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DIARIO DI LETTURA: Regole; a Diogneto ● PROFETI ● Concilio Vaticano II ● NUOVO TESTAMENTO

Visione profetica della storia d'Israele

Esposizione delle colpe 1Nell’anno settimo, nel quinto mese, il dieci del mese, alcuni anziani d’Israele vennero a consultare il Signore e sedettero davanti a me. 2Mi fu rivolta questa parola del Signore: 3«Figlio dell’uomo, parla agli anziani d’Israele e di’ loro: Così dice il Signore Dio: Venite voi per consultarmi? Com’è vero che io vivo, non mi lascerò consultare da voi. Oracolo del Signore Dio. 4Vuoi giudicarli? Li vuoi giudicare, figlio dell’uomo? Mostra loro gli abomini dei loro padri. 5Di’ loro: Così dice il Signore Dio: Quando io scelsi Israele e alzando la mano giurai per la stirpe della casa di Giacobbe, apparvi loro nella terra d’Egitto e alzando la mano giurai per loro dicendo: “Io sono il Signore, vostro Dio”. 6Allora alzando la mano giurai di farli uscire dalla terra d’Egitto e condurli in una terra scelta per loro, stillante latte e miele, che è la più bella fra tutte le terre. 7Dissi loro: “Ognuno getti via gli abomini che sono sotto i propri occhi e non vi contaminate con gli idoli d’Egitto. Io sono il Signore, vostro Dio”. 8Ma essi mi si ribellarono e non vollero ascoltarmi: non gettarono via gli abomini dei propri occhi e non abbandonarono gli idoli d’Egitto. Allora io decisi di riversare sopra di loro il mio furore e di sfogare contro di loro la mia ira, in mezzo al paese d’Egitto. 9Ma agii diversamente per onore del mio nome, perché non fosse profanato agli occhi delle nazioni in mezzo alle quali si trovavano, poiché avevo dichiarato che li avrei fatti uscire dalla terra d’Egitto sotto i loro occhi. 10Così li feci uscire dall’Egitto e li condussi nel deserto; 11diedi loro le mie leggi e feci loro conoscere le mie norme, perché colui che le osserva viva per esse. 12Diedi loro anche i miei sabati come un segno fra me e loro, perché sapessero che sono io, il Signore, che li santifico. 13Ma gli Israeliti si ribellarono contro di me nel deserto: essi non seguirono le mie leggi, disprezzarono le mie norme, che bisogna osservare perché l’uomo viva, e violarono sempre i miei sabati. Allora nel deserto io decisi di riversare su di loro il mio sdegno e di sterminarli. 14Ma agii diversamente per onore del mio nome, perché non fosse profanato agli occhi delle nazioni di fronte alle quali io li avevo fatti uscire. 15Nel deserto alzando la mano avevo anche giurato su di loro che non li avrei più condotti nella terra che io avevo loro assegnato, terra stillante latte e miele, la più bella fra tutte le terre, 16perché avevano disprezzato le mie norme, non avevano seguito le mie leggi e avevano profanato i miei sabati, mentre il loro cuore si era attaccato ai loro idoli. 17Tuttavia il mio occhio ebbe pietà di loro e non li distrussi, non li sterminai tutti nel deserto. 18Dissi ai loro figli nel deserto: “Non seguite le leggi dei vostri padri, non osservate le loro norme, non vi contaminate con i loro idoli: 19io sono il Signore, vostro Dio. Seguite le mie leggi, osservate le mie norme e mettetele in pratica. 20Santificate i miei sabati e siano un segno fra me e voi, perché si sappia che io sono il Signore, vostro Dio”. 21Ma anche i figli mi si ribellarono, non seguirono le mie leggi, non osservarono e non misero in pratica le mie norme, che danno la vita a chi le osserva; profanarono i miei sabati. Allora nel deserto io decisi di riversare il mio sdegno su di loro e di sfogare contro di loro la mia ira. 22Ma ritirai la mano e agii diversamente per onore del mio nome, perché non fosse profanato agli occhi delle nazioni, di fronte alle quali io li avevo fatti uscire. 23Nel deserto, alzando la mano avevo anche giurato su di loro che li avrei dispersi fra le nazioni e disseminati in paesi stranieri, 24perché non avevano messo in pratica le mie norme e avevano disprezzato le mie leggi, avevano profanato i miei sabati e i loro occhi erano sempre rivolti agli idoli dei loro padri. 25Allora io diedi loro persino leggi non buone e norme per le quali non potevano vivere. 26Feci sì che si contaminassero nelle loro offerte, facendo passare per il fuoco ogni loro primogenito, per atterrirli, perché riconoscessero che io sono il Signore. 27Parla dunque alla casa d’Israele, figlio dell’uomo, e di’ loro: Così dice il Signore Dio: I vostri padri mi offesero ancora in questo: essi agirono con infedeltà verso di me, 28sebbene io li avessi introdotti nella terra che alzando la mano avevo giurato di dare loro. Essi volsero lo sguardo verso ogni colle elevato, verso ogni albero verde: là fecero i loro sacrifici e portarono le loro offerte provocatrici; là depositarono i loro profumi soavi e versarono le loro libagioni. 29Io dissi loro: “Che cos’è quest’altura verso cui voi andate?”. Il nome altura è rimasto fino ai nostri giorni. 30Ebbene, di’ alla casa d’Israele: Così dice il Signore Dio: Vi contaminate secondo il costume dei vostri padri, vi prostituite secondo i loro abomini, 31vi contaminate con tutti i vostri idoli fino ad oggi, presentando le vostre offerte e facendo passare per il fuoco i vostri figli, e io mi dovrei lasciare consultare da voi, uomini d’Israele?

Il giudizio divino Com’è vero che io vivo – oracolo del Signore Dio –, non mi lascerò consultare da voi. 32E ciò che v’immaginate in cuor vostro non avverrà, mentre voi andate dicendo: “Saremo come le nazioni, come le tribù degli altri paesi, che prestano culto al legno e alla pietra”. 33Com’è vero che io vivo – oracolo del Signore Dio –, io regnerò su di voi con mano forte, con braccio possente e con ira scatenata. 34Poi vi farò uscire di mezzo ai popoli e vi radunerò da quei territori dove foste dispersi con mano forte, con braccio possente e con ira scatenata 35e vi condurrò nel deserto dei popoli e lì a faccia a faccia vi giudicherò. 36Come giudicai i vostri padri nel deserto del paese d’Egitto, così giudicherò voi, oracolo del Signore Dio. 37Vi farò passare sotto il mio bastone e vi condurrò sotto il vincolo dell’alleanza. 38Separerò da voi i ribelli e quelli che si sono staccati da me; li farò uscire dal paese in cui dimorano come forestieri, ma non entreranno nella terra d’Israele: così saprete che io sono il Signore. 39A voi, casa d’Israele, così dice il Signore Dio: Andate, servite pure ognuno i vostri idoli, ma alla fine mi ascolterete e non profanerete più il mio santo nome con le vostre offerte, con i vostri idoli. 40Sul mio monte santo, infatti, sull’alto monte d’Israele – oracolo del Signore Dio – mi servirà tutta la casa d’Israele, tutta riunita in quella terra. Là mi saranno graditi e là richiederò le vostre offerte e le primizie dei vostri doni, tutto quello che mi consacrerete. 41Quando vi avrò liberati dai popoli e vi avrò radunati dai paesi nei quali foste dispersi, io vi accetterò come soave profumo, mi mostrerò santo in voi agli occhi delle nazioni. 42Allora voi saprete che io sono il Signore, quando vi condurrò nella terra d’Israele, nella terra che alzando la mano giurai di dare ai vostri padri. 43Là vi ricorderete della vostra condotta, di tutti i misfatti dei quali vi siete macchiati, e proverete disgusto di voi stessi, per tutte le malvagità che avete commesso. 44Allora saprete che io sono il Signore, quando agirò con voi per l’onore del mio nome e non secondo la vostra malvagia condotta e i vostri costumi corrotti, o casa d’Israele». Oracolo del Signore Dio.

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Approfondimenti

Visione profetica della storia d'Israele 20,1-44 Siamo nel 7° anno dalla deportazione, cioè nel 591, a due anni dall'inaugurazione del Chebar, a un anno circa dalla visione del tempio (8,1ss.). Gli anziani tornano a consultare Ezechiele (vv. 1s.). Ma il profeta per ispirazione divina risponde come era stato suggerito in 14,1-11: a quegli ostinati che vengono a interrogare ipocritamente il veggente, darà Dio stesso una risposta, un oracolo di giudizio, cioè in conformità ai loro perversi propositi (vv. 3s.).

Il processo giudiziario implica:

A) un'esposizione delle colpe: vv. 4-31; B) la sentenza della pena, o condanna: vv. 31b-44.

In A), l'accusa si articola in una serie di ribellioni, corrispondente ad altrettanti benefici del sovrano d'Israele in varie fasi:

  • vv. 4-9: nei primordi del clan israelitico in territorio egiziano;
  • vv. 10-17: nell'epoca della prima generazione nel deserto del Sinai;
  • v. 18-26: nell'epoca della seconda generazione ancora nel deserto;
  • vv. 27-31a: dopo l'ingresso in Palestina e tuttora nel periodo esilico.

In B), la condanna, in un duplice atteggiamento di JHWH:

  • rifiuto a lasciarsi consultare: v. 31b;
  • promessa che non permetterà il verificarsi dei loro tristi progetti: vv. 32-33;
  • attraverso un intervento di giudizio e di cernita nel nuovo esodo verso la terra dei padri: vv. 34-44.

Benché il testo nella seconda parte (vv. 32-44) possa essere stato ritoccato dopo il 586 (forse dai discepoli del profeta), riteniamo tuttavia rifletta sostanzialmente la concezione di Ez sul piano salvifico di JHH e sulla previa purificazione del suo popolo (36, 24s.).

Esposizione delle colpe 20,1-31a 1-9. In Egitto. Il primo beneficio era stato l'elezione col giuramento di essere il loro Dio e quindi con la rivelazione del suo grande nome, più la promessa di liberarli dalla schiavitù degli Egiziani per introdurli nel più bel paese del mondo, fertile e ospitale (vv. 5-6). Si esigeva solo, dai figli di Giacobbe, che abbandonassero i culti idolatrici e aderissero esclusivamente a lui (v. 7). Vi è qui condensata la rivelazione mosaica, con le clausole fondamentali del patto e le promesse di assistenza al popolo (Dt 7,7-28).

8a. «Ma essi mi si ribellarono e non mi vollero ascoltare... in mezzo al paese d'Egitto». E la prima grande trasgressione. Ancora nel paese dei faraoni vengono meno al loro supremo Signore, continuando a venerare gli idoli d'Egitto. Di questo fatto, altrove, nell'AT, non abbiamo alcuna testimonianza. Osea (Os 2,17) e Geremia (Ger 2,2) parlano anzi dal vivo amore d'Israele per JHWH al momento dell'uscita dall'Egitto. Probabilmente si tratta di una visuale un po' estremista di Ezechiele, che vuol mettere in risalto la perenne «dura cervice» dei suoi connazionali fin dai loro padri (2,3; 16,44s., 23,3).

8b. Conseguenza giuridica. Avrebbero dovuto essere abbandonati dal loro partner divino e consegnati allo sterminio a opera dei loro avversari. «Decisi di riversare sopra di loro il mio furore»: un'espressione biblico-orientale per indicare la pena meritata da chi, disprezzando la «sorgente di acqua viva», va ad abbeverarsi a cisterne screpolate (Ger 2,13); non è tanto il Signore a infliggere la morte, quanto l'insipienza di chi, sottraendosi al riparo della sua ombra, va a esporsi ai dardi della peste e del sole a mezzogiorno (Sal 91,4.6; Is 30,2s.12s.).

9a. Ripensamento misericordioso. Per un mistero di pietà e di gloria divina la sentenza punitiva viene sospesa. Per amore del suo nome, il Signore decide di preservarli dall'annientamento al cospetto degli Egiziani, affinché dinanzi a costoro non sia profanato l'onore di colui che aveva giurato di trarre il suo popolo dal loro dominio, e perché nessuno potesse accusarlo di infedeltà o di debolezza (36,20s.). È la ragione che più volte Mosè stesso presenterà al Dio giusto e onnipotente, in procinto di abbandonare alla deriva il popolo che si era scelto tra le genti (Es 32,12; Nm 14,13-16). Si conclude così la prima fase della ribellione del clan di Giacobbe.

10-17. Prima generazione nel deserto del Sinai. 10-12. Nuovo beneficio. Oltre l'estrazione dalla prigionia egiziana e quel misterioso risparmio nel deserto, il Signore dà al suo popolo leggi e norme sapienti «che danno vita», e il rito del riposo sabatico, segno di totale appartenenza a JHWH (Es 23,12; Lv 20,8; Dt 5,15).

13a. Nuova ribellione. Gli Israeliti rifiutano l'obbedienza alle leggi divine, trasgrediscono il culto del sabato. Sono qui accennate le rivolte di Core e di Datan (Nm 16) contro gli ordinamenti mosaici, e l'adorazione del vitello d'oro (Es 32).

13b-17. Ricorre di nuovo la situazione di giusta condanna per lo sterminio, e subito il pietoso risparmio da parte del Dio dell'alleanza per amore del suo nome (vv. 14-17). Solo che qui c'è un'aggiunta: il Signore non li farà perire immediatamente nel deserto, ma non permetterà che quella generazione raggiunga la terra promessa (v. 15); l'onore di JHWH sarà così salvo di fronte ai popoli che hanno saputo delle sue promesse alla stirpe di Giacobbe, e d'altra parte sarà resa manifesta a tutti la sua giustizia (39, 23s.).

18-26. Seconda generazione nel deserto. 18-20. Dio si rivolge ai figli di quei ribelli, dando nuove esortazioni, perché si tengano lontani dalle idolatrie, e osservino i suoi decreti e i sabati, dati come pegno della sua sovrana assistenza.

21-24. Si ripete la rivolta di quest'altra generazione, la sentenza di condanna, il risparmio per l'onore del nome divino. Vi è però anche adesso un rimando: il Signore non impedirà loro di entrare nella sua terra; tuttavia arrivati lì, dovranno un giorno prendere la via dell'esilio; e nel frattempo permetterà che restino implicati in pratiche cultuali perniciose, quali l'uso dei sacrifici idolatrici fino all'immolazione dei loro figli al dio Moloch (16,36). Si tratta dei culti illeciti presso le alture sacre a imitazione dei Cananei, in specie del rito cruento, tanto deprecato dalla legislazione mosaica, ma al quale indulsero in certe circostanze gli stessi Ebrei (Lv 18,21; Dt 18,10-12).

25-26. La frase metterebbe in risalto l'universalità della causa prima permissiva, nel senso già visto in 14,9; ma alcuni la spiegano come una riflessione rispondente alla mentalità degli uditori (cfr. Mic 6,7b).

