magia. Seguendo il suo metodo didattico, Luca lo farà capire poco a poco introducendo il motivo della fede (3,16) e della salvezza (4,9.12). La guarigione è operata «nel nome di Gesù», perché gli apostoli hanno ricevuto da Gesù stesso questo carisma e perché nell'agire dell'apostolo il Risorto è presente con la sua forza salvifica. Il primo effetto sul malato è la guarigione immediata Poi il guarito entra nel tempio insieme agli apostoli: con la guarigione è stato reintegrato nella società e diventa membro a pieno titolo del popolo di Dio; potrà quindi godere della vicinanza di Dio, grazie alla potenza di Gesù trasmessa agli apostoli. Il secondo effetto è la reazione dei presenti, come conclusione normale di questo genere di racconto. Essi constatano l'identità tra il mendicante storpio e il guarito che ora salta camminando verso l'interno della casa di Dio: lo stupore provocato da questa manifestazione soprannaturale riecheggia la reazione degli Israeliti dinanzi alle meraviglie compiute nella sua storia da YHWH. La lode sgorga dal cuore dell'uomo toccato dall'amore tangibile di Dio.

Il discorso di Pietro nel tempio È il secondo discorso pubblico di Pietro che, come nel primo, si aggancia a un evento straordinario per illuminarne il significato vero. Il tempio, centro religioso d'Israele, diventa punto di partenza della diffusione del Vangelo. Da lì Pietro parla a «tutto il popolo», e parla al plurale, come portavoce dell'attività e della predicazione apostolica. Il discorso di Pietro identifica subito Colui che è all'origine del miracolo: non si tratta di magia o di una particolare capacità umana, ma è Dio che opera mediante i suoi strumenti. Senza transizione il discorso passa all'enunciato della morte-risurrezione di Gesù (v. 13), concentrando l'attenzione sulla condanna a morte di Gesù: l'accento cade sulla colpevolezza dei giudei e si tende a giustificare l'agire dei Romani, secondo la solita prospettiva lucana. La gravità della colpa dei responsabili è messa in luce mediante un gioco di contrasti: tra l'omicida (Barabba) liberato e il Santo rinnegato (v. 14), contrasto che culmina nel v. 15 con l'accusa di avere ucciso il datore della vita, che Dio ha risuscitato per primo e che quindi diventa capostipite dell'umanità destinata alla vita. Con l'appellativo «Fratelli!» inizia la seconda parte del discorso (vv. 17-26). Anche se i giudei sono colpevoli della morte di Gesù, rimangono fratelli: la parentela religiosa non è rotta, così come non è tolta a Israele la priorità nella storia della salvezza. È commovente lo sforzo di Luca, nell'ultima parte del discorso, di dimostrare, mediante la Scrittura, l'amore privilegiato di Dio a favore di Israele, quel medesimo amore divino che suscitò anche Gesù, il Messia, lui che ha aperto all'umanità il futuro, al quale per primo è chiamato il popolo eletto. A partire dal v. 19, Pietro pone l'accento sulla conversione: se i giudei non hanno saputo riconoscere il Messia nella sua prima venuta sulla terra, siano pronti ad accogliere la sua seconda venuta, la parusia, quando avverrà la restaurazione anche per Israele. La predicazione apostolica offre loro la possibilità della conversione: un secondo rifiuto sarebbe fatale, mentre l'accoglienza del Vangelo è la loro vera chance di realizzarsi come Israeliti compiuti. Quando Luca scrive, la Chiesa rimane aperta a conversioni singole di giudei, ma non aspetta più la conversione di Israele come popolo. La finalità dell'opera lucana non è quella di convertire ebrei alla fede cristiana, ma di confermare la fede di chi già è cristiano (cfr. Lc 1,1-4). Con il v. 22 Pietro ricorre alla Scrittura per confermare il suo appello alla conversione: tutta la Scrittura annuncia che Gesù ha inaugurato il tempo della salvezza; pone quindi ogni uomo, i giudei per primi, dinanzi alla decisione di appartenere all'Israele compiuto. È una lettura tipicamente cristiana che vede tutta la Bibbia orientata all'evento-Gesù e ai suoi frutti (la predicazione apostolica, il costituirsi del popolo di Dio degli ultimi tempi), frutti radicati in modo permanente nella parola di Dio quale si è rivelata nella storia d'Israele. In conclusione (v. 26), Pietro riafferma il privilegio dei giudei nella storia della salvezza e l'altrettanta necessità della conversione personale di ognuno. All'Israelita tocca di sfruttare questa sua priorità accogliendo il messaggio della risurrezione di Gesù; al lettore di capire che l'Israele «secondo la carne» continua ad essere il primo destinatario di tale messaggio.


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L'effusione dello Spirito Santo a Pentecoste 1Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. 3Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, 4e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.

5Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. 6A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. 7Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? 8E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? 9Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, 10della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, 11Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio». 12Tutti erano stupefatti e perplessi, e si chiedevano l’un l’altro: «Che cosa significa questo?». 13Altri invece li deridevano e dicevano: «Si sono ubriacati di vino dolce».

Il discorso di Pietro 14Allora Pietro con gli Undici si alzò in piedi e a voce alta parlò a loro così: «Uomini di Giudea, e voi tutti abitanti di Gerusalemme, vi sia noto questo e fate attenzione alle mie parole. 15Questi uomini non sono ubriachi, come voi supponete: sono infatti le nove del mattino; 16accade invece quello che fu detto per mezzo del profeta Gioele: 17Avverrà: negli ultimi giorni – dice Dio – su tutti effonderò il mio Spirito; i vostri figli e le vostre figlie profeteranno, i vostri giovani avranno visioni e i vostri anziani faranno sogni. 18E anche sui miei servi e sulle mie serve in quei giorni effonderò il mio Spirito ed essi profeteranno. 19Farò prodigi lassù nel cielo e segni quaggiù sulla terra, sangue, fuoco e nuvole di fumo. 20Il sole si muterà in tenebra e la luna in sangue, prima che giunga il giorno del Signore, giorno grande e glorioso. 21E avverrà: chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. 22Uomini d’Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nàzaret – uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso fece tra voi per opera sua, come voi sapete bene –, 23consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, voi, per mano di pagani, l’avete crocifisso e l’avete ucciso. 24Ora Dio lo ha risuscitato, liberandolo dai dolori della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere. 25Dice infatti Davide a suo riguardo: Contemplavo sempre il Signore innanzi a me; egli sta alla mia destra, perché io non vacilli. 26Per questo si rallegrò il mio cuore ed esultò la mia lingua, e anche la mia carne riposerà nella speranza, 27perché tu non abbandonerai la mia vita negli inferi né permetterai che il tuo Santo subisca la corruzione. 28Mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi colmerai di gioia con la tua presenza. 29Fratelli, mi sia lecito dirvi francamente, riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto e il suo sepolcro è ancora oggi fra noi. 30Ma poiché era profeta e sapeva che Dio gli aveva giurato solennemente di far sedere sul suo trono un suo discendente, 31previde la risurrezione di Cristo e ne parlò: questi non fu abbandonato negli inferi, né la sua carne subì la corruzione. 32Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. 33Innalzato dunque alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire. 34Davide infatti non salì al cielo; tuttavia egli dice: Disse il Signore al mio Signore: siedi alla mia destra, 35finché io ponga i tuoi nemici come sgabello dei tuoi piedi. 36Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso».

Gli effetti del discorso di Pietro sugli ascoltatori 37All’udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». 38E Pietro disse loro: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo. 39Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro». 40Con molte altre parole rendeva testimonianza e li esortava: «Salvatevi da questa generazione perversa!». 41Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone.

Sommario: la vita di comunione 42Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. 43Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. 44Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; 45vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno. 46Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio e, spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, 47lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo. Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

L'effusione dello Spirito Santo a Pentecoste Come per Gesù all'inizio del vangelo (Lc 4,18), così anche per la Chiesa, la discesa dello Spirito Santo conclude il periodo di preparazione e inaugura quello della missione. Come aveva già fatto per il racconto dell'ascensione, Luca colloca in un determinato momento storico aspetti soprannaturali del mistero pasquale: Gesù risorto ha inviato lo Spirito Santo promesso dal Padre; e con l'effusione dello Spirito divino si apre la missione della Chiesa iniziando da Israele, ma includendo tutte le nazioni (come sottinteso dall'elenco dei popoli ai vv. 9-11a). «Tutti» sono presenti e riceveranno il dono divino. Luca non precisa chi; gli interessa l'unanimità: i presenti sono uniti non solo nello stesso luogo (la stanza alta, come luogo di preghiera: 1,14), ma anche con il cuore, cioè nella volontà di amarsi. La preghiera fatta in unità di cuore è senza dubbio l'atteggiamento più idoneo per accogliere il dono dello Spirito.

Per descrivere la venuta dello Spirito Santo, Luca si serve degli elementi di una teofania: il vento impetuoso, come conviene alla «potenza» promessa dal Padre, e il fuoco (cfr. 1Re 19,11; Sal 50,3; 104,4; Es 3,2-3; 19,18; 24,17; Is 66,15; ecc.). Più precisamente il fenomeno soprannaturale si manifesta in «lingue come di fuoco» (v. 3), espressione scelta in relazione con il «parlare in altre lingue» (v. 4). «Tutti furono riempiti di Spirito Santo» (v.4): è un evento fondante, quindi iniziale e unico, ma il dono rimane per sempre nella vita della Chiesa. Lo Spirito Santo effuso è la novità escatologica che caratterizza per sempre l'esistenza dei discepoli.

Il dono dello Spirito Santo, al quale allude Luca, non è la glossolalia (un parlare estatico), ma il «parlare in altre lingue», e cioè un parlare intelligibile a tutti; è un parlare missionario. A Pentecoste gli apostoli ricevono la capacità di testimoniare in tutte le lingue l'unico Vangelo e, quindi, di inculturarsi: unità nel rispetto della diversità.

Nel racconto assistiamo ad un repentino “cambio di scena”: si radunano gli abitanti di Gerusalemme, giudei venuti da «ogni nazione che è sotto il cielo», e qualificati come «uomini giudei devoti», cioè fedeli alla Torà. Nella mente del narratore non si tratta di pellegrini venuti per la festa, ma di residenti in città, tornati nella terra santa per esservi sepolti: a loro sarà rivolta la prima predicazione apostolica, per formare la primissima comunità cristiana. Originari di tutte le nazioni, essi simbolizzano l'universalismo del messaggio evangelico pur nel rispetto della priorità d'Israele.

