norise

Sconnessione

pensavi guadagnare la chiarezza? la vita imita sempre più il sogno nelle sconnessioni avanti con gli anni

ti coniughi ad un presente che s’infrange dove l’orizzonte incontra il cielo: e ti sorprendi a chiederti chi sei oggi da specchi rifranto e moltiplicato mentre il tempo a te ti sottrae

. Giordano Genghini in 100 amiche e amici in Facebook: Ho apprezzato moltissimo questi tuoi versi che, nutrendosi di riferimenti letterari di altissimo livello (in particolare, l’affermazione presente nelle parole di Prospero in un opera shakespeariana secondo cui – traduco in italiano – “siamo fatti della stessa sostanza dei sogni”, e il riferimento agli specchi che rifrangono l’io, presente in molti testi di Borges) – riferimenti rielaborati, a mio avviso, con grandissima originalità – intessono una lirica di altissimo valore poetico, fondata sul tuo – che però è anche mio, e di molti altri, credo – “chiederti chi sei”, accompagnando questo interrogativo senza chiara risposta con metafore visive di sublime bellezza (“nelle sconnessioni avanti con gli anni / ti coniughi ad un presente che s’infrange / dove l’orizzonte incontra il cielo”); lirica che si conclude con la drammatica e stupenda espressione: “mentre il tempo a te ti sottrae”. Grazie, Felice, per avere donato questi tuoi versi all’ammirazione mia e del gruppo…

Sprazzi di pace

spiove dal cielo una luce di stelle gonfie di vento – quasi provenisse dall’oltre

nel cuore un aprirsi di sprazzi di pace: vedermi in tutto con il mio sognare –

il vissuto la vita sognata

. Su Assonanze (Wordpress) Silvia De Angelis

… evocazione d’ una luce celeste, carica di mistero, che si riflette nell’anima, aprendo squarci di pace. Il sognare si fa strumento di riconciliazione con la propria esistenza, trasformando il vissuto in vita piena.

. @desire760

Gli sprazzi di pace sono rari perché spesso la serenità non riusciamo a contemplarla o non arriva perché la vita è un circumnavigare un mare mosso e non c’è mai pace.La vita sognata rimane una chimera e ci si accontenta di quello che si ha…Breve , intensa e d’ impatto per il senso profondo…

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Si spalma la luce

“come ti butta?“ i passeri hanno fatto il nido primavera s’infiora la luce si spalma sugli alberi le case quanto a me una distanza mi separa sempre da me

13.5.25

. Giordano Genghini nel gruppo Amiche e amici in Facebook: Ho apprezzato moltissimo questa lirica rivestita di polisemia, testimonianza di un tuo stile, e di significati, che, a mio parere, col passare del tempo diventano, se possibile, sempre più belli, intensi, suggestivi. All’iniziale e gergale battuta, indizio di un dialogo fra indeterminati amici o conoscenti che si sono incontrati, fa qui seguito uno sguardo, a mio avviso espresso in modo poeticamente sublime, ad immagini in cui si incarna la primavera: “i passeri hanno fatto il nido / primavera s’infiora la luce / si spalma sugli alberi le case” (importante è notare che, come il titolo della lirica ci fa comprendere, fra “s’infiora” e “la luce” dobbiamo percepire una cesura sottintesa, in quanto “la luce” è il soggetto che regge “si spalma” come predicato verbale, dopo il bellissimo enjambement. Gli ultimi due versi, nella loro ineffabile bellezza e tensione poetica ed emotiva, non posso osare commentarli, ma solo trascriverli, incantato dalla loro impareggiabile meraviglia e dallo stupore che hanno lasciato in me: “quanto a me una distanza / mi separa sempre da me”. Grazie infinite, Felice, per avere donato questi tuoi versi all’ammirazione mia e del gruppo…

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PARVENZA D'AMORE . pietre ancora calde di sole con la luce declinante una virgola di amore ti è rimasta negli occhi – un sangue rappreso .. come un olio è passata la luce sopra il dolore – pseudo- incarnazione di un sogno .