27-31a. I contemporanei del profeta. Ad essi appartengono il gruppo degli anziani venuti a consultarlo e nei quali si addensano le colpe delle generazioni passate. Il portavoce di JHWH torna a interpellarli, col dichiarare le loro responsabilità: voi, dice, beneficiati col dono prezioso della terra dei padri, imitate costoro in tutte le loro ribellioni, con l'attaccamento agli idoli, con le oblazioni impure sulle alture sacre (il cui nome bāmâ è sulle vostre labbra) e perfino con il sacrificare attraverso il fuoco i vostri figli (vv. 30s.). Mancano a questo punto la sentenza di condanna e il misericordioso risparmio, i quali però saranno ripresi, in maniera analoga, nel verdetto finale di tutto il “processo”.

Il giudizio divino 20,31b-44 La risposta del giudice divino a quel tentativo di consultazione (v. 1) è duplice: riflette un suo procedimento costante con quei “figli ribelli”.

31b. Anzitutto il rifiuto a lasciarsi consultare. Sono come i loro padri, coltivano gli idoli nel loro cuore, indegni di ricevere una risposta diretta ai loro interrogativi (14,3).

32-44. L'agire di JHWH secondo il piano di glorificazione del suo nome. Il Signore non lascerà che essi si sottraggano al suo governo. Non permetterà che si verifichi quel che vanno progettando o prevedendo. Essi ruminano nel loro animo questi pensieri: poiché il Signore continua a minacciare la completa rovina del regno di Giuda, noi esuli finiremo col rinnegare l'antica elezione e ci ridurremo a servire gli dei delle nazioni (v. 32). Non si vede chiaro dal contesto se si tratta di un progetto o di una semplice prospettiva; ma sia l'uno che l'altra pare abbiano l'intento di ricattare il sovrano d'Israele e di provocare un suo ripensamento sulla sorte della loro patria. JHWH dichiara solennemente, «com'è vero che io vivo» (v. 33), che li tratterà in perfetta coerenza col suo modo di procedere nella storia dei figli d'Israele; persisterà a regnare su di loro come ha fatto nelle precedenti generazioni, anche loro malgrado (v. 33); li risparmierà cioè dall'estinguersi tra le genti e li radunerà con la sua potenza dalle regioni dove sono stati dispersi; ma insieme farà una cernita (vv. 35s.); nel deserto siro-efraimitico o semplicemente in quello della stessa dispersione, prima cioè di rientrare nella terra del padri, i metterà alla prova e opererà una separazione tra i giusti e i malvagi (34,20-22), come il pastore che sa distinguere una per una le sue pecore (vv. 37s.), e reintrodurrà nel suo paese solo quelli a lui fedeli, escludendone gli apostati (v. 38b): «così saprete che io sono il Signore» (v. 38). L'onore del Signore santo e fedele ne risulterà ancora una volta illeso, come nelle epoche passate, e conclude il grande processo intentato contro gli ostinati esuli di Tel-Aviv: viene predetto che tutti i reduci un giorno lo glorificheranno, vergognandosi delle ricorrenti loro infedeltà e constatando l'inesauribile misericordia del loro Dio (v. 44; cfr. 16,62s.; 36,31s.).

Col solito suo stile casuistico il profeta ha tracciato una visione teologica della storia del suo popolo, la dinamica cioè dell'agire divino nelle vicende d'Israele. C'è una chiamata a vivere nella venerazione di JHWH, a cui corrisponde pace e prosperità. Ma sopravviene l'infedeltà collettiva del clan di Giacobbe. In forza della legge del taglione, il Dio del patto avrebbe dovuto lasciare alla deriva la sua nazione; tuttavia in virtù del rispetto del suo onore, che verrebbe profanato tra le genti, risparmia o rimanda il castigo. E ormai una costante messa in rilievo in quattro tornanti della storia del popolo eletto. Questa medesima dinamica si realizzerà nel presente e nel prossimo futuro, sugli esuli che stanno di fronte al veggente con la loro arroganza, e sugli altri loro contemporanei tuttora ribelli ai voleri divini. Dio non mostrerà loro la sua compiacenza; non li ascolterà neanche. Pure non li lascerà sfuggire al suo dominio; ma pronunzierà un severo giudizio: li recupererà attraverso il doloroso vaglio del nuovo deserto, con l'esclusione degli ostinati dalla terra sacra e col rientro in patria di chi si sarà ravveduto. Solo allora lui tornerà a essere luce e benedizione per Israele, glorificando il suo nome, come sempre. E un iter ormai collaudato da secoli di alternanze e che sarà ribadito nei messaggi successivi (36,16-32; 39,25-29). Vi si riflette il piano di Dio rivelato fin dai primi capitoli della Genesi per la storia dell'intera umanità.

Il creatore non intende mai abbandonare all'estinzione il capolavoro delle sue mani, la famiglia umana: l'ha messo all'esistenza perché domini il cosmo e lo faccia servire alla sua gloria; e quando non gli ha più ubbidito, gli ha lasciato esperimentare l'angoscia del suo allontanamento dalla fonte della vita e gli ha fatto sempre sperare un traguardo di liberazione e di imperitura salvezza attraverso i suoi profeti e poi, in modo più chiaro, con la voce del suo Messia.

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Lamentazioni sugli ultimi re 1Intona ora un lamento sui prìncipi d’Israele 2dicendo: Che cos’era tua madre? Una leonessa fra leoni. Accovacciata in mezzo ai leoni nutriva i suoi cuccioli. 3Essa allevò uno dei cuccioli che divenne un leoncello, imparò a sbranare la preda, a divorare gli uomini. 4Ma contro di lui le genti fecero lega, restò preso nella loro fossa e in catene fu condotto in Egitto. 5Quando essa vide che era lunga l’attesa e delusa la sua speranza, prese un altro cucciolo e ne fece un leoncello. 6Divenuto leoncello, se ne andava e veniva fra i leoni, e imparò a sbranare la preda, a divorare gli uomini. 7Penetrò nei loro palazzi, devastò le loro città. Il paese e i suoi abitanti sbigottivano al rumore del suo ruggito. 8Lo assalirono le genti, le contrade all’intorno; tesero un laccio contro di lui e restò preso nella loro fossa. 9Lo chiusero in una gabbia, lo condussero in catene al re di Babilonia e lo misero in una prigione, perché non se ne sentisse la voce sui monti d’Israele. 10Tua madre era come una vite piantata vicino alle acque. Era rigogliosa e frondosa per l’abbondanza dell’acqua. 11Ebbe rami robusti, buoni per scettri regali; il suo fusto si elevò in mezzo agli arbusti, mirabile per la sua altezza e per l’abbondanza dei suoi rami. 12Ma essa fu sradicata con furore e gettata a terra; il vento d’oriente seccò i suoi frutti e li fece cadere; il suo ramo robusto inaridì e il fuoco lo divorò. 13Ora è trapiantata nel deserto, in una terra secca e riarsa; 14un fuoco uscì da un suo ramo, divorò tralci e frutti ed essa non ha più alcun ramo robusto, uno scettro per regnare». Questo è un lamento e come lamento viene usato.

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Approfondimenti

Lamentazioni sugli ultimi re 19,1-14 In questo capitolo abbiamo una duplice composizione poetica in forma di lamento funebre. Il ritmo dei versi, come al solito nelle lamentazioni, è di 3 accenti più 2, ma con varie irregolarità: il testo ebraico è alquanto corrotto (ad es. vv. 7.9). Inizia con l'invito di JHWH a intonare un canto di cordoglio (v. 1) e si conclude con l'affermazione che si è trattato di una vera lamentazione (v. 14c).

Consta di due parti:

  • vv. 2-9: il canto allegorico della leonessa e dei suoi cuccioli, in cui è raffigurata la nazione giudaica o la stessa casa davidica, con le disavventure dei suoi re fino alla prima caduta di Gerusalemme nel 597;
  • vv. 10-14: il canto della vite travolta dal vento d'oriente, in cui è descritta la sorte della capitale giudaica, fino alla conquista definitiva dei Babilonesi nel 587: probabilmente composto e aggiunto da Ezechiele dopo quella data.

2-9. Con fine ironia Gerusalemme è paragonata a una leonessa (come la grande vite dai lunghi rami di 17,6), che vive tra i leoni, assisa cioè accanto alle famose potenze di allora. Alleva i suoi cuccioli con la speranza di farne degli alti sovrani. Uno di essi infatti, Ioacaz, il secondogenito del defunto Giosia, sale sul trono di Giuda nel 609 (cfr. v. 3). Con immagini coerenti viene delineata la triste avventura. Presto «impara... a divorare gli uomini»: «Egli fece ciò che è male agli occhi del Signore, come avevano fatto i suoi padri», informa 2Re 23,32; viene messo al bando dalle nazioni collegate con il faraone Necao II, catturato col tranello della fossa e, impostigli i raffi al naso (come si soleva per i prigionieri di guerra), è spedito in Egitto (2Re 23,33). L'ambiziosa leonessa non rinunzia alle sue illusioni: sogna di essere alla pari con i grandi della terra, invece di contentarsi del ruolo affidatole dal suo Signore: «delusa la sua speranza, prese un altro cucciolo» (v. 5; Ger 22,10-12). Morto il tiranno Ioiakim insediato da Necao, pone sul trono un altro dei suoi leoncelli, Ioiachin, nel 601 (2Re 24,6-9). Il quale si comporta egualmente come i suoi antenati, ed egualmente viene catturato dalle schiere dei paesi vicini soggetti ai Caldei (v. 8); e incatenato come Ioacaz, è condotto dai Babilonesi nella loro lontana terra.

10-14. Ora il profeta-poeta si rivolge idealmente al prigioniero, cambiando immagine alla leonessa-madre. Essa «era come una vite... rigogliosa e frondosa», piantata presso acque abbondanti dalla grande aquila, perché rimanesse rivolta e sottomessa al re di Babel (cfr. 17,5s.). Ma cresciuta in rami robusti e adatti per scettri regali (cioè con uomini dalle buone capacità di governo) si eleva talmente in altezza (a mezzo del principe Sedecia: 17,5), che riesce a coinvolgere vari altri regni contro i dominatori babilonesi, sì da suscitare l'energico intervento delle truppe di Nabucodonosor, «il vento d'oriente» (v. 12); viene strappata dal suolo, deposta nel deserto d'oriente e divorata dal fuoco (17,19-21). Non ha più alcun ramo robusto, alcun principe che possa continuare a regnare: un richiamo al fuoco inceneritore di 15, 6. E la finale deportazione del 587. Il pianto di cordoglio è così completo: contiene l'intera tragedia del popolo di Giuda, dalla deposizione dei due re legittimi eredi di Giosia (Ioacaz e Ioiachin) all'epilogo del residuo regno di Sion sotto il giogo babilonese. Il tema centrale pare sia quello di una accorata commiserazione a scopo istruttivo sulla sorte della nazione giudaica, caduta ormai sotto il giudizio del Signore: perché potesse riconoscere come tutti i tentativi di riprendersi, senza alcun rispetto al re supremo d'Israele, sarebbero stati vanificati dagli strumenti della giustizia divina. Bisogna alla fine arrendersi e confessare le proprie aberrazioni, e cioè l'aver trascurato la regalità di JHWH e l'essersi fidati unicamente delle forze umane. Solo da questo riconoscimento potrebbe iniziare l'attesa di un'era nuova escatologica (16,61s.; 20,43s.; 36,31s.).

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Difesa del comportamento del Signore

Un falso preconcetto 1Mi fu rivolta questa parola del Signore: 2«Perché andate ripetendo questo proverbio sulla terra d’Israele: “I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati”? 3Com’è vero che io vivo, oracolo del Signore Dio, voi non ripeterete più questo proverbio in Israele. 4Ecco, tutte le vite sono mie: la vita del padre e quella del figlio è mia; chi pecca morirà. 5Se uno è giusto e osserva il diritto e la giustizia, 6se non mangia sui monti e non alza gli occhi agli idoli della casa d’Israele, se non disonora la moglie del suo prossimo e non si accosta a una donna durante il suo stato d’impurità, 7se non opprime alcuno, restituisce il pegno al debitore, non commette rapina, divide il pane con l’affamato e copre di vesti chi è nudo, 8se non presta a usura e non esige interesse, desiste dall’iniquità e pronuncia retto giudizio fra un uomo e un altro, 9se segue le mie leggi e osserva le mie norme agendo con fedeltà, egli è giusto ed egli vivrà, oracolo del Signore Dio. 10Ma se uno ha generato un figlio violento e sanguinario che commette azioni inique, 11mentre egli non le commette, e questo figlio mangia sui monti, disonora la donna del prossimo, 12opprime il povero e l’indigente, commette rapine, non restituisce il pegno, volge gli occhi agli idoli, compie azioni abominevoli, 13presta a usura ed esige gli interessi, questo figlio non vivrà; poiché ha commesso azioni abominevoli, costui morirà e dovrà a se stesso la propria morte. 14Ma se uno ha generato un figlio che, vedendo tutti i peccati commessi dal padre, sebbene li veda, non li commette, 15non mangia sui monti, non volge gli occhi agli idoli d’Israele, non disonora la donna del prossimo, 16non opprime alcuno, non trattiene il pegno, non commette rapina, dà il pane all’affamato e copre di vesti chi è nudo, 17desiste dall’iniquità, non presta a usura né a interesse, osserva le mie norme, cammina secondo le mie leggi, costui non morirà per l’iniquità di suo padre, ma certo vivrà. 18Suo padre invece, che ha oppresso e derubato il suo prossimo, che non ha agito bene in mezzo al popolo, morirà per la sua iniquità. 19Voi dite: “Perché il figlio non sconta l’iniquità del padre?”. Perché il figlio ha agito secondo giustizia e rettitudine, ha osservato tutte le mie leggi e le ha messe in pratica: perciò egli vivrà. 20Chi pecca morirà; il figlio non sconterà l’iniquità del padre, né il padre l’iniquità del figlio. Sul giusto rimarrà la sua giustizia e sul malvagio la sua malvagità. 21Ma se il malvagio si allontana da tutti i peccati che ha commesso e osserva tutte le mie leggi e agisce con giustizia e rettitudine, egli vivrà, non morirà. 22Nessuna delle colpe commesse sarà più ricordata, ma vivrà per la giustizia che ha praticato. 23Forse che io ho piacere della morte del malvagio – oracolo del Signore – o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva? 24Ma se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male, imitando tutte le azioni abominevoli che l’empio commette, potrà egli vivere? Tutte le opere giuste da lui fatte saranno dimenticate; a causa della prevaricazione in cui è caduto e del peccato che ha commesso, egli morirà.

