📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

1 Ecco, davanti a lui ogni sicurezza viene meno, al solo vederlo si resta abbattuti. 2Nessuno è tanto audace da poterlo sfidare: chi mai può resistergli? 3Chi mai lo ha assalito e ne è uscito illeso? Nessuno sotto ogni cielo. 4Non passerò sotto silenzio la forza delle sue membra, né la sua potenza né la sua imponente struttura. 5Chi mai ha aperto il suo manto di pelle e nella sua doppia corazza chi è penetrato? 6Chi mai ha aperto i battenti della sua bocca, attorno ai suoi denti terrificanti? 7Il suo dorso è formato da file di squame, saldate con tenace suggello: 8l'una è così unita con l'altra che l'aria fra di esse non passa; 9ciascuna aderisce a quella vicina, sono compatte e non possono staccarsi. 10Il suo starnuto irradia luce, i suoi occhi sono come le palpebre dell'aurora. 11Dalla sua bocca erompono vampate, sprizzano scintille di fuoco. 12Dalle sue narici esce fumo come da caldaia infuocata e bollente. 13Il suo fiato incendia carboni e dalla bocca gli escono fiamme. 14Nel suo collo risiede la forza e innanzi a lui corre il terrore. 15Compatta è la massa della sua carne, ben salda su di lui e non si muove. 16Il suo cuore è duro come pietra, duro come la macina inferiore. 17Quando si alza si spaventano gli dèi e per il terrore restano smarriti. 18La spada che lo affronta non penetra, né lancia né freccia né dardo. 19Il ferro per lui è come paglia, il bronzo come legno tarlato. 20Non lo mette in fuga la freccia, per lui le pietre della fionda sono come stoppia. 21Come stoppia è la mazza per lui e si fa beffe del sibilo del giavellotto. 22La sua pancia è fatta di cocci aguzzi e striscia sul fango come trebbia. 23Fa ribollire come pentola il fondo marino, fa gorgogliare il mare come un vaso caldo di unguenti. 24Dietro di sé produce una scia lucente e l'abisso appare canuto. 25Nessuno sulla terra è pari a lui, creato per non aver paura. 26Egli domina tutto ciò che superbo s'innalza, è sovrano su tutte le bestie feroci”. =●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

40,25-41,26. Il Leviatan, identificato con il coccodrillo (ma cfr. anche 3,8; Sal 74,14; 104,26; Is 27,1), è inavvicinabile e invincibile per l'uomo; esso affronta e regna su tutte le altre fiere. Solo Dio ha creato e domina il Behemot e il Leviatan, che rimandano evidentemente a una pluralità di significati, come simboli mitologici del caos primordiale, o mostri naturali, storici, psichici, comunque terrificanti per l'uomo. Tali mostruose creature rappresentano le forze negative, il male sottomesso e controllato da Dio, che ha cura della creazione. La loro forza distruttiva è ridotta e sminuita ma non annientata; sono assoggettati al controllo divino, nondimeno terrorizzano l'uomo. In tale contesto l'uomo viene esortato a fidarsi di Dio, che non lo abbandona, anche quando è raggiunto da un male ingiusto, senza ragione: esso, infatti, non può sottrarsi all'incomparabile potenza divina. Si propone, dunque, all'uomo una fede impegnata, capace di non incrinarsi dinanzi al mistero divino per cui il male imperversa anche al di là del peccato dell'uomo, malgrado la preminente cura di Dio per il creato. Giunge così la conferma che il problema supremo non è il male, ma il rapporto dell'uomo con Dio, JHWH, Creatore e Signore della storia. L'insistenza sulla potenza divina e soprattutto sull'orientamento fondamentale dell'agire di Dio che provvede e custodisce la magnificenza del creato, e che, nella storia, opera la liberazione degli oppressi e la distruzione degli empi, vuole esprimere e dimostrare, evidentemente, la giustizia di Dio che consiste nella fedeltà al suo piano, alla sua parola, perenne origine e fonte di vita. A questo punto, si può pertanto arguire che la concezione avanzata dagli amici, centrata sulla ricompensa, è respinta da Dio, in quanto riduttiva e deviante. Invece l'atteggiamento di Giobbe che nella sofferenza della prova si imbatte nella segreta dialettica fra il bene e il male in relazione a Dio, nella contrastante percezione di Dio nemico e redentore, e che lotta per non rinunciare all'affermazione del Dio della vita, della sua vita, è approvato da JHWH.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1 Il Signore prese a dire a Giobbe: 2“Il censore vuole ancora contendere con l'Onnipotente? L'accusatore di Dio risponda!“.

3Giobbe prese a dire al Signore: 4“Ecco, non conto niente: che cosa ti posso rispondere? Mi metto la mano sulla bocca. 5Ho parlato una volta, ma non replicherò, due volte ho parlato, ma non continuerò”.

6Il Signore prese a dire a Giobbe in mezzo all'uragano: 7“Cingiti i fianchi come un prode: io t'interrogherò e tu mi istruirai! 8Oseresti tu cancellare il mio giudizio, dare a me il torto per avere tu la ragione? 9Hai tu un braccio come quello di Dio e puoi tuonare con voce pari alla sua? 10Su, órnati pure di maestà e di grandezza, rivèstiti di splendore e di gloria! 11Effondi pure i furori della tua collera, guarda ogni superbo e abbattilo, 12guarda ogni superbo e umilialo, schiaccia i malvagi ovunque si trovino; 13sprofondali nella polvere tutti insieme e rinchiudi i loro volti nel buio! 14Allora anch'io ti loderò, perché hai trionfato con la tua destra.

15Ecco, l'ippopotamo che io ho creato al pari di te, si nutre di erba come il bue. 16Guarda, la sua forza è nei fianchi e il suo vigore nel ventre. 17Rizza la coda come un cedro, i nervi delle sue cosce s'intrecciano saldi, 18le sue vertebre sono tubi di bronzo, le sue ossa come spranghe di ferro. 19Esso è la prima delle opere di Dio; solo il suo creatore può minacciarlo con la spada. 20Gli portano in cibo i prodotti dei monti, mentre tutte le bestie della campagna si trastullano attorno a lui. 21Sotto le piante di loto si sdraia, nel folto del canneto e della palude. 22Lo ricoprono d'ombra le piante di loto, lo circondano i salici del torrente. 23Ecco, se il fiume si ingrossa, egli non si agita, anche se il Giordano gli salisse fino alla bocca, resta calmo.

24Chi mai può afferrarlo per gli occhi, o forargli le narici con un uncino? 25Puoi tu pescare il Leviatàn con l'amo e tenere ferma la sua lingua con una corda, 26ficcargli un giunco nelle narici e forargli la mascella con un gancio? 27Ti rivolgerà forse molte suppliche o ti dirà dolci parole? 28Stipulerà forse con te un'alleanza, perché tu lo assuma come servo per sempre? 29Scherzerai con lui come un passero, legandolo per le tue bambine? 30Faranno affari con lui gli addetti alla pesca, e lo spartiranno tra i rivenditori? 31Crivellerai tu di dardi la sua pelle e con la fiocina la sua testa? 32Prova a mettere su di lui la tua mano: al solo ricordo della lotta, non ci riproverai! _________________ Note

40,1-5 Giobbe si arrende e tace. È questo il senso dell’espressione Mi metto la mano sulla bocca (v. 4).

40,15-24 Conosciuto come “la bestia” per eccellenza (così potrebbe essere inteso il termine ebraico beemòt), l’ippopotamo è descritto come il simbolo delle forze del male che si oppongono a Dio, ma sono da lui dominate e vinte.

40,25-41,26 Il Leviatàn (“tortuoso”) è un mostro dell’antica mitologia orientale, rappresentato come un coccodrillo (vedi 26,13; 40,25).

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Approfondimenti

40,1-2. Il discorso divino suppone a questo punto una pausa, segnalata dalla presenza del narratore (v. 1) che introduce la ripresa dello stesso intervento di JHWH. Si può pensare che una tale pausa manifesti l'attesa per la risposta spontanea di Giobbe, oppure che si tratti di un artificio letterario (reperibile altrove nella Scrittura, cfr. per es. Gn 15,5; 37,21-22), utile qui ad accentuare il passaggio dalla rievocazione dei prodigi divini all'invito decisivo perché Giobbe risponda alle sollecitazioni di Dio (v. 2). È interessante il fatto che Dio si indirizzi a Giobbe (in terza persona come in 38,2), in quanto suo contendente, colui che ha deliberatamente inteso dibattere con Dio (cfr. 13,3.15). A Dio importa, decisamente, Giobbe. Lo ha ascoltato e ha replicato alle sue contestazioni; ma, si sa, Giobbe potrebbe non essere soddisfatto, o voler avanzare altre obiezioni; perciò è Dio che ora insiste perché Giobbe si esprima. Sebbene a Dio non fosse necessaria un'audizione diretta di Giobbe, poiché già conosce i pensieri dell'uomo (cfr. Sal 139,2-4), e il narratore onnisciente avrebbe potuto in vario modo riferirli, non così accade, Infatti solo le parole di Giobbe possono far comprendere e partecipare il lettore all'esperienza del protagonista, riferire l'orientamento del suo itinerario interiore dinanzi alla rivelazione divina. Inoltre Dio si affida ancora una volta alla libertà dell'uomo. Infatti Dio non si è affermato né con dichiarazioni né con minacce, bensì ha incalzato Giobbe con alcune domande lasciandogli l'autonomia nel riconoscimento e nell'adesione, e il pieno diritto di autodeterminazione e di espressione. La relazione fra il Dio d'Israele e l'uomo, anche in circostanze estreme, si configura nell'incommensurabile incontro fra la libertà di Dio e quella dell'uomo. Si osservi infine che nei vv. 1-2 si può riscontrare un importante indizio, attinente l'uso dei nomi divini, che stabilisce un'interconnessione tra la sezione in prosa e la parte poetica del libro, e contribuisce anche a orientare l'interpretazione del poema come racconto unificato. Infatti JHWH (v. 1; ma cfr. 38,1; 40,3.6; 42,1, come nel Prologo e nell'Epilogo) in questa richiesta diretta a Giobbe (v. 2) parla di se riportando dei nomi che Giobbe e tutti i suoi interlocutori hanno usato: ’elôah, šadday (anche ’ēl in 40,9). Un fenomeno in qualche modo paragonabile a questo, con le dovute rilevanti differenze, si ritrova in Gn 17,1, poi ripreso nella mirabile sintesi di Es 6,2-8.

