D͏i͏-s͏p͏e͏n͏s͏a͏

D͏i͏-s͏t͏r͏i͏b͏u͏z͏i͏o͏n͏i͏ D͏i͏-g͏i͏t͏a͏l͏i͏ D͏i͏-v͏e͏r͏s͏i͏f͏i͏c͏a͏t͏i͏

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«Chi ha ricevuto la vita, non può evitare la morte. Questa è una verità che tutti gli esseri umani conoscono, dall’imperatore fino al più umile cittadino, ma in realtà neanche uno su mille o diecimila prende questa questione seriamente o se ne preoccupa», scrive Nichiren Daishonin nel Gosho Conversazione tra un saggio e un uomo non illuminato (Gli scritti di Nichiren Daishonin, vol. 7, pp. 27–28).

«Quando improvvisamente ci troviamo di fronte all’impermanenza della vita [possiamo spaventarci al pensiero dell’ignoto e disperarci per la brevità del mondo a noi familiare], ma consideriamo sfortunati coloro che ci hanno preceduto nella morte, e superiori noi che siamo rimasti in vita. Presi da un impegno ieri e da un altro oggi, siamo vincolati senza scampo dai cinque desideri della nostra natura terrena. Inconsapevoli del fatto che il tempo passa veloce come un puledro bianco visto attraverso la fessura di un muro, ignari come una pecora condotta al macello, irrimediabilmente prigionieri del cibo e del vestiario, cadiamo senza accorgercene nella trappola della fama e del guadagno. E alla fine torniamo nella familiare dimora dei tre cattivi sentieri, ripetendo il ciclo delle rinascite nei sei sentieri dell’esistenza. Quale persona di animo sensibile può non rattristarsi per questo stato di cose e non soffrirne?».

Ma cos’è che fa paura giacché «chi ha ricevuto la vita, non può evitare la morte»? Cosa? giacché «Questo nostro corpo comunque diventerà nulla più del terreno delle colline e dei campi; è inutile attaccarsi alla vita perché, per quanto lo desideri, non puoi trattenerla per sempre. Anche una persona che vive a lungo, non vive oltre i cento anni e tutti gli eventi di una vita non sono che il sogno di un breve sonno»? (Op. cit., vol. 5, p. 180). Cosa? visto che, come dice Shakyamuni nel Sutra del Loto (Esperia, p. 298) «La mia vita dura da un incalcolabile numero di asamkhya di kalpa e durante tutto questo periodo io sono sempre vissuto qui e la mia vita non si è mai estinta»?

È che io non ci voglio credere. È che prendo sul serio il problema «del cibo e del vestiario». È che cado e neanche me ne accorgo, «nella trappola della fama e del guadagno». È che, proprio per questo, continuo a tornare «nella familiare dimora dei tre cattivi sentieri», Inferno, Avidità e Animalità, e a dimenticare che tutto origina dalla stessa cosa. Perché, come dice Daisaku Ikeda, «la sofferenza di nascita e morte, la sofferenza dell’impermanenza, è all’origine di tutte le sofferenze umane, di tutti i malesseri della società moderna» (La saggezza del Sutra del Loto, vol. 3, p. 64).

È che non riesco a credere che la mia vita sia eterna. Poi penso al sonno e a come il mio “io” si perde. A come a volte nella notte mi sveglio e confusa mi domando chi sono. Non ricordo. Per un attimo non sono più niente. E penso a come questo debba somigliare alla morte. Penso a quante volte ho incontrato una persona con la sensazione di averla già vista, già conosciuta; con la sensazione di riprendere un discorso interrotto; penso a come compio un gesto, faccio una cosa, con la certezza di aver finalmente portato a termine qualcosa. Persino quando inizio a recitare Daimoku o quando mi siedo di fronte al Gohonzon, ho la sensazione bellissima, avvolgente, di essere già stata lì. Di aver già visto quella pergamena, di aver già pronunciato quel mantra, Nam-myoho-renge-kyo. Ed è proprio lì davanti che tutti i pezzi si ricompongono.

