📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

La vera vite 1«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. 9Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

Il comandamento nuovo dell’amore cristiano 12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. 13Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. 14Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. 15Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. 16Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. 17Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.

L’odio e l’ostilità del mondo 18Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. 19Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia. 20Ricordatevi della parola che io vi ho detto: “Un servo non è più grande del suo padrone”. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. 21Ma faranno a voi tutto questo a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato. 22Se io non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa per il loro peccato. 23Chi odia me, odia anche il Padre mio. 24Se non avessi compiuto in mezzo a loro opere che nessun altro ha mai compiuto, non avrebbero alcun peccato; ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Padre mio. 25Ma questo, perché si compisse la parola che sta scritta nella loro Legge: Mi hanno odiato senza ragione. 26Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; 27e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.

Approfondimenti

Tratti dal sussidio per i gruppi di ascolto della Parola di Dio 2015-2016 dell'Ufficio Catechistico Diocesano di Pistoia

Perché Gesù è detto la vera vite? Per distinguerlo da quella vite che al posto di uva pregiata ha prodotto acini acerbi, cioè invece di giustizia e rettitudine, grida di oppressi, o come dice Geremia “tralci degeneri di uva bastarda”. Come nell’Antico Testamento anche in Gv è Dio Padre che ha piantato questa vite e ne ha una cura straordinaria non solo per essa ma anche per il tralci, per il suo nuovo popolo.

La parabola della vite è inserita nel contesto dell’ultima cena ed è parte importante dei discorsi di addio del Signore e soprattutto dà una profondità di significato alla conosciuta allegoria biblica presente nei profeti e dei salmi.

La forma “Io Sono” è rivelatrice della sua divinità del suo essere Dio come in altre espressioni, “Io sono il pane”, “Io sono la luce”, “Io sono la risurrezione e la vita” che è venuta nel mondo solo per amore, per donare all’uomo e a tutta la creazione ciò che anticamente aveva perduto, la via, la verità e la vita che donano l’intimità con Dio.

La vite “è un attributo cristologico” (come diceva papa Benedetto XVI), ma anche ecclesiologico nel senso che Cristo, verbo incarnato, è il vino della nuova alleanza prodotto dall’uva che è nei tralci. Il frutto produce un duplice effetto inseparabile: la crescita personale e comunitaria. Il frutto della vite è il vino che per noi significa cibo eucaristico, come a Cana di Galilea, l’acqua della Legge diventa il vino della nuova alleanza che scaturisce sulla croce dal costato di Cristo. Ma vino nuovo in otri nuovi è anche il comandamento dell’amore, “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”.

L’amore del Signore è un amore totale, fedele, indissolubile e fecondo, cioè è un amore che dura per sempre, nonostante le nostre debolezze, anzi è rivolto proprio per noi peccatori ed è indissolubile, dura per tutta l’eternità.

Il vero miracolo appare quando la chiesa si presenta alle genti come comunità di salvati, come comunità di fratelli che hanno sperimentato, pur nella loro fragilità, la grande verità del comandamento nuovo: “Amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi”.

Dove c’è l’amore è presente anche la fede e la speranza, quindi le tre virtù teologali che sono dono di Dio, nella certezza che se è presente l’amore di Dio c’è anche l’amore del prossimo. Produrre questi frutti buoni come tralci uniti alla vite rende gloria al Padre e ci fa essere veri discepoli del Signore, che trovano la vera libertà nella volontà di Dio.

Chi cerca di compiere questo amore da se stesso, con le sue sole forze, si recide dalla vite e muore. Chi non è unito alla vite non è in Cristo. Chi non è in Cristo non è cristiano!

Questo significa che chi vuol'essere veramente cristiano deve cercare il valore dell’umiltà e allontanarsi dal percorso impervio della superbia, ricordando le parole di san Paolo che afferma: “Di mio ho solo il peccato, tutto è grazia, che in me non è stata vana”!

Se il Vangelo del Signore rimane nel nostro cuore sperimentiamo la bellezza dell’amore di Dio e dalla nostra bocca esce quello che c’è nel cuore, Cristo verbo eterno e il Padre ascolta sempre il suo diletto figlio in noi. “Chi rimane in me e io in lui porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla”. I tralci se restano uniti alla vite sono preziosi e producono opere buone, i dolci grappoli che rallegrano il cuore dell’uomo, che significano i doni dello Spirito dati a favore della crescita della comunità.

Il tralcio deve scegliere: o la vita o il fuoco; sapendo che se rimane in Cristo e le sue parole rimangono in lui può chiedere qualunque cosa e gli sarà data! Invece il cristiano separato da Cristo, muore: perché è separato dalla vite ed è gettato fuori dalla vigna.

Chi rimane unito alla vite chiede senza dubbio il Regno di Dio e la sua giustizia nella consapevolezza che tutto il resto gli sarà dato in aggiunta.

“Se il mondo vi odia sappiate che prima ha odiato me” Il mondo in Giovanni ha un significato negativo, non è il creato che è opera di Dio e prezioso percorso della storia dell’uomo. Il “mondo” in Giovanni è un modo di pensare e di agire fondato sul potere quasi assoluto, sull’egoismo, sulla paura e sul denaro, è ciò che è contrario alla verità, alla luce, alla carità e alla santità, è la biblica empietà. Questo mondo capovolge i valori proclamando bene ciò che è male e viceversa, preferisce la superbia all’umiltà, l’accumulare ricchezze per se invece di donarle, farsi servire invece di servire, odiare invece di amare; in una parola il mondo si erge come idolo assoluto al posto del Signore e rende culto a se stesso e non a Dio.

Gesù ci ha insegnato l’amore di Dio e fra di noi, cioè Egli ci ama sempre anche quando ci allontaniamo da lui e questa è la verità eterna che il mondo non può comprendere! Questo è l’amore cristiano, presente nei singoli e nella comunità, che suscita l’odio del mondo per il Signore e per i suoi discepoli. Ciò significa che “in voi odieranno me”, “in voi perseguiteranno me” e “non osserveranno la vostra parola, perché in voi è la mia a parlare”. “Faranno tutto questo contro di voi a causa del mio nome” non a causa del vostro, ma ricordate che io vi ho detto“ Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt 5,11).

Noi cristiani siamo Chiesa del Signore, comunità di salvati, non dobbiamo temere perché secondo la sua parola, viviamo nel mondo ma non siamo del mondo, perché abbiamo ricevuto dal Signore la libertà dei figli di Dio che supera ed è più viva di ogni progettualità umana.

Questo mondo appartiene al maligno, sconfitto per sempre dalla croce di Cristo risorto! La nostra vera casa è l’amore del Padre e del Figlio nello Spirito Santo che ci avvolge di una intimità divina infinitamente più forte e bella di ogni altra relazione. Per questo siamo chiamati non a condannare, ma ad amare, anche chi è nel mondo.


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Il discorso di addio 1Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. 2Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? 3Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. 4E del luogo dove io vado, conoscete la via». 5Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». 6Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. 7Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». 8Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». 9Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: “Mostraci il Padre”? 10Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. 11Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse. 12In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. 13E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. 14Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò. 15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 18Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. 21Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui». 22Gli disse Giuda, non l’Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?». 23Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. 25Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. 26Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. 27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. 29Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate. 30Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il principe del mondo; contro di me non può nulla, 31ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco. Alzatevi, andiamo via di qui».

Approfondimenti

Tratti dal sussidio per i gruppi di ascolto della Parola di Dio 2015-2016 dell'Ufficio Catechistico Diocesano di Pistoia

In Gv 14,1 il discorso continua con l’invito di Gesù a “non essere turbati” che fa da cornice, a tutto il discorso ritornando infatti alla fine in Gv 14,27 dove di nuovo Gesù dice “non sia turbato il vostro cuore e non abbiate timore”. Tutto Gv 13,31-14,31 potrebbe essere compreso come un’esortazione a non avere paura e a vivere di fede, visto che per sette volte nel capitolo 14 Giovanni usa la parola “credere” (cf Gv 14,1.10.11.12.29).

L’eredità di Gesù ai discepoli è la fede che vince la paura e il turbamento e apre le porte allo Spirito. Gesù vuole preparare alla sua morte i discepoli perché comprendano che non si tratta di una fine, ma di una “partenza”, di un passaggio necessario perché anch’essi possano vivere quella comunione che c’è tra lui e il Padre e sperimentino tra loro la pienezza della pace e della gioia.

Gesù presenta la sua morte come un andare al Padre. È questa la forza di Gesù, la sua fede, la sua certezza: sapere che morire è vivere definitivamente nel Padre.

Non è facile vivere la morte con questa fede, ma è possibile se, come Gesù, viviamo la vita coltivando l’amore e la preghiera e impariamo a cogliere nel quotidiano la presenza di Dio: allora sarà più facile affrontare la morte con serenità e fiducia.

I discepoli non sanno dove va Gesù e non conoscono la via per andarci (Gv 13,36; 14,5) perché non riescono a cogliere l’esperienza di relazione e di fede che lega Gesù e il Padre. Tommaso, Filippo e gli altri apostoli non capiscono Gesù perché dimenticano che la forza della sua fede viene dalla comunione con il Padre, come egli aveva mostrato durante il tempo passato con loro: “Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo?” (Gv 14,9). Ciò che è eccezionale di Gesù non erano soltanto i suoi poteri taumaturgici, la sapienza della sua parola, ma soprattutto la sua vita vissuta in obbedienza al Padre. È questo che i discepoli devono comprendere se vogliono capire chi è Gesù. E se capiscono questo, capiranno anche la via per vivere come lui ed andare dove è lui, perché Egli è nel Padre, è nella sua volontà.

Il luogo dove Gesù va non è un luogo fisico, ma è l’essere nella volontà del Padre, e quando si è nella sua volontà si è nelle sue mani, ovunque ci troviamo.

Gesù è “la via, la verità e la vita” (Gv 14,5), chi crede in lui e obbedisce alla sua parola può chiedere qualsiasi cosa al Padre e sarà esaudito, perché chi vive come Gesù, vive nell’obbedienza al Padre, vive cioè una comunione con Dio che lo rende partecipe della sua realtà divina. È questo il motivo per cui si può chiedere quello che si vuole e si sarà esauditi (14,13) e si può compiere le opere di Gesù, anzi più grandi di quelle che ha fatto lui (14,12), non perché Dio diventi una macchinetta che esaudisce i nostri desideri e le nostre voglie, ma perché si vive in un rapporto di intimità con lui.

Chi crede, chi fa esperienza del Padre in Gesù e si lascia guidare dallo Spirito, non chiederà a Dio niente di più di quello che Dio darà, perché si rimette alla sua volontà sapendo che comunque vada è nelle mani del padre.

L'amore a Gesù che si realizza nell’obbedienza alla sua parola e ai suoi comandi (Gv 14,15.21- 24), ci mette in comunione con Dio in questa vita e ci apre le porte dell’eternità. Questa obbedienza nutrita dalla consapevolezza di essere ancora “figli”, di essere ancora “turbati”, “mancanti di fede” e di “comprensione”, oltre alla comunione con Dio produce la comunione tra i discepoli: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).

Quando Gesù dice che lui è la nostra “via” parafrasa il linguaggio dell’Antico Testamento dove il termine “la via” viene usato per indicare la Parola di Dio, la Legge di Mosè (Sl 119,15), chiamata anche “via di verità” (Pr 5,6), la cui osservanza conduce alla vita promessa da Dio (Dt 30,15-20; 32,46-47; Pr 8,32.35). Per questo quando Gesù dice di essere “la via”, identifica se stesso con la Parola di Dio e ci invita a prendere la sua vita come norma di comportamento.

Osservare le sue parole e fare di Gesù la nostra via produce un miracolo inaspettato che è il dono dello Spirito, “il Paraclito” (Gv 14,16.17.26; 15,26-27; 16,7b-11.13-14.15), “lo Spirito di Verità”. Gesù chiama lo Spirito “Paraclito”, che significa “avvocato”, “difensore”, “consolatore”, e ne parla come di una persona, perché ne parla usando il pronome personale (Gv 14,26). Lo Spirito non è soltanto la forza di Gesù, ma una persona, una presenza personale distinta dal Padre e dal Figlio4. Lo Spirito viene dall’osservanza alla parola del Signore e dalla preghiera di Gesù che lo fa inviare dal Padre (Gv 14,15).

La fede ci rende docili, crea in noi lo spazio dove Dio viene, si manifesta ed opera. Vivendo di fede, nell’obbedienza alla volontà di Dio, lo Spirito viene in noi e ci guida alla verità (Gv 14,17), ci “insegnerà ogni cosa” (Gv 14,26; 16,13) aiutandoci a comprendere il senso della vita, della storia e delle parole di Gesù. Senza la fede non c’è lo Spirito e senza lo Spirito non c’è la fede. Nella chiesa tutto quello che si fa, si fa invocando lo Spirito, ascoltando lo Spirito, cercando lo spirito.

Questo Spirito il mondo non può riceverlo (Gv 14,17 “Lo Spirito della verità che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce”), non perché Dio non lo renda disponibile per tutti, ma perché lo Spirito è il dono che si rivela e diventa operante in quanti osservano la Parola e amano il Signore. Il “mondo” di cui parla Gesù non è solo chi non crede in Dio, ma sono anche i credenti ogni volta che vivono come il mondo, cioè come se Dio non ci fosse. Il “mondo” non conosce e non può ricevere lo Spirito di Verità (Gv 14,17), perché il suo cuore è chiuso al dono che può ricevere solo chi ama e si affida all’amore di Dio.

Il dono dello Spirito è il motivo per cui Gesù dice ai discepoli che dovrebbero essere felici del suo andare al Padre (Gv 14,28 “Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre”), perché in questo modo si compie il disegno di salvezza di Dio e si aprono i tempi dello Spirito: “È bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito, se invece me ne vado lo manderò a voi” (Gv 16,7).

Gesù se ne va, ma la sua partenza fa venire lo Spirito che rende efficace la preghiera dei discepoli, reca la gioia, rende possibile l’amore tra i discepoli e il dono della vita, apre alla comprensione dei misteri di Dio e porta la pace.

Questo dono dello Spirito è la grande eredità di Gesù, il suo vero Testamento. A noi è dato solo di credere per vivere la vita che il Padre ha preparato per i suoi figli.