40,3-5. In questa teofania in cui Dio si è fatto subito riconoscere al suo apparire (cfr. 38,1; altrove cfr. per es. Gn 15,1; 17,1; 28,13; Es 6,2; ecc.), il problema ruota intorno alla conoscenza e, da come Dio ha impostato il discorso, alla trasformazione della conoscenza di Giobbe, così da rimuovere l'opposizione fra Dio e Giobbe. Tuttavia, la risposta di Giobbe è particolarmente contenuta, e manifesta, sostanzialmente, ancora attesa per le parole di Dio. La prima reazione di Giobbe non è di paura, ma di considerazione del proprio limite dinanzi alla maestà di Dio (v. 4). Sul piano emotivo Giobbe è appagato. Infatti egli ha gridato (cfr. 31,35) e Dio, finalmente, gli ha risposto. Per Giobbe, Dio non è più lontano o nascosto. Tuttavia il discorso divino non aggiunge molto a quel che Giobbe stesso ha detto sulla sapienza e sulla potenza di Dio (cfr. per es. 26,7-14). Soprattutto, Dio non ha ancora esaminato la questione del giusto che soffre e dell'empio che invece gode nel mondo. Perciò Giobbe dichiara che ha già espresso le sue opinioni (v. 5) e che quindi non intende replicare. Le sue questioni attendono tuttora di ottenere una risposta da Dio. Giobbe, dunque, resiste ancora a Dio; pertanto, a questo punto, si rende necessario un secondo discorso divino.

40,6-41,26. La risposta di Dio, JHWH, stavolta è immediata. Egli non si tira indietro dinanzi all'aspettativa di Giobbe al quale pone adesso delle domande sulla forza dell'uomo (40,7-14), che appare terrorizzato da mostri come il Behemot (40,15-24) e il Leviatan (40,25-41 26), mentre anch'essi appartengono all'opera creatrice divina.

40,7-14. Dio chiede a Giobbe se per affermare la propria giustizia e innocenza pensa davvero di condannare Dio, e dunque di distruggere, di annullare il diritto divino, eliminando il tal modo le basi stesse della giustizia e del governo sul mondo (40,8). Si tratta di una questione particolarmente importante nella dinamica della vicenda fra Giobbe e Dio, il cui esito rimane ancora incerto. Peraltro non consiste solo nello stabilire chi abbia ragione e chi torto; inoltre dichiarare colpevole Dio per affermare la giustizia dell'uomo ha un rilievo che oltrepassa l'ambito giudiziario e riguarda l'ordine e il governo stesso dell'universo. In realtà Giobbe (a differenza degli amici) aveva escluso una tale alternativa, attendendo l'accertamento della propria giustizia senza rinunciare a Dio, anzi, per riconfermare e ritrovare la comunione di vita con Dio. Nondimeno, Dio ora chiede a Giobbe se dispone di una potenza come quella divina per regolare, per governare il creato. L'azione potente di Dio, la sua ‘ēṣâ (cfr. 38,2), si manifesta nella storia, e, in modo inequivocabile e incontrastabile, per liberare e salvare gli oppressi (cfr. Sal 146,5-9), per abbattere i superbi (cfr. Is 2,10-12) e annientare gli empi. JHWH, si presenta, dunque, come il creatore e il Signore della storia. Le meraviglie del creato e il corso degli eventi lo testimoniano. Può Giobbe, può l'uomo, dimostrare una potenza e un'abilità simili (cfr. Dt 8,17; Sal 44,4)?

vv. 15-24. Il Behemot, sul quale adesso Dio richiama l'attenzione, e poi il Leviatan (40,25-41,26) sono, fra tutti gli animali creati, i più selvaggi e terribili. Il Behemot, identificato con l'ippopotamo, appare un animale possente e imbattibile, e mentre incute terrore nell'uomo, Dio invece, guarda con benevolenza anche il suo riposo. Infatti è Dio che ha creato il Behemot.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1 Sai tu quando figliano i camosci o assisti alle doglie delle cerve? 2Conti tu i mesi della loro gravidanza e sai tu quando devono partorire? 3Si curvano e si sgravano dei loro parti, espellono i loro feti. 4Robusti sono i loro figli, crescono all'aperto, se ne vanno e non tornano più da esse. 5Chi lascia libero l'asino selvatico e chi ne scioglie i legami? 6Io gli ho dato come casa il deserto e per dimora la terra salmastra. 7Dei rumori della città se ne ride e non ode le urla dei guardiani. 8Gira per le montagne, sua pastura, e va in cerca di quanto è verde. 9Forse il bufalo acconsente a servirti o a passare la notte presso la tua greppia? 10Puoi forse legare il bufalo al solco con le corde, o fargli arare le valli dietro a te? 11Ti puoi fidare di lui, perché la sua forza è grande, e puoi scaricare su di lui le tue fatiche? 12Conteresti su di lui, perché torni e raduni la tua messe sull'aia? 13Lo struzzo batte festosamente le ali, come se fossero penne di cicogna e di falco. 14Depone infatti sulla terra le uova e nella sabbia le lascia riscaldare. 15Non pensa che un piede può schiacciarle, una bestia selvatica calpestarle. 16Tratta duramente i figli, come se non fossero suoi, della sua inutile fatica non si preoccupa, 17perché Dio gli ha negato la saggezza e non gli ha dato in sorte l'intelligenza. 18Ma quando balza in alto, si beffa del cavallo e del suo cavaliere. 19Puoi dare la forza al cavallo e rivestire di criniera il suo collo? 20Puoi farlo saltare come una cavalletta, con il suo nitrito maestoso e terrificante? 21Scalpita nella valle baldanzoso e con impeto va incontro alle armi. 22Sprezza la paura, non teme, né retrocede davanti alla spada. 23Su di lui tintinna la faretra, luccica la lancia e il giavellotto. 24Con eccitazione e furore divora lo spazio e al suono del corno più non si tiene. 25Al primo suono nitrisce: “Ah!” e da lontano fiuta la battaglia, gli urli dei capi e il grido di guerra. 26È forse per il tuo ingegno che spicca il volo lo sparviero e distende le ali verso il meridione? 27O al tuo comando l'aquila s'innalza e costruisce il suo nido sulle alture? 28Vive e passa la notte fra le rocce, sugli spuntoni delle rocce o sui picchi. 29Di lassù spia la preda e da lontano la scorgono i suoi occhi. 30I suoi piccoli succhiano il sangue e dove sono cadaveri, là essa si trova”. _________________ Note

39,13-18 Descritto con vivacità, lo struzzo è presentato alla luce della fama popolare, che lo riteneva animale crudele (v. 16) e insipiente (v. 17). Ciò era dovuto al fatto che le sue uova venivano depositate nella sabbia (probabilmente per essere scaldate dal sole cocente del deserto).

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Approfondimenti

vv. 38,39-39,30. Nella straordinaria varietà degli esseri viventi con le loro peculiari caratteristiche si manifesta l'indescrivibile sollecitudine divina. L'uomo ne coglie il movimento, l'insuperabile organizzazione, ma non dispone dei segreti dell'equilibrio naturale. Solo Dio conosce profondamente anche ciò che l'uomo non riesce a comprendere (a conferma di Gb 28). Da una parte, dunque, la gratuità e la premura di Dio per il creato ridimensionano la prepotenza umana, e dall'altra rassicurano l'uomo sul fatto che tutto è nelle mani di Dio. Infatti egli ha cura di tutte le sue creature, dunque anche dell'uomo. Così Dio respinge pure la critica di Giobbe sul modo in cui governa il mondo. L'esaltazione delle opere del creato contenute nel primo discorso divino ribadisce l'insuperabile abilità di Dio, JHWH, come creatore e il suo eminente esercizio di controllo sulla creazione. Peraltro Giobbe non ha mai messo in discussione l'onnipresenza e l'onnipotenza divina, bensì ha avanzato delle questioni sul modo arbitrario, inspiegabile, con cui Dio tratta l'uomo. In Dio è la fonte e l'origine della sapienza e della potenza (cfr. c. 28), ma Giobbe ha osservato e contestato il prevalere degli effetti devastanti della potenza divina soprattutto nei confronti dell'uomo (cfr. 9,4-10). Ora, negli elementi naturali menzionati da Dio, si manifesta una duplice valenza, come nel caso della pioggia che può trasformare il deserto in un giardino oppure provocare dei danni irreparabili (cfr. 38,22-30). Questo duplice carattere evidentemente rimanda a Dio, sorgente unica della prosperità e della sventura, come pure Giobbe aveva riconosciuto (cfr. 2,10). Pertanto lo sviluppo del discorso divino intende sostenere, replicando in tal modo alle contestazioni di Giobbe, che fin dall'inizio Dio ha creato molto più di quanto ha distrutto, perciò gli si deve accordare venerazione e fiducia.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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TEOFANIA

La sollecitudine del creatore verso il creato 1 Il Signore prese a dire a Giobbe in mezzo all'uragano: 2“Chi è mai costui che oscura il mio piano con discorsi da ignorante? 3Cingiti i fianchi come un prode: io t'interrogherò e tu mi istruirai! 4Quando ponevo le fondamenta della terra, tu dov'eri? Dimmelo, se sei tanto intelligente! 5Chi ha fissato le sue dimensioni, se lo sai, o chi ha teso su di essa la corda per misurare? 6Dove sono fissate le sue basi o chi ha posto la sua pietra angolare, 7mentre gioivano in coro le stelle del mattino e acclamavano tutti i figli di Dio? 8Chi ha chiuso tra due porte il mare, quando usciva impetuoso dal seno materno, 9quando io lo vestivo di nubi e lo fasciavo di una nuvola oscura, 10quando gli ho fissato un limite, e gli ho messo chiavistello e due porte 11dicendo: “Fin qui giungerai e non oltre e qui s'infrangerà l'orgoglio delle tue onde”? 12Da quando vivi, hai mai comandato al mattino e assegnato il posto all'aurora, 13perché afferri la terra per i lembi e ne scuota via i malvagi, 14ed essa prenda forma come creta premuta da sigillo e si tinga come un vestito, 15e sia negata ai malvagi la loro luce e sia spezzato il braccio che si alza a colpire? 16Sei mai giunto alle sorgenti del mare e nel fondo dell'abisso hai tu passeggiato? 17Ti sono state svelate le porte della morte e hai visto le porte dell'ombra tenebrosa? 18Hai tu considerato quanto si estende la terra? Dillo, se sai tutto questo! 19Qual è la strada dove abita la luce e dove dimorano le tenebre, 20perché tu le possa ricondurre dentro i loro confini e sappia insegnare loro la via di casa? 21Certo, tu lo sai, perché allora eri già nato e il numero dei tuoi giorni è assai grande! 22Sei mai giunto fino ai depositi della neve, hai mai visto i serbatoi della grandine, 23che io riserbo per l'ora della sciagura, per il giorno della guerra e della battaglia? 24Per quali vie si diffonde la luce, da dove il vento d'oriente invade la terra? 25Chi ha scavato canali agli acquazzoni e una via al lampo tonante, 26per far piovere anche sopra una terra spopolata, su un deserto dove non abita nessuno, 27per dissetare regioni desolate e squallide e far sbocciare germogli verdeggianti? 28Ha forse un padre la pioggia? O chi fa nascere le gocce della rugiada? 29Da qual grembo esce il ghiaccio e la brina del cielo chi la genera, 30quando come pietra le acque si induriscono e la faccia dell'abisso si raggela? 31Puoi tu annodare i legami delle Plèiadi o sciogliere i vincoli di Orione? 32Puoi tu far spuntare a suo tempo le costellazioni o guidare l'Orsa insieme con i suoi figli? 33Conosci tu le leggi del cielo o ne applichi le norme sulla terra? 34Puoi tu alzare la voce fino alle nubi per farti inondare da una massa d'acqua? 35Scagli tu i fulmini ed essi partono dicendoti: “Eccoci!”? 36Chi mai ha elargito all'ibis la sapienza o chi ha dato al gallo intelligenza? 37Chi mai è in grado di contare con esattezza le nubi e chi può riversare gli otri del cielo, 38quando la polvere del suolo diventa fango e le zolle si attaccano insieme? 39Sei forse tu che vai a caccia di preda per la leonessa e sazi la fame dei leoncelli, 40quando sono accovacciati nelle tane o stanno in agguato nei nascondigli? 41Chi prepara al corvo il suo pasto, quando i suoi piccoli gridano verso Dio e vagano qua e là per mancanza di cibo? _________________ Note

38,8-11 Simbolo del caos e di tutto ciò che incute paura all’uomo, il mare è descritto qui come un indifeso neonato, che esce dal seno materno e che Dio avvolge di nubi come di fasce.