Che quei riflessi di eternità che percepisco dentro me assumono un senso più profondo, più “rotondo”. Che non si tratta solo di belle o interessanti parole, ma di una porta che, come dice il Sutra del Loto, si può varcare solo con la fede. Lì davanti percepisco che, come spiega il sedicesimo capitolo del Sutra del Loto, la vita è eterna. È una consapevolezza che mi esplode dentro, mentre recito Nam-myoho-renge-kyo; lo scopo di quel capitolo, spiega Daisaku Ikeda (ibidem, p. 67), «è spiegare che non solo Shakyamuni, ma tutti gli esseri viventi sono Budda dall’infinito passato e far sì che ne prendano coscienza aprendo gli occhi alla grande vita universale.

La rivelazione di Nichiren Daishonin di Nam-myoho-renge-kyo, il principio implicito nel Sutra del Loto, lo ha reso possibile. Toda disse: “Lo scopo ultimo di praticare il Buddismo del Daishonin è di risvegliarsi all’eternità della vita, di sperimentare personalmente che la vita è eterna. Allora sperimenteremo l’assoluta felicità, una felicità che dura eternamente e che niente può turbare”. Ciò può essere ottenuto solo con la fede, approfondendo e perfezionando la fede. Toda sosteneva che capire una cosa con l’intelletto è facile, ma afferrarla con la fede è ben diverso. L’eternità della vita si può afferrare solo con la fede».

Solo con la fede. Sento che è in quella lotta quotidiana per realizzare qualcosa, qualunque cosa che lì davanti acquista un valore immenso, che passa questa mia eternità: ecco perché bonno soku bodai, i desideri terreni sono Illuminazione; ecco perché lottare tutti i giorni in questi corpo a corpo con la parte oscura di sé ha così tanto significato.

Solo con la fede. Ripenso al racconto dell’Illuminazione di Toda in carcere. A quando, «improvvisamente, prima che se ne accorgesse, Toda si ritrovò nel mezzo di un’enorme folla, forse simile ai granelli di sabbia di sessantamila fiumi, intenta a venerare il Dai Gohonzon» (La rivoluzione umana, vol. 4, p. 12). Sento che quella cerimonia è la stessa a cui sto assistendo io, qui davanti, mentre recito Nam-myoho-renge-kyo. Ed enorme e potente come una valanga — che il mio pensiero non riesce ad arrestare, nonostante il piccolo “io” che grida, che si dibatte — cresce la gioia, la certezza di comprendere “davvero” quello che avevo letto sull’esperienza di Toda, di condividere quella «gioia che lo faceva sentire quasi in preda al delirio» (ibidem, p. 13).

E ora non solo comprendo ma mi sento tutt’uno con quella frase del Sutra del Loto che dice: «Non vi è nascita né morte, non vi è esistenza in questo mondo né estinzione. Non è reale né illusorio, non è così né diverso. Non è così come viene percepito da coloro che vi dimorano» (Esperia, p. 298). E ora, qui davanti, mentre la mia bocca pronuncia Nam-myoho-renge-kyo, e la mia mente è finalmente calma, e il mio corpo è cullato da quel ritmo così forte eppure così semplice, ecco che la sento. Quella scheggia di eternità, quel frammento nascosto eppure pronto a esplodere come un fuoco d’artificio in una notte senza luna. E allora, ecco, adesso lo so: «Non c’è nulla di cui rammaricarsi o di cui temere».

Toda sosteneva che capire una cosa con l’intelletto è facile, ma afferrarla con la fede è ben diverso. Nel Sutra del Loto vi è una frase che dice: «Non vi è nascita né morte, non vi è esistenza in questo mondo né estinzione. Non è reale né illusorio, non è così né diverso. Non è così come viene percepito da coloro che vi dimorano» Davanti a queste affermazioni cosa può la mente?

Sempre attraverso il Sutra del Loto, Nam-myoho-renge-kyo ci appare non solo come belle o interessanti parole, ma come una porta che si può varcare solo con la fede. Varcarla non è facile, tanti si fermano sulla soglia, altri la attraversano più volte continuando a tornare «nella familiare dimora dei tre cattivi sentieri» (Inferno, Avidità e Animalità) alcuni una volta varcata non tornano più indietro… questa è l’illuminazione.