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IL LIBRO DELL’ORA DI GESÙ E DELLA SUA GLORIA (Gv 13 – 21)

La lavanda dei piedi 1Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine. 2Durante la cena, quando il diavolo aveva già messo in cuore a Giuda, figlio di Simone Iscariota, di tradirlo, 3Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, 4si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. 5Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto. 6Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». 7Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci; lo capirai dopo». 8Gli disse Pietro: «Tu non mi laverai i piedi in eterno!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». 9Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i miei piedi, ma anche le mani e il capo!». 10Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto puro; e voi siete puri, ma non tutti». 11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete puri». 12Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? 13Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. 14Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. 15Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. 16In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. 17Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica. 18Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto, ma deve compiersi la Scrittura: Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno. 19Ve lo dico fin d’ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono. 20In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato». 21Dette queste cose, Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». 22I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. 23Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. 24Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. 25Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». 26Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariota. 27Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui. Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto». 28Nessuno dei commensali capì perché gli avesse detto questo; 29alcuni infatti pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. 30Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte.

Introduzione al discorso di addio 31Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. 32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. 33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire. 34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. 35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri». 36Simon Pietro gli disse: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». 37Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». 38Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte.

Approfondimenti

Tratti dal sussidio per i gruppi di ascolto della Parola di Dio 2015-2016 dell'Ufficio Catechistico Diocesano di Pistoia

Caratteristiche del testo Il vangelo di Giovanni, a differenza dei sinottici, fa precedere al racconto della passione morte e resurrezione (Gv 18-21) un lungo discorso di Gesù ai discepoli (Gv 13,31-17,26) pronunciato subito dopo l’ultima cena. In questi capitoli sono presenti alcune “incongruenze” come ad es. quella tra Gv 13,36 dove Pietro domanda a Gesù “Signore, dove vai?” e le parole di Gesù in 16,5 dove si lamenta che “nessuno di voi mi domanda: dove vai?”. Un’altra tensione è quella tra Gv 14,31 con Gesù che dice ai discepoli “Alzatevi, andiamo via di qui”, e il testo immediatamente seguente di Gv 15,1 dove Gesù riprende a parlare, per spostarsi e andare al di là del torrente Cedron solo in Gv 18,1, il che fa pensare ai capitoli 15-17 come ad una probabile aggiunta. Possiamo immaginare che l’evangelista avesse a disposizione una serie di testimonianze scritte ed orali su Gesù giuntagli dalla tradizione a partire dalle quali compose una prima stesura del Vangelo. In seguito Giovanni arricchì questo primo scritto attingendo dai materiali a sua disposizione precedentemente non utilizzati. È un esempio evidente l’aggiunta del capitolo 21, l’apparizione del Signore risorto ai discepoli sul lago di Tiberiade, dopo la prima conclusione di Gv 20,30-31. Questa aggiunta obbligò Giovanni a scrivere una seconda conclusione del vangelo presente in Gv 21,24-25. L’evangelista non sentì il bisogno di eliminare o armonizzare tutte le incongruenze o i doppioni, perché per lui, come per buona parte del mondo antico, il rispetto dei materiali giunti dalla tradizione era più importante della necessità di una perfetta coerenza letteraria. Può essere utile ricordare che alla fine del vangelo Giovanni ricorda l’esistenza di molte altre azioni compiute da Gesù che non sono state scritte nel suo vangelo (Gv 21,25), a conferma che la tradizione tramandata su Gesù era più ampia di quella confluita nei vangeli scritti (cfr. At 20,34).

La lavanda dei piedi L’episodio della lavanda dei piedi dice chi è e cosa fa Gesù e chi sono e cosa dovranno fare i suoi discepoli. Nel vangelo di Giovanni il racconto dell’ultima cena è sostituito da quello della lavanda dei piedi che Giovanni colloca “prima della Pasqua” (Gv 13,1). Come nell’ultima cena Gesù dà il suo corpo e il suo sangue ai discepoli ammettendoli alla comunione con lui, adesso egli lava loro i piedi perché “abbiano parte con lui” (Gv 13,8). Ciò che c’è in gioco nella lavanda dei piedi è la comunione con il Signore, l’“aver parte con lui”, la capacità cioè di partecipare alla sua vita e al suo amore che purifica, rinnova e dona la vita eterna. La lavanda dei piedi è un gesto profetico che dice la missione di salvezza e l’identità di Gesù (Gv 13,1-11) e, allo stesso, tempo un esempio di umiltà lasciato ai discepoli perché essi facciano come ha fatto lui (Gv 13,12-20). Gesù con a lavanda dei piedi ci lascia un segno della sua vita donata che salva la nostra vita. Un uomo non è salvo se non è amato e non si salva se non sa amare. Ma solo Dio sa amare sino alla fine. Noi uomini siamo come Giuda, tentati da tante ambizioni, frustrati dalle nostre delusioni, feriti da attese sbagliate o da illusioni legate più alle nostre idee che non alla realtà. Oppure siamo come Pietro che non si vuole far lavare i piedi, e non accettiamo che Gesù si inchini a noi, non vogliamo essere serviti da lui, non vogliamo riconoscere i nostri “piedi sporchi”, cioè il sudicio dei nostri peccati e dei nostri limiti, e non permettiamo a Dio di lavarli, di prenderli in mano e di risanarli. In questo episodio della lavanda dei piedi si ripropone, dunque, il dramma dell’umanità, posta di fronte all’amore di Dio che vuole rinnovarci e salvarci e al quale molte volte poniamo resistenza. La lavanda dei piedi è profezia della morte salvifica di Gesù e allo stesso tempo insegnamento di come fare a vivere la vita amando. Quando si ama una persona si ammette quella persona ad aver parte con noi, così quando Gesù ci ama ci ammette alla comunione con lui, e questa è la salvezza, perché sperimentando la comunione con Dio, noi partecipiamo della sua natura divina. La lavanda dei piedi ci insegna che amare vuol dire inchinarsi di fronte all’altro, cioè imparare a riconoscere la grandezza e la bellezza dell’altro, vuol dire riconoscere il suo valore, dargli la possibilità di amarci, perché ci si abbassa di fronte a lui. Amare chiede l’umiltà di decentrare lo sguardo da sé per permettere lo sguardo sulla bellezza dell’altro e sul valore della sua vita che vale il dono della nostra. Amare chiede il sacrificio, l’imparare a vincere in noi ciò che impedisce di vivere questa umiltà. Amare è servire l’altro, prendergli in mano i piedi, imparare a volergli bene così com’è, perdonare i suoi peccati, conoscere e prendersi cura di quello che è. Ma amare è anche lasciarsi lavare, lasciare che Dio, l’amore, ci veda, ci conosca come siamo anche nei limiti e nei peccati. Amare è avere l’umiltà di riconoscere che abbiamo bisogno di amore, che abbiamo bisogno di mostrare e affidare la verità della nostra vita a chi ci ama. Lasciarsi lavare i piedi significa che io devo lasciarmi amare, perché l’amore non passa dall’essere perfetti, ma dall’imparare ad amarsi così come siamo, perché solo in questo modo possiamo davvero cambiare ed essere trasformati. La lavanda dei piedi è, dunque, l’immagine simbolica dell’amore di Dio per noi che diventa regola e misura dell’amore dei cristiani tra loro: «Anche voi dovete amarvi i piedi gli uni agli altri» (Gv 13,14). Gesù ci ha dato l’esempio, questo non dobbiamo scordarlo. Si impara non solo con la testa e con la parola, ma con gli occhi, vedendo, imitando. Ecco l’importanza dell’esempio di Gesù e della Chiesa, sia tra i cristiani, sia verso l’esterno. Dobbiamo recuperare l’importanza dell’esempio, della testimonianza visibile, che aiuta a rendere tangibile la presenza e l’amore di Dio per le persone. Vivendo il servizio ci si rende conto che esso è motivo di gioia, di felicità. Il servizio è una delle strade maestre attraverso la quale Dio entra nella nostra vita. Non si deve essere aridi nell’amare, né avari nel servizio: chi misura il proprio tempo, chi seleziona chi servire e chi no, chi fa differenze, finirà per impedire alla Grazia di Dio di toccare profondamente il proprio cuore, rischiando di scoraggiarsi o magari ritenendo inutile o infruttuoso il proprio servizio, finendo per diventare facile preda di sentimenti distruttivi come il risentimento, la rabbia, la depressione, le lamentele, le invidie, le gelosie, e sentimenti di questo genere che rendono il nostro cuore cattivo (Mc 7,21-23). Solo vivendo «fino alla fine» l’amore che “serve” potremo sperimentare la beatitudine: «Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica» (Gv 13,17). L’amore si riconosce dal servizio. Servizio non è solo fare volontariato, per quanto importante e talora indispensabile, ma è uno stile, un modo di vivere la nostra vita di figli e fratelli nei confronti degli altri. Cosa possiamo fare per crescere nella capacità di servire e di sacrificarci per voler bene?

Introduzione al discorso di addio In questi primi versetti Gesù annuncia che “ora” il “figlio dell’uomo è glorificato” (Gv 13,31-32), cioè ora egli si manifesta nella sua morte, nella croce che rivela la sua identità, la sua obbedienza al Padre e il suo amore che salvano il mondo aprendo le porte del Paradiso a quanti crederanno in lui. La croce rende possibile la comunione con Dio ed apre una strada che Pietro e gli altri dovranno seguire se vogliono essere in comunione con Gesù e con il Padre; ma quella strada si realizza nell’amore tra i discepoli e nella prova di una gratuità e fedeltà non facili, come lo stesso Pietro dovrà sperimentare nel suo rinnegamento profetizzatogli da Gesù (Gv 13,38).


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La cena e l'unzione a Betania 1Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. 2E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. 3Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo. 4Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: 5«Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». 6Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro. 7Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché essa lo conservi per il giorno della mia sepoltura. 8I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me». 9Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti. 10I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Lazzaro, 11perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.

L'ingresso di Gesù a Gerusalemme 12Il giorno seguente, la grande folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, 13prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!». 14Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: 15Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene, seduto su un puledro d’asina. 16I suoi discepoli sul momento non compresero queste cose; ma, quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che di lui erano state scritte queste cose e che a lui essi le avevano fatte. 17Intanto la folla, che era stata con lui quando chiamò Lazzaro fuori dal sepolcro e lo risuscitò dai morti, gli dava testimonianza. 18Anche per questo la folla gli era andata incontro, perché aveva udito che egli aveva compiuto questo segno. 19I farisei allora dissero tra loro: «Vedete che non ottenete nulla? Ecco: il mondo è andato dietro a lui!».

L'ultimo discorso pubblico 20Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. 21Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». 22Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. 24In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. 26Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà. 27Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! 28Padre, glorifica il tuo nome». Venne allora una voce dal cielo: «L’ho glorificato e lo glorificherò ancora!». 29La folla, che era presente e aveva udito, diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: «Un angelo gli ha parlato». 30Disse Gesù: «Questa voce non è venuta per me, ma per voi. 31Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. 32E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». 33Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire. 34Allora la folla gli rispose: «Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in eterno; come puoi dire che il Figlio dell’uomo deve essere innalzato? Chi è questo Figlio dell’uomo?». 35Allora Gesù disse loro: «Ancora per poco tempo la luce è tra voi. Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. 36Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce». Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose loro.

Conclusione del Libro dei segni 37Sebbene avesse compiuto segni così grandi davanti a loro, non credevano in lui, 38perché si compisse la parola detta dal profeta Isaia: Signore, chi ha creduto alla nostra parola? E la forza del Signore, a chi è stata rivelata? 39Per questo non potevano credere, poiché ancora Isaia disse: 40Ha reso ciechi i loro occhi e duro il loro cuore, perché non vedano con gli occhi e non comprendano con il cuore e non si convertano, e io li guarisca! 41Questo disse Isaia perché vide la sua gloria e parlò di lui. 42Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma, a causa dei farisei, non lo dichiaravano, per non essere espulsi dalla sinagoga. 43Amavano infatti la gloria degli uomini più che la gloria di Dio. 44Gesù allora esclamò: «Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; 45chi vede me, vede colui che mi ha mandato. 46Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. 47Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. 48Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. 49Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. 50E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me».

Approfondimenti

Tratti dalle “Lectio a Villapizzone” del Vangelo di Giovanni (p. Filippo Clerici e p. Silvano Fausti), dicembre 2001/febbraio 2002

La cena e l'unzione a Betania Si tratta della terza Pasqua (2,13; 6,4; 6,4; 11,55) che scandisce il Vangelo di Gv, pasqua che Gesù, morto alla vigilia, non celebrerà. Betania è a circa 3 km da Gerusalemme. Il convito serve per ravvivare e accrescere l'amicizia: per Lazzaro e le sorelle quella cena solenne era il modo efficace per manifestare la riconoscenza a Gesù. Maria prende una libbra di unguento – è un terzo di chilo – di nardo genuino. Il nardo è un profumo molto costoso che viene dall’India e la qualità più pregiata cresce sui cinquemila metri e questo profumo si fa con le radici del fiore, quindi muore il fiore per dare il suo profumo, un profumo particolarmente gradito agli uomini. Questo profumo è il simbolo di Dio; si sente anche nel buio, non può negarsi a nessuno. Questo nardo è chiamato genuino; in greco c’è una parola che vuol dire fedele: richiama la fede, perché la fede è esattamente questo amore. La fede è l’amore per il Signore che diventa amore per i fratelli. Ed è molto pregevole; Giuda monetizzerà questo pregio: più di trecento danari, cioè più di un salario annuale. Invece l’evangelista sottolinea il pregio, non il prezzo; cioè la preziosità. È molto prezioso. E con questo Maria unse i piedi di Gesù. La parola “ungere” richiama il Messia e questa donna “consacra” Gesù Messia, questi piedi che poi subito dopo entreranno in Gerusalemme per regnare. Unge i piedi, come Gesù laverà i piedi e, tra l’altro, lavare i piedi è un gesto di intimità coniugale e ancora di più sciogliere i capelli e asciugare i piedi con i capelli. Maria fa, in anticipo, esattamente quel che farà Gesù, che praticamente è generato alla sua Passione da questa donna. Il gesto di questa donna, sarà la forza del suo amore, perché finalmente qui è accolto. Gesù nasce proprio in questa scena, per la prima volta c’è chi gli vuol bene e dall’eternità Dio non cerca altro, addirittura il suo comandamento è: “Per favore amami! Te lo comando”, perché Dio è amore. Nell’ultima cena Gesù porta a compimento l’amore lavando i piedi, qui il compimento sta nel gesto della donna: la creazione raggiunge il suo compimento e la casa si riempie di profumo, la casa di Betania, “la casa del povero”, la casa dove c’era Lazzaro: la casa di morte è piena di Dio! Proprio questo gesto riempie il mondo di Dio ed è un piccolo gesto, unico, l’unico in tutto il Vangelo. Finora, tutti andavano addosso a lui per prendergli qualcosa, fino a quando gli hanno preso anche la vita. Questa donna è l’unica che dà a lui una cosa, anche se perfettamente inutile. Non capire questo spreco vuol dire non capire Dio, vuol dire non capire l’uomo, perché l’unica misura dell’amore è il non aver misura. Se uno misurasse l’amore con il contagocce sarebbe ben poco amore! Gesù dice di lasciar fare a questa donna, come ha detto di Lazzaro: “lasciate che se ne vada” verso il suo destino che è l’essere per sempre con il Padre, così dice: “lasciate che questa donna custodisca questo profumo”. Come custodisca, se l’ha già versato tutto? Non ce n’è più! Non si riesce a capire bene cosa voglia dire. Questa parola “custodire” è una parola tecnica, vuol dire anche “osservare”, che significa custodire e osservare i comandamenti. Cioè questa donna dando il profumo ha custodito, ha osservato il comandamento di Dio dell'amore, perché ama follemente. Allora questo profumo giunge fin dentro la morte, lo amerà fin dentro la morte che avverrà fra sei giorni e questo profumo sarà più forte anche della morte e va custodito ancora oggi da noi stessi, perché l’unico comando è quello dell’amore che ci fa passare dalla morte alla vita. Quindi lasciate che faccia così e imparate da lei, è questo da custodire: questo amore che è più forte della morte e arriva anche nella morte. E i poveri li avrete sempre e vivrete con loro questo stesso amore che vivete con me.