Urgenza di conversione 25Voi dite: “Non è retto il modo di agire del Signore”. Ascolta dunque, casa d’Israele: Non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? 26Se il giusto si allontana dalla giustizia e commette il male e a causa di questo muore, egli muore appunto per il male che ha commesso. 27E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. 28Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà. 29Eppure la casa d’Israele va dicendo: “Non è retta la via del Signore”. O casa d’Israele, non sono rette le mie vie o piuttosto non sono rette le vostre? 30Perciò io giudicherò ognuno di voi secondo la sua condotta, o casa d’Israele. Oracolo del Signore Dio. Convertitevi e desistete da tutte le vostre iniquità, e l’iniquità non sarà più causa della vostra rovina. 31Liberatevi da tutte le iniquità commesse e formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo. Perché volete morire, o casa d’Israele? 32Io non godo della morte di chi muore. Oracolo del Signore Dio. Convertitevi e vivrete.

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Approfondimenti

Difesa del comportamento del Signore 18,1-32 Dopo l'esposizione allegorica della vite infedele, e nel periodo più vicino al 586, il profeta interviene ancora una volta contro un particolare pregiudizio della sua comunità riguardante il modo di agire di JHWH nelle dolorose vicende che continuano a pesare su tutto il popolo eletto, esuli compresi: perché, vanno ripetendo, gli attuali Israeliti devono soffrire tanto, e allo stesso tempo si esige da loro quella radicale conversione, di cui parla con insistenza il veggente (12,3; 14,6-11)? «I padri han mangiato l'uva acerba e i denti dei figli si sono allegati» (v. 2): è retto da parte del Signore un tal modo di comportarsi? (vv. 25.29). Il portavoce di JHWH è sollecitato a dare due insegnamenti: smontare quell'errore deleterio: 1-24; riaffermare la necessità della loro conversione: 25-32.

Un falso preconcetto 18,1-24 1-4. Dio non vuole assolutamente che quel detto (v. 2) venga ripetuto nella comunità di Babilonia: «Com'è vero che io vivo, voi non lo ripeterete più» (v. 3); è un'energica proibizione, avvalorata da una speciale formula di giuramento. Ne va di mezzo l'esito della missione profetica: la conversione del resto d'Israele! A dimostrare l'inconsistenza dell'accusa (mancanza di rettitudine da parte di JHWH), viene enunziato un principio basilare: «Ecco, tutte le vite sono mie» (v. 4); la vita di ogni individuo è proprietà del supremo Signore, ne può disporre liberamente, e sta a lui poterla sottrarre a chiunque ha peccato.

5-18. Vengono presentate 3 ipotesi:

1) la vita sarà concessa a chi si sarà comportato secondo le norme della giustizia; e vengono qui citati 12 casi in consonanza con la legge, alcuni positivi, altri negativi: non mangiar carne senza averne fatto uscire il sangue, ritenuto sede della vita (Lv 19,26); non volgere lo sguardo in segno di adorazione e fiducia agli idoli (Dt 4,15ss.); non commettere adulterio o contaminarsi con le donne mestruate (Lv 20,18); non fare angherie; non rifiutare a un debitore povero il pegno da lui depositato, necessario alla sua vita (Dt 24,6); non compiere rapine; non prestare con usura; dar da mangiare all'affamato; vestire gli ignudi; giudicare lealmente; osservare la legge con sincerità. In tutti questi casi e altri simili (la lunga enumerazione è esemplificativa) si tratta di una persona «giusta» (śadîq): merita le sia conservata la vita; 2) il figlio di questo giusto viene meno alla rettitudine in tutti quei casi: è dichiarato “ingiusto” ed è meritevole di morte (vv. 10-13); 3) il figlio di quest'uomo “ingiusto” si astiene dal commettere le colpe di suo padre: è retto e quindi degno di vivere; morirà solo suo padre (vv. 14-18).

L'induzione è completa e la conclusione evidente: non merita la pena di morte chi si è comportato secondo le leggi «che danno la vita» (20,21); la merita invece chi, pur essendo figlio di un uomo giusto, ha agito contro di esse; né la merita chi, pur essendo figlio di un uomo malvagio, ha agito secondo le leggi di vita. JHWH, Signore assoluto della vita, la darà a chiunque se ne rende degno, anche se è legato a un parente cattivo; la toglierà a chi la demerita, anche se congiunto a un genitore retto. Egli ne dispone secondo equità, senza farsi condizionare da connessioni estrinseche.

19-24. A questo punto intervengono gli uditori del profeta. Essi vedono crollare la base delle loro recriminazioni, e cioè il principio di solidarietà nel male (v. 19a); perché mai, dicono, per quanto riguarda la vita, Dio non tien conto delle colpe dei parenti? Se questa, pensano, è la vera norma della giustizia, essi non potrebbero avere più nulla di che lamentarsi; mentre al contrario, se il principio della responsabilità collettiva rimane, essi avrebbero ragione di contestare. Non badano, però, a una distinzione: la responsabilità collettiva riguarda la pena esteriore, non tocca il rapporto di pace profonda e integrale in cul ognuno si trova di fronte al Signore. In quell'ambito, ogni essere umano libero è reo di morte o meritevole di vita, senza implicazioni con eventuali congiunti, sia giusti che ingiusti. Nelle grandi catastrofi sociali, permesse dal Signore per i suoi fini, vengono d'ordinario coinvolti individui malvagi e onesti, padri colpevoli e figli innocenti (21,8s.) per via del principio di solidarietà collettiva; ma c'è un livello di “vita” e di “morte” al quale si accede solo in forza del principio di responsabilità personale: è il livello di piena intimità col Dio trascendente, o di radicale distacco da lui. In quella dimensione somma, si tiene conto solo dello stato attuale di giustizia o di iniquità del singolo credente, svincolato da qualsiasi altro legame contingente. Tale principio anzi si estende ad altre situazioni: alla persona che, dopo aver commesso di quelle trasgressioni, si ravvede e ritorna all'osservanza delle leggi di vita (v. 21). Dio dimentica le passate mancanze e lo riammette nella sua intimità (v. 23). Come, al contrario, se un giusto si perverte dalla via del bene, diviene meritevole di morte, senza che gli giovino le opere buone compiute (v. 24; 33,13-15). La soluzione dell'apparente contraddizione fra l'invocato principio di solidarietà nelle persistenti tribolazioni dell'esilio e il principio di responsabilità individuale nella distinzione del duplice livello di “vita-morte”: quello delle sofferenze puramente temporali e transitorie («denti allegati» per i disagi dell'esilio), e quello della pace-benessere interiore-integrale sotto lo sguardo dell'Onnipotente (sentirsi amati da lui, iscritti nel libro del popolo eletto – 9,4; 13,9 –, destinati alla restaurazione futura), intravisto già dai salmisti e dai profeti (Sal 16; 48; 73,16-28; Am 5,4.14): trovarsi «nel sentiero della vita, con gioia piena nella sua presenza, e dolcezza senza fine alla sua destra» (Sal 16, 11); con «più gioia nel cuore di quando abbondano vino e frumento» (Sal 4,8); «è Dio la mia sorte per sempre... il mio bene è stare vicino a Dio» (Sal 13,26.28): rimanere sempre con Dio è il massimo dei beni, il colmo della felicità, a cui i pii Israeliti potevano aspirare (Sal 63,3s.; 42,2s.; Ez 3,3; 9,6). Per tale stato ha valore unicamente la perfetta sintonia d'amore col Dio tre volte santo.

Urgenza di conversione 18,25-32 Secondo questa visuale, Ezechiele può concludere all'ineccepibile rettitudine dell'agire divino nei confronti degli esuli tuttora in terra pagana e all'urgenza della loro conversione. Non è JHWH a essere in difetto nell'esigere il cambiamento di condotta, pur lasciandoli soffrire in forza del principio di responsabilità collettiva: la conversione è necessaria perché abbiano la pienezza della “vita” e si allontanino dal precipizio della “morte”. Persistendo nel male, trascurano il principio di responsabilità personale e si avviano alla vera completa rovina. Sono quindi loro i malvagi, perché non vogliono ascoltare l'invito alla salvezza, e non il Signore il quale non desidera altro se non la loro purificazione e la loro autentica comunione di “vita” con lui (v. 25b). Si decidano allora a cambiare strada, a ritrarsi da tutti i loro peccati, inciampo, miksôl, per la loro perdizione, e a rifarsi «un cuore nuovo e uno spirito nuovo» (v. 31), cioè un modo retto di pensare e di sentire nei riguardi dello stesso agire di JHWH, che «non gode della morte di chi muore» (v. 32a): si troveranno nella via della vera imperitura salvezza (v. 32b). Vi è in questa istruzione profetica un chiaro insegnamento esistenziale: è sempre giusto e benevolo l'operare dell'Altissimo nelle vicende dei singoli individui e della storia. Se permette la sofferenza e i grandi disagi sociali, lo fa secondo misteriosi disegni per la salvezza e santificazione delle anime, nel pieno rispetto della libertà umana. Mai queste avversità potranno intaccare il profondo rapporto di comunione vitale con lui. In quest'ambito può intervenire solo il personale uso della nostra volontà in positivo o in negativo.

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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La vite orgogliosa e il nuovo germoglio

La vite orgogliosa 1Mi fu rivolta ancora questa parola del Signore: 2«Figlio dell’uomo, proponi un enigma e racconta una parabola alla casa d’Israele. 3Tu dirai: Così dice il Signore Dio: Un’aquila grande, dalle grandi ali e dalle lunghe penne, folta di piume dal colore variopinto, venne sul Libano e strappò la cima del cedro; 4stroncò il ramo più alto e lo portò in un paese di mercanti, lo depose in una città di negozianti. 5Scelse un germoglio del paese e lo depose in un campo da seme; lungo il corso di grandi acque, lo piantò come un salice, 6perché germogliasse e diventasse una vite estesa, poco elevata, che verso l’aquila volgesse i rami e le radici crescessero sotto di essa. Divenne una vite, che fece crescere i tralci e mise i rami. 7Ma c’era un’altra aquila grande, larga di ali, ricca di piume. E allora quella vite, dall’aiuola dove era piantata, rivolse verso di essa le radici e tese verso di essa i suoi tralci, perché la irrigasse. 8In un campo fertile, lungo il corso di grandi acque, essa era piantata, per mettere rami e dare frutto e diventare una vite magnifica. 9Di’: Così dice il Signore Dio: Riuscirà a prosperare? O forse l’aquila non sradicherà le sue radici e vendemmierà il suo frutto e seccheranno tutti i tralci che ha messo? Non ci vorrà un grande sforzo né ci vorrà molta gente per sradicare dalle radici. 10Ecco, essa è piantata: riuscirà a prosperare? O non seccherà del tutto, non appena l’avrà sfiorata il vento d’oriente? Proprio nell’aiuola dove è germogliata, seccherà!».

Applicazione della parabola 11Mi fu rivolta ancora questa parola del Signore: 12«Parla dunque a quella genìa di ribelli: Non sapete che cosa significa questo? Di’: Ecco, il re di Babilonia è giunto a Gerusalemme, ne ha preso il re e i prìncipi e li ha portati con sé a Babilonia. 13Si è scelto uno di stirpe regale e ha fatto un patto con lui, obbligandolo con giuramento. Ha deportato i potenti del paese, 14perché il regno fosse debole e non potesse innalzarsi e osservasse e mantenesse l’alleanza con lui. 15Ma questi gli si è ribellato e ha mandato messaggeri in Egitto, perché gli fossero dati cavalli e molti soldati. Potrà prosperare, potrà scampare chi ha agito così? Chi ha infranto un patto potrà uscirne senza danno? 16Com’è vero che io vivo – oracolo del Signore Dio –, proprio nel paese del re che gli aveva dato il trono, di cui ha disprezzato il giuramento e infranto l’alleanza, presso di lui, in piena Babilonia, morirà. 17Il faraone, con le sue grandi forze e il suo ingente esercito non gli sarà di valido aiuto in guerra, quando si eleveranno terrapieni e si costruiranno baluardi per distruggere tante vite umane. 18Ha disprezzato un giuramento, ha infranto un’alleanza: ecco, aveva dato la mano e poi ha agito in tal modo. Non potrà trovare scampo. 19Perciò così dice il Signore Dio: Com’è vero che io vivo, farò ricadere sopra il suo capo il mio giuramento che egli ha disprezzato, la mia alleanza che ha infranta. 20Stenderò su di lui la mia rete e rimarrà preso nel mio laccio: lo condurrò a Babilonia e là lo giudicherò per l’infedeltà commessa contro di me. 21Tutti i migliori delle sue schiere cadranno di spada e i superstiti saranno dispersi ai quattro venti: così saprete che io, il Signore, ho parlato.

Il germoglio davidico 22Così dice il Signore Dio: Un ramoscello io prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami lo coglierò e lo pianterò sopra un monte alto, imponente; 23lo pianterò sul monte alto d’Israele. Metterà rami e farà frutti e diventerà un cedro magnifico. Sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all’ombra dei suoi rami riposerà. 24Sapranno tutti gli alberi della foresta che io sono il Signore, che umilio l’albero alto e innalzo l’albero basso, faccio seccare l’albero verde e germogliare l’albero secco. Io, il Signore, ho parlato e lo farò».

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Approfondimenti

La vite orgogliosa e il nuovo germoglio 17,1-24 In questo capitolo Ezechiele propone una “parabola”, māšāl, sotto forma di hîdāh, “indovinello”, che serve a stimolare l'attenzione degli uditori, ma che viene presto trasformata in chiara allegoria. Si tratta di rappresentare gli eventi dal 597 al 587-586, dalla caduta di Ioiakim fino alla definitiva rovina del regno giudaico, più un accenno alla futura ricostituzione. Conquistata Gerusalemme nel 597, Nabucodonosor trasporta in Babilonia il re Ioiachin con tutta la sua famiglia e lascia a governare il paese suo zio, Mattania, cambiandogli il nome in Sedecia. Questi gli giura obbedienza, ma dopo alcuni anni, fiducioso dell'aiuto del faraone, rivale dei Babilonesi, si ribella al grande imperatore, suscitando il pronto intervento delle sue truppe con l'annientamento del trono di Giuda. Ciò però non impedirà che si compia il progetto divino della crescita del germe davidico sul monte Sion, rifugio di tutti i popoli della terra. Il poema consta di tre parti:

  • vv. 1-10: la parabola della vite orgogliosa;
  • vv. 11-21: spiegazione della parabola;
  • vv. 22-24: trapianto e crescita del germoglio.