38,22-23 La grandine è spesso considerata nella Bibbia come un’arma usata da Dio per punire.

38,25-30 La descrizione dei diversi fenomeni rispecchia l’antica scienza cosmologica, secondo la quale la pioggia scendeva attraverso canali aperti nel firmamento, e la rugiada cadeva a gocce dall’aria.

38,31-38 Vengono elencati i nomi delle costellazioni e dei corpi celesti che compongono lo Zodiaco. L’Orsa insieme con i suoi figli probabilmente designa la costellazione dell’Orsa minore (v. 32).

38,36 All’ibis e al gallo erano attribuite dagli antichi particolari funzioni meteorologiche. Il primo annunciava le piene del fiume Nilo, il secondo lo spuntare del giorno e le piogge autunnali. L’ibis era l’uccello simbolo della sapienza e il gallo dell’intelligenza.

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Approfondimenti

TEOFANIA (38,1-42,6) La teofania costituisce la nuova, decisiva, svolta narrativa. Il pronunciamento di Dio è l'evento più richiesto e atteso da Giobbe, ma anche quello più contrastato e incerto, sottoposto a ripetuti rinvii. Innanzitutto i tre amici hanno sempre negato la possibilità di un intervento divino; Giobbe, poi, ha insistentemente gridato a Dio ma senza ricevere risposta e anche dopo aver conteso e sfidato apertamente Dio, in una crescente progressione drammatica, ancora un uomo, Eliu, gli risponde che Dio non ha interesse a dibattere, poiché si rivela all'uomo proprio nella sofferenza. Per gli interlocutori di Giobbe è inconcepibile l'evento stesso della rivelazione divina, data l'insolenza di Giobbe, ma soprattutto perché, per loro, tutto è già stabilito fra l'uomo e Dio. Invece, l'intervento divino giunge proprio quando l'uomo ha esaurito le parole, dopo il fallimento di tutti i tentativi umani di comprendere, e in risposta agli appelli di Giobbe.

La straordinaria originalità del contenuto dei due discorsi divini (38,2-40,2; 40,7-41,26) ha alimentato fra gli studiosi moderni non poche questioni sulla loro congruenza, e quindi sulla loro composizione. La sorpresa, tuttavia, costituisce un tratto specifico del poema che tende a stupire il lettore perché tutto quel che era prevedibile risulta scardinato al punto che si osa l'impensabile. Le varie tappe narrative sorprendono non meno del loro contenuto. Il lettore viene allenato a prestare attenzione all'inconsueto. Inoltre il Dio che si rivela fa riferimento alla sua opera creatrice, e alla potenza e sapienza di Dio creatore hanno fatto spesso riferimento tutti i personaggi. Anche lo stile dei discorsi divini è scandito dall'uso delle domande retoriche, che pure costituiscono un tratto caratteristico del poema, e raggiungono proprio nel c. 38 la più alta frequenza e intensità. Queste ed altre peculiarità depongono per l'appartenenza di tale unità narrativa (cc. 38,1-42,6) alla fase fondamentale della composizione dell'opera. Se con la teofania si raggiunge la fase culminante dell'intera vicenda, dove peraltro il mistero divino non è del tutto dissolto, non meno importanti sono le risposte di Giobbe, malgrado la brevità, nello sviluppo dell'intreccio narrativo di conoscenza.

I discorsi di Dio, JHWH, presentano a prima vista dei contenuti inattesi, persino sconcertanti. Nel primo discorso (38,2-40,2) Dio richiama Giobbe (38,2-3) e lo interroga sulla creazione della terra (38,4-7), del mare (38,8-11), della luce (38,12-15); sulla conoscenza delle estremità del mondo e dell'abisso (38,16-21), dei fenomeni atmosferici (38,22-30), dei corpi celesti (38,31-38); sulla cura del leone e del corvo (38,39-41), del parto delle cerve (39,1-4), dell'asino selvatico (39,5-8); sull'agire del bufalo (39,9-12), dello struzzo (39,13-18), del cavallo (39,19-25), dei rapaci (39,26-30). Il discorso si conclude con l'invito per Giobbe a rispondere (40,2). Giobbe, dunque, viene interpellato da Dio sulle meraviglie della creazione, sull'organizzazione e sul funzionamento del mondo, osservato dal punto di vista di Dio.

La sollecitudine del creatore verso il creato 38,1. L'introduzione del narratore è particolarmente sobria e annuncia che JHWH (come nel Prologo e nell'Epilogo, mentre nella Disputa i personaggi avevano chiamato Dio: ’ēl, ’elôah, ’elōhîm, šadday), dalla tempesta, risponde a Giobbe. La tempesta o l'uragano appartengono a quei fenomeni che preludono, di solito, alla teofania biblica (cfr. Es 19,16-19, Sal 18,8-14; 50,3; Na 1,3; Ez 1,4; Zc 9,14; ecc.). Giobbe ha parlato della tempesta attraverso la quale Dio accresceva le sue afflizioni (cfr. 9,17) ed Eliu ha preannunciato tale evento con tremore (cfr. 37,1-5) perché foriero del castigo o della benedizione divina. In questo sfondo inquieto, l'azione che il narratore mette in rilievo è il parlare di Dio, evento che comunque ristabilisce la vicinanza fra Dio e l'uomo, perché nella tradizione biblica, come per Giobbe, è proprio il silenzio di Dio a generare il disorientamento e l'angustia.

vv. 2-3. Dio, JHWH, risponde alle interpellanze di Giobbe interrogandolo. Non si tratta di una provocazione, ma di una comunicazione paradossale atta a condurre Giobbe a considerare gli avvenimenti da un'altra prospettiva, dal punto di vista di Dio. Dio riprende Giobbe perché oscura il consiglio divino, ‘ēṣâ, termine tecnico che designa la deliberazione, il piano di JHWH che opera nella storia (come azione salvifica o di giudizio, cfr. Sal 33,11; 106,13; Is 46,10-11; Ger 49,20; 50,45; ecc.), nella creazione e nel governo del mondo (v. 2; 42,3). Dunque Giobbe ha parlato senza conoscere il piano di Dio proprio mentre ha affermato che esso appartiene a Dio (cfr. 12,13). Peraltro Dio sollecita l'attenzione di Giobbe come quella di chi è pronto a combattere (v. 3; cfr. 40,7; Ger 1,17). Giobbe attendeva di contendere direttamente con Dio; ora è il momento.

vv. 4-7. Innanzitutto Dio interpella Giobbe sull'origine della terra. Dio ha operato come un architetto e ha stabilito la terra come un edificio (cfr. Is 48,13; 51,13), ricevendo la lode, per la realizzazione del suo progetto, dagli altri esseri creati. Ma Giobbe, dov'era quando Dio ha creato il mondo?

vv. 8-11. Solo Dio ha separato le acque (cfr. Gn 1,6-7) e ha posto al mare dei limiti invalicabili (cfr. Gn 1,9; Sal 104,9).

vv. 12-15. A Dio si deve non solo lo spazio, ma anche il tempo, scandito dalla luce, dal ritmico succedersi della sera e del mattino (cfr. Gn 1,3-5). Inoltre l'opposizione fra la luce e i malvagi (cfr. 24,13-18) viene ora confermata, mettendo tuttavia in rilievo che soltanto Dio allontana i malvagi dalla terra; infatti tanti misfatti sfuggono alla giustizia umana.

vv. 16-21. Dio interroga ancora Giobbe sulle estremità, sui limiti del creato: le fonti del mare, le porte della morte, le dimore della luce e delle tenebre. Quale conoscenza Giobbe può produrre così da mostrare di poterle governare?

vv. 22-30. L'attenzione viene ora richiamata sulle riserve della neve e della pioggia (cfr. Sal 33,7; 135,7). Singolare è l'uso che Dio fa dei fenomeni atmosferici in relazione ai conflitti umani (v. 23; cfr. Es 9,13-35; Is 28,17; 30,30; Ez 38,22). Inoltre Dio sparge la pioggia anche là dove non c'è alcun interesse per l'uomo (vv. 26-27). Dunque ritorna il duplice scopo, presentato da Eliu, di tali fenomeni (cfr. 36, 31), con un accento sulla benevolenza divina che eccede l'uomo, il quale non è l'unico oggetto della cura di Dio.

vv. 31-38. Quale conoscenza ha Giobbe delle costellazioni e dei corpi celesti (cfr. 9,9)? Quale influsso può esercitare su di essi? Evidentemente soltanto Dio può disporre di tutta l'attività celeste. Fin qui il discorso di Dio ha rievocato le meraviglie della creazione, i cui segreti sono noti solo a lui. Nella seconda parte l'attenzione è rivolta ai prodigi del mondo animale.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1 Per questo mi batte forte il cuore e mi balza fuori dal petto. 2Udite attentamente il rumore della sua voce, il fragore che esce dalla sua bocca. 3Egli lo diffonde per tutto il cielo e la sua folgore giunge ai lembi della terra; 4dietro di essa ruggisce una voce, egli tuona con la sua voce maestosa: nulla può arrestare il lampo appena si ode la sua voce. 5Dio tuona mirabilmente con la sua voce, opera meraviglie che non comprendiamo! 6Egli infatti dice alla neve: “Cadi sulla terra” e alle piogge torrenziali: “Siate violente”. 7Nella mano di ogni uomo pone un sigillo, perché tutti riconoscano la sua opera. 8Le belve si ritirano nei loro nascondigli e si accovacciano nelle loro tane. 9Dalla regione australe avanza l'uragano e il gelo dal settentrione. 10Al soffio di Dio si forma il ghiaccio e le distese d'acqua si congelano. 11Carica di umidità le nuvole e le nubi ne diffondono le folgori. 12Egli le fa vagare dappertutto secondo i suoi ordini, perché eseguano quanto comanda loro su tutta la faccia della terra. 13Egli le manda o per castigo del mondo o in segno di bontà.

