La vita in famiglia è bellissima

Frammenti quotidiani di vita familiare

Con secondogenito in cucina. Si avvicina al bancone, è sovrappensiero. “Che cosa voglio?” si chiede. “Ah, sì, il pane” aggiunge, si avvicina al forno e lo prende. Mi schiarisco la voce: “avevi un obiettivo semplice per la tua vita”. Sorseggio il te.

Secondogenito sorride, guarda il pane che tiene in mano. “Ora che ho ottenuto quello che desideravo – dice – cosa posso volere di più?”. Osserva ancora il pane. Si risponde da solo: “Altro pane. Sempre più pane”.

Cerco di non ridere ma non ci riesco: cerco di mandare giù il te che avevo in bocca, sento che sale su per il naso. Collasso, a modo mio, d'amore.

Sto andando in auto a prendere mia figlia da non ricordo bene dove, comunque abbastanza lontano da Genova da prendere l'autostrada e sono lì che penso e ascolto la musica pensando non devo addormentarmi non devo addormentarmi non devo addormentarmi quando la macchina inizia a fare un po' di fatica in salita e io penso, strano, strano strano e in quel momento vedo un indicatore che in genere è sempre puntato al basso che sta puntando all'alto, verso una zona che è colorata di rosso e l'indicatore ha un simbolo tipo acqua che bolle e io apro la bocca e dico caaaaaaaazzo.

Rallento e l'indicatore scende e poi sale e poi scende e io inizio a sentirmi come coso, quello di Duel, il film di Spielberg basato su una sceneggiatura che non era di Stephen King ma avrebbe benissimo potuto esserla, comunque continuo a guidare e ora ogni secondo dura un'eternità, guardo i cartelli che mi indicano quanto manca alla stazione di servizio più vicina e intanto cerco di ricordare il simbolo con l'acqua che bolle cosa cavolo indica.

Il problema delle auto è che funzionano per il 99% delle volte senza intervento umano ma in realtà dentro sono piene di tubetti, fili, serbatoini che contengono olio, olietti, acqua, refrigeranti, fusibili che tu dovresti sapere dove sono e come controllarli ma siccome fanno tutto da soli io il massimo che so fare è accendere e spegnere l'autoradio e quando succede quell'1% che finisce uno di questi liquidini non è che la macchina manda un messaggio d'errore, per tempo, tipo venerandi guarda che l'olio sta per finire, hai ancora quindici giorni di tempo, no, in genere se si accende una spia, e non è detto che lo faccia, hai giusto il tempo di bestemmiare e il motore si fonde.

Poi uno dice le auto elettriche.

Comunque arrivo rantolando dentro all'autogrill, posteggio e tiro fuori il manuale per vedere cosa vuol dire il simbolino e scopro che è collegato al radiatore. Il radiatore, lo dico per chi avesse questo dubbio, non ha niente a che vedere con l'autoradio. Le mie competenze sono inutili. Il manuale dell'auto non mi spiega cosa serve il radiatore, ma mi dice che se si alza la temperatura devo andare in un centro specializzato.

Lo fa sempre il manuale, per qualsiasi cosa il primo consiglio che ti dà è di andare in un centro specializzato. Si accende la spia dell'olio? Vai in un centro specializzato. Si alza la temperatura? Vai in un centro specializzato. Il tergicristalli pulisce male il vetro? Vai in un centro specializzato.

Chi scrive i manuali non sa cosa succede nei centri specializzati. In genere nei centri specializzati ci sono maschi alfa che aspettano lì per bullizzarti. Stanno lì ad aspettare con le mani sporche d'olio, appoggiati al muro e appena arrivi con la tua auto piena di lucine che lampeggiano iniziano a bullizzarti.

Mai andare nei centri specializzati. Consiglio mio.

Il secondo consiglio è quello di controllare i livelli [vedi capitolo livelli]. Vado al capitolo livelli. Nel capitolo livelli mi dice di controllare il livello dell'olio, e quello lo so fare, e di controllare il livello del liquido refrigerante del radiatore, e quello onestamente non sapevo nemmeno che ci fosse.

Dico, beh, lo faccio, cosa vuoi che ci voglia. Leggo il manuale e mi dice occhio venerandi. Occhio. Per controllare il livello del liquido refrigerante del radiatore deve fermarti, aspettare un'ora, girare due volte il tappo senza aprirlo del tutto, aspettare per vedere se la macchina esplode, se non esplode aprire del tutto il tappo stando attento che il liquido bollente non ti uccida o ustioni la mano. Questo è il succo.