Il discorso di Pietro È il primo dei cinque “discorsi missionari” rivolti ai giudei e non siamo in presenza di un discorso vero e proprio, che storicamente l'apostolo avrebbe pronunciato in quella circostanza! Questo “discorso” serve a comunicare al lettore il significato dell'evento narrato, nella prima parte (vv. 15-21): mediante il rimando alla Scrittura, Luca colloca l'evento di Pentecoste nella storia della salvezza, come evento voluto da Dio e, perciò, annunciato dai profeti. Nella seconda parte (vv. 22-36), viene presentato il contenuto centrale della predicazione apostolica (l'evento pasquale della morte e risurrezione di Gesù) come viene rivolto a Israele. Per Luca inoltre, Pietro, portavoce del collegio apostolico, è colui che inaugura la missione della Chiesa presso Israele, così come inaugurerà la missione nel mondo pagano (At 1O). A Luca interessa la dimensione universale della salvezza offerta a «chiunque invocherà il nome del Signore», cioè Cristo. Pietro vuole dimostrare che Gesù, grazie alla sua risurrezione, sta all'origine del dono dello Spirito Santo e, di conseguenza, la manifestazione straordinaria di Pentecoste testimonia che Gesù è stato veramente risuscitato da Dio. Probabilmente il narratore utilizza uno schema della predicazione primitiva, che inizia con una sintesi del ministero di Gesù, insistendo sulla sua attività taumaturgica (v. 22). Poi però passa subito all'affermazione centrale dell'annuncio cristiano (la morte-risurrezione di Gesù) servendosi del cosiddetto «schema di contrasto»: «Colui che voi avete ucciso, Dio lo ha risuscitato»: pur riconoscendo la colpevolezza dei giudei, Luca sottolinea che la morte di Gesù fa parte del piano di Dio. Egli, inoltre, nomina i Romani («Uomini senza legge») come strumenti usati dai giudei per uccidere Gesù. Dunque, la visione lucana è la seguente: l'uccisione di Gesù fa parte del piano divino annunciato nelle Scritture (in vista della risurrezione), ma ciò non toglie la colpevolezza dei giudei di Gerusalemme, che si sono serviti del potere pagano per raggiungere il loro fine. Ora, Dio, per fedeltà al suo disegno, non poteva lasciare Gesù nella morte; Luca lo conferma con l'aiuto della Scrittura (vv. 25-28).

La certezza della risurrezione di Gesù proviene dall'esperienza pasquale dei discepoli e trova conferma nel Sai 16,8-11 riletto alla luce di Pasqua, che dà un'impronta cristologica al brano: David, tradizionalmente visto come l'autore e l'orante del salmo, parla profeticamente della risurrezione di Gesù. La citazione ripresa da Luca corrisponde alla sua comprensione della morte del Maestro di Nazaret: una morte vissuta nella totale fiducia in Dio, suo Padre (nel racconto della crocifissione Luca omette il grido d'abbandono del Sai 22, 1 e mette in bocca al Crocifisso una preghiera di fiducia: Le 23,46). Più che provare che Gesù è realmente risorto, l'autore sacro si sforza di dimostrare che l'orante, che dice di non rimanere nella morte, non è David (anzi, costui ha visto la corruzione), ma il discendente davidico: Gesù. Inoltre, risuscitato da Dio, Gesù ha ricevuto il potere messianico. Ma come Messia, Gesù risorto siede non tanto sul trono di David, bensì sul trono di Dio.

Pietro e gli apostoli iniziano a svolgere la loro funzione di testimoni ricevuta dallo stesso Risorto (Lc 24,48; At 1,8); la conclusione del discorso, infatti, è un appello alla conversione, con la risposta dei presenti. Luca la sviluppa sotto forma di dialogo e formula la chiamata alla conversione a mo' di esortazione catechetica, presentando le condizioni di accesso nella comunità cristiana.

Gli effetti del discorso di Pietro sugli ascoltatori I presenti con la loro domanda «Cosa dobbiamo fare?» (abile tecnica narrativa) provocano la risposta di Pietro, facendogli esporre quelle che, secondo Luca, erano le condizioni per diventare cristiani: la conversione con una decisa rottura con il passato, che implica pentimento per il male commesso; il battesimo, espresso nella formulazione tipica della primissima Chiesa (più tardi sarà introdotta la formula trinitaria: cfr. Mt 28,19): farsi battezzare «nel nome di Gesù Cristo». Ciò implica che il battezzato viene ad essere trasferito nella sfera d'influenza del Risorto (il «nome» rimanda alla persona). Gli effetti del battesimo sono: il perdono dei peccati e il dono dello Spirito Santo, cioè non qualche carisma dato dallo Spirito, ma il dono che è lo Spirito Santo stesso.

La sezione termina con considerazioni che hanno un valore generale. L'appello di Pietro – e della predicazione cristiana – provocherà inevitabilmente la divisione in Israele stesso (cfr. Lc 2,34) tra l'Israele di Dio e il popolo ostinato. Il v. 41 menziona la crescita numerica della comunità, un elemento strutturale che assegna al versetto una funzione di transizione: si sta costituendo la Chiesa in seguito all'accoglienza della predicazione apostolica, nella quale Dio è all'opera. Il passaggio da centoventi (1,15) a tremila credenti testimonia l'efficace potenza dello Spirito pentecostale e rivela l'importanza che Luca attribuisce alla Chiesa- madre di Gerusalemme. Il numero di tremila persone è un numero ideale; non ha un valore né simbolico né storico.

Sommario: la vita di comunione Dal punto di vista narrativo questo grande sommario segna una pausa ma è comunque da legare al contesto: descrive la vita di coloro che hanno accolto la Parola e sono stati inseriti nella comunione ecclesiale. La Chiesa-madre di Gerusalemme è vista come il modello ideale di ogni vita comunitaria. Il v. 42 sintetizza ciò che deve caratterizzare l'entrata dei battezzati nella Chiesa:

  • essere perseveranti, cioè fedeli all'insegnamento apostolico. Forse Luca ha in mente la situazione della sua epoca, nella quale la comunità si deve difendere da false dottrine (cfr. At 20,29-30);
  • la comunione può essere intesa nei confronti dell'insegnamento apostolico al quale è coordinata (tramite la congiunzione «e») e indicare quindi l'unità di fede con tale insegnamento; oppure identificarsi con la pratica della comunione dei beni (vv. 44-45): le due interpretazioni non si escludono a vicenda;
  • la frazione del pane, espressione diventata sinonimo di celebrazione eucaristica;
  • le preghiere (al plurale): Luca pensa probabilmente alla preghiera fatta a ore fisse della giornata, secondo l'uso giudaico.

Il v. 43 appare come un corpo estraneo all'interno del testo. Il legame tuttavia esiste: la funzione degli apostoli comporta l'insegnamento e il compiere prodigi, carisma ricevuto da Gesù (Le 9,1-2); ne nasce il «timore» religioso che caratterizza l'atteggiamento di rispetto, di obbedienza dell'uomo a contatto con la vicinanza di Dio e del suo agire, sperimentati nell'agire degli apostoli.

I vv. 44-47 riprendono i temi esposti al v. 42: la comunione, l'eucaristia, la preghiera. L'avere «tutto in comune» e «l'essere insieme» si illuminano a vicenda: non è lo stare in uno stesso posto, ma l'essere uniti in una sola realtà, il cui effetto e segno è l'avere «ogni cosa in comune». Quest'ultima espressione non è biblica, ma proviene dal mondo greco e riflette l'ideale dell'amicizia sognato da diversi filosofi. «Tra amici tutto è comune», recita una massima attribuita a Pitagora. Luca sceglie questo tema dell'amicizia, familiare ai suoi lettori ellenisti, ma evita di ridurre la comunità dei credenti a un club di amici. Egli preciserà meglio in At 4,32.34-35.

Dopo aver parlato della circolazione dei beni tra i membri della Chiesa (v. 44), l'autore sacro cambia immagine e mostra come i ricchi fossero pronti a vendere le loro proprietà per aiutare i poveri (v. 45). Luca generalizza un atto che doveva essere piuttosto eccezionale, come lascia intendere l'esempio riportato in 4,36-37. Comunque l'invito dell'autore rimane valido: tradurre la comunione spirituale in giustizia sociale. Egli dunque propone al lettore non un ideale di povertà, ma un ideale per togliere di mezzo la povertà.

Il v. 46 riprende dal v. 42 il tema della «vita liturgica» della comunità: la frequentazione del tempio di Gerusalemme, sempre con il cuore unanime; Luca vede il tempio come luogo di preghiera e di insegnamento (anche se conosce la sua funzione sacrificale). Ma i cristiani hanno anche un altro luogo di incontro: la casa per celebrare l'eucaristia, insieme al pasto fraterno preso insieme. L'atmosfera è di gioia e di semplicità di cuore: caratteristiche del tempo nuovo di salvezza.

Infine, è ricordata la lode a Dio (v. 47) vista come atteggiamento costante del credente. Tutto questo comportamento della giovane Chiesa diventa una testimonianza dinanzi agli altri e rende disponibili all'accoglienza del Vangelo.

Il sommario si conclude con una nuova menzione della crescita numerica dei credenti, senza però indicare una cifra: è una crescita continua fatta grazie a Dio, che salva e raduna «i salvati» per formare l'unica Chiesa.


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INTRODUZIONE AL LIBRO (1,1-11)

Prologo 1Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi 2fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo.

Sommario 3Egli si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio.

Le ultime parole di Gesù 4Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: 5Giovanni battezzò con acqua, voi invece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». 6Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». 7Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, 8ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra».

L'ascensione 9Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. 10Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro 11e dissero: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo».

LA COMUNITÀ DI GERUSALEMME (1,12-8,1a)

Sommario 12Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in giorno di sabato. 13Entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi: vi erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone lo Zelota e Giuda figlio di Giacomo. 14Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui.

L'elezione di Mattia e la ricostituzione del gruppo dei Dodici 15In quei giorni Pietro si alzò in mezzo ai fratelli – il numero delle persone radunate era di circa centoventi – e disse: 16«Fratelli, era necessario che si compisse ciò che nella Scrittura fu predetto dallo Spirito Santo per bocca di Davide riguardo a Giuda, diventato la guida di quelli che arrestarono Gesù. 17Egli infatti era stato del nostro numero e aveva avuto in sorte lo stesso nostro ministero. 18Giuda dunque comprò un campo con il prezzo del suo delitto e poi, precipitando, si squarciò e si sparsero tutte le sue viscere. 19La cosa è divenuta nota a tutti gli abitanti di Gerusalemme, e così quel campo, nella loro lingua, è stato chiamato Akeldamà, cioè “Campo del sangue”. 20Sta scritto infatti nel libro dei Salmi: La sua dimora diventi deserta e nessuno vi abiti, e il suo incarico lo prenda un altro. 21Bisogna dunque che, tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi, 22cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone, insieme a noi, della sua risurrezione». 23Ne proposero due: Giuseppe, detto Barsabba, soprannominato Giusto, e Mattia. 24Poi pregarono dicendo: «Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostra quale di questi due tu hai scelto 25per prendere il posto in questo ministero e apostolato, che Giuda ha abbandonato per andarsene al posto che gli spettava». 26Tirarono a sorte fra loro e la sorte cadde su Mattia, che fu associato agli undici apostoli.

Approfondimenti

(cf ATTI DEGLI APOSTOLI – Introduzione, traduzione e commento – a cura di Gérard Rossé © EDIZIONI SAN PAOLO, 2010)

Riformulando la dedica a Teòfilo (cfr. Lc 1,3), «l'amico di Dio», Luca riassume il primo libro: i fatti e l'insegnamento di Gesù fino alla sua ascensione in cielo, in- cludendo quindi anche le apparizioni del Risorto; tutto questo fa parte dell'annuncio cristiano fondamentale. L'autore ha cura di menzionare subito i due personaggi su cui è imperniata la prima sezione (1,12-2,48): il collegio degli apostoli e lo Spirito Santo.

Sono ricordate le apparizioni del Risorto: veri incontri con il Vivente, non visioni di un fantasma. Le apparizioni hanno una finalità precisa: mettere gli apostoli alla scuola di Gesù risorto. I quaranta giorni hanno un valore simbolico, non cronologico, e non c'è quindi contraddizione con Lc 24,50-51 dove l'ascensione avviene la sera stessa del giorno della risurrezione. È il periodo di formazione completa, che abilita gli apostoli ad essere coloro che trasmettono l'autentica tradizione di Gesù.