14Porgi l'orecchio a questo, Giobbe, fermati e considera le meraviglie di Dio. 15Sai tu come Dio le governa e come fa brillare il lampo dalle nubi? 16Conosci tu come le nuvole si muovono in aria? Sono i prodigi di colui che ha una scienza perfetta. 17Sai tu perché le tue vesti sono roventi, quando la terra è in letargo sotto il soffio dello scirocco? 18Hai tu forse disteso con lui il firmamento, solido come specchio di metallo fuso?

19Facci sapere che cosa possiamo dirgli! Noi non siamo in grado di esprimerci perché avvolti nelle tenebre. 20Gli viene forse riferito se io parlo, o, se uno parla, ne viene informato? 21All'improvviso la luce diventa invisibile, oscurata dalle nubi: poi soffia il vento e le spazza via. 22Dal settentrione giunge un aureo chiarore, intorno a Dio è tremenda maestà. 23L'Onnipotente noi non possiamo raggiungerlo, sublime in potenza e rettitudine, grande per giustizia: egli non opprime. 24Perciò lo temono tutti gli uomini, ma egli non considera quelli che si credono sapienti!“. _________________ Note

37,2 il rumore della sua voce: il tuono, chiamato nella Bibbia “voce di Dio” (vedi Sal 29).

37,7 Porre il sigillo indica, qui, far cessare l’attività dell’uomo.

37,10 Il soffio di Dio è qui il vento.

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Approfondimenti

37,1-13. Eliu si sofferma con tremore proprio sui lampi e i tuoni che preludono la bufera, la manifestazione divina (37,1-6). In essi scorge la luce e la voce potente di Dio (cfr. Sal 18,14-15; 29; 77,18-19) che raggiungono e scuotono tutta la terra. Tutto il cosmo è investito dall'iniziativa poderosa di Dio, che costringe gli esseri viventi a cercare riparo, a difendersi dalla tormenta (37,7-12). Al termine dell'inno, Eliu ripropone il duplice scopo di tali fenomeni come strumenti del castigo o della benevolenza di Dio per l'uomo (37,17; cfr. 36,31).

vv. 14-18. Eliu invita di nuovo Giobbe a riflettere sulle meraviglie di Dio e a riconoscere la formidabile disposizione divina dell'ordinamento naturale (cfr. 26,7-14). Egli inoltre interroga Giobbe, con uno stile che anticipa ancora i discorsi divini, riguardo a quale conoscenza dei prodigi della natura può esibire.

vv. 19-24. Per Eliu è inconcepibile che un uomo, Giobbe, pretenda di dibattere con Dio. Infatti la conoscenza umana è avvolta dall'oscurità, rispetto alla perfetta conoscenza e alla sapienza di Dio. Dio è sempre nascosto e l'uomo scorge solo le tracce dello splendore della maestà divina (cfr. 26,14). L'uomo quindi non può trovare né raggiungere Dio. Peraltro la grandezza e la potenza di Dio si manifestano, secondo Eliu, nella sua giustizia (cfr. 36,5) che non opprime l'uomo, non affligge le sue creature, soprattutto non le colpisce arbitrariamente. Per questo gli uomini devono temere di contendere con Dio perché la loro conoscenza è parziale e frammentaria.

Eliu come i tre amici si propone quale difensore del diritto e dell'onore di Dio, ma rispetto ad essi insiste sulla pedagogia divina. La sofferenza di Giobbe non manifesta il castigo divino a motivo delle sue molteplici trasgressioni, piuttosto la correzione di Dio. L'afflizione è il linguaggio con cui Dio richiama l'uomo a sé; è lo strumento con cui Dio purifica l'uomo dalle sue presunzioni e dai suoi misfatti. Pertanto tutto dipende dall'uomo ed Eliu, come i precedenti interlocutori, sollecita Giobbe al pentimento che gli eviterà la distruzione fatale e gli apporterà, invece, il rinnovato dono della vita e della prosperità. Eliu parla per un'impellente esigenza personale con l'intento evidente non di confrontarsi, ma di trionfare soprattutto su Giobbe, esaltando la potenza inaccessibile di Dio. L'intervento di Eliu non allenta la tensione narrativa, né fa evolvere la dinamica del racconto, bensì ne costituisce un'interruzione. Le acute domande di Giobbe attendono ancora una risposta. Il sorprendente intervento di Eliu ha tuttavia presentato, rispetto alla rigidità della posizione sulla quale si sono attestati gli amici, un'ulteriore riflessione con una significativa articolazione. Eliu infatti mette in rilievo il valore della sofferenza che rende l'uomo attento alla correzione divina, gli apre gli occhi sul suo peccato e lo riconduce a Dio. La forte coesione interna, l'autonomia di tale inserzione della quale non ricorre alcun cenno altrove nell'opera, il marcato distacco con cui Eliu rivolge l'attenzione alle parole di Giobbe e le discute a un livello teorico, dottrinale (svincolato dal compiersi del dramma di Giobbe, nel quale invece gli amici apparivano intensamente coinvolti), e inoltre il peculiare contenuto della sua argomentazione, costituiscono alcuni aspetti che inducono a ritenere che i discorsi di Eliu siano stati composti in una fase successiva all'elaborazione fondamentale dell'opera. Si può pensare che nella recezione del poema fosse emersa l'esigenza di attenuare la durezza derivante dai discorsi dei tre amici, di rilanciare l'importanza dell'emblematico caso di Giobbe mettendo in rilievo (rispetto al cenno di Elifaz non più ripreso, cfr. 5,17) la valenza educativa dell'afflizione (cfr. Prv 3,11-12; Dt 8,5), riconfermando, tuttavia, il disagio per la protesta di Giobbe a Dio, la cui corretta applicazione della giustizia rimane fuori discussione. Anche la congruente collocazione di tale unità narrativa, che separa e allontana l'appello di Giobbe dalla teofania, tende a manifestare un forte senso della trascendenza divina, dell'inaccessibilità di Dio all'uomo. Nondimeno i discorsi di Eliu presentano delle considerazioni, per quanto riadattate, che anticipano il contenuto dei discorsi divini. Giobbe, e il lettore, vengono inconsapevolmente introdotti e preparati all'evento straordinario della teofania. Infine tale sorprendente interruzione dell'azione narrativa principale funziona, nell'organizzazione del racconto, come “digressione”, dove, con un'altra modulazione, la vicenda di Giobbe appare come un'occasione formidabile per ricevere l'istruzione divina; essa non estingue l'attesa di Dio e l'urgenza che Dio stesso si pronunci, piuttosto accresce l'incertezza e la suspense intorno a tale evento.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Dio è potente e corregge l'uomo 1 Eliu continuò a dire: 2“Abbi un po' di pazienza e io ti istruirò, perché c'è altro da dire in difesa di Dio. 3Prenderò da lontano il mio sapere e renderò giustizia al mio creatore. 4Non è certo menzogna il mio parlare: è qui con te un uomo dalla scienza perfetta. 5Ecco, Dio è grande e non disprezza nessuno, egli è grande per la fermezza delle sue decisioni. 6Non lascia vivere l'iniquo e rende giustizia ai miseri. 7Non stacca gli occhi dai giusti, li fa sedere sui troni dei re e li esalta per sempre. 8Se sono avvinti in catene, o sono stretti dai lacci dell'afflizione, 9Dio mostra loro gli errori e i misfatti che hanno commesso per orgoglio. 10Apre loro gli orecchi alla correzione e li esorta ad allontanarsi dal male. 11Se ascoltano e si sottomettono, termineranno i loro giorni nel benessere e i loro anni fra le delizie. 12Ma se non ascoltano, passeranno attraverso il canale infernale e spireranno senza rendersene conto. 13I perversi di cuore si abbandonano all'ira, non invocano aiuto, quando Dio li incatena. 14Si spegne in gioventù la loro vita, la loro esistenza come quella dei prostituti. 15Ma Dio libera il povero mediante l'afflizione, e con la sofferenza gli apre l'orecchio.

16Egli trarrà anche te dalle fauci dell'angustia verso un luogo spazioso, non ristretto, e la tua tavola sarà colma di cibi succulenti. 17Ma se di giudizio iniquo sei pieno, giudizio e condanna ti seguiranno. 18Fa' che l'ira non ti spinga allo scherno, e che il prezzo eccessivo del riscatto non ti faccia deviare. 19Varrà forse davanti a lui il tuo grido d'aiuto nell'angustia o tutte le tue risorse di energia? 20Non desiderare che venga quella notte nella quale i popoli sono sradicati dalla loro sede. 21Bada di non volgerti all'iniquità, poiché per questo sei stato provato dalla miseria.

22Ecco, Dio è sublime nella sua potenza; quale maestro è come lui? 23Chi mai gli ha imposto il suo modo d'agire o chi mai ha potuto dirgli: “Hai agito male?”. 24Ricòrdati di lodarlo per le sue opere, che l'umanità ha cantato. 25Tutti le contemplano, i mortali le ammirano da lontano. 26Ecco, Dio è così grande che non lo comprendiamo, è incalcolabile il numero dei suoi anni. 27Egli attrae in alto le gocce d'acqua e scioglie in pioggia i suoi vapori 28che le nubi rovesciano, grondano sull'uomo in quantità. 29Chi può calcolare la distesa delle nubi e i fragori della sua dimora? 30Ecco, egli vi diffonde la sua luce e ricopre le profondità del mare. 31In tal modo alimenta i popoli e offre loro cibo in abbondanza. 32Con le mani afferra la folgore e la scaglia contro il bersaglio. 33Il suo fragore lo annuncia, la sua ira si accende contro l'iniquità. _________________ Note

36,29 I fragori sono il rumore del tuono e la dimora è il cielo, dove risiede Dio, Signore della tempesta e del creato (vedi Sal 18,12; 65,8).

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Approfondimenti

Dio è potente e corregge l'uomo (36,1-37,24) In quest'ultimo ampio discorso Eliu magnifica ripetutamente la grandezza e la potenza divina, preparando e, talvolta, anticipando i discorsi di Dio. Egli innanzitutto continua a parlare in difesa di Dio (36,2-4), ne esalta la grandezza mostrando che dirige gli avvenimenti dei singoli e dei popoli e che fa conoscere all'uomo i suoi misfatti (36,5-10) perché si ravveda e viva (36,11-15). Così Eliu rinnova l'invito a Giobbe ad accogliere l'ammonizione che proviene dalla sua sofferenza (36,16-21). Quindi, con un inno, egli riprende a celebrare la potenza di Dio che ogni uomo può vedere, ma non comprendere (36,22-26), e che si manifesta negli straordinari fenomeni della natura (36,27-37,13). Eliu conclude con un'altra esortazione a Giobbe affinché consideri le meraviglie di Dio (37,14-18), e assicura che, benché non lo si possa trovare e raggiungere, Dio non opprime l'uomo (37,19-24).

