📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA: Regole; a Diogneto ● PROFETI ● Concilio Vaticano II ● NUOVO TESTAMENTO

1Mentre sto per guarire Israele, si scopre l’iniquità di Èfraim e la malvagità di Samaria, perché si pratica la menzogna: il ladro entra nelle case e fuori saccheggia il brigante. 2Non pensano, dunque, che io ricordo tutte le loro malvagità? Ora sono circondati dalle loro azioni: esse stanno davanti a me. 3Con la loro malvagità rallegrano il re, rallegrano i capi con le loro falsità. 4Sono tutti adùlteri, ardono come un forno in cui il fornaio non attizza più il fuoco, in attesa che la pasta preparata lieviti. 5Nel giorno della festa del nostro re sommergono i capi in fiumi di vino, fino a far sì che egli si comprometta con i ribelli. 6Perché il loro intimo è come un forno, pieno di trame è il loro cuore, tutta la notte sonnecchia il loro furore e al mattino divampa come fiamma. 7Tutti ardono come un forno e divorano i loro governanti. Così sono caduti tutti i loro sovrani e nessuno si preoccupa di ricorrere a me.

La politica sbagliata 8Èfraim si mescola con le genti, Èfraim è come una focaccia non rivoltata. 9Gli stranieri divorano la sua forza ed egli non se ne accorge; la canizie gli ricopre la testa ed egli non se ne accorge. 10L’arroganza d’Israele testimonia contro di loro; non ritornano al Signore, loro Dio, e, malgrado tutto, non lo ricercano. 11Èfraim è come un’ingenua colomba, priva d’intelligenza; ora i suoi abitanti domandano aiuto all’Egitto, ora invece corrono verso l’Assiria. 12Dovunque si rivolgeranno stenderò la mia rete contro di loro e li abbatterò come gli uccelli dell’aria, li punirò non appena li udrò riunirsi. 13Disgrazia per loro, perché si sono allontanati da me! Distruzione per loro, perché hanno agito male contro di me! Li volevo salvare, ma essi hanno proferito menzogne contro di me. 14Non gridano a me con il loro cuore quando gridano sui loro giacigli. Si fanno incisioni per il grano e il vino nuovo e intanto si ribellano contro di me. 15Eppure io ho addestrato il loro braccio, ma essi hanno tramato il male contro di me. 16Si sono rivolti, ma non a colui che è in alto, sono stati come un arco fallace. I loro capi cadranno di spada per l’insolenza della loro lingua e nella terra d’Egitto rideranno di loro.

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Approfondimenti

Tradimenti e cospirazioni 6,7-7,7 v. 1. Constatazione della corruzione generale formulata al presente; «guarire», tipico termine oseano (5,13; 6,1; 11,3; 14,5), indica il perdono delle colpe e il ristabilimento del giusto rapporto con Dio fondato sull'alleanza. L'iniquità è identica all'apostasia (4,8; 5,8; 8,13); la malvagità comprende l'idolatria e le altre colpe. Samaria può indicare tutto il regno del Nord, ovvero la sua capitale. La menzogna si riferisce al culto cananeo e all'inganno praticato a danno del prossimo. I furti e il brigantaggio sono menzionati anche in 4,2; 6,9.

v. 2. La mancanza di riflessione ha fatto sì che sia esclusa ogni vera comprensione di Dio, che tuttavia ricorda la storia dei peccati del popolo. I peccati personificati sono come un muro che tiene prigioniero l'uomo e rendono testimonianza contro di esso. È una pertinente osservazione psicologica concernente il peccato.

vv. 3-7. L'oracolo divino in prima persona descrive la vita politica di Israele e precisamente le congiure di palazzo, considerate come una manifestazione del male e oggetto di collera. Il brano è costruito sulla caratteristica metafora oseana del forno (vv. 4.6.7), che mette in rilievo il furore omicida, che distingue la classe dirigente del paese. Lo sfondo storico dell'oracolo è la tragica instabilità della monarchia in Israele. In dodici anni, tra il 733 e il 721, quattro re furono assassinati: Zaccaria (2Re 15,8), Sallum (2Re 15,14), Pakachia (2Re 15,25) e Pekach (2Re 15,30). Invece di contare su Dio i politici , nella loro sfrenata ambizione, non si appoggiano che su loro stessi per abbattere un regime e porre un altro sovrano sul trono. Non è condannata tanto la monarchia in se, quanto i suoi abusi, i cambiamenti cruenti e gli intrighi. Da notare che l'accusa non è accompagnata dal giudizio.

v. 3. «rallegrano il re»: cioè gli offrono un banchetto nel giorno della incoronazione che sarà per lui fatale. Il re potrebbe essere Osea, figlio di Ela (2Re 17,1). Si suppone che si prepari segretamente una rivoluzione da parte di coloro che apparentemente sono devoti al re e ai suoi agenti. Questo atteggiamento è perfido e malvagio, perché diretto contro l'unto del Signore (Sal 18,21; 21,12s.).

** v. 4**. Il testo è corrotto e ammette diverse interpretazioni. «Tutti» sono il re, i cortigiani, i cospiratori; «bruciano d'ira»: lett. «sono adulteri», termine qui usato per indicare la mancanza di fedeltà tra gli uomini. Il singolare paragone del forno sottolinea il calcolato furore dei congiurati. Il forno, un cono d'argilla aperto verso l'alto, nel quale si metteva la pasta, veniva riscaldato la sera e attizzato al mattino; bruciava a intermittenza e doveva essere regolato con cura per poter estrarre il pane cotto. Così i cospiratori, senza svelare i loro piani, attendono il loro momento. Pochi passi biblici descrivono in modo così impressionante l'ardore rivoluzionario dei cospiratori.

v. 5. Versetto poco chiaro, specialmente l'ultimo stico. Viene descritto lo stratagemma col quale si compie la rivoluzione di palazzo; «il giorno del nostro re» è probabilmente l'anniversario dell'incoronazione o della nascita del re, celebrata con un lauto convito (Gn 40,20; Am 6,6; Is 5,11-22). Da notare che l'assassinio di Ela da parte di Limri (876) fu commesso quando la corte era immersa nell'ebbrezza (1Re 16,8-14).

v. 6. Sviluppando la metafora del forno e utilizzando allitterazioni e giochi di parole viene descritto il furore dei congiurati, che si manifesta al momento giusto.

v. 7. Riassunto della tragica storia della monarchia. Dalle origini del regno di Israele fino alla metà del sec. VII furono assassinati sette re (2Re 15,8-17,4). Invece di far ricorso al Signore nelle difficoltà, i ribelli si fanno giustizia da sé, usando con astuzia la forza brutale al momento opportuno. Gli omicidi politici sono contrari non solo al quinto precetto del decalogo, ma anche al primo, giacché JHWH è il vero re di Israele. Quando non ci si ricorda del Signore, i popoli si autodistruggono. La pericope si distingue per l'ampia trattazione del peccato e delle sue conseguenze. Abbiamo una lista di colpe connesse con nomi di località, poi la menzione dei crimini sociali e degli assassinii politici. In rapporto a Dio queste azioni sono una violazione dell'alleanza, un tradimento, una prostituzione, una falsità. In rapporto agli uomini si parla di furti, di brigantaggi e assassinii. I capi di questa condotta sono i sacerdoti e i notabili del paese.

La politica sbagliata 7,8-16 Brano di unità redazionale formato da due oracoli che trattano della politica estera (vv. 8-12), del culto cananeo e del ricorso allo straniero (vv. 13-16).Lamento, minacce, accuse e annuncio di giudizio si alternano. L'infedeltà politica e quella religiosa vanno di pari passo. Cronologicamente la pericope si situa dopo il 732 a.C., quando il re Pekach e Osea insieme al partito antiassiro cercavano l'alleanza con l'Egitto (2Re 16,20; 17,4).

v. 8. Il v. riassume tutta la storia della politica internazionale di Israele, che si è alleato con Aram, l'Egitto e l'Assiria. «Si mescola»: immagine presa dal modo di preparare la torta (cfr. Es 29,2.40; Lv 7; Nm 28). L'immagine della focaccia cotta solamente da una parte e perciò buona a nulla, significa che le alleanze con gli stranieri producono solamente disastri.

v. 9. Il ricorso agli stranieri è una falsa politica, che indebolisce il paese dal punto di vista politico, economico e religioso, condannandolo alla degradazione.

v. 10. Il versetto sembra fuori contesto e di carattere compilatorio; il v. 10a ripete 5,5a (cfr. Am 6,8) e il v. 10b riprende 4,6.11 (cfr. Is 5,25; 9,11.16.20; 10,4). Diversi autori lo considerano come una glossa. Israele cerca delle soluzioni solamente umane (alleanze, cambi di dinastia) senza fidarsi del Signore.

v. 11. L'immagine della «colomba ingenua», che alla ricerca del cibo, non si accorge della rete dell'uccelliere, indica l'incoscienza e la cecità di Israele, che si affida alle potenze straniere. Il re Menachem cercò l'alleanza dell'Assiria (2Re 15,19s.); Osea si sottomise prima a Salmanassar V (727-722 a.C.), poi mandò messaggeri in Egitto

v. 12. L'immagine dell'uccelliere è qui applicata a Dio (cfr. 5,1), che intende arrestare la sconsideratezza nella politica con qualche intervento punitivo.

v. 13. Espressione di dolore e lamento (rara in Osea) da parte di Dio che vuole salvare (cfr. Es 15,13; Dt 7,8; 9,26; 13,5) coloro che si sono ribellati contro di lui, con la mormorazione o con le pratiche cananee.

v. 14. Dopo la devastazione del paese da parte degli Assiri (732 a.C.), gli abitanti invocarono l'aiuto del Signore (8,2), però mediante i riti cananei equiparando JHWH a Baal; «non col cuore»: cioè dimenticando le clausole dell'alleanza; i «giacigli» sono gli atri dei santuari, nei quali si facevano lunghe implorazioni (Nm 14,5; Gs 7,6; 2Sam 12,20); «Si fanno incisioni»: lettura congetturale; il testo ebraico ha «sono ospiti», espressione che non offre un senso accettabile. Le lacerazioni praticate nei culti orgiastici cananei (cfr. 1Re 18,28; Ger 16,6; 41,5) erano severamente proibite dalla legge ebraica (Dt 14,1; Lv 19,28).

v. 15. Il versetto allude all'epoca del deserto e all'occupazione della terra promessa (cfr. Sal 18,35; 44,4).

v. 16. «colui che è in alto» (cioè Dio): lezione congetturale; il testo ebraico è incomprensibile; i LXX hanno «verso il niente». Gli ultimi due stichi non sono in armonia con il contesto; è possibile che appartengano a un tema diverso. Come già il profeta Isaia (7,9; 30,1ss.; 31,1ss.), Osea condanna le alleanze con le potenze straniere. Tali alleanze comportavano una sudditanza dal forestiero dal punto di vista militare, economico e religioso. In questo caso Israele perdeva la propria caratteristica e identità che dipendeva tutta dal rapporto con JHWH. L'appello allo straniero era indizio di infedeltà verso Dio, cha aveva fatto delle speciali promesse al popolo eletto. Gli Assiri distrussero in parte il regno del Nord, lo fiaccarono imponendo tributi ed esercitarono un deleterio influsso sui costumi del popolo. Il regno di Israele doveva anche in politica prestare fede a JHWH, mantenendosi indipendente e attendendo dal Signore l'aiuto necessario.

(cf. STEFANO VIRGULIN, Osea – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Liturgia penitenziale 1“Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. 2Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare, e noi vivremo alla sua presenza. 3Affrettiamoci a conoscere il Signore, la sua venuta è sicura come l’aurora. Verrà a noi come la pioggia d’autunno, come la pioggia di primavera che feconda la terra”. 4Che dovrò fare per te, Èfraim, che dovrò fare per te, Giuda? Il vostro amore è come una nube del mattino, come la rugiada che all’alba svanisce. 5Per questo li ho abbattuti per mezzo dei profeti, li ho uccisi con le parole della mia bocca e il mio giudizio sorge come la luce: 6poiché voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti.

Tradimenti e cospirazioni 7Ma essi come Adamo hanno violato l’alleanza; ecco, così mi hanno tradito. 8Gàlaad è una città di malfattori, macchiata di sangue. 9Come banditi in agguato una ciurma di sacerdoti assale e uccide sulla strada di Sichem, commette scelleratezze. 10Orribili cose ho visto a Betel; là si è prostituito Èfraim, si è reso immondo Israele. 11Anche a te, Giuda, io riserbo una mietitura, quando ristabilirò la sorte del mio popolo.