La vite orgogliosa 17,1-10 Sulla scena compaiono due grandi aquile, con al centro una vite rigogliosa. La prima (impero di Babilonia), dalle larghe ali (simbolo di maestà) e dalle variegate piume (simbolo di molti domini), scende sul Libano (l'alto monte di Sion), stacca la cima del cedro (il re Ioiachin) e la depone in un paese di mercanti (in Babilonia, conosciuta come terra di commercio). Ma insieme sceglie un germoglio dello stesso luogo dove sorgeva il cedro (Sedecia della medesima famiglia di Ioiachin) e lo colloca in un campo ben irrigato, come salice in terreno umido: con l'intento che si sviluppasse in una vite florida, ma sottomessa all'aquila: «e diventasse una vite estesa... che verso l'aquila volgesse i rami e le radici crescessero sotto di essa» (v. 6). E difatti crebbe meravigliosamente. Avvenne però che un'altra possente aquila si levò all'orizzonte (sulle sponde del Nilo); illudendosi di svincolarsi dal giogo della prima, la vite diresse verso il nuovo volatile le sue diramazioni («radici» e «tralci», v. 7). Sperava poter usufruire delle fertili acque in potere di quell'aquila: «perché la irrigasse» (v. 7b). L'allegoria-favola in complesso è coerente e nitida. Si conclude con due pressanti interrogazioni retoriche, che coinvolgono gli uditori: potrà prosperare una simile pianta, che a tradimento ha voluto sottrarsi alla protezione della prima possente aquila per consegnarsi alla sua rivale? Non piomberà su di essa l'aquila «larga di ali, folta di penne» (v. 7) a svellere e disseccare col vento infuocato dell'est radici e rami? «Riuscirà a prosperare.... non seccherà del tutto, non appena l'avrà sfiorata il vento d'oriente?» (v. 9s.).

Applicazione della parabola 17,11-21 L'eloquenza della metafora è illustrata da una particolareggiata applicazione. L'uditorio avrebbe dovuto recepire da sé: «Non sapete che cosa significa questo?» (v. 11). I compagni dell'esule profeta sono sempre «la genia di ribelli» che ancora non accetta le tristi previsioni sulla sorte di Gerusalemme, e si è già a pochi mesi dall'assalto definitivo dei Caldei. L'aquila più grande, spiega allora dettagliatamente Ezechiele, è il re Nabucodonosor che, deportato Ioiachin in Babilonia con i figli e i notabili del paese, pose sul trono di Giuda Sedecia, stipulando con lui un'alleanza: Nabucodonosor nel nome del suo dio Marduch, Sedecia nel nome di JHwH; in modo che la modesta nazione giudaica potesse sussistere sotto il protettorato dell'impero orientale (v. 13). Con la salita al trono egiziano dell'intraprendente Ofra nel 588, Sedecia si lascia indurre dai suoi consiglieri ad appoggiarsi al faraone contro i Babilonesi. Infrange così il patto stipulato in nome del Dio dei padri commettendo una flagrante slealtà e uno spergiuro (v. 16). Il Signore farà cadere sul suo capo quella duplice infedeltà. Probabilmente proprio in quello stesso tempo in cui Ezechiele proferiva l'oracolo, Nabucodonosor sbaragliava le truppe egiziane accorse in aiuto degli assediati gerosolimitani (Ger 37,5); e quindi riprendeva l'assalto alla città santa, fino alla capitolazione di alcuni mesi dopo. Sedecia, come ci racconta 2Re 25,1-11, verrà catturato, accecato e condotto prigioniero in Babilonia, e il resto del suo esercito annientato. Quando tutto ciò si sarà verificato, conclude il profeta, gli esuli suoi connazionali potranno riconoscere che JHWH aveva parlato in lui e ne trarranno le auspicate conseguenze (v. 21). La giustizia eterna raggiunge ogni opposizione al disegni del supremo Signore dei popoli, ogni presunzione, ogni inganno verso i propri simili, ogni irriverenza contro l'onore del suo nome. Il vero bene di ciascuno o della collettività coincide con l'osservanza dei voleri divini e col rispetto dei diritti altrui.

Il germoglio davidico 17,22-24 Questi versi sono probabilmente un'aggiunta posteriore dello stesso Ezechiele. Nel ricomporre i suoi oracoli avrà creduto bene integrare il piccolo carme allegorico delle aquile e del germoglio trapiantato in terra pagana con un accenno al futuro rampollo della stirpe davidica (di cui forse avrà un giorno sentito parlare il suo collega Geremia: Ger 23,5), coltivato da JHWH stesso sul suo monte santo. Troviamo simili integrazioni in vari altri vaticini di sventura (5,3-4; 11,14-20; 16,60-63; Am 9,8-12; Is 7,14s.). Riprende la parola il Signore (v. 22). Come ha predetto la rovina e il castigo salutare (vv. 11-21), così ora preannunzia un evento del tutto salvifico. Non sarà più una potenza pagana, strumento della giustizia divina, a staccare un ramoscello dalla «cima del cedro» (vv. 3.22), ma la mano benefica di JHWH; né lo trasporterà lontano dalla sua terra, ma lo pianterà sul monte della sua dimora, in Sion, presso il suo tempio. Si tratta certamente del germe di Davide: «un germoglio spunterà dal tronco di Jesse» (Is 11,1), secondo l'antica promessa (2 Sam 7,12ss.; Is 53,2). Alimentato dalle acque della benedizione divina (31,4), «diventerà un cedro magnifico», alla cui ombra verranno a dimorare tutti gli uccelli: kôl sippôr, come in 31,6, significa “ogni categoria di volatili, cioè popoli di ogni regione e razza.

Fuori metafora, si preludia a un nuovo regno della discendenza davidica, di straordinarie dimensioni, a cui accorreranno tutti i popoli della terra, secondo la profezia isaiana (Is 2,2-5; Mic 4,1-5; Ez 34,23-25). Sarà la realizzazione, vista in lontananza, di quel Regno di Dio, rappresentato dallo stesso Gesù in un piccolo seme cresciuto in grandioso albero (Mt 13,31s.), rifugio e sede di tutte le nazioni. Nessuno si sarebbe aspettato un rigoglio e un'estensione così mirabile. Ogni uomo vi potrà scorgere la potenza di quel Dio che umilia i grandi imperi e innalza i più modesti clan, e «fa seccare l'albero verde e germogliare l'albero secco» (v. 24). È nella debolezza, dirà Paolo, che si manifesta l'onnipotenza di colui che guida, tra le vicende del mondo, la sua comunità di universale salvezza (2Cor 12,5-10).

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Allegoria della sposa infedele

Giudizio rigoroso 1Mi fu rivolta questa parola del Signore: 2«Figlio dell’uomo, fa’ conoscere a Gerusalemme tutti i suoi abomini. 3Dirai loro: Così dice il Signore Dio a Gerusalemme: Tu sei, per origine e nascita, del paese dei Cananei; tuo padre era un Amorreo e tua madre un’Ittita. 4Alla tua nascita, quando fosti partorita, non ti fu tagliato il cordone ombelicale e non fosti lavata con l’acqua per purificarti; non ti fecero le frizioni di sale né fosti avvolta in fasce. 5Occhio pietoso non si volse verso di te per farti una sola di queste cose e non ebbe compassione nei tuoi confronti, ma come oggetto ripugnante, il giorno della tua nascita, fosti gettata via in piena campagna. 6Passai vicino a te, ti vidi mentre ti dibattevi nel sangue e ti dissi: Vivi nel tuo sangue 7e cresci come l’erba del campo. Crescesti, ti facesti grande e giungesti al fiore della giovinezza. Il tuo petto divenne fiorente ed eri giunta ormai alla pubertà, ma eri nuda e scoperta. 8Passai vicino a te e ti vidi. Ecco: la tua età era l’età dell’amore. Io stesi il lembo del mio mantello su di te e coprii la tua nudità. Ti feci un giuramento e strinsi alleanza con te – oracolo del Signore Dio – e divenisti mia. 9Ti lavai con acqua, ti ripulii del sangue e ti unsi con olio. 10Ti vestii di ricami, ti calzai di pelle di tasso, ti cinsi il capo di bisso e ti ricoprii di stoffa preziosa. 11Ti adornai di gioielli. Ti misi braccialetti ai polsi e una collana al collo; 12misi al tuo naso un anello, orecchini agli orecchi e una splendida corona sul tuo capo. 13Così fosti adorna d’oro e d’argento. Le tue vesti erano di bisso, di stoffa preziosa e ricami. Fior di farina e miele e olio furono il tuo cibo. Divenisti sempre più bella e giungesti fino ad essere regina. 14La tua fama si diffuse fra le genti. La tua bellezza era perfetta. Ti avevo reso uno splendore. Oracolo del Signore Dio. 15Tu però, infatuata per la tua bellezza e approfittando della tua fama, ti sei prostituita, concedendo i tuoi favori a ogni passante. 16Prendesti i tuoi abiti per adornare a vari colori le alture su cui ti prostituivi. 17Con i tuoi splendidi gioielli d’oro e d’argento, che io ti avevo dato, facesti immagini d’uomo, con cui ti sei prostituita. 18Tu, inoltre, le adornasti con le tue vesti ricamate. A quelle immagini offristi il mio olio e i miei profumi. 19Ponesti davanti ad esse come offerta di soave odore il pane che io ti avevo dato, il fior di farina, l’olio e il miele di cui ti nutrivo. Oracolo del Signore Dio. 20Prendesti i figli e le figlie che mi avevi generato e li offristi in cibo. Erano forse poca cosa le tue prostituzioni? 21Immolasti i miei figli e li offristi a loro, facendoli passare per il fuoco. 22Fra tutti i tuoi abomini e le tue prostituzioni non ti ricordasti del tempo della tua giovinezza, quando eri nuda e ti dibattevi nel sangue! 23Dopo tutta la tua perversione – guai, guai a te! Oracolo del Signore Dio – 24ti sei fabbricata un giaciglio e costruita un’altura in ogni piazza. 25A ogni crocicchio ti sei fatta un’altura, disonorando la tua bellezza, offrendo il tuo corpo a ogni passante e moltiplicando le tue prostituzioni. 26Hai concesso i tuoi favori ai figli d’Egitto, tuoi corpulenti vicini, e hai moltiplicato le tue infedeltà per irritarmi. 27A questo punto io ho steso la mano su di te. Ho ridotto il tuo cibo e ti ho abbandonato in potere delle tue nemiche, le figlie dei Filistei, che erano disgustate della tua condotta sfrontata. 28Non ancora sazia, hai concesso i tuoi favori agli Assiri. Non ancora sazia, 29hai moltiplicato le tue infedeltà nel paese dei mercanti, in Caldea, e ancora non ti è bastato. 30Com’è stato abietto il tuo cuore – oracolo del Signore Dio – facendo tutte queste azioni degne di una spudorata sgualdrina! 31Quando ti costruivi un giaciglio a ogni crocevia e ti facevi un’altura in ogni piazza, tu non eri come una prostituta in cerca di guadagno, 32ma come un’adultera che, invece del marito, accoglie gli stranieri! 33A ogni prostituta si dà un compenso, ma tu hai dato il compenso a tutti i tuoi amanti e hai distribuito loro doni perché da ogni parte venissero a te, per le tue prostituzioni. 34Tu hai fatto il contrario delle altre donne, nelle tue prostituzioni: nessuno è corso dietro a te, mentre tu hai distribuito doni e non ne hai ricevuti, tanto eri pervertita. 35Perciò, o prostituta, ascolta la parola del Signore. 36Così dice il Signore Dio: Per le tue ricchezze sperperate, per la tua nudità scoperta nelle tue prostituzioni con i tuoi amanti e con tutti i tuoi idoli abominevoli, per il sangue dei tuoi figli che hai offerto a loro, 37ecco, io radunerò da ogni parte tutti i tuoi amanti con i quali sei stata compiacente, coloro che hai amato insieme con coloro che hai odiato; li radunerò contro di te e ti metterò completamente nuda davanti a loro perché essi ti vedano tutta. 38Ti infliggerò la condanna delle donne che commettono adulterio e spargono sangue, e riverserò su di te furore e gelosia. 39Ti abbandonerò nelle loro mani e distruggeranno i tuoi giacigli, demoliranno le tue alture. Ti spoglieranno delle tue vesti e ti toglieranno i tuoi splendidi ornamenti: ti lasceranno scoperta e nuda. 40Poi ecciteranno contro di te la folla, ti lapideranno e ti trafiggeranno con la spada. 41Incendieranno le tue case e sarà eseguita la sentenza contro di te sotto gli occhi di numerose donne. Ti farò smettere di prostituirti e non distribuirai più doni. 42Quando avrò sfogato il mio sdegno su di te, non sarò più geloso di te, mi calmerò e non mi adirerò più. 43Per il fatto che tu non ti sei ricordata del tempo della tua giovinezza e mi hai provocato all’ira con tutte queste cose, adesso io ti farò pagare per le tue azioni – oracolo del Signore Dio – e non aggiungerai altre scelleratezze a tutti gli altri tuoi abomini.

Ulteriore sentenza 44Ecco, tutti quelli che usano proverbi diranno di te: “Quale la madre, tale la figlia”. 45Tu sei degna figlia di tua madre, che ha abbandonato il marito e i suoi figli: tu sei sorella delle tue sorelle, che hanno abbandonato il marito e i loro figli. Vostra madre era un’Ittita e vostro padre un Amorreo. 46Tua sorella maggiore è Samaria, che con le sue figlie abita alla tua sinistra. Tua sorella più piccola è Sòdoma, che con le sue figlie abita alla tua destra. 47Tu non soltanto hai seguito la loro condotta e agito secondo i loro costumi abominevoli, ma come se ciò fosse stato troppo poco, ti sei comportata peggio di loro in tutta la tua condotta. 48Per la mia vita – oracolo del Signore Dio –, tua sorella Sòdoma e le sue figlie non fecero quanto hai fatto tu insieme alle tue figlie! 49Ecco, questa fu l’iniquità di tua sorella Sòdoma: essa e le sue figlie erano piene di superbia, ingordigia, ozio indolente. Non stesero però la mano contro il povero e l’indigente. 50Insuperbirono e commisero ciò che è abominevole dinanzi a me. Io le eliminai appena me ne accorsi. 51Samaria non ha peccato la metà di quanto hai peccato tu. Tu hai moltiplicato i tuoi abomini più di queste tue sorelle, tanto da farle apparire giuste, in confronto con tutti gli abomini che hai commesso. 52Devi portare anche tu la tua umiliazione, perché hai fatto sembrare giuste le tue sorelle. Esse appaiono più giuste di te, perché i tuoi peccati superano i loro. Anche tu dunque, devi essere svergognata e portare la tua umiliazione, perché hai fatto sembrare giuste le tue sorelle. 53Ma io cambierò le loro sorti: cambierò le sorti di Sòdoma e delle sue figlie, cambierò le sorti di Samaria e delle sue figlie; anche le tue sorti muterò di fronte a loro, 54perché tu possa portare la tua umiliazione e tu senta vergogna di quanto hai fatto: questo le consolerà. 55Tua sorella Sòdoma e le sue figlie torneranno al loro stato di prima. Samaria e le sue figlie torneranno al loro stato di prima. Anche tu e le tue figlie tornerete allo stato di prima. 56Eppure tua sorella Sòdoma non era forse sulla tua bocca al tempo del tuo orgoglio, 57prima che fosse scoperta la tua malvagità, così come ora tu sei disprezzata dalle figlie di Aram e da tutte le figlie dei Filistei che sono intorno a te, le quali ti deridono da ogni parte? 58Tu stai scontando la tua scelleratezza e i tuoi abomini. Oracolo del Signore Dio. 59Poiché così dice il Signore Dio: Io ho ricambiato a te quello che hai fatto tu, perché hai disprezzato il giuramento infrangendo l’alleanza.

