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DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sull’educazione cristiana GRAVISSIMUM EDUCATIONIS (28 ottobre 1965)

Vari mezzi al servizio dell'educazione cristiana 4 Nell'assolvere il suo compito educativo la Chiesa utilizza tutti i mezzi idonei, ma si preoccupa soprattutto di quelli che sono i mezzi suoi propri. Primo tra questi è l'istruzione catechetica (16), che dà luce e forza alla fede, nutre la vita secondo lo spirito di Cristo, porta a partecipare in maniera consapevole e attiva al mistero liturgico (17), ed è stimolo all'azione apostolica. La Chiesa valorizza anche e tende a penetrare del suo spirito e ad elevare gli altri mezzi che appartengono al patrimonio comune degli uomini e che sono particolarmente adatti al perfezionamento morale ed alla formazione umana, quali gli strumenti di comunicazione sociale (18), le molteplici società a carattere culturale e sportivo, le associazioni giovanili e in primo luogo le scuole.

La scuola 5 Tra tutti gli strumenti educativi un'importanza particolare riveste la scuola (19), che in forza della sua missione, mentre con cura costante matura le facoltà intellettuali, sviluppa la capacità di giudizio, mette a contatto del patrimonio culturale acquistato dalle passate generazioni, promuove il senso dei valori, prepara alla vita professionale, genera anche un rapporto di amicizia tra alunni di carattere e condizione sociale diversa, disponendo e favorendo la comprensione reciproca. Essa inoltre costituisce come un centro, alla cui attività ed al cui progresso devono insieme partecipare le famiglie, gli insegnanti, i vari tipi di associazioni a finalità culturali, civiche e religiose, la società civile e tutta la comunità umana.

È dunque meravigliosa e davvero importante la vocazione di quanti, collaborando con i genitori nello svolgimento del loro compito e facendo le veci della comunità umana, si assumono il compito di educare nelle scuole. Una tale vocazione esige speciali doti di mente e di cuore, una preparazione molto accurata, una capacità pronta e costante di rinnovamento e di adattamento.

Diritti e doveri dei genitori 6 I genitori, avendo il dovere ed il diritto primario e irrinunciabile di educare i figli, debbono godere di una reale libertà nella scelta della scuola. Perciò i pubblici poteri, a cui incombe la tutela e la difesa della libertà dei cittadini, nel rispetto della giustizia distributiva, debbono preoccuparsi che le sovvenzioni pubbliche siano erogate in maniera che i genitori possano scegliere le scuole per i propri figli in piena libertà, secondo la loro coscienza (20).

D'altra parte, tocca allo Stato provvedere perché tutti i cittadini possano accedere e partecipare in modo conveniente alla cultura e si preparino adeguatamente all'esercizio dei doveri e dei diritti civili. Sempre lo Stato dunque deve tutelare il diritto dei fanciulli ad una conveniente educazione scolastica, vigilare sulla capacità degli insegnanti e sulla serietà degli studi, provvedere alla salute degli alunni ed in genere promuovere tutto l'ordinamento scolastico tenendo presente il principio della sussidiarietà ed escludendo quindi ogni forma di monopolio scolastico. Tale monopolio infatti contraddice ai diritti naturali della persona umana, allo sviluppo e alla divulgazione della cultura, alla pacifica convivenza dei cittadini ed anche al pluralismo, che è oggi la regola in moltissime società (21).

Il sacro Sinodo esorta dunque i fedeli a collaborare generosamente sia nella ricerca dei metodi educativi idonei e dell'ordine degli studi, sia nella formazione dei maestri che sappiano bene educare i giovani e, soprattutto attraverso le associazioni tra genitori, ad aiutare positivamente e costantemente il compito della scuola e in particolare quell'educazione morale, che essa deve fornire (22).

_______________________ NOTE

(16) Cf. PIO XI, Motu proprio Orbem catholicum, 29 giugno 1923: AAS 15 (1923), pp. 327-329; Decr. Provido sane, 12 genn. 1935: AAS 27 (1935), pp. 145-152. CONC. VAT. II, Decr. sulla missione pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, nn. 13 e 14[pag. 361ss].

(17) Cf. CONC. VAT. II, Costit. sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 14: AAS 56 (1964), p. 104 [pag. 28ss].

(18) Cf. CONC. VAT. II, Decreto sugli strumenti di comunicazione sociale Inter mirifica, nn. 13 e 14: AAS 56 (1964), p. 149s [pag. 105ss].

(19) Cf. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, l.c. [nota 6], p. 76; PIO XII, Discorso all’Associazione dei Maestri Cattolici della Baviera, 31 dic. 1956: Discorsi e Radiomessaggi XVIII, p. 746.

(20) Cf. SIN. PROV. DI CINCINNATI III del 1861: Collectio Lacensis, III, col. 1240, cd; PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, l.c. [nota 6], pp. 60, 63s [in parte Dz 3693-95].

(21) Cf. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, l.c. [nota 6], p. 63; Encicl. Non abbiamo bisogno, 29 giugno 1931: AAS 23 (1931), p. 305. PIO XII, Lett. della Segreteria di Stato alla XXVIII Settimana Soc. Ital., 20 sett. 1955: L’Osservatore Romano, 29 sett. 1955. PAOLO VI, Discorso all’Associazione Cristiana Lavoratori Italiani (A.C.L.I.), 6 ott. 1963: Encicliche e Discorsi di Paolo VI, I, Roma 1964, p. 230.

(22) Cf. GIOVANNI XXIII, Messaggio per il trentesimo anniversario dell’emanazione dell’Enc. Divini Illius Magistri, 30 dic. 1959: AAS 52 (1960), p. 57.

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Approfondimenti

I genitori e le scuole

La scuola dev’essere considerata in questo contesto: come una istituzione destinata a collaborare con i genitori nel loro lavoro educativo. Prendere coscienza di questa realtà appare più urgente se consideriamo che attualmente sono numerosi i motivi che possono indurre i genitori – a volte senza esserne interamente consapevoli – a non comprendere l’ampiezza del meraviglioso lavoro di loro competenza, rinunciando in pratica al ruolo di educatori integrali.

L’emergenza educativa, tante volte evidenziata da Benedetto XVI, affonda le radici in questo disorientamento: «L’educazione tende ampiamente a ridursi alla trasmissione di determinate abilità, o capacità di fare, mentre si cerca di appagare il desiderio di felicità delle nuove generazioni colmandole di oggetti di consumo e di gratificazioni effimere» [Benedetto XVI, Discorso al Convegno della Diocesi di Roma , 11-VI-2007] ; in tal modo i giovani «si sentono alla fine lasciati soli davanti alle grandi domande che nascono inevitabilmente dentro di loro» [Benedetto XVI, Discorso alla Conferenza Episcopale italiana , 29-V-2008] , alla mercé di una società e una cultura che ha fatto del relativismo il proprio credo.

Alle prese con queste possibili difficoltà, e come conseguenza del loro diritto naturale, i genitori devono rendersi conto che la scuola è, in certo qual modo, un prolungamento della loro famiglia: uno strumento del loro compito personale di genitori e non soltanto un luogo dove viene fornita ai figli una serie di conoscenze.

Come primo requisito, lo Stato deve salvaguardare la libertà delle famiglie, in modo che possano scegliere a ragion veduta la scuola o i centri d’insegnamento da essi giudicati più convenienti per l’educazione dei propri figli. Non c’è dubbio che nel suo ruolo di tutela del bene comune lo Stato può vantare alcuni diritti e alcuni doveri nell’educazione, ma su questo punto ritorneremo in un prossimo articolo. In ogni caso, tale intervento non può scontrarsi con la legittima pretesa dei genitori di educare i propri figli in armonia con i beni che essi stessi sostengono e praticano, e che ritengono capaci di arricchire la loro discendenza.

Come insegna il Concilio Vaticano II, il potere pubblico – sia pure solo per una questione di giustizia distributiva – deve offrire i mezzi e le condizioni favorevoli perché i genitori possano «scegliere le scuole per i propri figli in piena libertà, secondo la loro coscienza» [Concilio Vaticano II, dich. Gravissimum educationis , n. 6] . Per questo è così importante che coloro che lavorano nell’ambito politico o in un altro campo collegato con l’opinione pubblica si adoperino perché tale diritto sia salvaguardato e, per quanto possibile, sostenuto.

L’interesse dei genitori per l’educazione dei figli si deve manifestare in mille dettagli. A prescindere dalla istituzione nella quale studiano i figli, è naturale che i genitori s’interessino dell’aria che vi si respira e dei contenuti che lì si trasmettono.

Viene tutelata così la libertà degli alunni , il diritto che non si deformi la loro personalità e non si annullino le loro attitudini, il diritto a ricevere una formazione sana, senza che si abusi della loro naturale docilità imponendo opinioni o criteri umani di parte. Così si permette e si stimola che i ragazzi sviluppino un sano spirito critico, e nello stesso tempo si dimostra che l’interesse dei genitori in questo campo va oltre i risultati scolastici.cati dai genitori, che non perdono mai di vista ciò che si aspettano da costoro e stanno attenti a che rispondano alle loro intenzioni e aspettative.

La comunicazione fra i genitori e i figli è altrettanto importante di quella che si stabilisce fra i genitori e gli insegnanti. Una chiara conseguenza di concepire la scuola come uno strumento in più della propria attività educativa è la collaborazione che i genitori offrono alle iniziative dell’istituto e al suo progetto educativo.

In questo senso è importante partecipare alle attività promosse dalle scuole: per fortuna sempre più spesso esse, indipendentemente dal fatto di essere di iniziativa pubblica o privata, organizzano con una certa cadenza le giornate delle porte aperte , incontri sportivi o riunioni informative di taglio più accademico. Soprattutto a quest’ultimo tipo di incontri è bene che vadano, se possibile, entrambi i coniugi, anche nel caso in cui questo richieda un certo sacrificio di tempo o di organizzazione: in questo modo si fa capire con i fatti al figlio che i due genitori considerano la scuola un elemento di rilievo nella vita familiare.

In tale contesto, lasciarsi coinvolgere nelle associazioni di genitori – collaborando alla organizzazione di eventi, facendo proposte positive, o anche partecipando negli organi di governo – apre tutta una serie di possibilità educative. Non c’è dubbio che svolgere correttamente una funzione di questo tipo richiede un notevole spirito di sacrificio: è necessario dedicare tempo per instaurare un rapporto con altre famiglie, conoscere gli insegnanti, partecipare alle riunioni...

Tuttavia queste difficoltà sono ampiamente compensate – soprattutto per un’anima innamorata di Dio e desiderosa di servire – dall’apertura di un campo apostolico, la cui ampiezza non è possibile misurare: anche se gli statuti della scuola, in genere, non permettono di intervenire direttamente in alcuni aspetti dei programmi educativi, si è nelle condizioni di coinvolgere e spingere gli insegnanti e i dirigenti affinché l’insegnamento trasmetta virtù, bene e bellezza.

Gli altri genitori saranno le prime persone ad apprezzare tale impegno, e per essi un genitore inserito nell’attività della scuola – o perché detiene tale incarico o perché di propria iniziativa mostra di adoperarsi a favore del clima che s’instaura nella classe – diventa un punto di riferimento: una persona da interpellare per la sua esperienza o a cui chiedere consiglio nell’educazione dei propri figli.