36,1-4. La fondamentale preoccupazione di Eliu (come quella degli amici, cfr. 13,7-8) è di difendere Dio, ma con l'autorevolezza che deriva dalla sua presunta completezza dell'esperienza umana. Insomma, Eliu rivendica una competenza di vita superiore a quella di Giobbe.

vv. 5-10. Contro le accuse di Giobbe sull'intervento indiscriminato di Dio (cfr. 12,14-25) o sulla sua noncuranza (cfr. 12,6; 21,7-9; ecc.), Eliu ribatte asserendo l'azione inequivocabile di Dio, il pronunciamento giudiziario divino, che ristabilisce il diritto dei miseri e non conserva in vita i malvagi (cfr. 34,19-28). Dio separa i giusti dai malvagi ed esalta i primi fino a farli sedere in trono con i re. Tuttavia se il giusto è nell'afflizione o nella miseria è perché ha peccato, e Dio vuole richiamarlo per il suo bene, per rendergli del bene; così lo sollecita a rivedere la sua situazione e lo ammonisce a ritornare a lui. Attraverso le sofferenze Dio permette che l'uomo, compreso il giusto, riconosca le sue trasgressioni, il suo peccato. Con l'afflizione Dio rende l'uomo attento ad accogliere la correzione, ad allontanarsi dal male, a respingere l'iniquità (cfr. v. 21). Anche Elifaz aveva parlato della correzione (mûsār) di Dio (cfr. 5,17), ma in un contesto radicalmente negativo per l'uomo in quanto sicuramente colpevole dinanzi a Dio (cfr. 4,17-18). Eliu ammette invece l'esistenza del giusto, soggetto al peccato, e pertanto la sofferenza diventa lo strumento e il luogo dell'avvertimento divino, da cui egli può ritornare a Dio. Il giusto dunque, secondo Eliu, non deve preoccuparsi delle afflizioni: esse sono per il suo bene, affinché si penta della sua malvagità.

vv. 11-15. Dio attraverso la sventura vuole aprire l'orecchio dell'uomo, la sua facoltà di comprendere. Pertanto Dio renderà all'uomo secondo l'accoglienza dell'ammaestramento e dell'invito a ritornare a lui. Eliu distingue fra gli empi che nelle sofferenze attirano l'ira divina poiché maledicono, non supplicano Dio, e gli afflitti ai quali Dio si rivela nell'angustia e che libera mentre sono nell'afflizione (cfr. 2Sam 22,20; Sal 6,5; 50,15; 81,8).

vv. 16-21. Eliu offre un'applicazione delle sue asserzioni rivolgendosi direttamente a Giobbe e facendogli notare che l'afflizione, l'angustia, la sofferenza che lo tormentano sono finalizzate al suo ravvedimento. Benché Eliu ammetta, a differenza degli amici, l'esistenza del giusto, esposto al peccato, tuttavia egli non riesce a evitare di accusare Giobbe, come gli amici, di malvagità e iniquità, attuate con le parole e le azioni (v. 17; cfr. 22,15; 34,8.36). Peraltro l'avvertimento finale di Eliu (v. 21) a Giobbe è proprio di ritrarsi finalmente dalla malvagità, quella forza funesta negativa (’āwĕn) che allontana l'uomo da Dio e che, secondo Elifaz, è prodotta dall'uomo (cfr. 5,6-7). A Eliu non importano gli interrogativi di Giobbe (cfr. per es. 31,2-4), che anzi considera espressione della sua grave deviazione. Per lui, come per gli amici, il problema e la sua soluzione sono soltanto nell'uomo, in Giobbe.

vv. 22-26. Eliu proferisce un inno alla straordinaria potenza divina intercalato da domande retoriche con le quali esprime l'incomparabilità e l'imperscrutabilità di Dio. Innanzitutto, per Eliu, Dio è maestro (môreh), colui che istruisce (v. 22; cfr. 35,11). Eliu dunque vuole mettere in rilievo nella disposizione degli eventi la dimensione pedagogica dell'azione insuperabile e sovrana di Dio (cfr. Is 40,13; Sal 147,5). Benché l'uomo ammiri le grandiose opere divine, non conosce, non può comprendere Dio, tanto la sua grandezza eccede ogni capacità speculativa umana (v. 26; cfr. 37,5).

vv. 27-33. Eliu celebra la grandezza e la potenza di Dio che si manifestano nei fenomeni naturali atmosferici connessi in particolare alla bufera, alla tempesta. E evidente la peculiare relazione di tali fenomeni con la teofania all'interno della tradizione biblica (cfr. Es 19,16.19; Gdc 5,4; ecc.). Pertanto tale inno ha un carattere prolettico, prepara all'imminente rivelazione di Dio a Giobbe (cfr. 38,1-42,6). Eliu osserva che Dio forma le nubi, manda la pioggia, fa udire il tuono e alla sua luce, nel lampo, nulla sulla terra si sottrae (36,27-30). Chi può intendere le sue intenzioni? Infatti Dio si avvale di tali fenomeni per garantire il sostentamento dei popoli e dunque la vita umana (cfr. Es 16,4; Dt 11,13-17), oppure per eseguire, con carestie o alluvioni e altri disastri naturali (cfr. Gn 6,5-9,17; Dt 29,22), il suo giudizio, per punire le trasgressioni umane. I lampi sono presentati come saette che Dio tiene in mano, con le quali egli colpisce, e sono accompagnati dai tuoni che esprimono l'ira divina.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Il comportamento dell'uomo e Dio 1 Eliu prese a dire: 2“Ti pare di aver pensato correttamente, quando dicesti: “Sono giusto davanti a Dio”? 3Tu dici infatti: “A che serve? Quale guadagno ho a non peccare?“. 4Voglio replicare a te e ai tuoi amici insieme con te. 5Contempla il cielo e osserva, considera le nubi, come sono più alte di te. 6Se pecchi, che cosa gli fai? Se aumenti i tuoi delitti, che danno gli arrechi? 7Se tu sei giusto, che cosa gli dai o che cosa riceve dalla tua mano? 8Su un uomo come te ricade la tua malizia, su un figlio d'uomo la tua giustizia! 9Si grida sotto il peso dell'oppressione, si invoca aiuto contro il braccio dei potenti, 10ma non si dice: “Dov'è quel Dio che mi ha creato, che ispira nella notte canti di gioia, 11che ci rende più istruiti delle bestie selvatiche, che ci fa più saggi degli uccelli del cielo?“. 12Si grida, allora, ma egli non risponde a causa della superbia dei malvagi. 13È inutile: Dio non ascolta e l'Onnipotente non vi presta attenzione; 14ancor meno quando tu dici che non lo vedi, che la tua causa sta innanzi a lui e tu in lui speri, 15e così pure quando dici che la sua ira non punisce né si cura molto dell'iniquità. 16Giobbe dunque apre a vuoto la sua bocca e accumula chiacchiere senza senso”. _________________ Note

35,9-16 Il testo ebraico è di difficile interpretazione e non sempre è possibile renderlo con la dovuta chiarezza. Il tema centrale sembra essere: Dio ascolta solo se lo si invoca con cuore umile.

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Approfondimenti

Il comportamento dell'uomo e Dio (35,1-16) Questo nuovo discorso è molto breve e continua l'argomentazione precedente. Eliu attribuisce a Giobbe la questione sul vantaggio che proviene dalla rettitudine dell'uomo (vv. 2-4) e ribatte asserendo che nessuna azione umana può influenzare Dio (vv. 5-9), pertanto ogni pressione su Dio è inutile (vv. 10-16).

vv. 1-4. Eliu riporta, secondo la sua consuetudine, alcuni richiami alle affermazioni di Giobbe, ma con una interpretazione di nuovo provocatoria. Per Eliu, Giobbe avrebbe rivendicato una giustizia superiore a quella di Dio (v. 2). Questo è anche il motivo, riferito dal narratore, che aveva alimentato l'ira di Eliu (cfr. 32,2) e la decisione di intervenire per confutare Giobbe. In realtà Giobbe ha dichiarato ripetutamente la sua innocenza e ha interpellato Dio riguardo al suo agire, senza mai misurare la giustizia di entrambi. Inoltre, benché Eliu continui ad attribuire a Giobbe la questione dell'interesse per l'uomo nella relazione con Dio (v. 3; cfr. 34,9), essa appartiene agli amici (cfr. per es. 22,2-5), ed è anche il motivo della scommessa del Satan (cfr. 1,9). Intatti Giobbe vi ha alluso riportando i pensieri dei malvagi (cfr. 21,15), mentre ha lasciato intendere la tenace speranza di chi nella sventura può attingere alla relazione di comunione vissuta con Dio (cfr. 27,8-10). Peraltro Eliu stavolta annuncia di rispondere non solo a Giobbe, ma anche agli amici (v. 4).

vv. 5-8. La piccolezza dell'uomo non può raggiungere la grandezza di Dio. Pertanto né la rettitudine, né la malvagità influenzano in alcun modo Dio. L'infinita superiorità di Dio rende inconcepibile che il peccato o l'integrità dell'uomo tocchino Dio. Eliu condivide la concezione presentata da Elifaz (cfr. 22,2) secondo la quale è esclusivo interesse dell'uomo accogliere e vivere l'insegnamento divino (cfr. 22,22). Eliu nota che la rettitudine e la malvagità dell'uomo raggiungono e colpiscono i propri simili. Certamente tali argomentazioni rafforzano il concetto dell'imparzialità dell'azione divina, ma anche sottolineano una lontananza estrema fra Dio e l'uomo.