Mi guardo le mani.

Decido di chiedere consiglio al benzinaio. Dopo tre giorni di esami di maturità orali di tipsit dove gli studenti ripetono come un mantra che è importante il lavoro di team, che non puoi fare tutto da solo ma devi sempre lavorare in team per distribuire il carico di lavoro, decido che il benzinaio fa parte del mio team, anche se non lo sa.

Il benzinaio dell'autogrill mi guarda, io gli espongo il problema, lui mi dice solo “è il liquido refrigerante del radiatore”. E poi aggiunge. “Portami qui la macchina”. Indica un punto impreciso tra lui e l'infinito. In quel momento gli voglio bene.

Porto l'auto, gli apro il cofano, lui si avvicina e inizia a svitare un tappo a caso del vano motore. Io guardo la sua mano che svita il tappo con una certa tristezza perché so, me l'ha detto il manuale, che tra poco la colata lavica del serbatoio gli fonderà le dita. Invece non succede niente. Lui gira il tappo, fa la pausa dopo il doppio giro, la macchina non esplode, toglie il tappo, guarda dentro, guarda me e non mi fa il solito sorriso da maschio alfa, ma fa un sorriso complice, doloroso. “Non c'è rimasta una goccia” dice. “Ah cazzo” dico io.

Mentre versa dentro il liquido refrigerante del radiatore mi dice che mi è andata bene che me ne sono accorto. Mi guarda con ammirazione. Lo dice per due volte. “A me è successo uguale” mi confida. “Solo che non me ne ero accorto. Mi si è fuso il motore”. “Cazzo cazzo” dico io.

Alla fine riparto, lo saluto davvero calorosamente, lui mi fa un cenno, come uno sceriffo in un avamposto nel selvaggio West. Dolly: la mia Nemo che si perde nei meandri dell'autostrada mentre il benzinaio mi guarda allontanarmi, si alza con la mano la visiera del cappello da cow boy, smette di masticare e sputa per terra. Cespugli passano tra me e lui, spinti dal vento di ponente.

Sono andato ieri a vedere la recita teatrale di mia figlia e qua devo fare outing, da padre mi è capitato più volte di iscrivere figli e figlie a corsi di tutti i tipi, canto, bocce, calcio, pallavolo, teatro, arti ginniche in genere, arti marziali, batteria, eccetera e quando poi andavo a vedere le solite recite o saggi di fine anno, ecco, non dico che pensavo di avere buttato via i miei soldi, ma vedevo i miei figli in genere felici fare delle cose su un palco o su un campo da gioco, cose che avevano un vago collegamento con l'arte che avrebbe dovuto coordinarli nella riuscita del saggio stesso.

Levato secondogenito che una volta ad atletica ha iniziato a correre, ha fatto tutto il suo percorso e poi ha continuato a correre uscendo fuori dal centro sportivo e non si è più fermato finché i suoi maestri non sono riusciti a raggiungerlo e placcarlo. Ma perché voleva andarsene, ha spiegato poi.

Tutto questo per dire che ieri sera invece per la prima volta ho visto mia figlia su un palco dopo un anno di corso di teatro che recitava ed è stata un'emozione. Cioè, lei e gli altri ragazzi non stavano facendo i cosplayer degli attori su un palco: erano proprio su un palco e recitavano, gestivano i tempi, calcolavano la loro presenza scenica. Mia figlia era lì sopra ma era come trasformata, c'era e non c'era e chi c'era era qualcosa di diverso e inedito.

Erano piccole scene, raccordate, comiche e loro – i ragazzi – si vedevano che si divertivano, ma stavano anche recitando, indubbiamente. “Quindi questa cosa succede davvero” ho pensato.

Poi oggi sono andato a prenderla, dopo la pizzata della scuola, arrivo un po' in anticipo e guardo se è con le altre ragazzine che chiacchiera, o al parco giochi e non la vedo e poi eccola: nel mezzo del campetto da pallone che sta giocando a calcio con gli altri ragazzi e ragazze della classe.