L'ingresso di Gesù a Gerusalemme Siamo al giorno dopo l’unzione di Betania e l’evangelista vuole collegare l’ingresso regale di Gesù con l’unzione di Betania, perché il re viene unto, il Re, il Messia è l’unto, il consacrato, la donna l’ha consacrato Messia, l’ha consacrato col suo amore, come sposo che va a dare la vita ed è in forza di questo amore che Gesù ormai affronta la regalità. Solo questa donna l’ha accolto finora; e poiché uno l’ha accolto, può andare avanti. Mentre gli altri Vangeli narrano Gesù che entra, qui si presenta la folla che esce. Era importante. Come Lazzaro uscì dal sepolcro, lo si dice alla fine, così la folla deve uscire dalla città, che è sottoposta al potere di un altro, dalla città coi suoi criteri di mondo, di dominio e di potere, per incontrare il Messia. E lo stesso Messia sarà re fuori della città: lo crocifiggono fuori. Mi piace sottolineare il fatto di questo “venirsi incontro”: sono convinto che il percorso maggiore lo fa il Signore venendo verso di noi, però è bello che anche a noi sia riconosciuta la capacità, la possibilità, ci sia data la possibilità di fare qualche passo verso di Lui.

L'ultimo discorso pubblico Il brano inizia con i Greci – che sono i pagani – che vogliono vedere Gesù. E Gesù risponde indirettamente, dicendo dov’è che si vede lui. Lo si vede nella sua gloria. E la sua gloria consiste nell’essere innalzato sulla Croce, lì è il luogo dove si vede il Signore; dove vedo Dio? Sulla Croce. La sua gloria, dice, è quella del chicco di frumento; la gloria di un seme è il suo frutto, lui porta frutto proprio morendo in Croce. E subito dopo si parla in un solo versetto, dell’agonia di Gesù nell’orto, che Giovanni non racconta, e la pone qui dicendo che Gesù è turbato; e immediatamente dopo c’è la voce dal cielo che ricorda la Trasfigurazione. Alla fine Gesù dichiara nei vv. 31 e segg. il senso della sua vita che è il suo essere elevato sulla Croce dove avverrà la rivelazione totale di Dio. La Croce è il giudizio sul mondo. E qual è il giudizio che fa Dio sul mondo? Dà la vita per questo mondo. E proprio dando la vita per questo mondo, adesso, viene espulso dal mondo colui che è il capo del mondo. Chi è il capo del mondo? Il capo del mondo è l’antidio, colui che si è impadronito del mondo con la menzogna, con la violenza, con l’egoismo, producendo morte; è l’autore del male che tutti conosciamo. Proprio sulla Croce viene vinta la radice del male, perché ci si rivela appunto chi è davvero Dio; Dio è così e se io sono a immagine di Dio, allora sarò così. E allora è vinta quella menzogna che è dentro al cuore di ogni uomo, che gli presenta un falso modello di uomo, per cui realizza il male credendo che sia bene. Quindi la Croce sdemonizza l’immagine di Dio, ma anche la falsa immagine di uomo. E il risultato cosa sarà? Che tutti saremo attirati a Lui. Mentre Adamo fuggì da Dio, perché pensava un Dio potente e geloso e voleva diventare come Lui (ma Lui è più forte e allora fuggo da Lui per diventare ugualmente come Lui) vedendolo in Croce, capisco che Dio è amore, non fuggo più da Lui, e allora vado da Lui. E allora divento me stesso, divento suo Figlio che sa amare e dare la vita. E proprio così è vinto il male del mondo sulla Croce. Infine alla domanda “Chi sei tu?”, Gesù risponde: “guarda, se vieni vicino a me, mi conosci e diventi tu stesso figlio della luce. Chi sei tu? Sono la luce del mondo. Se ti lasci illuminare, diventi anche tu figlio della luce. E poi si conclude che Gesù si allontana e si nascose.

Conclusione del Libro dei segni Alla fine di questa prima parte che è intitolata anche “il libro dei segni” che racconta tutti i segni che Gesù ha fatto, l’evangelista sente il bisogno di fare una considerazione teologica sulla fede. Perché lui ha scritto tutto il suo Vangelo? Perché anche voi ascoltando i segni che Lui ha fatto, crediate, abbiate la vita. E Gesù perché ha fatto dei segni? Dei miracoli? Non per fare cose mirabili. Erano dei segni per significare l’amore del Padre e del Figlio e quindi aderire al Padre e al Figlio e avere la vita. Ogni brano del Vangelo si concludeva sempre con una considerazione sulla fede o sull’incredulità degli ascoltatori che saremmo noi lettori, perché il Vangelo è scritto per noi. Noi siamo “il terzo” che è sempre coinvolto; quando uno fa un segno, lo fa sempre per un altro. Quindi i miracoli di Gesù non sono miracoli fatti per il miracolato, sono dei segni per gli altri che vedono. Saper leggere i segni è fondamentale, altrimenti è come aver davanti un libro molto bello, con tanti bei geroglifici e non saperlo decifrare. E la nostra vita è così: se non sappiamo leggere tutto ciò che capita, il significato profondo che Dio ci manifesta in ciò che avviene, sono dei segni che non sappiamo leggere e non saper leggere vuol dire che non ha senso la vita, che non ha senso il libro. Circa la fede e l’incredulità – e i segni servono per arrivare alla fiducia in Dio che è la vita dell’uomo – c’è una cosa sorprendente che è imprevista anche per Dio: cosa noi facciamo della nostra libertà. Possiamo dire sì, possiamo dire no.

Il testo incomincia con: Pur avendo compiuto tanti segni davanti a loro... Nonostante tutto quello che ha fatto non gli credono. E queste parole richiamano quelle del Deuteronomio 29, 1-3, quando Mosè al popolo dice: Nonostante che Dio abbia fatto tanti segni, tanti prodigi davanti a voi, voi proprio non avete intelletto per capire, orecchi per ascoltare, occhi per vedere per accettare l’azione di Dio. Quindi la prima cosa che dice l’evangelista – è una sua osservazione – è questa: l’incredulità è una cosa molto antica, l’avevano già i Padri nel deserto; anzi, se uno pensa bene, l’aveva già Adamo che ha creduto più al serpente che a Dio. Quindi non è una novità l’incredulità, è la cosa più vecchia dell’uomo. Poi può paludarsi di infiniti motivi, sempre più alla moda, però la cosa è molto antica e sempre uguale, cioè l’uomo non crede. E allora perché non crede? Dice: perché così si compie – d’ora in poi Giovanni userà molto le parole “compimento della Scrittura”, per dire “questo è già tutto previsto, non preoccupatevi”, perché Dio non è tonto, sa come funziona il mondo e sa che l’uomo non crede, per questo è finito in croce – la parola che disse il profeta Isaia. E qui cita dall’ultimo canto del Servo di Jhavhè, cap.53, dove si presenta questa figura incredibile e gloriosissima, che porterà su di sé i mali dell’uomo, sarà reietto da tutti, disprezzato, uomo dai molti dolori, sfigurato per essere d’uomo il suo aspetto; eppure quello porterà la salvezza di Dio. E allora Isaia stesso dice: Chi credette ad ascoltare questa parola? Nessuno ha mai creduto che tu facessi così. Il braccio del Signore, la sua potenza... : chi ci crederebbe che il braccio, la potenza del Signore è il suo braccio steso in croce? Cioè, cosa vuol dire? Questo cantico predice la passione di Cristo, Isaia 53.

La prima colpa dell’incredulità ce l’ha Dio, perché ha un amore troppo incredibile, fino ad andare a finire in Croce per noi che lo mettiamo in Croce: questo è assurdo! Quindi la prima colpa dell’incredulità ce l’ha Dio, la sua incredibilità: è un amore eccessivo, è appunto amore eccessivo. E l’uomo non crede a un amore così infinito. Perché il nostro amore è sempre molto limitato, anzi con molto egoismo e poi ha i suoi limiti ben precisi. E tra l’altro qui si pone l’immagine del Servo: Gesù ha appena detto che il Figlio dell’uomo sarà innalzato, richiama il servo di Jhavhè, richiama la Croce. È davanti alla Croce che si pone il problema della fede. Come credere in un Dio che si fa crocifiggere per l’uomo? La prima causa dell’incredulità è l’eccesso di Dio – e noi che non lo possiamo accettare – e questo eccesso ci si presenta direttamente sulla Croce nel servo di Jhavhè innalzato. Lì noi vediamo ciò che occhio umano non ha mai visto.

La seconda causa dell’incredulità risiede nell’uomo, ma non è colpa dell’uomo. Di fatti si dice: non è che non “volevano” credere, non “potevano” credere. Giovanni fa una citazione di Isaia 6, 9-10 ma l’evangelista fa una variazione nella citazione: nel testo si dice che il profeta acceca gli occhi del popolo, in modo che non capisca, non veda e non si converta; è un modo profetico per dire che si evidenzia il loro peccato e non c’è rimedio. Giovanni invece dice che il popolo non può vedere, poi non nomina il popolo, sta parlando solo dei capi, perché il popolo ha un significato positivo in Giovanni, dice che non potevano vedere perché un altro gli ha accecato gli occhi. Chi è quest’altro? È il suo nemico, è colui che con la menzogna, fin dal principio, con Adamo, ha chiuso gli occhi dell’uomo davanti all’amore di Dio. Quindi la seconda causa dell’incredulità è la cecità dell’uomo non colpevole: siamo accecati. Siamo abitati da un’altra parola, da una menzogna che ci ha chiuso gli occhi davanti a Dio, abbiamo un’immagine negativa di Dio, abbiamo tutti un’immagine diabolica di Dio, quella suggerita dal diavolo, di un padre-padrone, per questo non possiamo credere al suo amore! Quindi il secondo colpevole dell’incredulità è il divisore, il nemico, che Gesù è venuto a espellere dal mondo proprio mediante la Croce, perché sulla Croce ci rivela un Dio che è esattamente il contrario di quello che satana aveva proposto all’uomo. In modo tale che noi ci possiamo convertire “e io li guarisca” – è di Gesù che si sta parlando; e questa parola “guarire” esce nel capitolo 5 con quell’uomo che era lì alla piscina, che stava lì da 38 anni, il paralitico, e che il Signore guarisce, perché anche noi, finalmente possiamo essere guariti.

Prima della terza causa c’è una transizione. Si dice: queste cose Isaia disse perché vide la sua Gloria e parlò di Lui. Si accenna alla vocazione di Isaia al capitolo 6, dove si dice che Isaia vide la gloria di Dio. E qui si dice: vide la sua gloria, di Gesù. Perché fa questa citazione l’evangelista? Perché i cantici di Isaia – i cantici del Servo – sono quei testi che meglio di tutti gli altri testi dell’AT descrivono la Croce di Gesù, sono i cantici del Servo: la croce di Gesù che è la gloria di Dio. Quindi dice che Isaia ha già visto la gloria di Dio e la gloria di Dio è il suo amore che ha verso tutti gli uomini e che il Figlio ci ha rivelato definitivamente. Non a caso appunto cita tre volte Isaia proprio qui.

La terza causa dell’incredulità di questi capi è: «amavano la gloria degli uomini più della gloria di Dio». E questa è l’unica colpa che può avere l’uomo, ma non è neppure una colpa più che tanto, la prima colpa ce l’ha Dio perché è incredibile quello che Lui fa; la seconda ce l’ha il nemico, perché ci ha chiuso gli occhi, ci ha messo paura con la sua menzogna; la terza è che con questa menzogna negli occhi, con questa paura nel cuore ci sentiamo vuoti e siccome l’uomo ha bisogno di consistenza, di essere riconosciuto e amato, non trovando la sua consistenza in Dio, la cerca negli uomini: si chiama la vanagloria. La gloria è il peso, la consistenza che uno ha; siccome mi sento nulla, vengo dal nulla, vado al nulla, allora cerco un po’ la mia identità in come mi vedono gli altri e divento schiavo degli altri e così si struttura la società nella schiavitù reciproca.

Quindi alla fine del “libro dei segni” Giovanni fa emergere tutte le radici possibili della nostra mancanza di fede, perché appunto finalmente possono confrontarsi con ciò che avviene.

Poi, dal v. 44 al 50 c’è l’ultimo appello alla fede, dove Gesù grida, come la Sapienza, di venire a lei per avere la vita. E l’evangelista mette in bocca a Gesù tutte le parole chiavi del Vangelo che ha cercato di spiegare durante tutto ciò che finora ha raccontato ed è tutta una variazione sul tema della fede. Quindi spiega che cos’è la fede. La fede è innanzitutto ascoltare, è una parola che tocca la ragione, che tocca il cuore; non è solo ascoltare, ma conservare queste parole, non è una fede vaga, è di una persona che dice anche qualcosa, che vive in un certo modo, che mi rivela e allora io ascolto quella parola e la conservo. E se uno ascolta le parole del Figlio e conserva queste parole – è importantissimo conservarle, perché poi vivi ciò che conservi, la parola che conservi dentro – dice: io non lo giudico, se non le ascolta, perché io non sono venuto per giudicare, ma per salvare. Quindi non è che il Signore è venuto a giudicare quelli che non credono, è venuto a salvare anche quelli che non credono, perché nessuno crede: se no avrebbe salvato nessuno! Alla fine ci sentiamo interpellati e forse siamo anche in grado di capire quelle che sono le radici della incredulità, perché il seguito del Vangelo sarà la cura di queste radici della incredulità. Vedremo davvero l’amore incredibile di Dio, sarà veramente vinta la menzogna che ci presenta un Dio diverso, finalmente vedremo la nostra gloria e allora capiremo che aderire al Figlio è diventare figli e avere la pienezza di vita di Dio. Ed è per questo che Dio ci ha fatti.