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Approfondimenti

Liturgia penitenziale 6,1-6 Quale risposta all'attesa del Signore (5,15), si legge in 6,1-3 un canto di penitenza messo in bocca al popolo o a un sacerdote, comprendente un duplice invito a ritornare a JHWH e a riconoscere la sua signoria, seguito da dichiarazioni fiduciose nella salvezza. La sofferenza della nazione è considerata come un castigo del Signore; probabilmente è supposta la catastrofe del 732 a.C., quando furono strappate dall'Assiria al regno del Nord le regioni settentrionali del paese. Nei vv. 4-6 Osea, a nome di Dio, risponde con un lamento che l'atteggiamento del popolo non corrisponde alle attese divine. I canti penitenziali erano usati in tempi di crisi nazionale, quando il popolo si riuniva per digiunare, pregare e offrire sacrifici (cfr. Gs 7,6s.; Gdc 20,23.28). È da notare che in questa liturgia penitenziale manca l'espressione della colpa e del pentimento.

v. 1. Dopo la catastrofe del 732 il popolo riconosce di essere come un malato (5,13) che cerca la guarigione presso Dio (cfr. 7,1; 11,3; Is 30,26; Ez 34,16). Il ritorno a Dio (cfr. 2,9; 3,5; 5,4; Ger 3,7) è l'unica via di salvezza. Le parole sembrano implicare una conversione, ma non è così; si tratta di un calcolo interessato e di uno sfruttamento egoistico della potenza divina.

v. 2. L'espressione numerica: «dopo due giorni... il terzo» indica un breve intervallo di tempo. Questo testo ha forse ispirato la comunità cristiana primitiva, che annunciava la risurrezione del Signore al terzo giorno (cfr. 1Cor 15,4; Lc 24,7). Viene espressa una presuntuosa fiducia che JHWH risponderà presto alle suppliche del popolo.

v. 3. Probabilmente il verbo «conoscere» è usato in senso liturgico, cioè di invocare Dio nel culto (cfr. 8,1s.). Le piogge di autunno (ottobre-novembre) permettono la semina, quelle di primavera (marzo-aprile) assicurano la maturazione dei cereali. Il dono della pioggia veniva celebrato nei culti cananei della fertilità. Le immagini tratte dal mito vengono trasferite a JHWH, senza tener conto della libertà divina e dei suoi interventi nella storia della salvezza.

v. 4. Nella risposta divina redatta in seconda persona c'è un lamento circa la passeggera lealtà e l'incostanza del popolo. Le immagini della rugiada e della nube indicano qualcosa di passeggero e superficiale.

v. 5. La parola di Dio, annunciata dai profeti, è come una spada che colpisce a morte (Is 49,2; Eb 4,12), ma il giudizio divino ha lo scopo di condurre alla conversione, perciò ha un senso salvifico.

v. 6. Solenne formula lapidaria e concisa, composta di affermazioni e negazioni, che riassume l'insegnamento etico profetico e farà fortuna nella letteratura biblica posteriore (Is 1,10-20; 58; Ger 7; Am 5,18-24; Zc 7; Prv 21,3.27; 15,18; Sir 34,18-35,10). L'amore e la conoscenza di Dio sono opposti ai sacrifici e agli olocausti. Non si tratta del ripudio puro e semplice di ogni sacrificio, ma del rigetto del culto contaminato, praticato nella religione cananea; si insiste sull'adesione totale al vero Dio e sulla fedeltà ai precetti dell'alleanza. La sentenza che esprime perfettamente la natura della religione spirituale, viene citata da Gesù in Mt 9,13; 12,7. Nella pericope vengono usati insieme diversi termini teologici importanti: «ritornare a Dio» (v. 1), «conoscere il Signore» (v. 3.6), l'amore (v. 4.6). In 10 testi oseani il verbo «ritornare» indica la conversione. Applicato al popolo indica il ripristino del rapporto originale di alleanza con JHWH (2,9), la ricerca di Dio (3,5), la conversione del cuore (12, 7; 14, 25.8). In senso negativo il mancato ritorno indica il peccato (5,4; 7,10.16), e il castigo considerato come «ritorno in Egitto» (8,3; 9,3; 11,5). Nel nostro testo il verbo ritornare ha un significato particolare: indica un tentativo di conversione che è illusorio. Anche i termini della conoscenza e dell'amore perdono il loro significato profondo e vitale, perché il rapporto con Dio, che essi suppongono, non è fondato sulla storia salvifica e sull'alleanza, ma sulle forze della natura, per cui Dio viene paragonato ai Baal. Solamente sulla bocca di Dio la conoscenza e l'amore (v. 6) assumono quel valore ricco e pregnante che è tipico della concezione oseana.

Tradimenti e cospirazioni 6,7-7,7 Il brano è un'unità tematica che comprende tre detti oseani:

  1. un oracolo divino in prima persona, contenente un catalogo di crimini commessi in varie località (6,7-11);
  2. una nuova breve rassegna di vizi con l'annuncio indiretto del castigo (7,1-2)
  3. entrando nel campo politico, la descrizione dei frequenti intrighi e complotti caratteristici della fine del regno d'Israele (7,3-7). Si nota la presenza di testi difficili e di allusioni ambigue.

v. 7. «come Adamo»: espressione enigmatica. Si potrebbe intendere come un riferimento alla rottura del “patto originale” avvenuta nell'Eden (Gn 3). Altri traducono «come un uomo», cioè in modo umano, alludendo alla fragilità dell'uomo nell'osservare i patti. Altri studiosi leggono «sulla terra»; infine alcuni preferiscono identificare il termine con una località della valle del Giordano (Tel-ed-Damijeh), dove si praticava un culto straniero (Gs 3,16). Per la prima volta appare nella letteratura profetica il termine «alleanza» (cfr. 8,1), che indica quella del Sinai. Osea non ne parla in modo specifico, ma asserisce più volte che il rapporto tra Dio e Israele è iniziato al tempo dell'esodo (9,10; 11,1; 12,9; 13,4). Il v. sottolinea anche che l'infedeltà di Israele ha radici profonde.

v. 8. «Galaad» è una località situata sull'altipiano transgiordano che porta lo stesso nome (cfr. Gdc 10,17). Si allude forse ai sacrifici di bambini offerti al dio Milcom (2Sam 12,30; 1Re 11,5.33) o alla rivoluzione cruenta contro Pekach (2Re 15,25).

v. 9. Versetto oscuro; «Sichem», città levitica, a differenza di Dan e Betel (1Re 12,31), era rimasta un centro culturale ortodosso (cfr. Dt 27; Gs 8,30ss.). È probabile che i sacerdoti legati ai culti cananei impedissero, anche con la violenza, l'accesso dei fedeli a questo santuario e ne violassero il diritto d'asilo.

v. 10. Il versetto riprende l'accusa di 5,4. JHWH esprime la sua sdegnata ripulsa; «cose orribili» (cfr. Ger 5,30; 18,13; 23,14) sono l'apostasia e il culto degli dei stranieri collegato coi riti della prostituzione sacra; «in Betel»: correzione dettata dal contesto; il testo ebraico ha: «in Israele».

v. 11. Versetto discusso e oscuro. La mietitura è una metafora che indica l'atto finale di Dio nel corso della storia (Am 8,12; Ger 51,33; Gl 4,13); «ristabilirò» indica la restaurazione dell'integrità del rapporto di alleanza. Il tono consolatorio del versetto e la menzione di Giuda sembrano in contraddizione con il contesto. Si tratterebbe di una glossa dovuta ad un redattore giudaico che applica a Giuda le accuse fatte a Israele (cfr. 1,7; 3,5; 4,15; 5,5).

(cf. STEFANO VIRGULIN, Osea – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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La rovina dovuta ai capi 1Ascoltate questo, o sacerdoti, state attenti, casa d’Israele, o casa del re, porgete l’orecchio, perché a voi toccava esercitare la giustizia; voi foste infatti un laccio a Mispa, una rete tesa sul Tabor 2e una fossa profonda a Sittìm. Ma io correggerò tutti costoro. 3Io conosco Èfraim e non mi è ignoto Israele. Ti sei prostituito, Èfraim! Si è reso impuro Israele. 4Le loro azioni non permettono di fare ritorno al loro Dio, perché uno spirito di prostituzione è fra loro e non conoscono il Signore. 5L’arroganza d’Israele testimonia contro di lui, Israele ed Èfraim inciamperanno per le loro colpe e Giuda inciamperà con loro. 6Con le loro greggi e i loro armenti andranno in cerca del Signore, ma non lo troveranno: egli si è allontanato da loro. 7Sono stati infedeli verso il Signore, generando figli bastardi: la nuova luna li divorerà insieme con i loro campi.

Processo contro Giuda e Israele 8Suonate il corno a Gàbaa e la tromba a Rama, date l’allarme a Bet-Aven, all’erta, Beniamino! 9Èfraim sarà devastato nel giorno del castigo: per le tribù d’Israele annuncio una cosa sicura. 10I capi di Giuda sono diventati come quelli che spostano i confini e su di loro come acqua verserò la mia ira. 11Èfraim è schiacciato dal giudizio, da quando ha cominciato a inseguire il nulla. 12Ma io sarò come una tignola per Èfraim, e come un tarlo per la casa di Giuda. 13Èfraim ha visto la sua infermità e Giuda la sua piaga. Èfraim è ricorso all’Assiria e Giuda si è rivolto al gran re; ma egli non potrà curarvi, non guarirà la vostra piaga, 14perché io sarò come un leone per Èfraim, come un leoncello per la casa di Giuda. Io li sbranerò e me ne andrò, porterò via la preda e nessuno me la toglierà. 15Me ne ritornerò alla mia dimora, finché non sconteranno la pena e cercheranno il mio volto, e ricorreranno a me nella loro angoscia.

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Approfondimenti

La rovina dovuta ai capi 5,1-7 Sotto forma di processo giudiziario vengono accusate le classi dirigenti del paese (vv. 1-2), poi tutto il popolo (vv. 3-5), cui viene annunciato il castigo (vv. 6-7). Nei primi tre versetti parla JHWH, negli altri il profeta.

vv.1-2. Con tre imperativi viene richiamata l'attenzione di tre gruppi specifici, responsabili della cosa pubblica: i «sacerdoti» (cfr. 4,4-10), i notabili (= «gente d'Israele») e i dignitari del regno, che rappresentavano il re (= «casa del re»); «poiché contro di voi si fa il giudizio»; altra possibile versione «poiché il diritto è il vostro compito». In questa seconda versione il diritto è la perfetta esecuzione delle leggi divine (cfr. Dt 1,17; Mic 3,1). Le colpe dei capi sono espresse mediante tre immagini venatorie e tre luoghi topografici. Il «laccio» (cfr. Qo 9,12), la «rete» e la «fossa» (la versione di questo ultimo termine è dubbia per la corruzione del testo: cfr. Prv 26,27; Sal 7,16; 9,16) sono strumenti che servono a prendere gli uccelli o a far cadere qualcuno. Metaforicamente significano che i capi del popolo sono stati occasione delle colpe della nazione; «Mizpa» è probabilmente una località situata presso Gerasa in Transgiordania (cfr. Gdc 10,17; 11,11), non la fortezza che si trova a nord di Gerusalemme (cfr. Gdc 20,1ss.; 21,1-8); il monte «Tabor», situato nella valle di Izreel, è stato un antico luogo di culto cananeo (Dt 33,19; Gdc 4,6.12); «Sittim» (correzione del testo ebraico che legge «aberrazioni») è una località a est del Giordano situata di fronte a Gerico, tristemente famosa per l'episodio di Baal-Peor (cfr. 9,10; Nm 25,1-18).

v. 3. Le colpe, di cui i capi sono responsabili, sono le pratiche idolatriche del culto cananeo. Efraim, la principale tribù del regno del Nord, è in parallelismo con Israele, che indica il regno settentrionale.

v. 4. Descrizione radicale del peccato, che rende schiavo l'uomo incapace di risorgere (cfr. Gn 8,21). Le «opere» (4,9; 7,2; 9,15; 12,2) sono gli errori commessi da Israele (cfr. 6,7ss.; 9,10ss.), che hanno contaminato e plasmato il suo carattere in modo così profondo, da costituire un muro invalicabile (7,2). Lo spirito di fornicazione, già proprio di Gomer (1,2) e del popolo (4,12) è una barriera eretta fra Dio e l'uomo, che impedisce di «conoscere» Dio e di ritornare a lui. Solamente il giudizio di Dio può salvarli da questa impossibilità (cfr. 3,5).

v. 5. «L'arroganza» che si è impossessata di Israele (cfr. Am 6,8; Ger 13,9) è personificata e figura come testimone a carico dell'accusa presso il tribunale (cfr. Mic 6,3; 1Sam 12,3; 2Sam 1,16). Questo atteggiamento si fonda sul benessere, sulle ricchezze e l'imitazione dei costumi cananei.

V. 6. Viene descritto il modo come avverrà la caduta di Israele. A nulla varranno i pellegrinaggi ai santuari intesi a sollecitare l'aiuto divino coi riti sacrificali (cfr. Am 5,4.6).

v. 7. Viene ripresa l'accusa e preannunciato il giudizio; «figli bastardi», cioè generati durante le cerimonie cananee o praticanti il culto cananeo sincretistico (cfr. 2,4s.; Ger 2,27); «un conquistatore» è una lezione congetturale del testo ebraico che sembra corrotto e legge «mese, novilunio». Altri traducono «un vento bruciante» (cfr. 13,15), metafora che indicherebbe l'Assiro. Il termine «conquistatore» è riferito a Dio, che invia una siccità, che causa una completa improduttività (cfr. 2,5.11; Gio 4,8).

Questa pericope è ricca di temi teologici. Viene ribadita la responsabilità dei capi nella degenere situazione religiosa e morale del popolo. Sotto l'influsso delle azioni peccaminose l'uomo perde il buon senso e la sua libertà, non ha la conoscenza degli agguati che gli vengono tesi e diventa schiavo del peccato. In questo questo modo risulta impossibile la conversione. L'uomo accecato, dall'orgoglio, pone la sua fiducia nel benessere materiale e nella pratica dei culti cananei. È come ossessionato dallo spirito di «prostituzione» nella pratica delle orge idolatriche, per cui è abbandonato dal vero Dio.