Punizione singolare 60Ma io mi ricorderò dell’alleanza conclusa con te al tempo della tua giovinezza e stabilirò con te un’alleanza eterna. 61Allora ricorderai la tua condotta e ne sarai confusa, quando riceverai le tue sorelle maggiori insieme a quelle più piccole, che io darò a te per figlie, ma non in forza della tua alleanza. 62Io stabilirò la mia alleanza con te e tu saprai che io sono il Signore, 63perché te ne ricordi e ti vergogni e, nella tua confusione, tu non apra più bocca, quando ti avrò perdonato quello che hai fatto». Oracolo del Signore Dio.

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Approfondimenti

Allegoria della sposa infedele 16,1-63 Il lungo c. 16 è chiaramente divisibile in tre sezioni:

  • vv. 1-43: un primo grande giudizio sulla nazione ebraica impersonata in Gerusalemme, con l'accusa (vv. 1-34) e la sentenza di punizione (vv. 35-43);
  • vv. 44-59: un'ulteriore sentenza contro Gerusalemme-regno giudaico, a confronto con Samaria e Sodoma;
  • vv. 60-63: una speciale forma di castigo per Gerusalemme, culminante nella formula del riconoscimento di JHwH.

Gli esegeti non concordano sulla genuinità d'autore e sull'epoca di composizione dei tre brani. Quasi tutti attribuiscono sostanzialmente a Ezechiele la prima sezione. Per il resto, riteniamo molto probabile l'opinione di coloro che estendono l'azione del nostro profeta anche ai vv. 44-63 negli anni successivi alla caduta di Gerusalemme (587): vi è molto dello stile e della costante concezione teologica ezechieliana. Con un “processo” intentato a mezzo del suo portavoce, Dio rivela la grande malvagità del popolo eletto, la necessità di un suo intervento punitivo, ma insieme la sua insondabile misericordia nel ricondurre nella via della salvezza il resto dei figli d'Israele.

Chiamata e missione profetica 16,1-43 L'accusa (vv. 1-34) prende la forma di una parabola allegorica, sotto la figura di una fanciulla. Gerusalemme è la misera figlia di genitori pagani, nata nella terra dei Cananei, i cui antenati erano Amorrei e Ittiti: il clan dei capostipiti ebrei proveniva da Ur dei Caldei (Gn 11,31). La neonata fu trattata fin dalla nascita con noncuranza, priva di quegli ordinari servizi necessari per la sopravvivenza, e abbandonata in aperta campagna (v. 5): furono i gravi disagi della famiglia abramitica in Canaan e poi in Egitto (Gn 12-20; 42; Es 1-2). Stava lì per estinguersi avvolta nel «suo sangue» (v. 6). Non si poteva descrivere meglio la nullità su cui Dio poserà il suo sguardo.

L'allegoria continua. Un passante la vede e ne ha compassione: era il Signore onnipotente, il quale con la sua parola creatrice la salva dalla morte e le infonde vigore (vv. 6s.). Crebbe infatti e si fece grande, e quando il suo salvatore la vede pronta a corrispondere al suo amore, decide di prenderla in sposa: «stese su di lei il lembo del suo mantello» (v. 8): sarà il gesto di Booz per il suo fidanzamento con Rut (Rt 3,9; Dt 23,1). Essa era povera e diseredata in terra straniera («nuda e scoperta», v. 7); JHWH la assume a sua nazione speciale nel patto sinaitico: in quella b'rît («alleanza») per cui lui si impegnava a proteggerla e riportarla nella terra dei padri e lei a venerarlo come suo supremo Signore e benefattore (Ez 20,5s.): «giurai alleanza con te... e divenisti mia» (v. 8b). Di una misera creatura votata alla morte, l'Altissimo ne fa la sua pre-diletta!

9-14. Viene gratificata di preziosissimi doni, tali da renderla degna di sì grande sposo: vestiti in ricamo, calzari di pelle, velo di bisso, braccialetti e collane e orecchini, corona sul capo e poi tanti gioielli e cibi prelibati (v. 10-13). Vi sono rappresentati i numerosi benefici accordati da JHWH a quel manipolo di schiavi, fuggiti per sua grazia dall'Egitto e guidati prodigiosamente fino all'ingresso in Palestina (Esodo; Numeri), dove si costituiranno in un'unica anfizionia (Giudici) e quindi nel magnifico regno davidico-salomonico (2Sam). Il Santo d'Israele richiama con nostalgia il fulgore della sua sposa (cfr. Ger 2,2s.): ammirata dai popoli circonvicini per l'armonia delle sue istituzioni e per la perfezione dei suoi ordinamenti, in essa risplendeva un raggio della sua gloria divina (v. 14).

15-19. Ma come ha risposto la tanto amata fanciulla? Il termine che presso i profeti qualifica il comportamento della nazione ebraica è “prostituzione”, znh, «prostituirsi» (Os 1,2): una prostituzione quasi ossessiva, descritta con immagini realistiche; la consegna di tutta se stessa agli idoli di pietra, lasciando il culto del vero Dio. «Infatuarsi» (v. 15) traduce il verbo bth, «confidare»: qui va inteso nel senso di stimarsi e fidarsi di sé eccessvamente, fino a dimenticarsi di aver ricevuto tutto quello che si ha dal munifico supremo Signore e credersi autonomi da lui, e a potersi dedicare all'esaltazione delle divinità cananee, adorando le loro alture sacre, bamôt, con elargizioni di gioielli, profumi e offerte preziose, in un crescendo di infamia e di ingratitudine. Sono le varie pratiche di idolatria, in uso da generazioni tra i discendenti di Giacobbe (Ez 20,8.28), specialmente nell'epoca del re Manasse (2Re 21) e dopo la morte di Giosia (2Re 23,29-37).

20-34. Ma c'è di più. La fedifraga arriva a sacrificare, facendoli passare attraverso il fuoco (olocausti cruenti: 20, 26), i doni più scelti ottenuti dal Signore, i propri figli: non ricordando più di dovere a lui, fin dalla nascita, la continua preservazione dalla morte. Peggio ancora: prolungando la metafora sponsale, l'adultera si costruisce dei posti di prostituzione, da ogni parte, per procurarsi nuove occasioni di infedeltà; va cioè in cerca di alleanze politiche compromettenti con nazioni pagane, con l'Egitto per premunirsi contro gli Assiri, e poi con l'Assiria per liberarsi dagli Egiziani, e infine con i Caldei: offrendo l'adito al sincretismo religioso e quindi alla venerazione delle loro divinità (vv. 24-29). Si verificherà così qualcosa di strano: quel che non suole avvenire alle ordinarie donne di strada. L'ingrata sposa di JHwH pagherà con eccellenti regali i suoi amanti, mentre è di solito alle prostitute che si offrono compensi! A quale stato di abiezione si è spinta l'insaziabile sete di seduzione di Gerusalemme (vv. 33s.). L'indegnità del peccatore qui raggiunge il colmo: si sacrificano i migliori beni donati generosamente dal creatore, per onorare i suoi nemici!

35-43. L'adeguata condanna. Alla terribile accusa segue, secondo giustizia, un altrettanto energico verdetto. Inizia col laken, «perciò» (v. 35). La città santa dovrà fare attenzione alla sentenza del giudice divino: l'esatta corrispondenza alla legge del taglione deve scuoterla salutarmente. Gerusalemme, abbandonando Dio, si è compiaciuta degli dei stranieri e dei loro adoratori: saranno costoro ad assalirla tutti insieme (v. 37), sia quelli che ha amato di più, sia quelli che ha amato meno (sn', oltre che «odiare» ha anche il senso di «amare di meno»: Gn 29,33; Mt 10,37; cfr. Ez 23,28). Sarà allora privata di tutto il suo splendore, e ricoperta solo di vergogna (v. 37b); giustiziata secondo la condanna degli assassini e delle adultere, cioè con la distruzione degli stessi luoghi serviti ai culti idolatrici e con la lapidazione degli spergiuri (Lv 24,16s.; Dt 22,23s.): ridotta alla primitiva sua miseria e in fin di vita, come la neonata del deserto gemente nel suo sangue (vv. 39-41). Sarà così nella impossibilità di andare in cerca delle vane divinità e ripagherà la gelosia del sovrano suo sposo (cfr. Os 2,9). Dovrà accorgersi di aver lasciato la gioia della «sua giovinezza» (v. 43), la «sorgente di acqua viva» (Ger 2, 13a) per abbeverarsi a «cisterne screpolate» (Ger 2,13b); e finirà di «accumulare altre scelleratezze oltre tutti gli altri suoi abomini» (v. 43), e potrà “calmare l'ira divina” (v. 42). Un castigo già esemplare e di sicura efficacia!

Ulteriore sentenza 16,44-59 Ma non termina lì la pena della rea: le è preparata una più scottante umiliazione. Gerusalemme, tradendo il suo sposo divino, ha seguito un costume di famiglia, quello dei genitori politeisti (di origine ittita e amorrea: v. 3; adoratori del dio semita 'el), e delle sue sorelle, anch'esse adultere, la più grande (Samaria con le città dipendenti, il regno israelitico del Nord) e la più piccola (Sodoma con le città a lei consociate, antica popolazione del sud), che hanno commesso gravi trasgressioni nel riguardi della divinità: superbia e lusso ostrenato e mancanza di pietà per gli oppressi (vv. 48-50). Le loro colpe però non hanno raggiunto la malizia di quelle di Gerusalemme. Quelle di Samaria non ne hanno toccato addirittura neanche la metà (v. 51). Eppure esse sono state duramente punite da più di un secolo, mentre Gerusalemme è divenuta il dileggio di tutte le nazioni circonvicine per la sua enorme scelleratezza ed è tuttora in vita (v. 57). Ha reso quasi «giuste» (v. 52), agli occhi dei pagani, le sue perverse sorelle, le ha, per dir così, «consolate» (v. 54) di fronte alle proprie nefandezze. E come dovrà sprofondare nella vergogna, quando un giorno il Signore misericordioso si degnerà di restaurare nella loro prosperità tutte e tre quelle regioni, ponendo al centro proprio Gerusalemme!

Punizione singolare 16,60-63 Ma vi sarà un eccezionale sovrappiù: JHWH dopo anni si ricorderà del patto speciale accordato alla sposa prediletta «al tempo della sua giovinezza» (v. 60). Non si potrà mai dimenticare di quel suo primo amore (cfr. Os 3;11; Ger 2,2s.) e di quella sua immensa pietà (Ger 31,3; Ez 20,39; 34,23-25; 36,22-26). Finirà con ristabilire con lei una nuova «eterna alleanza», dopo naturalmente averla purificata dalle sue colpe (36,25s.); e le darà come dote e dominio altre nazioni, più piccole e più grandi di lei. Essa allora sarà indotta a ripensare alla malvagità e ingratitudine del tempo passato e a immergersi nella più grande confusione, e nel più sincero dispiacere di ciò che aveva compiuto. Quel gesto sublime di bontà dovrà servire alla massima umiliazione della sua amata nazione e insieme al suo più profondo e stabile ravvedimento (v. 63).

Lo stringente “giudizio profetico” è di enorme forza persuasiva. Anzitutto per gli uditori di Ezechiele del primo periodo. Mostra agli esuli infatuati dell'intangibilità di Sion (24,21) la logicità dell'imminente castigo: a estrema ingratitudine non può corrispondere che una radicale condanna. La nazione israelitica era debitrice di tutto alla pietà dell'Onnipotente: la preservazione dalla morte, l'elevazione a popolo speciale, la sua regalità. Non ne aveva alcun titolo, anzi solo demeriti: le radici pagane, la miseria a cui era ridotta. L'essere stata guardata e adottata con tanta cura era segno di un immenso amore. L'averlo poi tradito per concedersi a false divinità era il sommo degli oltraggi che si potevano commettere. I compagni del nostro profeta avrebbero avuto di che riflettere per convincersi della perfetta giustizia dei decreti di guai sulla loro patria. Inoltre, quando il veggente del Chebar, dopo il crollo del 587, spingerà le sue considerazioni sul modo come JHWH ha trattato le due nazioni sorelle a nord e a sud di Sion, aggiungerà nuovi motivi di vergogna per Gerusalemme-Giuda: il Signore supremo aveva protratto la sua misericordia al di là di ogni limite verso la sua nazione, mentre già da secoli aveva colpito Samaria e Sodoma meno “ingiuste” di lei. Ma il processo raggiungerà il paradosso con l'annunzio di una più incredibile generosità: la restaurazione della nazione-sposa, a cui saranno offerte in dono altre tribù della Palestina, non in forza di antiche benemerenze, ma solo per pura bontà. L'umiliazione della infedele sarà incommensurabile ed essa non avrà più l'ardire di sottrarsi al rispetto e all'esaltazione dell'unico vero suo bene (v. 62). Ci si ricollega con il prodigioso inimmaginabile recupero dell'adultera di Os 3, e del figlio sempre ribelle e ingrato, ricondotto in casa, di Os 11,8-11.

È un processo grandemente significativo per noi. Rappresenta il luminoso itinerario che persegue la parola divina per l'autentica conversione dei cuori. Nella bontà misericordiosa del Padre lo stesso Gesù faceva prender coscienza delle colpe personali suscitando la sincera metanoia e conducendo i discepoli a un'incondizionata dedizione per la sua persona.

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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La vite infruttuosa 1Mi fu rivolta questa parola del Signore: 2«Figlio dell’uomo, che pregi ha il legno della vite di fronte a tutti gli altri legni della foresta? 3Si adopera forse quel legno per farne un oggetto? Si può forse ricavarne un piolo per attaccarvi qualcosa? 4Ecco, lo si getta nel fuoco a bruciare, il fuoco ne divora i due capi e anche il centro è bruciacchiato. Potrà essere utile per farne un oggetto? 5Anche quand’era intatto, non serviva a niente: ora, dopo che il fuoco l’ha divorato, l’ha bruciato, si potrà forse ricavarne qualcosa? 6Perciò così dice il Signore Dio: Come io metto nel fuoco a bruciare il legno della vite al posto del legno della foresta, così io tratterò gli abitanti di Gerusalemme. 7Mi volterò contro di loro. Da un fuoco sono scampati, ma un fuoco li divorerà! Allora saprete che io sono il Signore, quando mi volterò contro di loro 8e renderò il paese deserto, poiché sono stati infedeli». Oracolo del Signore Dio.