Giordano Genghini Apprezzamento n. 21 (in ordine cronologico) del giorno 20. 06. 2025. – Ho apprezzato moltissimo, Felice, questo tuo post (consistente in una lirica stupenda). Oltre ad altri aspetti del post, ho gustato soprattutto il modo in cui hai trasformato in poesia il tuo sogno, che ha per protagonista la donna che da sempre ami. (Aggiungo, inoltre, che, avendo tu il dono della fede, la tua sofferenza per la separazione da lei è addolcita dalla certezza di rivederla oltre questa vita terrena, e che sai esprimere ciò che provi in modo così sublime da fare amare i tuoi testi – come riescono a fare, ad esempio, Dante o Ungaretti e Eliot dopo la loro conversione – anche a chi questa tua fede non ha).

Occhi di paradiso

quel giorno che ci hai lasciati parlava il tuo sguardo muto -occhi di paradiso

quel giorno l'angelo ha colto il tuo dolore e lo ha appeso ad una stella

ora tra arcobaleni e vento il tuo aquilone

sparito nell'infinito

è come volesse cercare lì il tuo cuore

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Giordano Genghini in 100 amiche e amici in Facebook:

(...) ho molto apprezzato i tuoi versi (credo forse di indovinare a chi sono dedicati) che, quasi ricalcando nel titolo il testo religioso “Donna de Paradiso” di Jacopone da Todi, intessono un ricordo, in uno stile che mi fa pensare a un moderno Stilnovismo, in cui la dolcissima persona femminile scomparsa appare come sublime figura, infinitamente superiore a ciò che le brutalità e la materialità dell'odierno mondo ci mettono quotidianamente davanti agli occhi, come colei che è già fra gli angeli, e l' “aquilone” che, come tu scrivi nelle tue sublimi metafore, è “sparito nell'infinito”, come tu concludi, “é come volesse cercare / lì il tuo cuore”. Grazie per avere donato al gruppo e all’ammirazione di chi apprezza i post in esso condivisi – e, dunque, anche alla mia ammirazione – questa stupenda poeticamente, toccante e tenera lirica che, benché essa tratti di una morte, io, per la sua fiducia in ciò che ci attende oltre la fine della nostra esistenza nel mondo materiale, non mi sento di definire triste...

La musica

le mani la voce il linguaggio del corpo: non sono che atavici mezzi di espressione

la musica vive nell’aria che trema di palpiti ed è da sempre –

convive col canto degli uccelli e viene da mondi ultraterreni .

Gina Bonasera in 100 amiche e amici in Facebook: La musica secondo me nasce con l'uomo e nell'uomo, mentre si trova ancora nel grembo materno. Sicuramente il rumore della pioggia, della grandine, delle onde marine , delle cascate, insomma anche i versi degli animali, oltre che gli eventi più o meno catastrofici e/ o dolcissimi come il fruscio delle fronde hanno influito già fin da tempi remoti alle prime “composizioni” musicali , fino ad arrivare ai ritmi africani e sud americani...etc. come dice Giordano. Penso che tra le arti sia la più nobile e l'unica forse che piaccia a tutti gli uomini, perché in essa c'è dolcezza, ritmo, vita e si accompagna meravigliosamente bene sia con la poesia che con la pittura, la danza.

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In un punto dell'eterno

(momento)

spiove luce di stelle la stanza si riempie di cielo come quando in un punto dell’eterno palpitò la mia essenza biancore irreale carne-e-cielo l’Io nell’oceanosogno si guarda cadere a imbuto fuori del tempo fino all’attimo prenatale alla luce del sangue

. Da Assonanze (WP) Flavio Almerighi l’Io si dissolve nel sogno oceanico del tempo e dell’origine. La luce delle stelle penetra lo spazio intimo, trasformandolo in una soglia tra il corpo e l’infinito. Un viaggio a ritroso, fino all’attimo in cui esistere era ancora un palpito nel grembo dell’eterno, bravissimo Felice versi che mi hanno molto colpito.