(Tratto da una lettera a “Buddismo e società”) #Dibuddismo

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Vi auguro di essere eretici. Eresia viene dal greco e vuol dire scelta. Eretico è la persona che sceglie e, in questo senso è colui che più della verità ama la ricerca della verità. E allora io ve lo auguro di cuore questo coraggio dell’eresia. Vi auguro l’eresia dei fatti prima che delle parole, l’eresia della coerenza, del coraggio, della gratuità, della responsabilità e dell’impegno. Oggi è eretico chi mette la propria libertà al servizio degli altri. Chi impegna la propria libertà per chi ancora libero non è. Eretico è chi non si accontenta dei saperi di seconda mano, chi studia, chi approfondisce, chi si mette in gioco in quello che fa. Eretico è chi si ribella al sonno delle coscienze, chi non si rassegna alle ingiustizie. Chi non pensa che la povertà sia una fatalità. Eretico è chi non cede alla tentazione del cinismo e dell’indifferenza. Eretico è chi ha il coraggio di avere più coraggio.

Luigi Ciotti #Disociale

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I bambini sono di sinistra. Di sinistra, sì, nessun dubbio. Non soltanto per i pugnetti stretti in segno di protesta. I bambini sono di sinistra perché amano senza preconcetti, senza distinzioni. I bambini sono di sinistra perché si fanno fregare quasi sempre. Ti guardano, cacci delle balle vergognose e loro le bevono, tutti contenti. Sorridono, si fidano. Bicamerale! Sì, dai! I bambini sono di sinistra perché stanno insieme, fanno insieme, litigano insieme. Insieme, però. I bambini sono di sinistra perché se gli spieghi cos'è la destra piangono. I bambini sono di sinistra perché se gli spieghi cos'è la sinistra piangono lo stesso, ma un po' meno. I bambini sono di sinistra perché a loro non serve il superfluo. Sono di sinistra perché le scarpe sono scarpe, anche se prima o poi delle belle Nike o Adidas o Puma, o Reebok, o Superga gliele compreremo. Noi siamo No-Logo, ma di marca! I bambini sono di sinistra malgrado l'ora di religione obbligatoria. I bambini sono di sinistra grazie all'ora di religione obbligatoria. I bambini sono di sinistra perché comunque, qualsiasi cosa tu gli dica che assomigli vagamente a un ordine, fanno resistenza. Ora e sempre! I bambini sono di sinistra perché occupano tutti gli spazi della nostra vita. I bambini sono di sinistra perché fanno i girotondi da tempi non sospetti. I bambini sono di sinistra perché vanno all'asilo con bambini africani, cinesi o boliviani, e quando il papà gli dice “vedi, quello lì è africano”, loro lo guardano come si guarda una notizia senza significato. I bambini sono di sinistra perché quando si commuovono piangono, mentre noi adulti teniamo duro, non si sa bene perché. I bambini sono di sinistra perché se li critichiamo si offendono. Ma se li giudichiamo non invocano il legittimo sospetto, e se li condanniamo aspettano sereni l'indulto che prima o poi arriva: la mamma, Ciampi, il Papa. I bambini sono di sinistra perché si fanno un'idea del mondo che nulla ha a che fare con le regole del mondo. I bambini sono di sinistra perché se gli metti lì un maglioncino rosso e un maglioncino nero scelgono il rosso, salvo turbe gravi – daltonismo o suggerimento di chi fa il sondaggio. I bambini sono di sinistra perché Babbo Natale somiglia a Karl Marx. Perché Cenerentola è di sinistra, perché Pocahontas è di sinistra. Perché Robin Hood è di Avanguardia Operaia e fa gli espropri proprietari. I bambini sono di sinistra perché hanno orrore dell'orrore. Perché di fronte alla povertà, alla violenza, alla sofferenza, soffrono. I bambini sono di sinistra perché il casino è un bel casino e perché l'ordine non si sa cos'è. I bambini sono di sinistra perché crescono e cambiano. I bambini sono di sinistra perché tra Peter Pan e Che Guevara prima o poi troveranno il nesso. I bambini sono di sinistra perché, se ce la fanno, conservano qualcosa per dopo. Per quanto diventa più difficile, difficilissimo, ricordare di essere stati bambini. Di sinistra, poi...