E penso che deve essere una figata essere mia figlia. Con tutti i problemi eh. Vado da lei, la saluto, lei arriva, sudata, mi frega una centrifuga di verdure e frutta che mi ero comprato, beve tre sorsate, mi dice che in effetti è disgustosa, me la restituisce e poi mi dice che finalmente la scuola è finita. Guarda davanti a sé, poi si gira e mi annuncia che da domani inizia a fare i compiti delle vacanze. “Meglio non aspettare” aggiunge.

Terzogenita non è più terzogenita, certe cose con me non le fa più, cresce. La “scuola di pigrizia” ha chiuso. Adesso non mi confida più di essere un ninja. Non mi traduce più quello che gli animali dicono. Quasi più.

Ieri in moto le ho chiesto, ma senti, è meglio ora alle medie che sei piena di cose da fare, responsabilità, compiti o era meglio alle elementari che eri più tranquilla, giocavi molto di più, eri più coccolata? Lei ci ha pensato per un attimo e poi ha risposto seria, preferisco adesso.

“E cosa ti piace di più di adesso rispetto a prima?” le ho chiesto.

E lei, subito: “la libertà”.

Sono in auto con terzogenita, guido e ogni tanto la guardo nei suoi incasinatissimi dodici anni e vedo che il suo volto cambia continuamente, come se dal fondo di un fiume che io non posso vedere emergessero ombre di tronchi dell'immaginazione: e ride allora, al niente; fa gli occhi grossi; diventa attonita e poi le fiorisce sulle labbra un sorrisetto ironico.

Chissà cosa sta pensando, mi chiedo. E poi penso che fino a poco prima anche io ero perso nei miei ragionamenti, nelle mie illusioni e questa – mi dico – è una cosa per la quale io e lei ci somigliamo: siamo due sognatori, di quelli ad occhi aperti.

“Sai cosa abbiamo in comune noi due?” le chiedo allora nel silenzio dell'abitacolo. Lei si volta verso di me, la fantasia del suo volto mutante scompare.

“Le ossa” mi risponde.

[frammenti]

[1]

Insomma cecilia e niccolò mi hanno comperato un regalo, erano in centro che facevano spese e hanno pensato di farmi un regalo a sorpresa e a me quando dicono che mi hanno fatto un regalo uno) mi preoccupo due) chiedo sempre 'con che interfaccia?' perché spero abbiano capito che il regalo che a me interessa è qualcosa di interfacciabile con un macintosh e a questa mia domanda i miei due coinquilini mi guardano male e dicono le dita, è interfacciabile con le dita, allora io prendo il pacchetto regalo lo scuoto un po' e sento rumore come di sassolini che si scontrano, e sono curioso lo sfascio, tolgo tutta la carta e alla fine si scopre che è un puzzle da 2000 pezzettini, il regalo è un puzzle da 2000 pezzi. Che io dovrei rimettere in ordine logico mentre ora sono tutti mescolati, non so se avete presente.

“Ah” dico e giro la scatola per vedere la foto e capire cosa deve venire fuori mettendo insieme i 2000 pezzi e quello che dovrebbe venir fuori è l'enorme logo rosso della Coca Cola, con sotto la scritta Always Coca Cola, in giallo.

Alzo gli occhi e anche niccolò capisce che ora nel mio sguardo c'è un abisso panico di quelli profondissimi e la mia voce -che arriva dall'oltretomba- vorrebbe dire 'perché?', 'perché?', nel senso più cosmico del perché, e invece mi sento parlare e chiedere se era in omaggio con qualcosa, vi prego ditemi che era in omaggio con qualcosa e cecilia cerca di fulminarmi con lo sguardo e dice che no, l'hanno comperato, niccolò l'ha visto in un negozio e ha pensato che fosse un bel regalo per il suo papà, ha detto la Coca Cola come quella che beviamo al bar!

Resto con la scatola in mano e mi lacrimano gli occhi e dico grazie niccolò, mi chino sul mio figlio numero uno, lo prendo e lo abbraccio e lui non se lo aspettava e ride felice ma da dietro la spalla la mia faccia adesso è tornata bianca e sta dicendo grazie per avermi regalato un puzzle da duemila pezzi che formeranno il logo della multinazionale Coca Cola e il testo del jingle Always Coca Cola, grazie primogenito, grazie.