vv. 9-16. L'empietà perpetrata dai malvagi causa il grido degli oppressi; tuttavia, per Eliu, se ad essi Dio non risponde c'è una ragione. Probabilmente gridano per la gravità dell'oppressione (e Dio interviene, cfr. Es 3,7-9), ma, secondo Eliu, non invocano il Dio che li ha creati (cfr. Sal 50,15), che dà loro motivi di canto e di lode nella notte (cioè, nelle avversità, v. 10; con lo stesso senso cfr. Sal 77,7; 119,54) e una capacità di comprendere superiore a tutti gli altri esseri viventi. Così per Eliu, che pure introduce delle distinzioni per opportunità (per contrastare le resistenze di Giobbe), è una menzogna sostenere che Dio non vede o non tiene conto di ciò che avviene. Pertanto Giobbe, che asserisce di non vedere Dio (cfr. 23,8-9), dovrebbe sapere che il giudizio, la sua causa, è già davanti a Dio (contro quello che invece pensa, cfr. 23,3-7) e perciò ora egli dovrebbe attendere le consolazioni divine. Infatti non il giudizio supremo si è abbattuto su Giobbe, ma una punizione tale da indurlo a riconoscere i suoi peccati. Eliu ritiene quindi sproporzionata, fuori luogo, e dunque vana, la contesa di Giobbe con Dio, poiché Dio ha i suoi tempi e le modalità di intervenire, mentre, secondo Eliu, Giobbe deve solo prendere atto della propria colpa.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Dio non sovverte il diritto 1 Eliu prese a dire: 2“Ascoltate, saggi, le mie parole e voi, dotti, porgetemi l'orecchio, 3perché come l'orecchio distingue le parole e il palato assapora i cibi, 4così noi esploriamo ciò che è giusto, indaghiamo tra noi ciò che è bene. 5Giobbe ha detto: “Io sono giusto, ma Dio mi nega il mio diritto; 6contro il mio diritto passo per menzognero, inguaribile è la mia piaga, benché senza colpa”. 7Quale uomo è come Giobbe che beve, come l'acqua, l'insulto, 8che cammina in compagnia dei malfattori, andando con uomini iniqui? 9Infatti egli ha detto: “Non giova all'uomo essere gradito a Dio”. 10Perciò ascoltatemi, voi che siete uomini di senno: lontano da Dio l'iniquità e dall'Onnipotente l'ingiustizia! 11Egli infatti ricompensa l'uomo secondo le sue opere, retribuisce ciascuno secondo la sua condotta. 12In verità, Dio non agisce da ingiusto e l'Onnipotente non sovverte il diritto! 13Chi mai gli ha affidato la terra? Chi gli ha assegnato l'universo? 14Se egli pensasse solo a se stesso e a sé ritraesse il suo spirito e il suo soffio, 15ogni carne morirebbe all'istante e l'uomo ritornerebbe in polvere. 16Se sei intelligente, ascolta bene questo, porgi l'orecchio al suono delle mie parole. 17Può mai governare chi è nemico del diritto? E tu osi condannare il Giusto supremo? 18Lui che dice a un re: “Iniquo!” e ai prìncipi: “Malvagi!”, 19lui che non usa parzialità con i potenti e non preferisce il ricco al povero, perché tutti sono opera delle sue mani. 20In un istante muoiono e nel cuore della notte sono colpiti i potenti e periscono. Senza sforzo egli rimuove i tiranni, 21perché tiene gli occhi sulla condotta dell'uomo e vede tutti i suoi passi. 22Non vi è tenebra, non densa oscurità, dove possano nascondersi i malfattori. 23Poiché non si fissa una data all'uomo per comparire davanti a Dio in giudizio: 24egli abbatte i potenti, senza fare indagini, e colloca altri al loro posto. 25Perché conosce le loro opere, li travolge nella notte e sono schiacciati. 26Come malvagi li percuote, li colpisce alla vista di tutti, 27perché si sono allontanati da lui e di tutte le sue vie non vollero saperne, 28facendo salire fino a lui il grido degli oppressi, ed egli udì perciò il lamento dei poveri. 29Se egli rimane inattivo, chi può condannarlo? Se nasconde il suo volto, chi può vederlo? Ma sulle nazioni e sugli individui egli veglia, 30perché non regni un uomo perverso, e il popolo non venga ostacolato. 31A Dio si può dire questo: “Mi sono ingannato, non farò più del male. 32Al di là di quello che vedo, istruiscimi tu. Se ho commesso iniquità, non persisterò”. 33Forse dovrebbe ricompensare secondo il tuo modo di vedere, perché tu rifiuti il suo giudizio? Sei tu che devi scegliere, non io, di', dunque, quello che sai. 34Gli uomini di senno mi diranno insieme a ogni saggio che mi ascolta: 35“Giobbe non parla con sapienza e le sue parole sono prive di senso”. 36Bene, Giobbe sia esaminato fino in fondo, per le sue risposte da uomo empio, 37perché al suo peccato aggiunge la ribellione, getta scherno su di noi e moltiplica le sue parole contro Dio”.

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Approfondimenti

Dio non sovverte il diritto (34,1-37) Nel primo discorso, Eliu pareva aver fondato la sua argomentazione sulla correzione divina, riprendendo e sviluppando l'accenno contenuto nel primo intervento di Elifaz (cfr. 5,17). In questo discorso, invece, si ritrova il motivo dell'imparzialità divina presente nel primo contributo di Bildad (cfr. 8,3). Peraltro con tale trattazione Eliu si avvicina notevolmente alle posizioni degli amici, Infatti egli si occupa del giudizio di Dio che raggiunge ogni uomo, senza ingiustizia, rendendo a ciascuno secondo le sue opere. All'inizio del nuovo intervento (vv. 2-9), Eliu richiama, con una citazione, alcune parole di Giobbe sul giudizio di Dio, che intende sottoporre a critica, quindi espone la su tesi sul fatto che Dio non sovverte il diritto (vv. 10-15). Successivamente egli descrive l'azione remuneratrice di Dio (vv. 16-30) e conclude sulla sfrontatezza di Giobbe che contende con Dio e, in tal modo, aggiunge ribellione e trasgressione al suo peccato (vv. 31-37).

vv. 1-9. Giobbe non ha risposto, data anche la modalità dell'invito (33,31-33), che in realtà negava ciò che nel contempo chiedeva, così Eliu si rivolge ai saggi, agli amici, a coloro che sono in grado di dirimere con competenza la questione in oggetto. Egli coinvolge i sapienti (quanti sanno discernere, cfr. 12,11), anche per stabilire gli argomenti validi e quelli che non lo sono, per determinare ciò che è conforme al diritto e ciò che non lo è (vv. 2-4). Eliu ritiene urgente tale azione perché (vv. 5-6) Giobbe ha accusato Dio di aver leso, di aver rimosso il suo diritto (cfr. 27,2), colpendolo ingiustamente (cfr. 10,7; ecc.) con una piaga mortale (cfr. 6,4; 16,13). Eliu non ha dubbi; Giobbe è colpevole per le sue molteplici derisioni e per la sua connivenza con i malfattori (vv. 7-8; cfr. 15,2-6.16; 22,15). Ma non basta; egli attribuisce ancora a Giobbe ciò che in realtà è una sua deduzione, il fatto, cioè, che l'uomo non trae alcun beneficio dal seguire le vie di Dio (v. 9). Giobbe aveva invece constatato che per il giusto e l'empio Dio pare riservare la stessa sorte (cfr. 9,22), e si era lamentato per l'impunità di cui godono gli empi (cfr. per es. 21,7-33). Tale distorsione riprende di fatto la questione dell'interesse dell'uomo nell'ottemperare all'impegno religioso (cfr. 22,2).

vv. 10-15. L'affermazione fondamentale con la quale Eliu ribatte a Giobbe è che Dio non altera, non perverte il diritto (vv. 10.12; cfr. 8,3), ma rende all'uomo secondo la sua condotta (v. 11; cfr. Is 3,11; Ger 17,10; 32,19; Sal 28,4; 62,13; Prv 12,14b; 24,12). Eliu assicura che Dio non condanna il giusto, non lo ripaga con il castigo dovuto all'empio. Per Eliu tutto è chiaro: Dio non rifiuta la giusta ricompensa a nessuno. Infatti chi governa su di lui, o chi lo incarica di dominare sul mondo? Dio non deve rendere conto a nessuno, non deve difendere con nessuno il suo operato. Nessuno gli ha comandato di creare la terra, ma l'ha creata dal suo proprio volere. Pertanto l'intera esistenza del creato dipende da Dio. Perché mai Dio dovrebbe trovare dei pretesti per distruggere le sue creature? Per Eliu la ragione per cui Dio non agisce in modo arbitrario risiede nel fatto che è il creatore del mondo.

vv. 16-30. Per Eliu, in armonia con la tradizione biblica (cfr. per es. 1Re 3,9.11), l'azione di governo è strettamente congiunta con l'amministrazione della giustizia ed è quindi inconcepibile per lui accusare proprio Dio, creatore del cosmo, di un atto ingiusto (v. 17). La potenza suprema e incontrastata di Dio comporta che egli agisca senza alcuna discrezionalità, senza preferenze o favoritismi, senza rivalità. Dio agisce con totale imparzialità perché tutto è opera delle sue mani. Rimuove e fa perire in un istante, senza riguardo, i potenti della terra, e tratta ciascuno secondo la propria condotta, perché tutto gli appartiene. Benché i malfattori cospirino e compiano i loro misfatti nell'oscurità, essi non possono sottrarsi a Dio (cfr. 24,14-18). Pertanto Dio non ha bisogno né di stabilire un termine in cui la misura della colpa dell'uomo sia colma, né di aggiungere colpe all'uomo, oppure di porre la sua attenzione sull'uomo, di sentire le ragioni del comportamento umano. Insomma, secondo Eliu, a Dio non interessa di pervenire a un giudizio con l'uomo. Questo è ciò che attende e chiede Giobbe, mentre Eliu nega decisamente l'interesse di Dio per un giudizio con l'uomo. Dio conosce gli atti umani e, in relazione ad essi, scatta, quasi meccanicamente, l'azione punitrice divina. Peraltro, per Eliu il castigo di Dio sui malvagi è visibile a tutti (contro le insinuazioni di Giobbe cfr. 21,23-25.30; 24,1). Essi sono condannati per aver deviato dalle vie di Dio (v. 27; cfr. 24,13; Is 55,8-9); non hanno condotto la loro vita nella fedeltà a Dio (cfr. Es 32,8; ecc.), nell'obbedienza ai suoi comandi. Dal rifiuto delle vie di Dio deriva l'oppressione dei deboli, ma il loro grido muove Dio a punire i malvagi (contro Giobbe che accusa Dio di indifferenza, cfr. 24,12). Eliu sottolinea quindi che se Dio non risponde, nessuno può dichiararlo colpevole, o se nasconde il suo volto, nessuno può vederlo, ma egli garantisce che Dio interviene per colpire il malvagio. È evidente, a questo punto, l'invettiva di Eliu tesa a contrastare le accuse di Giobbe a Dio (cfr. 9,22-24; 12,6; 21,7-33; 24,2-25), ignorando tuttavia la questione straziante posta dalle considerazioni di Giobbe sul limite della conoscenza umana riguardo all'azione di Dio. Per Eliu la potenza di Dio non opera indiscriminatamente (cfr. 12,13-25), bensì è ordinata all'imparzialità, alla difesa e al soccorso dei poveri. Eliu, con questa argomentazione, ricade nell'accusa degli amici che hanno reputato la tragedia di Giobbe come conseguenza delle sue colpe.