Claudio Bisio #Disociale #Divita

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Durissimo con i genitori il filosofo Umberto Galimberti, che al Forum Monzani di Modena, presentando il suo ultimo libro, dice:

Espellerei i genitori dalle scuole, a loro non interessa quasi mai della formazione dei loro figli, il loro scopo è la promozione del ragazzo a costo di fare un ricorso al Tar, altro istituto che andrebbe eliminato per legge.

E alle superiori i ragazzi vanno lasciati andare a scuola senza protezioni, lo scenario è diverso, devono imparare a vedere che cosa sanno fare senza protezione. Se la protezione è prolungata negli anni, come vedo, essa porta a quell’indolenza che vediamo in età adulta.

E la si finisca con l’alternanza scuola lavoro, a scuola si deve diventare uomini, a scuola si deve riportare la letteratura, non portare il lavoro. La letteratura è il luogo in cui impari cose come l’amore, la disperazione, la tragedia, l’ironia, il suicidio. E noi riempiamo le scuole di tecnologia digitale invece che di letteratura? E’ folle.

Guardiamo sui treni: mentre in altri Paesi i giovani leggono libri, noi giochiamo con il cellulare. Oggi i ragazzi conoscono duecento parole, ma come si può formulare un pensiero se ti mancano le parole? Non si pensa o si pensa poco se non si hanno le parole”.

Umberto Galimberti #Disociale

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immagine «Le avversità sono la scuola migliore», come dice un proverbio. Maggiori sono gli attacchi e le persecuzioni che una persona sopporta, più forte e più grande diventerà. Il mio impegno personale è sempre stato con la gente e per la gente. Ogni giorno mi sforzo di portare avanti la mia crescita e il mio sviluppo individuali e credo fermamente che questo sforzo porti direttamente alla crescita e allo sviluppo di tutto il resto. Non temo insulti né critiche. Non temo la comparsa di individui sleali. Quando cercate di diventare una persona in grado di fronteggiare senza paura qualunque situazione, finirete per creare un io indomabile.

Nella vita, e nelle varie sfide che intraprendiamo, ci sono volte in cui avanziamo e volte in cui facciamo un passo indietro. Ci sono anche volte in cui è meglio star fermi. La vita è piena di cambiamenti e lungo il cammino verso le vostre mete è perfettamente naturale che anche voi ne attraversiate molti. La saggezza e la conoscenza sono importanti. Perciò dovete coltivare la capacità di studiare e di apprendere e dovete maturare la saggezza necessaria per comprendere correttamente le vostre relazioni con gli altri e con la società, sviluppando un sano intuito. In una realtà in continuo cambiamento, c’è un consiglio che non cambierà mai, ed è questo: «A prescindere dai tempi o da quel che dicono gli altri, non fatevi sviare dalle vostre convinzioni fondamentali, che devono restare salde e inamovibili come il monte Fuji».

Desidero che ognuno di voi sviluppi un io incrollabile come una maestosa montagna, dotato di coraggio, perseveranza e capacità.

Tratto da: I protagonisti del XXI secolo vol. 2, pag. 106 — Daisaku Ikeda #Dibuddismo

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immagine Ma la pena più grave, nel caso non si voglia governare di persona, sta nell’essere governati da chi è moralmente inferiore; questo è il timore che a mio parere spinge gli uomini onesti a governare, quando lo fanno. In tal caso assumono il potere non come se fosse qualcosa di buono in cui possono deliziarsi di piacere, ma come se andassero verso qualcosa di necessario, poiché non possono affidarlo a persone migliori o uguali a loro. Forse, se esistesse una città di uomini buoni, si farebbe a gara per non governare come adesso per governare, e allora sarebbe evidente che il vero uomo di governo non è fatto per mirare al proprio utile, ma a quello del suddito.

Platone, “La Repubblica”, 347cd #Difilosofia

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immagine Forse, cercando dentro dentro, dove le parole sembrano quasi inutili perché non bastano a spiegare, ognuno di noi lo sa. Poi c’ è la vita di tutti ì giorni, quella vera e concreta in cui ogni attimo decide del futuro, e tutto è talmente troppo e tutto mischiato, sentimenti, ricordi, desideri, pensieri, aspettative.