[2]

Eccomi con il sacchettino giallastro FNAC e appena entro a casa tiro fuori dal sacchetto il DVD de 'Il laureato' e lo metto sul comò, in pratica tutto ciò che noi venerandi abbiamo quando entriamo in casa finisce sul comò che è un ammasso babelico di oggetti dai più disparati odori ed usi, e quindi ci butto dentro anche 'Il laureato' ma cecilia lo vede, lo prende in mano e mi guarda con aria interrogativa. “Perché hai comperato 'Il laureato'? L'abbiamo già visto” “Perché dopo che l'abbiamo visto la settimana scorsa ho messo il dvd senza custodia sul comò e poi c'è finito qualcosa di molto molto molto pesante sopra e si è spezzato in due. Siccome era di tua sorella mi è sembrato giusto ricomprarlo” e qui taccio perché andare alla FNAC e comperare qualcosa che a) hai già consumato b) non è per te c) non è manco un regalo la persona a cui lo dai non ti ringrazierà, ecco, questa condizione ti rende simile a un santo o un siddharta che guarda gli oggetti e li considera con ascetica superiorità.

Cecilia resta perplessa con il dvd de 'Il laureato” in mano. “Fa, noi abbiamo visto 'il laureato' tipo sei anni fa, mia sorella non ce l'ha mai prestato” “Non...” “La settimana scorsa abbiamo visto 'Il maratoneta'” “Il maratoneta” “Sì, mia sorella ci aveva prestato la settimana scorsa 'Il maratoneta', non 'Il laureato'” dice cecilia e io resto a guardare la copertina del dvd con Dustin Hoffman vestito da laureato e in effetti mi pare che la copertina del dvd che avevamo visto ci fosse Dustin Hoffman vestito da maratoneta e a pensarci ancora meglio in 'Il maratoneta' Dustin Hoffman sta per laurearsi, mentre ne 'Il laureato' Dustin Hoffman si è già laureato, deve essere un sequel.

“Dustin Hoffman bastardo” sussurro a denti stretti e dico che secondo me questa cosa che un attore possa fare più di un film dovrebbe essere abolita, voglio dire, hai fatto 'Il maratoneta'? Basta, prenditi i tuoi soldi, mettiti il poster de 'Il maratoneta' in camera da letto e goditi la vita e lascia spazio ad altri attori che senso ha che io poi guardo 'Il laureato' e ci trovo l'attore de 'Il maratoneta'? “E' come se ti metti a leggere Il nome della rosa e a un certo punto entra in scena Don Abbondio che fa l'intermezzo comico, che cazzo” dico agitando i pugni e cecilia continua a ridere sulla fiducia a questo punto.

[3]

In pratica sono in quel particolare momento del rapporto sessuale in cui ogni cosa del grande puzzle sembra per un secondo collimare perfettamente, in cui nessuno pensa a niente in particolare, tutto scorre nella testa come un flusso senza suono e proprio nel l'istante preciso del punto di non ritorno, quando si sentono le scintille carnose e sudate saltellare per il corpo, nella mia mente emergono due parole, come palloncini tenuti sott'acqua che riemergano all'improvviso, due parole inaspettate che mi rimangono nella testa in silenzio ad aspettare che io abbia finito.

Distro linux.

Guardo la ragazza davanti a me con l'orrore che lei possa leggere dentro la mia testa e vedere che proprio in quel momento nella mia testa c'è scritto 'distro linux', ma lei sta pensando alle sue parti interne e quindi io chiudo gli occhi, sprofondo nei piumaggi, tra le trapunte.

Appena la ragazza esce chiamo Matteo, ex scrittore Einaudi, egli racconto tutto, semplifico un po' e gli dico cazzo matteo oggi ho avuto un orgasmo non ti dico come e nel momento dell'orgasmo vero e proprio, quando non penso a un cazzo o cose tipo fonti di luce o di calore, in quel momento ho pensato 'distro linux'. “Distro linux” “Distro linux” “Ti ricordi quale distro? Sarebbe importante. Era mica la Debian?” “Matteo, nessuna distro in particolare, ho solo pensato le due parole, distro linux” Matteo sta zitto un attimo e poi dice beh in ogni caso è una grande vittoria per l'open source, e io gli dico vaffanculo matteo eh vaffanculo, io sono preoccupato.