vv. 31-37. Se la sovranità di Dio si estende dovunque e nulla a lui si sottrae, se Dio scruta l'agire dell'uomo e rende a ciascuno ciò che merita, allora risulta intollerabile per Eliu la protesta e la contesa di Giobbe con Dio. Eliu infatti ironizza: forse Giobbe, il quale respinge l'azione divina che lo ha raggiunto, vorrebbe trattare con Dio il suo diritto o addirittura vorrebbe che Dio prendesse consiglio da lui su come ripagarlo (vv. 31-33)! Eliu è certo che tutti i saggi, che egli ha invitato a dirimere la questione (cfr. vv. 2-4), concorderanno con lui sul fatto che Giobbe non parla con conoscenza (vv. 34-35). Pertanto, per le affermazioni irriverenti di Giobbe su Dio e verso Dio, che manifestano la sua empietà (cfr. 15, 6) e accrescono la gravità del suo peccato (cfr. Is 30,1), Eliu ritiene che la prova di Giobbe dovrebbe durare fino a quando non ritratti le sue accuse (vv. 36-37). Gli argomenti di Giobbe costituiscono per Eliu solo un'ulteriore trasgressione e dimostrano senza attenuanti il suo persistere nel peccato.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1 Ascolta dunque, Giobbe, i miei discorsi, porgi l'orecchio ad ogni mia parola. 2Ecco, io apro la bocca, parla la mia lingua entro il mio palato. 3Il mio cuore dirà parole schiette e le mie labbra parleranno con chiarezza. 4Lo spirito di Dio mi ha creato e il soffio dell'Onnipotente mi fa vivere. 5Se puoi, rispondimi, prepàrati, tieniti pronto davanti a me. 6Ecco, io sono come te di fronte a Dio, anch'io sono stato formato dal fango: 7ecco, nulla hai da temere da me, non farò pesare su di te la mia mano. 8Tu hai detto in mia presenza e il suono delle tue parole ho udito: 9“Puro sono io, senza peccato, io sono pulito, non ho colpa; 10ma lui contro di me trova pretesti e mi considera suo nemico, 11pone in ceppi i miei piedi e spia tutti i miei passi!“. 12Ecco, in questo non hai ragione, ti rispondo: Dio, infatti, è più grande dell'uomo. 13Perché vuoi contendere con lui, se egli non rende conto di tutte le sue parole? 14Dio può parlare in un modo o in un altro, ma non vi si presta attenzione. 15Nel sogno, nella visione notturna, quando cade il torpore sugli uomini, nel sonno sul giaciglio, 16allora apre l'orecchio degli uomini e per la loro correzione li spaventa, 17per distogliere l'uomo dal suo operato e tenerlo lontano dall'orgoglio, 18per preservare la sua anima dalla fossa e la sua vita dal canale infernale. 19Talvolta egli lo corregge con dolori nel suo letto e con la tortura continua delle ossa. 20Il pane gli provoca nausea, gli ripugnano anche i cibi più squisiti, 21dimagrisce a vista d'occhio e le ossa, che prima non si vedevano, spuntano fuori, 22la sua anima si avvicina alla fossa e la sua vita a coloro che infliggono la morte. 23Ma se vi è un angelo sopra di lui, un mediatore solo fra mille, che mostri all'uomo il suo dovere, 24che abbia pietà di lui e implori: “Scampalo dallo scendere nella fossa, io gli ho trovato un riscatto”, 25allora la sua carne sarà più florida che in gioventù, ed egli tornerà ai giorni della sua adolescenza. 26Supplicherà Dio e questi gli userà benevolenza, gli mostrerà con giubilo il suo volto, e di nuovo lo riconoscerà giusto. 27Egli si rivolgerà agli uomini e dirà: “Avevo peccato e violato la giustizia, ma egli non mi ha ripagato per quel che meritavo; 28mi ha scampato dal passare per la fossa e la mia vita contempla la luce”. 29Ecco, tutto questo Dio fa, due, tre volte per l'uomo, 30per far ritornare la sua anima dalla fossa e illuminarla con la luce dei viventi. 31Porgi l'orecchio, Giobbe, ascoltami, sta' in silenzio e parlerò io; 32ma se hai qualcosa da dire, rispondimi, parla, perché io desidero darti ragione. 33Altrimenti, ascoltami, sta' in silenzio e io ti insegnerò la sapienza”. _________________ Note

33,22 coloro che infliggono la morte: forse allusione allo sterminatore dei primogeniti egiziani (vedi Es 12,23).

33,23 un angelo: gli angeli vengono spesso presentati come mediatori e intercessori, in contrapposizione a Satana, avversario e accusatore dell’uomo (vedi Tb 12,12; Ap 8,3).

33,31-33 Questi versi sono considerati da alcuni come l’introduzione al terzo discorso di Eliu e pertanto andrebbero collocati prima di 35,2.

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Approfondimenti

33,1-7. Eliu individua nella natura umana la base, la dimensione che lo accomuna a Giobbe (v. 4; cfr. 27,3; Gn 2,7) e afferma di non essere più forte di Giobbe. Nelle intenzioni di Eliu questo dovrebbe rassicurare Giobbe, che così potrà replicare alle argomentazioni, se è capace di farlo (v. 5; cfr. 33,32), senza temere alcuna recrudescenza. Eliu insiste. Giobbe aveva chiesto di dibattere senza essere sconvolto dal terrore (cfr. 9,34; 13,21), ed ecco egli si presenta al posto di Dio, ma dalla parte di Dio, per dire le parole di Dio (v. 6a). Tuttavia Eliu è anche solidale con Giobbe, condivide la stessa condizione umana, vulnerabile e contrassegnata dalla caducità (v. 6b; cfr. 10,8-12). Dunque non lo spaventerà, non graverà su Giobbe, cosicché i suoi argomenti non siano impediti (v. 7). Il fatto che Eliu si presenti come interprete di Dio suppone l'idea di una distanza, di una lontananza fra Dio e l'uomo, insieme alla convinzione che il ventaglio delle possibilità di comportamento, di Dio e dell'uomo, sia ormai completamente svelato e stabilito. Anche Eliu, pur con alcune diverse sfumature rispetto agli amici, pare proporsi come esponente di una concezione che ha chiuso e vincolato l'azione di Dio in una dottrina, che l'uomo può e deve conoscere, e alla quale deve solo adeguarsi.

vv. 8-12. Eliu richiama una prima serie di asserzioni di Giobbe contro le quali sviluppa, poi, la sua confutazione. Secondo Eliu, Giobbe ha sostenuto di essere senza colpa, inoltre ha accusato Dio che senza ragione lo tratta come suo nemico e che lo assedia senza sosta (vv. 9-11). È evidente che Eliu interpreta l'attestazione di innocenza di Giobbe (cfr. 9,21; 10,7; 16,17; 23,10-12; 27,5-6; 31) come la negazione di trasgressioni. In realtà, Giobbe ha riconosciuto che egli, come tutti gli uomini, non è libero dal peccato (cfr. 7,21; 10,6; 13,23.26), mentre ha contestato la gravità della tragedia che lo ha colpito reputandola sproporzionata rispetto alle sue colpe e al già pesante limite imposto dall'esistenza umana.

vv. 13-30. Con la sua argomentazione Eliu espone le caratteristiche dell'agire di Dio. Intanto egli ritiene che Giobbe sia in errore nel voler contendere con Dio, poiché Dio non risponde alle questioni dell'uomo (v. 13). Un modo in cui Dio, secondo Eliu, rivela il peccato dell'uomo è il sogno, per distoglierlo dal compiere il male e per salvarlo (vv. 15-18; cfr. Gn 20,3-7). In parte Eliu pare qui polemizzare con Elifaz che aveva riferito una rivelazione di Dio, in sogno, finalizzata a istruire Giobbe (cfr. 4,12-16). Eliu asserisce, infatti, che Dio direttamente interviene con i sogni per ammonire ogni uomo. Peraltro a Giobbe, che ha protestato per gli incubi notturni (cfr. 7,14), Eliu fa capire che essi sono momenti propizi nei quali Dio ammaestra l'uomo (cfr. Sal 16,7), perché non vuole la morte del peccatore, ma che desista dal male e viva (cfr. Ez 33,11). Un altro modo con cui Dio, secondo Eliu, corregge l'uomo è il dolore (vv. 19-22). La malattia, infatti, consuma la vitalità dell'uomo e lo avvicina alla morte (cfr. 19,20; 30,16-23.30; Sal 38; 102,5; 107,18; ecc.). La correzione di Dio (v. 19a; cfr. 5, 17) espone l'uomo alla fine definitiva, alla morte. Tuttavia Eliu precisa (vv. 23-26) che se quell'uomo ha un informatore, un messaggero a suo favore presso Dio, che, rispetto alla moltitudine di coloro che testimoniano la sua colpevolezza, si adopera a trovare il riscatto che possa salvarlo dal sepolcro, quell'uomo sarà ristabilito. Rimane aperta la possibilità che il messaggero, l'interprete di cui parla Eliu, possa essere un altro uomo che con la sua rettitudine intercede presso Dio, e che per i meriti di uno solo, Dio si compiaccia e salvi il peccatore (questa concezione è presente anche in 22,30; 42,7-9; cfr. Gn 18,16-33; Es 32,11-14; Is 53; Ger 5,1; Ez 22,30). Nondimeno tale messaggero è stato inteso spesso in relazione alla corte e al tribunale celeste. Pertanto come il Satan appare avversario e accusatore dell'uomo, così c'è anche un suo difensore (cfr. Sal 91,11-12) pronto a intervenire presso Dio. In tal caso l'intervento salvifico di Dio, previsto da Eliu, ricostituirà l'uomo con la forza e il vigore della giovinezza, con una vita rinnovata (v. 25; cfr. 2Re 5,14; Sal 103,5). Eliu pare alludere (un altro richiamo si trova in 22,26-27), in forma stilizzata, all'itinerario di un uomo scampato a un pericolo mortale (cfr. Sal 30), che comportava il recarsi al tempio (qui il riferimento è nel vedere il volto di Dio) e anche l'offerta del sacrificio di lode (cfr. Sal 27,6; 50,14-15; 69,31; 100; 116). Eliu si avvia quindi alla conclusione sostenendo che Dio agisce in questo modo (attraverso il sogno e la malattia) più volte (vv. 29-30), in relazione al ripetersi del peccato; infatti Dio non vuole distruggere l'uomo, bensì che la sua vita sia luminosa, che risplenda tra i viventi (cfr. 22,28; c. 29).

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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DISCORSI DI ELIU 1 Quei tre uomini cessarono di rispondere a Giobbe, perché egli si riteneva giusto. 2Allora si accese lo sdegno di Eliu, figlio di Barachele, il Buzita, della tribù di Ram. Si accese di sdegno contro Giobbe, perché si considerava giusto di fronte a Dio; 3si accese di sdegno anche contro i suoi tre amici, perché non avevano trovato di che rispondere, sebbene avessero dichiarato Giobbe colpevole. 4Eliu aveva aspettato, mentre essi parlavano con Giobbe, perché erano più vecchi di lui in età. 5Quando vide che sulla bocca di questi tre uomini non vi era più alcuna risposta, Eliu si accese di sdegno.