Processo contro Giuda e Israele 5,8-15 Complesso di sentenze diverse tenute insieme da elementi letterari e tematici, che sotto forma di processo dialettico tratta dei rapporti tra i due stati fratelli di Giuda e di Israele. A un grido di allarme (v. 8) segue una minaccia contro Israele (v. 9), la descrizione del peccato e del castigo di Giuda (v. 10), della colpa di Efraim e del castigo di ambedue gli stati (vv. 11-12). Inutile e il ricorso all'Assiria (vv. 13-14); il Signore si ritirerà attendendo il pentimento (v. 15). Le allusioni politiche sono vaghe, ma gli oracoli si inseriscono bene nel contesto della guerra siro-efraimitica (735-734 a.C.: cfr. Is 7,1; 2Re 16,5-9). II brano, che è ricco di immagini, contiene il ripudio della politica dei due regni.

v. 8. Improvviso appello militare, che suppone la guerra già in atto, e cioè un attacco di Giuda contro Israele. L'invasione viene dal sud. Le tre località (Gabaa e Rama si trovano un po' a nord di Gerusalemme; Bet-Aven, nomignolo di Betel, è localizzato in Israele) appartengono al territorio concesso alla tribù di Beniamino (Gs 18,21ss.). Dopo lo scisma Giuda si appropriò di Gabaa e Rama, che furono fortificate (1Re 15,16-22). Quando Pekach, re di Israele, e Rezin, re di Damasco, si avvicinarono a Gerusalemme per costringere Acaz, re di Giuda, ad aderire alla lega antiassira, quel territorio fu reclamato da Israele (2Re 16,5; Is 7,1s.). Ma all'avvicinarsi dell'aiuto assiro in favore di Giuda, Israele e Damasco si ritirarono e Giuda rioccupò quelle piazzeforti. Contro questo contrattacco reagisce Osea, che si dimostra buon patriota.

v. 9. È imminente il giorno del giudizio; «una cosa sicura»: sono le sventure, quali l'occupazione del paese da parte di Tiglat-Pilezer, re assiro, la deportazione e la distruzione del regno di Israele (722 a.C.; 2Re 15,29; 17,5s.).

v. 10. «spostano i confini»: la colpa di Giuda e di aver annesso il territorio appartenente a Israele. I confini degli stati erano sacri, come quelli dei campi (Dt 19,14; 27,17; Prv 22,28; 23,10; Gb 24,2).

v. 11. «oppressore, violatore del diritto»: questa versione adottata dalla BC si basa sulla lezione dei LXX, che legge i verbi all'attivo; viene condannata l'invasione di Efraim contro Giuda e in particolare l'alleanza con il re pagano di Damasco. Ma il testo ebraico ha i verbi al passivo e la versione è (con alcune correzioni) «Efraim è oppresso, il diritto è violato». In questo caso abbiamo un lamento sulla calamità che colpisce Efraim, cioè sull'invasione di Tiglat-Pilezer III. Il motivo è l'inseguimento delle vanità, probabilmente dell'idolatria (cfr. 4,12.17s.; Ger 2,8; Dt 13,5) o anche l'alleanza con un pagano.

v. 12. Due audaci metafore descrivono il castigo divino dei due stati fratelli: la «tignola» (Is 50,9; 51,8; Gb 4,19; 13,28) e la «carie» (Ab 3,16; Gb 13,28; Prv 12,4; 14,30) simboleggiano l'opera di decomposizione interna che prepara la demolizione dei due regni. In realtà il regno di Giuda sopravviverà ancora per un secolo e mezzo.

v. 13. Nella crisi i due stati fanno ricorso al loro nemico mortale, il re assiro. Israele cercò l'aiuto dell'Assiria durante il regno di Menachem, prima della guerra siro-efraimitica (2Re 15,19) e anche più tardi il re Osea era un vassallo dell'Assiria. Acaz di Giuda invocò l'aiuto di Tiglat-Pilezer III nel 735 a.C. (2Re 16,7ss.; Is 7,4-9). Efraim e Giuda sono presentati come malati incurabili (cfr. Is 1,5s.; 7,4.11; Ger 30,12ss.). «il gran re» (cioè l'Assiro) è una lettura congetturale che sostituisce il testo ebraico che ha «il re di Jareb». Osea giudica inutili le alleanze con lo straniero.

v. 14. Con l'ardita immagine del leone, che dilacera indisturbato la sua preda, è descritto l'assoluto dominio di Dio nella storia, per cui è capace di compiere una totale distruzione. Il leone non è solamente simbolo di forza (Prv 30,30), ma anche di morte (Sal 7,3).

v. 15. Il discorso è interrotto. Come risposta al giudizio descritto nei vv. 10-14 JHWH, che ritorna nel cielo (Is 18,4; 63,15; Ger 25,30; Mic 1,3; Sal 18,7), aspetta che il popolo si converta. Osea, originario del regno del Nord, si interessa anche alle sorti di Giuda, giacché i due regni sono fratelli. Il ricorso alla forza militare per difendere i propri interessi viene decisamente escluso dal profeta. Anche la ricerca di appoggio presso le potenze straniere è considerata come inutile. Il re assiro, confrontato con JHWH, non è un fattore decisivo per la storia. La vita politica del popolo eletto deve fondarsi su Dio e sull'osservanza della sua legge, dal momento che egli è sorgente di vita, ma anche di morte, quando si tratta di punire le colpe dei due stati. Le immagini usate nella pericope sono di una sconcertante brutalità. JHWH è presentato come un leone feroce, una tignola, un tarlo, mentre nei primi cc. è descritto come colui che è mosso da uno sconvolgente amore per il popolo.

(cf. STEFANO VIRGULIN, Osea – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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ORACOLI DI MINACCIA E SALVEZZA

Giudizio contro i sacerdoti 1«Ascoltate la parola del Signore, o figli d’Israele, perché il Signore è in causa con gli abitanti del paese. Non c’è infatti sincerità né amore, né conoscenza di Dio nel paese. 2Si spergiura, si dice il falso, si uccide, si ruba, si commette adulterio, tutto questo dilaga e si versa sangue su sangue. 3Per questo è in lutto il paese e chiunque vi abita langue, insieme con gli animali selvatici e con gli uccelli del cielo; persino i pesci del mare periscono. 4Ma nessuno accusi, nessuno contesti; contro di te, sacerdote, muovo l’accusa. 5Tu inciampi di giorno e anche il profeta con te inciampa di notte e farò perire tua madre. 6Perisce il mio popolo per mancanza di conoscenza. Poiché tu rifiuti la conoscenza, rifiuterò te come mio sacerdote; hai dimenticato la legge del tuo Dio e anch’io dimenticherò i tuoi figli. 7Tutti hanno peccato contro di me; cambierò la loro gloria in ignominia. 8Essi si nutrono del peccato del mio popolo e sono avidi della sua iniquità. 9Il popolo e il sacerdote avranno la stessa sorte; li punirò per la loro condotta e li ripagherò secondo le loro azioni. 10Mangeranno, ma non si sazieranno, si prostituiranno, ma non aumenteranno, perché hanno abbandonato il Signore per darsi 11alla prostituzione. Il vino vecchio e quello nuovo tolgono il senno.

La colpa d'Israele 12Il mio popolo consulta il suo pezzo di legno e il suo bastone gli dà il responso, poiché uno spirito di prostituzione li svia e si prostituiscono, allontanandosi dal loro Dio. 13Sulla cima dei monti fanno sacrifici e sui colli bruciano incensi sotto la quercia, i pioppi e i terebinti, perché buona è la loro ombra. Perciò si prostituiscono le vostre figlie e le vostre nuore commettono adulterio. 14Non punirò le vostre figlie se si prostituiscono, né le vostre nuore se commettono adulterio; poiché essi stessi si appartano con le prostitute e con le prostitute sacre offrono sacrifici. Un popolo, che non comprende, va in rovina! 15Se ti prostituisci tu, Israele, non si renda colpevole Giuda. Non andate a Gàlgala, non salite a Bet-Aven, non giurate per il Signore vivente. 16E poiché come giovenca ribelle si ribella Israele, forse potrà pascolarlo il Signore come agnello in luoghi aperti? 17Èfraim si è alleato agli idoli: 18dopo essersi ubriacati si sono dati alla prostituzione, hanno preferito il disonore alla loro gloria. 19Un vento li travolgerà con le sue ali e si vergogneranno dei loro sacrifici.

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Approfondimenti

ORACOLI DI MINACCIA E SALVEZZA 4,1-11,11 Questi capitoli, che comprendono solamente delle sentenze, spesso raccolte in composizioni più ampie, e nessuna narrazione, contengono un materiale eterogeneo. Viene denunciata la corruzione cultuale e morale del popolo indicata come prostituzione (4,1-10.11-19; 5,1-7); vengono smascherati gli abusi politici e sociali, con la frequente menzione del re e del principe 5,8-10; 5,11-7,7; 7,8-16; 8,1-10). Viene ripreso il tema del culto e il motivo del ritorno in Egitto (8,11-14; 9,1-9) e introdotta una serie di considerazioni storiche retrospettive (9,10-17; 10,1-10.11-15; 11,1-11). I vari imperativi come «Ascoltate» (4,1; 5,1), «Venite» (6,1), «Da' fiato alla tromba» (8,1), «Non' darti alla gioia» (9,1) servono a individuare i singoli componimenti. Si prospetta un quadro fosco della vita e della società israelitica, ma non mancano gli accenti di compassione e le speranze di ravvedimento.

Giudizio contro i sacerdoti 4,1-11 La pericope comprende due dibattiti processuali, uno diretto contro tutta la nazione (vv. 1-3) e l'altro contro il clero (vv. 4-11).

Il primo comprende tre tempi:

  1. la comparizione in giudizio (v. 1a),
  2. l'elenco dei capi di accusa (vv. 1b-2)
  3. la sentenza (v. 3).

Nel secondo caso la struttura non è chiara né precisa; viene richiamato il giudizio divino (vv. 4-5a), denunciata la principale colpa del clero (vv. 5b-6a) e applicata la legge del taglione (v. 6b); vengono di nuovo descritti i crimini del clero (vv. 7-8) e comminata la punizione (vv. 9-10). Frequente è il passaggio dalla seconda alla terza persona e alcune frasi sembrano fuori posto o aggiunte posteriori.

v. 1. «Ascoltate»: formula rara in Osea (ancora in 5,1), ma frequente in altri profeti (cfr. Am 3,1; Mic 3,1). JHWH appare come accusatore e giudice. Egli attesta l'assenza di tre atteggiamenti religiosi fondamentali: la mancanza di sincerità ('emet, usato solo qui in Osea), cioè di fiducia e lealtà tra gli individui (Es 18,21; Gdc 9,16.19). Manca l'«amore» (termine oseano per eccellenza hesed), che nell'uomo indica l'amicizia, la tenerezza, la pietà, in una parola la carità verso il prossimo (6,6; 10,12; 12,7). 'emet e hesed si trovano spesso accoppiati (Gn 24,49; 47,29; Es 34,6; Gs 2,14; 2Sam 15,20). L'assenza della «conoscenza di Dio» indica la non accettazione della rivelazione divina e una vita pratica difforme dalle sue esigenze (4,6; 2,22; 5,4; 6,3).

v. 2. I peccati sociali vengono espressi con cinque infiniti assoluti. Si spergiura proferendo una maledizione e pronunciando il nome di Dio (cfr. 7,3; 10,13; 12,1); con la menzogna si inganna e si tradisce il prossimo soprattutto processi (Es 20,16; Lv 19,11). Vengono poi citati tre precetti del decalogo: uccidere come fatto ordinario, rubare e commettere adulterio. Sembra che Osea abbia conosciuto il decalogo (cfr. 8,1.12; Es 20,7.13-17; Lv 19,11ss.). Una simile enumerazione si trova in Ger 7,9. Probabilmente il versetto faceva parte di una catechesi impartita dai sacerdoti.

v. 3. La punizione è la siccità, che corrisponde a uno stato di morte, in cui si trovano uomini e animali (Am 1,2; 4,7; 7,4; Ger 9,9; 12,4; 14,2-6; Gl 1,16-20; 2,3). L'uomo è considerato coralmente corresponsabile di tutta la creazione (Gn 3,17; 5,29; Is 24,3-6; 33,9; Rm 8,19-22).

v. 4. Il v. 4 che è oscuro, si collega male con il contesto. Il TM legge: «il tuo popolo è come coloro che accusano il sacerdote»; spesso viene corretto come fa la versione BC: «contro di te, sacerdote, muovo l'accusa». Il sacerdote può indicare il sommo sacerdote o collettivamente tutto il clero. Dio rivendica a sé solo l'accusa e il giudizio contro il clero.

v. 5. Il testo del versetto e i tempi usati sono incerti; l'«inciampo» si riferisce ad una punizione imminente. La menzione del profeta accostato al sacerdote – unico caso in Osea – è forse un'interpolazione giudaica, dato che i soli casi di profeti legati ai santuari si trovano nel regno di Giuda (Am 7,12; Mic 3,11; Is 28,7; Ger 2,8; 4,9; 5,31; 6,13; 8,10; 14,18; 23,11); la «madre» indica la totalità del popolo; «giorno e notte» significano sempre.

v. 6. La «conoscenza» è l'apprendimento della legge del Signore e l'osservanza dei precetti del decalogo (Es 19,5; 20,1); la «legge di Dio» è l'insieme dei precetti riguardanti il culto e la morale, conservati dalla tradizione orale, quale espressione della volontà di Dio. Ai sacerdoti negligenti è applicata la legge del taglione (cfr. Sal 7,15s.; 57,7; Prv 1,31; 5,22; Sap 11,16); «i tuoi figli» sono f membri del clero.

v. 7. «la loro gloria» è JHWH (cfr. Ger 2,11; Sal 106,20); il «vituperio» e la vergogna e potrebbe indicare anche i Baal.

v. 8. Si allude all'avidità del cero, al quale era dovuta una parte dei sacrifici offerti dal popolo, ma non sono esclusi i sacrifici che i sacerdoti offrivano ai Baal (cfr. 1Sam 2,12-17).

v. 10. Il castigo comporta la fame invece dell'avidità e la mancanza di prole invece dei riti cananei della fecondità, ai quali fa allusione il termine «prostituzione» (cfr. 2,14; 4,18; 9,1).

v. 11. Probabilmente si tratta di un proverbio popolare di indole sapienziale, che qui sembra fuori contesto. Per Am 2,8; 6,6 il vino è causa di corruzione; qui è applicato ai riti idolatrici.