L'ultimo dialogo di Gesù con i discepoli, come in Lc 24,41-43, è pronunciato sullo sfondo di una scena conviviale; ma mentre nel vangelo il mangiare del Risorto deve manifestare il realismo corporeo della sua risurrezione, ora la scena assume la caratteristica di un simposio (cioè di un banchetto durante il quale si parla di argomenti dotti) in cui vengono ripresi temi esposti in antecedenza e nello stesso tempo lo sguardo dell'evangelista si porta in avanti e prepara il lettore all'evento della Pentecoste. Al v. 5 Luca riprende una parola del Battista (Lc 3,16) e la fa diventare parola di Gesù: l'atteso battesimo in Spirito Santo annunciato da Giovanni si realizzerà – come promessa di Cristo – alla Pentecoste. E questo dono dello Spirito divino non rimanda più all'imminente giudizio divino finale, ma inaugura il tempo della Chiesa nella storia. Segue una domanda dei discepoli in apparenza fuori contesto (v. 6), ma che Luca giudica importante come risposta a un interrogativo dei suoi lettori: la fine dei tempi che, nella tradizione apocalittica coincide con l'effusione dello Spirito divino e con l'inaugurazione del regno messianico in Israele, è imminente? La risposta del Risorto (vv. 7-8) è un rifiuto categorico delle speculazioni sulla data della fine del mondo: soltanto Dio la conosce. L'evangelista coglie l'occasione per presentare il programma del libro al lettore: la missione da Gerusalemme fino ai confini della terra sotto la guida e con la capacità ricevuta dallo Spirito di Dio. Però gli Atti si chiudono con l'arrivo di Paolo a Roma e così il programma rimane aperto: tra Roma e i confini della terra c'è un vuoto, occupato da tutta la storia della Chiesa lungo i secoli!

Il racconto dell'Ascensione ha il suo parallelo in Lc 24,50-52; le differenze tra i due mostrano che Luca non vuole fare il resoconto di un evento storicamente constatabile, ma dare il significato per la fede di un aspetto reale ed essenziale della risurrezione di Gesù: il suo stare nel seno del Padre o «alla destra di Dio», cioè nella situazione di piena partecipazione alla condizione e ai poteri divini. L'autore ora menziona la «nube». Nell'Antico Testamento la nube fa parte della teofania: segno della vicinanza di YHWH, presenza nascosta ma reale. Gesù risorto si trova posto nella condizione divina, ma per la Chiesa la sua presenza, benché invisibile, rimane reale.

Dopo l'Ascensione i discepoli ritornano a Gerusalemme (cfr. Lc 24,5); tuttavia non si recano al tempio, come nella conclusione del vangelo, ma nella stanza alta, che probabilmente l'autore sacro considera un luogo adatto al raccoglimento e alla preghiera. Da qui lo Spirito Santo metterà in movimento la nuova tappa della storia della salvezza. Viene poi presentato il nucleo iniziale della Chiesa con, alla sua testa, il gruppo dei Dodici (per ora undici); sono in un atteggiamento che Luca predilige: quello dell'unanimità dei cuori, dell'assiduità e della perseveranza nella preghiera. Come aveva fatto all'inizio della vita pubblica di Gesù, l'autore presenta l'elen- co degli apostoli: là erano visti come testimoni dell'attività e dell'insegnamento di Gesù; ora come testimoni nei riguardi di Israele e cuore della prima comunità cristiana. I Dodici incarnano la continuità tra Gesù e la Chiesa. Distinti da questo gruppo, ma uniti ad esso nella fede, nell'amore e nella preghiera, sono nominate alcune donne senza precisare, ma anche i fratelli di Gesù, cosa che può sorprendere vista la loro ostilità al Maestro prima di Pasqua (cfr. Mc 3,20-21.31-35; Gv 7,3-5). Maria è l'unica persona di questo gruppo ad essere menzionata con il suo nome e la sua vocazione di «madre di Gesù». Maria appare quindi all'inizio della vita di Gesù (vangelo) come all'inizio della vita della Chiesa; è la sua ultima menzione esplicita nel Nuovo Testamento.

L'elezione di Mattia e la ricostituzione del gruppo dei Dodici Dal punto di vista storico, la scelta di Mattia è significativa: manifesta l'intenzione di proseguire la missione di Gesù nei confronti di Israele. Nella mente del redattore, i Dodici, ai quali riserverà il nome di «apostoli», sono all'origine della tradizione e ne garantiscono l'autenticità per le generazioni successive. Prima del dono dello Spirito Santo, il collegio apostolico dev'essere al completo. Per la prima volta, nel libro, Pietro assume il suo ruolo direttivo; egli prende l'iniziativa, ma in unità con gli altri. La cifra di 120 persone non sembra essere una pura informazione statistica; si discute tuttavia sul suo significato: 12 X 10, un apostolo ogni dieci persone, un principio applicato a Qumran (un sacerdote ogni 10 uomini); nel rabbinismo, 120 era il numero minimo per costituire una comunità autonoma (Luca, quindi, si servirebbe di un modello giudaico per mostrare la legittimità dell'elezione di Mattia). Sono ipotesi fragili. Per Luca, comunque, queste persone rappresentano il primo nucleo di Chiesa attorno ai Dodici.

Il racconto della morte di Giuda è una leggenda popolare sorta a partire dal nome Akeldamàc. L'immaginario popolare crea, certo, una morte orrenda proporzionata alla gravità del gesto commesso, come degna punizione divina. Il v. 20 combina due citazioni: la prima giustifica come volontà di Dio il fatto che il podere di Giuda non sia più abitato, e chiude il discorso sul traditore; la seconda citazione apre sull'elezione di Mattia, anch'essa posta sotto il volere divino.

L'elezione di Mattia viene fatta in armonia tra la comunità, i Dodici e Dio. Luca ama questo genere di collaborazione, così come dà sempre grande importanza alla preghiera quando la comunità deve prendere delle decisioni (6,6; 13,1-2). La scelta avviene secondo un antico e sacro uso: tirare a sorte. In tal modo l'eletto è visto come designato da Dio. Gli undici apostoli tornano ad essere dodici.

Luca offre al lettore la sua definizione di apostolo: bisogna aver vissuto insieme ai Dodici con Gesù a cominciare dal suo battesimo ad opera di Giovanni fino all'ascensione, nonché essere testimoni delle apparizioni del Risorto. Gli apostoli incarnano la continuità tra il tempo di Gesù e quello della tradizione ecclesiale; essi sono testimoni insostituibili dell'identità del Gesù terreno con il Risorto.


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L'ultima manifestazione del Risorto 1 Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: 2si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedeo e altri due discepoli. 3Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. 4Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. 5Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». 6Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. 7Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. 8Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. 9Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. 10Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». 11Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. 12Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. 13Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. 14Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. 15Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». 16Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». 17Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. 18In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». 19Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi». 20Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». 21Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». 22Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». 23Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?». 24Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. 25Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.

Approfondimenti

Tratti dal sussidio per i gruppi di ascolto della Parola di Dio 2015-2016 dell'Ufficio Catechistico Diocesano di Pistoia