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Lazzaro 1Un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella, era malato. 2Maria era quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. 3Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato».

4All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato». 5Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. 6Quando sentì che era malato, rimase per due giorni nel luogo dove si trovava. 7Poi disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». 8I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». 9Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; 10ma se cammina di notte, inciampa, perché la luce non è in lui».

11Disse queste cose e poi soggiunse loro: «Lazzaro, il nostro amico, si è addormentato; ma io vado a svegliarlo». 12Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se si è addormentato, si salverà». 13Gesù aveva parlato della morte di lui; essi invece pensarono che parlasse del riposo del sonno. 14Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto 15e io sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate; ma andiamo da lui!». 16Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!».

17Quando Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepolcro. 18Betània distava da Gerusalemme meno di tre chilometri 19e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria a consolarle per il fratello. 20Marta dunque, come udì che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. 21Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! 22Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». 23Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». 24Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno». 25Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; 26chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». 27Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».

28Dette queste parole, andò a chiamare Maria, sua sorella, e di nascosto le disse: «Il Maestro è qui e ti chiama». 29Udito questo, ella si alzò subito e andò da lui. 30Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. 31Allora i Giudei, che erano in casa con lei a consolarla, vedendo Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, pensando che andasse a piangere al sepolcro.

32Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». 33Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, 34domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». 35Gesù scoppiò in pianto. 36Dissero allora i Giudei: «Guarda come lo amava!». 37Ma alcuni di loro dissero: «Lui, che ha aperto gli occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?».

38Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. 39Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni». 40Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». 41Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. 42Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». 43Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». 44Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».

45Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva compiuto, credettero in lui. 46Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto.

47Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. 48Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». 49Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! 50Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». 51Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; 52e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. 53Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.

54Gesù dunque non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove rimase con i discepoli.

55Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. 56Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?». 57Intanto i capi dei sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunciasse, perché potessero arrestarlo.

Approfondimenti

dalla lectio divina delle clarisse di Sant'Agata Feltria

Di Lazzaro conosciamo solo quello che ci dice il Vangelo secondo Giovanni, non compare nella tradizione sinottica. Il suo nome è un’abbreviazione di Eleazar che significa “Dio aiuta”. È di Betania, il nome di questa località significa “casa dell’afflizione”. La casa di Lazzaro ospitava abitualmente Gesù quando veniva a Gerusalemme. Lazzaro è ammalato: è “debole”, ma la sua debolezza rivela una forza: per mezzo di essa è glorificato il Figlio di Dio (cf 2Cor 12,9). È la debolezza di cui si è caricato il Servo (cf Mt 8,17 «così si adempì quanto fu annunziato dal profeta Isaia che dice: Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle nostre malattie»), la sua e la nostra debolezza crocifissa, spazio per la vita che viene da Dio (cf 2Cor 13,4 «Egli fu crocifisso per la sua debolezza, ma vive per la potenza di Dio. E noi che siamo deboli in lui, saremo vivi con lui per la potenza di Dio verso di voi») e luogo del gemito dello Spirito (Rm 8,26 «Nello stesso modo anche lo Spirito, coadiuvandoci, viene in aiuto alla nostra debolezza; infatti noi non sappiamo che cosa dobbiamo chiedere convenientemente, ma è lo Spirito stesso che prega per noi con gemiti inespressi»).

Lazzaro è amico di Gesù, come Mosè, amico con cui Dio parla faccia a faccia, come Abramo, amico di Dio perché credette, come Giovanni Battista, amico dello sposo perché gioisce alla sua voce. Gli amici sono quelli cui Gesù ha fatto conoscere tutto quello che ha udito dal Padre suo, coloro a cui è destinato l’amore più grande, quello che dà la vita, e che mettono in pratica il comando di Gesù, quello di amarsi gli uni gli altri.

Lazzaro è un morto che sente. Lazzaro è colui che non ha la vita in se stesso, ma si lascia chiamare alla vita dalla Parola di Dio, per la Parola di Dio esce alla vita, è sciolto, lasciato andare. Ascoltare è quindi lasciare il sepolcro, e venir via dalla morte. Ascoltare il Figlio di Dio è vita che trascina dietro di sé tutto ciò che muore. Viene richiamato alla vita tutto ciò cui è raggiunto dalla voce del Figlio di Dio.

La Parola che è Gesù, è parola di vita eterna, è Parola che dà lo Spirito senza misura, vita senza misura.

Chi la ascolta credente ha la vita eterna, passa dalla morte alla vita, non vedrà la morte in eterno. Lazzaro è l’amico che ha udito la voce del Figlio di Dio ed è tornato alla vita.

«Colui con il quale Dio parla, nella sua ira o nella sua grazia, è immortale». (M. Lutero, Genesisvorlesung, 1535-45)

Ciò che avviene a Lazzaro richiama con forza l’avvenimento della vita all’inizio del tempo. Sul nulla che avvolgeva tutte le cose, sulla notte, sul caos, viene data la Parola che fa tutto esistere, viene dato l’Amore che spinge tutte le cose alla vita. La Genesi dice che sul nulla eterno, sul niente assoluto “aleggiava” lo Spirito di Dio. L’immagine che rende bene il significato del verbo è quella che vediamo ad ogni primavera quando le rondini madri insegnano ai piccoli, già pronti, a volare. Esse fanno dei giri ampissimi davanti al nido e chiamano e gridano invitando i piccoli a spiccare il volo come fanno loro. Gli fa vedere come si vola e con tenacia continuano ad aleggiare intorno a quel nido finché dal quel nido essi non spiccano il volo. Così è lo Spirito sul nulla della creazione: infinita attesa e infinita pazienza nell’insegnare a volare al nulla, nell’insegnare a vivere alla non esistenza. È come parlare a un morto. La Parola ascoltata, la Parola che è Amore, e data alla vita perché viva, chiama all’esistenza la totalità della persona, così all’inizio della vita, e così, con Lazzaro, alla sua fine.

L'inizio del Vangelo secondo Giovanni non dice che in principio c’è Dio, ma il Verbo, la Parola, cioè l’autocomunicazione di Dio: Dio che parla a me, un tu che ama e evoca l’io.

La creazione ha risposto come un insieme, nella sua totalità, alla parola creatrice; allo stesso modo Lazzaro viene fuori nella sua totalità personale, chiamato per nome. La relazione di Dio con l’uomo è qualcosa che l’uomo non abbandona nemmeno morendo: il suo essere immagine di Dio si esplicita nell’essere l’altro nella relazione con il Tu divino, l’altro che riceve la sua Parola. All’ascolto del Dio unico risponde la totalità dell’esistenza dell’uomo che, credente, si compromette nella sequela dell’amore, con tutto il cuore, tutta l’anima, tutte le forze. È in questo momento che Lazzaro diventa discepolo. Infatti è solo da questo punto in avanti che compare nel Vangelo secondo Giovanni la figura del “discepolo che Gesù amava”: alcuni ritengono che questo discepolo sia proprio Lazzaro.

La resurrezione dalla morte, ora significa vita vissuta nell’amore: Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli (1Gv 3,14).

La Parola elevata da terra, attira tutto a sé. Lazzaro vive, dove vivere è amare, perché Gesù lo ama: il Suo Amore e il Suo dolore chiamano Lazzaro fuori dal sepolcro.

Forse la più bella confessione, inconsapevole, della redenzione operata da Gesù viene dalle parole di chi ha deciso di ucciderlo: la morte di uno solo salverà l’intera nazione e i figli di Dio dispersi. La vita restituita a Lazzaro decide la morte di Gesù. La Parola se è accolta e creduta fa passare dalla morte alla vita, se è respinta decide la morte di Gesù. Gesù qui è già stato unto con l’unguento che doveva essere conservato per la sua sepoltura, o meglio l’unzione avverrà nel capitolo successivo, ma qui è anticipata come riferimento alla figura di Maria.

In Lazzaro Gesù si trova davanti alla sua passione, alla sua consegna, alla sua ora di fronte alla quale freme interiormente e si turba. La sua commozione e il suo turbamento in vista della imminente passione, del tradimento di Giuda, sono per Giovanni segni dell’umanità del Figlio di Dio, che si piega ubbidiente al volere del Padre: «Ora la mia anima è turbata e che devo dire?... Padre, salvami da quest'ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest'ora» (cf Gv 12,27).

Il suo dirigersi chiaramente verso la morte suscita la decisione dei suoi discepoli: «andiamo a morire con lui» (cf Gv 11,16). In questo Vangelo sequela e morte si intrecciano inesorabilmente. Lazzaro è il discepolo che Gesù amava, cioè il discepolo che partecipa alla sua passione e alla sua resurrezione, colui che fa l’esperienza della sequela come un entrare nella morte per passare alla Sua vita. L’andare e il morire sono uniti dalla stessa radicalità, dalla stessa esigenza di totalità: morire con Cristo per vivere con lui, morire con Cristo per vivere per lui che è morto e resuscitato per noi. Seguirlo e morire nella sua morte sono la stessa cosa.

La sequela è sequela radicale, come è radicale la morte, o non è.

Il discepolo quindi nasce in quella debolezza, in quel niente capace di farsi chiamare alla vita, in quella condizione per cui non si può trovare niente che provochi l’esistere, se non la Parola di Dio. Consapevole della debolezza, e consapevole della vita ricevuta. Come solo un cieco dalla nascita può sapere che cosa significa che la Parola è la luce del mondo. Come solo un morto può sperimentare che cosa vuol dire che la Parola dà la vita. Il discepolo però è anche colui che compie il sacrificio della sua debolezza, nel senso che è la vita di un Altro a prendere possesso della propria esistenza, cittadino del cielo. È colui che ha in sé i sentimenti di Gesù Cristo che da ricco che era si è fatto povero, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce, che considera tutto spazzatura al fine di conoscere Lui, la potenza della sua risurrezione e la partecipazione alle sue sofferenze, trasformandosi in un’immagine della sua morte, per giungere, in qualche modo, a risorgere dai morti.

Il discepolo partecipa dello stesso turbamento del Figlio di Dio di fronte alla sua passione, con la forza della fede e il dono della Sua pace: « Non si turbi il vostro cuore. Credete in Dio, e credete anche in me. La pace vi lascio, la mia pace vi do. Non come la dà il mondo io ve la do. Non si turbi il vostro cuore e non si abbatta» (cf 6 Gv 14,1.27).

I passi del discepolo sono sulle orme del crocifisso, la sua vita è Cristo, i suoi sentimenti, quelli di Gesù Cristo, la sua fede, quella del Figlio di Dio, il suo pensiero è Cristo, attraverso il quale conoscere il Padre, la sua preghiera: Abbà, Padre. Nello stesso amore e nello stesso dolore.


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Il buon pastore 1«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. 2Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. 3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. 4E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. 5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». 6Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. 7Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. 8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. 9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. 10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza. 11Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. 12Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; 13perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. 14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio». 19Sorse di nuovo dissenso tra i Giudei per queste parole. 20Molti di loro dicevano: «È indemoniato ed è fuori di sé; perché state ad ascoltarlo?». 21Altri dicevano: «Queste parole non sono di un indemoniato; può forse un demonio aprire gli occhi ai ciechi?».

22Ricorreva allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. 23Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. 24Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». 25Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. 26Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. 27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. 28Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. 29Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. 30Io e il Padre siamo una cosa sola». 31Di nuovo i Giudei raccolsero delle pietre per lapidarlo. 32Gesù disse loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre: per quale di esse volete lapidarmi?». 33Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». 34Disse loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi? 35Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio – e la Scrittura non può essere annullata –, 36a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo voi dite: “Tu bestemmi”, perché ho detto: “Sono Figlio di Dio”? 37Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; 38ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre». 39Allora cercarono nuovamente di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani. 40Ritornò quindi nuovamente al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui rimase. 41Molti andarono da lui e dicevano: «Giovanni non ha compiuto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». 42E in quel luogo molti credettero in lui.

Approfondimenti

(cf IL VANGELO DI GIOVANNI – Commento esegetico e teologico, di Santi Grasso © Città Nuova Editrice, 2008)

Questo discorso è suddivisibile in due parti fondamentali.

  1. La prima si svi­luppa con una metafora (vv. 1-6), alla quale fa seguito la spiegazione, centrata inizialmente sull'immagine della porta (vv. 7-10) e su quella del pastore (vv. 11- 18). Questa illustrazione suscita, come spesso accade nel racconto giovanneo, una duplice reazione di rifiuto e di interrogativo (vv. 19-21).
  2. Una cornice geografica e cronologica (vv. 22-23) introduce la seconda parte, che prende le mosse dalla domanda rivolta dai giudei a Gesù sulla sua identità messianica (vv. 22-39).
  • Una prima fase applica il discorso del pastore e delle pecore all'uditorio giudeo (vv. 24- 30);
  • una seconda è imperniata sull'accusa di bestemmia, relativamente alla quale Gesù cerca di mettere in evidenza la posizione incongruente e contraddittoria dei suoi avversari (vv. 31-39).
  • L'epilogo che registra il ritorno di Gesù sulla sponda giordanica, ha la funzione di presentare l'adesione della folla sulla base della testi­monianza di Giovanni Battista (vv. 40-42).

Il discorso contenuto in questa pagina evangelica va letto alla luce della let­teratura anticotestamentaria, soprattutto profetica, che si rifà al mondo pastorale per parlare sia del rapporto tra Dio e il suo popolo (Sal 23(22); 80(79), 1-2; Is 40,10-11; Ger 31,1O) sia della relazione del popolo con i capi (Is 56,9-12; Ger 23,1-4; 25,34-38; Ez 34; Zc 11 4-17). Da tale confronto si può desumere che il discorso di Gesù nel Vangelo secondo Giovanni contiene una storia costruita con modelli tradizionali, ma riela­borata con significati nuovi. Non si deve dimenticare che queste parole trovano riscontro anche nei vangeli sinottici (cf. Mt 9,36; 18,12-14; 26,31; Mc 6,34; 14,27; Lc 12,32; 15,4-7).

Il racconto si avvia con due frasi parallelle in cui si presenta il duplice caso di chi non entra per la porta e di chi invece vi passa (vv. 1-2). Le figure che compio­no questi movimenti sono identificate rispettivamente con il ladro/il brigante e il pastore. La descrizione del caso negativo all'inizio, ripreso alla conclusione con la figura dell'estraneo (cf. v. 5), fa capire come l'accento del racconto cada proprio sulla situazione conflittuale. L'apertura della porta da parte del guardiano rende possibile il rapporto tra il pastore e le pecore (v. 3).