La colpa d'Israele 4,12-19 I brano assai complesso comprende proverbi e minacce contro i culti israelitici denunciati come infedeli (vv. 12-13b) e immorali (vv. 13c-14b). La conclusione (v. 14c), contiene una sentenza proverbiale. JHWH parla in prima persona. La requisitoria continua sulla bocca del profeta, che impartisce un ordine contro i santuari (v. 15), constata la disobbedienza del popolo (vv. 16-17) e annuncia il castigo imminente (v. 19).

v. 12. Vengono descritte in modo particolareggiato le pratiche sincretistiche tese a favorire la fecondità mediante la divinazione; «il suo pezzo di legno» è un termine sprezzante che indica l'idolo di legno (Is 44,13ss.; Ger 10,3; Ab 2,18s.) o il palo sacro, emblema della divinità femminile (Es 34,13; Dt 7,5; Gdc 6,25); «spirito di prostituzione» indica una forte inclinazione verso le pratiche illecite (1,2; 5,4; Es 28,3; Nm 5,14; Is 19,14); il «bastone» allude alla forma di divinazione chiamata rabdomanzia.

v. 13. Il culto praticato sulle cime dei monti nel quadro suggestivo dei boschi, cioè nei santuari cananei (cfr. Dt 12,2; Ger 2,20; 1Re 14,23; 2Re 17,10), comportava anche la “prostituzione sacra”, con la quale si cercava di assicurarsi la fecondità degli uomini, degli animali e del suolo.

v. 14. Sorprendente è la reazione di JHWH. La colpa delle donne che si danno alla prostituzione è meno grave di quella dei capi e degli anziani e mariti, perché vi sono spinte dal loro esempio. Affiora il tema di una indulgenza particolare per le donne traviate. Lo stico finale di genere sapienziale è un lamento sull'inevitabile rovina (cfr. Prv 10,8.10).

v. 15. La menzione di Giuda è attribuita da alcuni autori a un redattore giudeo (cfr. Am 5,5), altri invece la considerano autentica (cfr. 5,5.10.13s.; 6,4). Tre imperativi sono diretti contro il culto dei principali santuari del Nord. «Galgala» si trova nella valle del Giordano (Gs 4,19; 5,2-9; cfr. Os 9,15; 12,12); «Bet-Aven» (= casa di iniquità) è un nome dispregiativo di Betel, sede del santuario nazionale di Israele (5,8; 10,5; 12,5).

v. 16. Il bizzarro paragone di Israele con la giovenca ribelle (cfr. Ger 2,20; Zc 7,11; Ne 9,29) sottolinea l'ostinazione del popolo pervertito, che non può essere pascolato dal Signore (cfr. Ger 10,21; 17,18; 23,2; 31,10; Ez 34; Mic 3,2s.).

v. 17. «Efraim», una delle tribù del regno settentrionale, indica qui per estensione tutto il paese. In questo senso il termine è usato una trentina di volte in Os (cfr. 5,3; 11,8).

v. 18. Il profeta stigmatizza l'eccitazione provocata dall'alcool, che conduce alle frenesie sessuali.

v. 19. L'immagine del vento sottolinea la violenza del castigo (cfr. 13,3; Is 17,13; Sal 1,4; 35,5).

(cf. STEFANO VIRGULIN, Osea – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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La nuova unione 1Il Signore mi disse: «Va’ ancora, ama la tua donna: è amata dal marito ed è adultera, come il Signore ama i figli d’Israele ed essi si rivolgono ad altri dèi e amano le schiacciate d’uva». 2Io me l’acquistai per quindici pezzi d’argento e un homer e mezzo d’orzo 3e le dissi: «Per molti giorni starai con me, non ti prostituirai e non sarai di alcun uomo; così anch’io mi comporterò con te». 4Poiché per molti giorni staranno i figli d’Israele senza re e senza capo, senza sacrificio e senza stele, senza efod e senza terafìm. 5Poi torneranno i figli d’Israele, e cercheranno il Signore, loro Dio, e Davide, loro re, e trepidi si volgeranno al Signore e ai suoi beni, alla fine dei giorni.

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Approfondimenti

La nuova unione 3,1-5 Brano autobiografico dovuto al profeta, comprendente una narrazione (comando divino e esecuzione: vv. 1-3) e un oracolo profetico che interpreta in modo negativo e positivo l'azione simbolica (vv. 4-5). Il rapporto tra questo brano e il c. 1 può essere spiegato in diversi modi; il più verosimile è di considerare la donna innominata identica con Gomer, sempre amata da Osea malgrado il tradimento. Si tratterebbe di una seconda fase del matrimonio di Osea con Gomer. Il significato simbolico del brano è quello di sottolineare i termini del castigo cui sarà sottoposto Israele e annunciarne la conversione. Esiste uno stretto parallelismo tra i cc. 2 e 3.

v. 1. Il comando divino va inteso nel senso non di un nuovo matrimonio, ma di un ritorno sincero e totale all'unione primitiva nell'amore. «una donna»; si tratta di Gomer. La donna pratica i riti della prostituzione sacra. Ma Dio rimane fedele a Israele, anche se esso corre dietro ai Baal. Il termine «amare» è usato quattro volte nel versetto ed è applicato in senso positivo e negativo a vari soggetti; «le schiacciate d'uva» erano delle torte distribuite durante le feste cananee e altamente apprezzate dagli Israeliti (2Sam 6,19; 1Cr 16,3; Ger 7,18; 44,19; Ct 2,5).

V. 2. La somma pagata, metà in denaro e metà in natura, equivalente a quella di uno schiavo (cfr. Es 21,32; Zc 11,13), è considerata come un compenso per i diritti di proprietà dell'altro sposo o del santuario nel quale veniva esercitata la prostituzione.

v. 3. La ripresa della vita matrimoniale non è immediata; deve precedere un periodo di educazione. L'astinenza equivale a una purificazione dopo una vita peccaminosa; la donna deve evitare i rapporti illeciti di prostituzione e anche quelli leciti con Osea.

v. 4. Viene spiegato negativamente il significato simbolico dell'astinenza; essa indica la dolorosa privazione di tutte le istituzioni politiche e religiose che assicurano la vita e la libertà di Israele, cioè il tempo dell'esilio. Vengono menzionati sei elementi espressi con tre paia e riguardanti la monarchia: «re e capi» (cfr. 7,3; 8,4.10; 1,10); il culto: «sacrificio e stele», cioè una pietra che simboleggia nel culto cananeo la divinità maschile (10,1s.; Gn 35,14; 1Re 14,23; 2Re 18,4) ed era proibita dal Dt (Dt 16,21s.), e per ultimo le tecniche della divinazione e magia. L'efod è un oggetto di culto che serviva a trarre degli oracoli (Gdc 8,27; 17,5; 1Sam 23,6-13; 30,7). I terafim erano dei piccoli idoli domestici (Gn 31,19; Gdc 17,5; 1Sam 15,23) o strumento coi quali si consultava JHWH (Gdc 18,14.20; Ez 21,26; Zc 10,2).

v. 5. Il simbolismo positivo è riportato «alla fine dei giorni», cioè a un periodo più o meno lontano (è il tipico linguaggio escatologico); «tornare» e «cercare il Signore» sono due termini fondamentali del vocabolario teologico oseano. Il ritorno è concepito come un ristabilimento del rapporto esistente tra Dio e Israele al momento dell'esodo e della marcia nel deserto (cfr. 6,1; 12,6; 14,1s.7), ed equivale alla conversione. La ricerca del Signore indica l'impegno nel servire Dio (5,6; 14,3). Il ritorno e la ricerca sono usati come sinonimi (5,15s; 1,10). La menzione di David è probabilmente una rilettura di origine giudaica; «i beni del Signore» sono i frutti della terra (2,10; 14,2; Ger 31,12.14).

(cf. STEFANO VIRGULIN, Osea – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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La salvezza futura 1Il numero degli Israeliti sarà come la sabbia del mare, che non si può misurare né contare. E avverrà che invece di dire loro: “Voi non siete popolo mio”, si dirà loro: “Siete figli del Dio vivente”. 2I figli di Giuda e i figli d’Israele si riuniranno insieme, si daranno un unico capo e saliranno dalla terra, perché grande sarà il giorno di Izreèl! 3Dite ai vostri fratelli: “Popolo mio”, e alle vostre sorelle: “Amata”.

La sposa infedele 4Accusate vostra madre, accusatela, perché lei non è più mia moglie e io non sono più suo marito! Si tolga dalla faccia i segni delle sue prostituzioni e i segni del suo adulterio dal suo petto; 5altrimenti la spoglierò tutta nuda e la renderò simile a quando nacque, e la ridurrò a un deserto, come una terra arida, e la farò morire di sete. 6I suoi figli non li amerò, perché sono figli di prostituzione. 7La loro madre, infatti, si è prostituita, la loro genitrice si è coperta di vergogna, perché ha detto: “Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane e la mia acqua, la mia lana, il mio lino, il mio olio e le mie bevande”. 8Perciò ecco, ti chiuderò la strada con spine, la sbarrerò con barriere e non ritroverà i suoi sentieri. 9Inseguirà i suoi amanti, ma non li raggiungerà, li cercherà senza trovarli. Allora dirà: “Ritornerò al mio marito di prima, perché stavo meglio di adesso”. 10Non capì che io le davo grano, vino nuovo e olio, e la coprivo d’argento e d’oro, che hanno usato per Baal. 11Perciò anch’io tornerò a riprendere il mio grano, a suo tempo, il mio vino nuovo nella sua stagione; porterò via la mia lana e il mio lino, che dovevano coprire le sue nudità. 12Scoprirò allora le sue vergogne agli occhi dei suoi amanti e nessuno la toglierà dalle mie mani. 13Farò cessare tutte le sue gioie, le feste, i noviluni, i sabati, tutte le sue assemblee solenni. 14Devasterò le sue viti e i suoi fichi, di cui ella diceva: “Ecco il dono che mi hanno dato i miei amanti”. Li ridurrò a una sterpaglia e a un pascolo di animali selvatici. 15La punirò per i giorni dedicati ai Baal, quando bruciava loro i profumi, si adornava di anelli e di collane e seguiva i suoi amanti, mentre dimenticava me! Oracolo del Signore.

La nuova alleanza 16Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. 17Le renderò le sue vigne e trasformerò la valle di Acor in porta di speranza. Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d’Egitto. 18E avverrà, in quel giorno – oracolo del Signore – mi chiamerai: “Marito mio”, e non mi chiamerai più: “Baal, mio padrone”. 19Le toglierò dalla bocca i nomi dei Baal e non saranno più chiamati per nome. 20In quel tempo farò per loro un’alleanza con gli animali selvatici e gli uccelli del cielo e i rettili del suolo; arco e spada e guerra eliminerò dal paese, e li farò riposare tranquilli. 21Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza, 22ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore. 23E avverrà, in quel giorno – oracolo del Signore – io risponderò al cielo ed esso risponderà alla terra; 24la terra risponderà al grano, al vino nuovo e all’olio e questi risponderanno a Izreèl. 25Io li seminerò di nuovo per me nel paese e amerò Non-amata, e a Non-popolo-mio dirò: “Popolo mio”, ed egli mi dirà: “Dio mio”».

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Approfondimenti

Il capitolo 2 per la forma e il contenuto è un gioiello della letteratura profetica, contiene tre brani che formano un ponte tra i cc. 1 e 3:

  1. il grande giorno di Izreel (vv. 1-3),
  2. la rottura e processo contro Israele (vv. 4-17)
  3. la nuova alleanza (vv. 18-25). I destinatari degli oracoli non sono noti e la cronologia non è soddisfacente.

I vv.1-3 sembrano un'aggiunta posteriore fatta in Giuda dopo la caduta di Samaria o nel periodo postesilico e gli altri due brani sembrano appartenere non all'inizio dell'attività di Osea, ma a un periodo già avanzato della sua missione.

La salvezza futura 2,1-3 Oracolo salvifico messo in bocca al profeta, che per stile e contenuto non ha paralleli in Osea. Si suppone che il popolo sia poco numeroso, Israele e Giuda siano divisi, senza capo e senza sicurezza. Perciò si promette la moltiplicazione della popolazione, la restaurazione di Israele come popolo eletto (v. 1) e la riunificazione di Giuda e Israele (v. 2). Il v. 3 sintetizza le promesse prece-denti. L'oracolo, che ha dei rapporti con gli oracoli autentici di Osea, starebbe meglio dopo il passo 3,5.

v. 1. «Israeliti»: sono i membri delle due case di Giuda e Israele; «la sabbia del mare» è una classica iperbole che indica il forte incremento demografico della popolazione (Gn 32,13; 22,17), che richiama le promesse fatte ai patriarchi (cfr. Gn 15,5; 22,17; 32,13); «figli del Dio vivente»: espressione originale (cfr. Dt 14,1; Gs 3,10; Sal 42,3; 84,3), che afferma l'unicità di Dio contro gli idoli e perciò la sicurezza della futura restaurazione; il popolo di Israele è considerato come figlio adottivo di Dio (cfr. Es 4,23).

v. 2. La riunificazione dei due regni è un tratto caratteristico della visione futura (cfr. Os 3,5; Is 11,13; Ger 3,18; Ez 37,15-22). Il popolo si sceglie un unico capo, che non viene chiamato re e probabilmente non è di discendenza davidico-messianica (cfr. Nm 14,4; 1Sam 15,17); «saliranno dal proprio territorio» significa che cresceranno fino a sommergere il paese o espandersi fuori del paese (cfr. Gn 40,10; 41,22; Dt 29,22); però la frase ebraica può essere tradotta anche con: «riacquisteranno il potere nel paese», in una lotta decisiva contro coloro che l'hanno occupato (probabile allusione all'occupazione assira del 733 a.C.). «il grande giorno di Izreel» si riferisce al «giorno di JHWH» detto grande (Sof 1,14; Ger 36,7; Gl 2,11; 3,4; Ml 3,23); «Izreel» è qui un nome salvifico, indicante, secondo la sua etimologia, «Dio semina». Il «giorno di Izreel» è il momento in cui si compiono le meravigliose promesse contenute nei vv. 1ss.

v. 3. A conclusione dei vv. precedenti il profeta esorta a praticare il vicendevole amore in seno al nuovo Israele nel contesto della rinnovata alleanza divina. I nomi minacciosi dei figli di Osea sono cambiati in nomi salvifici. Il quadro della salvezza descritto in questa pericope è affascinante. Sono fusi insieme i grandi temi della vitalità demografica di Israele, della nuova alleanza presentata sotto l'immagine della adozione filiale, della unificazione dei due stati divisi sotto l'autorità di un solo capo, quello del possesso definitivo e incontrastato del paese e dei rapporti fraterni esistenti tra tutti i membri del popolo. Non senza fondamento Rm 9,24s. e 1Pt 2,10 scoprono in questa grandiosa profezia l'annuncio della misericordia di Dio che si estende anche ai popoli pagani.

La sposa infedele 2,4-15 Serie di sentenze profetiche contenenti accuse (vv. 4.10), minacce (vv. 5.6.8.11-15) e invettive (v. 7) raccolte nella forma del genere letterario del dibattito giudizario, in una procedura di divorzio (rîb). Il processo comprende tre atti:

  1. accusa con dichiarazione di ripudio, invito a non prostituirsi e minaccia di castigo per la sposa infedele e i figli (vv. 4-6);
  2. denuncia delle colpe, annuncio del castigo; nel dolore nasce la resipiscenza (vv. 7-10);
  3. è ripreso il tema del castigo; JHWH toglierà i beni materiali e il popolo sarà oggetto di disprezzo e derisione (vv. 11-15).