Si fa strada così un’amicizia personale, e con essa una possibilità apostolica che finisce per fare del bene a tutte le persone dell’ambito educativo nel quale crescono i figli.

da: Il diritto dei genitori di educare i propri figli (I)


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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sull’educazione cristiana GRAVISSIMUM EDUCATIONIS (28 ottobre 1965)

L'educazione cristiana 2 Tutti i cristiani, in quanto rigenerati nell'acqua e nello Spirito Santo, son divenuti una nuova creatura (8), quindi sono di nome e di fatto figli di Dio, e hanno diritto a un'educazione cristiana. Essa non mira solo ad assicurare quella maturità propria dell'umana persona, di cui si è ora parlato, ma tende soprattutto a far si che i battezzati, iniziati gradualmente alla conoscenza del mistero della salvezza, prendano sempre maggiore coscienza del dono della fede, che hanno ricevuto; imparino ad adorare Dio Padre in spirito e verità (cfr. Gv 4,23) specialmente attraverso l'azione liturgica; si preparino a vivere la propria vita secondo l'uomo nuovo, nella giustizia e santità della verità (cfr. Ef 4,22-24), e cosi raggiungano l'uomo perfetto, la statura della pienezza di Cristo (cfr. Ef 4,13), e diano il loro apporto all'aumento del suo corpo mistico. Essi inoltre, consapevoli della loro vocazione, debbono addestrarsi sia a testimoniare la speranza che è in loro (cfr. 1 Pt 3,15), sia a promuovere la elevazione in senso cristiano del mondo, per cui i valori naturali, inquadrati nella considerazione completa dell'uomo redento da Cristo, contribuiscano al bene di tutta la società (9). Pertanto questo santo Sinodo ricorda ai pastori di anime il dovere gravissimo di provvedere a che tutti i fedeli ricevano questa educazione cristiana, specialmente i giovani, che sono la speranza della Chiesa (10).

I genitori, primi educatori 3 I genitori, poiché han trasmesso la vita ai figli, hanno l'obbligo gravissimo di educare la prole: vanno pertanto considerati come i primi e i principali educatori di essa (11). Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può difficilmente essere supplita. Tocca infatti ai genitori creare in seno alla famiglia quell'atmosfera vivificata dall'amore e dalla pietà verso Dio e verso gli uomini, che favorisce l'educazione completa dei figli in senso personale e sociale. La famiglia è dunque la prima scuola di virtù sociali, di cui appunto han bisogno tutte le società. Soprattutto nella famiglia cristiana, arricchita della grazia e delle esigenze del matrimonio sacramento, i figli fin dalla più tenera età devono imparare a percepire il senso di Dio e a venerarlo, e ad amare il prossimo, conformemente alla fede che han ricevuto nel battesimo; lì anche fanno la prima esperienza di una sana società umana e della Chiesa; sempre attraverso la famiglia, infine, vengono pian piano introdotti nella comunità degli uomini e nel popolo di Dio. Perciò i genitori si rendano esattamente conto della grande importanza che la famiglia autenticamente cristiana ha per la vita e lo sviluppo dello stesso popolo di Dio (12).

Il compito educativo, come spetta primariamente alla famiglia, così richiede l'aiuto di tutta la società. Perciò, oltre i diritti dei genitori e di quelli a cui essi affidano una parte del loro compito educativo, ci sono determinati diritti e doveri che spettano alla società civile, poiché questa deve disporre quanto è necessario al bene comune temporale. Rientra appunto nelle sue funzioni favorire in diversi modi l'educazione della gioventù: cioè difendere i doveri e i diritti dei genitori e degli altri che svolgono attività educativa e dar loro il suo aiuto; in base al principio della sussidiarietà, laddove manchi l'iniziativa dei genitori e delle altre società, svolgere l'opera educativa, rispettando tuttavia i desideri dei genitori, fondare inoltre, nella misura in cui lo richieda il bene comune, scuole e istituzioni educative proprie (13).

Infine, ad un titolo tutto speciale, il dovere di educare spetta alla Chiesa: non solo perché essa va riconosciuta anche come società umana capace di impartire l'educazione, ma soprattutto perché essa ha il compito di annunciare a tutti gli uomini la via della salvezza e di comunicare ai credenti la vita di Cristo, aiutandoli con sollecitudine incessante a raggiungere la pienezza di questa vita (14). A questi suoi figli, dunque, la Chiesa come madre deve dare un'educazione tale, che tutta la loro vita sia penetrata dello spirito di Cristo; ma nel contempo essa offre la sua opera a tutti i popoli per promuovere la perfezione integrale della persona umana, come anche per il bene della società terrena e per la edificazione di un mondo più umano (15).

_______________________ NOTE

(8) Cf. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, l.c. [nota 6], p. 83.

(9) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 36: AAS 57 (1965), p. 41s [pag. 203ss].

(10) Cf. CONC. VAT. II, Decreto sulla missione pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, nn. 12-14[pag. 359ss].

(11) Cf. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, l.c. [nota 7], p. 59s; Encicl. Mit brennender Sorge, 14 marzo 1937: AAS 29 (1937), p. 164s. PIO XII, Discorso al primo Congresso nazionale dell’Associazione Italiana Maestri cattolici (A.I.M.C.), 8 sett. 1946: Discorsi e Radiomessaggi, VIII, p. 218.

(12) Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, nn. 11 e 35: AAS 57 (1965), pp. 16 e 40s. [pag. 139ss e 201ss].

(13) Cf. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, l.c. [nota 7] p. 63s. [Dz 3692-94]. PIO XII, Messaggio radiofonico trasmesso il 1° giugno 1941: AAS 33 (1941), p. 200; Discorso al primo Congresso nazionale dell’Associazione Italiana Maestri cattolici, 8 sett. 1946: Discorsi e Radiomessaggi, VIII, p. 218. Circa il principio di sussidiarietà cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 apr. 1963: AAS 55 (1963), p. 294 [Dz 3994-95].

(14) Cf. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, l.c. [nota 7] pp. 53s [Dz 3685-86], 56s [in parte Dz 3688]. Encicl. Non abbiamo bisogno, 29 giugno 1931, AAS 23 (1931), p. 311s. PIO XII, Lett. della Segreteria di Stato alla XXVIII Settimana Soc. Ital., 20 sett. 1955: L’Osservatore Romano, 29 sett. 1955.

(15) La Chiesa loda quelle autorità civili, locali, nazionali e internazionali che, coscienti delle più urgenti necessità del nostro tempo, applicano le loro forze perché tutti i popoli possano essere partecipi di una educazione completa e di una cultura umana. Cf. PAOLO VI, Discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite, 4 ott. 1965: AAS 57 (1965), pp. 877-885].

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Approfondimenti

Il diritto dei genitori di educare i propri figli

Nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo attualmente in vigore, l’articolo 26 mette in evidenza il diritto dei genitori di scegliere l’educazione che preferiscono per i propri figli [Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, 10-XII-1948, n. 26], ed è molto significativo il fatto che i firmatari abbiano incluso questo principio tra quelli fondamentali che uno Stato non può negare o manipolare.

Fa parte della natura umana che l’uomo sia un essere intrinsecamente sociale e dipendente, con una dipendenza ancora più evidente negli anni dell’infanzia; fa parte dell’essere umano che tutti debbano ricevere un’educazione, crescere in una società, acquisire una cultura e una serie di conoscenze.

In realtà un figlio non è soltanto una creatura che i genitori mettono al mondo: in ogni persona umana c’è una stretta relazione tra procreazione ed educazione, fino al punto che quest’ultima è considerata come un prolungamento e un complemento della generazione. Ogni figlio ha diritto all’educazione, indispensabile perché possa sviluppare le proprie capacità; a tale diritto dei figli corrisponde il diritto-dovere dei genitori di educarli.

Una manifestazione dell’amore di Dio

Questa realtà è compresa nella etimologia della parola “educazione”. Il termine educare significava all’origine l’azione e l’effetto di alimentare o nutrire la prole. Un’alimentazione che, evidentemente, non si deve limitare al piano materiale, ma comprende anche la sollecitudine per le facoltà spirituali dei figli: intellettuali e morali, fra cui le virtù e le norme di urbanità.

Figlio e genitore sono, rispettivamente, l’educando e l’educatore per natura, e ogni altro tipo di educazione lo è soltanto in un senso analogo: l’educazione riguarda la persona in quanto figlio o figlia, vale a dire, in quanto dipendente dai genitori.

Per questo il diritto all’educazione si fonda nella natura umana e affonda le sue radici in quelle realtà che sono simili a tutte le persone e, in fin dei conti, sono il fondamento della società stessa. Per questo i diritti a educare e a essere educati non dipendono dal fatto che siano elencati in una norma positiva, né sono una concessione della società o dello Stato: sono diritti primari, nel senso più profondo che si può dare al termine.

Così il diritto dei genitori di educare i figli è in funzione del diritto che i figli hanno di ricevere un’educazione adeguata alla loro dignità umana e alle loro necessità: è quest’ultimo che costituisce la base del primo. Gli attentati a questo diritto dei genitori costituiscono, in sostanza, un attentato al diritto del figlio, che per giustizia deve essere riconosciuto e sostenuto dalla società.

Tuttavia, che il diritto del figlio ad essere educato sia basilare, non significa che i genitori possano rinunciare a essere educatori, magari con il pretesto che altre persone o istituzioni potrebbero educarlo meglio. Il figlio è anzitutto figlio; per la sua crescita e maturazione è della massima importanza che sia accolto come tale in seno alla famiglia.

È la famiglia il luogo naturale nel quale i rapporti di amore, di servizio e di donazione reciproca che configurano la parte più intima della persona si scoprono, si apprezzano e si apprendono. Ecco perché, salvo i casi di impossibilità, ogni persona dovrebbe essere educata dai propri genitori in seno alla famiglia, sia pure con la collaborazione – nei loro diversi ruoli – di altre persone: fratelli, nonni, zii...

Alla luce della fede, la generazione e l’educazione acquistano una dimensione nuova: il figlio è chiamato all’unione con Dio e appare agli occhi dei genitori un dono, che è, contemporaneamente, una manifestazione dell’amore coniugale.

Quando nasce un nuovo figlio, i genitori ricevono una nuova chiamata divina: il Signore si aspetta che essi lo educhino nella libertà e nell’amore e lo portino un po’ alla volta verso di Lui; si aspetta che il figlio trovi, nell’amore e nella cura che riceve dai genitori, un riflesso dell’amore e della cura che Dio stesso gli dedica. È proprio per questo che, per un padre cristiano, il diritto e il dovere di educare un figlio è irrinunciabile per motivi che vanno al di là di un certo senso di responsabilità: è irrinunciabile anche perché fa parte della sua risposta alla chiamata divina ricevuta nel battesimo.

Ebbene, se l’educazione è un’attività paterna e materna originaria, qualunque altro agente educativo lo è per delega dei genitori e a loro subordinato. «I genitori sono i primi e principali educatori dei propri figli ed hanno anche in questo campo una fondamentale competenza: sono educatori perché genitori. Essi condividono la loro missione educativa con altre persone e istituzioni, come la Chiesa e lo Stato; ciò tuttavia deve sempre avvenire nella corretta applicazione del principio di sussidiarietà» [Giovanni Paolo II, Lettera alle famiglie , 2-II-1994, n. 16].