Con la ripresa della narrazione, Gesù esce dalla metafora (v. 7), orientandosi verso una spiegazione che nella prima parte è centrata sul simbolo della porta e nella seconda sulla figura del pastore. L'affermazione «io sono» ricorre due volte relativamente a ciascuna immagine (vv. 7.9.11.14). Gesù si identifica con la porta delle pecore prima in riferimento ai personaggi negativi dei ladri e dei saccheggiatori che non sono stati ascoltati dalle pecore (v. 8), poi in rapporto alla figura positiva di chi entra ed esce per essa trovando pascolo (v. 9). Questa prima parte della spiegazione si chiude con il confronto tra il ladro, al quale vengono assegnate le competenze attraverso tre verbi: «rubare, uccidere, distruggere», e Gesù, il cui ruolo o missione («sono venuto») è indicato dalla duplice espressione «affinché abbiano la vita» e «l'abbia­no in abbondanza» (v. 10).

La seconda parte verte sulla figura del pastore, qualificato dall'aggettivo «buono», con il quale Gesù si identifica, affermazione in parallelo alla figura della porta (v. 11). Anche in questo caso la descrizione avviene per confronto tra il pastore, che ha la competenza di offrire la vita per le pecore, e il mercenario, a cui si nega il ruolo pastorale, e al quale pertanto le pecore non appartengono, con le seguenti azioni negative, espresse attraverso le seguenti forme verbali: «vede il lupo arrivare, abbandona le pecore fuggendo... non ha cura delle pecore» (vv. 12-13). In questa descrizione si inserisce la figura del lupo che rapisce le pecore e le disperde.

Se la prima affermazione: «lo sono il buon pastore» serve a illustra­re per contrasto la funzione del mercenario, la seconda (v. 14) ha lo scopo invece di introdurre le sue funzioni essenziali, conoscere le pecore e offrire per loro la vita, esplicitate attraverso un duplice e rispettivo inciso. Si afferma infatti sia la conoscenza reciproca delle pecore, basata su quella mutua tra Gesù e il Padre (v. 15), sia la disponibilità all'offerta della vita, sviluppata dopo l'annuncio del pos­sesso di un altro gregge (v. 16). Quest'ultimo annuncio dà l'avvio a un elenco in cui si menzionano nuovamente le competenze sia del pastore sia delle pecore: egli conduce, esse ascolteranno, diventeranno un solo gregge con un solo pastore.

Il tema dell'offrire la vita per le pecore si articola con un parallelismo cir­colare (vv. 17-18). L'amore del Padre nei confronti di Gesù è qui indicato nella capacità di dare la vita. Lo sviluppo verte sulla libertà di questo dono attraverso una frase negativa e una positiva: «nessuno me la toglie» e «io la offro spontanea­mente». La motivazione di questa disposizione è ancora individuata da un paral­lelismo antitetico: «ho il potere di darla»/«il potere di riprenderla>>. Le parole di Gesù ricevono conferma dalla conclusione: «Questo è l'incarico che ho ricevuto dal Padre mio». La reazione dell'uditorio, mentre alla conclusione del racconto metaforico è di incomprensione, alla fine di questa spiegazione è duplice e conflittuale. Molti giudei ritengono Gesù indemoniato e fuori di senno (vv. 19-20), altri contestano questa interpretazione e si interrogano circa tale giudizio sulla base dell'azione di guarigione del cieco (v. 21).

Un intermezzo in cui si indica la collocazione geografica (Gerusalemme), religiosa (festa della Dedicazione), cronologica (inverno), locale (portico di Salo­mone) apre la seconda parte di questa pagina evangelica (vv. 22-23). L'ambientazione fornisce il contesto della duplice domanda posta dai giudei e rivolta a Gesù in discorso diretto sulla sua identità messianica (v. 24).

Gesù esordisce con un intervento che, appellandosi alle «opere» compiute nel nome del Padre le quali gli danno testimonianza, sembra non aver niente a che fare con il precedente te­ma del pastore (v. 25). Ma l'accusa di incredulità rivolta ai giudei, motivata con la mancata appartenenza al suo gregge, fa desumere che, nonostante la cornice cro­nologica differente, il dibattito continui (v. 26). Per dimostrare questa affermazio­ne Gesù ripropone lo statuto della relazione tra le pecore e il pastore riprendendo le espressioni precedentemente usate: «le mie pecore ascoltano la mia voce»/«io le conosco»/«esse mi seguono»/«lo do loro la vita piena»/«non periranno per sempre»/«nessuno le rapirà dalla mia mano» (vv. 27-28). Un'ulteriore digressione afferma l'origine paterna del gregge e la sua inalienabilità, mentre la sua conces­sione a Gesù è indicata nella motivazione: «io e il Padre siamo uno» (vv. 29-30).

La reazione non verbale dei giudei si estrinseca in un tentativo di lapidazio­ne (v. 31). Si può rilevare pertanto un crescendo nella reazione giudaica. Se pri­ma i suoi avversari non riescono a comprendere il racconto enigmatico, e poi, in seguito alla spiegazione si dividono in due gruppi, uno contrario a Gesù, l'altro aperto alla sua azione, adesso la presa di posizione è univocamente violenta.

Ge­sù interviene facendo riferimento alle opere da lui compiute, tema già introdotto nella sequenza precedente (cf. v. 25) e che concluderà il dibattito (vv. 37-38), mentre chiede la ragione della condanna: «per quale di queste opere volete lapi­darmi?» (v. 32). La motivazione è espressa prima mediante una negazione: «Non ti lapidiamo per un'opera buona» e poi con un'affermazione in cui si evidenzia il contrasto tra uomo e Dio: «per la bestemmia: perché tu che sei uomo ti fai Dio» (v. 33).

La risposta di Gesù è articolata in tre momenti.

  1. Egli in forma interrogativa si appella al progetto di Dio codificato nella parola biblica ripresa dal Sal 82/81,6 che afferma la deificazione dell'uomo (v. 34).
  2. Nel secondo momento, con un ra­gionamento “a fortiori”, posta la duplice condizione che i destinatari della parola di Dio sono chiamati dei e che quest'ultima non può essere annullata, la conclusione è che tale progetto vale a maggior ragione per il consacrato e l'inviato di Dio. Ne consegue la domanda retorica riguardo l'accusa di bestemmia per aver affermato di essere Figlio di Dio (vv. 35-36).
  3. Nel terzo il ragionamento si sviluppa ancora con una doppia frase condizionale; la prima pone il caso negativo, la seconda quello positivo: se Gesù non compie le opere del Padre non si deve credergli (v. 37), ma se le compie si deve credere almeno alle opere (v. 38). La frase che chiude il dibattito indica la conseguenza del credere alle opere: conoscere che il Padre è in Gesù e Gesù nel Padre.

In questo discorso ambientato nel giorno della Dedicazione del tempio l'au­tore rielabora elementi usati nella scena del sinedrio (cf. Gv 18, 19-24), eviden­ziando così la sua tendenza ad anticipare i temi della passione (cf. Gv 2,14-22; 12,27-28).

La conclusione riporta il tentativo da parte dei giudei di catturare Gesù (v. 39). Questa situazione provoca la fuga da parte sua. Nell'epilogo il suo allontana­mento è ragione del ritorno nel territorio della riva giordanica dove Giovanni ave­va amministrato il battesimo (v. 40). Se prima si erano riscontrate per lo più rea­zioni di rifiuto (vv. 6.20.31.39), adesso secondo lo schema narrativo giovanneo si registra anche quella di accoglienza (vv. 41-42). Il commento è espresso attraverso un discorso diretto che, sebbene neghi a Giovanni la capacità di compiere segni, gli riconosce quella di aver individuato la vera personalità di Gesù. Sulla base di questo collegamento tra Giovanni e Gesù, molti giungono alla fede in lui.


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La guarigione di un uomo cieco dalla nascita 1Passando, vide un uomo cieco dalla nascita 2e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». 3Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. 4Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. 5Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». 6Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco 7e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.

8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». 9Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». 10Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». 11Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». 12Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».

13Condussero dai farisei quello che era stato cieco: 14era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. 15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». 16Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. 17Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!».

18Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. 19E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». 20I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; 21ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». 22Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. 23Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».

24Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». 25Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». 26Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». 27Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». 28Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! 29Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». 30Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. 31Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. 32Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. 33Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». 34Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.

35Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». 36Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». 37Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». 38Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. 39Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». 40Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». 41Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».

Approfondimenti

di Luciano Manicardi – monastero di Bose, 22 marzo 2020

Al centro del cap. 9 del Vangelo di Giovanni vi è il tema dell’illuminazione, espresso attraverso il racconto della guarigione di un uomo cieco dalla nascita. Racconto che diviene pedagogia verso la fede cristologica. Il testo presenta le differenti reazioni alla guarigione da parte delle diverse persone che compaiono nella narrazione. E sempre sorge la domanda: queste persone sanno vedere? L’evento della guarigione di un uomo cieco dalla nascita cosa cambia nel loro modo di vedere la realtà? Il ritrovamento della vista da parte di quell’uomo diviene giudizio sulla capacità di vedere degli altri protagonisti del racconto. E di noi lettori insieme con loro.

Il testo è suddiviso in sei scene in cui sempre si intrecciano tre motivi:

1. il fatto (un uomo cieco dalla nascita è stato guarito da Gesù con alcuni gesti terapeutici); 2. il processo (un interrogatorio a cui i farisei sottopongono l’uomo guarito dalla cecità per appurare ciò che è avvenuto); 3. il giudizio (il medesimo fatto conduce a due giudizi differenti: quello dei farisei che condannano il cieco espellendolo dalla sinagoga e giudicando Gesù come peccatore; quello di Gesù che si esprime nella battute finali del testo: vv. 39-41).

Gv 9,1-7 «Passando Gesù vide un uomo cieco dalla nascita». Cieco dalla nascita, quest’uomo ora rinasce venendo alla luce e vedendo la luce. Che cosa predispone questa rinascita? Lo sguardo di Gesù. Gesù vide l’uomo cieco. Gesù vide l’uomo, non vede anzitutto un malato, ma un uomo. I discepoli non solo non vedono un uomo, ma in un certo senso nemmeno un cieco, bensì solo il problema che la cecità pone loro. Non rivolgono nemmeno la parola a quell’uomo. L’incontro di Gesù inizia vedendo un uomo: non una categoria, non un problema teologico, non una colpa, ma un essere umano. L’incontro inizia con uno sguardo non inficiato dai pregiudizi: siano anche quelli della teologia, della cultura, delle abitudini mentali. I discepoli non avranno più alcun ruolo in questo racconto: scompaiono, ma in realtà non sono mai entrati in relazione con questa persona. Lo sguardo di Gesù è generante, quello dei discepoli è giudicante. Gesù vede la sofferenza e si pone accanto alla vittima. Di fronte alla disgrazia che intacca il corpo di una persona, Gesù non dà risposte teoriche, ma assume la realtà come appello e afferma che anche nella disgrazia è possibile agire umanamente e santamente: «È così perché si manifestino le opere di Dio» (v. 3). Il male dell’uomo viene realisticamente assunto come luogo in cui Gesù può narrare lo sguardo di Dio sull’uomo e compiere l’azione di Dio. E Gesù compie l’azione divina per eccellenza ricreando quell’uomo. È evidente il richiamo al testo della creazione dell’uomo in Gen 2 nei gesti terapeutici compiuti da Gesù. Questa prima scena già indica che il gesto di Gesù è segno (manifestazione delle opere di Dio), non semplicemente guarigione fisica.

Gv 9,8-12 Gesù scompare dalla scena. Colui che era cieco non sa dove sia. Ovvero, il divenire umano e spirituale è ora affidato a quest’uomo che si deve scontrare con la realtà e attraverso questo scontro potrà fare avvenire in sé la guarigione e portarla a compimento. Ma da quando è stato guarito dalla cecità, tutto comincia a essere tremendamente più complicato per lui. Tutte le persone che conosceva e con cui aveva rapporti ora si distanziano da lui. Perfino i suoi genitori.

Compaiono in scena i vicini, i conoscenti, coloro che erano abituati a vederlo come parte del paesaggio, perché era un mendicante che stazionava normalmente in un dato luogo. E pongono diverse domande: lo interrogano, ma non si interrogano! È il punto di vista della superficialità. Il loro interesse è meramente fattuale. Non pongono nemmeno domande circa l’identità di Gesù. Ma solo: Dov’è? Come ti ha aperto gli occhi? Questa assenza di profondità impedirà a loro di andare oltre e di essi non si parlerà più. Qui troviamo il primo passo del cammino di riconoscimento di Gesù quale Messia da parte di colui che era stato cieco. Egli dice: «L’uomo chiamato Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: “Va’ a Siloe e lavati”». Il contatto basilare si è stabilito: egli riconosce l’uomo che l’ha trattato umanamente. Arriva a riconoscere chi l’ha riconosciuto come uomo. Mentre comincia a difendere la sua identità da chi non lo riconosce: “Sono io” (v. 9). Era riconosciuto finché era un mendicante cieco: ora il mutamento lo rende irriconoscibile. La domanda è: sappiamo accogliere il mutamento della persona? O il cambiamento, addirittura la guarigione, perturba i nostri equilibri?

Gv 9,13-17 L’uomo guarito è portato dai farisei e viene interrogato. A partire dal fatto che la guarigione è avvenuta in giorno di sabato, si verifica una divisione tra due opposte interpretazioni del fatto (v. 16). I farisei si rendono conto che nell’evento vi è più della sola dimensione materiale e alcuni di loro parlano di segni. A differenza dei vicini, si interrogano più a fondo, ma non credono. Tuttavia si rimettono al cieco domandandogli: «Tu cosa dici di lui?». Chiedono il parere a colui che ha vissuto in prima persona l’incontro. E quest’uomo avanza nella sua comprensione dell’identità di Gesù: è un profeta. Proprio l’interrogatorio a cui è sottoposto da chi lo sta processando lo conduce a capire meglio chi sia Gesù. Dai farisei impara che ciò che è avvenuto è un segno che rinvia a Dio stesso: la sua comprensione di Gesù cresce grazie alle opposizioni.