Profuma di quotidiano, di semplicità, il tempo di questo racconto. Ha il sapore concreto e poco ammaliante della vita feriale, lo scenario in cui Gesù appare ai discepoli per l’ultima volta, nel vangelo di Giovanni, quasi a dimostrare che il monotono scorrere del nostro vivere non è banalità, bensì il luogo privilegiato dell’incontro, con Dio e con gli altri; un incontro che è senso e signi- ficato, che reinventa la vita e la rimette in moto; un incontro che accade là dove la mia vicenda umana quotidianamente si compie, con tutte le sue spigolosità e crepe, ancor più, e prima, che nelle volute armoniose del tempio, tra profumi d’incenso e bellezza di riti. Dio abita il mio tempo stanco e disorientato di ogni giorno, la mia quotidiana fatica, le pieghe opache del vivere con i suoi brevi entusiasmi e le sue lunghe stanchezze. C’è, infatti, un retrogusto di stanchezza e di fatica, nella frase di Pietro: “Io vado a pescare”. La stanchezza dell’attesa improduttiva e la fatica della coscienza davanti a una situazione che non si sblocca, che non dà segni concreti di evoluzione, di fronte alla quale i discepoli sentono di non avere risorse (“Veniamo anche noi con te”). Allora non resta altro da fare che riaffidarsi agli strumenti antichi e collaudati, quelli del mestiere padroneggiato da sempre, per ritrovare, se non un senso, almeno un sostentamento, al vivere. “Ma quella notte non presero nulla”. Può accadere, nonostante le significative esperienze di comunione vissute, pur avendo sperimen- tato l’amicizia con il Signore, benché si sia stati testimoni della Resurrezione, che il nostro lavoro non sia fruttuoso, non ci renda appagati, e nemmeno ci sfami. La Resurrezione non toglie nulla alla fatica del vivere, alle sue incertezze, alle difficoltà che mostrano noi impreparati e inadeguati i nostri mezzi. Ma lo scoraggiamento non sia rassegnazione. “Quando era già l’alba, Gesù stette sulla riva”. Non è un semplice “arrivare”, un “venire”, ma uno “stare”, l’azione di Gesù. Gesù “sta”; non è intermittente, ma stabile, la sua presenza. Sta, resta, ti osserva da lontano, ma senza distacco, come una madre che veglia e sorveglia, di te si occupa anziché preoccuparsi. Ed eccolo, come una madre che sempre ti chiede ”hai mangiato?”, domandare: “Figlioli, non avete nulla da mangiare?” E lo chiede usando un termine che letteralmente significa “companatico” (trasl. prosphagion): “... avete qualcosa che non semplicemente vi sfami, ma che vi dia gusto?”... E ci riconosco il Gesù amante del vino alle feste di nozze, che passa per le vie benedicendo e seminando guarigioni, che apprezza e fa apprezzare le piccole buone cose che rallegrano i giorni: la tavola, gli amici, le esperienze condivise, i talenti moltiplicati, la gratitudine esplicitata, gli sguardi di bene profusi a pioggia gli uni sugli altri, vero companatico nel pane dei giorni. “Gli risposero: ‘no’” Requisito primo e indispensabile che rende possibile l’incontro autentico, la relazione capace di sbloccare una situazione di mancanza, è ammettere il proprio bisogno, riconoscere che i nostri mezzi non sono sufficienti, che le nostre capacità sono limitate, il nostro impegno inefficace. Con autenticità e semplicità. “Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete”. E accade qualcosa che stupisce, prima ancora del risultato della pesca: “la gettarono”. Senza con- trobattere, senza polemizzare per difendere il proprio metodo, senza trincerarsi dietro roccaforti di lamentele e giustificazioni, “la gettarono”. “Ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù” (v.4) La gettano per ascolto di uno sconosciuto! Qualcosa è cambiato, in loro, a seguito dell’esperienza fatta di Gesù, della sua Resurrezione, e dei suoi insegnamenti successivi; molto tempo prima Pietro aveva risposto ribattendo a un invito simile di Gesù: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla!” e poi aveva gettato le reti, ma solo perché l’aveva detto Lui (“Sulla tua parola getterò le reti”-Lc.5,5); adesso lo stesso Pietro, il testardo Pietro, si lascia condizionare da un estraneo, apparentemente senza com- petenze, e permette che questo sconosciuto interferisca con la sua vita, ne modifichi le certezze. Fa come dice lui; rinuncia a imporsi perché lui si proponga. E le cose cambiano. L’esperienza che era solo fallimento e inconcludenza diventa occasione di abbondanza, di riscatto. A permetterlo è stata, prima ancora che l’azione di Gesù, l’apertura dei discepoli, la loro ammis- sione di povertà, la disponibilità a mettere in discussione il loro agire perché un altro li arricchisse del suo contributo. Vedere nell’altro un dono, una ricchezza per la mia vita, e non un ostacolo, apre le porte all’insperato. E Dio agisce. E accadono miracoli. “E non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci”. Allora lo riconoscono. Lo riconosce per primo colui capace di guardare col cuore, “quel discepolo che Gesù amava”, e alla sua esclamazione Pietro, senza filtri, fa seguire l’azione: si riveste (si pescava nudi, per praticità), subito, e si getta, senza esitazioni né parole, in mare, con lo slancio dell’urgen- za che non ammette ritardi, perché nulla conta di più di quell’incontro. Segue un’immagine di grande intimità, in una cornice di familiarità accogliente e calda. Gesù ha già preparato per loro. “Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane.” L’amore di Dio per l’uomo, senza limiti né misura, estremo ed esagerato, si declina in piccole sfu- mature di tenerezza, accudimenti materni: ti fa trovare il pasto caldo, preparato per te, si siede con te ad ascoltare della tua giornata, si interessa a che tu ti senta bene, amato, preziosamente custodi- to. Nulla di te è troppo umano perché divinamente non se ne interessi, troppo basso perché non si pieghi a guardarlo. Mi rapisce questo proporsi “terra terra” di Gesù, perché capisco che nessuno dei miei umani bisogni è insignificante per il suo amore previdente. E ancora “disse loro Gesù: -Portate un po’ del pesce che avete preso ora-”. Lui lo ha, lo aveva già, ma chiede il contributo del risultato della pesca dei discepoli: chiede che i frutti del mio lavoro si me- scolino, coi suoi, sulla mensa, per farne insieme offerta ed eucarestia, dono e rendimento di grazie, vicendevole, bastante. Chiede il pesce pescato da loro, che si unisca e confonda col suo, come chiese la merenda a un ragazzino per sfamare la folla, come chiese le giare piene d’acqua per farne traboccare il vino, perché nella sua pedagogia la condivisione conta più che il risultato. Poi, come sotto lo sguardo di una regia sapiente che restringe l’obbiettivo della macchina da presa inquadrando i protagonisti, restano al centro della scena solo Gesù e Pietro. E quel giorno, il Maestro e il pescatore, si parlano con franchezza, senza filtri, in un dialogo ser- rato, d’intensità crescente, che ribadisce un unico tema, racchiuso in quella semplice e profonda domanda: “Mi ami?”. 52 Gesù chiede a Pietro se lo ama, Pietro risponde come lo ama. Sì, perchè, mentre noi usiamo un unico verbo “amare” per indicare più moti del cuore, a ciascuno di questi l’antica lingua greca attribuisce un suono diverso, senza lasciare ambiguità nei significati. Allora si scopre che Gesù, nel chiedere a Pietro “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?” usa il verbo dell’amore gratuito e totale, amore ch’è pienezza del dono senza pretese di rimandi né timore di rifiuti, amore che non calcola e non fa economia di sé, l’amore con cui ama Dio. Gesù quindi chiede a Pietro: “Agapàs me, mi ami tu? Mi ami come ti amo io, di un amore incon- dizionato, che è totalità, sacrificio e dono”? E Pietro non finge, non tenta di strafare, non esagera per apparire migliore di quel che è, più capace, più adeguato, e risponde col verbo che indica il voler bene sincero tra amici: “Signore, sono quel che sono, mi conosco e so i miei limiti, questo è quel che riesco a dare, il modo in cui ti posso amare: filò se, ti voglio bene”. Non dichiara il suo amore maggiore o migliore di quello altrui, è un uomo consapevole di se stesso, Pietro, che è passato attraverso la notte del proprio tradimento, delle promesse fatte e non mantenute, ha sperimentato con dolore la propria fragilità, uscendone spogliato dai drappi della presunzione. E così, anche quando Gesù rilancia: “Simone, figlio di Giovanni, agapàs me, mi ami?” lui è libero di rispondere: “ti voglio bene, ti sono amico, filò se, Signore, lo sai.” E come quella notte, nel cortile di Caifa, rispondendo a un servo, per la terza volta Pietro ripeté “non lo conosco”, così ora una terza volta ha l’opportunità di ribadire il suo essere con lui e per lui; perché Gesù, senza giudicarlo, senza imporgli niente, senza misurarlo con il metro del suo amore, glielo chiede di nuovo. Ma stavolta non allo stesso modo. Gesù usa il verbo adoperato da Pietro, fa sua misura la capacità d’amore di lui, e modula la richiesta sulla sua possibilità di risposta: “Simone, figlio di Giovanni, filèis me? Mi vuoi bene? ...dammi la tua amicizia, se agape è troppo, stai con me con sincerità e con tutto il tuo affetto di amico, e quel tutto mi sarà più che bastevole.” Infinita passione di Dio per l’uomo, che mi precede nell’amore, e tutto si dona a servizio della mia vita, ma rallenta il passo delle sue attese al ritmo del mio amare lento, e breve. Insieme a Pietro, sulla riva del lago, impariamo una grande lezione d’amore quel giorno: Dio che si piega e si china a raggiungere la mia piccolezza, le mie limitazioni, e ne fa germe da cui ripartire, con quel poco che so dare, per regalare riscatto, speranza nuova, alla mia vita, e con la mia vita nutrire altra vita. “Pasci i miei agnelli”. Gesù dona la responsabilità più bella e più grande, quella di custodire e alimentare la vita, a qualcuno non perfetto, ma che è consapevole dei propri limiti, a un Pietro che non è preoccupato del ruolo, dell’immagine di sé che dà, ma di essere autentico nella relazione, capace di sguardo di bene e di ascolto verso gli altri perché per primo è stato destinatario di quel genere di sguardo, di quel balsamo di ascolto che lo ha riabilitato, amato per ciò che è. Il pastore-pescatore, ancora oggi, sarà chiunque ha in cura l’esistenza di altri, in famiglia, nel lavoro, nella chiesa, e sarà qualcuno a cui Gesù ripeterà “pasci i miei agnelli” solo dopo aver posato su lui il Suo sguardo d’amore e averne ricevuto uno scambio almeno di amicizia, un amore grande solo quanto possibile, ma messo in gioco, nudo. E questo qualcuno non sarà chiamato a giudicare chi è dentro e chi è fuori, chi è meritevole e chi non lo è, ma sarà prima di tutto capace di lasciarsi amare, perdonare, servire, nei suoi limiti, per poter poi divenire custode e artefice di quello stesso servizio per gli altri.


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La tomba vuota e l'incontro del Risorto con Maria 1Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. 2Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». 3Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. 4Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. 5Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. 6Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, 7e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. 8Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. 9Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti. 10I discepoli perciò se ne tornarono di nuovo a casa. 11Maria invece stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». 14Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. 15Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». 16Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». 17Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». 18Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

L'incontro del Risorto con i discepoli e Tommaso 19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». 24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». 26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». 30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Approfondimenti

Tratti dal sussidio per i gruppi di ascolto della Parola di Dio 2015-2016 dell'Ufficio Catechistico Diocesano di Pistoia

La tomba vuota e l’apparizione a Maria di Magdala (Gv 20,1-18) Questo brano del capitolo 20 del Vangelo di Giovanni narra una storia di incontri. I primi 10 versetti raccontano l’incontro di Maria di Magdala, Pietro e il “discepolo amato” con il sepolcro vuoto, mentre la seconda parte del brano (vv. 11-18) ritrae l’apparizione del Signore risorto alla stessa Maria di Magdala. Il testo si apre con una connotazione di tipo temporale: “il primo giorno della settimana...quando era ancora buio” (v. 1) per collocare l’azione nelle tenebre della notte che segue la festa della Pasqua ebraica. L’alba della domenica non è ancora giunta quando una donna sfida il pericolo di mettersi in cammino di notte per recarsi al sepolcro dove era stato posto il corpo del Signore Gesù. Que- sta donna ha il nome di Maria di Magdala, la stessa donna che troviamo sotto la croce assieme a Giovanni, a Maria madre di Gesù e ad altre due donne (Gv 19,25). Anche nei sinottici troviamo citata Maria di Magdala sia nei racconti delle apparizioni (Mt 28,1; Mc 16,1; Lc 24,10), sia nei racconti della vita pubblica di Gesù (Mc 8,1-3). Il brano che abbiamo letto non dice niente a proposito della motivazione che spinge la Maddalena a recarsi al sepolcro ma possiamo immaginare che la donna sia stata mossa dall’affetto profondo nutrito per il Signore. Di sicuro l’evangelista vuol focalizzare l’attenzione sul fatto stesso del met- tersi in viaggio e di abbandonare le proprie sicurezze, mettendosi in gioco, per andare alla ricerca del Signore. È in questa chiave, dunque, che ognuno di noi può calzare le scarpe della Maddalena e svegliarsi presto nel cuore della notte e mettersi in cammino alla ricerca di un “incontro”. Maria infatti cerca un corpo senza vita e si ferma davanti un sepolcro dal quale è stata tolta la pietra d’ingresso, intuisce che qualcosa sia accaduto ma non entra a vedere cosa sia realmente suc- cesso. Il suo cammino inizia pertanto nelle tenebre di chi non ha compreso cosa cercare. Le sue parole “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno messo” (v.2) scandiscono la scena, ritmano il suo sbigottimento e il suo dolore e nel contempo servono da richiamo per Pietro e l’alto discepolo, “quello che Gesù amava” (v. 2), a recarsi anch’essi al sepolcro per vedere di persona quanto raccontato dalla donna. Il discepolo amato arriva per primo ma non entra lasciando passare Simon Pietro il quale trova soltanto i teli funebri di Gesù ed il suo sudario. Il vangelo giovanneo non dice il nome del discepolo che accompagna Pietro, ma ne sottolinea solamente il vincolo che lo unisce al Signore: l’amore. Ed è proprio l’amore per il Signore la chiave di volta che rende capace il discepolo amato di leggere ciò che anch’egli vede nel sepolcro con gli occhi della fede. È l’amore che lo fa capace di credere alla Resurrezione ancor prima di aver incon- trato il Signore risorto e di esprimere la sua professione di fede (v. 8). E nel capitolo 21 dello stesso vangelo troviamo che è il discepolo amato, ancora una volta, a riconoscere per primo il Signore risorto perché dotato di quell’amore profondo che gli fa intuire la presenza del Signore prima di tutti gli altri. (Gv 21,7) Ed è sempre l’affetto per il Signore che àncora Maria Maddalena a quel sepolcro vuoto. La donna, a differenza del discepolo amato, non comprende l’accaduto, è sconvolta dal dolore, è delusa ma non si stacca da quell’assenza. Rimane presso il sepolcro vuoto così come era rimasta presso la cro- ce. Neanche l’incontro con gli angeli, esseri straordinari, la smuove dal suo dolore così come il pri- mo apparirle di Gesù, la donna infatti lo crede il giardiniere. Non la scuote neppure la domanda di Gesù “chi cerchi?” (v. 15), quella stessa domanda che il Signore aveva rivolto ai primi discepoli all’inizio del suo mandato quando li aveva interrogati su quale fosse il loro desiderio profondo (Gv 1, 38). Neppure allora la Maddalena muta il suo ritornello (v. 15). Maria Maddalena riconoscerà Gesù soltanto quando il Signore la chiamerà per nome: “Maria” (v. 16). Gesù non le annuncia la sua Resurrezione ma la chiama semplicemente per nome e in quell’essere chiamata per nome Maria Maddalena si sente conosciuta e, riconoscendo l’Amore che aveva già molte volte incontrato, lo chiama “Maestro” (v. 16). Il sentirsi chiamata per nome spazza via ogni incomprensione nella mente della Maddalena e scac- cia via ogni tristezza dal suo cuore. Quel suo piangere disperato (v. 11) davanti al sepolcro vuoto viene confortato dall’aver riconosciuto Gesù. E l’immensa gioia che irrompe nel cuore di Maria fa sì che la donna provi a trattenere il Signore, a non farlo andare via, ma Gesù le dice di non trattenerlo (v. 17) perché ancora non è salito al Padre. Questa ascesa, nel testo giovanneo, è preludio al dono dello Spirito Santo che avverrà di lì a poco. Infatti solo quando Gesù donerà il Paràclito si genererà un nuovo tipo di relazione col Signore risorto e questa nuova relazione non avrà fine. Per questo il Signore invita la Maddalena a staccarsi dall’idea del possesso di quell’incontro gioioso perché, adesso che la morte è stata vinta, non si può più pensare di vivere relazioni dominate da una forza centripeta. La logica adesso non può essere che quella del dono. Maria Maddalena deve lasciare che il Signore salga al Padre per potersi fare dono di Amore eterno per tutti gli uomini, per poter far sì che tutti gli uomini nel suo Amore divengano suoi fratelli capaci di donarsi come Lui ha fatto per primo. Ed è in questa logica di dono e di testimonianza che la Maddalena, mandata dal Signore, annun- cerà ai discepoli “Ho visto il Signore”(v. 18), dove il verbo vedere nel testo greco ha la stessa forma del vedere usato al v. 8 per esprimere la professione di fede del discepolo amato. Questo per sotto- lineare anche verbalmente come il percorso della Maddalena dalle tenebre di un’assenza sia giunto finalmente alla luce dell’incontro con Risorto. Per questo motivo Maria Maddalena diviene figura paradigmatica di ogni fedele che si metta alla ricerca del Signore, di ogni fedele che si incammini a partire dai propri limiti, dalle proprio paure e incomprensioni, restando fedele sempre all’affetto che ha sperimentato e all’Amore che ha ricevuto. Ed in quell’essere chiamata per nome di Maria c’è tutta la gioia profonda dell’esser stata “vista” dal Signore e amata profondamente. L’aver sperimentato quell’eccesso di Amore la farà capace di annunciare e testimoniare ai fratelli la gioia del Signore risorto.