Logicamente, è legittimo che i genitori cerchino aiuti per educare i propri figli: l’acquisizione di competenze culturali e tecniche, i rapporti con persone al di fuori dell’ambito familiare, ecc., sono elementi necessari per una corretta crescita della persona, che i genitori da soli non potrebbero soddisfare adeguatamente. Ne consegue che «ogni altro partecipante al processo educativo non può che operare a nome dei genitori, con il loro consenso e, in una certa misura, persino su loro incarico» [Ibid.]: tali aiuti sono cercati dai genitori, che non perdono mai di vista ciò che si aspettano da costoro e stanno attenti a che rispondano alle loro intenzioni e aspettative.

da: Il diritto dei genitori di educare i propri figli (I)


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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Dichiarazione sull’educazione cristiana GRAVISSIMUM EDUCATIONIS (28 ottobre 1965)

PROEMIO L'estrema importanza dell'educazione nella vita dell'uomo e la sua incidenza sempre più grande nel progresso sociale contemporaneo sono oggetto di attenta considerazione da parte del sacro Concilio ecumenico (1). In effetti l'educazione dei giovani, come anche una certa formazione permanente degli adulti, sono rese insieme più facili e più urgenti dalle circostanze attuali. Gli uomini, avendo una più matura coscienza della loro dignità e della loro responsabilità, desiderano partecipare sempre più attivamente alla vita sociale, specie in campo economico e politico (2) d'altra parte gli sviluppi meravigliosi della tecnica e della ricerca scientifica, i nuovi mezzi di comunicazione sociale danno loro la possibilità, anche perché spesso hanno più tempo libero a disposizione, di accostarsi più facilmente al patrimonio culturale e spirituale dell'umanità e di arricchirsi intrecciando tra i gruppi e tra i popoli più strette relazioni.

Per questo dappertutto sorgono iniziative atte a promuovere sempre più l'attività educativa; si definiscono e si pubblicano con documenti solenni i diritti fondamentali in ordine alla educazione degli uomini, ed in particolare quelli dei fanciulli e dei genitori (3); crescendo rapidamente il numero degli alunni, si moltiplicano e si perfezionano le scuole, come pure si fondano altre istituzioni educative; attraverso nuove esperienze si perfezionano i metodi educativi e didattici, e si fanno sforzi davvero grandiosi per educare ed istruire tutti gli uomini, anche se è vero che moltissimi sono ancora i fanciulli e i giovani che mancano dell'istruzione di base e tanti altri non hanno quell'educazione completa che sviluppa insieme la verità e la carità.

Da parte sua la santa madre Chiesa, nell'adempimento del mandato ricevuto dal suo divin Fondatore, che è quello di annunziare il mistero della salvezza a tutti gli uomini e di edificare tutto in Cristo, ha il dovere di occuparsi dell'intera vita dell'uomo, anche di quella terrena, in quanto connessa con la vocazione soprannaturale (4); essa perciò ha un suo compito specifico in ordine al progresso ed allo sviluppo della educazione. Per questo il sacro Sinodo dichiara alcuni principi fondamentali intorno all'educazione cristiana, soprattutto nelle scuole. Toccherà poi ad una speciale commissione post-conciliare svilupparli ulteriormente, ed alle conferenze episcopali applicarli alle diverse situazioni locali.

Il diritto di ogni uomo all'educazione 1 Tutti gli uomini di qualunque razza, condizione ed età, in forza della loro dignità di persona hanno il diritto inalienabile ad una educazione (5), che risponda alla loro vocazione propria (6) e sia conforme al loro temperamento, alla differenza di sesso, alla cultura e alle tradizioni del loro paese, ed insieme aperta ad una fraterna convivenza con gli altri popoli, al fine di garantire la vera unità e la vera pace sulla terra. La vera educazione deve promuovere la formazione della persona umana sia in vista del suo fine ultimo, sia per il bene dei vari gruppi di cui l'uomo è membro ed in cui, divenuto adulto, avrà mansioni da svolgere.

Pertanto, i fanciulli ed i giovani, tenuto conto del progresso della psicologia, della pedagogia e della didattica, debbono essere aiutati a sviluppare armonicamente le loro capacità fisiche, morali e intellettuali, ad acquistare gradualmente un più maturo senso di responsabilità, nello sforzo sostenuto per ben condurre la loro vita personale e la conquista della vera libertà, superando con coraggio e perseveranza tutti gli ostacoli. Debbono anche ricevere, man mano che cresce la loro età, una positiva e prudente educazione sessuale. Debbono inoltre essere avviati alla vita sociale, in modo che, forniti dei mezzi ad essa necessari ed adeguati, possano attivamente inserirsi nei gruppi che costituiscono la comunità umana, siano disponibili al dialogo con gli altri e contribuiscano di buon grado all'incremento del bene comune.

Analogamente il sacro Sinodo dichiara che fanciulli e giovani hanno diritto di essere aiutati sia a valutare con retta coscienza e ad accettare con adesione personale i valori morali, sia alla conoscenza approfondita ed all'amore di Dio. Perciò chiede e raccomanda a quanti governano i popoli o presiedono all'educazione di fare in modo che mai la gioventù venga privata di questo sacro diritto. Esorta poi i figli della Chiesa a lavorare generosamente in tutti i settori dell'educazione, al fine specialmente di una più rapida estensione dei grandi benefici dell'educazione e dell'istruzione a tutti, nel mondo intero (7).

_______________________ NOTE

(1) Tra i molti documenti che illustrano l’importanza dell’educazione cf. soprattutto: BENEDETTO XV, Lett. Apost. Communes Litteras, 10 apr. 1919: AAS 11 (1919), p. 172. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, 31 dic. 1929: AAS 22 (1930), pp. 49-86 [in parte Dz 3685-98]. PIO XII, Discorso ai Giovani dell’A.C.I, 20 apr. 1946: Discorsi e Radiomessaggi, VIII, pp. 53-57. – Discorso ai Padri di famiglia di Francia, 18 sett. 1951: Discorsi e Radiomessaggi, XIII, pp. 241-245. GIOVANNI XXIII, Messaggio per il trentesimo anniversario dell’emanazione dell’Encicl. Divini Illius Magistri, 30 dic. 1959: AAS 52 (1960), pp. 57-59. PAOLO VI, Discorso ai membri della F.I.D.A.E. (Federazione Istituti Dipendenti dall’Autorità Ecclesiastica), 30 dic. 1963: Encicliche e Discorsi di S. S. Paolo VI, I, Roma 1964, pp. 601-603. Inoltre si consultino gli Acta et Documenta Concilii Oecumenici Vaticani II apparando, serie I, Antipreparatoria, vol. III, pp. 363-364, 370-371, 373-374.

(2) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, 15 maggio 1961: AAS 53 (1961), pp. 413, 415-417, 424 [in parte Dz 3943 e 3948]. – Encicl. Pacem in terris, 11 apr. 1963: AAS 55 (1963), p. 278s [in parte Dz 3986].

(3) Cf. la Dichiarazione Universale dei diritti umani (Déclaration des droits de l’homme), ratificata il 10 dic. 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite; e cf. la Dichiarazione dei diritti del bambino, 20 nov. 1959; Protocollo aggiunto alla convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Parigi, 20 marzo 1952; circa questa Dichiarazione Universale dei diritti umani cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 apr. 1963: AAS 55 (1963), p. 295s.

(4) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, 15 maggio 1961: AAS 53 (1961), p. 402. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 17: AAS 57 (1965), p. 21 [pag. 153ss].

(5) Cf. PIO XII, Messaggio radiofonico Con sempre nuova freschezza, trasmesso il 24 dic. 1942: AAS 35 (1943), pp. 12, 19. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 apr. 1963: AAS 55 (1963), pp. 259s [Dz 3960]. Cf. anche la Dichiarazione dei diritti dell’uomo citata alla nota 3.

(6) Cf. PIO XI, Encicl. Divini Illius Magistri, 31 dic. 1929: AAS 22 (1930), p. 50s.

(7) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, 15 maggio 1961: AAS 53 (1961), p. 441s.

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Approfondimenti

Il Concilio Vaticano II ha trattato l’importanza dell’educazione e la sua grande influenza nel progresso dei popoli nella dichiarazione Gravissimum educationis. In questo testo si constatava come l’educazione fosse sempre più urgente, il che era stato fatto presente e scritto soltanto nella Dichiarazione universale dei diritti umani dell’ONU del 1948. È pertanto dal secolo scorso che si impone una riflessione profonda sui metodi pedagogici. Riprendiamo alcune dichiarazioni dei padri conciliari in questo testo così importante e così poco conosciuto.

Tra le prime questioni trattate c’è quella relativa al significato di una “educazione adeguata”: essa è l’educazione che stimola simultaneamente la verità e la carità, cioè l’amore per la verità e la ricerca del vero bene (proemio). L’educazione, quindi, non si riduce ad una mera trasmissione di informazioni, come quando inseriamo dei dati nel computer, ma è piuttosto un compito essenzialmente umano ed un mezzo per la formazione di uomini integri. Tutto ciò è possibile soltanto grazie alla collaborazione dell’intelligenza e della libertà dell’educatore e dell’educando. Un primo requisito allora per un’autentica educazione è quello di considerare ogni allievo come una persona unica e irripetibile, e non come una frazione all’interno di un gruppo. Ciò implica lo sforzo verso la conoscenza di ogni alunno mediante il proprio nome al fine di uscire dall’anonimato della massa. Perciò è necessario far appello alla propria responsabilità personale, stimolando il giovane affinché si sforzi di sviluppare le sue capacità di cui è stato naturalmente dotato.

La successiva importante sfida dell’educazione è quella nei confronti dell’integrazione dei diversi saperi nell’unità della vita personale. Se ciò non accade, diversi settori della conoscenza verranno a disputarsi per primeggiare gli uni sugli altri (matematica, fisica, psicologia, storia, sociologia, economia, ecc.), proprio come accade dall’inizio dell’era moderna. L’immediata conseguenza di ciò è quella di scorgere negli allievi un senso di confusione e di mancanza di stimoli alla conoscenza stessa. In effetti la conoscenza trasmessa deve poter essere assimilata e integrata, giacché la persona è sempre una realtà sola e mai frammentata o frammentaria. Quando l’integrazione si verifica, emerge la maturazione delle persone nel loro percorso educativo e scolastico, pronte poi ad affrontare la vita sociale e a lavorare per il bene comune con un vero spirito e un autentico dialogo (n. 1). La Chiesa ha assunto questa missione di annunciare il mistero della salvezza e di riportare tutte le cose in Cristo, elevando tutto ciò che è umano a livello divino. Per questo la Chiesa cerca di custodire e di curare ogni singola vita umana, avendo assunto dalla sua origine il compito proprio di diffondere e sviluppare il progresso delle persone, formandole secondo i principi propri della persona stessa (proemio).

Un principio affermato dell’educazione cristiana è quello relativo all’inalienabile diritto di ogni uomo all’educazione. Ciò prova e comprova la dignità propria di ogni persona e da cui proviene la stessa educazione, non essendo questa una concessione statale o di un gruppo sociale (n. 1).