Ci sono gli altri e ci sono io, questo piccolo io che fatica così tanto a capire qual’è la giusta direzione, e come comportarsi e come fare per fare bene. La pratica del Buddismo in fondo è una lotta senza fine, una eterna lotta fra il bene e il male, l ‘oscurità e l’illuminazione, la felicità e l’infelicità, la pace e la guerra, la creazione e la distruzione, l’armonia e il disaccordo.

Questo è il vero aspetto dell’universo. Perciò l’unica strada, l’unica alternativa è lottare e vincere. Per questo il Budda viene chiamato anche il vittorioso. Non si può eliminare l’oscurità. Ma combatterla si, si deve. Vincere tendenze, pensieri che offendono la vita, attaccamenti, stupidità.

Vincere l’illusione di essere poveri e impotenti, bisognosi e deboli, combattere lo sguardo di miseria, di invidia o di rancore. Ogni giorno illuminarci e vincere sulla nostra oscurità. Il male c’è, ovunque. E può distruggere i nostri sforzi, le cose belle, persino la vita. Se non lo combattiamo, se non abbiamo il coraggio di guardarlo negli occhi e sfidarlo.

Non domani, non quando ci sentiremo pronti, ma ora. In questo luogo, in questo istante posso decidere di sconfiggere il male che vedo dentro e fuori di me. E vincere, da Budda e da essere umano.

Buddismo e Società n°158 #Dibuddismo

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immagine Aisha è una giovane mamma indiana. Si sveglia alle 4 e mezza per fare il bucato, cucinare, accudire i suoi tre bambini, alle 7:30 inizia il turno in fabbrica. 12 ore a cui si aggiungono gli straordinari, non pagati. Aisha guadagna 85 euro al mese. Per arrivare puntuale a volte non riesce a mangiare nulla, un minuto di ritardo le costa un’ora di salario. È svenuta due volte, Aisha, la seconda hanno dovuto portarla all’ospedale. Nelle fabbriche, le operaie svengono spesso. Succede anche in Europa, in Bulgaria, per esempio, le storie di operaie mal pagate e sfruttate fino a perdere i sensi sono molte.

Prima della pandemia, Siddharth Kara, un professore di Harvard e Berkeley esperto di schiavitù moderna, ha fatto uno studio sulle condizioni delle donne che lavorano da casa per l’industria dell’abbigliamento. Donne ma anche tante bambine, perché nel cucito le piccole dita lavorano con maggiore precisione. L’85% dei vestiti che cuciono è destinato al mercato occidentale.

Decorazioni, ricami, frange e lustrini confezionati con tanta maestria su quel bel vestitino che avete adocchiato in vetrina, li hanno ricamati piccole schiave retribuite 20 centesimi l’ora. Petar lavora per una fabbrica di abbigliamento in Bulgaria, la Koush Moda. “Entri in fabbrica alle 8 di mattina, -dice- ma non sai mai quando ne uscirai. A volte torniamo a casa alle 4 del mattino seguente”. Paga: 320 euro al mese.

Euronews ha condotto un’inchiesta in un’altra fabbrica dello stesso paese, stessa paga: si chiama Pirin Tex. Elyna è una di quelle operaie. “Penso che i nostri colleghi dell'Europa occidentale riderebbero” racconta amaramente “a sentir parlare di ciò che guadagniamo. Non ci crederebbero. Ma siamo cittadini europei di seconda classe? Siamo cattivi sarti?” La Pirin Tex non produce per le catene low cost, ma principalmente per Hugo Boss. Un gilet Hugo Boss costa quanto il salario di 10 giorni dell’operaio che lo ha creato.

