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Blog di Antonio Vigilante

Tra gli aspetti che Deleuze considera rivoluzionari in Spinoza c'è la “trasvalutazione di tutte le passioni tristi”: “Quali che siano, in qualunque modo vengano giustificate, esse rappresentano il più basso grado della nostra potenza: il momento in cui siamo separati al massimo dalla nostra potenza di agire, alienati al massimo, in balia dei fantasmi della superstizione, delle mistificazioni del tiranno” (Spinoza. Filosofia pratica, Orthotes, Napoli-Salerno 2016, cap. II). Ma nel Trattato politico Spinoza afferma che la moltitudine è spinta ad associarsi non dalla ragione, ma per una qualche passione comune (sed ex communi aliquo affectu), come una comune speranza, o paura, o desiderio di vendetta. Si aspira allo stato civile per la paura della solitudine (solitudinis metus) (TP, VI. 1). Speranza, paura. Le passioni tristi per eccellenza. Tutto ciò che riguarda la società e la politica porta il segno di questa tristezza originaria. Se una gioia è possibile, va cercata altrove.

#filosofia

Difficile trovare nella storia della filosofia qualcosa di più cupamente pessimistico del Tractatus Politicus di Spinoza. È la riflessione di un uomo i cui amici sono stati linciati e squartati in piazza da una folla inferocita. E dunque: homines natura hostes, e questa loro natura feroce tende a venir fuori anche quando sono ristretti in una società civile (VIII, 12). Qualunque cosa l'essere umano faccia, fa parte della natura: che uccida o ami. Il sapiente e l'ignarus sono del tutto uguali davanti alla natura; quello che fa il primo non si distingue da quello che fa il secondo (II, 8). Nell'Etica ha indicato una via d'uscita, la possibilità di una vita libera e razionale. Ora sembra che la sua fiducia si scontri con un paradosso che non è diverso dal paradosso della fede cristiana. Perché per salvarsi occorre la fede, ma nessuno può acquisire da sé la fede; è grazia divina. Lo stesso vale per la ragione (ed è significativo che il paradosso emerga proprio in un passo in cui polemizza con i credenti). Alcuni, scrive, pensano l'essere umano come una creatura diversa dalle altre — veluti imperium in imperio concipiunt —, ma l'esperienza insegna quod in nostra potestate non magis sit, Mentem sanam, quam corpus sanum habere (II, 6). Non abbiamo il potere di rendere sana la nostra mente, più di quanto non abbiamo il potere di darci da soli la salute del corpo (un argomento che nell'Anattakhalana Sutta il Buddha usa per dimostrare che non c'è identità né nel corpo né nella mente). Nessuno può fare in modo che vi sia in lui ragione, se la ragione non c'è. Non si può scegliere la ragione più di quanto si possa scegliere la fede. E tutto quello che c'è da dire, alla fine, è che trahit sua quemque voluptas: ognuno è trascinato dal piacere.

#filosofia

Per vivere abbiamo bisogno di essere certi del nostro valore. Ma il nostro valore è affermato sempre dagli altri. Per vivere abbiamo bisogno di ottenere in qualche modo che gli altri ci diano valore. Questa è la fonte di ogni angoscia, la ragione della più profonda disperazione, il motivo per il quale, dietro la retorica dell'amore per il prossimo, cova in ognuno di noi un radicale odio per l'altro — l'odio che ogni schiavo prova per il proprio padrone. Un odio complicato, in quelli che sono più consapevoli — e dunque più sofferenti, perché qui auget scientiam auget et dolorem — dal sapere di essere essi stessi carnefici dell'altro, padroni, autori di soggettivazione sociale. È come se il nostro corpo dovesse conquistarsi di continuo, assumendo questa o quella posizione scomoda, l'ossigeno di cui ha bisogno. Potrebbe sopravvivere solo logorandosi giorno dopo giorno. E questo logoramento lento ma implacabile è la nostra vita in quanto esseri sociali — in quanto persone. Procurarsi scientemente la disapprovazione generale è un primo passo per scuotere la catena sociale. Il secondo è liberarsi dall'idea stessa di valore personale.