Primo discorso di Eliu Eliu contesta le argomentazioni di Giobbe 6Eliu, figlio di Barachele, il Buzita, prese a dire: “Giovane io sono di anni e voi siete già canuti; per questo ho esitato, per rispetto, a manifestarvi il mio sapere. 7Pensavo: “Parlerà l'età e gli anni numerosi insegneranno la sapienza”. 8Ma è lo spirito che è nell'uomo, è il soffio dell'Onnipotente che lo fa intelligente. 9Essere anziani non significa essere sapienti, essere vecchi non significa saper giudicare. 10Per questo io oso dire: “Ascoltatemi; esporrò anch'io il mio parere”. 11Ecco, ho atteso le vostre parole, ho teso l'orecchio ai vostri ragionamenti. Finché andavate in cerca di argomenti, 12su di voi fissai l'attenzione. Ma ecco, nessuno ha potuto confutare Giobbe, nessuno tra voi ha risposto ai suoi detti. 13Non venite a dire: “Abbiamo trovato noi la sapienza, Dio solo può vincerlo, non un uomo!“. 14Egli non ha rivolto a me le sue parole, e io non gli risponderò con i vostri argomenti. 15Sono sconcertati, non rispondono più, mancano loro le parole. 16Ho atteso, ma poiché non parlano più, poiché stanno lì senza risposta, 17risponderò anch'io per la mia parte, esporrò anch'io il mio parere; 18mi sento infatti pieno di parole, mi preme lo spirito che è nel mio ventre. 19Ecco, il mio ventre è come vino senza aria di sfogo, come otri nuovi sta per scoppiare. 20Parlerò e avrò un po' d'aria, aprirò le labbra e risponderò. 21Non guarderò in faccia ad alcuno, e non adulerò nessuno, 22perché io non so adulare: altrimenti il mio creatore in breve mi annienterebbe. _________________ Note

32,1 L’intervento inatteso di questo personaggio di nome Eliu pone un intervallo tra i discorsi di Giobbe e la grande teofania racchiusa in 38,1-42,6. La sezione che racchiude questi discorsi è considerata da molti come un’aggiunta posteriore: in realtà, il personaggio Eliu non verrà nemmeno citato da Dio nel suo ultimo intervento (vedi 42,7-9).

32,2 Buzita: Buz è nome di una tribù del deserto arabico (Ger 25,23 e anche Gen 22,21). Ram designa probabilmente il clan di appartenenza di Eliu (vedi 1Cr 2,25.27).

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Approfondimenti

DISCORSI DI ELIU (32,1-37,24) La forte tensione drammatica raggiunta, nella fase conclusiva della Disputa, con la sfida di Giobbe a Dio, esigeva a questo punto l'intervento e il pronunciamento di Dio. L'unica cosa che si poteva attendere era una presa di posizione da parte di Dio, come evento necessario, non più procrastinabile. Tutta l'evoluzione del processo narrativo lo imponeva. Invece, con sorpresa, un nuovo fatto narrativo interviene a sospendere, a ritardare quel tanto atteso rivelarsi di Dio. Giobbe pare sottoposto all'esperienza ancora più sconcertante che, non solo il suo grido di aiuto, ma anche la contesa e la sfida a Dio che ha tenacemente avanzato, a rischio della sua stessa vita, sembrano rimanere senza risposta, sembrano cadere nel vuoto. Non Dio, ma un uomo si affretta a rispondergli. Il narratore, infatti, presenta sulla scena un personaggio la cui stessa esistenza era, finora, del tutto sconosciuta. Con grande abilità il narratore attira l'attenzione su Eliu, che silenzioso ha assistito alla Disputa e che, indignato per la pretesa giustizia di Giobbe e per l'esito fallimentare degli interventi degli amici, prende la parola sulle questioni in discussione.

Il fatto che Eliu non sia mai stato menzionato prima, né alcun riferimento segua ai suoi discorsi, insieme alla qualità e ai contenuti della sua argomentazione in sé compiuta, costituiscono degli indizi che inducono a ritenere che siamo davanti a un'interpolazione di notevoli dimensioni (cc. 32-37). Essa pare rispondere a particolari ragioni connesse alla recezione iniziale del poema, dunque si tratta di un'aggiunta successiva alla fase principale della formazione dell'opera, che tuttavia nel contesto del libro canonico assume una precisa funzione narrativa. Riteniamo opportuno esaminare le ragioni e la funzione di tale inserzione, dopo averne investigato il contenuto.

L'articolazione di questa unità letteraria (cc. 32-37) è caratterizzata da una breve sezione narrativa, in prosa, nella quale il narratore presenta Eliu (32, 1-5), seguita da quattro discorsi dello stesso (32,6b-33,33; 34,2-37; 35,2-16; 36,2-37,24), in poesia, ciascuno introdotto dal narratore (32,6a; 34,1; 35,1; 36,1). Pertanto, dal punto di vista formale questa consistente unità tende a mostrare elementi di continuità con quel che precede.

32,1-5. La transizione da una fase narrativa a un'altra è affidata anche in questo caso (come nel passaggio dal Prologo alla Disputa, cfr. 2,11-13) a un “sommario”, benché, qui, esso appaia del tutto orientato, oltre che a presentare sulla scena un nuovo personaggio, a sottolinearne l'intraprendenza e l'iniziativa. Esso contiene, infatti, una forte accentuazione prolettica, rivolta a quel che sta per accadere, a differenza del “sommario” di 2,11-13, che concludeva il Prologo, e dove, non a caso, i tre amici che facevano il loro ingresso sulla scena, (cfr. 2, 13), sedevano, in attesa, accanto a Giobbe. Ogni iniziativa era, in quel caso, interamente affidata a Giobbe. Peraltro, radicalmente diversi, opposti, sono i sentimenti degli amici e di Eliu. I tre amici si recano da Giobbe per condolersi, per consolarlo e confortarlo (cfr. 2,11), dunque per un atto di solidarietà. Ciò che, invece, muove Eliu a prendere la parola è l'ira (menzionata in questo “sommario” per ben quattro volte), contro Giobbe e contro gli amici; dunque ne viene annunciata l'ostilità e la contrapposizione. Due ragioni provocano il furore di Eliu. Innanzitutto egli si accende d'ira contro Giobbe che si dichiara innocente nei confronti di Dio (cfr. 35, 2), che si ritiene giusto nella relazione con Dio, e dunque, in qualche modo, manifesta quasi la pretesa di essere più giusto di Dio. L'altro motivo dell'indignazione di Eliu è dovuto al silenzio degli amici (v. 3), al loro fallimento, sebbene lo avessero dichiarato colpevole. In questo caso gli amici avrebbero riconosciuto la colpevolezza di Giobbe, ma non sono stati capaci di ribattere in modo definitivo alle sue argomentazioni. Oppure, secondo un'altra lettura del TM, essi non hanno trovato di che rispondergli e, dunque, non lo hanno condannato. Il fatto che gli accusatori sono tacitati dimostra la vittoria di Giobbe (cfr. 5,16; 11,2-3; 32,15-20). Infine, secondo la lettura più antica, essi, non avendo trovato alcuna risposta per Giobbe, hanno condannato Dio. Insomma, rimanendo in silenzio, gli amici di fatto avvalorano la pretesa innocenza di Giobbe. Il narratore si preoccupa anche di informare il lettore che Eliu ha atteso, prima di replicare, per rispetto verso gli amici più anziani. Non manca dell'ironia in questo; infatti, a motivo dell'età, Eliu ha permesso loro di parlare prima, benché la sua comprensione sia prospettata, fin d'ora, superiore alla loro. Peraltro, questa informazione del narratore mostra che Eliu è a conoscenza della vicenda di Giobbe e della Disputa con gli amici. L'indignazione, l'insofferenza sono i sentimenti che animano Eliu e lo collocano, già prima che egli cominci a parlare, in una posizione antagonista e di contrasto, soprattutto nei confronti di Giobbe.

Primo discorso di Eliu (32,6-33,33) Il primo discorso di Eliu contiene un'ampia premessa con una serie di considerazioni preliminari che scaturiscono dalla sua osservazione dell'andamento della Disputa. Pertanto Eliu si è convinto che la sapienza non è connessa all'età (32,6-10), e, deluso per l'incapacità degli amici di rispondere a Giobbe (32,11-16), annuncia la sua esigenza e la sua decisione di intervenire (32,17-22). Rivolgendosi poi a Giobbe, Eliu gli si presenta come un uomo, uguale a lui (33,1-7), e ribatte alla sua dichiarazione di innocenza (33,8-12) proponendo la propria comprensione del significato dell'agire di Dio (33, 13-30). Eliu conclude con un formale invito di replica a Giobbe (33,31-33). Per Eliu la causa della sofferenza importa meno del suo scopo. Dio, infatti, attraverso la tribolazione, vuole avvertire il peccatore.

vv. 32,6-10. Eliu, presentandosi, spiega i motivi che lo inducono ad intervenire solo ora. Egli ha esitato nel prendere la parola, non perché non avesse una sua opinione, ma a motivo della sua giovinezza. Eliu, infatti, riteneva (v. 7) che gli anziani riflettessero quella conoscenza che deriva dall'aver osservato e speculato sugli eventi in un ampio arco di tempo, avendo vissuto a lungo (cfr. Sir 25,3-6; concetto emerso anche nella Disputa, cfr. 8,8-10; 12,12). Tuttavia Eliu assume ora una posizione critica; proprio quel che è accaduto nella Disputa lo induce a correggere tale visione. La polemica sembra voler colpire anche un uso deviante della sapienza, come appannaggio e prerogativa di un piccolo gruppo (cfr. per es. 12,2; Ger 18, 8), affermando, invece, che la sapienza è dono di Dio all'uomo (cfr. Prv 2,6), connessa, innanzitutto, al dono stesso della vita.

vv. 11-16. Per Eliu nessuno degli amici è riuscito ad essere un pertinace accusatore e contendente (môkîaḥ) al punto in cui, invece, Giobbe lo è stato per Dio (cfr. 40,2). Eliu rimprovera gli amici i quali, appagati della loro sapienza (v. 13; cfr. 4,12-21; 11,6; 15,8-11), hanno offerto a Giobbe la persuasione che Dio lo ha colpito, e non un uomo, e che Dio non può essere sospettato di punire senza una causa. Eliu osserva, deluso, anche lo sconcerto degli amici: egli pare insistere nel voler prendere le distanze dagli amici, conferendo in tal modo un maggiore risalto a quel che si prepara a dire. Egli pensa di disporre di argomenti decisivi che gli amici non hanno trovato.

vv. 17-22. Le parole di Eliu ricordano e rimandano a una pluralità di significati. Innanzitutto, per quanto nessuno lo abbia esplicitamente interpellato, egli si sente talmente indignato e provocato da quanto ha udito e si è verificato da non poter fare a meno di manifestare ciò che pensa (cfr. 20,3). Inoltre la menzione dello «spirito», rûaḥ, che dentro di lui lo induce a parlare, sembra quasi voler alludere a un'ispirazione divina (cfr. 4,12-16). Nondimeno, con tale asserzione, egli non evita di esporsi al pericolo che proprio la moltitudine delle parole si riveli solo vento (cfr. 8,2; 16,3). Per riferire l'intensità della spinta interiore a intervenire, Eliu si avvale di un'immagine frizzante (v. 19). Paragona gli argomenti che ha accumulato nella sua mente al vino che ribolle, che fermenta, che necessita di un'apertura di sfogo o squarcerà gli otri, anche se nuovi. Così le sue parole squarceranno il suo ventre se egli non le esprimerà. Perciò egli deve parlare per liberare il suo ventre, lasciando uscire le sue parole.

(cf. MARIA PINA SCANU, Giobbe – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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