In questo allegorico processo compaiono il marito e la moglie, i loro figli e gli illeciti amanti della moglie. Il marito è JHWH (vv. 2.7), la moglie rappresenta il popolo d'Israele, che nel v. 3 è identificato con i figli che svolgono un ruolo fluido nel contesto: ora sono individui opposti alla nazione (v. 2), ora sono identificati con la stessa nazione colpevole (v. 4); gli amanti sono i «Baal» della religione cananea (vv. 7.10.13). JHWH che parla in prima persona, dispiega il ruolo di accusatore, testimone, paciere, giudice ed esecutore della pena. Della prostituta si citano pensieri, riflessioni, ignoranze e confusioni (vv. 7b.9b.10a.14a). L'allegoria si sviluppa su tre piani, quello personale di Osea, quello di Dio, quello della terra e del contesto cananeo.

v. 4. «Accusate»: come introduzione all'atto giudiziario Dio invita i figli a intentare la causa contro la loro madre, cioè contro la comunità di Israele, che induce al peccato i suoi membri. Gomer, che si suppone abbia abbandonato il marito Osea, è simbolo dell'Israele infedele; «non è più mia moglie»: formula di divorzio pronunciata da JHWH; «i segni delle sue prostituzioni e i segni del suo adulterio» sono varie specie di tatuaggi o di amuleti, portati in onore dei Baal durante le feste idolatriche (cfr. Gn 38,15). Il comando di Dio lascia intendere che egli desidera riavere come moglie la prostituta.

v. 5. Infamante minaccia rivolta a Israele sotto il simbolo della sposa e quello di una regione. Il denudamento era un trattamento infamante applicato ai prigionieri di guerra e alle donne indegne (cfr. Is 47,2s.; Ger 13,22; Ez 16,37s.). Secondo l'uso orientale il marito doveva procurare i vestiti alla moglie (cfr. Es 21,10), ma in caso di divorzio per colpa della moglie, egli poteva toglierle gli abiti e abbandonarla. Il paese, nel quale scorre latte e miele (cfr. Nm 13,20.23s.; 14,6-9), diventerà una landa deserta (Ger 6,8; 9,11). Sullo sfondo della minaccia appare il culto cananeo, secondo il quale il paese era considerato come una donna che doveva essere fertilizzata dalla pioggia inviata dai Baal. La siccità inviata da JHWH dimostra l'inutilità della religione cananea.

v. 6. Ora JHWH parla dei figli in terza persona; essi sono coinvolti nella colpa della madre che li ha governati, per cui non sono più oggetto dell'amore divino.

v. 7. La colpa della madre, che personifica il paese e il popolo, è l'ostinazione nella pratica dell'idolatria; gli «amanti» sono le locali divinità cananee della fecondità (cfr. 8,9; Ger 22,20.22; 30,14; Ez 16,32-36). Da esse, si credeva, provenissero il nutrimento (pane-acqua), la stoffa per i vestiti (lana-lino) e altri prodotti che fanno felice la vita (olio-vino).

v. 8. Il «Perciò» introduce la seconda minaccia di castigo (cfr. ancora i vv. 11.16), che ha un duplice effetto: distaccare Israele dai suoi amanti e impedire che costoro la ritrovino. Queste misure prese dal Signore, sono una diretta risposta alla condotta di Israele (cfr. v. 5) e hanno come scopo non la pena di morte, ma la soppressione del peccato della donna. Il castigo mira al miglioramento del popolo, ciò che è un tratto caratteristico del profeta Osea (cfr. 2,16; 3,4s.).

v. 9. Spinta dal tornaconto, dato l'intervento divino annunciato nel v. 5, la sposa infedele pensa di ristabilire il primitivo rapporto con JHWH, il quale cerca solamente la riconciliazione.

v. 10. Inizia la descrizione del piano divino teso a condurre Israele alla conversione e alla salvezza. La causa del peccato della donna è la mancanza di una vera scienza, cioè l'ignoranza dell'esclusiva potenza creatrice di JHWH, che concede la tradizionale prosperità al paese (grano, vino, olio) e anche i metalli preziosi per fabbricare le statue dei Baal (8,4; 13,2) e le offerte destinate al loro culto.

v. 11. Parallelo al v. 7, introdotto da un secondo «perciò», che annuncia la decisione di JHwH di sottrarre al popolo i beni di consumo, inviando la siccità.

v. 12. Le «vergogne» significano l'onta che deriva dal fatto di non poter più presentare le offerte ai Baal, essendo state sottratte da JHWH.

v. 13. Cessano tutte le feste inficiate di pratiche superstiziose e immorali (cfr. Es 23,12; 34,21).

v. 14. La vite e il fico, che saranno distrutti, sono simbolo della prosperità desiderata dall'agricoltore ebreo (cfr. 1Re 5,5; Mic 4,4; Zc 3,10); «il dono» è il salario pagato dagli amanti alla prostituta (cfr. Dt 23,19).

v. 15. «i giorni dei Baal» sono le feste celebrate in onore degli idoli; per metonimia indicano tutto il tempo in cui si è praticata l'apostasia dal vero Dio; «dimenticare JHWH» è il contrario di conoscerlo e significa tradire il legame che JHwH ha stabilito con il popolo nella storia della salvezza (14,4ss.). «Oracolo del Signore» conferma il senso della minaccia e del castigo dei vv. 11-15 (cfr. 2,18.23; 11,1).

Il brano ha una notevole importanza teologica. Per la prima volta Osea usa il genere letterario del processo giudiziario che sarà poi ripreso anche da altri profeti (4,1-5; Is 3,13-15; 5,3s.; Mic 1,2-7; 3,5-8; 6,1-8; Ger 2,9; 25,31). Il rapporto di alleanza tra JHWH e Israele è presentato come un rapporto sponsale fondato sul matrimonio. Dio è lo sposo e Israele la sua sposa. In questo modo il profeta inaugura un fecondo linguaggio nella rivelazione divina. L'infedeltà della sposa è considerata come una prostituzione che porta con sé il divorzio. La conseguenza dell'apostasia comporta inevitabilmente la distruzione del paese e del popolo; però il Signore non si comporta secondo il rigido diritto israelitico (cfr. Dt 22), perché egli è un Dio che ama, per cui la pena è medicinale, tende alla resipiscenza e alla conversione della prostituta. E da Dio che provengono i beni della terra e tutto ciò di cui l'uomo ha bisogno per la sua esistenza felice sulla terra.

La nuova alleanza 2,16-25 Brano stupendo in cui sono raccolti diversi oracoli salvifici tenuti insieme dallo stesso tema. Si nota la presenza di tre formule escatologiche «in quel giorno» (vv. 18.20.23), confermate due volte dall'espressione «oracolo del Signore» (vv. 18.23). Le promesse sono fatte in seconda persona, mentre gli annunci sono in terza persona. Si riscontra un passaggio continuo da un soggetto metaforico a un altro: la fine di ogni rapporto con i Baal (vv. 18s.), il fidanzamento e il nuovo matrimonio (vv. 16a.21s.), la pace con la natura e la salvezza dai nemici (v. 20), la rinnovata fertilità (vv. 17.23s.) e il cambiamento dei nomi simbolici del giudizio (v. 25).

v. 16. «Perciò» introduce il motivo della salvezza; «la attirerò a me»: lett.: «la sedurrò»; questo termine è usato in rapporto alla seduzione di una vergine (Es 22,15) o per indicare le arti di una prostituta che vuole carpire i segreti all'amante (Gdc 14,15). Il termine è utilizzato anche per designare la dolce e irresistibile violenza che Dio impiega per indurre Geremia a fare il profeta (Ger 20,7). Qui il verbo indica con un audace antropomorfismo gli inviti, le promesse, le tenerezze che Dio adopera per vincere la resistenza e persuadere la sposa infedele; «il deserto» è considerato in modo idealizzato come il luogo del primo incontro del popolo con Dio dopo l'esodo dall'Egitto, e il tempo dell'assoluta fedeltà al Signore; «condurre nel deserto» significa iniziare una nuova storia d'amore (cfr. Is 43,16-21); «parlare al cuore» è un altro termine del linguaggio amoroso e significa: corteggiare una donna per conquistarla (Gn 34,3; Gdc 19,3; Rt 2,19).

v. 17. I vigneti, simbolo di tutti i beni, vengono restituiti alla sposa, che viene riportata in Canaan; «valle di Acor», cioè della disgrazia, è una gola che immette presso Gerico negli altipiani interni della Palestina (Gs 7,24.26; 15,7); «canterà»: lett.: «risponderà», cioè la sposa corrisponderà con docilità e fedeltà agli sforzi amorosi di Dio come al tempo che va dall'uscita dall'Egitto fino all'entrata in Canaan, periodo denominato «giorni della sua giovinezza».

vv. 18-19. Cambio dei titoli sponsali basati su un gioco di parole che annunciano la ristabilita unione matrimoniale tra JHWH e Israele; «in quel giorno»: formula solenne e imprecisata, che annuncia un evento straordinario; «Marito», termine che oppone a «padrone» (ba'al) dato alle divinità cananee, è un nome che indica un rapporto personale, intimo ed esclusivo col vero Dio. Il nome ba'al, che di per sé significa proprietario, padrone, sposo, quando veniva dato a JHWH, puzzava di sincretismo. I nomi dei Baal usati nei riti religiosi in onore degli dei cananei, scompariranno dalla bocca e dal cuore di Israele. Dio stesso, che parla direttamente alla sposa, farà il necessario per abolire il culto idolatrico e ristabilire un rapporto sponsale autentico ed esclusivo col suo popolo.

v. 20. Nel giorno dello sposalizio viene cambiato anche l'ambiente. Come mediatore del serenità all'interno del paese con la pacificazione dice la mali che assalgono l'uomo o nuocciono alla cultura dei campi e con l'eliminazione della guerra condotta dai nemici esterni. La tranquillità e la pace rassomigliano molto alla situazione del paradiso terrestre (cfr. Gn 3). Questo nuovo stato di cose viene chiamato «alleanza» stabilita direttamente da Dio. I motivi derivano dalle tradizioni concernenti le benedizioni e le maledizioni connesse con l'alleanza che Dio stabilisce con Israele (cfr. Lv 26,6; 22,25; Ez 34,25-28). Ciò che è speciale in questo testo è che la pace non è la ricompensa data all'obbedienza di Israele, richiesta in Lv 26, ma è un dono gratuito della grazia divina e un segno dell'alleanza voluta solamente dal Signore.

vv. 21-22. Cambia ora la situazione allegorica. Si tratta della promessa del matrimonio che comprende tre elementi: lo scopo del matrimonio, il prezzo da dare per la sposa e il compimento del fine del matrimonio; «Ti farò mia sposa»: lett. il verbo ebraico 'rś significa condurre a domicilio una ragazza nubile come sposa dopo aver pagato il prezzo al padre di lei (cfr. Dt 20,7; 2Sam 3,14). Si tratta di un nuovo matrimonio di Dio con Israele purificato da tutte le sue colpe, ma esso viene considerato come il primo matrimonio. L'unione con una prostituta o un'adultera diventa uno sposalizio con una vergine. Questa unione è perpetua, perché dipende unicamente dalla fedeltà divina. Il prezzo da pagare al padre della sposa diventa un dono concesso direttamente alla sposa. I cinque termini «giustizia, diritto, benevolenza, amore, fedeltà» rappresentano degli atteggiamenti divini, che hanno un riflesso sulla condotta della sposa: la «giustizia» è l'aiuto salvifico che Dio dà ad Israele (Gdc 5,11; Mic 6,5; Ger 23,6); il «diritto» comprende le azioni dirette a mantenere le prerogative di una persona; la «benevolenza» (in ebr. hesed) è il contegno favorevole all'altro nel contesto dell'alleanza; l«amore» (in ebr. «compassione», rahamîm) è la tenerezza verso l'altro, mentre la «fedeltà» è la stabilità con la quale Dio agisce con Israele. Questi atteggiamenti divini sintetizzano anche le disposizioni interiori che caratterizzano la sposa nel contesto dell'alleanza (cfr. 4,1; 10,4.12). La giustizia e il diritto praticati dalla sposa elimineranno tutte le ingiustizie e i soprusi dalla vita sociale e la benevolenza, l'amore e la fedeltà saranno la degna risposta all'affetto illimitato di Dio per essa. Questa risposta è riassunta col verbo «conoscere» che significa riconoscere l'amore divino, impegnarsi nell'osservanza delle esigenze dell'alleanza ed assumere un atteggiamento umile e devoto di fronte a Dio (4,1; 5,4; 6,3; Is 11,2; 58,2; Prv 2,5).

vv. 23-25. Nuova promessa che completa le precedenti: per volontà divina la natura sarà al servizio di Israele, che ritornerà ad essere il popolo dell'alleanza.

vv. 23-24. Si suppone un appello rivolto a Dio (cfr. 1Sam 7,9; 1Re 18,37; Mic 3,4; Sal 3,4), il quale risponde mettendo in moto una catena di reazioni che passano attraverso tutti gli strati del ciclo della fertilità: Dio-cielo(pioggia)-terra(suolo)-grano, vino, olio-popolo. Il Dio di Israele è la fonte della fertilità; il ciclo delle stagioni e la maturazione delle messi sono proiettate nelle relazioni dell'alleanza; «Izreel» (= Dio semina) è il nome del nuovo popolo, rinato come da un novello seme. Così è mutato il senso del nome dato al primo figlio (1,4s.).

v. 25. Gli altri due nomi dei figli di Osea perdono il loro «non» e diventano annuncio della nuova alleanza fondata su un rapporto personale e inscindibile tra JHWH e Israele. La formula «Mio Dio» contiene l'espressione della lode, della confessione, del ringraziamento e della fiducia.

(cf. STEFANO VIRGULIN, Osea – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Titolo 1Parola del Signore rivolta a Osea, figlio di Beerì, al tempo di Ozia, di Iotam, di Acaz, di Ezechia, re di Giuda, e al tempo di Geroboamo, figlio di Ioas, re d’Israele.