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Approfondimenti

La vite infruttuosa 15,1-8 È quasi una ripresa, in poesia, del vaticinio precedente (14, 12-23). Per Gerusalemme, vite selvatica, non rimane altro da fare se non che venga buttata nel fuoco. La nazione ebraica è stata raffigurata più volte, presso i profeti, come una vite (Ger 2, 21; Os 10, 1; Sal 80, 9-17; Ez 17), una vite feconda, o sterile, o dalle larghe foglie. Qui Ezechiele la presenta come un arbusto che germoglia nel bosco e che invece di uva, pare, produca solo lambruschi (così suppone il testo ebr. «il tralcio/della vite/che sta tra gli alberi della foresta»). Il piccolo poema, dal ritmo non ben definito, è diviso in due parti: vv. 1-5: esposizione della parabola; vv. 6-8: sua applicazione alla città di Giuda. 1-5. Da simile pianta non se ne potrà ricavare nulla di utile, sia per via del suo frutto, che è solo uva acerba, ma anche per il suo legno che, a differenza di quello di altri alberi, non serve ad alcuna costruzione o sostegno (v. 3). Sarà allora dato alle fiamme per essere consumato, prima nelle sue punte estreme e poi anche nel mezzo, fino all'in-cenerimento. Un'immagine molto pertinente ed effica-ce, ravvivata da una serie di interrogazioni retoriche (v. 1.3.5), e conclusa con una logica constatazione: se non serviva a nulla mentre era aderente all'humus della fo-resta, molto meno potrà giovare quando sarà divorata tutta dal fuoco (v. 5). 6-8. L'applicazione è introdotta da un laken, «Per- ciò», segno di un verdetto: la parabola è parola di Dio in simbolo, come il germe della realtà significata. La nazione israelitica, la più piccola delle nazioni della terra, divenuta del tutto ribelle (“selvaggia”) al Signore, si è resa inetta alla missione esemplare di popolo di JHwH (5, 5-8). Attaccata dal fuoco del castigo divino nelle sue componenti (regno del Nord distrutto dagli Assiri nel 721; e regno di Giuda conquistato dai Babilonesi nel 597), fra non molto divorata dall'incendio finale con la caduta di Gerusalemme e la rovina del tempio («il centro», v. 4), finirà nell'estrema desolazione: «paese deserto» e abitanti trucidati dalla spada a causa delle loro persistenti infedeltà (vv. 7.8). L'attestato finale, «dice il Signore Dio» (v. 8b), è garanzia di realizzazione. In quell'annullamento gli uditori del profeta riconosceranno l'onnipotenza del Dio d'Israele, che brucia tutto quel che si oppone alla santità dei suoi disegni (v. 7). Il balenare dei più radicali castighi negli oracoli profetici non è una semplice metafora dell'ira divina, ma un mezzo forte e salutare per far scorgere agli ostinati il grande abisso verso cui stanno per precipitare, e così muoverli alla conversione. Non altrimenti tarà Gesù con gli increduli di Catarnao, quando rievocherà ai loro occhi il fuoco distruttore di Sodoma (cfr. Mt 11, 23).

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Contro gli idolatri

Rifiuto di un responso 1Vennero a trovarmi alcuni anziani d’Israele e sedettero dinanzi a me. 2Mi fu rivolta allora questa parola del Signore: 3«Figlio dell’uomo, questi uomini hanno posto i loro idoli nel proprio cuore e approfittano di ogni occasione per peccare. Mi lascerò consultare da loro? 4Parla quindi e di’ loro: Dice il Signore Dio: A chiunque della casa d’Israele avrà posto i suoi idoli nel proprio cuore e avrà approfittato di ogni occasione per peccare e verrà dal profeta, io, il Signore, risponderò in base alla moltitudine dei suoi idoli; 5così raggiungerò il cuore della casa d’Israele che si è allontanata da me a causa di tutti i suoi idoli. 6Riferisci pertanto alla casa d’Israele: Dice il Signore Dio: Convertitevi, abbandonate i vostri idoli e distogliete la faccia da tutti i vostri abomini, 7poiché a chiunque della casa d’Israele e a ogni straniero abitante in Israele che si allontana da me e pone nel proprio cuore i suoi idoli e approfitta di ogni occasione per peccare e viene dal profeta a consultarmi, io stesso, il Signore, risponderò. 8Distoglierò la faccia da costui e ne farò un esempio proverbiale, e lo sterminerò dal mio popolo: così saprete che io sono il Signore. 9Se un profeta si inganna e fa una profezia, io, il Signore, lascio nell’inganno quel profeta: stenderò la mano contro di lui e lo cancellerò dal mio popolo Israele. 10Popolo e profeta porteranno la pena della loro iniquità. La pena di chi consulta sarà uguale a quella del profeta, 11perché la casa d’Israele non vada più errando lontano da me né più si contamini con tutte le sue prevaricazioni: essi saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio». Oracolo del Signore Dio.

Responsabilità personale 12Mi fu rivolta questa parola del Signore: 13«Figlio dell’uomo, se una terra pecca contro di me e si rende infedele, io stendo la mano sopra di essa, le tolgo la riserva del pane, le mando contro la fame e stermino uomini e bestie; 14anche se in quella terra vivessero questi tre uomini: Noè, Daniele e Giobbe, essi con la loro giustizia salverebbero solo se stessi, oracolo del Signore Dio. 15Oppure, se io facessi invadere quella terra da bestie feroci, tali che la privassero dei suoi figli e ne facessero un deserto impercorribile a causa delle bestie feroci, 16anche se in quella terra ci fossero questi tre uomini, giuro com’è vero ch’io vivo, oracolo del Signore Dio: non salverebbero figli né figlie. Essi soltanto si salverebbero, ma la terra sarebbe un deserto. 17Oppure, se io mandassi la spada contro quella terra e dicessi: “Spada, percorri quella terra”, e così sterminassi uomini e bestie, 18anche se in quella terra ci fossero questi tre uomini, giuro com’è vero che io vivo, oracolo del Signore Dio: non salverebbero figli né figlie. Essi soltanto si salverebbero. 19Oppure, se io mandassi la peste contro quella terra e sfogassi nel sangue il mio sdegno e sterminassi uomini e bestie, 20anche se in quella terra ci fossero Noè, Daniele e Giobbe, giuro com’è vero che io vivo, oracolo del Signore Dio: non salverebbero figli né figlie. Essi soltanto si salverebbero per la loro giustizia.

Conferma dai superstiti 21Dice infatti il Signore Dio: Quando manderò contro Gerusalemme i miei quattro tremendi castighi: la spada, la fame, le bestie feroci e la peste, per estirpare da essa uomini e bestie, 22ecco, vi sarà un resto che si metterà in salvo con i figli e le figlie. Essi verranno da voi, perché vediate la loro condotta e le loro opere e vi consoliate del male che ho mandato contro Gerusalemme, di quanto ho mandato contro di essa. 23Essi vi consoleranno quando vedrete la loro condotta e le loro opere e saprete che non ho fatto senza ragione quello che ho fatto contro di essa». Oracolo del Signore Dio.

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Approfondimenti

Contro gli idolatri 14,1-23 In questo capitolo il Signore dà una risposta agli anziani del popolo venuti a consultarlo a mezzo del suo profeta (v. 1). Sembra abbiano in mente di chiedere spiegazione del rigore manifestato nei precedenti vaticini di rovina: era possibile che la giustizia divina volesse colpire così radicalmente tutta la nazione (cc. 8-12), senza tener conto della bontà dei suoi antenati e di molti contemporanei (cfr. 9,4: i segnati col tau)? Non aveva JHWH tante volte risparmiato o promesso di risparmiare il suo popolo per le preghiere e la solidarietà di uomini giusti (Gn 18,23-32; Es 20,1; Nm 14,13-19; 1Sam 12,19-23)? La risposta del Signore si articola in tre oracoli:

  • vv. 1-11: non sarà possibile ottenere un adeguato responso attraverso i veri profeti da chi coltiva nel cuore legami idolatrici;
  • vv. 12-20: non gioverà agli ostinati la solidarietà con genitori onesti;
  • vv. 21-23: la loro profonda malizia si renderà nota per via dei pochi scampati, che raggiungeranno i deportati del 597.

Rifiuto di un responso 14,1-11 Anzitutto c'è un rimprovero per coloro che vengono a consultare il Signore, mentre hanno legato («hanno posto», perfetto che indica il perdurare di un'azione) il loro cuore ai culti paganeggianti, divenuti incentivo di iniquità (v. 3a). Dio rifiuta di lasciarsi interrogare a loro favore (v. 3b). Non sono degni neppure di essere ascoltati. Sarà il Signore stesso a formulare il suo giudizio contro di loro, al di là dei loro problemi: «risponderò io». La frase è improntata allo stile sacerdotale (Lv 17, 2-16). Chiunque, nessuno escluso, fosse pure lo straniero ospitato nella comunità israelitica, si lascia trascinare dall'adesione (interiore ed esterna, «cuore» e «sguardo») agli idoli, dovrà attendersi una risposta diretta: saranno colpiti in tal modo nell'intimo del loro cuore (v. 5). Nella frase parallela (6b-8) viene spiegato in che cosa consiste quella risposta tagliente: gli Israeliti, in forza dell'alleanza erano tenuti a prestare culto al solo vero Dio, JHWH (20,5-7), fonte di prosperità e salvezza; rivolgendosi ipocritamente a lui per un consulto (con il cuore fisso alle «immondezze», cioè le divinità pagane), non potevano incontrare se non il suo volto irritato e il rifiuto della sua presenza. È l'unico responso che avrebbe dimostrato in quel caso ancora una volta la grandezza e santità di JHWH, e avrebbe potuto farli riflettere nel profondo del loro animo. Da un immenso amore tradito, nel momento stesso in cui gli si chiede aiuto, non ci si può aspettare che un energico ammonimento alla resipiscenza! La parola divina è una spada a doppio taglio (Eb 4,12), che ferisce in profondità, svela i segreti meandri dell'infedeltà, sospinge il peccatore verso i sentieri della vita (vv. 6.8). La medesima sorte è riservata al profeta che si sarà lasciato indurre a dare un oracolo a chi gli si accosta con quell'oscura disposizione. Vien detto che è stato Dio stesso a sedurre quel veggente (v. 9). È una formulazione ebraico-orientale dell'attribuzione di tutti gli eventi al supremo Signore, sia quelli derivanti dalla causa prima, che quelli dalle cause seconde, sia quelli direttamente voluti da Dio che quelli semplicemente permessi: lo si dovrà discernere dal contesto, come nei casi di Es 10,27s.; 1Re 22,21-23. L'affermazione serve a rilevare che anche in certe dolorose permissioni c'è l'influsso della giustizia divina, finalizzato al ravvedimento o alla purificazione dei figli d'Israele: perché si riconosca da tutti la trascendente santità del loro Dio, e il popolo eletto, anche con quelle esemplari punizioni, ritorni sulla via della alleanza sinaitica (v. 11). È la meta costante di tutto l'agire divino.

Responsabilità personale 14,12-20 In quest'altro oracolo viene aggiunta una risposta più specifica, sempre in stile casuistico-sacerdotale. In Gn 18 Dio mostra ad Abramo l'ineluttabilità del castigo delle due città corrotte di fronte ai pochi giusti (meno di 10: Gn 18,32), incapaci di controbilanciare la malvagità dei Sodomiti. In Ger 15,1 il Signore dichiara l'inesorabilità del decreto di distruzione per il regno giudaico, dinanzi alle implorazioni dello stesso Geremia (cfr. Ger 11,14). In Ez 14,12-20 Dio proclama l'inevitabilità di un disastro generale, quando egli ha già deciso di inviare uno dei suoi tipici flagelli collettivi, quali sono la carestia, la spada (invasione di eserciti), la peste. Gli eventuali giusti, fossero pure della levatura di Noè (Gn 6-9), di Giobbe (l'eroe di Gb), di Daniele (famoso uomo giusto orientale, probabilmente quello dell'omonimo libro sacro), che vi si trovassero in mezzo, non sarebbero in grado di salvare se non se stessi. La quadruplice ripetizione parallela è nello stile casuistico di Ezechiele (cfr. cc. 18.43) e serve a ribadire l'inderogabilità del principio: un castigo generale ormai decretato a causa di inveterati crimini non può essere più stornato (come in Am 8,1-2; Ger 11,9-14). Ciò non toglie che vi possano essere dei superstiti in quelle tragedie. L'espressione generalizzante «salverebbero solo se stessi» (v. 14) vuole sottolineare soltanto l'immutabilità della decisione divina per tutta la nazione. Gli anziani (v. 1) lo dovettero capire: il responso che venivano a sollecitare per sé e la loro patria era completamente negativo e inappellabile per le motivazioni che erano state loro rivelate.

Conferma dai superstiti 14,21-23 A convincerli del tutto viene data un'ulteriore precisazione. Dall'immane strage che sta per abbattersi su Gerusalemme sfuggiranno, di fatto, alcuni Israeliti, i quali verranno condotti con i loro figli tra gli esuli di Babilonia (6,8s.). La loro perversa condotta renderà ragione di quel radicale castigo. Gli stessi uditori del profeta, vedendoli, constateranno con compiacenza, «si consoleranno» (v. 23), quanto sia stato giusto e salutare il comportamento di JHWH a loro riguardo. Dio sta adoperando ogni mezzo per far rinsavire i figli del suo popolo in esilio: rimproveri é ammonimenti contro la doppiezza del loro cuore (vv. 1-11), conferma della decretata distruzione del loro regno teocratico (vv. 12-20), dimostrazione della giustizia dei suoi interventi nella storia (vv. 21-23). A lui importa sommamente che le sue creature riconoscano sinceramente le colpe commesse e si riorientino verso il loro bene supremo.