In Turchia la situazione è identica: 365 euro al mese, si lavora dalle 8 di mattina a mezzanotte. Perché la richiesta e la produzione, ovunque, aumentano a ritmi impossibili. La follia della Fast Fashion ha cambiato radicalmente il mercato: le due collezioni Primavera-estate e Autunno-inverno sono diventate 52, una nuova collezione ogni settimana. Il Fast Fashion è un gioco perverso, la produzione dell’industria tessile è responsabile del 10% delle emissioni mondiali di gas a effetto serra. L’occidente si ingorga di abiti invenduti o smessi: ogni secondo l'equivalente di un camion carico di vestiti viene buttato in una discarica o bruciato. In Europa produciamo 2 milioni di tonnellate di vestiti dismessi all’anno che rispediamo agli stessi paesi poveri da cui sono arrivati.

Abbiamo inventato un nuovo genere merceologico, il Tropical Mix: sono balle da 40-50 kg piene dei nostri vestiti usati che vengono esportati verso il sud del mondo. Partiti dall’inferno delle fabbriche indiane fanno il percorso inverso e ritornano nel sub continente, in altri inferni in cui migliaia di uomini e donne li dividono per qualità, materiale e colore. La roba viene divisa in riutilizzabile e in spazzatura. Poi il tropical Mix riparte, destinazione Africa, dove cambia nome, si chiama Mitumba. Intasa i mercati e le discariche con gli stracci che sono usciti dai nostri armadi, e ammazza la produzione locale.

Il Ghana, che ha 30 milioni di abitanti, riceve 15 milioni di capi a settimana. Lì il Tropical Mix-Mitumba lo chiamano “Akan obroni wawu” vuol dire “abiti dell’uomo bianco morto”. Eppure, basterebbe fare come suggeriva quel geniaccio di Groucho Marx: “Se suona l'uomo della spazzatura, digli che non ne vogliamo…”

Ci hanno provato. Kenya, Uganda, Tanzania, Rwanda e Burundi si sono messi assieme e hanno deciso di bandire l’ingresso di vestiti usati nei loro paesi. Ma gli Stati Uniti li hanno minacciati di sanzioni, e l’unico paese che ha osato sfidare lo zio Sam è stato il Rwanda.

Un altro grande comico americano, Milton Berle, diceva: “Nel mio quartiere il camion dei rifiuti viene due volte la settimana. Per fare le consegne”.

di Diego Cugia #Disociale

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immagine Dico sul serio: abbandoniamo ogni speranza, smettiamo di raccogliere soldi per giuste cause, decichiamoci a noi stessi. Tanto è troppo tardi per tutto.

Cosa dobbiamo salvare per primi? Le api? I delfini? I koala? Le giraffe strabiche? Le tartarughe albine del nord Madagascar in fondo a destra?

A chi donare cinque, otto, millemila per mille? Ricerca sul cancro? Ucraina? Emergency? Save the children? WWF? Caritas? UNICEF? Cgil Cisl Uil? Top gun?

Quale problema ci deve guidare nelle scelte? Inquinamento? Buco nell'ozono? Cambiamenti climatici? Parità di genere? Lotta al razzismo? Femminicidi? Desertificazione? Povertà? Verruche? È troppo, dai.

Non è nascondere la testa sotto la sabbia o negare i problemi: tutt'altro. È proprio riconoscerli e ammettere che abbiamo perso.

Cioè, su, è evidente. Non c'è scampo, è finita. Ma dove vogliamo arrivare con 'sto cazzo di caldo?

Quanta merda dobbiamo ancora immettere nell'ambiente e rimettercela in corpo sotto forma di cibo inquinato?

Per quanto vogliamo ancora stare in tensione in mezzo a pandemie mutanti, gente che minaccia bombe nucleari, file da Cracco solo per fotografare gli scontrini e lamentarsene su Instagram?

Da oggi ognuno per sé, si salvi chi può, condizionatori a palla, acqua frizzante per gli sciacquoni, quattromila benzina turbo per fare la spesa, monnezza indifferenziata, pacchi Amazon che prendo, apro e rimando indietro perché “non sono più convinto ma servizio Amazon fantastico”, chiamo Glovo pure solo per venire qua a farmi un saluto, voto Briatore. Dice: “e che pianeta lascio ai miei figli?”. Eh, cazzi loro. Ci si doveva pensare prima, dai, tanto sono fregati comunque.