L’apparizione del risorto ai discepoli (Gv 20,19-31) Nella seconda scena, i discepoli vanno ad annunciare a Tommaso, che non era con loro al momen- to dell’apparizione di Gesù, che “Abbiamo visto il Signore!”. Ma, come i discepoli non avevano creduto all’annuncio di Maria di Magdala che gli aveva annunciato “Ho visto il Signore” (Gv 20, 18), così anche per Tommaso non è sufficiente per credere alla Risurrezione di Gesù l’annuncio dei suoi compagni, ma ha bisogno di vedere nelle Sue mani il segno dei chiodi, di mettere il dito nel segno dei chiodi e la sua mano nel Suo fianco.

il terzo momento si svolGe, “otto Giorni doPo” la risurrezione Gesù viene nuovamente “in mezzo” ai discepoli, questa volta è presente anche Tommaso e per la terza volta annuncia “Pace a Voi”. Poi si rivolge a Tommaso e gli dice “Metti qui il tuo dito e guar- da le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo ma credente”. Tommaso ha visto il Signore, è stato invitato a mettere il suo dito nella piaga dei chiodi, a mettere la mano nel fianco, ma poi non ha detto “è vero il Signore è risorto”. È andato oltre facendo la prima confessione e adorazione della divinità di Cristo dopo la Risurrezione. È importante rilevare, per ben comprendere il senso del messaggio di Gesù che anche nell’ultima traduzione della CEI, le parole di Gesù vengono tradotte con un’imprecisione, rispetto all’origi- nale greco. L’errore di traduzione a cui pensa di poter appoggiarsi tale interpretazione, che di fatto travisa il passo evangelico, consiste nel tradurre al presente il rimprovero di Gesù: “Beati coloro che credono, pur senza aver visto”. In questo modo le parole vengono trasformate in una regola di metodo valida per tutti coloro che vivono nei tempi successivi alla morte e risurrezione di Gesù. Secondo questa interpretazione sembra quasi che Gesù si opponga al naturale desiderio di vedere, chiedendo a noi una fede fondata solo sull’ascolto della Parola. In realtà, qui il verbo non è al presente, come viene tradotto. Nell’originale greco il verbo è all’aoristo (πιστεύσαντες), “Tu hai creduto perché hai visto” – dice Gesù a Tommaso – “beati coloro che senza aver visto [ossia che senza aver visto me, direttamente] hanno creduto”. E l’allusione non è ai fedeli che vengono dopo, che dovrebbero “credere senza vedere”, ma agli apostoli e ai discepoli che per primi hanno riconosciuto che Gesù era risorto, pur nell’esiguità dei segni visibili che lo testimoniavano. In particolare il riferimento indica proprio Giovanni, che con Pietro era corso al sepolcro per primo dopo che le donne avevano raccontato l’incontro con gli angeli e il loro annuncio che Gesù Cristo era risorto. Giovanni, entrato dopo Pietro, aveva visto degli indizi, aveva visto la tomba vuota, e le bende rimaste vuote del corpo di Gesù senza essere sciolte, e pur nell’esiguità di tali indizi aveva cominciato a credere. La frase di Gesù “beati quelli che pur senza aver visto [me] hanno creduto” rinvia proprio a Giovanni al momento del suo ingresso nel sepolcro vuoto. Riproponendo l’esem- pio di Giovanni a Tommaso, Gesù vuole indicare che è ragionevole credere alla testimonianza di coloro che hanno visto dei segni, degli indizi della sua presenza viva. Non è la richiesta di una fede cieca, è la beatitudine promessa a coloro che in umiltà riconoscono la sua presenza a partire da segni anche esigui e danno credito alla parola di testimoni credibili. Ciò che viene rimproverato a Tommaso cade sul fatto che all’inizio Tommaso si è chiuso e non ha dato credito alla testimonianza di coloro che gli dicevano di aver visto il Signore vivo. Sarebbe stato meglio per lui dare un credito iniziale ai suoi amici, nell’attesa di rifare di persona l’esperienza che loro avevano fatto. Invece Tommaso ha quasi preteso di dettare lui le condizioni della fede. 47 Vi è un altro errore di traduzione, ripetuto anche dalla nuova versione CEI, che rischia di non farci ben comprendere il testo. Quando Gesù sottopone le sue ferite alla “prova empirica” richiesta da Tommaso, accompagna questa offerta con un’esortazione: “E non diventare incredulo, ma diventa (γίνου) credente”. Significa che Tommaso non è ancora né l’uno né l’altro. Non è ancora incredu- lo, ma non è nemmeno ancora un credente. La versione CEI traduce invece: “E non essere incredulo, ma credente”. Ora, nel testo originale, il verbo “diventare” suggerisce l’idea di dinamismo, di un cambiamento provocato dall’incontro col Signore vivo. Senza l’incontro con una realtà vivente non si può cominciare a credere. Solo dopo che ha visto Gesù vivo Tommaso può cominciare a diventare “credente”. Invece la versione inesatta, che va per la maggiore, sostituendo il verbo essere al verbo diventare, elimina la percezione di tale movimento, e sembra quasi sottintendere che la fede consiste in una decisione da prendere a priori, un moto originario dello spirito umano. Tom- maso, anche lui, vede Gesù e allora, sulla base di questa esperienza, è invitato a rompere gli indugi e a diventare credente. Le apparizioni a Maria di Magdala, ai discepoli e a Tommaso sono l’immagine normativa di un’esperienza che ogni credente è chiamato a fare nella Chiesa; come l’apostolo Giovanni, anche per noi il “vedere” può essere una via d’accesso al “credere”. Proprio per questo continuiamo a leggere i racconti del Vangelo: per rifare l’esperienza di coloro che dal “vedere” sono passati al “credere”. Infatti il Vangelo di Marco si conclude testimoniando che la predicazione degli apostoli non era solo un semplice racconto, ma era accompagnata da miracoli, affinché potessero confermare le loro parole con questi segni: “Allora essi partirono e annunciarono il vangelo dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la parola con i segni che la accompagnavano” (Mc 16,20). Mentre leggiamo i Vangeli, vediamo di nuovo i fatti che accadono. In particolare, sono i santi che attualizzano per i loro contemporanei i racconti del Vangelo. Quando san Francesco parlava, per chi era lì presente era chiarissimo che i Vangeli non erano un racconto del passato, solo da leggere e ascoltare: in quel momento era evidente che in quell’uomo era presente e agiva Gesù stesso.


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Il processo romano – prima parte – seconda parte 1Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. 2E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. 3Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi. 4Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». 5Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!». 6Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». 7Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio». 8All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. 9Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. 10Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». 11Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande». 12Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». 13Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. 14Era la Parasceve della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». 15Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». 16Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

La crocifissione Essi presero Gesù 17ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, 18dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. 19Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». 20Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. 21I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». 22Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto». 23I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato – e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. 24Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte. E i soldati fecero così. 25Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. 26Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». 27Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.

La morte di Gesù 28Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». 29Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. 30Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito. 31Era il giorno della Parasceve e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. 32Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. 33Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, 34ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. 35Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. 36Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. 37E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto.

La sepoltura 38Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatea, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. 39Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di àloe. 40Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. 41Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. 42Là dunque, poiché era il giorno della Parasceve dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.

Approfondimenti

Tratti dal sussidio per i gruppi di ascolto della Parola di Dio 2015-2016 dell'Ufficio Catechistico Diocesano di Pistoia

Il processo romano – seconda parte Il tema dominante di questa sezione è quello della regalità di Gesù e il suo giudizio sul mondo. Nel primo colloquio con Pilato Gesù dichiara di essere Re e spiega la natura della sua regalità. Nella scena degli oltraggi Giovanni dimentica alcuni tratti presenti nei sinottici concentrandosi invece su tratti regali (19,2-3): la corona di spine, il mantello di porpora, il saluto dei soldati (“salve, Re dei Giudei”). Nella scena dell’Ecce Homo (19,4-7) Gesù è presentato ai Giudei con le insegne regali (la corona e la porpora). Infine la scena del Litostroto (19,12-14) ne è la proclamazione solenne: “Ecco il vostro Re”. Dunque, la regalità di Gesù è riconosciuta e proclamata. Il mondo crede di annientare Gesù o di ridicolizzarlo, mentre crea le condizioni perché si manifesti.

Quarto quadro (19,1-3) Pilato fa flagellare Gesù, e con questo egli mostra di cercare una via di mezzo. Ma non è possibile alcuna via di mezzo, e il suo gesto diventa un arbitrio. Abbiamo già detto che la scena è al centro dell’intera narrazione del processo: riunisce i due temi maggiori, cioè la rivelazione della regalità di Gesù e il suo rifiuto da parte del mondo. Il gioco crudele dei soldati è derisione e rifiuto (Gesù è talmente diverso dagli altri re che agli uomini pare un re da burla) ma è anche inconsapevolmente, una rivelazione.