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Contro i falsi profeti

Contro gli pseudoveggenti 1Mi fu rivolta questa parola del Signore: 2«Figlio dell’uomo, profetizza contro i profeti d’Israele, profetizza e di’ a coloro che profetizzano secondo i propri desideri: Udite la parola del Signore: 3Così dice il Signore Dio: Guai ai profeti stolti, che seguono il loro spirito senza avere avuto visioni. 4Come volpi fra le macerie, tali sono i tuoi profeti, Israele. 5Voi non siete saliti sulle brecce e non avete costruito alcun baluardo in difesa della casa d’Israele, perché potessero resistere al combattimento nel giorno del Signore. 6Hanno avuto visioni false, vaticini menzogneri coloro che dicono: “Oracolo del Signore”, mentre il Signore non li ha inviati. Eppure confidano che si avveri la loro parola! 7Non avete forse avuto una falsa visione e preannunciato vaticini bugiardi, quando dite: “Oracolo del Signore”, mentre io non vi ho parlato? 8Pertanto dice il Signore Dio: Poiché voi avete detto il falso e avuto visioni bugiarde, eccomi dunque contro di voi, oracolo del Signore Dio. 9La mia mano sarà sopra i profeti dalle false visioni e dai vaticini bugiardi; non faranno parte dell’assemblea del mio popolo, non saranno scritti nel libro della casa d’Israele e non entreranno nella terra d’Israele, e saprete che io sono il Signore Dio. 10Ingannano infatti il mio popolo dicendo: “Pace!”, e la pace non c’è; mentre il popolo costruisce un muro, ecco, essi lo intonacano di fango. 11Di’ a quelli che lo intonacano di fango: Cadrà! Scenderà una pioggia torrenziale, cadrà una grandine come pietre, si scatenerà un uragano 12ed ecco, il muro viene abbattuto. Allora non vi si chiederà forse: “Dov’è l’intonaco che avete adoperato?”. 13Perciò dice il Signore Dio: Con ira scatenerò un uragano, per la mia collera cadrà una pioggia torrenziale, nel mio furore per la distruzione cadrà grandine come pietre; 14demolirò il muro che avete intonacato di fango, lo atterrerò e le sue fondamenta rimarranno scoperte; esso crollerà e voi perirete insieme con esso, e saprete che io sono il Signore. 15Quando avrò sfogato l’ira contro il muro e contro coloro che lo intonacarono di fango, io vi dirò: Il muro non c’è più e neppure chi l’ha intonacato, 16i profeti d’Israele che profetavano su Gerusalemme e vedevano per essa una visione di pace, mentre non vi era pace. Oracolo del Signore Dio.

Contro le indovine 17Ora tu, figlio dell’uomo, rivolgiti alle figlie del tuo popolo che profetizzano secondo i loro desideri e profetizza contro di loro. 18Dirai loro: Dice il Signore Dio: Guai a quelle che cuciono nastri a ogni polso e preparano veli di ogni grandezza per le teste, per dar la caccia alle persone. Pretendete forse di dare la caccia alla gente del mio popolo e salvare voi stesse? 19Voi mi avete disonorato presso il mio popolo per qualche manciata d’orzo e per un tozzo di pane, facendo morire chi non doveva morire e facendo vivere chi non doveva vivere, ingannando il mio popolo che crede alle menzogne. 20Perciò dice il Signore Dio: Eccomi contro i vostri nastri, con i quali voi date la caccia alla gente come a uccelli; li strapperò dalle vostre braccia e libererò la gente che voi avete catturato come uccelli. 21Straccerò i vostri veli e libererò il mio popolo dalle vostre mani e non sarà più una preda nelle vostre mani; saprete così che io sono il Signore. 22Voi infatti avete rattristato con menzogne il cuore del giusto, mentre io non l’avevo rattristato, e avete rafforzato il malvagio perché non desistesse dalla sua vita malvagia e vivesse. 23Per questo non avrete più visioni false né più spaccerete vaticini: libererò il mio popolo dalle vostre mani e saprete che io sono il Signore».

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Approfondimenti

Contro i falsi profeti 13,1-23 Tra i deportati del 597 vennero a trovarsi gruppi di pseudoprofeti. Ne abbiamo un attestato nel libro di Geremia (Ger 29,21-32). Costoro si illudevano di recepire oracoli divini e di essere quindi abilitati a rispondere in nome di JHWH alle consultazioni della gente. Non facevano però che adattarsi alle attese dei clienti, offrendo previsioni e consigli in proporzione degli eventuali donativi. Profeti del proprio cervello e del proprio tornaconto, distoglievano gli esuli dalla retta valutazione delle loro colpe e dei pericoli che incombevano su tutta la nazione; e di conseguenza li allontanavano sempre più dall'auspicato ravvedimento. Il nostro profeta è spinto dal Signore a intervenire energicamente. Il capitolo consta di due oracoli paralleli: vv. 1-16, diretto agli pseudoveggenti; vv. 17-23 contro le indovine.

Contro gli pseudoveggenti 13,1-16 Il 1° oracolo inizia con un “vaticinio di guai”, una forte minaccia, contro coloro che trasmettono messaggi dall'alto, che non hanno mai udito (v. 3). Avrebbero dovuto adoperarsi per riparare le brecce già aperte nel baluardo della loro nazione, cioè la crisi morale e fisica dei Giudei per la caduta di Gerusalemme nel 597, e preservare il popolo da ulteriori trasgressioni e sventure («nel giorno di JHWH», v. 5b). Invece con le loro false assicurazioni non fanno che accrescere il disorientamento e preparare maggiori rovine. Molto coerenti con l'immagine della breccia sono quelle del nuovo muro costruito dai clienti (v. 10a) e dell'intonaco spalmato dagli pseudoprofeti (v. 10b). La gente costernata dai disastri nazionali e dalle angustie personali si crea altre visuali e rosee prospettive, fidandosi magari delle antiche promesse, e vengono a consultare quei veggenti. Ma si tratta di un muro fragile, tatto con sole pietre, senza impasto: quei falsari vi spalmano della calce, l'intonaco, la dichiarazione cioé che tutto «va bene, in pace» (v. 10) e non c'è nulla da correggere o da aggiungere, e si può tranquillamente continuare a coltivare le proprie debolezze ed empietà! Alla denunzia del pernicioso inganno (l'accusa) Ezechiele fa seguire il verdetto del giudizio divino, scandito dal laken, «Pertanto» (vv. 8.10) e dall'hinni, «eccomi», la pronta risposta del partner sfidato alla lotta: gli pseudoprofeti saranno depennati dal libro del popolo di JHWH, non riammessi nel paese d'Israele (v. 9); poiché la mano divina peserà su di loro “con grandine e pioggia torrenziale” (v. 11) (cioè con grandi sciagure), sì da far sparire quei muri cadenti e gli spalmatori dell'intonaco. In quel radicale castigo si riconoscerà la potenza di JHWH (v. 14).

Contro le indovine 13,17-23 Il 2° oracolo è contro le donne ebree che danno anch'esse pronostici. Nel TM non vengono chiamate «profetesse»; ma la loro attività viene descritta con un'immagine analoga. Si comportano esattamente come gli pseudoprofeti: come questi intonacano i muri degli Israeliti, così quelle donne adattano nastri e veli magici (cioè oracoli più o meno favorevoli) ai polsi e alle teste di ogni richiedente, per guadagnarsene la stima e gli equi compensi, «dar la caccia alle persone», riceverne «qualche manciata d'orzo» (vv. 18s.); vale a dire, proferivano responsi divini a seconda della disposizione dei singoli, eventi felici a chi poteva offrire di più, rovina a chi era meno generoso. In tal modo oltraggiavano l'onore del Dio d'Israele, affliggendo in suo nome chi non lo meritava, e promettendo vita e prosperità a chi meritava la morte, con la conseguenza di distoglierlo da un salutare ravvedimento. Era l'accusa. La sentenza punitiva non sarà meno dura: «Pretendete forse di dare la caccia alla gente del mio popolo e salvare voi stesse?» (v. 18). Non vi sarà risparmio per esse: come nel giudizio precedente crollava il muro e chi lo intonacava (v. 14), così saranno spezzati legami e veli dalle mani di quelle falsarie, ed esse non saranno più in grado di catturare i figli d'Israele, poiché periranno (v. 23). Il giudizio divino termina pure qui con una formula di riconoscimento di JHWH. In quel castigo adeguato i colpevoli capiranno il male commesso e la gelosia del Dio onnipotente per la sua nazione: essi hanno disonorato il supremo Signore e danneggiato il popolo a lui caro (chiamato 7 volte «popolo mio»). Chi si arroga il potere di guidarlo in nome dell'Altissimo senza suo autentico mandato, vedrà il proprio fallimento (v. 23). La disapprovazione di JHWH è rivolta contro qualsiasi falsificazione dei suoi piani di salvezza: non solo contro gli operatori di iniquità e di culti pagani (c. 8), ma anche contro chi induce i fedeli a interpretare erroneamente la sua azione divina nella storia, a far ritenere castigo ciò che castigo non è, e rettitudine ciò che è malvagità, e prospettiva di pace ciò che è solo un sogno magico. Nell'insegnamento biblico-profetico è messo sotto processo ogni tentativo di appropriazione della scienza trascendente e ogni illecito ricorso a poteri preternaturali: oggi diremmo, ogni tipo di arte magica e qualsiasi pretesa di superamento delle forze naturali con mezzi impropri. L'uomo deve lasciarsi guidare dalla autentica illuminazione del suo creatore (vera profezia e rivelazione), impegnarsi con tutte le sue energie nella soluzione dei problemi quotidiani senza attese illusorie, e fidarsi dell'indefettibile provvidenza del Padre celeste: «Sarà come albero piantato lungo corsi d'acqua... le sue foglie non cadranno mai» (Sal 1,3) o «come il monte Sion... stabile per sempre» (Sal 125, 1). La rivelazione gratuita del Dio invisibile è la luce sovrana che può sublimare l'uomo dalla sua dimensione creaturale.

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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ALTRI VATICINI SU GIUDA

Azione simbolica dell'emigrante

Il simbolo 1Mi fu rivolta questa parola del Signore: 2«Figlio dell’uomo, tu abiti in mezzo a una genìa di ribelli, che hanno occhi per vedere e non vedono, hanno orecchi per udire e non odono, perché sono una genìa di ribelli. 3Tu, figlio dell’uomo, fatti un bagaglio da esule e di giorno, davanti ai loro occhi, prepàrati a emigrare; davanti ai loro occhi emigrerai dal luogo dove stai verso un altro luogo. Forse comprenderanno che sono una genìa di ribelli. 4Davanti ai loro occhi prepara di giorno il tuo bagaglio, come fosse il bagaglio di un esule. Davanti a loro uscirai però al tramonto, come partono gli esiliati. 5Fa’ alla loro presenza un’apertura nel muro ed esci di lì. 6Alla loro presenza mettiti il bagaglio sulle spalle ed esci nell’oscurità. Ti coprirai la faccia, in modo da non vedere il paese, perché io ho fatto di te un simbolo per gli Israeliti». 7Io feci come mi era stato comandato: preparai di giorno il mio bagaglio come quello di un esule e, sul tramonto, feci un foro nel muro con le mani. Uscii nell’oscurità e sotto i loro occhi mi misi il bagaglio sulle spalle.

Spiegazione 8Al mattino mi fu rivolta questa parola del Signore: 9«Figlio dell’uomo, non ti ha chiesto la casa d’Israele, quella genìa di ribelli, che cosa stai facendo? 10Rispondi loro: Così dice il Signore Dio: Questo messaggio è per il principe di Gerusalemme e per tutta la casa d’Israele che vi abita. 11Tu dirai: Io sono un simbolo per voi. Quello che ho fatto io, sarà fatto a loro; saranno deportati e andranno in schiavitù. 12Il principe che è in mezzo a loro si caricherà il bagaglio sulle spalle, nell’oscurità, e uscirà per la breccia che verrà fatta nel muro per farlo partire; si coprirà il viso, per non vedere con gli occhi il paese. 13Stenderò su di lui la mia rete e rimarrà preso nel mio laccio: lo condurrò nella terra dei Caldei, a Babilonia, ma non la vedrà e là morirà. 14Disperderò ai quattro venti quanti sono intorno a lui, le sue guardie e tutte le sue truppe; snuderò contro di loro la spada. 15Quando li avrò dispersi fra le nazioni e li avrò disseminati in paesi stranieri, allora sapranno che io sono il Signore. 16Tuttavia ne risparmierò alcuni, scampati alla spada, alla fame e alla peste, perché raccontino tutti i loro abomini alle nazioni fra le quali andranno; allora sapranno che io sono il Signore».

Altre azioni simboliche 17Mi fu rivolta questa parola del Signore: 18«Figlio dell’uomo, mangia il pane con paura e bevi l’acqua con trepidazione e con angoscia. 19Dirai alla popolazione del paese: Così dice il Signore Dio agli abitanti di Gerusalemme, alla terra d’Israele: Mangeranno il loro pane nell’angoscia e berranno la loro acqua nella desolazione, perché la loro terra sarà spogliata della sua abbondanza, a causa dell’empietà di tutti i suoi abitanti. 20Le città popolose saranno distrutte e la campagna ridotta a un deserto; saprete allora che io sono il Signore».

Certezza di realizzazione 21Mi fu rivolta questa parola del Signore: 22«Figlio dell’uomo, che cos’è questo proverbio che si va ripetendo nella terra d’Israele: “Passano i giorni e ogni visione svanisce”? 23Ebbene, riferisci loro: Così dice il Signore Dio: Farò cessare questo proverbio e non lo si sentirà più ripetere in Israele. Anzi riferisci loro: Si avvicinano i giorni in cui si avvererà ogni visione. 24Infatti non ci sarà più visione falsa né vaticinio fallace in mezzo alla casa d’Israele, 25perché io, il Signore, parlerò e attuerò la parola che ho detto; non sarà ritardata. Anzi, ai vostri giorni, o genìa di ribelli, pronuncerò una parola e l’attuerò». Oracolo del Signore Dio.

Compimento delle predizioni 26Mi fu rivolta questa parola del Signore: 27«Figlio dell’uomo, ecco, la casa d’Israele va dicendo: “La visione che costui vede è per i giorni futuri; costui predice per i tempi lontani”. 28Ebbene, riferisci loro: Dice il Signore Dio: Non sarà ritardata più a lungo ogni mia parola: la parola che dirò, l’eseguirò». Oracolo del Signore Dio.

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Approfondimenti

ALTRI VATICINI SU GIUDA 12,1-24,27 Dopo le prime grandi profezie (accusa e sentenza di condanna per i Giudei di Palestina e di Gerusalemme, con accenni di salvezza per il resto sacro, individuato globalmente negli esuli), i vaticini di Ezechiele si concentrano su alcune aree dei trasgressori e su alcuni aspetti importanti della storia israelitica: la fuga e l'emigrazione dalla città conquistata dai Babilonesi (c. 12), la responsabilità dei falsi profeti per la sorte dei loro connazionali (c. 13), la profonda corruzione della nazione ebraica fin dalle sue origini e l'umiliazione che le è riservata (cc. 15.16.22.23), le particolari colpe degli attuali suoi dirigenti (cc. 17.19.22), le errate contestazioni degli uditori di fronte agli inviti di conversione (cc. 12, 21-28; cc. 14.18.20), ultime azioni simboliche sull'imminente caduta di Gerusalemme (cc. 21.24).

Azione simbolica dell'emigrante 12,1-28 Dal c. 12 al c. 20 abbiamo una serie di oracoli pronunziati verosimilmente tra il 592 (8,1) e i 591 (20, 1). Il nostro capitolo è divisibile in 5 brani, contrassegnati dalla formula dell'evento della parola: «Mi fu rivolta questa parola».