MATRIMONIO DI OSEA

La moglie e i figli del profeta 2Quando il Signore cominciò a parlare a Osea, gli disse: «Va’, prenditi in moglie una prostituta, genera figli di prostituzione, poiché il paese non fa che prostituirsi allontanandosi dal Signore». 3Egli andò a prendere Gomer, figlia di Diblàim: ella concepì e gli partorì un figlio. 4E il Signore disse a Osea: «Chiamalo Izreèl, perché tra poco punirò la casa di Ieu per il sangue sparso a Izreèl e porrò fine al regno della casa d’Israele. 5In quel giorno io spezzerò l’arco d’Israele nella valle di Izreèl». 6La donna concepì di nuovo e partorì una figlia e il Signore disse a Osea: «Chiamala Non-amata, perché non amerò più la casa d’Israele, non li perdonerò più. 7Invece io amerò la casa di Giuda e li salverò nel Signore, loro Dio; non li salverò con l’arco, con la spada, con la guerra, né con cavalli o cavalieri». 8Quando ebbe svezzato Non-amata, Gomer concepì e partorì un figlio. 9E il Signore disse a Osea: «Chiamalo Non-popolo-mio, perché voi non siete popolo mio e io per voi non sono.

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Approfondimenti

Titolo 1,1 Formula classica di introduzione ai libri profetici dovuta a un redattore proveniente dal regno di Giuda (cfr. Sof 1,1; Mic 1,1; GL 1,1). Tutto il contenuto del libro, che comprende oracoli divini, detti del profeta e narrazioni concernenti al sua vita familiare, è detto «parola del Signore», cioè rivelazione divina, che possiede un valore permanente. Osea è un nome abbreviato che significa: «Il Signore salva» o «viene in aiuto» (cfr. Nm 13,8; 1Cr 27,20; 2Re 15,30; Ne 10,24) ed è portato da diversi personaggi, appartenenti prevalentemente alle tribù del nord. Il sincronismo con i re di Giuda non è preciso. I re di Giuda Ozia, Iotam, Acaz ed Ezechia regnarono dal 781 a.C., inizio del regno di Ozia, fino al 687 anno della morte di Ezechia, (cfr. 2Re 15,1-6; 32-36; 16,1-20; 18,1-20,21; 2Cr 26,1-32,33). Ora Osea esercitò la missione profetica principalmente durante il regno dei successori di Geroboamo II, Menachem, Pekach e Osea (cfr. 2Re 15,17-31; 17,1-41) e cioè tra il 745 e il 725 a.C.

MATRIMONIO DI OSEA 1,2-3,5 Unità ben definita e coerente che tratta in forma concisa delle avventure familiari di Osea e del loro significato simbolico. Essa comprende degli elementi disparati: due racconti (1,2-9; 3,1-5) disposti in forma chiastica, separati da tre oracoli (2,1-3.4-17.18-25). Il racconto del matrimonio e della nascita dei figli (1,2-9) è redatto in terza persona; l'atteggiamento di JHWH riguardo a Israele colpevole si presenta sotto la forma di un oracolo divino (2,4-25) e il ritorno in grazia della sposa infedele assume la forma autobiografica (3,1-5). Il tutto si fonda su tre atti: il matrimonio, la rottura, il nuovo matrimonio. Questi capitoli tengono il posto della vocazione del profeta e sono in rapporto con le azioni simboliche che si leggono negli altri libri profetici (cfr. Is 8,1ss.; 20,2ss.; Ger 27,2; Ez. 4,1). JHWH interviene nella vita del profeta in modo imperativo (v. 2.4.6.9); gli ordini vengono subito eseguiti (v. 3) ed è lui stesso che spiega il simbolismo dei fatti. Non si tratta di una biografia del profeta, ma di frammenti aneddotici che furono conservati a causa del significato spirituale, che essi assunsero per volere divino.

La moglie e i figli del profeta 1,2-9

Il matrimonio di Osea con Gomer imposto da Dio e la nascita dei tre figli costituiscono un insieme letterario fondato sulla frase ripetuta quattro volte: «Il Signore disse a Osea» (vv. 2.4.6.7). Dopo una precisazione cronologica (v. 2) si leggono quattro ordini del Signore, comprendenti un'invettiva (v. 2) e tre minacce connesse con i nomi dei figli. I vv. 5 e 7 sono due glosse introdotte posteriormente. Il matrimonio di Osea e i nomi dei figli rappresentano un segno di allarme, giacché nella persona della moglie doveva incarnarsi in modo vivo e suggestivo l'apostasia del popolo da Dio e nei figli il castigo che doveva seguire.

v. 2. Il matrimonio è da considerarsi come un fatto storico; «prostituta»: lett. «donna di prostituzioni o fornicazioni» (col plurale astratto in ebraico). L'interpretazione di questa espressione unica nella Bibbia è controversa. Può significare una donna che esercita la prostituzione per conto personale o in un santuario cananeo in modo abituale o saltuario (cfr. Dt 23,18), ovvero che porta in sé una tendenza alla prostituzione (4,12; 5,4). Non è escluso che la donna sia così chiamata per anticipazione, perché dopo il matrimonio si è data a questa professione. «figli di prostituzione»: è una brachilogia che sottolinea il fatto che i figli ricevettero dalla madre l'inclinazione alla prostituzione, che verrà poi interpretata in senso simbolico-religioso. Questa qualifica era necessaria per sviluppare il significato simbolico; «prostituirsi»: è un'espressione metaforica, che indica l'abbandono del culto del vero Dio e la pratica dell'idolatria cananea, con la quale era connessa prostituzione sacra. Si suppone che tra il popolo e JHWH esista un legame sponsale, per cui il popolo infedele e amante degli altri dei si macchia di adulterio (cfr. Es 34,15s.; Lv 17,7; 20,5s.; Gdc 8,27; Ez 16,28; 20,30; Ger 3,1). Il termine stigmatizza la rottura da parte di Israele dell'alleanza con Dio, che implicitamente ha valore di unione matrimoniale. L'ordine del Signore di sposare una prostituta non è immorale.

v. 4. I nomi dei figli hanno valore simbolico, cioè trasmettono un messaggio profetico; «Izreel», che significa «Dio semina», è una città della pianura di Esdrelon, in cui si trovava la residenza estiva del re Acab (1Re 21,1). Il nome esprime la minaccia divina di punire la casa regnante di Ieu, che si era resa colpevole in larga misura dell'apostasia di Israele; «il sangue di Izreel» è un'espressione che riassume tutti i crimini commessi dalla dinastia di Ieu, che soppresse quella di Omri (2Re 9,1-10,17). La dinastia di Ieu sparì nel 734 a.C., quando tu assassinato il re Zaccaria (2Re 15,8-12). L'imposizione dei nomi simbolici ai bambini non è un rimprovero, ma un avviso dato al profeta e al suo ambiente (cfr. Is 1,26; 7,3; 10,21; 8,1-4).

v. 5. Nuova spiegazione del nome Izreel, probabilmente di origine oseana, ma introdotta più tardi nel testo; «In quel giorno»: tipica espressione profetica, che indica uno speciale intervento di Dio nella storia (Am 5,18; Is 3,7; 4,1; 10,20; Ger 39,16); «l'arco d'Israele» è simbolo della potenza militare (cfr. Gn 49,24; 1Sam 2,4). La valle di Izreel fu teatro di diverse guerre (cfr. Gdc 4,12-16; 2Re 23,29s). Questa profezia si compì nel 732 a.C., quando l'Assiria occupò le regioni settentrionali del paese.

v. 6. Il nome della secondogenita «Non-amata» contiene la minaccia della fine di ogni predilezione da parte di Dio per Israele. La benevolenza divina era considerata come l'anima dell'alleanza (cfr. 2,6.21.25; Es 34,6; Dt 13,18; 30,3; Is 14,1; 27,11; Ger 12,15). Inaspettatamente e per contrasto si parla della salvezza di Giuda. Probabilmente si tratta di un'aggiunta posteriore che ricorda la liberazione di Gerusalemme dall'assedio di Sennacherib avvenuta nel 701 a.C. (2Re 19,32-37), ispirata ai testi di Is 17,13; 29,5ss.; 30,30ss.; 31,1-3.

v. 8. Lo svezzamento avveniva di solito tre anni dopo la nascita (cfr. Gn 21,8; 1Sam 1,24).

v. 9. «Non-mio-popolo»; è la negazione della tipica formula dell'alleanza sinaitica (cfr. Es 3,7.10; 5,1; 7,4.16.26; Lv 26,12; Dt 27,9; Ger 7,23; 11,4; 31,33; Ez 11, 20; 14, 11; Le 8,8); «io non esisto per voi»: c'è un'allusione al significato del nome JHWH costruito in ebraico col verbo “essere” (Es 3,14). Il nome del figlio contiene una radicale incriminazione dell'alleanza sinaitica. Per la prima volta nella letteratura profetica Osea presenta l'alleanza sinaitica sotto la figura di un matrimonio, che viene rotto da parte del popolo a causa del culto, degli idoli e delle colpe commesse dalla casa regnante. Questo negativo atteggiamento religioso e morale è designato con la parola «prostituzione». L'effetto della rottura dell'alleanza è la fine della dinastia di Ieu e la sventura che colpisce tutto il popolo. Dio dichiara la fine dell'alleanza non volendo più dimostrare misericordia al popolo d'Israele. Tuttavia non viene esclusa la possibilità della conversione, perché la reazione da parte di Dio conosce dei tempi lunghi.

(cf. STEFANO VIRGULIN, Osea – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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BEL E IL DRAGO

Daniele e i sacerdoti di Bel 1Il re Astiage si riunì ai suoi padri e gli succedette nel regno Ciro, il Persiano. 2Ora Daniele era intimo del re, ed era il più onorato di tutti gli amici del re. 3I Babilonesi avevano un idolo chiamato Bel, al quale offrivano ogni giorno dodici sacchi di fior di farina, quaranta pecore e sei barili di vino. 4Anche il re venerava questo idolo e andava ogni giorno ad adorarlo. Daniele però adorava il suo Dio 5e perciò il re gli disse: «Perché non adori Bel?». Daniele rispose: «Io non adoro idoli fatti da mani d’uomo, ma soltanto il Dio vivo che ha fatto il cielo e la terra e che ha potere su ogni essere vivente». 6«Non credi tu – aggiunse il re – che Bel sia un dio vivo? Non vedi quanto beve e mangia ogni giorno?». 7Rispose Daniele ridendo: «Non t’ingannare, o re: quell’idolo di dentro è d’argilla e di fuori è di bronzo e non ha mai mangiato né bevuto». 8Il re s’indignò e convocati i sacerdoti di Bel disse loro: «Se voi non mi dite chi è che mangia tutto questo cibo, morirete; se invece mi proverete che è Bel che lo mangia, morirà Daniele, perché ha insultato Bel». 9Daniele disse al re: «Sia fatto come tu hai detto». I sacerdoti di Bel erano settanta, senza contare le mogli e i figli. 10Il re si recò insieme con Daniele al tempio di Bel 11e i sacerdoti di Bel gli dissero: «Ecco, noi usciamo di qui e tu, o re, disponi le vivande e mesci il vino temperato; poi chiudi la porta e sigillala con il tuo anello. Se domani mattina, venendo, tu riscontrerai che tutto non è stato mangiato da Bel, moriremo noi, altrimenti morirà Daniele che ci ha calunniati». 12Essi però non erano preoccupati, perché avevano praticato un passaggio segreto sotto la tavola, per il quale passavano abitualmente e consumavano tutto. 13Dopo che essi se ne furono andati, il re fece porre i cibi davanti a Bel. 14Daniele ordinò ai servi del re di portare un po’ di cenere e la sparsero su tutto il pavimento del tempio alla presenza soltanto del re; poi uscirono, chiusero la porta, la sigillarono con l’anello del re e se ne andarono. 15I sacerdoti vennero di notte, secondo il loro consueto, con le mogli, i figli, e mangiarono e bevvero tutto. 16Di buon mattino il re si alzò, come anche Daniele. 17Il re domandò: «Sono intatti i sigilli, Daniele?». «Intatti, o re», rispose. 18Aperta la porta, il re guardò la tavola ed esclamò: «Tu sei grande, Bel, e nessun inganno è in te!». 19Daniele sorrise e, trattenendo il re perché non entrasse, disse: «Guarda il pavimento ed esamina di chi sono quelle orme». 20Il re disse: «Vedo orme di uomini, di donne e di ragazzi!». 21Acceso d’ira, fece arrestare i sacerdoti con le mogli e i figli, e gli mostrarono le porte segrete per le quali entravano a consumare quanto si trovava sulla tavola. 22Quindi il re li fece uccidere, consegnò Bel in potere di Daniele, che lo distrusse insieme con il tempio.

Daniele e il drago 23Vi era un grande drago e i Babilonesi lo veneravano. 24Il re disse a Daniele: «Non potrai dire che questo non è un dio vivente; adoralo, dunque». 25Daniele rispose: «Io adoro il Signore, mio Dio, perché egli è il Dio vivente; se tu me lo permetti, o re, io, senza spada e senza bastone, ucciderò il drago». 26Soggiunse il re: «Te lo permetto». 27Daniele prese allora pece, grasso e peli e li fece cuocere insieme, poi preparò delle polpette e le gettò in bocca al drago che le inghiottì e scoppiò; quindi soggiunse: «Ecco che cosa adoravate!». 28Quando i Babilonesi lo seppero, ne furono molto indignati e insorsero contro il re, dicendo: «Il re è diventato giudeo: ha distrutto Bel, ha ucciso il drago, ha messo a morte i sacerdoti». 29Andarono da lui dicendo: «Consegnaci Daniele, altrimenti uccidiamo te e la tua famiglia!». 30Quando il re vide che lo assalivano con violenza, costretto dalla necessità consegnò loro Daniele. 31Ed essi lo gettarono nella fossa dei leoni, dove rimase sei giorni. 32Nella fossa vi erano sette leoni, ai quali venivano dati ogni giorno due cadaveri e due pecore: ma quella volta non fu dato loro niente, perché divorassero Daniele. 33Si trovava allora in Giudea il profeta Abacuc, il quale aveva fatto una minestra e aveva spezzettato il pane in un recipiente e ora andava a portarli nel campo ai mietitori. 34L’angelo del Signore gli disse: «Porta questo cibo a Daniele a Babilonia nella fossa dei leoni». 35Ma Abacuc rispose: «Signore, Babilonia non l’ho mai vista e la fossa non la conosco». 36Allora l’angelo del Signore lo prese per la cima della testa e sollevandolo per i capelli lo portò a Babilonia, sull’orlo della fossa dei leoni, con l’impeto del suo soffio. 37Gridò Abacuc: «Daniele, Daniele, prendi il cibo che Dio ti ha mandato». 38Daniele esclamò: «Dio, ti sei ricordato di me e non hai abbandonato coloro che ti amano». 39Alzatosi, Daniele si mise a mangiare. L’angelo di Dio riportò subito Abacuc nella sua terra. 40Il settimo giorno il re andò per piangere Daniele e, giunto alla fossa, guardò e vide Daniele seduto. 41Allora esclamò ad alta voce: «Grande tu sei, Signore, Dio di Daniele, e non c’è altro dio all’infuori di te!». 42Poi fece uscire Daniele dalla fossa e vi fece gettare coloro che volevano la sua rovina, ed essi furono subito divorati sotto i suoi occhi.