Quinto quadro (19,4-7) In questa scena Gesù, rivestito delle insegne regali, è presentato alla folla per la prima volta. L’atteggiamento di Pilato è palesemente contraddittorio: dichiara Gesù innocente e cerca di liberarlo (v.4), ma poi lo condanna (v.6): “Prendetelo e crocifiggetelo voi, perché io non trovo in lui alcun motivo di condanna”. E si direbbe che Gesù non l’aiuta in alcun modo a uscire dalla contraddizione o a cercare una via di mezzo. Lo costringe anzi a contraddirsi fino in fondo. Ormai Pilato non lotta più per la giustizia, ma soltanto per la propria salvezza. Il suo è un goffo tentativo di rimanere neutrale, di non assumersi il rischio di una decisione, d’altronde già presa. Ma anche i Giudei sono costretti a pronunciarsi provocati dall’esitazione di Pilato. Dicono che deve morire perché si è proclamato figlio di Dio, e con questo svelano la vera ragione del loro rifiuto, ammettendo nello stesso tempo la falsità dell’accusa precedente. La loro falsa concezione di Dio è incompatibile con la vera manifestazione di Dio avvenuta in Gesù. E proprio questo mostra che essi mancano di ogni autentica esperienza di Dio. È il secondo dialogo fra il governatore e Gesù ed è parallelo al primo. In ciascuno dei dialoghi viene posta una domanda in relazione all’accusa mossa dai Giudei. Gesù fu accusato di essere re e Pilato chiese: “Tu sei il re dei Giudei? Che cosa hai fatto?”. Ora è accusato di proclamarsi Figlio di Dio, e Pilato chiede: “Di dove sei?” È la tipica domanda di chi si sente in qualche modo provocato da Gesù e tuttavia vuole sfuggire al rischio della fede.

Sesto quadro (19,8-11) A ogni modo ora il processo non verte più semplicemente sulla regalità di Gesù, ma sulla sua origine, sulla sua filiazione. C’è un particolare da non trascurare: Pilato ha paura. Una paura che ora si fa “più grande “, segno quindi che c’era già prima. Ma quale paura? Il testimone della verità ha risvegliato in Pilato il sentimento dell’insicurezza. Secondo il Vangelo di Matteo (2,3) anche il re Erode aveva paura di Gesù bambino. E ora l’impero, nella persona di un suo procuratore, ha paura di Gesù. A prima vista la paura sembra nascere da una confusione, cioè dal sospetto che Gesù sia un re terreno, un rivoluzionario. Ma in profondità il discorso è un altro: la paura nasce dal fatto che Gesù è un re diverso e il suo regno non è di questo mondo. Se fosse un potere terreno alla fine si potrebbe trovare un accordo, ma la sua dedizione alla verità non permette accordi, non è ricattabile e minaccia il mondo alla radice. Infatti Gesù ricorda a Pilato che l’autorità di cui si vanta viene dall’alto. Pilato non potrebbe nulla contro Gesù se egli stesso non si fosse liberamente consegnato. Pilato si illude quando pensa di essere il protagonista.

Settimo quadro (19,12-16) È la conclusione dell’intero processo, una scena di grande umiliazione e insieme di gloria. È tanto importante che l’evangelista si è preoccupato di annotare il luogo, la ricorrenza liturgica e l’ora del giorno (vv.13b-14). Anche la contraddizione, che ha accompagnato tutto questo processo, raggiunge il suo vertice. Pilato viene minacciato dai Giudei (v.12) e dunque umiliato e ricattato. Ma a sua volta costringe i Giudei ad acclamare Cesare come loro re (v.15). Non si può rifiutare Cristo e illudersi di essere veri Israeliti, adoratori del vero Dio: si cade sotto il dominio del mondo e si diventa idolatri. Strano processo. I Giudei sembrano aver ottenuto il loro scopo: hanno costretto Pilato a condannare Gesù, ma per far questo hanno dovuto rinunciare al loro orgoglio nazionale, alla loro libertà e alla loro fede: “Non abbiamo altro re che Cesare”. E Pilato ha dovuto rinunciare all’essenza della sua funzione, cioè al compito di essere il difensore della verità. I Giudei e Pilato non sono i vincitori ma gli sconfitti: non sono i giudici ma gli accusati. È Gesù il vero vincitore che costringe il mondo a proclamarlo re. È lui il vero giudice che costringe il mondo a pronunciarsi e a contraddirsi.

La crocifissione, la morte e la sepoltura di Gesù (Gv 19,16b-42) Sul Golgota ci sono tre uomini crocifissi: due, passati alla storia come “ladroni”, di cui uno finirà per rendersi conto e per chiedere perdono in extremis. E poi Gesù, l’innocente per definizione. C’è poi lo straordinario passaggio della scritta che Pilato (un politico che ragionava dunque con logiche di potere) decide di mettere sulla croce del Cristo stabilendo anche, con rude efficacia, di mantenerla così come l’aveva pensata nonostante le obiezioni dei giustamente preoccupati sacerdoti. Dal loro punto di vista, i sacerdoti avevano ragione nel voler precisare che quell’uomo in fase di avanzata uccisione non era “il re dei Giudei” ma lo aveva semplicemente detto, cioè fatto credere a una folla di creduloni. Avevano ragione i sacerdoti, nel temere la valenza fra il religioso e il politico di quella scritta. Ma Ponzio Pilato mette tutti a tacere con uno straordinario: “quel che ho scritto ho scritto”.

Il dramma va avanti, seguendo il “copione” prestabilito dalle Scritture (la tradizione che si fa realtà). I soldati si dividono le vesti tirando a sorte il capo più nobile, la tunica. Sotto la croce, oltre a Giovanni, autore del Vangelo, le uniche persone citate sono donne. Dove stavano i tanti uomini che, quel Cristo, lo avevano approvato e osannato fino a pochi giorni prima? Dove sono finiti i discepoli? Nell’ora della passione, all’Innocente che grida la sua sete viene avvicinata, tramite una canna, una spugna imbevuta di aceto. Infine Gesù sulla croce consegna il suo Spirito. Doveva andare in quel modo anche l’ultimo atto: la lancia conficcata nel fianco di un uomo già morto insieme alle gambe spezzate degli altri due. Al Cristo, già morto, è inutile spezzare le gambe. Da lui esce ancora sangue. E ancora acqua. La narrazione prosegue con il discepolo “nascosto”: uno dei tanti. Ma uno che, sia pure in fondo, riesce a recuperare una dignità perduta: non teme di mostrarsi, non ha paura di impicciarsi, si prende a cuore quel corpo martirizzato; insieme a Nicodemo mette a disposizione la quantità necessaria di essenze preziose e secondo la tradizione avvolge il corpo così profumato in teli e lo pone in un sepolcro nuovo, mai usato fino ad allora. Bisogna fare tutto in fretta perché il sabato si sta avvicinando e di sabato, secondo la tradizione, certe cose non si possono fare. Il venerdì si può processare ingiustamente, torturare, irridere, uccidere il figlio di Dio, consentire la sepoltura. Ma il sabato no. È la tradizione a impedirlo.


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L'arresto di Gesù 1Dopo aver detto queste cose, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cedron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. 2Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. 3Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. 4Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». 5Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. 6Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. 7Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». 8Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», 9perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». 10Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. 11Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?».

Gesù davanti ad Anna e Caifa 12Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono 13e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. 14Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo». 15Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. 16Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. 17E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». 18Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava. 19Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. 20Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. 21Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». 22Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». 23Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». 24Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote. 25Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». 26Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». 27Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.

Il processo romano – prima parte 28Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. 29Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». 30Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». 31Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». 32Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire. 33Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». 34Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». 35Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». 36Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». 38Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?». E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. 39Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». 40Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.

Approfondimenti

Tratti dal sussidio per i gruppi di ascolto della Parola di Dio 2015-2016 dell'Ufficio Catechistico Diocesano di Pistoia

L’arresto di Gesù, di fronte al sinedrio e rinnegamento di Pietro (Gv 18,1-27) Gesù esce nella notte per incontrare Giuda e tutte le tenebre del mondo. È la luce del mondo che esce nella notte: com'è uscita dal Padre per illuminare il mondo, così ora esce dal cenacolo per illuminare la notte. Entra in un giardino (il Vangelo di Giovanni dice “giardino”, non “orto”) che richiama il paradiso delle origini, l’Eden, dove c’è stato il primo scontro tra la verità e la menzogna, tra la luce e le tenebre. Giuda, nel Vangelo di Giovanni, non è l’autore del male, non è colui che fa il male, è piuttosto lo strumento del male: è l’attore, non l’autore. L’autore del male è il menzognero fin dal principio, colui che si serve della menzogna per ingannare gli altri e averli in suo potere mediante la paura, cioè satana, il divisore, l’accusatore. Nel giardino con Giuda c'è un grande gruppo di circa trecento soldati romani: il numero indica una grande quantità di odio, perché per arrestare una persona innocua non occorrono così tanti soldati! E non c’è solo il gruppo dei soldati romani, ci sono anche i servi mandati dai capi dei sacerdoti e dei farisei. In questo giardino c’è lo scontro tra la luce e le tenebre, dove le tenebre sono rappresentate dalle armi, dalla violenza. E dall’altra parte c’è la luce. La luce del mondo che entra in queste tenebre: siamo allo scontro definitivo. Secondo la narrazione del Vangelo di Giovanni Gesù sembra conoscere prima tutte le cose che stavano per accadergli: Gesù sa e dirige la storia, non è colui che la subisce! È colui che la comanda nella direzione in cui vuole lui. È davvero il Signore della storia. E di fatti è lui che esce incontro a loro, la luce esce incontro alle tenebre, esce verso i fratelli per illuminarli e domanda loro: “Chi cercate?”. Mentre Gesù risponde: “Sono io” tutti indietreggiano e cadono a terra. Alla rivelazione del nome, ecco che tutti i nemici cadono. È l’onnipotenza della luce. Richiama i demoni che cadevano davanti a Gesù: davanti alla verità la menzogna cade; davanti alla luce la tenebra scompare.

La reazione di Pietro rappresenta la nostra reazione: lui non accetta un Messia debole; per lui è meglio morire con la spada in mano, che soccombere da debole. Lui ha la spada come tutti gli altri che sono armati, cioè è uguale a loro. Usa gli stessi mezzi. Egli crede di difendere il bene con la spada, ma con la spada si fa solo il male, non si difende il bene! E Gesù gli dice: “Rimetti la spada nel fodero”. Non si vince il male col male, lo si raddoppia! Il male si vince solo col bene! Cosa ottiene Pietro con la sua spada? Il risultato è tagliare l’orecchio, che è l’organo dell’ascolto. Quindi come risultato ottiene che l’altro perde la capacità di sentire! Pietro, invece di annunciare la parola di salvezza, taglia l'orecchio a chi potrebbe ascoltarla! Così non fa altro che togliere all'altro la possibilità della salvezza. E Gesù allora si rivolge a Pietro e lo rimprovera: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?». E il calice che il Figlio beve è quel calice che contiene tutto l’odio dei fratelli: Gesù lo beve e restituisce ai fratelli il calice della salvezza, cioè dona il suo amore, il suo sangue, il suo spirito.