Gv 9,18-23 La posizione dei farisei non solo non progredisce, ma regredisce. Essi non credono che fosse stato cieco e poi guarito (v. 18). Per non farsi mettere in discussione dal segno, cercano di negare che sia avvenuto un prodigio. Convocano perciò i genitori di quell’uomo e li interrogano. I genitori riconoscono il fatto della guarigione: sono costretti ad ammettere che quello che hanno davanti è loro figlio, che era cieco e che ora non lo è più. Ma non si vogliono sbilanciare dicendo più di tanto, e questo per paura. Essi avrebbero potuto, suggerisce il v. 22, riconoscere Gesù come Cristo, ma non lo vogliono fare. Il timore dell’espulsione dalla sinagoga, che avrebbe comportato per loro un’emarginazione sociale e religiosa, li porta a scegliere ciò che loro conviene. Vogliono evitare fastidi. I genitori credono ma non testimoniano, si rifiutano di assumere le conseguenze pratiche del fatto avvenuto. Non sono abbastanza liberi per testimoniare. E così l’uomo che ha ritrovato la vista comincia a vedere uno spettacolo assai penoso: non creduto, lasciato solo, perfino dai genitori.

Gv 9,24-34 I farisei in questa nuova scena sono più aggressivi. Intimano all’uomo di dire la verità e di riparare all’offesa fatta alla gloria di Dio. Ormai la loro posizione è quella di chi detiene un potere e lo difende aggredendo. Il potere si nutre del monopolio del sapere: «Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Hanno deciso che la non osservanza del sabato è l’elemento portante su cui far leva. Tuttavia, se è vero che l’uomo non può lavorare in giorno di sabato, Dio lo può. «Il Padre mio lavora sempre e anch’io lavoro» (Gv 5,17), dice Gesù in occasione della guarigione del paralitico alla piscina di Betsetà, avvenuta in giorno di sabato. Il sabato, il giorno del compimento della creazione è il momento adatto per la reintegrazione della salute degli uomini. Ma ormai i farisei usano le parole per costringere quest’uomo a confessare ciò che essi vorrebbero sentirsi dire. Usano la parola in modo manipolatorio. E ripetono le stesse domande all’uomo. E ancora una volta è a partire dalle contestazioni che gli vengono mosse che egli arriva a una più profonda comprensione dell’identità dell’uomo che l’ha guarito. I farisei stessi avevano detto che segni simili non possono essere fatti da un peccatore, ma solo da uno che viene da Dio (v. 16). E ora, di fronte a un’ipotesi spacciata come verità comprovata («Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore»), egli ripete la sua certezza che nessuno gli può togliere: «Ero cieco e ora ci vedo» (v. 25). Dalla certezza della propria esperienza, a cui egli rimane attaccato saldamente, ora passa a interpretare il tutto in modo esplicito: «Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto fare nulla» (v. 33). Per quest’uomo, Gesù è un inviato da Dio. Ma questo gli costa l’espulsione dalla sinagoga. E così il suo statuto di vedente è peggiore di quando era cieco.

Gv 9, 35-41 L’uomo compie l’ultimo passo verso la fede. Incontra Gesù, non sapendo nulla del Figlio dell’uomo, ma non appena Gesù gli dice: «Lo hai visto: è colui che parla con te», egli crede e adora. Il vederci passa attraverso l’ascolto, mentre la cecità è dovuta a difetto di ascolto. I farisei si lasciano interpellare dalle parole di Gesù (v. 39) e con timore chiedono: “Siamo ciechi anche noi?”. Forse intuendo che questa è una possibilità reale anche per loro. Ma Gesù risponde che il problema non è la cecità, ma la presunzione, il ritenersi nel giusto: è questa inossidabilità che chiude nel peccato. Accettare lo sguardo di Gesù su di noi significa imparare a vedere noi stessi in verità. Altrimenti, se siamo impegnati a difendere ad ogni costo le nostre certezze, allora non lasciamo spazio per ascoltare e impediamo che in noi si apra una breccia che ci conduce ad accogliere l’azione rinnovatrice di Dio. Ma non riusciamo nemmeno a incontrare gli altri sull’unico terreno che abbiamo a disposizione, la nostra umanità.


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La donna adultera 1Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. 2Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. 3Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e 4gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. 7Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». 8E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. 10Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

La festa delle capanne – seconda parte

12Di nuovo Gesù parlò loro e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». 13Gli dissero allora i farisei: «Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera». 14Gesù rispose loro: «Anche se io do testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove sono venuto e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado. 15Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. 16E anche se io giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato. 17E nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera. 18Sono io che do testimonianza di me stesso, e anche il Padre, che mi ha mandato, dà testimonianza di me». 19Gli dissero allora: «Dov’è tuo padre?». Rispose Gesù: «Voi non conoscete né me né il Padre mio; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio». 20Gesù pronunciò queste parole nel luogo del tesoro, mentre insegnava nel tempio. E nessuno lo arrestò, perché non era ancora venuta la sua ora.

21Di nuovo disse loro: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire». 22Dicevano allora i Giudei: «Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: “Dove vado io, voi non potete venire”?». 23E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. 24Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati».

25Gli dissero allora: «Tu, chi sei?». Gesù disse loro: «Proprio ciò che io vi dico. 26Molte cose ho da dire di voi, e da giudicare; ma colui che mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo». 27Non capirono che egli parlava loro del Padre. 28Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. 29Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite». 30A queste sue parole, molti credettero in lui.

31Gesù allora disse a quei Giudei che gli avevano creduto: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; 32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». 33Gli risposero: «Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire: “Diventerete liberi”?». 34Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. 35Ora, lo schiavo non resta per sempre nella casa; il figlio vi resta per sempre. 36Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. 37So che siete discendenti di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova accoglienza in voi. 38Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro». 39Gli risposero: «Il padre nostro è Abramo». Disse loro Gesù: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo. 40Ora invece voi cercate di uccidere me, un uomo che vi ha detto la verità udita da Dio. Questo, Abramo non l’ha fatto. 41Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero allora: «Noi non siamo nati da prostituzione; abbiamo un solo padre: Dio!». 42Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro padre, mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato. 43Per quale motivo non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alla mia parola. 44Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna. 45A me, invece, voi non credete, perché dico la verità. 46Chi di voi può dimostrare che ho peccato? Se dico la verità, perché non mi credete? 47Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non ascoltate: perché non siete da Dio». 48Gli risposero i Giudei: «Non abbiamo forse ragione di dire che tu sei un Samaritano e un indemoniato?».49Rispose Gesù: «Io non sono indemoniato: io onoro il Padre mio, ma voi non onorate me. 50Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca, e giudica. 51In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno». 52Gli dissero allora i Giudei: «Ora sappiamo che sei indemoniato. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: “Se uno osserva la mia parola, non sperimenterà la morte in eterno”. 53Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti. Chi credi di essere?». 54Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria sarebbe nulla. Chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: “È nostro Dio!”, 55e non lo conoscete. Io invece lo conosco. Se dicessi che non lo conosco, sarei come voi: un mentitore. Ma io lo conosco e osservo la sua parola. 56Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia». 57Allora i Giudei gli dissero: «Non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo?». 58Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». 59Allora raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

Approfondimenti

(cf IL VANGELO DI GIOVANNI – Commento esegetico e teologico, di Santi Grasso © Città Nuova Editrice, 2008)

L'introduzione al brano dell'adultera, che fa da interludio tra le due pa­gine contenenti il dibattito durante la festa delle capanne a Gerusalemme, riporta annotazioni sugli spostamenti di Gesù che esce dalla città per andarsene sul monte degli Ulivi, ma all'alba fa ritorno nel tempio.

Dopo questo intermezzo narrativo la discussione sull'identità messianica di Gesù prosegue dalla pagina precedente (cf. Gv 7, 52). La ripresa del confronto con i capi giudei si ha con la rivelazione: «lo sono la luce del mondo». La discussione ha il suo culmine con le parole di Gesù che si appella alla testimonianza del Padre (v. 18) e il suo termine con la dichiarazione di impotenza da parte dei suoi inter­locutori nel conoscere il Padre e lui stesso (v. 19). Il riferimento continuo al Padre dà luogo a una domanda da parte dei suoi interlocutori: «Dov'è tuo Padre?». Gesù risponde negando loro la possibilità di conoscere lui e il Padre.

La ripresa della discussione si ha ancora per iniziativa di Gesù, con l'annun­cio che egli se ne va, mentre i suoi interlocutori lo cercheranno, ma essi moriranno nei loro peccati con la conclusione che dove egli va non potranno raggiungerlo (v. 21). L'affermazione suscita nei capi giudei l'ipotesi del suicidio, riprendendo come motivazione in forma interrogativa la sentenza: «Dove vado io voi non potete venire» (v. 22).

L'affermazione-titolo «lo sono» suscita l'interrogativo da parte dei suoi interlocutori: «Tu chi sei?» (v. 25), con il quale si apre un'altra breve se­zione del dibattito, articolata con diversi appellativi cristologici: «inviato», «Figlio dell'uomo», «Io sono».

La ripresa della discussione menziona come destinatari espliciti i «capi giu­dei che avevano creduto in lui» (v. 31). Tale uditorio è utile perché egli possa tracciare il programma della sequela: Gesù pone la condizione della sequela nel rimanere fedeli alla sua parola e ne indica le conseguenze: essere suoi discepoli, conoscere la verità ed essere liberi (v. 32).

Nel dibattito che segue Gesù mette in risalto la contraddizione dei suoi inter­locutori, che da una parte hanno consapevolezza di essere discendenza di Abramo, dall'altra tentano di ucciderlo. La motivazione di questo comportamento è individuata nell'affermazione: «la mia parola non trova posto in voi» (v. 37). Questa sezione si chiude con l'esortazione rivolta da Gesù: «Voi fate le opere del Padre vostro», che è un implicito invito a riconoscerlo.

Il dibattito continua con un'affermazione dei giudei: «non siamo nati da prostituzione» e «abbiamo un unico Padre: Dio» (v. 41). Le parole sono riprese da Gesù con una condizionale: «se Dio fosse vostro Padre, mi amereste». La ragione di questa dichiarazione è espressa con tre frasi, due positive e una negativa: «sono uscito e sono venuto da Dio»/«non sono venuto da me stesso»/«egli mi ha inviato» (v. 42). La domanda sull'incomprensione del suo linguaggio trova risposta nella consta­tazione di Gesù, secondo il quale essi non danno ascolto alle sue parole (v. 43), perché hanno per padre il diavolo e vogliono soddisfare i suoi desideri.

Adesso Gesù con una digressione enuncia le funzioni del diavolo: omicida fin dal princi­pio, non ha perseverato nella verità, menzognero e padre della menzogna (v. 44). La ragione per cui Gesù deduce che essi hanno come padre il diavolo sta nel fatto che non credono in lui che invece dice la verità (v. 45).

La terza parte del dibattito si avvia con la domanda provocatoria da parte dei suoi interlocutori giudei se egli sia un samaritano e un indemoniato (v. 48). A questa accusa che ricalca quella che egli stesso aveva lanciato ai suoi interlocutori (cf. v. 44), Gesù risponde con una duplice frase, prima negativa e poi positiva di non avere un demonio, ma di onorare il Padre. A quest'ultima affermazione si oppone l'atteggiamento dei giudei che disonorano Gesù (v. 49). L'alternativa è riproposta anche nell'intervento seguente con altre parole: «io non cerco la mia gloria»/«C'è chi la cerca e giudica» (v. 50).

I capi dei giudei accusano nuo­vamente Gesù di essere indemoniato (cf. v. 48) sulla base del seguente ragio­namento: Abramo e i profeti sono morti. Questa constatazione cozza con l'affer­mazione di Gesù: «Se qualcuno conserva la mia parola, non vedrà mai la morte»(v. 52). L'intervento si conclude con due domande retoriche. La prima pone la re­lazione tra Gesù e Abramo ed è seguita dall'affermazione che anche i profeti sono morti. La seconda discende dalla precedente: «chi credi di essere?» (v. 53).

La risposta di Gesù fa leva sul vocabolario della glorificazione, mentre la sua ultima affermazione corrisponde a una rivelazione ed è introdotta ancora da «Amen, amen» (cf. v. 58), basata sul confronto tra lo “status” di Abramo e il suo. Mentre Abramo è presentato dal verbo «nascere», Gesù si presenta col verbo «essere». Questa frase suscita la reazio­ne violenta dei giudei che vogliono lapidario, ma egli si nasconde ed esce dal tem­pio, azione che crea un'inclusione con l'inizio di questa grande pagina, quando egli entra nel tempio in occasione della festa delle capanne (v. 59; cf. Gv 7, 14).

Verità, libertà e paternità Tratto dalle “Lectio a Villapizzone” del Vangelo di Giovanni (p. Filippo Clerici e p. Silvano Fausti), maggio 2001

Qual è la verità dell’uomo? Qual è la libertà dell’uomo? Gesù lega la verità e la libertà alla relazione che l’uomo vive con Dio. C'è la relazione vera di un figlio con il Padre che ama, oppure la relazione falsa con un Padre detestabile. Questi due tipi di relazione con il Padre convivono in noi e l’illuminazione è il passaggio da una paternità menzognera, che ci tiene nelle tenebre, a una paternità vera che ci dona la libertà di essere figli e fratelli. E quando si parla di paternità menzognera, si parla di qualcosa che è sempre estremamente attuale. Il capitolo 8 inizia con una donna da lapidare: Gesù l’ha perdonata; termina con Gesù che si rivela come “Io-sono” (che vuole dire “Io sono Dio”) e vogliono lapidarlo. C’è una stretta connessione: Gesù è lapidato perché rivela un Dio che è contrario a quello che tutte le religioni suppongono.

Ma per comprendere la verità su Dio, prima dobbiamo chiederci: chi è l’uomo realmente? Gesù, il Figlio, è venuto a rivelarci la verità fondamentale dell’uomo: l’uomo è figlio. Nessuno si è fatto da sé, neppure le persone più importanti si sono fatte da sé. Uno esiste perché un altro lo ha messo al mondo, e se non accetta di essere messo al mondo da un altro non esiste. Se uno non accetta se stesso come figlio, non può accettare gli altri come fratelli. La menzogna fondamentale dell’uomo è non accettarsi come figlio. Se uno non ha un buon rapporto col padre, non può avere un buon rapporto con se stesso, quindi ha un rapporto conflittuale di competitività con gli altri che sono l’oggetto del suo appropriamento per sentirsi qualcuno, perché si sente nessuno.