Il simbolo 12,1-7 In un primo tempo il profeta è invitato a mimare la partenza di un emigrante attraverso una fessura praticata nel muro della sua casa. Compirà i singoli gesti sotto lo sguardo degli astanti, ancora restii a recepire i suoi messaggi di sventura: preparazione del bagaglio, apertura nel muro costruito in quei tempi con semplici mattoni di fango, uscita attraverso quel varco, col carico sulle spalle e un leggero velo sul volto (probabile accenno all'accecamento del re Sedecia). Cinque volte viene ripetuta la frase «davanti ai loro occhi». Vi si sente, come al momento della chiamata di Ezechiele, lo zelo di JHWH per la conversione degli esuli, chiamati anche qui (più nel v. 9) quattro volte «genia di ribelli». Quei gesti, viene affermato (v. 3), forse riusciranno a far aprire la loro mente; sono simboli eloquenti!

Spiegazione 12,8-16 Il veggente, rientrato probabilmente nella tarda nottata in casa, riceve da Dio stesso l'interpretazione dell'azione simbolica, da trasmettere ai suoi compagni. Essa riguarda il principe di Giuda e gli abitanti di Gerusalemme e si verificherà puntualmente così come sarà registrata in 2Re 25,4-7 e in Ger 39,4-7: espugnata la città, il re Sedecia assieme a molti soldati tenta la fuga attraverso un'apertura segreta delle mura, coprendosi il volto probabilmente per non farsi riconoscere; ma catturato dagli assedianti viene portato davanti al re Nabucodonosor e, dopo aver visto sgozzati i suoi figli, viene accecato e mandato prigioniero in Babilonia, con un gran numero dei suoi sudditi. Ma ancora una volta emerge la finalità salvifica di quella sventura, non solo per i Giudei, ma ora anche per i popoli che ne verranno a conoscenza. Saranno infatti risparmiati dei superstiti, «perché raccontino tutte le loro scelleratezze alle genti fra le quali andranno» (v. 16b) e gli stessi popoli pagani riconoscano, in quelle giuste punizioni, la santità e trascendenza del Dio d'Israele JHWH: «e anch'esse sappiano che io sono JHWH» (v. 16b): un concetto che verrà ripreso più volte nei messaggi seguenti (14,22s.; 28,24; 29,16; 39,21-24). Gli eventi dolorosi del popolo eletto sono orientati non soltanto all'illuminazione e conversione del “resto sacro”, ma anche all'elevazione religiosa dei gentili, e i messaggeri di JHWH non pronunziano unicamente sentenza di morte, ma hanno già nel cuore presentimenti di salvezza per tutti.

Altre azioni simboliche 12,17-20 Al profeta viene ingiunto, per un certo tempo, di prendere i suoi pasti con l'atteggiamento di chi è oppresso e angustiato e di ribadire, per tutta la sua comunità («la gente della regione»: cfr. 7,27; 45,16), il perché di quel suo comportamento: è un ripetuto annunzio di quel che avverrà fra non molto agli abitanti della città santa, per la completa devastazione di tutte le campagne, causata dalle loro gravi colpe... Ma anche ciò costituirà un mezzo per il riconoscimento di JHWH (v. 20).

Certezza di realizzazione 12,21-25 Altre due comunicazioni divine intervengono a dissipare ogni illusione. Sui vaticini del profeta, alcuni obiettano che non si nota alcuna corrispondenza nella realtà: per loro sarebbero parole vuote, minacce inconsistenti; secondo altri, visioni di epoche molto lontane: «Passano i giorni e ogni visione svanisce» (v. 22). La risposta di JHWH è inequivocabile: tutto si compirà immancabilmente e quanto prima, al momento segnato. Gli uomini possono crearsi degli schermi contro le dichiarazioni del supremo Signore, ma la sua parola li raggiungerà lo stesso, infallibilmente: «parlerò e attuerò senza indugio» (v. 24).

Compimento delle predizioni 12,26-28 Agli ostinati non gioverà, per immunizzarli contro gli interventi punitivi, l'aver affermato la propria incredulità. Dio non computa il tempo a misura d'uomo (2Pt 3,8). Le sue date non temono mai smentite. Egli parla al cuore di tutti, li mette in guardia dal trascurare i suoi avvertimenti, a volte anche con simboli molto significativi (vv. 18s.). Non si può far sempre orecchio da mercante. Il non decidersi in tempo all'ascolto potrebbe essere assai rischioso (v. 28).

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Giudizio contro i responsabili della città 1Uno spirito mi sollevò e mi trasportò alla porta orientale del tempio del Signore, che guarda a oriente. Ed ecco, davanti alla porta vi erano venticinque uomini; in mezzo a loro vidi Iaazania, figlio di Azzur, e Pelatia, figlio di Benaià, capi del popolo. 2Il Signore mi disse: «Figlio dell’uomo, questi sono gli uomini che tramano il male e danno consigli cattivi in questa città. 3Sono coloro che dicono: “Non in breve tempo si costruiscono le case. Questa città è la pentola e noi siamo la carne”. 4Per questo profetizza contro di loro, profetizza, figlio dell’uomo». 5Lo spirito del Signore venne su di me e mi disse: «Parla: Così dice il Signore: Avete parlato a questo modo, o casa d’Israele, e io conosco ciò che vi passa per la mente. 6Voi avete moltiplicato i morti in questa città, avete riempito di cadaveri le sue strade. 7Per questo così dice il Signore Dio: I cadaveri che avete gettato in mezzo ad essa sono la carne, e la città è la pentola. Ma io vi caccerò fuori. 8Avete paura della spada e io manderò la spada contro di voi, oracolo del Signore Dio! 9Vi caccerò fuori dalla città e vi metterò in mano agli stranieri e farò giustizia su di voi. 10Cadrete di spada: alla frontiera d’Israele io vi giudicherò e saprete che io sono il Signore. 11La città non sarà per voi la pentola e voi non ne sarete la carne! Alla frontiera d’Israele vi giudicherò: 12allora saprete che io sono il Signore, di cui non avete seguito le leggi né osservato le norme, mentre avete agito secondo le norme delle nazioni vicine». 13Non avevo finito di profetizzare quando Pelatia, figlio di Benaià, cadde morto. Io mi gettai con la faccia a terra e gridai ad alta voce: «Ohimé! Signore Dio, vuoi proprio distruggere quanto resta d’Israele?».

Promessa di salvezza per gli esuli 14Allora mi fu rivolta questa parola del Signore: 15«Figlio dell’uomo, gli abitanti di Gerusalemme vanno dicendo ai tuoi fratelli, ai deportati con te, a tutta la casa d’Israele: “Voi andate pure lontano dal Signore: a noi è stata data in possesso questa terra”. 16Di’ loro dunque: Dice il Signore Dio: Se li ho mandati lontano fra le nazioni, se li ho dispersi in terre straniere, nelle terre dove sono andati sarò per loro per poco tempo un santuario. 17Riferisci: Così dice il Signore Dio: Vi raccoglierò in mezzo alle genti e vi radunerò dalle terre in cui siete stati dispersi e vi darò la terra d’Israele. 18Essi vi entreranno e vi elimineranno tutti i suoi idoli e tutti i suoi abomini. 19Darò loro un cuore nuovo, uno spirito nuovo metterò dentro di loro. Toglierò dal loro petto il cuore di pietra, darò loro un cuore di carne, 20perché seguano le mie leggi, osservino le mie norme e le mettano in pratica: saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio. 21Ma su coloro che seguono con il cuore i loro idoli e i loro abomini farò ricadere la loro condotta». Oracolo del Signore Dio.

Epilogo della visione 22I cherubini allora alzarono le ali e le ruote si mossero insieme con loro, mentre la gloria del Dio d’Israele era in alto su di loro. 23Quindi dal centro della città la gloria del Signore si alzò e andò a fermarsi sul monte che è a oriente della città. 24E uno spirito mi sollevò e mi portò in Caldea fra i deportati, in visione, per opera dello spirito di Dio. E la visione che avevo visto disparve davanti a me. 25E io raccontai ai deportati quanto il Signore mi aveva mostrato.

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Approfondimenti

Giudizio contro i responsabili della città 11,1-13 Un'ultima scena, nel c. 11, descrive la sorte riservata ai capi del governo, promotori dei gravi delitti del paese. Lo spirito trasferisce Ezechiele presso la porta orientale, dove si è posata la gloria. Lì si trovano radunati 25 rappresentanti del popolo, probabilmente i principali dirigenti della fazione antibabilonese, che istigavano alla ribellione contro Nabucodonosor e perseguitavano a morte i loro oppositori (cfr. Ger 26,20-24; 37; 38). Essi si illudono di poter resistere a nuovi attacchi degli eserciti stranieri, come era stato fino ad allora, al tempo di Ezechia (2Re 19) e nella invasione del 597 (2Re 24,10-17). I palazzi di Gerusalemme, essi affermano, sono lì intatti da secoli (non sono stati cioè rifabbricati in quei pochi anni, v. 3). La città sacra può essere paragonata a una pentola, nella quale essi («la carne») potranno stare al sicuro per tutta la vita. Ma il profeta ha l'ordine di proferire su di loro il giudizio divino (v. 7): la città è realmente una pentola per tutti quelli che sono stati trucidati dalla loro malvagità, mentre essi saranno cacciati fuori e eliminati (vv. 9-11). A quella parola cade morto improvvisamente uno di quei personaggi, Pelatia (il cui nome significa «JHWH libera»): è la conferma simbolica che non vi sarebbe stato alcun risparmio per tutta quella gente. Sicché il veggente ancora una volta con più ardore implora pietà per il “resto” d'Israele. Il portavoce di JHWH si dimostra molto sollecito per la sorte del suo popolo e proteso verso un traguardo di salvezza: la stessa meta a cui tende Dio in tutti i suoi interventi. Lo si constata chiaramente nel discorso finale qui inserito nei vv. 14-21, probabilmente da altro contesto, dal medesimo Ezechiele.

Promessa di salvezza per gli esuli 11,14-21 In risposta alla pretesa dei responsabili della Giudea (11,3) di dover restare per sempre nella città santa e alla ripetuta implorazione del profeta per la salvezza del “resto” (11,13), il Signore dichiara che gli abitanti di Gerusalemme si ingannano ritenendosi ormai gli unici proprietari della terra santa. Essi affermano che gli esuli di Babilonia, figli dello stesso popolo («fratelli tuoi») a cui Ezechiele è stato inviato e dei quali è stato fatto responsabile («uomini del tuo riscatto», traduzione preferibile a «deportati con te»), non hanno più alcun diritto al suolo dei padri. Essi sarebbero come dei morti (37, 11) e il possesso, secondo la legge, sarebbe passato esclusivamente agli eredi rimasti presso la dimora del sovrano divino (Lv 25,23-34; Ger 32,6-8). Ma si sbagliano. Benché allontanati dalla patria per le colpe della collettività, JHWH non ha abbandonato i compagni d'esilio del profeta: sarà loro santuario e difesa con la sua presenza per un certo tempo («per poco tempo»: v. 16), cioè in comunione di vita paracultuale con lui, fino a che non saranno raccolti da tutte le regioni e riportati nella sua terra: è la promessa che sarà più volte rinnovata in seguito (cfr. cc. 20; 34-37). Dio farà in modo che essi eliminino le radici delle loro iniquità e abbiano «un altro cuore» (secondo i LXX, invece «un solo», del TM) «e uno spirito nuovo» (v. 19), cioè un cuore di carne al posto di quello di pietra, e un animo docile, per cui si sentano spinti dall'interno a osservare tutte le leggi della torah e tornino a essere il suo popolo (36,26s.). La rovina cadrà invece su coloro che, pur rimasti in patria, persisteranno nella malvagità (v. 21). In altri termini, la salvezza e assicurata a quel Giudei che erano ritenuti diseredati; e sarà opera della benignità divina per via di una trasformazione sovrumana interiore, che li renderà aperti e disponibili alla voce del Signore; non potrà più dirsi di loro: «non vogliono ascoltar i miei profeti, perché non vogliono ascoltar me» (3,7)! Proprio come prospettava dalla Giudea il veggente di Anatot (cfr. Ger 24,5-8). Sempre lo stesso modo di agire di Dio nella storia dell'uomo: «umilia l'albero alto e innalza l'albero basso» (Ez 17,24); «ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,53).

Epilogo della visione 11,22-25 Con la suddetta dichiarazione di JHWH si conclude il grande giudizio in visione sulla città santa. Vi è specificato e sviluppato il messaggio di guai, già espresso nelle scene simboliche dei cc. 4-7, ed è stato pronunziato il verdetto definitivo sulla nazione ebraica. La gloria divina, sollevandosi sui cherubini, lascia Gerusalemme, indegna della sua presenza, e va a posarsi a oriente sul Monte degli Ulivi, in attesa di un'era migliore (v. 23: 43,2-4). Intanto il veggente, ridestatosi dall'estasi, si ritrova di fronte ai suoi visitatori, e riferisce loro tutto ciò che gli era stato mostrato (vv. 24s.).

Com'è chiaro, la visione vissuta da Ezechiele è in gran parte simbolica: non corrisponde precisamente alla realtà storica che poi si verificherà (cfr. ad es. 2Re 25,8-17). Ma nei tratti essenziali è densa di significati teologici.

Ci mostra anzitutto come Dio parla ai suoi profeti: creando nella loro immaginazione delle scene concrete, facendoli assistere alle azioni e ai dialoghi di determinati personaggi, coinvolgendoli nel dramma. Dà così ai suoi messaggeri la forza persuasiva dell'esperienza viva. Quale impressione ne avrà riportato il neo eletto di Tel-Aviv e quale incisività avrà esercitato negli astanti? Certo molto maggiore di quando alzava il braccio sul modello della città santa (c. 4) o profetizzava rivolto contro i monti di Giuda (c. 6). Il Signore prepara così i suoi fervidi araldi nel corso dei secoli.

Ci fa vedere poi come opera il giudizio di Dio: interviene o lascia che intervenga la sventura quando si è raggiunto un culmine di malizia. Ma anche allora ha cura e riguardo per coloro che si sono dissociati dalla perversione collettiva; mette in azione un fuoco purificatore per l'intera nazione, ma si riserva un resto, lontano dal paese contaminato; la gloria divina abbandona il tempio profanato, ma sosta presso i monti di Sion in attesa di rientrarvi nel giorno della restaurazione interiore (43,1-4).

Gli uditori dovevano capire tutto ciò, e finalmente adeguarsi all'agire giusto e misericordioso del Dio dei padri. E un Dio che ama il suo popolo, lo istruisce con l'efficacia della sua parola, lo purifica dalle iniquità, guarda con sollecitudine paterna, persegue indefettibilmente il suo disegno di salvezza (il recupero del resto santo d'Israele e di tutti i suoi eletti).

(cf. GAETANO SAVOCA, Ezechiele – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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