. Paola Stella Percorso all’indietro ~ Dall’infinito cielo di stelle al magnetismo puntuto del sangue ~ Il percorso e’ solo immaginario ~ Lo spirito non “rientra” mai, si libera ~ Credo che uscire dalla dimensione sanguigna sia come uscire da un carcere pieno di cose influenti.

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Silvia De Angelis ...una lirica intensa e visionaria: in pochi versi, Serino evoca un momento sospeso, tra cielo e carne, in cui l'Io si riconosce come parte dell’eterno...

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Volare basso

un volare basso s'invischia nella melassa d'infantili ricordi

quando la luna era lo scrigno dei sogni

e un'altalena dondolava corpi d'aria

a fare la vita leggera

3.4.25 . Giordano Genghini nel suo gruppo Facebook. “Ho apprezzato molto questo post (…) con la sua mirabile capacità di dire, o fare intuire, l’essenziale in pochissime parole, la “vita leggera” dell’infanzia è, e concordo, il tema centrale di questa bellissima lirica. In tale “vita leggera”, che qui ritorna negli “infantili ricordi”, tutto è magia (personalmente, però, non definirei, negativamente, “melassa” queste dolci immagini): ineffabilmente stupende sono le due metafore che, usando il minor numero possibile di parole, fanno rivivere tale passato, “quando la luna era / lo scrigno dei sogni” (e che meravigliosa allitterazione sonora, anche!) e quando “un’altalena dondolava / corpi d’aria”. Con due sole espressioni, caro Felice, hai riportato me – e, credo, molti altri tuoi lettori – nel tempo “leggero” della nostra infanzia, benché essa sia stata diversa per ognuno di noi. Altro che “melassa”: questo tuo testo è per me – e, credo, non solo per me – un dono di prezioso valore che, a mio avviso, solo una poesia straordinaria come la tua può offrire a chi ha ricevuto, senza alcun merito, la possibilità di comprenderla e di godere della tua magia di “creatore del linguaggio”. Molte grazie, dunque, per questo tuo post… “

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A bocca piena

trucidata vita dai lenzuoli di sangue nei telegiornali un dire assuefatto freddo che ti sorprende non più di tanto a bocca piena che non arriva al cuore

-per quei bambini occhi rovesciati a galleggiare su un mare di speranza la cui patria è ora il cielo

violata la sacralità vita che non è più vita vilipesa resa quale fiore a uno strappo feroce di vento .

Nadine Swan su Assonanze (WP) Questa poesia è un grido potente, un pugno al cuore che ci costringe a guardare dritto negli occhi l’assuefazione al dolore e alla tragedia. Il contrasto tra l’orrore dei “lenzuoli di sangue” e la freddezza di un “dire assuefatto” dipinge con lucidità spietata il distacco emotivo che ci protegge, ma ci rende anche complici di un’umanità che ha perso sensibilità.

L’immagine dei bambini, “occhi rovesciati” su un “mare di speranza”, è struggente: un’immagine poetica che trasforma il dolore in qualcosa di universale, tragico, ma anche luminoso nella sua fuga verso il cielo. La loro patria diventa il cielo, un richiamo amaro alla perdita della dignità terrena.

Il verso finale, quel “fiore a uno strappo feroce di vento”, è lacerante. La violenza che distrugge la sacralità della vita è resa in una metafora delicata e devastante allo stesso tempo. È una poesia che non lascia scampo, che ti obbliga a sentire, a fermarti, a non distogliere lo sguardo. Un dolore che pesa, ma che è necessario portare. ❤️

IQBAL MASIH: STORIA DI UN' INFANZIA RAPITA

A cura di Luca Rossi.

Novembre 2006

“Nessun bambino dovrebbe mai impugnare uno strumento di lavoro. Gli unici strumenti di lavoro che un bambino dovrebbe tenere in mano sono penne e matite”

I.M.,Stoccolma 1994

Il film di Cinzia Th. Torrini[1] (1998), inerente la vita di Iqbal Masih, non è altro che la storia di una vita riscattata da violenze e omertà su uno degli aspetti più inquietanti che legano le società ricche dell'occidente a quelle più povere, in un'asimmetria abissale dove all'interno delle prime i bambini portano con sé la dignità loro attribuita da leggi consapevoli del valore della vita, mentre le seconde utilizzano con il termine di “piccoli lavoratori” un eufemismo per celare un sostantivo ben più pesante, quello dell'essere schiavo.