Un altro importante principio si riferisce al fatto che l’educazione deve corrispondere al fine stesso e proprio del’uomo: la sua vita in comunione con Dio e con il prossimo. La vera educazione sviluppa l’integrale formazione della persona rispetto al suo fine ultimo che non esclude affatto, quanto piuttosto racchiude e ingloba il bene delle società terrene (n. 1). Peraltro difficilmente si potrebbe parlare di un’etica senza un’esplicita relazione con Dio. Gli attuali modelli etici, basati sul sedicente “pensiero debole” riescono al massimo ad elaborare un minimo codice di condotta, una specie di “morale di base” che eviti scontri frontali tra le libertà umane. Resta però il fatto che tale “pensiero” si modelli come incapace a soddisfare le domande più profonde e radicate, oltre che radicali, del cuore umano. Un’etica soddisfatrice deve articolarsi intorno alla domanda sul vero bene, ossia su ciò che si dovrebbe fare per essere buoni e raggiungere il fine ultimo. Se così non fosse, ci si può rifare a meri codici di condotta, peraltro anche più o meno arbitrari, senza infine condurre realmente la vita umana verso la sua piena realizzazione.

Quindi affinché l’educazione sia effettiva, dice ancora il Concilio, è doveroso considerare i contributi delle diverse scienze (innanzitutto psicologia e pedagogia), in modo che i giovani siano aiutati nello sviluppo armonico delle proprie qualità fisiche, intellettuali e morali, conquistando gradualmente il senso della responsabilità per la propria vita oltre che una conoscenza dell’autentica libertà (n. 1). L’educazione deve pertanto aiutare ad apprezzare e a praticare i giusti valori morali, configurandosi il principale di questi nel conoscere ed amare Dio che ha creato l’uomo per esserne suo interlocutore. Dio ha creato l’uomo liberamente, cioè per amore e per amare, e su ciò si fonda la libertà umana. Gli Stati, pertanto, non possono negare ai giovani il “sacro diritto” di essere educati secondo i valori morali e religiosi propri e familiari.

da: Tutta l’attualità della dichiarazione “Gravissimum educationis”


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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GAUDIUM ET SPES (7 dicembre 1965)

CONCLUSIONE

Compiti dei singoli fedeli e delle Chiese particolari 91 Quanto viene proposto da questo santo Sinodo fa parte del tesoro dottrinale della Chiesa e intende aiutare tutti gli uomini del nostro tempo -sia quelli che credono in Dio, sia quelli che esplicitamente non lo riconoscono – affinché, percependo più chiaramente la pienezza della loro vocazione, rendano il mondo più conforme all'eminente dignità dell'uomo, aspirino a una fratellanza universale poggiata su fondamenti più profondi, e possano rispondere, sotto l'impulso dell'amore, con uno sforzo generoso e congiunto agli appelli più pressanti della nostra epoca.

Certo dinanzi alla immensa varietà delle situazioni e delle forme di civiltà, questa presentazione non ha volutamente, in numerosi punti, che un carattere del tutto generale; anzi, quantunque venga presentata una dottrina già comune nella Chiesa, siccome non raramente si tratta di realtà soggette a continua evoluzione, l'insegnamento presentato qui dovrà essere continuato ed ampliato.

Tuttavia confidiamo che le molte cose che abbiamo esposto, basandoci sulla parola di Dio e sullo spirito del Vangelo, possano portare un valido aiuto a tutti, soprattutto dopo che i cristiani, sotto la guida dei pastori, ne avranno portato a compimento l'adattamento ai singoli popoli e alle varie mentalità.

Il dialogo fra tutti gli uomini 92 La Chiesa, in forza della missione che ha di illuminare tutto il mondo con il messaggio evangelico e di radunare in un solo Spirito tutti gli uomini di qualunque nazione, razza e civiltà, diventa segno di quella fraternità che permette e rafforza un sincero dialogo.

Ciò esige che innanzitutto nella stessa Chiesa promuoviamo la mutua stima, il rispetto e la concordia, riconoscendo ogni legittima diversità, per stabilire un dialogo sempre più fecondo fra tutti coloro che formano l'unico popolo di Dio, che si tratti dei pastori o degli altri fedeli cristiani. Sono più forti infatti le cose che uniscono i fedeli che quelle che li dividono; ci sia unità nelle cose necessarie, libertà nelle cose dubbie e in tutto carità [Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Ad Petri Cathedram, 29 giugno 1959].

Il nostro pensiero si rivolge contemporaneamente ai fratelli e alle loro comunità, che non vivono ancora in piena comunione con noi, ma ai quali siamo uniti nella confessione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e dal vincolo della carità, memori che l'unità dei cristiani è oggi attesa e desiderata anche da molti che non credono in Cristo.

Quanto più, in effetti, questa unità crescerà nella verità e nell'amore, sotto la potente azione dello Spirito Santo, tanto più essa diverrà per il mondo intero un presagio di unità e di pace. Perciò, unendo le nostre energie ed utilizzando forme e metodi sempre più adeguati al conseguimento efficace di così alto fine, nel momento presente, cerchiamo di cooperare fraternamente, in una conformità al Vangelo ogni giorno maggiore, al servizio della famiglia umana che è chiamata a diventare in Cristo Gesù la famiglia dei figli di Dio.

Rivolgiamo anche il nostro pensiero a tutti coloro che credono in Dio e che conservano nelle loro tradizioni preziosi elementi religiosi ed umani, augurandoci che un dialogo fiducioso possa condurre tutti noi ad accettare con fedeltà gli impulsi dello Spirito e a portarli a compimento con alacrità.

Per quanto ci riguarda, il desiderio di stabilire un dialogo che sia ispirato dal solo amore della verità e condotto con la opportuna prudenza, non esclude nessuno: né coloro che hanno il culto di alti valori umani, benché non ne riconoscano ancora l'autore, né coloro che si oppongono alla Chiesa e la perseguitano in diverse maniere.

Essendo Dio Padre principio e fine di tutti, siamo tutti chiamati ad essere fratelli. E perciò, chiamati a una sola e identica vocazione umana e divina, senza violenza e senza inganno, possiamo e dobbiamo lavorare insieme alla costruzione del mondo nella vera pace.

Un mondo da costruire e da condurre al suo fine 93 I cristiani, ricordando le parole del Signore: «in questo conosceranno tutti che siete i miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri» (Gv 13,35), niente possono desiderare più ardentemente che servire con maggiore generosità ed efficacia gli uomini del mondo contemporaneo. Perciò, aderendo fedelmente al Vangelo e beneficiando della sua forza, uniti con tutti coloro che amano e praticano la giustizia, hanno assunto un compito immenso da adempiere su questa terra: di esso dovranno rendere conto a colui che tutti giudicherà nell'ultimo giorno.

Non tutti infatti quelli che dicono: «Signore, Signore», entreranno nel regno dei cieli, ma quelli che fanno la volontà del Padre e coraggiosamente agiscono [Cf. Mt 7,21]. Perché la volontà del Padre è che in tutti gli uomini noi riconosciamo ed efficacemente amiamo Cristo fratello, con la parola e con l'azione, rendendo così testimonianza alla verità, e comunichiamo agli altri il mistero dell'amore del Padre celeste.

Così facendo, risveglieremo in tutti gli uomini della terra una viva speranza, dono dello Spirito Santo, affinché alla fine essi vengano ammessi nella pace e felicità somma, nella patria che risplende della gloria del Signore. «A colui che, mediante la potenza che opera in noi, può compiere infinitamente di più di tutto ciò che noi possiamo domandare o pensare, a lui sia la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù, per tutte le generazioni nei secoli dei secoli. Amen» (Ef 3,20-21).

Tutte e singole le cose stabilite in questo Decreto sono piaciute ai Padri del Sacro Concilio. E Noi, in virtù della potestà Apostolica conferitaci da Cristo, unitamente ai Venerabili Padri, nello Spirito Santo le approviamo, le decretiamo e le stabiliamo; e quanto stato così sinodalmente deciso comandiamo che sia promulgato a gloria di Dio.

Roma, presso San Pietro

7 dicembre 1965.

Io PAOLO Vescovo della Chiesa Cattolica

Seguono le firme dei Padri.

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Approfondimenti

La conclusione della Gaudium et spes, declinata in tre paragrafi, appare di grandissima importanza per il suo altissimo valore pastorale. Volutamente i Padri chiudono il documento con una riflessione di ampio respiro che coinvolge argomentazioni di natura antropologica perché si fondano sulle conseguenze della dignità della persona umana e religiosa, perché richiamano agli impegni che la fede in Cristo richiede nei confronti degli uomini e delle donne della propria realtà contemporanea come conseguenza coerente della sequela di Cristo.

L’atteggiamento di fondo dei Padri trova esplicitazione definitiva nelle ultime righe del documento conciliare: la Chiesa, nel suo interesse per le cose del mondo è mossa dall’esigenza, che è anche compito, di rendere concreto l’amore di Dio per tutta l’umanità. Un amore che non è teorico, non è un’idea, ma deve avere risvolti pratici, evidenti, concreti senza i quali vano sarebbe stato il sacrificio di Cristo.

Tale impostazione di fondo è semplice e limpida; da questa nascono l’onestà e l’umiltà della Gaudium et spes che si pone come una sorta di apripista per tutte le riflessioni che successivamente la Chiesa avrebbe potuto rivolgere alla realtà contemporanea (cosa di fatto accaduta: l'Italia, da questo punto di vista, è un esempio emblematico).

Il Concilio richiama i credenti al fatto che quando si abbia a che fare con le questioni della vita ordinaria sia importante porsi onestamente di fronte alla circostanza che non tutto si possa comprendere, non tutto si possa approfondire, e umilmente di fronte alla consapevolezza che a volte non sia possibile offrire più di un aiuto.

La riflessione sul mondo, dice il Concilio, non ha soluzioni di continuità, non può avere una parola definitiva sulle situazioni che lo caratterizzano, ma è necessario che di volta in volta sia riadattata, completata, integrata con tutti gli elementi emergenti dai cambiamenti che a vari livelli lo scuotono costantemente. Per questo il Concilio parla, proprio in chiusura della costituzione, di costruzione del mondo e di condurlo al suo fine. Non si tratta infatti di plasmarne l’impostazione culturale e sociale sullo stampo del cristianesimo, come se intervenisse dal di fuori. Si tratta piuttosto di modificare l’assetto della mentalità contemporanea dall’interno, dal di dentro, nello stesso modo in cui il lievito fa fermentare la pasta, secondo la similitudine evangelica.

I Padri conciliari chiudono il documento indicando la straordinaria ampiezza e profondità della vocazione cristiana nel mondo contemporaneo.

da: Catechesi Comunitaria – La costituzione pastorale Gaudium et Spes


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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GAUDIUM ET SPES (7 dicembre 1965)

PARTE II – CAPITOLO V – LA PROMOZIONE DELLA PACE E LA COMUNITÀ DELLE NAZIONI

Sezione 2: La costruzione della comunità internazionale

La cooperazione internazionale e l'accrescimento demografico 87 La cooperazione internazionale è indispensabile soprattutto quando si tratta dei popoli che, fra le molte altre difficoltà, subiscono oggi in modo tutto speciale quelle derivanti da un rapido incremento demografico. È urgente e necessario ricercare come, con la cooperazione intera ed assidua di tutti, specie delle nazioni più favorite, si possa procurare e mettere a disposizione dell'intera comunità umana quei beni che sono necessari alla sussistenza e alla conveniente istruzione di ciascuno. Alcuni popoli potrebbero migliorare seriamente le loro condizioni di vita se, debitamente istruiti, passassero dai vecchi metodi di agricoltura ai nuovi procedimenti tecnici di produzione, applicandoli con la prudenza necessaria alla situazione propria e se instaurassero inoltre un migliore ordine sociale e attuassero una più giusta distribuzione della proprietà terriera.