[4]

In quel momento entra la seconda signora, tiene in braccio uno di quei cosi che con molta fantasia potrebbero definirsi cagnolini, in realtà sembrano topi sfortunati nati nei pressi delle grandi antenne di radio vaticano, e si mette nei sedili vicini al mio, ma dall'altra parte del corridoietto, dove c'è solo una signora che legge e la signora entrata con il cagnolino prende da una tasca un fazzoletto, lo stende sul sedile e poi ci posa sopra il cane e io guardo la signora che legge il giornale e mi pregusto già una scena da guardi signora che il cane lo faccia stare per terra, ma non fa male a nessuno è pulito, sì ma se piscia eh se piscia, e così via vi risparmio i dettagli anche perché la signora che legge (da qui in poi signora numero 1) dice 'che carino' e indica il topo metamorfico e insomma si mettono a parlare fittamente e si scopre che sono entrambe, le due donne, amiche degli animali soprattutto cani e gatti.

Il ratto mutante intanto si è messo comodo sul sedile e guarda l'infinito fuori dal finestrino fingendo di non conoscere le due donne.

Il problema è che le due donne parlano con un tono di voce tipo comizio e quindi il loro chiacchiericcio non si va a confondere con il chiacchiericcio generale del treno, ma risalta, soprattutto per me che sto seduto vicino e non riesco a scrivere sento che parlano di chi abbandona i cani per strada e dicono che sono dei mostri che andrebbero uccisi che ci vorrebbe la pena di morte per chi abbandona i cani per strada, chi li porta a morte sicura, certo, sono solo bestie ma sono più bestie loro che le lasciano morire e vanno avanti un po' con questo tema e io prendo qualche appunto e vado in bagno a fare pipì e quando torno stanno parlando dei pedofili.

Mi maledico per essermi perso lo snodo uccisori di cani- pedofili che sarebbe stato certamente importante e resto ad ascoltare e mi scrivo già alcune frasi chiave che so che verranno fuori tipo 'ah vorrei vedere se stuprassero tua figlia cosa fai che leggi fai, i pedofili vanno castrati' e non faccio tempo a finire che una parte e dice che i pedofili andrebbero castrati, ah sì dice l'altra se non ammazzati che sono dei bastardi, lo dico da ignorante ma se ti stuprano tua figlia cosa fai quelli, quelli sono malati vanno castrati, o ammazzati, beh ammazzati è un po' troppo, diciamo almeno castrati, invece in Italia, ah in Italia, eccetera.

Nessuno dice mai 'vorrei vedere se lo stupratore fosse tuo figlio', mai nessuno si immagina di avere il marito o il figlio stupratore, nessuno dice mai 'eh sì gli stupratori andrebbero castrati o ammazzati, pensa se tuo figlio fosse uno stupratore non lo ammazzeresti quel bastardo?', lo stupratore è sempre un'entità astratta mai nessuno se lo immagina in famiglia che mangia con te, che dorme assieme a te, lo stupratore è sempre immaginario. Per questo crescono bene in famiglia.

E mentre loro parlano mi squilla il cellulare e io dico due cose a Marco che sono vivo sono quasi a Bologna, e quando butto giù le due donne sono passate ai cinesi, anche questo snodo lo ho sfortunatamente perso, e dicono che i cinesi sono furbi, che per le pulizie non vanno bene come i filippini perché i filippini sanno imparare mentre i cinesi certe cose non le sanno fare, tipo i cinesi non sanno stirare proprio non ci riescono, e i cinesi sono una preoccupazione anche per suo cognato, perché per Invicta su molte cose è in Cina, anche cose di marca capito e i cinesi le fanno ma bisogna stare attenti, gli indiani sono diversi, però ce ne sono meno

gli indiani non sono tanti, mentre i cinesi sono organizzatissimi, perché l'indiano si accontenta di niente gli dai un tozzo di pane e quello ti dice grazie grazie grazie per tre giorni, settanta volte sette grazie, i cinesi no, i cinesi sono furbi i cinesi sono silenziosi, non si sentono quando entrano e quando escono di casa non stendono i panni, perché sono sporchi, ecco perché i cinesi non sanno stirare perché sono sporchi e fanno queste cose bellissime