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Approfondimenti

BEL E IL DRAGO 14,1-42 Questo capitolo ha due distinti episodi:

  1. una polemica contro l'idolatria che culmina nello smascheramento, per opera del giudeo Daniele, dinanzi agli occhi del re Ciro, della frode dei sacerdoti di Bel (vv. 1-22);
  2. l'uccisione del drago venerato dai Babilonesi e la conseguente punizione di Daniele, che viene miracolosamente soccorso da Dio (vv. 23-42).

Daniele e i sacerdoti di Bel 14,1-22 La narrazione, nel testo di Teodozione, si apre con la menzione di due re: Astiage, ultimo re di Media (585-550 a.C.), e Ciro il Persiano (600-529 a.C.), e si dice inoltre che Ciro fu il successore di Astiage (cfr. v. 1); storicamente sappiamo che Ciro effettivamente sconfisse Astiage a Pasargade nel 550 a.C. e annetté la Media alla Persia. In questo il narratore non è molto lontano dalla realtà storica. I LXX hanno invece un versetto introduttivo che dice così: «Dalla profezia di Ambacum, figlio di Gesù, della tribù di Levi». Il discorso continua poi presentando Daniele come un sacerdote figlio di un certo Abal. Dopo il riferimento cronologico, Daniele viene rappresentato in Teodozione (il cui testo viene seguito dalla BC) come un importante personaggio della corte di Ciro (v. 2). L'unica sua singolarità è che egli non adora il dio Bel venerato dai Babilonesi come capo del loro pantheon, un dio conosciuto dalla Bibbia oltre che col nome di Bel anche col nome di Marduch (cfr. Ger 50,2). Da questo fatto prende le mosse una disputa tra Ciro e Daniele (vv. 4-7) sulla esistenza e la divinità di Bel, che Daniele confuta con termini ed espressioni che ricorrono spesso in testi polemici contro l'idolatria risalenti al periodo postesilico, come ad esempio l'insistenza sull'opera dell'artigiano che ha confezionato l'idolo e sull'inerzia del materiale di cui si è servito (v. 5. 7). Il punto centrale di questo diverbio sull'idolatria fra Ciro e Daniele è il cibo offerto al dio come testimonianza probante della vita del dio: se Bel mangia è segno che è in vita (v. 6). Una tale concezione delle offerte cultuali che intende i sacrifici quotidiani come pasti necessari al nutrimento del dio è abbastanza documentata nella letteratura mesopotamica; secondo questa visione del culto, la quantità del cibo veniva proporzionata alla dignità del dio stesso. L'atteggiamento di Ciro descritto qui dal narratore è perciò pienamente in linea con questa concezione dell'oriente mesopotamico che mette in corrispondenza il cibo offerto in sacrificio con l'onore tributato al dio. Il re accetta la sfida lanciatagli da Daniele, il quale afferma che Bel non ha mai né mangiato né bevuto (v. 7), e decide di sincerarsi su quale sia la vera destinazione del cibo offerto a Bel. A questa prova egli annette la pena di morte che colpirà Daniele nel caso in cui egli avesse recato offesa a Bel, o i sacerdoti di Bel nel caso in cui essi avessero ingannato il re (v. 8). Daniele ordisce un piano astuto per smascherare l'inganno di Bel: fa cospargere di cenere il pavimento del tempio (v. 14), poi l'ingresso viene sigillato. In questa maniera, il giorno seguente, davanti agli occhi del re sono evidenti sullo strato di cenere le orme dei sacerdoti di Bel che, nella notte, attraverso un passaggio segreto, insieme alle loro mogli e ai loro figli hanno consumato i cibi offerti a Bel (vv. 12. 15). L'inganno dei sacerdoti di Bel, e perciò la vacuità dell'idolatria, viene alla luce confermando così la verità del monoteismo sostenuta da Daniele; tuttavia ciò non avviene attraverso un intervento miracoloso di Dio che rivela se stesso come unico vivente, ma avviene mediante una scoperta puramente umana dello stratagemma su cui si fondava tutta l'impalcatura idolatrica e cultuale del dio Bel.

Daniele e il drago 14,23-42 La polemica contro l'idolatria ha un secondo momento: smascherato l'inganno di Bel, che non era un dio vivo, sorge un'altra opposizione al monoteismo giudaico: c'è un dio evidentemente vivo che i Babilonesi adorano, ed è un grande drago (v. 23). Anche qui, come nella narrazione precedente, i due personaggi che incarnano i due termini della polemica sono Daniele e il re. Daniele si offre per uccidere il drago dimostrandone l'inconsistenza (v. 25): quel drago è un dio che può essere abbattuto anche da un uomo disarmato. Infatti, avendo preparato un cibo indigesto, fatto di pece, grasso e peli, lo fa trangugiare al drago che ne muore (v. 27). Il popolo babilonese che adorava il drago si solleva contro il re e contro Daniele che, caduto nelle mani del popolo, viene gettato nella fossa dei leoni (vv. 30-31), un'esperienza che richiama Dn 6,17. Tutta la narrazione appare orientata alla professione di fede del re Ciro che riconosce il Dio di Daniele come il vero Dio. In fondo è un po' lo stesso approdo del re Dario nel c. 6. L'intervento miracoloso di Dio che libera Daniele da sicura morte è l'esaltazione del monoteismo giudaico davanti al mondo pagano che viene rappresentato dalla persona del re. Nel c. 6 Dio manda il suo angelo per chiudere le fauci dei leoni così che a Daniele non venga fatto alcun male (v. 23); qui è un profeta di nome Abacuc (che non tutti i commentatori identificano con quell'Abacuc che figura tra i dodici profeti minori) che viene trasportato da un angelo sull'orlo della fossa dei leoni, per offrire a Daniele del cibo (vv. 33-39). Il settimo giorno, infatti, il re trova Daniele ancora vivo e innalza a Dio il suo inno di lode (vv. 40-41). Il monoteismo giudaico è ancora una volta esaltato tra i pagani.

(cf. VINCENZO CUFFARO, Daniele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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APPENDICE DEUTEROCANONICA

Susanna

Esposizione 1Abitava a Babilonia un uomo chiamato Ioakìm, 2il quale aveva sposato una donna chiamata Susanna, figlia di Chelkia, di rara bellezza e timorata di Dio. 3I suoi genitori, che erano giusti, avevano educato la figlia secondo la legge di Mosè. 4Ioakìm era molto ricco e possedeva un giardino vicino a casa, ed essendo stimato più di ogni altro, i Giudei andavano da lui. 5In quell’anno erano stati eletti giudici del popolo due anziani; erano di quelli di cui il Signore ha detto: «L’iniquità è uscita da Babilonia per opera di anziani e di giudici, che solo in apparenza sono guide del popolo». 6Questi frequentavano la casa di Ioakìm, e tutti quelli che avevano qualche lite da risolvere si recavano da loro. 7Quando il popolo, verso il mezzogiorno, se ne andava, Susanna era solita recarsi a passeggiare nel giardino del marito. 8I due anziani, che ogni giorno la vedevano andare a passeggiare, furono presi da un’ardente passione per lei: 9persero il lume della ragione, distolsero gli occhi per non vedere il Cielo e non ricordare i giusti giudizi. 10Erano colpiti tutti e due dalla passione per lei, ma l’uno nascondeva all’altro la sua pena, 11perché si vergognavano di rivelare la brama che avevano di unirsi a lei. 12Ogni giorno con maggior desiderio cercavano di vederla.

Tensione 13Un giorno uno disse all’altro: «Andiamo pure a casa: è l’ora di desinare». E usciti se ne andarono. 14Ma ritornati indietro, si ritrovarono di nuovo insieme e, domandandosi a vicenda il motivo, confessarono la propria passione. Allora studiarono il momento opportuno di poterla sorprendere da sola. 15Mentre aspettavano l’occasione favorevole, Susanna entrò, come al solito, con due sole ancelle, nel giardino per fare il bagno, poiché faceva caldo. 16Non c’era nessun altro al di fuori dei due anziani, nascosti a spiarla. 17Susanna disse alle ancelle: «Portatemi l’unguento e i profumi, poi chiudete la porta, perché voglio fare il bagno». 18Esse fecero come aveva ordinato: chiusero le porte del giardino e uscirono dalle porte laterali per portare ciò che Susanna chiedeva, senza accorgersi degli anziani, poiché si erano nascosti. 19Appena partite le ancelle, i due anziani uscirono dal nascondiglio, corsero da lei 20e le dissero: «Ecco, le porte del giardino sono chiuse, nessuno ci vede e noi bruciamo di passione per te; acconsenti e concediti a noi. 21In caso contrario ti accuseremo; diremo che un giovane era con te e perciò hai fatto uscire le ancelle». 22Susanna, piangendo, esclamò: «Sono in difficoltà da ogni parte. Se cedo, è la morte per me; se rifiuto, non potrò scampare dalle vostre mani. 23Meglio però per me cadere innocente nelle vostre mani che peccare davanti al Signore!». 24Susanna gridò a gran voce. Anche i due anziani gridarono contro di lei 25e uno di loro corse alle porte del giardino e le aprì. 26I servi di casa, all’udire tale rumore in giardino, si precipitarono dalla porta laterale per vedere che cosa le stava accadendo. 27Quando gli anziani ebbero fatto il loro racconto, i servi si sentirono molto confusi, perché mai era stata detta una simile cosa di Susanna. 28Il giorno dopo, quando il popolo si radunò nella casa di Ioakìm, suo marito, andarono là anche i due anziani, pieni di perverse intenzioni, per condannare a morte Susanna. 29Rivolti al popolo dissero: «Si faccia venire Susanna, figlia di Chelkia, moglie di Ioakìm». Mandarono a chiamarla 30ed ella venne con i genitori, i figli e tutti i suoi parenti. 31Susanna era assai delicata e bella di aspetto; 32aveva il velo e quei perversi ordinarono che le fosse tolto, per godere almeno così della sua bellezza. 33Tutti i suoi familiari e amici piangevano. 34I due anziani si alzarono in mezzo al popolo e posero le mani sulla sua testa. 35Ella piangendo alzò gli occhi al cielo, con il cuore pieno di fiducia nel Signore. 36Gli anziani dissero: «Mentre noi stavamo passeggiando soli nel giardino, è venuta con due ancelle, ha chiuso le porte del giardino e poi ha licenziato le ancelle. 37Quindi è entrato da lei un giovane, che era nascosto, e si è unito a lei. 38Noi, che eravamo in un angolo del giardino, vedendo quella iniquità ci siamo precipitati su di loro. 39Li abbiamo sorpresi insieme, ma non abbiamo potuto prendere il giovane perché, più forte di noi, ha aperto la porta ed è fuggito. 40Abbiamo preso lei e le abbiamo domandato chi era quel giovane, 41ma lei non ce l’ha voluto dire. Di questo noi siamo testimoni». La moltitudine prestò loro fede, poiché erano anziani e giudici del popolo, e la condannò a morte. 42Allora Susanna ad alta voce esclamò: «Dio eterno, che conosci i segreti, che conosci le cose prima che accadano, 43tu lo sai che hanno deposto il falso contro di me! Io muoio innocente di quanto essi iniquamente hanno tramato contro di me». 44E il Signore ascoltò la sua voce.

Risoluzione 45Mentre Susanna era condotta a morte, il Signore suscitò il santo spirito di un giovanetto, chiamato Daniele, 46il quale si mise a gridare: «Io sono innocente del sangue di lei!». 47Tutti si voltarono verso di lui dicendo: «Che cosa vuoi dire con queste tue parole?». 48Allora Daniele, stando in mezzo a loro, disse: «Siete così stolti, o figli d’Israele? Avete condannato a morte una figlia d’Israele senza indagare né appurare la verità! 49Tornate al tribunale, perché costoro hanno deposto il falso contro di lei». 50Il popolo tornò subito indietro e gli anziani dissero a Daniele: «Vieni, siedi in mezzo a noi e facci da maestro, poiché Dio ti ha concesso le prerogative dell’anzianità». 51Daniele esclamò: «Separateli bene l’uno dall’altro e io li giudicherò». 52Separàti che furono, Daniele disse al primo: «O uomo invecchiato nel male! Ecco, i tuoi peccati commessi in passato vengono alla luce, 53quando davi sentenze ingiuste, opprimendo gli innocenti e assolvendo i malvagi, mentre il Signore ha detto: Non ucciderai il giusto e l’innocente. 54Ora, dunque, se tu hai visto costei, di’: sotto quale albero tu li hai visti stare insieme?». Rispose: «Sotto un lentisco». 55Disse Daniele: «In verità, la tua menzogna ti ricadrà sulla testa. Già l’angelo di Dio ha ricevuto da Dio la sentenza e ti squarcerà in due». 56Allontanato questi, fece venire l’altro e gli disse: «Stirpe di Canaan e non di Giuda, la bellezza ti ha sedotto, la passione ti ha pervertito il cuore! 57Così facevate con le donne d’Israele ed esse per paura si univano a voi. Ma una figlia di Giuda non ha potuto sopportare la vostra iniquità. 58Dimmi dunque, sotto quale albero li hai sorpresi insieme?». Rispose: «Sotto un leccio». 59Disse Daniele: «In verità anche la tua menzogna ti ricadrà sulla testa. Ecco, l’angelo di Dio ti aspetta con la spada in mano, per tagliarti in due e così farti morire». 60Allora tutta l’assemblea proruppe in grida di gioia e benedisse Dio, che salva coloro che sperano in lui. 61Poi, insorgendo contro i due anziani, ai quali Daniele aveva fatto confessare con la loro bocca di avere deposto il falso, fece loro subire la medesima pena che avevano tramato contro il prossimo 62e, applicando la legge di Mosè, li fece morire. In quel giorno fu salvato il sangue innocente. 63Chelkia e sua moglie resero grazie a Dio per la figlia Susanna, insieme con il marito Ioakìm e tutti i suoi parenti, per non aver trovato in lei nulla di vergognoso. 64Da quel giorno in poi Daniele divenne grande di fronte al popolo.