Già, perché Iqbal Masih, insieme ai milioni di bambini schiavi sparsi per il mondo, concentrati soprattutto nelle zone del Bangladesh, del Pakistan, dell'India, del Nepal rappresenta la sofferenza di un'infanzia che segna i cuori di tutti coloro che si battono contro lo sfruttamento dei più deboli, in qualsiasi senso.

Venduto all'età di quattro anni dal padre, la regista ci narra la storia vera di un ragazzo pakistano, ceduto ad un fabbricante di tappeti senza scrupoli, al fine di pagare un debito contratto per il matrimonio della figlia. Mani distrutte per avere intessuto per dodici ore al giorno per sei lunghi anni tappeti raffinati, pronti per essere rivenduti nei paesi occidentali a prezzi elevatissimi. Piedi incatenati a un telaio per fare sì che nessuno dei piccoli lavoratori si allontanasse dal posto di lavoro, o rinchiusi da Hussain Kahn, titolare dell'azienda (se così la si potrebbe definire), nella “Tomba”, un pozzo privo di aria e di luce quando qualcuno disubbidiva o cercava la fuga. Le regole erano semplici, come ricorda uno dei ragazzi a Iqbal appena giunto alla fabbrica: 1) non è permesso parlare altrimenti verrai punito; 2) puoi fare una pausa di mezz'ora per mangiare ogni giorno. Se ci metti di più verrai punito; 3) se ti addormenti sul telaio verrai punito; 4) se sporchi la tua panca o perdi gli attrezzi di lavoro verrai punito; 5) se ti lamenti o parli con sconosciuti fuori dalla fabbrica verrai punito.

Iqbal fu l'esempio vivente, ispirato da ideali di libertà, per tutti i bambini del mondo, ridotti in schiavitù, più che inserirsi nel lavoro nero. E più che di un film, quello della Torrini, è un vero e proprio reportage filmato che non ha fine, che non avrà mai fine, poiché lo sfruttamento minorile non è cessato di esistere.

Venduto per pochi dollari, Iqbal riuscirà con l'aiuto di un sindacalista, Eshan Kahn, presidente della lega contro il lavoro dei bambini -BLLF- (unica persona di cui fidarsi a dispetto della famiglia dove non avrebbe più trovato rifugio, perché sarebbe subito stato riportato al proprio aguzzino o della polizia locale corrotta essa stessa), a diffondere il suo pensiero e la sua voglia di vivere e difendere quanti hanno vissuto il suo dramma partecipando a varie manifestazioni, portandovi la voce di coloro che non avevano voce, in Svezia, negli Stati Uniti d'America, dove riceverà onorificenze e contributi, nonché una borsa di studio dalla Brandeis University, che gli consentiranno di progettare un sogno: quello di diventare un giorno avvocato per difendere i soprusi verso i minori, mentre nello scorrere delle immagini della Torrini, le telecamere inquadrano striscioni e cartelli di marce di bambini liberi inneggianti la scritta “Children are innocent!”.

Iqbal regalerà alla nonna non vedente, ma in grado di distinguere i colori dal calore che essi emanano, quasi un'energia vitale che attraversa l'anima, una semplice bambola di pezza che le aveva promesso anni prima, fino al giorno in cui, la domenica di Pasqua del 1995, all'età di tredici anni, il martirio segnò per sempre la sua vita.

Ucciso da un sicario che gli sparò in pieno petto (perché accusato con le sue pubbliche affermazioni di ridurre gli introiti attraverso lo sfruttamento minorile dell'economia illegale del Pakistan), sarà ritrovato su di una spiaggia, sulle lande di Chapa Kana Mill, nei pressi di Lahore, con legato ad una mano il filo di un aquilone volteggiante alto nel cielo, segno di quella fanciullezza che non poggia i propri piedi su di una terra corrotta, ma che si libera come ala nel blu del cosmo, tra nuvole bianche riflesse nel sole. Ma quel giorno il sole non doveva avere colore.