Nei limiti della loro competenza, i governi hanno diritti e doveri per ciò che concerne il problema demografico della nazione; come, ad esempio, per quanto riguarda la legislazione sociale e familiare, le migrazioni dalla campagna alle città, o quando si tratta dell'informazione relativa alla situazione e ai bisogni del paese. Oggi gli animi sono molto agitati da questi problemi. Si deve quindi sperare che cattolici competenti in tutte queste materie, in particolare nelle università, proseguano assiduamente gli studi già iniziati e li sviluppino maggiormente.

Poiché molti affermano che l'accrescimento demografico nel mondo, o almeno in alcune nazioni, debba essere frenato in maniera radicale con ogni mezzo e con non importa quale intervento dell'autorità pubblica, il Concilio esorta tutti ad astenersi da soluzioni contrarie alla legge morale, siano esse promosse o imposte pubblicamente o in privato. Infatti, in virtù del diritto inalienabile dell'uomo al matrimonio e alla generazione della prole, la decisione circa il numero dei figli da mettere al mondo dipende dal retto giudizio dei genitori e non può in nessun modo essere lasciata alla discrezione dell'autorità pubblica. Ma siccome questo giudizio dei genitori suppone una coscienza ben formata, è di grande importanza dare a tutti il modo di accedere a un livello di responsabilità conforme alla morale e veramente umano, nel rispetto della legge divina e tenendo conto delle circostanze. Tutto ciò esige un po' dappertutto un miglioramento dei mezzi pedagogici e delle condizioni sociali, soprattutto una formazione religiosa o almeno una solida formazione morale. Le popolazioni poi siano opportunamente informate sui progressi della scienza nella ricerca di quei metodi che potranno aiutare i coniugi in materia di regolamentazione delle nascite, una volta che sia ben accertato il valore di questi metodi e stabilito il loro accordo con la morale.

Il compito dei cristiani nell'aiuto agli altri paesi 88 I cristiani cooperino volentieri e con tutto il cuore all'edificazione dell'ordine internazionale, nel rispetto delle legittime libertà e in amichevole fraternità con tutti. Tanto più che la miseria della maggior parte del mondo è così grande che il Cristo stesso, nella persona dei poveri reclama come a voce alta la carità dei suoi discepoli. Si eviti questo scandalo: mentre alcune nazioni, i cui abitanti per la maggior parte si dicono cristiani, godono d'una grande abbondanza di beni, altre nazioni sono prive del necessario e sono afflitte dalla fame, dalla malattia e da ogni sorta di miserie. Lo spirito di povertà e d'amore è infatti la gloria e il segno della Chiesa di Cristo.

Sono, pertanto, da lodare e da incoraggiare quei cristiani, specialmente i giovani, che spontaneamente si offrono a soccorrere gli altri uomini e le altre nazioni. Anzi spetta a tutto il popolo di Dio, dietro la parola e l'esempio dei suoi vescovi, sollevare, nella misura delle proprie forze, la miseria di questi tempi; e ciò, secondo l'antico uso della Chiesa, attingendo non solo dal superfluo, ma anche dal necessario.

Le collette e la distribuzione dei soccorsi materiali, senza essere organizzate in una maniera troppo rigida e uniforme, devono farsi secondo un piano diocesano, nazionale e mondiale; ovunque la cosa sembri opportuna, si farà in azione congiunta tra cattolici e altri fratelli cristiani. Infatti lo spirito di carità non si oppone per nulla all'esercizio provvido e ordinato dell'azione sociale e caritativa; anzi l'esige. È perciò necessario che quelli che vogliono impegnarsi al servizio delle nazioni in via di sviluppo ricevano una formazione adeguata in istituti specializzati.

Efficace presenza della Chiesa nella comunità internazionale 89 La Chiesa, in virtù della sua missione divina, predica il Vangelo e largisce i tesori della grazia a tutte le genti. Contribuisce così a rafforzare la pace in ogni parte del mondo, ponendo la conoscenza della legge divina e naturale a solido fondamento della solidarietà fraterna tra gli uomini e tra le nazioni. Perciò la Chiesa dev'essere assolutamente presente nella stessa comunità delle nazioni, per incoraggiare e stimolare gli uomini alla cooperazione vicendevole. E ciò, sia attraverso le sue istituzioni pubbliche, sia con la piena e leale collaborazione di tutti i cristiani animata dall'unico desiderio di servire a tutti.

Per raggiungere questo fine in modo più efficace, i fedeli stessi, coscienti della loro responsabilità umana e cristiana, dovranno sforzarsi di risvegliare la volontà di pronta collaborazione con la comunità internazionale, a cominciare dal proprio ambiente di vita. Si abbia una cura particolare di formare in ciò i giovani, sia nell'educazione religiosa che in quella civile.

La partecipazione dei cristiani alle istituzioni internazionali 90 Indubbiamente una forma eccellente d'impegno per i cristiani in campo internazionale è l'opera che si presta, individualmente o associati, all'interno degli istituti già esistenti o da costituirsi, con il fine di promuovere la collaborazione tra le nazioni. Inoltre, le varie associazioni cattoliche internazionali possono servire in tanti modi all'edificazione della comunità dei popoli nella pace e nella fratellanza. Perciò bisognerà rafforzarle, aumentando il numero di cooperatori ben formati, con i necessari sussidi e mediante un adeguato coordinamento delle forze. Ai nostri giorni, infatti, efficacia d'azione e necessità di dialogo esigono iniziative collettive. Per di più simili associazioni giovano non poco a istillare quel senso universale, che tanto conviene ai cattolici, e a formare la coscienza di una responsabilità e di una solidarietà veramente universali.

Infine è auspicabile che i cattolici si studino di cooperare, in maniera fattiva ed efficace, sia con i fratelli separati, i quali pure fanno professione di carità evangelica, sia con tutti gli uomini desiderosi della pace vera. Adempiranno così debitamente al loro dovere in seno alla comunità internazionale. Il Concilio, poi, dinanzi alle immense sventure che ancora affliggono la maggior parte del genere umano, ritiene assai opportuna la creazione d'un organismo della Chiesa universale, al fine di fomentare dovunque la giustizia e l'amore di Cristo verso i poveri. Tale organismo avrà per scopo di stimolare la comunità cattolica a promuovere lo sviluppo delle regioni bisognose e la giustizia sociale tra le nazioni.

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Approfondimenti

Comunità internazionale e valori

433 La centralità della persona umana e la naturale attitudine delle persone e dei popoli a stringere relazioni tra loro sono gli elementi fondamentali per costruire una vera Comunità internazionale, la cui organizzazione deve tendere all'effettivo bene comune universale [Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1911]. Nonostante sia ampiamente diffusa l'aspirazione verso un'autentica comunità internazionale, l'unità della famiglia umana non trova ancora realizzazione, perché ostacolata da ideologie materialistiche e nazionalistiche che negano i valori di cui è portatrice la persona considerata integralmente, in tutte le sue dimensioni, materiale e spirituale, individuale e comunitaria. In particolare, è moralmente inaccettabile ogni teoria o comportamento improntati al razzismo e alla discriminazione razziale [Cfr. Concilio Vaticano II, Dich. Nostra aetate, 5; Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris; Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 63, Lett. apost. Octogesima adveniens, 16; Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, L'Eglise face au racisme. Contribution du Saint-Siège à la Conférence mondiale contre le Racisme, la Discrimination raciale, la Xénophobie et l'intolérance qui y est associée, Tipografia Vaticana, Città del Vaticano 2001].

La convivenza tra le Nazioni è fondata sui medesimi valori che devono orientare quella tra gli esseri umani: la verità, la giustizia, la solidarietà e la libertà [Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris]. L'insegnamento della Chiesa, sul piano dei principi costitutivi della Comunità internazionale, chiede che le relazioni tra i popoli e le comunità politiche trovino la loro giusta regolazione nella ragione, nell'equità, nel diritto, nella trattativa, mentre esclude il ricorso alla violenza e alla guerra, a forme di discriminazione, di intimidazione e di inganno [Cfr. Paolo VI, Discorso alle Nazioni Unite (4 ottobre 1965), 2].

434 Il diritto si pone come strumento di garanzia dell'ordine internazionale, [Cfr. Pio XII, Lett. enc. Summi Pontificatus] ovvero della convivenza tra comunità politiche che singolarmente perseguono il bene comune dei propri cittadini e che collettivamente devono tendere a quello di tutti i popoli, [Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 52] nella convinzione che il bene comune di una Nazione è inseparabile dal bene dell'intera famiglia umana [Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris].

Quella internazionale è una comunità giuridica fondata sulla sovranità di ogni Stato membro, senza vincoli di subordinazione che ne neghino o ne limitino l'indipendenza [Cfr. Pio XII, Allocuzione natalizia (24 dicembre 1939); Id., Discorso ai Giuristi Cattolici sulle Comunità di Stati e di popoli (6 dicembre 1953); Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris] Concepire in questo modo la comunità internazionale non significa affatto relativizzare e vanificare le differenti e peculiari caratteristiche di ogni popolo, ma favorirne l'espressione [Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione (5 ottobre 1995), 9-10]. La valorizzazione delle differenti identità aiuta a superare le varie forme di divisione che tendono a separare i popoli e a farli portatori di un egoismo dagli effetti destabilizzanti.

435 Il Magistero riconosce l'importanza della sovranità nazionale, concepita anzitutto come espressione della libertà che deve regolare i rapporti tra gli Stati [Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terria; Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione (5 ottobre 1995), 15]. La sovranità rappresenta la soggettività [Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 15] di una Nazione sotto il profilo politico, economico, sociale e anche culturale. La dimensione culturale acquista uno spessore particolare come punto di forza per la resistenza agli atti di aggressione o alle forme di dominio che condizionano la libertà di un Paese: la cultura costituisce la garanzia di conservazione dell'identità di un popolo, esprime e promuove la sua sovranità spirituale [Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso all'UNESCO (2 giugno 1980), 14].

La sovranità nazionale non è però un assoluto. Le Nazioni possono rinunciare liberamente all'esercizio di alcuni loro diritti in vista di un obiettivo comune, nella consapevolezza di formare una «famiglia», [Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione (5 ottobre 1995), 14; cfr. anche Id., Discorso al Corpo Diplomatico (13 gennaio 2001), 8] dove devono regnare reciproca fiducia, sostegno vicendevole e mutuo rispetto. In tale prospettiva, merita attenta considerazione la mancanza di un accordo internazionale che affronti in modo adeguato «i diritti delle Nazioni», [Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la celebrazione del 50º di fondazione (5 ottobre 1995), 6] la cui preparazione potrebbe affrontare opportunamente le questioni relative alla giustizia e alla libertà nel mondo contemporaneo.

dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa


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PARTE II – CAPITOLO V – LA PROMOZIONE DELLA PACE E LA COMUNITÀ DELLE NAZIONI

Sezione 2: La costruzione della comunità internazionale

La cooperazione internazionale sul piano economico 85 La solidarietà attuale del genere umano impone anche che si stabilisca una maggiore cooperazione internazionale in campo economico. Se infatti quasi tutti i popoli hanno acquisito l'indipendenza politica, si è tuttavia ancora lontani dal potere affermare che essi siano liberati da eccessive ineguaglianze e da ogni forma di dipendenza abusiva, e che sfuggano al pericolo di gravi difficoltà interne.