Siamo come il tizio in mezzo al deserto, a mille km da tutto e con una bottiglietta da mezzo litro d'acqua: all'inizio sta ancora là a pensare come razionare, preoccuparsi, smazzarsi di fatica. Dopo due giorni vede che è ancora a 950 km dalla civiltà e finalmente accetta la sua sorte e si spara tutta la bottiglietta.

Condividi questa battaglia di buonsenso: accendi oggi tutte le luci di Natale.

Uomo Morde Cane

(fonte) #Disociale

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immagine «Quando l’ultimo albero sarà abbattuto, l’ultimo pesce mangiato e l’ultimo fiume avvelenato, vi renderete conto che non si può mangiare il denaro». Cosi disse nel 1876 Toro Seduto, capo tribù dei nativi americani Sioux Hunkpapa, qualche mese prima della leggendaria battaglia del Little Bighorn. Toro seduto non era uno scienziato dell’Ipcc dell’Onu, ma la sua sintesi meriterebbe di essere scritta in tutti gli edifici pubblici del Paese, in questo inizio estate che ci costringerà a fare davvero i conti con la profondità della crisi eco-climatica.

Paradigmatica è la situazione del Po, il più grande fiume italiano, il cui bacino attraversa la pianura padana e l’intera Italia del Nord. Sono le regioni in cui si sono storicamente concentrate un’agricoltura e un allevamento intensivi, una massiccia industrializzazione, la grande industria energetica, nonché grandi concentrati di popolazione urbana e metropolitana.

Tutte figlie del medesimo paradigma, che è la cifra del modello capitalistico: l’idea della crescita economica come termometro del benessere della società, accompagnata dall’uso di beni comuni presenti in natura dei quali si presuppone l’illimitata disponibilità.

Una situazione accelerata dal modello liberista e dal preponderante ruolo assunto dalla finanza, che ha visto il progressivo ritiro delle istituzioni pubbliche tanto dall’intervento diretto in campo economico, quanto da qualunque idea di programmazione e pianificazione dello stesso, delegate alla ‘autoregolazione dei mercati’.

Peccato che esista una contraddizione strutturale fra come la vita delle persone si organizza nello spazio e nel tempo rispetto a come si declina l’economia di mercato.

La vita delle persone si svolge dentro uno spazio limitato, la comunità di riferimento, e si dipana dentro un tempo lungo che attraversa l’intera esistenza.

Al contrario del mercato che si organizza in uno spazio potenzialmente infinito, l’intero pianeta, ma declina le proprie scelte dentro un tempo estremamente ridotto, l’indice di Borsa del giorno successivo. E’ questa differenza a far sì che gli interessi di mercato siano quasi sempre in diretto contrasto con i bisogni della vita delle persone.

L’economia della pianura padana lasciata al mercato, oltre ad aver prodotto pesanti livelli di inquinamento complessivo che hanno trasformato il serio problema sanitario prodotto dalla pandemia da Covid19 in una tragedia di massa, ha messo in campo un’idea di agricoltura, allevamento, industria e produzione energetica vocate al massimo rendimento nel minimo arco temporale. Una relazione predatoria nei confronti del suolo, dell’aria, dell’acqua, dell’energia e della salute delle persone che ha prodotto grandi risultati di fatturato per le industrie dell’agro-business e di utili in Borsa per le multiutility dell’acqua e dell’energia.

Permettendo alle stesse di comportarsi come quell’uomo del film “L’odio” che, cadendo da un palazzo di 50 piani, man mano che passa da un piano all’altro continua ripetersi «fino a qui, tutto bene», misurando il ‘qui ed ora’ della caduta e non l’esito dell’atterraggio.

Esito che nella pianura padana è arrivato con la più grave crisi idrica degli ultimi 70 anni e il Po ridotto a un rigagnolo circondato da distese di sabbia.

Prima che gli interessi delle grandi lobby scendano in campo per far ricadere la crisi ancora una volta sulle spalle degli abitanti, è il momento che le comunità locali insorgano per prendersi cura del ramo su cui siamo seduti contro chi continua a segarlo. Magari rivendicando che i soldi del Pnrr vadano alla cura e alla manutenzione dei territori invece che a nuove basi militari dentro parchi naturali.

di Marco Bersani, Attac Italia e Cadtm Italia

(fonte) #Diambiente

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