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Approfondimenti

APPENDICE DEUTEROCANONICA 13,1-14,42 13, 1 – 14,42. I cc. 13 e 14 del libro di Daniele fanno parte di una appendice cosiddetta deuterocanonica; sono infatti totalmente sconosciuti al testo ebraico, mentre sono stati conservati nelle versioni greche di Teodozione e dei LXX. Alcuni esegeti pensano che alla base dei racconti conservati nell'appendice deuterocanonica ci fosse un originale semitico. Questi due capitoli, inoltre, non occupano sempre lo stesso posto nell'ordinamento della materia, ma nelle diverse versioni occupano posti diversi; il c. 13 ad esempio, in Teodozione si trova all'inizio del libro di Da-niele, mentre nei LXX si trova alla fine; il c. 14 è disposto nei LXX come se fosse un libro a parte. Da ciò si potrebbe dedurre che questi due capitoli, nella loro storia reda-zionale, abbiano avuto una vicenda e un itinerario indi-pendenti. A queste ditterenze di natura testuale se ne aggiungono poi altre di natura contenutistica: la figura di Daniele presenta delle notevoli differenze tra questi due capitoli e il resto del libro: qui Daniele non è più il grande saggio di corte, non è più il sottile interprete dei sogni di grandi personaggi, non è più il veggente a cui vengono svelati gli eventi della storia futura; qui egli è un oscuro giovanetto animato dallo spirito di Dio mediante il dono dell'anzianità, ovvero una particolare capacità di discernimento (c. 13), ed è anche un uomo fidato e stimato grandemente alla corte del re Ciro (c. 14). Queste notevoli differenze contenutistiche sono da ricondursi a tradizioni differenti e indipendenti l'una dall'altra.

Susanna 13,1-64 Questo capitolo sviluppa una narrazione abbastanza unitaria che ha le sue fasi tipiche di esposizione, tensione e risoluzione.

Esposizione 13,1-12 Qui il narratore fornisce al lettore tutti gli elementi necessari perché l'azione possa essere compresa nei suoi moventi. Vengono delineati nei loro tratti essenziali i personaggi chiave della vicenda: Susanna e due perversi anziani del popolo, cioè due giudici. La prima è descritta come una donna «di rara bellezza e timorata di Dio» (v. 2) che era stata educata dai suoi genitori secondo la legge di Mosè (v. 3); i secondi due, invece, sono descritti come due giudici di quelli «che solo in apparenza sono guide del popolo» (v. 5), citando un detto del Signore la cui fonte non è del tutto certa; sembra che comunque il riferimento sia a Ger 29,22-23, dove vengono stigmatizzati due falsi profeti colpevoli di adulterio. Questi due giudici del popolo (perché questo è qui il primo significato della parola «anziani»: uomini ai quali, all'interno della comunità ebraica, veniva affidato un ruolo giudiziario) dunque frequentavano la casa del marito di Susanna, Ioakim, uomo «molto ricco» e «stimato più di ogni altro» (v. 4), ed entrambi si invaghirono di lei (vv. 8-12). Le fasi di questa passione che nessuno dei due ha il coraggio di confessare all'altro, finché non vengono costretti a farlo dalle circostanze (v. 14), sono narrate con una certa ironia.

Tensione 13,13-44 La vicenda comincia a evolversi verso la rovina di Susanna: o l'adulterio proposto dai due giudici, cosa che distruggerebbe l'integrità morale di lei e contemporaneamente le attirerebbe addosso la pena di morte che la legge di Mosè stabiliva per gli adulteri, oppure l'accusa infondata ma terribilmente autorevole da parte del quei giudici, cosa che sortirebbe lo stesso effetto della prima (vv. 20-21). Susanna perciò si sente come tra due fuochi (v. 22), e tra la prospettiva di morire colpevole e quella di morire innocente sceglie quella di morire innocente (v. 23). La narrazione giunge al suo momento culminante quando Susanna è condotta in giudizio e pubblicamente vituperata dinanzi al suoi familiari, agli amici e al popolo (v. 33-34). Qui viene accusata dai due giudici disonesti e qui compie l'atto più profondo di fiducia e di abbandono nel Signore (vv. 35. 42), che fa di lei un modello della pietà religiosa giudaica.

Risoluzione 13,45-64 Finalmente la tensione narrativa si scioglie e il lettore può rallegrarsi della giustizia che si compie. Una voce si alza dalla folla che conduce Susanna alla lapidazione: è un giovanetto di nome Daniele che chiede la riapertura del processo (v. 49). I due giudici, non essendosi accordati precedentemente su tutti i particolari della loro invenzione, interrogati da Daniele separatamente cadono in contraddizione circa il luogo dell'adulterio e il testo greco gioca con le parole che indicano il nome dell'albero sotto il quale sarebbe stato consumato l'adulterio (albero sul quale appunto le loro testimonianze non concordano) e il castigo da loro meritato (vv. 54-55. 58-59): schinos (lentisco) ha una assonanza con schizo (dividere, spaccare) e prinos (leccio) ha una assonanza con prizo oppure prio (segare). L'innocenza di Susanna è allora chiaramente provata dalle testimonianze contraddittorie dei due giudici iniqui, al quali viene applicata la pena prevista dalla legge di Mosè per i falsi testimoni (cfr. Dt 19,15-21). Si tratta dunque di una storia edificante che esalta la virtù di una sposa, la quale a costo della vita decide di rimanere fedele e al marito e alla legge di Mosè. In questo senso Susanna è l'emblema della duplice fedeltà, quella a Dio e quella all'uomo.

(cf. VINCENZO CUFFARO, Daniele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1Ora, in quel tempo, sorgerà Michele, il gran principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Sarà un tempo di angoscia, come non c’era stata mai dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. 2Molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna. 3I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento; coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre. 4Ora tu, Daniele, chiudi queste parole e sigilla questo libro, fino al tempo della fine: allora molti lo scorreranno e la loro conoscenza sarà accresciuta».

Epilogo 5Io, Daniele, stavo guardando, ed ecco altri due che stavano in piedi, uno di qua sulla sponda del fiume, l’altro di là sull’altra sponda. 6Uno disse all’uomo vestito di lino, che era sulle acque del fiume: «Quando si compiranno queste cose meravigliose?». 7Udii l’uomo vestito di lino, che era sulle acque del fiume, il quale, alzate la destra e la sinistra al cielo, giurò per colui che vive in eterno che tutte queste cose si sarebbero realizzate fra un tempo, tempi e metà di un tempo, quando fosse giunta a compimento la distruzione della potenza del popolo santo. 8Io udii bene, ma non compresi, e dissi: «Signore mio, quale sarà la fine di queste cose?». 9Egli mi rispose: «Va’, Daniele, queste parole sono nascoste e sigillate fino al tempo della fine. 10Molti saranno purificati, resi candidi, integri, ma gli empi agiranno empiamente: nessuno degli empi intenderà queste cose, ma i saggi le intenderanno. 11Ora, dal tempo in cui sarà abolito il sacrificio quotidiano e sarà eretto l’abominio devastante, passeranno milleduecentonovanta giorni. 12Beato chi aspetterà con pazienza e giungerà a milletrecentotrentacinque giorni. 13Tu, va’ pure alla tua fine e riposa: ti alzerai per la tua sorte alla fine dei giorni».

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Approfondimenti

La morte di Antioco IV viene collocata geograficamente dal nostro autore in Palestina, tra il Mediterraneo e il monte Sion; sappiamo invece dalla storia che egli morì in Persia, nella città di Tabe, in seguito ad una ferita subita in battaglia, nel 164 a.C. In questo medesimo tempo della disfatta di Antioco IV anche l'angelo protettore di Israele, cioè Michele, è in azione per difendere e salvare il popolo di Dio dai suoi nemici (cfr. 12, 1). L'intervento di Michele diventa tanto più necessario quanto più il momento storico è carico di angoscia, cosa che effettivamente avvenne nelle agitazioni politiche successive alla morte di Antioco IV; l'angoscia è però anche un elemento caratteristico della fase finale della storia nel suo compimento escatologico. Basti pensare a come i profeti descrivono i tempi finali: «perché grande è quel giorno, non ce n'è uno simile. Esso sarà un tempo di angoscia» (Ger 30,7).

In 12, 1-4 sembra si tratti della fine del tirannico potere di Antioco IV sullo sfondo dell'escatologia finale, quasi intrecciando l'uno e l'altro livello. A quest'ultimo livello, cioè quello escatologico, si colloca la risurrezione predetta al v. 2: «Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno»; tale risveglio dalla morte introduce gli uomini in una dimensione eterna e irreversibile o di gloria o di infamia.

Il problema, però, sta tutto nell'interpretare bene il senso di questi «molti» (non tutti?) che si risvegliano, traducendo correttamente la parola ebraica che apre il v. 2: rabbim. Il significato più diretto di questo termine è «molti» (che sia i LXX che Teodozione rendono con polloi e la Vg, con multi), quindi non tutti. Dall'altro lato, però, ci sono argomenti per pensare che si tratti di un semitismo il cui significato è «tutti». Il primo e più facilmente verificabile argomento è l'uso di pollon in Mc 14,24 e Mt 26, 28, dove si dice che il sangue dell'alleanza nuova è versato per «molti», intendendo però chiaramente dire «tutti». Un secondo argomento è rappresentato dalla letteratura qumranica dove sovente la parola rabbim non indica «molti» ma «moltitudine», cioè la totalità. Questo secondo argomento, certamente suggestivo, è però accettabile fino ad un certo punto; nel testo di Dn 12, 2 la parola rabbim è immediatamente seguita dalla preposizione min, il che conferisce a rabbim un significato che tende al partitivo. Se si volesse restare fedeli al testo ebraico bisognerebbe perciò tradurre così: «Molti di quelli che dormono nella polvere». Una tale traduzione sembra in contrasto con la dottrina della risurrezione universale; tuttavia va tenuta presente da un lato la dinamica del progresso della rivelazione (per la quale in nessun punto dell'AT si ha una dottrina perfettamente compiuta) e dall'altro il fatto che l'autore non è intenzionato ad affermare l'universalità della risurrezione, poiché egli ha presente non l'umanità intera, ma quella parte di umanità che ha dovuto prendere una posizione determinata (a favore o a sfavore) nei riguardi di Antioco IV Epifane e della sua politica ellenizzante. E infatti verso questa parte di umanità che viene pronunciato un giudizio di premio eterno (assimilazione al destino degli angeli, cfr. v. 3) o di condanna eterna; la parte rimanente di umanità è semplicemente ignorata. La rivelazione delle cose future si conclude qui e Daniele riceve il comando di sigillare il libro che le contiene fino al momento in cui dovrà essere letto, ovvero il tempo della fine (v. 4).

Epilogo 12,5-13 La profezia si è conclusa, ma non si è conclusa ancora la visione. Il luogo è ancora quello menzionato in piedi sulle due rive del fiume ed instaurano un dialogo con l'uomo vestito di lino (vv. 5-6). Il loro dialogo riguarda ancora il contenuto della profezia, e precisamente il «quando» degli eventi predetti. L'uomo vestito di lino risponde con un solenne giuramento precisando con una misteriosa espressione la durata di queste cose che devono accadere: dureranno «un tempo, tempi, e la meta di un tempo» (v. 7), quindi la stessa formula cronologica usata in 7,25 per indicare l'arco di tre anni e mezzo, come del resto in 9,27. La risposta, tuttavia, non è chiara per Daniele il quale sente il bisogno di un ulteriore chiarimento (v. 8) che però non gli viene dato (v. 9).

I vv. 11-12 sono ritenuti dalla maggioranza degli esegeti come delle aggiunte posteriori che tendono a spostare ulteriormente, dopo la morte di Antioco IV, la fine della tribolazione: da tre anni e mezzo (milleduecentosessanta 12, 5-13. La profezia si è conclusa, ma non si è conclusa ancora la visione. Il luogo è ancora quello menzionato in piedi sulle due rive del fiume ed instaurano un dialogo con l'uomo vestito di lino (vv. 5-6). Il loro dialogo riguarda ancora il contenuto della profezia, e precisamente il «quando» degli eventi predetti. L'uomo vestito di lino risponde con un solenne giuramento precisando con una misteriosa espressione la durata di queste cose che devono accadere: dureranno «un tempo, tempi, e la meta di un tempo» (v. 7), quindi la stessa formula cronologica usata in 7,25 per indicare l'arco di tre anni e mezzo, come del resto in 9,27. La risposta, tuttavia, non è chiara per Daniele il quale sente il bisogno di un ulteriore chiarimento (v. 8) che però non gli viene dato (v. 9).

I vv. 11-12 sono ritenuti dalla maggioranza degli esegeti come delle aggiunte posteriori che tendono a spostare ulteriormente, dopo la morte di Antioco IV, la fine della tribolazione: da tre anni e mezzo (milleduecentosessanta giorni) l'arco di tempo viene accresciuto prima fino a milleduecentonovanta giorni (v. 11) e poi fino a milletrecentotrentacinque (v. 12). Viene resa così impossibile una datazione precisa del tempo della fine. Anche Daniele, finita la sua missione, entra nel suo riposo fino al giorno finale della risurrezione (v. 13).

(cf. VINCENZO CUFFARO, Daniele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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