All’origine dei mali c’è dunque la non conoscenza della verità di chi è l’uomo; e Gesù è luce del mondo perché è il Figlio di Dio che è venuto a mostrarci, nella fraternità e nel servizio dei fratelli, la verità di ogni uomo che ci rende liberi. E la libertà è amare come siamo amati. Perché, se uno non si sente amato dal Padre e lo odia, nel medesimo tempo odia anche se stesso e i fratelli. Questa è la verità del Figlio. Ed è importante conoscere la verità perché scoprire questa verità significa trovare la libertà! Uno non è libero fino a quando non si sente accettato e amato. Se uno non si accetta, cerca di far di tutto per sentirsi accettato e amato, quindi è schiavo dell’immagine che produce nei confronti degli altri. Quindi esce strettamente connessa al concetto di verità, la libertà. Come la menzogna dà schiavitù, così la libertà è frutto della verità.

Che cos’è la libertà? Nella nostra epoca la libertà è il punto d’onore dell’uomo! Per libertà, però, si intendono cose molto diverse, come per la verità. Uno intende per verità le cose che dice lui; anche le menzogne più grosse sono vere se mi sono utili! Così per libertà si intendono cose opposte. Il Vangelo, tutta la Bibbia, propone un concetto di libertà che riconosce l’uomo come “libero” perché “a immagine di Dio”. E chi è Dio? Non farti nessuna immagine di Dio: perché l’immagine di Dio è l’uomo libero. Ma chi è Dio? Dio è uno che si è rivelato come colui che si mette a servizio di tutti, dà la vita per tutti, è solidale con tutti, ama; Dio è amore. Quindi la libertà cristiana non è il piacere, non è il dovere della legge, è il sapersi amati, è il saper amare gli altri stabilendo un corretto rapporto con il Padre, coi fratelli, con le cose, dove tutto è posto a servizio della vita. Questo è il concetto di libertà cristiana, molto diverso dai concetti correnti!

Chi è il discepolo di Gesù, colui che crede al Vangelo? Il discepolo è quello che dimora nella parola. Cioè non è semplicemente che vuole bene a Gesù (è importantissimo aderire a Lui) ma aderire a una persona vuol dire cercare di capirla! Se dici: «sì, sì ti voglio bene, ma per favore taci, perché dici scempiaggini»... non è un gran voler bene! L'amore invece dice: «ti voglio bene, mi interessa molto di te, per favore parlami, ti ascolto». Perché è proprio ascoltando che la Parola che tu dici entra in me e la mia vita si purifica secondo questa Parola. È un cammino di illuminazione la conoscenza della verità ed è dimorando in questa Parola che conosceremo la verità: prima però bisogna starci a lungo!

E qual è la verità della Parola di Gesù? È la verità fondamentale dell’uomo: che lui è figlio e noi siamo fratelli, e che il Padre è il contrario di quello che, da Adamo in poi, tutti pensiamo! Ci presenta la nuova verità di Dio e dell’uomo, la verità che rende liberi, liberi di amare come siamo amati. Praticamente qui l’evangelista scopre le carte per intendere il totale del suo Vangelo, e farci dimorare in questa parola, perché conosciamo il Figlio che è la verità del Padre ed è la verità nostra e, conoscendo questa verità, finalmente diventiamo liberi, cioè accettiamo noi stessi come figli e gli altri come fratelli. Perché chi non accetta sé come Figlio amato dal Padre e gli altri come fratelli, altrettanto amati dal Padre, non è figlio di Dio, non ha la sua identità, cercherà la sua identità in altre cose.

Tutto il Vangelo di Giovanni è un “gioco” sulla “parola”, fin dall’inizio, proprio per far uscire con limpidezza “le parole” fondamentali: Padre, amore, libertà, verità. Il risultato di questa operazione di Gesù che cos’è? Che vogliono lapidarlo! Così, lapidandolo, confermano le sue parole che ha detto loro: voi siete i figli del padre della menzogna, infatti uccidete il figlio. Però la parola ultima spetta ancora a Dio che è verità, libertà e amore e proprio lapidandolo (non riusciranno a lapidarlo, ma lo metteranno in croce) proprio uccidendolo Gesù rivelerà che lui è Dio, e rivelerà chi è Dio: Dio non è il padrone, il datore della legge che immaginavano, ma è suo Padre e Padre nostro. Quel Padre che ha le sue stesse caratteristiche; di lui che si è fatto servo dei fratelli, di lui che dà la vita per i fratelli. E allora proprio sulla Croce rivelerà per la prima volta la verità di Dio: Dio è quello lì, non un altro, è il Crocifisso, il Figlio che rivela l’amore del Padre e rivelerà la grande nostra dignità: noi in lui siamo figli di Dio e lui è venuto per donarci questo amore.


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La festa delle capanne – prima parte 1Dopo questi fatti, Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più percorrere la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo. 2Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, quella delle Capanne. 3I suoi fratelli gli dissero: «Parti di qui e va’ nella Giudea, perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu compi. 4Nessuno infatti, se vuole essere riconosciuto pubblicamente, agisce di nascosto. Se fai queste cose, manifesta te stesso al mondo!». 5Neppure i suoi fratelli infatti credevano in lui. 6Gesù allora disse loro: «Il mio tempo non è ancora venuto; il vostro tempo invece è sempre pronto. 7Il mondo non può odiare voi, ma odia me, perché di esso io attesto che le sue opere sono cattive. 8Salite voi alla festa; io non salgo a questa festa, perché il mio tempo non è ancora compiuto». 9Dopo aver detto queste cose, restò nella Galilea. 10Ma quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui: non apertamente, ma quasi di nascosto. 11I Giudei intanto lo cercavano durante la festa e dicevano: «Dov’è quel tale?». 12E la folla, sottovoce, faceva un gran parlare di lui. Alcuni infatti dicevano: «È buono!». Altri invece dicevano: «No, inganna la gente!». 13Nessuno però parlava di lui in pubblico, per paura dei Giudei. 14Quando ormai si era a metà della festa, Gesù salì al tempio e si mise a insegnare. 15I Giudei ne erano meravigliati e dicevano: «Come mai costui conosce le Scritture, senza avere studiato?». 16Gesù rispose loro: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato. 17Chi vuol fare la sua volontà, riconoscerà se questa dottrina viene da Dio, o se io parlo da me stesso. 18Chi parla da se stesso, cerca la propria gloria; ma chi cerca la gloria di colui che lo ha mandato è veritiero, e in lui non c’è ingiustizia. 19Non è stato forse Mosè a darvi la Legge? Eppure nessuno di voi osserva la Legge! Perché cercate di uccidermi?». 20Rispose la folla: «Sei indemoniato! Chi cerca di ucciderti?». 21Disse loro Gesù: «Un’opera sola ho compiuto, e tutti ne siete meravigliati. 22Per questo Mosè vi ha dato la circoncisione – non che essa venga da Mosè, ma dai patriarchi – e voi circoncidete un uomo anche di sabato. 23Ora, se un uomo riceve la circoncisione di sabato perché non sia trasgredita la legge di Mosè, voi vi sdegnate contro di me perché di sabato ho guarito interamente un uomo? 24Non giudicate secondo le apparenze; giudicate con giusto giudizio!». 25Intanto alcuni abitanti di Gerusalemme dicevano: «Non è costui quello che cercano di uccidere? 26Ecco, egli parla liberamente, eppure non gli dicono nulla. I capi hanno forse riconosciuto davvero che egli è il Cristo? 27Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia». 28Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. 29Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato». 30Cercavano allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora. 31Molti della folla invece credettero in lui, e dicevano: «Il Cristo, quando verrà, compirà forse segni più grandi di quelli che ha fatto costui?». 32I farisei udirono che la gente andava dicendo sottovoce queste cose di lui. Perciò i capi dei sacerdoti e i farisei mandarono delle guardie per arrestarlo. 33Gesù disse: «Ancora per poco tempo sono con voi; poi vado da colui che mi ha mandato. 34Voi mi cercherete e non mi troverete; e dove sono io, voi non potete venire». 35Dissero dunque tra loro i Giudei: «Dove sta per andare costui, che noi non potremo trovarlo? Andrà forse da quelli che sono dispersi fra i Greci e insegnerà ai Greci? 36Che discorso è quello che ha fatto: “Voi mi cercherete e non mi troverete”, e: “Dove sono io, voi non potete venire”?». 37Nell’ultimo giorno, il grande giorno della festa, Gesù, ritto in piedi, gridò: «Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva 38chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva». 39Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato. 40All’udire queste parole, alcuni fra la gente dicevano: «Costui è davvero il profeta!». 41Altri dicevano: «Costui è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? 42Non dice la Scrittura: Dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide, verrà il Cristo?». 43E tra la gente nacque un dissenso riguardo a lui. 44Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno mise le mani su di lui. 45Le guardie tornarono quindi dai capi dei sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto qui?». 46Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato così!». 47Ma i farisei replicarono loro: «Vi siete lasciati ingannare anche voi? 48Ha forse creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisei? 49Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!». 50Allora Nicodèmo, che era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: 51«La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». 52Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!». 53E ciascuno tornò a casa sua.

Approfondimenti

Tratti dalle “Lectio a Villapizzone” del Vangelo di Giovanni (p. Beppe Lavelli e p. Stefano Titta), gennaio/febbraio 2023

Nel Vangelo di Giovanni al cap. 7 comincia di fatto il processo a Gesù, quello che negli altri Vangeli Sinottici è raccontato negli ultimi giorni. Per i Sinottici la permanenza conclusiva di Gesù a Gerusalemme accade in pochi giorni, e all'interno di questi pochi giorni, i processi che vengono fatti a Gesù: c'è un processo nel Sinedrio, un processo da parte di Pilato e Gesù che deve rispondere. Invece in Giovanni accadono in questi capitoli questi interrogatori che vertono tutti sulla identità di Gesù.

Il capitolo precedente cominciava con la vicinanza della Pasqua: Era vicina la Pasqua. Qui siamo all'interno di un'altra festa degli Ebrei che è quella delle Capanne: intercorrono circa sei mesi tra una festa e l'altra. La festa delle Capanne si svolgeva a metà di settembre e ottobre ed era inizialmente una festa agricola, la festa dei raccolti. Si ringraziava il Signore per il raccolto. E il popolo dimorava per questa settimana in alcune tende fatte di rami, di frasche. Poi questa festa ha assunto un significato di memoria della storia della salvezza. A ricordare il tempo del pellegrinaggio del popolo d'Israele attraverso il deserto: dall'uscita dall'Egitto fino all'ingresso nella Terra promessa. Nel capitolo 6 c'è un richiamo alla manna, che è un richiamo all'Esodo, qui la festa delle Capanne richiama ancora questo cammino verso la Terra promessa e il ringraziamento verso il Signore. È anche una delle tre feste (insieme a quella di Pasqua e di Pentecoste) che prevedeva un pellegrinaggio a Gerusalemme. Questo farà da sfondo anche a quello che i fratelli di Gesù gli diranno. Il recarsi a Gerusalemme, durante questa festa, mette un valore in più a questo recarsi, perché è una Gerusalemme piena di folle. Erano davvero in molti coloro che si recano in questa città per questo pellegrinaggio. È una festa che farà da sfondo a questi capitoli fino al capitolo 9, che narra della guarigione del cieco nato. Coloro che partecipano alla festa delle Capanne andavano alla piscina di Siloe (a cui sarà inviato anche il cieco nato) a prendere l’acqua che poi spargevano in libagione al tempio. La luce e l’acqua sono i termini che ricorreranno in questi capitoli (dal 7 al 9) e che erano centrali anche nella festa delle Capanne. È in questo clima di festa, di rivelazione, di liberazione che accadono tutte le vicende narrate.

Nei capitoli 6 e 7 del vangelo secondo Giovanni vengono presentate le tentazioni che Gesù ha subito, quelle che Matteo e Luca raccontano nel loro capitolo 4. In una maniera prosaica, non è che Gesù va nel deserto e lì incontra il tentatore... Ma nelle vicende quotidiane, quando la gente arriva e ti vuole far re. Come Satana che propone a Gesù tutti i regni di questo mondo. Oppure quando gli chiedono: Dacci questo pane. Trasforma queste pietre in pane. Così anche adesso: Va’ in Giudea, fai vedere le opere che sai fare. Vai sul pinnacolo del tempio, buttati giù e allora crederanno. Qui il tentatore prende le sembianze dei fratelli, delle folle, di quelli che al capitolo 1 di Marco attraverso Pietro dicono: Tutti ti cercano. Tutti sono ai tuoi piedi. Questa per loro è la fama! Quella che per noi è la gloria per Gesù è la vanagloria.

Quale immagine di Dio? Quale immagine anche di Gesù queste persone si stanno facendo? Conoscere i miracoli di Gesù non li porta necessariamente alla fede. Vedono, ma non capiscono niente. «In verità, in verità vi dico: Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato quei pani e vi siete saziati». Non avete visto una cosa che vi rimanda ad un'altra, ma vi fermate lì. Anzi voi mi state seguendo non per me, ma per voi. Il rischio è che mi seguite per voi stessi, non per me. Non siete interessati a me, ma cercate di mettere me al vostro servizio. Non accettate che vi ponga io al centro della mia attenzione.

La vita di Gesù è un amore che si consegna sempre. L'abbiamo visto anche al capitolo 6: il pane di vita è esattamente questo. Ma non è ancora giunto. C'è un tempo in cui maturano le cose. Forse noi non saremo mai pronti per ricevere pienamente questo dono. Però ci fidiamo che i tempi che il Signore sceglie sono quelli giusti per incontrare ciascuno. Allora il Signore sa quando il Padre ha posto i suoi tempi. E mentre i fratelli obbediscono alle circostanze del mondo, Gesù si mantiene in ascolto del Padre.

C'è sempre qualcosa che ci fa paura e la paura e ciò che si oppone alla fede. Torna così il tema della incredulità. Nei Sinottici spesso Gesù lo dice: Perché avete paura? Non avete ancora fede? La paura dei giudei è inversamente proporzionale alla fede in Gesù, come ogni paura. Queste persone non hanno solo una difficoltà a comprendere chi è Gesù. Hanno una difficoltà anche a comprendere se stessi, a fare i conti con le proprie paure. La festa delle Capanne ricorda il cammino di liberazione del popolo. Forse un passo di liberazione, è un passo anche di liberazione dalle proprie paure o perlomeno da un riconoscerle e da un consegnarle.