#loingpres

Ora. Questa immagine, questa sensazione, questa voce. Un suono. Un dolore. Un piacere. La vita che si dà, ora con una carezza, ora graffiando la pelle. Ora: io che vedo questa immagine, ho questa sensazione, provo questa voce. E dietro tutto questo la mia opacità. Il tempo che passa, la vita che diventa fragile, gli anni che si accumulano e premono. Il fastidio di essere me, l'impressione di essere chiuso in un guscio da cui non posso sfuggire. Qualunque cosa accada, accade a me, e questo rende miserabile qualunque cosa. Miserabile e dolorosa. Basterebbe lasciar accadere l'ora. L'immagine, la sensazione, la voce. Ognuna per sé, così come si presenta. Senza giudizio, senza opacità. Non l'occhio che guarda l'immagine, ma l'immagine che è nell'occhio. Bisognerebbe lasciarsi squarciare dal mondo. Essere io è soffrire. Quale oscura dannazione ci spinge a dire di continuo io?

#loingpres

Gli altri, in quanto tali, possono offenderci, umiliarci, straziarci, torturarci, perfino ucciderci. Ne hanno il diritto: sono altri, li abita la negazione. Quello che non hanno il diritto di farci è amarci.

#loingpres

L'io è uno scibbolet, ridicolo e fragile come tutto ciò che è sociale — a story told by an idiot. Quello che sono è un caos che non genera alcuna stella danzante. Un sussurro che cerca di farsi silenzio.

#loingpres

Alla fine dei nostri giorni ci verrà chiesto chi siamo. E noi, per dolorosa abitudine, balbetteremo qualche parola sulla nostra situazione sociale. E una risata ci seppellirà per sempre. Potremmo essere eterni, se non fossimo sociali.

#loingpres

Messosi alla ricerca del fondamento, della ragione, dell'essenza, l'essere non trova che la sua identità con il non essere. Il divenire stesso è illusorio: nulla diviene, e non perché esista un essere parmenideo, inalterabile ed eterno, ma perché nulla esiste, nulla accade — nessuno degli enti è ente, nessuna delle cose è cosa, e lo sguardo stesso è cieco. La logica hegeliana è la versione occidentale del paṭicca samuppāda. Il circolo vizioso dell'ignoranza, senza alcuna speranza di un risveglio qualsiasi, perché ogni dialettica è frutto dell'ignoranza.

#loingpres

Uno. Il mondo così come lo vediamo non è che illusione. O meglio: una interpretazione dovuta alla imperfezione dei nostri sensi. Le cose non esistono. La materia è fatta per lo più di vuoto. Due. Il nostro io non è nulla di sostanziale. Ciò con cui ci identifichiamo non è che un modo particolare di funzionare del nostro cervello. Ne esistono altri, che si manifestano sia durante il giorno che, in modo prevalente, durante la notte. Tre. La nostra posizione nell'universo non è affatto diversa da quella di un acaro o di un batterio. Quattro. Non esiste nessuno, tra i nostri simili, che possa davvero comprenderci. Cinque. Perché in fondo nemmeno noi stessi possiamo comprenderci. Il cammino di comprensione di sé è un eterno smarrirsi in infiniti labirinti, fino a quando si acquista la consapevolezza che noi stessi siamo labirinto.

#loingpres

La filosofia ha compiuto tutto ciò che era da compiere tra il Cinquecento e il Settecento. Si trattava di rovesciare la visione del senso comune. Di abbattere teoreticamente tre convinzioni: l'esistenza della cosa, l'esistenza di Dio, l'esistenza del soggetto. Queste tre dissoluzioni sono già complete a fine Settecento; e Nietzsche e Sartre non sono che epigoni. Tutto ciò che nel pensiero contemporaneo va nella direzione della ricostituzione del triangolo del senso comune – appunto Dio, soggetto, cosa – non è che antifilosofia. Queste tre dissoluzioni sono ora affare della scienza. Non Dio – che è morto e sepolto da tempo, e la cui confutazione non è più necessaria – , ma la sostanza e il soggetto. La prima spetta alla fisica, la seconda alle neuroscienze. Che resta della filosofia dopo la morte della filosofia? Interrogarsi sul senso di un mondo senza cose e senza soggetti.

#loingpres