che mio cognato mi dice che questi fanno cose favolose con due lire si fanno arrivare la roba dalla Cina e lui, mio cognato, come fa a competere, loro per una ciotola di riso lavorano dieci ore al giorno anche i bambini e mio cognato come fa, e questi cinesi sono sempre di più, fanno figli continuamente, perché li nutrono male, gli danno da mangiare di tutto, prima o poi saranno più questi qua che i nostri, tipo a Bologna c'è un interno quartiere di cinesi, capannoni grossi come una piazza è pericoloso e vendono queste cose da due soldi ma bellissime mi creda bellissime

io ci ho comprato questa camicetta vede è tutta cucita a mano, tocchi la cucitura, e anche le scarpe non è mica come tre anni fa che i cinesi facevano queste cose malfatte adesso fanno cose curatissime, anche le scarpe io mi sono comprata tre scarpe a tacco a novanta euro, e sono furbi i cinesi furbi, prima facevano i ristoranti cinesi e poi quando gli ordinano di chiudere i ristoranti perché sono sporchi, l'igiene voglio dire chiude tutto perché questi cinesi fanno schifo, loro aprono subito una pelletteria o una sartoria

stirerie no perché i cinesi non sanno stirare niente, e sono sempre di più non dovrebbero farli arrivare, non c'è lavoro per i nostri, cosa fanno arrivare i cinesi a fare che non c'è lavoro, certo per noi è una convenienza perché per novanta euro mi sono presa tre paia di scarpe, ma ci rovinano il lavoro, mio cognato non sa più cosa fare, eccetera

e mentre le due donne ancora parlano, quello che era di fronte a me se ne va e intanto sale la gente dalla stazione poco prima bologna e sento da dietro gente che si avvicina ai miei sedili mi giro e sono due cinesi, agnizione, e mi chiedono se i posti sono liberi e le due signore si sono zittite di colpo guardano il cane e con la coda dell'occhio i due cinesi e io dico, certo, chiaro sono tutti liberi e i cinesi mi sorridono e si siedono, posano i loro borsoni enormi e da quel momento le due signore stanno zitte fino a Bologna e io mi sento molto no-global finché non mi accorgo del cattivo odore

guardo il cane con preoccupazione, ma lui continua a farsi gli stracazzi suoi, insomma mi butto su un lato del sedile più vicino alla cinese e sento che cazzo puzza, inequivocabilmente puzza ma anche tanto, adesso lo sentono anche le due donne che mi lanciano delle occhiate di fuoco, cazzo i cinesi puzzano davvero, e io mi tiro indietro ma l'odore non se ne va via finché non capisco che l'odore non viene dai cinesi

sono io – dentro – che sto mandando un odore ferino, sfavillante, definitivo

[ricordo]

Quindi sono alla festa di compleanno di terzogenita, in un salone di un bar vicino alla scuola, abbiamo invitate le sue compagne di classe, le gazzelle, e siccome siamo una famiglia che si sa mettere seduta e rilassarsi siamo nel mezzo del salone che chiamiamo tutte le gazzelle urlando per fare insieme dei giochi.

Il nostro dna e il nostro cammino esperienziale infatti contiene anche la capacità di organizzare giochi collettivi per bambini di cinque anni.

E le gazzelle arrivano, ridono, gli chiedo i loro nomi e mi rendo conto che sono nomi bellissimi e che non riuscirò mai a impararli in cinque minuti. Tutte le amiche di mia figlia hanno i nomi tradizionali del paese da cui sono arrivate: indiani, eritrei, romeni, pakistani. Terzogenita li ripete tutti, non ha nessun problema. Penso che sia fortunata, lei, ad avere tutta quella gente che viene da tutto il mondo ed è tutta lì, nella sua classe.

“Volete giocare?” urlo. “Sì”, dicono loro. “Non ho sentito!” grido. “SÌ” gridano. “Non ho sentito!” urlo ancora, e loro ridono come pazze, urlano di sì fortissimo, vogliono giocare, ci mancherebbe altro. E giochiamo, e poi mettiamo la musica e mi trovo a ballare con loro in cerchio, a farle girare, roteare e poi fermo la musica, giochiamo ancora a ballare attorno a sedie decrescenti, a prendere fazzoletti, a mettere code ad asini bidimensionali.