È posta una questione fondamentale: chi è Gesù e da dove viene questo Gesù o meglio il Messia? Fa problema il fatto che Gesù venga dalla Galilea, perché il testo dice che il Messia non viene dalla Galilea! Anzi del Messia non si sa da dove venga. La versione dei Sinottici è piuttosto legata alla tradizione della stirpe di Davide. Quindi la stirpe di Davide – cioè la tribù di Davide che è la tribù di Giuda – è originaria della Giudea. È il contrario. È la tribù di Giuda che ha dato il nome al territorio della Giudea. Ma Gesù non è dalla Giudea. Gesù è dalla Galilea, secondo il Vangelo di Giovanni. Poi Matteo e Luca ci raccontano che è nato a Betlemme, ma questa è un'altra linea. Perché c'è questo problema della provenienza: da dove viene questo qua? E se viene dalla Galilea non può essere il Messia, perché del Messia non sappiamo l’origine perché è un personaggio misterioso che viene da Dio. Il problema è questo: costui è solo un uomo? È un personaggio originale, pieno di iniziative sorprendenti, ma è un uomo. Al limite potrebbe essere un maestro, ma se proprio vogliamo esagerare un profeta. Invece Gesù dice: Io sono il Messia, anzi di più: Io sono il Figlio di Dio. Quest'uomo può essere Dio? Si focalizza ancora meglio la questione centrale della fede: in chi credi? In che credo io? Credo in uno che ha detto delle cose e ha fatto delle cose bellissime, che animano la mia vita, nutrono in me gli stessi pensieri, gli stessi desideri, ma in fondo è un uomo. Credo in un Dio che però rimane per aria, che non riesce poi a toccare concretamente la mia vita o la vita del mondo? Credo che questa vita del mondo va come va, senza Dio? Oppure Dio è si è fatto presente in un uomo, quindi Dio è presente nella storia? Come è presente nella storia? Questa è la questione del Vangelo di Giovanni, ma è anche la nostra questione.

I nostri criteri sono insufficienti per capire chi è Dio. In Gesù Cristo Dio ci rivela chi è lui, e nello stesso tempo ci permette anche di capire che siamo noi. È lui l’esegeta dei segni. Ma lui è anche l’esegeta dell'umanità che ci fa capire chi è l'essere umano. Solo se ti lasci coinvolgere ci puoi capire qualche cosa.

Ognuno cerca quello che trova, ma non tutti trovano quello che cercano! Ecco perché Gesù dice: Fate attenzione perché se voi cercate voi stessi, non troverete me. Non troverete la gloria che viene da Dio, perché voi cercate la vostra gloria. Perché se tu cerchi la gloria di un altro, riconosci che non basti a te stesso, che non sei autosufficiente, che non sei tu l'inizio della storia e neanche la fine della storia, ma che sei dentro una storia di cui sei a servizio, di una gloria di cui sei a servizio. Questo fa cambiare la prospettiva nella quale uno intende la propria identità, la propria persona. Io sono non semplicemente me stesso, ma io sono colui che cerca qualcosa di bene. Non solo per sé, ma anche per gli altri, non solo per la propria vita, ma anche per la vita degli altri. Questa è la verità.

Dio non è come io me l'aspetto: è sempre altro rispetto a come lo aspetto! Noi rischiamo di farci una certa immagine di Dio e di rimanere affezionati a questa immagine. A un'esperienza, per esempio, a una fase storica anche della relazione che abbiamo avuto; al punto che Gesù non corrisponde in niente, non corrisponde più a quello di cui si parla nel Vangelo!

Abbiamo seguito la scansione temporale: l'inizio quando Gesù va alla festa, poi a metà della festa e adesso vediamo nell'ultimo giorno della festa, quando la festa si compie. E il compimento della festa è Gesù. Ma questo ultimo giorno della festa delle Capanne di fatto diventa già un richiamo a quello che sarà l'ultimo giorno della vita stessa di Gesù. La spiegazione che dà al versetto 39 l'evangelista, ci porta già al compimento della vita di Gesù, alla croce di Gesù, alla rivelazione piena dell'amore di Dio per noi. All'acqua che scaturisce dal nuovo Tempio che, come Gesù aveva detto al capitolo 2, ormai è il suo corpo.

In questo ultimo giorno Gesù stava in piedi. Anche la posizione, la postura di Gesù è rivelativa. Non è seduto come chi insegna, ma in piedi come chi annuncia, come chi proclama e grida.

Gesù sembra fare appello al desiderio che possiamo avere: chi ha sete, se qualcuno ha sete. Lui stesso aveva avuto sete. L'abbiamo incontrato al capitolo 4, sul pozzo di Sicar quando dice alla donna di Samaria: Dammi da bere! E poi lo ritroveremo sulla croce, tra le ultime parole a dire: Ho sete! La sete di Gesù è quella di dissetarci. Gesù ha sete di donarci la sua acqua. Questa è la sete di Gesù: di donarci la vita in pienezza. Però dicendo: Se qualcuno ha sete... Gesù mostra di avere a cuore quelli che sono i nostri desideri, che vanno presi sul serio, non vanno mortificati. Gesù educa i nostri desideri, ma vuole che rimaniamo sempre a contatto con questi nostri desideri.

L'invito a bere di quest'acqua, quella che Gesù dà, significa credere. Venire a Gesù, credere a lui (che è la stessa cosa) è aver fede in quest'acqua che Gesù dà. Di fronte a queste parole di Gesù ci sono diverse reazioni: quelle della folla, quelle dei capi e delle autorità religiose, infine quella di Nicodemo.


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La moltiplicazione dei pani 1Dopo questi fatti, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, 2e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. 3Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. 4Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. 5Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». 6Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. 7Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». 8Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: 9«C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». 10Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini. 11Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. 12E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». 13Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. 14Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». 15Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

16Venuta intanto la sera, i suoi discepoli scesero al mare, 17salirono in barca e si avviarono verso l’altra riva del mare in direzione di Cafàrnao. Era ormai buio e Gesù non li aveva ancora raggiunti; 18il mare era agitato, perché soffiava un forte vento.

19Dopo aver remato per circa tre o quattro miglia, videro Gesù che camminava sul mare e si avvicinava alla barca, ed ebbero paura. 20Ma egli disse loro: «Sono io, non abbiate paura!». 21Allora vollero prenderlo sulla barca, e subito la barca toccò la riva alla quale erano diretti.

Il discorso nella sinagoga di Cafarnao 22Il giorno dopo, la folla, rimasta dall’altra parte del mare, vide che c’era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. 23Altre barche erano giunte da Tiberìade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie. 24Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù.

25Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». 26Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». 28Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». 29Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

30Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? 31I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». 32Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. 33Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». 34Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». 35Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! 36Vi ho detto però che voi mi avete visto, eppure non credete. 37Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, 38perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 39E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. 40Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

41Allora i Giudei si misero a mormorare contro di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». 42E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?». 43Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. 44Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 45Sta scritto nei profeti: E tutti saranno istruiti da Dio. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. 48Io sono il pane della vita. 49I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.

51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». 52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno». 59Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.

L'incredulità dei discepoli e la fede dei dodici 60Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». 61Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? 62E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? 63È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. 64Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. 65E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». 66Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.

67Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». 68Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna 69e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio». 70Gesù riprese: «Non sono forse io che ho scelto voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!». 71Parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: costui infatti stava per tradirlo, ed era uno dei Dodici.

Approfondimenti

La collocazione di questa composizione, centrata sul tema del pane, è comprensibile alla luce del racconto che precede, la guarigione del paralitico (Gv 5), e del discorso che segue, il quale ne è a sua volta una preparazione. Pertanto il segno miracoloso legittima il discorso e questo interpreta il segno. Il capitolo si può suddividere in tre parti:

  1. una parte narrativa, ambientata nella zona costiera del mare di Galilea (Gv 6, 1-24) in cui sono raccontati due segni: la moltiplicazione dei pani (vv. 1-15) e il cammino sulle acque (vv. 16-21), a cui fa seguito un resoconto sugli spostamenti (vv. 22-24);
  2. una parte centrata su un discorso-dibattito, localizzato nella sinagoga di Cafar­nao (Gv 6, 25-59);
  3. una parte in cui si registrano le reazioni sia nel gruppo dei discepoli, sia in quello dei dodici (Gv 6, 60-66.67-71)

Il miracolo del pane fu sempre considerato dalla tradizione evangelica un gesto di Gesù molto importante. È già significativo il fatto che tutti e quattro gli evangelisti lo abbiano riportato: cosa che non avviene per nessun altro miracolo. Inoltre Marco e Matteo ci offrono di esso una seconda versione, che nella sua forma letteraria è molto simile alla prima. Non solo il racconto è ricordato da tutte le tradizioni evangeliche, ma occupa in ciascun vangelo un posto particolarmente importante: costituisce, in un certo senso, un momento culminante nella manifestazione di Gesù e, di conseguenza, un momento importante della decisione di fede. Per quanto riguarda più particolarmente il quarto vangelo il c. 6 rappresenta una sintesi dell'attività di Gesù in Galilea, contiene una delle più alte rivelazioni su Gesù, è un esempio tipico della scelta di fede che si impone all'uomo.

A parte la concentrazione su Gesù (che è una prospettiva di ogni pagina di Giovanni) e a parte la coloritura eucaristica (più visibile nell'ultima parte del discorso), due sono i temi più importanti. Gesù, moltiplicando i pani, ha compiuto un segno che la gente attendeva. Per questo il miracolo suscita l'entusiasmo delle folle, che riconoscono in Gesù il profeta che doveva venire e desiderano farlo re. Ma le folle hanno letto il segno secondo i loro schemi, non lo hanno capito nel suo vero significato. Così Gesù si ritira, fugge. Eppure questo Dio che elude le attese degli uomini e fugge, si farà spontaneamente incontro ai discepoli (6,16-21). Il fatto è che Gesù vuole una ricerca sincera: il verbo cercare è importante in questo capitolo; i galilei cercavano se stessi, non il Cristo; seguivano il loro sogno messianico, non erano in attesa del dono di Dio. Ecco l'insegnamento: la ricerca di sé impedisce di leggere il segno come segno rivelatore del Cristo e di aprirsi alla fede. Dunque Gesù (ancora più esplicitamente che nei sinottici) dissolve l'entusiasmo delle folle ritirandosi, solo, sulla montagna: con questa separazione egli vuol affermare che il suo messianismo è diverso, che la strada che egli percorre è diversa. In questo senso il gesto di Gesù che si ritira è un elemento importante. Diciamo che il segno rivelatore del Messia non è semplicemente la moltiplicazione dei pani, ma tutto il complesso (moltiplicazione dei pani, entusiasmo delle folle, fuga di Gesù). In altre parole il segno è la moltiplicazione dei pani, letta dalle folle e letta da Gesù: è nel contrasto tra le due letture che si rivela chi è Gesù.

Il racconto della traversata, se confrontato con il parallelo sinottico, tradisce la mano dell'autore del Quarto vangelo, riportando il luogo del racconto, la menzione di Cafarnao, del ritardo di Gesù, il suo saluto abbreviato. La congiunzione dell'episodio di moltiplicazione con quello di traversata ha la funzio­ne di fondare la credibilità del comunicatore. In altre parole colui che moltiplica il pane e poi tiene un discorso per indicarne il significato non è semplicemente un profeta, ma ha la stessa autorità di Dio, Signore della creazione. Inoltre nell'allo­cuzione-dialogo il vertice è dato dall'affermazione: «lo sono il pane» in cui l'«lo sono» è ripreso dal secondo racconto mentre il «pane» dal primo.

Quello che comunemente è chiamato discorso del pane di vita in realtà è un dibattito, costruito con la tecnica del fraintendimento, nel quale la folla e i giudei spesso intervengono, facendo domande (vv. 28.30-31.34.41-42.52). Esso si snoda in tre grandi sezioni, introdotte da un dialogo preliminare che verte sul tema del segno (vv. 25-29): una prima sezione in cui Gesù evidenzia il passaggio dalla man­na al pane che dà la vita (vv. 30-40); una seconda centrata sull'azione del Padre che attira (vv. 41-50); una terza nella quale il simbolo del pane è identificato con la «carne» e il «sangue» di Gesù (vv. 51-59). Quest'ultimo intervento rappresenta il punto vertice della polemica. Giovanni, con questa narrazione ha voluto combattere su due fronti. Contro coloro (in qualche modo rappresentati dai giudei) che erano alla ricerca di gesti materiali a scapito dell'unica opera che è la fede: a costoro Giovanni ricorda l'ascolto e la Parola, ricorda che il sacramento può divenire un gesto magico, profondamente incompreso se non avviene all'interno dl un incontro vivo e personale col Cristo. E contro gli “spirituali”, portati a svuotare di ogni senso il gesto, il sacramento, e alla fine la stessa incarnazione: contro costoro Giovanni parla con estremo realismo di «carne» e di «sangue», di mangiare e bere.

Nell'epilogo sono contenute la reazione dei discepoli (vv. 60-66) e dei Dodi­ci (vv. 67-71). Lo sconcerto non si limita solo ai giudei, coinvolge anche i discepoli. Quello di Cristo è un discorso duro da accettare: come si può intenderlo e dargli credito? Il significato del verbo greco è duplice: ascoltare (nel senso di comprendere) e accettare, obbedire, aderire. La risposta di Gesù ripropone il motivo della grazia: l'uomo è impotente (la carne non giova a nulla); soltanto la presenza dello Spirito di Dio può far rinascere l'uomo e aprirlo a nuovi orizzonti (lo Spirito vivifica). Gesù si manifesta progressivamente, e questa progressiva manifestazione è contemporaneamente una tentazione per la fede e una occasione di approfondimento e di purificazione. È questo il significato essenziale del brano, con evidente contrapposizione fra l'incredulità dei discepoli e la fede dei dodici che si fa più matura. È un tema analogo a quello che si trova nei sinottici e che è chiamato la «crisi galilaica»: cf. Mc 8,27ss. Anche là la chiave di volta è la professione di fede di Pietro. Ponendo la domanda Gesù costringe i dodici a prendere posizione (v. 67). La risposta di Pietro esprime un'adesione personale a Cristo, un amore a lui indiscusso, si direbbe frutto di fiducia prima che di comprensione: credere e conoscere (v. 69), ecco la successione dei verbi che è senza dubbio indicativa. Per Pietro Gesù è l'unico salvatore (l'unico capace di offrire all'uomo parole di vita); è il santo, cioè il consacrato, l'appartato, il diverso, colui che sfugge ai nostri schemi perché viene da Dio e – per questa sua diversità – rende presente la salvezza di Dio in mezzo a noi. La risposta di Gesù è insieme consolante e dolorosa. Consolante perché l'elezione del discepolo poggia sull'amore di Dio, incrollabile quindi come è incrollabile la scelta di Dio, come è senza pentimento la sua alleanza. Dolorosa perché il mistero dell'incredulità e del tradimento si annida ovunque, anche nella cerchia dei dodici. I vv, 60-71 chiudono il ministero in Galilea e ne riassumono il risultato. Qualcosa di simile avverrà in 12,37-50 per quanto riguarda il ministero in Giudea. I due ministeri si chiudono sotto il segno del fallimento, della incredulità di molti e della fede di pochi.


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