Mentre l'aquilone sale alto, la polizia scriverà a verbale: “L'assassinio è scaturito da una discussione tra un contadino ed Iqbal.”

Prima di essere ucciso, il piccolo uomo scrisse: “Non ho paura del mio padrone; ora è lui ad avere paura di me.”

Quello della Torrini lo si vorrebbe un film che appartenesse alla storia, come quelli girati nei campi di concentramento, ma non è così: resterà sempre attuale.

Accanto alle immagini della regista vi è però da aggiungere a mio giudizio ciò che ha da dirci la poesia in merito. Il poeta, come il cineasta, grida anch'egli il suo sdegno. Tra le figure contemporanee di poeti che hanno dato voce al dolore di Iqbal ne ricordiamo una per tutte: quella del poeta torinese Felice Serino[2], di cui riporto il suo dire in merito attraverso una delle più belle poesie di cui la prima stesura fu quella pubblicata su “Il Tizzone”[3]: “tuo padre ti vendette/ per pagare un debito/ inestinguibile// violarono la tua infanzia/ insieme all'innocenza di bambine/ costrette a prostituirsi// tra trame di tappeti e catene/ il tuo sangue ancora grida nei piccoli/ fratelli – sotto ogni latitudine// ma la tua ribellione ha creato/ un precedente: una forza/ dirompente a svegliare coscienze// per un più umano domani.”

Ripresa e rielaborata in chiave diversa la poesia apparve poi premiata in vari concorsi nel seguente modo:“come un bosco devastato/ intristirono la tua infanzia/ di pochi sogni// tra trame di tappeti e catene/ ancora grida il tuo sangue nei piccoli/ fratelli – il tuo sangue che lavò la terra// quel mattino che nascesti in cielo – dimmi –/ chi fu a cogliere il tuo dolore adulto/ per appenderlo ad una stella?”

Entrambe le espressioni d'arte esprimono, ciascuna a modo loro, il pensiero cosmopolita di chi ha voluto testimoniare con i suoi verdi anni una fede universale.

[1] Cinzia Th. Torrini nasce a Firenze nel 1954 e si trasferirà a Monaco dove si diplomerà alla scuola di cinematografia. Dopo avere girato alcuni documentari e cortometraggi, esordirà con la pellicola “Giocare d'azzardo”, riscuotendo a Venezia nel 1982 un notevole successo da parte della critica. Seguirà nel 1986 la produzione del film “Hotel Colonial”, mentre nel 1996 parteciperà con altri quattordici registi alla produzione di “Esercizi di stile”.

Per la televisione Cinzia Th. Torrini ha partecipato alla realizzazione di “L'ombra della sera” (1984), “Dalla notte all'alba” (1991), “L'aquila della notte” (1993), “Morte di una strega” (1996), “Iqbal Masih” (1998) e “Ombre” (1999).

[2] Nato a Pozzuoli (NA), F. Serino vive a Torino da operaio metalmeccanico, oggi in pensione. Ha pubblicato i seguenti volumi: “Il Dio-Boomerang”; “Frammenti dell'immagine spezzata”; “Fuoco dipinto”; “La difficile luce”; “Di nuovo l'utopia”. In proprio ha editato: “Delta & Grido” e “Idolatria di un'assenza”. Ha collaborato in vario modo con il periodico “Il Tizzone”, “Omero” ed altri. Maurizio Cucchi dice di lui: “F. Serino dimostra notevole esperienza, destrezza e buone letture, non solo poetiche. Conserva residui avanguardistici ma cita anche Bartolo Cattafi e si ispira qua e là ad Andrea Zanzotto.”

[3] Poesia apparsa sulla rivista letteraria “Il Tizzone”; editore Alfio Arcifa – Rieti 1999.