Guardo le madri sedute che mi guardano, guardo i nonni italiani che di tanto in tanto vanno avanti e indietro carichi di monete a passare il loro pomeriggio – soli – alle slot machine, passando in mezzo alla nostra piccola festa come stranieri. Li vedo che li bruciano in dieci minuti e tornano indietro a cambiare altre banconote. Penso che vivere è un gran casino. Mi appoggio contro il muro, porto il bicchiere di plastica alla bocca e faccio colare dentro qualcosa e penso che vivere è un gran casino.

— primogenito, mentre torni a casa puoi mica comprare il burro che è finito? — papà — eh — sono in Polonia — ah — eh — ma stamattina eri a casa — stamattina

Nanaki ha imparato a prendere una pallina di quelle che rimbalzano, salire in cima alle scale e poi farla rimbalzare giù inseguendola e giocandoci.

Quando arriva in fondo riprende la pallina con i denti, torna in cima alle scale e ripete l'operazione. La cosa può andare avanti per ore, anche di notte.

Oggi succede la stessa cosa, la pallina arriva al pianoterra ma questa volta Irene si alza, prende tra i suoi denti la pallina e la porta nella sua cuccia. La posa lì e le si mette accanto.

Nanaki interdetta si avvicina per riprendersi la pallina. Irene ringhia. Nanaki prova qualche attacco e poi desiste.

Io sul divano immerso nelle coperte osservo tutto e mi sembra di essere in un film di Miyazaki.

[libri e memoria]

Non dovrei mai mettere a posto i libri, oppure farlo più spesso. In questi giorni che non sto benissimo mi sono preso del tempo per farlo. E sono emerse cose che – nella vita incasinata – non curo e invece.

Trovo un libro che avevo fregato a mia zia, La caduta, di Camus. L'avevo letto decenni fa, su spinta di mia zia e ancora adesso mi ricordo alcuni frammenti dell'Esilio e il regno, che era un'altra sezione del libro. Lo apro e scopro che era quello che mesi fa cercavo da mia zia, per rubarglielo. E invece lo avevo già rubato. Non tanto per Camus, ma perché ha due frontespizi. In uno c'è scritto l'autore, il titolo del libro, e sotto il nome della casa editrice. Nella pagina a fianco – letteralmente – c'è un frontespizio identico, autore, titolo del libro, e casa editrice. Solo che a sinistra la casa editrice è Bompiani, a destra è Garzanti.

Cerco di mettere tutti i Mondadori assieme, almeno quelli di narrativa, e a un certo punto prendo un Strade blu e cerco di infilarlo a fianco degli Oscar. E quello si rifiuta. È più alto. Non ci entra. Devo necessariamente metterlo due scaffali più in basso. Le braccia mi cascano lungo i fianchi. Ecco perché evito di mettere i libri in ordine, perché poi succedono queste cose. Le idee si scontrano con il legno.

E poi ci sono i libri che scompaiono. Cerco tutti i miei libri di Morovich, ogni tanto li ricontrollo perché se scompaiono è un disastro, quello chi lo ristampa. E scopro che è scomparso I giganti marini. Vado scaffale per scaffale, al piano di sopra, al piano di sotto. Scomparso. Avrò fatto la cazzata, penso, l'ho prestato. Perché è un bel libro, l'ho prestato, la cazzata. E resto così, guardo il grande acquaio della libreria, i libri sferzati dagli anni, dai traslochi, dalla polvere, dall'umidità, dai figli e penso che magari è lì, da qualche parte, come un pesce smarrito nel piccolo oceano della mia memoria.

È sparito anche Verba manent. Te pareva. Verba manent è un libro importantissimo, spiega tecnicamente come fare storia orale, è uno dei libri più importanti che abbia letto e – per farla breve – decenni fa l'avevo perso. Perso. Poi un giorno, in casa di Francesco, eccolo. L'avevo prestato a lui. Me l'ero ripreso. E ora ho rifatto la cazzata. Devo averlo riprestato a qualcuno. Possibile che non abbia imparato? Alcuni libri si devono prestare, altri no. Servono a dare conforto in casa, non vanno lasciati liberi.

Poi trovo questo libro di Beckett, già letto decenni fa e mi ricorda qualcosa la copertina, lo apro e c'è l'anno e il mese e mi ricordo. Siamo io e Elettra, ci siamo messi insieme da un mese, siamo sul lungomare ligure in agosto e andiamo alle bancarelle e io mi compro questo libro di Beckett che mi sembra uno splendore. Io ho ventiquattro anni, a fianco a me questa ragazza con uno sguardo che buca l'estate e ora sono chinato nel corridoio, nel buio della sera, davanti alla camera di mia figlia e lo richiudo e lo rimetto a posto tra gli Einaudi.