Lo sviluppo d'un paese dipende dalle sue risorse in uomini e in denaro. Bisogna preparare i cittadini di ogni nazione, attraverso l'educazione e la formazione professionale, ad assumere i diversi incarichi della vita economica e sociale. A tal fine si richiede l'opera di esperti stranieri, i quali nel prestare la loro azione, si comportino non come padroni, ma come assistenti e cooperatori. Senza profonde modifiche nei metodi attuali del commercio mondiale, le nazioni in via di sviluppo non potranno ricevere i sussidi materiali di cui hanno bisogno. Inoltre, altre risorse devono essere loro date dalle nazioni progredite, sotto forma di dono, di prestiti e d'investimenti finanziari: ciò si faccia con generosità e senza cupidigia, da una parte, e si ricevano, dall'altra, con tutta onestà.

Per instaurare un vero ordine economico mondiale, bisognerà rinunciare ai benefici esagerati, alle ambizioni nazionali, alla bramosia di dominazione politica, ai calcoli di natura militaristica e alle manovre tendenti a propagare e imporre ideologie. Vari sono i sistemi economici e sociali proposti; è desiderabile che gli esperti possano trovare in essi un fondamento comune per un sano commercio mondiale. Ciò sarà più facile se ciascuno, rinunciando ai propri pregiudizi, si dispone di buon grado a condurre un sincero dialogo.

Alcune norme opportune 86 In vista di questa cooperazione, sembra utile proporre le norme seguenti:

a) Le nazioni in via di sviluppo tendano soprattutto ad assegnare, espressamente e senza equivoci, come fine del progresso la piena espansione umana dei cittadini. Si ricordino che questo progresso trova innanzi tutto la sua origine e il suo dinamismo nel lavoro e nella ingegnosità delle popolazioni stesse, visto che esso deve sl far leva sugli aiuti esterni, ma, prima di tutto, sulla valorizzazione delle proprie risorse nonché sulla propria cultura e tradizione. In questa materia, quelli che esercitano sugli altri maggiore influenza devono dare l'esempio.

b) È dovere gravissimo delle nazioni evolute di aiutare i popoli in via di sviluppo ad adempiere i compiti sopraddetti. Perciò esse procedano a quelle revisioni interne, spirituali e materiali, richieste da questa cooperazione universale. Così bisogna che negli scambi con le nazioni più deboli e meno fortunate abbiano riguardo al bene di quelle che hanno bisogno per la loro stessa sussistenza dei proventi ricavati dalla vendita dei propri prodotti.

c) Spetta alla comunità internazionale coordinare e stimolare lo sviluppo, curando tuttavia di distribuire con la massima efficacia ed equità le risorse a ciò destinate. Salvo il principio di sussidiarietà, ad essa spetta anche di ordinare i rapporti economici mondiali secondo le norme della giustizia.

Si fondino istituti capaci di promuovere e di regolare il commercio internazionale, specialmente con le nazioni meno sviluppate, e destinati pure a compensare gli inconvenienti che derivano dall'eccessiva disuguaglianza di potere fra le nazioni. Accanto all'aiuto tecnico, culturale e finanziario, un simile ordinamento dovrebbe mettere a disposizione delle nazioni in via di sviluppo le risorse necessarie ad ottenere una crescita soddisfacente della loro economia.

d) In molti casi è urgente procedere a una revisione delle strutture economiche e sociali. Ma bisogna guardarsi dalle soluzioni tecniche premature, specialmente da quelle che, mentre offrono all'uomo certi vantaggi materiali, si oppongono al suo carattere spirituale e alla sua crescita. Poiché «non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4). Ogni parte della famiglia umana reca in sé e nelle sue migliori tradizioni qualcosa di quel tesoro spirituale che Dio ha affidato all'umanità, anche se molti ignorano da quale fonte provenga.

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Approfondimenti

Collaborazione per garantire il diritto allo sviluppo

446 La soluzione del problema dello sviluppo richiede la cooperazione tra le singole comunità politiche: «Le comunità politiche si condizionano a vicenda, e si può asserire che ognuna riesce a sviluppare se stessa contribuendo allo sviluppo delle altre. Per cui tra esse si impone l'intesa e la collaborazione» [Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra (1961); cfr. Pio XII, Radiomessaggio natalizio (24 dicembre 1945)]. Il sottosviluppo sembra una situazione impossibile da eliminare, quasi una fatale condanna, se si considera il fatto che esso non è solo il frutto di scelte umane sbagliate, ma anche il risultato di «meccanismi economici, finanziari e sociali» [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 16 (1988)] e di «strutture di peccato» [id. 36-37.39] che impediscono il pieno sviluppo degli uomini e dei popoli.

Queste difficoltà, tuttavia, devono essere affrontate con determinazione ferma e perseverante, perché lo sviluppo non è solo un'aspirazione, ma un diritto [Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 22, Lett. ap. Octogesima adveniens, 43; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 32-33; Id., Lett. enc. Centesimus annus, 35; cfr. anche Paolo VI, Discorso all'Organizzazione Internazionale del Lavoro (10 giugno 1969), 22; Giovanni Paolo II, Discorso al Convegno di dottrina sociale della Chiesa (20 giugno 1997), 5; Id., Discorso ai Dirigenti di Sindacati di Lavoratori e di grandi Società (2 maggio 2000), 3] che, come ogni diritto, implica un obbligo: «La collaborazione allo sviluppo di tutto l'uomo e di ogni uomo, infatti, è un dovere di tutti verso tutti e deve, al tempo stesso, essere comune alle quattro parti del mondo: Est e Ovest, Nord e Sud». [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 32] Nella visione del Magistero, il diritto allo sviluppo si fonda sui seguenti principi: unità d'origine e comunanza di destino della famiglia umana; eguaglianza tra ogni persona e tra ogni comunità basata sulla dignità umana; destinazione universale dei beni della terra; integralità della nozione di sviluppo; centralità della persona umana; solidarietà.

447 La dottrina sociale incoraggia forme di cooperazione capaci di incentivare l'accesso al mercato internazionale dei Paesi segnati da povertà e sottosviluppo: «In anni non lontani è stato sostenuto che lo sviluppo dipendesse dall'isolamento dei Paesi più poveri dal mercato mondiale e dalla loro fiducia nelle sole proprie forze. L'esperienza recente ha dimostrato che i Paesi che si sono esclusi hanno conosciuto stagnazione e regresso, mentre hanno conosciuto lo sviluppo i Paesi che sono riusciti ad entrare nella generale interconnessione delle attività economiche a livello internazionale. Sembra, dunque, che il maggior problema sia quello di ottenere un equo accesso al mercato internazionale, fondato non sul principio unilaterale dello sfruttamento delle risorse naturali, ma sulla valorizzazione delle risorse umane». [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 33] Tra le cause che maggiormente concorrono a determinare il sottosviluppo e la povertà, oltre all'impossibilità di accedere al mercato internazionale, [Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 56-61] vanno annoverati l'analfabetismo, l'insicurezza alimentare, l'assenza di strutture e servizi, la carenza di misure per garantire l'assistenza sanitaria di base, la mancanza di acqua potabile, la corruzione, la precarietà delle istituzioni e della stessa vita politica. Esiste una connessione tra la povertà e la mancanza, in molti Paesi, di libertà, di possibilità di iniziativa economica, di amministrazione statale capace di predisporre un adeguato sistema di educazione e di informazione.

448 Lo spirito della cooperazione internazionale richiede che al di sopra della stretta logica del mercato vi sia consapevolezza di un dovere di solidarietà, di giustizia sociale e di carità universale; [Cfr. Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 44:] infatti, esiste «qualcosa che è dovuto all'uomo perché è uomo, in forza della sua eminente dignità». [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 34] La cooperazione è la via che la Comunità internazionale nel suo insieme deve impegnarsi a percorrere «secondo un'adeguata concezione del bene comune in riferimento all'intera famiglia umana». [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 58] Ne deriveranno effetti molto positivi, come per esempio un aumento di fiducia nelle potenzialità delle persone povere e quindi dei Paesi poveri e un'equa distribuzione dei beni.

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PARTE II – CAPITOLO V – LA PROMOZIONE DELLA PACE E LA COMUNITÀ DELLE NAZIONI

Sezione 2: La costruzione della comunità internazionale

Le cause di discordia e i loro rimedi 83 L'edificazione della pace esige prima di tutto che, a cominciare dalle ingiustizie, si eliminino le cause di discordia che fomentano le guerre. Molte occasioni provengono dalle eccessive disparità economiche e dal ritardo con cui vi si porta il necessario rimedio. Altre nascono dallo spirito di dominio, dal disprezzo delle persone e, per accennare ai motivi più reconditi, dall'invidia, dalla diffidenza, dall'orgoglio e da altre passioni egoistiche. Poiché gli uomini non possono tollerare tanti disordini avviene che il mondo, anche quando non conosce le atrocità della guerra, resta tuttavia continuamente in balia di lotte e di violenze. I medesimi mali si riscontrano inoltre nei rapporti tra le nazioni. Quindi per vincere e per prevenire questi mali, per reprimere lo scatenamento della violenza, è assolutamente necessario che le istituzioni internazionali sviluppino e consolidino la loro cooperazione e la loro coordinazione e che, senza stancarsi, si stimoli la creazione di organismi idonei a promuovere la pace.

La comunità delle nazioni e le istituzioni internazionali 84 Dati i crescenti e stretti legami di mutua dipendenza esistenti oggi tra tutti gli abitanti e i popoli della terra, la ricerca adeguata e il raggiungimento efficace del bene comune richiedono che la comunità delle nazioni si dia un ordine che risponda ai suoi compiti attuali, tenendo particolarmente conto di quelle numerose regioni che ancor oggi si trovano in uno stato di intollerabile miseria.

Per conseguire questi fini, le istituzioni internazionali devono, ciascuna per la loro parte, provvedere ai diversi bisogni degli uomini, tanto nel campo della vita sociale (cui appartengono l'alimentazione, la salute, la educazione, il lavoro), quanto in alcune circostanze particolari che sorgono qua e là: per esempio, la necessità di aiutare la crescita generale delle nazioni in via di sviluppo, o ancora il sollievo alle necessità dei profughi in ogni parte del mondo, o degli emigrati e delle loro famiglie.

Le istituzioni internazionali, tanto universali che regionali già esistenti, si sono rese certamente benemerite del genere umano. Esse rappresentano i primi sforzi per gettare le fondamenta internazionali di tutta la comunità umana al fine di risolvere le più gravi questioni del nostro tempo: promuovere il progresso in ogni luogo della terra e prevenire la guerra sotto qualsiasi forma. In tutti questi campi, la Chiesa si rallegra dello spirito di vera fratellanza che fiorisce tra cristiani e non cristiani, e dello sforzo d'intensificare i tentativi intesi a sollevare l'immane miseria.