Nella seconda parte del brano, il racconto è articolato sul confronto tra la figura di Pietro e di Gesù. Gesù che è interrogato dalle autorità circa i suoi discepoli e la sua dottrina. E il discepolo Pietro è interrogato dai servi circa il suo essere discepolo. Gesù quando viene interrogato sui discepoli, risponde: “interrogate loro” e Pietro viene interrogato sul suo essere discepolo. Quindi in questo testo non viene raccontato l’interrogatorio a Gesù, ma l’interrogatorio sui discepoli di Gesù. Siamo abituati a pensare che Pietro ha rinnegato Gesù per vigliaccheria. In realtà Pietro è coraggioso: si è opposto con la spada a tutti gli altri soldati armati, ci vuole coraggio! Poi, invece di fuggire, con il pericolo di essere riconosciuto, va di nuovo ad esporsi, quindi Pietro è coraggioso. Perché ad un certo punto però dice “non sono suo discepolo”? Perché ora che vede Gesù preso, legato, condotto, condannato, impotente... dice: “io non sono discepolo di quell’uomo! Io ero discepolo di colui che risuscitava i morti, dava il pane, faceva camminare gli zoppi, faceva tacere tutti i potenti e nessuno osava prenderlo!”. Pietro è disposto a morire per il Cristo vittorioso! Anche noi lo imitiamo quando sacrifichiamo tutta la nostra esistenza per vincere, per avere in mano il potere e così uccidiamo noi stessi e gli altri. Quando Pietro dice: “non sono suo discepolo” si sta rendendo conto della verità: lui non è discepolo! Il discepolo è colui che ascolta e fa la Parola del suo Maestro: del suo Maestro che lava i piedi, del suo Maestro che si consegna nelle mani degli uomini, del suo Maestro che ama fino a deporre la sua vita per i suoi nemici. E Pietro non è discepolo di questo Gesù. Quindi dice la verità, non una menzogna. È difficile che entri in noi questa persuasione profonda: quella di Dio che dà la vita per i peccatori, per chi lo uccide. Essere cristiani vuol dire accettare questo amore incondizionato di Dio per tutti gli uomini incominciando dai peccatori, dei quali io sono il primo, dice San Paolo. Ma l’unica vittoria possibile su questo male è la conoscenza di questo amore incondizionato. Ed è ciò che deve capire Pietro e ciascuno di noi, perché “Battesimo” vuole dire immergersi in questo amore incondizionato di Dio, che è il suo Spirito. Essere battezzati nello Spirito, è questo. E vivere e respirare questo amore e vivere di questo amore del Padre e del Figlio. Dopo il rinnegamento di Pietro, si dice che il gallo canta. Il gallo canta al sorgere della luce: Pietro che si scopre cieco, finalmente ha la luce. Impallidisce la notte, irrompe la luce. Pietro finalmente capisce chi è lui: è uno che non ama e non conosce quel Signore. È uno che si riconosce non con lui, ma con i nemici di Gesù. E allora, a questo punto, può capire anche chi è Gesù: è Colui che dà la vita per i suoi nemici. Quindi Pietro a questo punto, ha la verità indubitabile della fede: che il Signore gli è sempre fedele, che il Signore è amore gratuito per lui e per tutti. E per Pietro comincia il Battesimo che durerà tutta la vita.

Il processo romano – prima parte Il processo romano è un lungo episodio che occupa più di un terzo della passione: già questa è una prova che Giovanni lo considera molto importante.

I giudei non entrano nel pretorio per evitare di contrarre una impurità legale che avrebbe loro impedito di celebrare la Pasqua (18,28). Dall’altra parte il processo di Gesù deve necessariamente svolgersi all’interno del tribunale. Pilato è costretto a fare da tramite in un continuo andare e venire fra l’esterno, dove stanno i sacerdoti e la folla, e l’interno, dove sta Gesù. Pilato esce quattro volte e rientra tre volte. E così questo andare e venire divide l’intero episodio in sette quadri in cui si alternano le scene esterne (nelle quali il dialogo è tra Pilato e Giudei) e quelle interne (nelle quali il dialogo è fra Pilato e Gesù). Non c’è dialogo diretto tra Gesù e i Giudei, ma solo fra Gesù e Pilato, i Giudei e Pilato.

Primo quadro (18,28-32) Il primo quadro offre gli elementi indispensabili per comprendere il seguito. Il processo è condotto fin dal principio in modo non sincero. La risposta dei Giudei alla prima domanda di Pilato (v. 30) e ancor più la risposta alla seconda (v. 31b) mostra che essi hanno già formulato un giudizio preciso su Gesù. Se ricorrono al tribunale e al potere politico non è per sottoporre Gesù a un giudizio imparziale, ma per strumentalizzare quel potere ai loro fini. I Giudei sono osservanti della legge (v. 28), ma se prima questa loro osservanza poteva apparire autentica e religiosa, ora si manifesta in tutta la sua ipocrisia: “non riconoscono il vero agnello pasquale, essi che pure tanto si interessano a ciò che lo simboleggia”. Il processo di Gesù svela dunque quanta ipocrisia stava dietro a quella loro rigida osservanza. Il versetto 32 è un interessante commento dell’Evangelista Giovanni. Se fosse stato condannato dai Giudei, Gesù sarebbe stato lapidato. Consegnato invece ai Romani, viene crocifisso, cioè innalzato. L’elevazione sulla croce indica che la morte di Cristo è un’ascesa al Padre. Ancora una volta la conclusione è che i Giudei credono di essere i protagonisti, ma in realtà conducono le cose là dove Gesù aveva previsto.

Secondo quadro (18,33-38) Pilato pone a Gesù una domanda: Tu sei il re dei Giudei?(v. 33), alla quale Gesù risponderà in modo solenne (vv. 36-37). Per tre volte dirà: il mio regno. Ma prima di comunicarci la solenne confessione di Gesù, l’evangelista Giovanni attira la nostra attenzione su un particolare non privo di interesse: “Gesù non risponde subito alla domanda ma a sua volta pone una domanda e ci fa capire a noi che leggiamo questa pagina del vangelo che è Lui a guidare questa discussione con Pilato. Neppure Pilato è dunque un protagonista”. La prima domanda di Pilato non è scaturita da una sua personale valutazione (v. 34) ma è formulata su suggerimento dei Giudei. Gesù induce Pilato a porre la domanda giusta (v. 35): Che cosa hai fatto? È di qui che bisogna partire, dall’azione di Gesù, non dall’interpretazione distorta che ne danno i Giudei. La sua azione mostra che egli è re, ma in modo completamente diverso da come i Giudei vorrebbero far intendere. Il suo regno non viene da questo mondo e non è di quaggiù (v.36). Gesù insiste sull’origine della sua regalità: il mio regno non viene dal mondo, ha una diversa origine e obbedisce a una logica diversa. Nel versetto 37b è indicato il modo con cui Gesù regna: non mediante la potenza, ma solo mediante la “Parola e la Verità”. La domanda di Pilato “Che cosa è la verità?” è priva di impegno, quasi distratta, e nel suo rapido passare oltre, svela che non è veramente interessato alla verità. Questa domanda intorno alla verità è, in presenza della verità, un sottrarsi alla verità. Gesù non risponde a Pilato e la domanda resta come in sospeso. È un silenzio che si spiega, Gesù ha già risposto alla domanda: tutta la sua vita e le sue parole sono una risposta all’interrogativo di Pilato.

Terzo quadro (18,38b-40) Per la prima volta Pilato dichiara pubblicamente l’innocenza di Gesù (v. 38b), cosa che verrà ripetuta altre due volte (cf 19,4.6). La ripetuta constatazione dell’innocenza di Gesù, evidente e riconosciuta, serve non soltanto per affermare l’innocenza di Gesù, ma anche per mostrare la cecità dell’incredulità: gli increduli chiudono gli occhi alla luce, non perché la luce non sia luminosa ma perché non vogliono che le loro opere siano svelate oppure perché preferiscono la stima degli uomini alla gloria di Dio. Fra questi ultimi c’è Pilato. Tre volte egli afferma l’innocenza di Gesù e tre volte cerca di liberarlo, ma il suo amore alla giustizia non va oltre. Vedremo che per salvare se stesso sarà pronto a sottoscrivere la condanna. Il motivo principale del quadro è però un altro. La solenne proclamazione dell’innocenza serve a mettere in risalto l’atteggiamento dei Giudei, che sono costretti a manifestare pubblicamente il loro ostinato e ingiusto rifiuto, costretti persino a scegliere fra il loro Messia e un brigante. La scena è altamente simbolica.


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La preghiera di Gesù 1Così parlò Gesù. Poi, alzàti gli occhi al cielo, disse: «Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. 2Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. 3Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. 4Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. 5E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse. 6Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. 7Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, 8perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato. 9Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. 10Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. 11Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi. 12Quand’ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. 13Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. 14Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 15Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. 16Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. 17Consacrali nella verità. La tua parola è verità. 18Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; 19per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità. 20Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: 21perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. 22E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. 23Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me. 24Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo. 25Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. 26E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».

Approfondimenti

Tratti dal sussidio per i gruppi di ascolto della Parola di Dio 2015-2016 dell'Ufficio Catechistico Diocesano di Pistoia

Questo brano conclude i “discorsi di addio” che si aprono al capitolo 13, formando una grande inclusione. Ci sono infatti diverse corrispondenze rilevate dall’esegeta Brown: l’arrivo dell’ora, il potere su tutto dato a Gesù, il compimento, Dio glorifica il Figlio, i discepoli sono i suoi che sono nel mondo, Giuda strumento di satana. Anche i discorsi di addio del Deuteronomio si chiudono con una preghiera (Dt 32-33). È proprio una preghiera che Gesù rivolge al Padre nella quale si ritrovano tratti in comune con la preghiera di Aronne in Lv 16,11-17 e con la Lettera agli Ebrei: già Cirillo Alessandrino, nel V secolo, commentandola aveva affermato che Gesù vi si presenta come Sommo Sacerdote che intercede per noi. Un teologo protestante del 1500, David Citreo, la intitolò “preghiera sacerdotale” e questo è il titolo rimasto nella tradizione. È collocata proprio prima della passione, Gesù sta per lasciare i suoi e il mondo, quindi è il momento in cui dice ciò che più gli sta più a cuore, ciò che più gli preme e ci affida lo scopo da realiz- zare nella nostra vita; per questo è considerata anche il testamento di Gesù. Non è allora necessario dilungarsi sulla sua importanza e sulla maggiore considerazione che merita da parte nostra.

La preghiera per la sua Glorificazione Nella prima parte Gesù prega per la sua glorificazione (vv. 1-8). Gesù riassume il senso della sua missione compiuta, ossia quello di far risplendere in questo mon- do la gloria di Dio; non rimane lui al centro dell’attenzione, ma rivela, mette in luce il Padre. Alla fine manifesta il desiderio di lasciare questo mondo per tornare al Padre.