Mentre sono lì mi appare in chat una persona cara che non vedo da tanto tanto tempo mi manda una immagine. È un mio ex libris, fatto a mano. Che libro mi hai fregato le chiedo, ed è strano perché mentre le parlo mi immagino il suo viso dell'ultima volta che l'ho vista. Forse gli anni novanta. E le parlo come se avessimo smesso ieri. È Strindberg mi confessa dopo un po', mi dice il titolo. Guardo nella mia libreria, e quel libro ce l'ho uguale. Guarda – le dico – che era un modo per regalartelo. L'ex libris non ce lo avevo messo per segnare che il libro era mio, ma perché non lo era più. Lei dice, lo so.

E poi mi racconta una cosa che avevo completamente dimenticato. Mi fa impressione. Un intero episodio della mia vita di cui non ricordo quasi nulla. Siamo ad una retrospettiva su Orson Welles, sempre anni novanta. Una maratona, non so quanti film. Per chi resta fino alla fine c'è una lotteria, estraggono a sorte un biglietto. Lei a un certo punto della maratona deve andare via. Mi lascia il suo biglietto. Io resto fino alla fine. Quarto potere. L'infernale Quinlan. L'orgoglio degli Amberson. Estraggono a sorte il vincitore. Io non vinco. Ma lei sì.

Quindi sono salito sul palco, imbarazzato, ho ritirato il premio. Mi racconta tutto lei. E cosa era il premio? le chiedo. Non ricordo nulla. Lei mi risponde, una cosa bellissima, che ho tenuto fino a pochi anni fa, poi si è rotta. E cosa era? le chiedo. Spero che l'oggetto sblocchi un ricordo di questo mio pezzo di memoria. E lei me lo dice e c'è della beffa in questo ritorno indietro nel tempo, alle cose che si sono perse con l'andare degli anni.

“Una sfera di vetro con dentro la neve” mi scrive e io sorrido e le dico grazie, mi hai fatto un bel regalo stasera.

Rosebud.

— papà! — dimmi terzogenita — oggi è la mia giornata! — nel senso del tuo compleanno? Ma... — no, è la giornata dei calzini spaiati! — ... — dobbiamo tutti metterci calzini spaiati per celebrare la diversità delle persone — amore — eh — tu hai sempre i calzini spaiati — perché io ci credevo già da prima — ... — ma non sapevo perché — ecco — ora ho anche una causa! — ...

***

Primogenito ha trovato un modo per svuotare la bottiglia dell'acqua in metà del tempo, applica una forza vorticosa alla bottiglia in modo che l'acqua impieghi circa la metà del tempo normale di svuotamento. Con secondogenito hanno cronometrato il tempo necessario per svuotare la bottiglia con questo gesto a vortice e quello necessario con il normale versamento gravitazionale. Arriva terzogenita. “Secondo te” chiede primogenito alla sorella, “quale è il metodo più rapido per svuotare questa bottiglia?”. Terzogenita guarda la bottiglia, guarda il fratello e poi risponde “la butti per terra e la spacchi”. Primogenito rimane per un attimo attonito, poi ride e resta con la bottiglia in mano a fissare la sorella.

***

— papà — dimmi terzogenita — posso raccontarti delle barzellette brutte, senza senso, con dei finali deludenti? — ...

***

— papà, ma poi telefoni ai nonni? — non lo so ancora — ma se telefoni cosa gli devi dire? — terzogenita — eh — tu sei una ragazzina molto curiosa — ... — e sai che fine fanno le ragazzine troppo curiose? — ...scoprono nuove medicine? — ...

***

— buongiorno secondogenito — ciao — tutto bene? — sni — perché sni? — mi sono addormentato e ho dormito più del dovuto — bhe, ma dove è il problema? È sabato, mica hai appuntamenti oggi no? — no — e allora? — ogni secondo speso a dormire è un secondo rubato al giocare ai videogiochi — ...

***

— secondogenito, se lo vuoi ho fatto del tea — quindi se non lo voglio significa che non lo hai fatto — ma io l'ho fatto! — allora mi stai costringendo a volere del tea contro la mia volontà — ...