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Approfondimenti

165 Una società che, a tutti i livelli, vuole intenzionalmente rimanere al servizio dell'essere umano è quella che si propone come meta prioritaria il bene comune, in quanto bene di tutti gli uomini e di tutto l'uomo. [Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1912]. La persona non può trovare compimento solo in se stessa, a prescindere cioè dal suo essere «con» e «per» gli altri. Tale verità le impone non una semplice convivenza ai vari livelli della vita sociale e relazionale, ma la ricerca senza posa, in forma pratica e non soltanto ideale, del bene ovvero del senso e della verità rintracciabili nelle forme di vita sociale esistenti. Nessuna forma espressiva della socialità — dalla famiglia, al gruppo sociale intermedio, all'associazione, all'impresa di carattere economico, alla città, alla regione, allo Stato, fino alla comunità dei popoli e delle Nazioni — può eludere l'interrogativo circa il proprio bene comune, che è costitutivo del suo significato e autentica ragion d'essere della sua stessa sussistenza. [Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris (1963)].

208 La carità sociale e politica non si esaurisce nei rapporti tra le persone, ma si dispiega nella rete in cui tali rapporti si inseriscono, che è appunto la comunità sociale e politica, e su questa interviene, mirando al bene possibile per la comunità nel suo insieme. Per tanti aspetti, il prossimo da amare si presenta «in società», così che amarlo realmente, sovvenire al suo bisogno o alla sua indigenza può voler dire qualcosa di diverso dal bene che gli si può volere sul piano puramente inter-individuale: amarlo sul piano sociale significa, a seconda delle situazioni, avvalersi delle mediazioni sociali per migliorare la sua vita oppure rimuovere i fattori sociali che causano la sua indigenza. È indubbiamente un atto di carità l'opera di misericordia con cui si risponde qui e ora ad un bisogno reale ed impellente del prossimo, ma è un atto di carità altrettanto indispensabile l'impegno finalizzato ad organizzare e strutturare la società in modo che il prossimo non abbia a trovarsi nella miseria, soprattutto quando questa diventa la situazione in cui si dibatte uno sterminato numero di persone e perfino interi popoli, situazione che assume, oggi, le proporzioni di una vera e propria questione sociale mondiale.

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PARTE II – CAPITOLO V – LA PROMOZIONE DELLA PACE E LA COMUNITÀ DELLE NAZIONI

La corsa agli armamenti 81 Le armi scientifiche, è vero, non vengono accumulate con l'unica intenzione di poterle usare in tempo di guerra. Poiché infatti si ritiene che la solidità della difesa di ciascuna parte dipenda dalla possibilità fulminea di rappresaglie, questo ammassamento di armi, che va aumentando di anno in anno, serve, in maniera certo paradossale, a dissuadere eventuali avversari dal compiere atti di guerra. E questo è ritenuto da molti il mezzo più efficace per assicurare oggi una certa pace tra le nazioni.

Qualunque cosa si debba pensare di questo metodo dissuasivo, si convincano gli uomini che la corsa agli armamenti, alla quale si rivolgono molte nazioni, non è una via sicura per conservare saldamente la pace, né il cosiddetto equilibrio che ne risulta può essere considerato pace vera e stabile. Le cause di guerra, anziché venire eliminate da tale corsa, minacciano piuttosto di aggravarsi gradatamente. E mentre si spendono enormi ricchezze per la preparazione di armi sempre nuove, diventa poi impossibile arrecare sufficiente rimedio alle miserie così grandi del mondo presente. Anziché guarire veramente, nel profondo, i dissensi tra i popoli, si finisce per contagiare anche altre parti del mondo. Nuove strade converrà cercare partendo dalla riforma degli spiriti, perché possa essere rimosso questo scandalo e al mondo, liberato dall'ansietà che l'opprime, possa essere restituita una pace vera.

È necessario pertanto ancora una volta dichiarare: la corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell'umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri; e c'è molto da temere che, se tale corsa continuerà, produrrà un giorno tutte le stragi, delle quali va già preparando i mezzi.

Ammoniti dalle calamità che il genere umano ha rese possibili, cerchiamo di approfittare della tregua di cui ora godiamo e che è stata a noi concessa dall'alto, per prendere maggiormente coscienza della nostra responsabilità e trovare delle vie per comporre in maniera più degna dell'uomo le nostre controversie. La Provvidenza divina esige da noi con insistenza che liberiamo noi stessi dall'antica schiavitù della guerra.

Se poi rifiuteremo di compiere tale sforzo non sappiamo dove ci condurrà la strada perversa per la quale ci siamo incamminati.

La condanna assoluta della guerra e l'azione internazionale per evitarla 82 È chiaro pertanto che dobbiamo con ogni impegno sforzarci per preparare quel tempo nel quale, mediante l'accordo delle nazioni, si potrà interdire del tutto qualsiasi ricorso alla guerra. Questo naturalmente esige che venga istituita un'autorità pubblica universale, da tutti riconosciuta, la quale sia dotata di efficace potere per garantire a tutti i popoli sicurezza, osservanza della giustizia e rispetto dei diritti. Ma prima che questa auspicabile autorità possa essere costituita, è necessario che le attuali supreme istanze internazionali si dedichino con tutto l'impegno alla ricerca dei mezzi più idonei a procurare la sicurezza comune. La pace deve sgorgare spontanea dalla mutua fiducia delle nazioni, piuttosto che essere imposta ai popoli dal terrore delle armi. Pertanto tutti debbono impegnarsi con alacrità per far cessare finalmente la corsa agli armamenti. Perché la riduzione degli armamenti incominci realmente, non deve certo essere fatta in modo unilaterale, ma con uguale ritmo da una parte e dall'altra, in base ad accordi comuni e con l'adozione di efficaci garanzie [Cf. 2 Cor 6,2].

Non sono frattanto da sottovalutare gli sforzi già fatti e che si vanno tuttora facendo per allontanare il pericolo della guerra. Va piuttosto incoraggiata la buona volontà di tanti che pur gravati dalle ingenti preoccupazioni del loro altissimo ufficio, mossi dalla gravissima responsabilità da cui si sentono vincolati, si danno da fare in ogni modo per eliminare la guerra, di cui hanno orrore pur non potendo prescindere dalla complessa realtà delle situazioni. Bisogna rivolgere incessanti preghiere a Dio affinché dia loro la forza di intraprendere con perseveranza e condurre a termine con coraggio quest'opera del più grande amore per gli uomini, per mezzo della quale si costruisce virilmente l'edificio della pace. Tale opera esige oggi certamente che essi dilatino la loro mente e il loro cuore al di là dei confini della propria nazione, deponendo ogni egoismo nazionale ed ogni ambizione di supremazia su altre nazioni, e nutrendo invece un profondo rispetto verso tutta l'umanità, avviata ormai così faticosamente verso una maggiore unità.

Per ciò che riguarda i problemi della pace e del disarmo, bisogna tener conto degli studi approfonditi, già coraggiosamente e instancabilmente condotti e dei consessi internazionali che trattarono questi argomenti e considerarli come i primi passi verso la soluzione di problemi così gravi; con maggiore insistenza ed energia dovranno quindi essere promossi in avvenire, al fine di ottenere risultati concreti. Stiano tuttavia bene attenti gli uomini a non affidarsi esclusivamente agli sforzi di alcuni, senza preoccuparsi minimamente dei loro propri sentimenti. I capi di Stato, infatti, i quali sono mallevadori del bene comune delle proprie nazioni e fautori insieme del bene della umanità intera, dipendono in massima parte dalle opinioni e dai sentimenti delle moltitudini. È inutile infatti che essi si adoperino con tenacia a costruire la pace, finché sentimenti di ostilità, di disprezzo e di diffidenza, odi razziali e ostinate ideologie dividono gli uomini, ponendoli gli uni contro gli altri. Di qui la estrema, urgente necessità di una rinnovata educazione degli animi e di un nuovo orientamento nell'opinione pubblica. Coloro che si dedicano a un'opera di educazione, specie della gioventù, e coloro che contribuiscono alla formazione della pubblica opinione, considerino loro dovere gravissimo inculcare negli animi di tutti sentimenti nuovi, ispiratori di pace. E ciascuno di noi deve adoperarsi per mutare il suo cuore, aprendo gli occhi sul mondo intero e su tutte quelle cose che gli uomini possono compiere insieme per condurre l'umanità verso un migliore destino.

Né ci inganni una falsa speranza. Se non verranno in futuro conclusi stabili e onesti trattati di pace universale, rinunciando ad ogni odio e inimicizia, L'umanità che, pur avendo compiuto mirabili conquiste nel campo scientifico, si trova già in grave pericolo, sarà forse condotta funestamente a quell'ora, in cui non potrà sperimentare altra pace che la pace terribile della morte.

La Chiesa di Cristo nel momento in cui, posta in mezzo alle angosce del tempo presente, pronuncia tali parole, non cessa tuttavia di nutrire la più ferma speranza. Agli uomini della nostra età essa intende presentare con insistenza, sia che l'accolgano favorevolmente, o la respingano come importuna, il messaggio degli apostoli: a Ecco ora il tempo favorevole » per trasformare i cuori, «ecco ora i giorni della salvezza» [Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Ad Petri Cathedram, 29 giugno 1959].

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Approfondimenti

IL DISARMO

508 La dottrina sociale propone la meta di un «disarmo generale, equilibrato e controllato» [Giovanni Paolo II, Messaggio per il 40º anniversario dell'ONU (14 ottobre 1985), 6]. L'enorme aumento delle armi rappresenta una minaccia grave per la stabilità e la pace. Il principio di sufficienza, in virtù del quale uno Stato può possedere unicamente i mezzi necessari per la sua legittima difesa, deve essere applicato sia dagli Stati che comprano armi, sia da quelli che le producono e le forniscono [Cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Il commercio internazionale delle armi (1º maggio 1994), I, 9-11]. Qualsiasi accumulo eccessivo di armi, o il loro commercio generalizzato, non possono essere giustificati moralmente; tali fenomeni vanno valutati anche alla luce della normativa internazionale in materia di non-proliferazione, produzione, commercio e uso dei differenti tipi di armamenti. Le armi non devono mai essere considerate alla stregua di altri beni scambiati a livello mondiale o sui mercati interni [Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2316; Giovanni Paolo II, Discorso al Mondo del Lavoro, Verona, Italia (17 aprile 1988), 6].

Il Magistero, inoltre, ha espresso una valutazione morale del fenomeno della deterrenza: «L'accumulo delle armi sembra a molti un modo paradossale di dissuadere dalla guerra eventuali avversari. Costoro vedono in esso il più efficace dei mezzi atti ad assicurare la pace tra le nazioni. Riguardo a tale mezzo di dissuasione vanno fatte severe riserve morali. La corsa agli armamenti non assicura la pace. Lungi dall'eliminare le cause di guerra, rischia di aggravarle» [Catechismo della Chiesa Cattolica, 2315]. Le politiche di deterrenza nucleare, tipiche del periodo della cosiddetta Guerra Fredda, devono essere sostituite con concrete misure di disarmo, basate sul dialogo e sul negoziato multilaterale.