La preghiera per i suoi discepoli Nella seconda parte Gesù prega per i discepoli che il Padre gli ha dato (vv. 9-19) “Questa è la vita eterna: che conoscano te il solo vero Dio e colui che tu hai mandato, Gesù Cri- sto”. Il v. 3 è considerato un’aggiunta di chi poi ha redatto il testo per esplicitare, definire la vita eterna in termini di conoscenza. ‘Che conoscano’ è un tempo presente, quindi già qui in terra ha inizio, ma è una conoscenza continua, che non si esaurirà mai. Conoscere non soltanto come speculazio- ne. Per san Giovanni l’amore è la radice della conoscenza di Dio: “Chi non ama non ha imparato a conoscere Dio perchè Dio è amore” (1Gv 4,8). Conoscersi vuol dire anche vitale unione con Cristo: “Io sono il buon pastore e conosco le mie pecore e le mie pecore mi conoscono, come il Padre conosce me e io conosco il Padre”. “Io ti ho glorificato sulla terra, avendo compiuto l’opera che tu mi hai dato da fare” Questo versetto viene esplicitato dai successivi versetti 6-8. Si potrebbe tradurre “Ho consumato l’opera che mi hai dato a fare”. Gesù cioè ha glorificato il Padre non tanto e non solo con la predi- cazione, ma consumando la propria vita fino ad offrirsi nella passione e sulla croce. “E io non sono più nel mondo...” Il v. 11 fa pensare a Gesù già risorto che parla e così l’opera compiuta del v. 4 abbraccerebbe tutta la missione terrena di Gesù, inclusa la morte in croce come compimento finale. Ciò sembra in contrasto col v. 13, ma si può pensare che Gesù si consideri già anticipatamente fuori del mondo, mentre è sul punto di ritornare al Padre. “Non ti chiedo che li tolga dal mondo, ma che li preservi dal maligno” La concezione negativa del mondo chiuso in se stesso e che non accetta di uscire dalle tenebre è un tratto ricorrente della teologia Giovannea; tale mondo è qui messo in radicale contrasto con i discepoli. Gesù non prega perche i discepoli siano separati dalle realtà umane, ma perchè siano preservati dalle influenze negative. Viene in mente quando Gesù dice di non preoccuparci di quello che può entrare in noi, anche di contaminato, ma del male che facciamo uscire da noi. Come a dire che intorno a noi c’è il male, ma con Gesù è possibile non subirlo e non farci condizionare anche senza doversi ritirarre a fare l’eremita. E senza separarci giudicando chi sbaglia; dobbiamo anzi proprio rimanere in mezzo, vicini, come il buon lievito non fermenta la massa se non si perde e si mescola in essa. Ripieni di misericordia, di amore e di comprensione, far scaturire il buono che c’è in ogni persona. “E io per loro consacro me stesso, affinché siano anch’essi consacrati nella verità” Quando Gesù dice di consacrare se stesso non intende l’impegno ad essere santo in tutte le parole e le azioni; lui era già santo in tutto quello che compiva, ma santificare nel senso di mettere da parte per Dio, come è scritto nell’Esodo: “Santifica a me ogni primogenito, ogni primo parto tra i figli d’Israele, tanto d’uomini come d’animali; esso è mio” (Es 13,2). Consacrarsi nel senso di offrirsi a Dio. Pensiamo alle bellissime vocazioni di quelle persone che dopo vengono a sapere che i genitori avevano affidato, offerto, consacrato il figlio a Dio. Proprio attraverso la nostra offerta, il nostro saper perdere per amore, il rinunciare ad un nostro punto di vista per accogliere quello dell’altro e costruire insieme così qualcosa di più grande, at- traverso la croce, si può più efficacemente concorrere a realizzare il testamento di Gesù: “che tutti siano uno”.

La preghiera per la sua Chiesa Nella terza parte Gesù prega per coloro che crederanno mediante la parola dei discepoli (vv. 20-26) “Come tu Padre sei in me ed io in te anch’essi siano uno in noi, perchè il mondo creda che tu mi hai mandato” L’essere ‘uno’ è da intendersi non soltanto nel rapporto con gli altri, ma anche, come singolo, per superare le contraddizioni che sperimentiamo dentro di noi: spirito e corpo, lacerazione tra senti- menti contrastanti, comunione e solitudine, tensioni tra buoni propositi e peccati (come esprime bene San Paolo “faccio il male che non vorrei e non faccio il bene che vorrei”). Gesù è la via per essere in armonia, ‘uno’ in me stesso e così essere più ben disposto ad essere una cosa sola anche con gli altri. Così come se arrivo ad una più intima unità con gli altri, con Dio e con la natura, mi ritrovo più riconciliato e in pace, ‘uno’ nel mio intimo. La mutua immanenza del Padre nel Figlio e del Figlio nel Padre, che si trasmette ai discepoli, è il modello e la fonte dell’unità dei credenti. L’essere uniti nella verità della fede e nell’amore è una meta, ma deve essere anche una condizione necessaria, un presupposto per la Chiesa. Questo comporta il considerare la vita cristiana non solo e non tanto come un cammino personale di purificazione e ascesi, ma più come via di santità in comunione con gli altri. Questo vuol dire poi, parlando in termini di pastorale, che nella nostra 27 comunità cristiana non c’è da lamentarsi degli scarsi mezzi a disposizione, da fare affidamento sulle mie capacità personali, da preoccuparsi di fare tanto, ma prima e più di tutto, sempre, cerchiamo di essere uniti con Gesù e tra noi. Così la chiesa attirerà, così il mondo crederà. In altre parole facciamo la nostra parte perché Gesù sia presente in mezzo a noi, così Lui agirà, in noi predicherà, guarirà, salverà.


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La venuta del Paraclito 1Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. 2Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l’ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. 3E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. 4Ma vi ho detto queste cose affinché, quando verrà la loro ora, ve ne ricordiate, perché io ve l’ho detto. Non ve l’ho detto dal principio, perché ero con voi. 5Ora però vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?”. 6Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore. 7Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi. 8E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. 9Riguardo al peccato, perché non credono in me; 10riguardo alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; 11riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato. 12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 16Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete». 17Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». 18Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire». 19Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? 20In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. 21La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. 22Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. 23Quel giorno non mi domanderete più nulla. In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. 24Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena. 25Queste cose ve le ho dette in modo velato, ma viene l’ora in cui non vi parlerò più in modo velato e apertamente vi parlerò del Padre. 26In quel giorno chiederete nel mio nome e non vi dico che pregherò il Padre per voi: 27il Padre stesso infatti vi ama, perché voi avete amato me e avete creduto che io sono uscito da Dio. 28Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre». 29Gli dicono i suoi discepoli: «Ecco, ora parli apertamente e non più in modo velato. 30Ora sappiamo che tu sai tutto e non hai bisogno che alcuno t’interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio». 31Rispose loro Gesù: «Adesso credete? 32Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me. 33Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!».

Approfondimenti

Tratti dal sussidio per i gruppi di ascolto della Parola di Dio 2015-2016 dell'Ufficio Catechistico Diocesano di Pistoia

Il capitolo 16 del Vangelo di Giovanni conclude il secondo discorso d’addio: riprende e approfondisce le tematiche del primo discorso.

I temi attorno a cui si struttura l’unità letteraria sono:

  • la promessa dello Spirito (Gv 16,4b-15);
  • l’annuncio del ritorno di Gesù (Gv 16,16-33) come fondamento della gioia.

Lo Spirito avrà il compito di denunziare l’errore del mondo e d’introdurre i discepoli ad una nuova comprensione del mistero di Gesù.

All’inizio del capitolo, annunciando il suo ritorno al Padre (vv. 4-5), Gesù sente il bisogno di preparare i discepoli alle difficoltà che incontreranno durante la sua assenza e fa trasparire tutta la sua tenerezza, il suo bisogno di rassicurarli. Coglie la loro tristezza davanti all’idea della separazione da lui e cerca di dissiparla spiegando loro l’importanza di questa sua dipartita: “È bene per voi che io me ne vada perché se non me ne andrò non verrà a voi il Consolatore”. Solo con la sua assenza fisica, i cristiani potranno capire che il loro legame con Gesù è interiore ed è sotto il segno dello Spirito. Spirito Santo che avrà un grande ruolo nel contesto del grande tribunale in cui il lettore del Vangelo di Giovanni, fin dall’inizio, viene posto e chiamato a scegliere, a favore o contro Gesù. In questo contesto lo Spirito Santo “stabilirà la colpevolezza del mondo”, di quella parte dell’umanità, cioè, che rimane ferma nel rifiuto della verità.

È ai discepoli che lo Spirito farà cogliere la colpevolezza del mondo e la vera giustizia: il Padre glorificherà il Figlio e il principe di questo mondo apparirà così come il grande sconfitto, egli “viene gettato fuori” (Gv 12,31), anche se questo avverrà poi in modo pieno con il ritorno del Risorto. Lo Spirito donerà ai discepoli l’interiore certezza della vittoria di Gesù, la falsità del giudizio di condanna e sconfitta di Gesù sulla croce; indicherà inoltre nell’appartenenza a Gesù la via della liberazione dalla morte e dalla menzogna del principe di questo mondo. Il ruolo dello Spirito non è solo quello di riabilitare Gesù agli occhi dei suoi, ma anche quello di condurre alla piena conoscenza della verità di Dio, di donare ai discepoli la forza di accogliere il suo disegno di salvezza (vv.8-13).

A partire dal v.16 Gesù parla della sua partenza e del suo ritorno. La presenza, il vedere e non vedere Gesù suscitano la gioia e la tristezza dei discepoli (v.20). Ma mentre la scomparsa di Gesù è legata al non vedere più dei discepoli, la sua rinnovata presenza in mezzo a loro scaturisce dallo sguardo di Gesù: ”vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà”(v.21). È uno sguardo che nel ricercare e nell’incontrare lo sguardo di colui che bisognoso lo sta cercando, lo ricrea, lo rende capace di uno sguardo nuovo, capace di riconoscerlo. Così sarà anche nell’incontro di Gesù con Maria di Magdala: ella cercava il suo corpo senza vita, egli la raggiungerà con il suo sguardo e gli donerà la gioia definitiva di incontrarlo come il Vivente, l’Eterno.

Emerge così un concetto di gioia che non è semplicemente legato ad un’emotività soggettiva né al fatto che le cose vadano secondo i nostri desideri, esso è legato ad un incontro con un volto, con uno sguardo che suscita il ricordo di una storia, di un rapporto fatto di attenzioni, di accoglienza, di dedizione. Una relazione fatta di gesti e parole capaci di scaldare il cuore, di dare un senso a tutto il nostro vivere ed essere, capace di suscitare lo stesso desiderio di dono della propria vita per gli altri.

L’immagine che Gesù usa per spiegare il mistero della gioia e della sofferenza, la donna che partorisce, evoca i tempi escatologici, quelli in cui la donna genera i giorni del Messia; questa icona si riveste però anche di un carattere nuziale: a partire dal riferimento a Giovanni Battista, che riconosce in Gesù la voce dello sposo, attraverso le nozze di Cana, le figure femminili della peccatrice e della samaritana, il frutto della vite (Gv 15), fino all’incontro con la Maddalena, l’idea di Cristo sposo percorre infatti tutto il Vangelo di Giovanni. Siamo davanti alla gioia della novità dei tempi messianici e della fecondità della vita nell’incontro, nell'unione sponsale con il Cristo. L’ora della donna ricorda l’ora del Cristo stesso che, nella sua morte e resurrezione, genererà l’uomo, l’umanità nuova.

Il Vangelo parla poi del grande giorno dell’incontro dei discepoli con il Signore, nella sua resurrezione, nella sua parusia, dice Gesù: “in quel giorno non mi domanderete più nulla”. La scoperta e la percezione di un legame che è oltre la sofferenza e la morte rende la gioia dei cristiani abitata da una luce e da una pienezza capace di dissipare ogni ombra, di colmare e risanare ogni ferita, di riconciliare ogni storia. Questa gioia, che nessuno ci potrà togliere, ha il sapore dell’eternità (v. 22). L’unione con Gesù introduce i discepoli nella comunione intima con il Padre stesso e la loro preghiera può così giungere direttamente al suo cuore (vv23b-28).

Nella parte finale del capitolo, (vv. 29 – 33) Gesù coglie la superficialità della fede dei suoi amici ma, al di là delle loro fragilità, recepisce anche il loro desiderio autentico d’amore. Egli si prende ancora cura di loro rassicurandoli sul futuro: loro avranno tribolazioni dal mondo ma nella forza del suo Spirito troveranno la forza per affrontarle e nella memoria di queste sue parole avranno pace, perché lui ha vinto il mondo!


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