509 Le armi di distruzione di massa — biologiche, chimiche e nucleari — rappresentano una minaccia particolarmente grave; coloro che le possiedono hanno una responsabilità enorme davanti a Dio e all'umanità intera [Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 80 (1966); Catechismo della Chiesa Cattolica, 2314; Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1986, 2]. Il principio della non-proliferazione delle armi nucleari, insieme alle misure per il disarmo nucleare, come anche il divieto di test nucleari, sono obiettivi tra loro strettamente legati, che devono essere raggiunti nel più breve tempo tramite controlli efficaci a livello internazionale [Cfr. Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico (13 gennaio 1996), 7]. Il divieto di sviluppo, di produzione, di accumulo e di impiego delle armi chimiche e biologiche, nonché i provvedimenti che ne impongono la distruzione, completano il quadro normativo internazionale per mettere al bando tali armi nefaste, [La Santa Sede ha voluto diventare parte degli strumenti giuridici relativi alle armi nucleari, biologiche e chimiche per sostenere le iniziative della Comunità internazionale in tal senso.] il cui uso è esplicitamente riprovato dal Magistero: «Ogni azione bellica che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni con i loro abitanti è un crimine contro Dio e contro l'uomo, che deve essere condannato con fermezza e senza esitazione» [Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 80 (1966)].

510 Il disarmo deve estendersi all'interdizione di armi che infliggono effetti traumatici eccessivi o che colpiscono indiscriminatamente, nonché delle mine antipersona, un tipo di piccoli ordigni, disumanamente insidiosi, poiché continuano a colpire anche molto tempo dopo il termine delle ostilità: gli Stati che le producono, le commercializzano o le usano ancora, si assumono la responsabilità di ritardare gravemente la totale eliminazione di tali strumenti mortiferi [Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 11]. La Comunità internazionale deve continuare ad impegnarsi nell'attività di sminamento, promuovendo un'efficace cooperazione, compresa la formazione tecnica, con i Paesi che non dispongono di mezzi propri adatti ad effettuare l'urgentissima bonifica dei loro territori e che non sono in grado di fornire un'assistenza adeguata alle vittime delle mine.

511 Misure appropriate sono necessarie per il controllo della produzione, della vendita, dell'importazione e dell'esportazione di armi leggere e individuali, che facilitano molte manifestazioni di violenza. La vendita e il traffico di tali armi costituiscono una seria minaccia per la pace: esse sono quelle che uccidono di più e sono usate maggiormente nei conflitti non internazionali; la loro disponibilità fa aumentare il rischio di nuovi conflitti e l'intensità di quelli in corso. L'atteggiamento degli Stati che applicano severi controlli sul trasferimento internazionale di armi pesanti, mentre non prevedono mai, o solo in rare occasioni, restrizioni sul commercio delle armi leggere e individuali, è una contraddizione inaccettabile. È indispensabile ed urgente che i Governi adottino regole adeguate per controllare la produzione, l'accumulo, la vendita e il traffico di tali armi, [Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 11] così da contrastarne la crescente diffusione, in larga parte tra gruppi di combattenti che non appartengono alle forze militari di uno Stato.

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PARTE II – CAPITOLO V – LA PROMOZIONE DELLA PACE E LA COMUNITÀ DELLE NAZIONI

Sezione 1: Necessità di evitare la guerra

Il dovere di mitigare l'inumanità della guerra 79 Sebbene le recenti guerre abbiano portato al nostro mondo gravissimi danni sia materiali che morali, ancora ogni giorno in qualche punto della terra la guerra continua a produrre le sue devastazioni. Anzi dal momento che in essa si fa uso di armi scientifiche di ogni genere, la sua atrocità minaccia di condurre i combattenti ad una barbarie di gran lunga superiore a quella dei tempi passati. La complessità inoltre delle odierne situazioni e la intricata rete delle relazioni internazionali fanno sì che vengano portate in lungo, con nuovi metodi insidiosi e sovversivi, guerre più o meno larvate. In molti casi il ricorso ai sistemi del terrorismo è considerato anch'esso una nuova forma di guerra.

Davanti a questo stato di degradazione dell'umanità, il Concilio intende innanzi tutto richiamare alla mente il valore immutabile del diritto naturale delle genti e dei suoi principi universali. La stessa coscienza del genere umano proclama quei principi con sempre maggiore fermezza e vigore. Le azioni pertanto che deliberatamente si oppongono a quei principi e gli ordini che comandano tali azioni sono crimini, né l'ubbidienza cieca può scusare coloro che li eseguono. Tra queste azioni vanno innanzi tutto annoverati i metodi sistematici di sterminio di un intero popolo, di una nazione o di una minoranza etnica; orrendo delitto che va condannato con estremo rigore. Deve invece essere sostenuto il coraggio di coloro che non temono di opporsi apertamente a quelli che ordinano tali misfatti.

Esistono, in materia di guerra, varie convenzioni internazionali, che un gran numero di nazioni ha sottoscritto per rendere meno inumane le azioni militari e le loro conseguenze. Tali sono le convenzioni relative alla sorte dei militari feriti o prigionieri e molti impegni del genere. Tutte queste convenzioni dovranno essere osservate; anzi le pubbliche autorità e gli esperti in materia dovranno fare ogni sforzo, per quanto è loro possibile, affinché siano perfezionate, in modo da renderle capaci di porre un freno più adatto ed efficace alle atrocità della guerra. Sembra inoltre conforme ad equità che le leggi provvedano umanamente al caso di coloro che, per motivi di coscienza, ricusano l'uso delle armi, mentre tuttavia accettano qualche altra forma di servizio della comunità umana.

La guerra non è purtroppo estirpata dalla umana condizione. E fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un'autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa. I capi di Stato e coloro che condividono la responsabilità della cosa pubblica hanno dunque il dovere di tutelare la salvezza dei popoli che sono stati loro affidati, trattando con grave senso di responsabilità cose di così grande importanza. Ma una cosa è servirsi delle armi per difendere i giusti diritti dei popoli, ed altra cosa voler imporre il proprio dominio su altre nazioni. La potenza delle armi non rende legittimo ogni suo uso militare o politico. Né per il fatto che una guerra è ormai disgraziatamente scoppiata, diventa per questo lecita ogni cosa tra le parti in conflitto.

Coloro poi che al servizio della patria esercitano la loro professione nelle file dell'esercito, si considerino anch'essi come servitori della sicurezza e della libertà dei loro popoli; se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono anch'essi veramente alla stabilità della pace.

La guerra totale 80 Il progresso delle armi scientifiche ha enormemente accresciuto l'orrore e l'atrocità della guerra. Le azioni militari, infatti, se condotte con questi mezzi, possono produrre distruzioni immani e indiscriminate, che superano pertanto di gran lunga i limiti di una legittima difesa. Anzi, se mezzi di tal genere, quali ormai si trovano negli arsenali delle grandi potenze, venissero pienamente utilizzati, si avrebbe la reciproca e pressoché totale distruzione delle parti contendenti, senza considerare le molte devastazioni che ne deriverebbero nel resto del mondo e gli effetti letali che sono la conseguenza dell'uso di queste armi.

Tutte queste cose ci obbligano a considerare l'argomento della guerra con mentalità completamente nuova [Cf. PIO XII, Discorso 30 set. 1954; ID., Messaggio radiofonico, 24 dic. 1954 Ecce ego declinabo; GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris; PAOLO VI, Discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite, 4 ott. 1965]. Sappiano gli uomini di questa età che dovranno rendere severo conto dei loro atti di guerra, perché il corso dei tempi futuri dipenderà in gran parte dalle loro decisioni di oggi.

Avendo ben considerato tutte queste cose, questo sacro Concilio, facendo proprie le condanne della guerra totale già pronunciate dai recenti sommi Pontefici dichiara [Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, (1963) dove si parla di disarmo]:

Ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione.

Il rischio caratteristico della guerra moderna consiste nel fatto che essa offre quasi l'occasione a coloro che posseggono le più moderne armi scientifiche di compiere tali delitti e, per una certa inesorabile concatenazione, può sospingere le volontà degli uomini alle più atroci decisioni. Affinché dunque non debba mai più accadere questo in futuro, i vescovi di tutto il mondo, ora riuniti, scongiurano tutti, in modo particolare i governanti e i supremi comandanti militari a voler continuamente considerare, davanti a Dio e davanti alla umanità intera, l'enorme peso della loro responsabilità.

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Approfondimenti

IL FALLIMENTO DELLA PACE: LA GUERRA

497 Il Magistero condanna «l'enormità della guerra» [Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 77 (1966; cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 2307-2317] e chiede che sia considerata con un approccio completamente nuovo: [Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 80 (1966)] infatti, «riesce quasi impossibile pensare che nell'era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia» [Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris: (1963)]_. La guerra è un «flagello» [Leone XIII, Allocuzione al Collegio dei Cardinali, (1899)] e non rappresenta mai un mezzo idoneo per risolvere i problemi che sorgono tra le Nazioni: «Non lo è mai stato e mai lo sarà», [Giovanni Paolo II, Incontro con gli Officiali del Vicariato di Roma (17 gennaio 1991); cfr. Id., Discorso ai Vescovi di Rito Latino della Regione Araba (1º ottobre 1990), 4] perché genera conflitti nuovi e più complessi [Cfr. Paolo VI, Discorso ai Cardinali (24 giugno 1965)]. Quando scoppia, la guerra diventa una «inutile strage» [Benedetto XV, Appello ai Capi dei popoli belligeranti (1º agosto 1917)], una «avventura senza ritorno», [Giovanni Paolo II, Preghiera per la pace durante l'Udienza Generale (16 gennaio 1991)] che compromette il presente e mette a rischio il futuro dell'umanità: «Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra» [Pio XII, Radiomessaggio (24 agosto 1939); Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1993, 4; cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris (1963)]. I danni causati da un conflitto armato non sono solamente materiali, ma anche morali. [Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 79 (1966)] La guerra è, in definitiva, «il fallimento di ogni autentico umanesimo», [Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999] «è sempre una sconfitta dell'umanità» [Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico (13 gennaio 2003), 4] «non più gli uni contro gli altri, non più, mai! ... non più la guerra, non più la guerra!» [Paolo VI, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (4 ottobre 1965)].

498 La ricerca di soluzioni alternative alla guerra per risolvere i conflitti internazionali ha assunto oggi un carattere di drammatica urgenza, poiché «la potenza terrificante dei mezzi di distruzione, accessibili perfino alle medie e piccole potenze, e la sempre più stretta connessione, esistente tra i popoli di tutta la terra, rendono assai arduo o praticamente impossibile limitare le conseguenze di un conflitto» [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 51 (1991)]. È quindi essenziale la ricerca delle cause che originano un conflitto bellico, anzitutto quelle collegate a situazioni strutturali di ingiustizia, di miseria, di sfruttamento, sulle quali bisogna intervenire con lo scopo di rimuoverle: «Per questo, l'altro nome della pace è lo sviluppo. Come esiste la responsabilità collettiva di evitare la guerra, così esiste la responsabilità collettiva di promuovere lo sviluppo» [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 52 (1991)].

499 Gli Stati non sempre dispongono degli strumenti adeguati per provvedere efficacemente alla propria difesa: da qui la necessità e l'importanza delle Organizzazioni internazionali e regionali, che devono essere in grado di collaborare per far fronte ai conflitti e favorire la pace, instaurando relazioni di fiducia reciproca capaci di rendere impensabile il ricorso alla guerra: [Cfr. Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris (1963)] «È lecito... sperare che gli uomini, incontrandosi e negoziando, abbiano a scoprire meglio i vincoli che li legano, provenienti dalla loro comune umanità, e abbiano pure a scoprire che una fra le più profonde esigenze della loro comune umanità è che tra essi e tra i rispettivi popoli regni non il timore, ma l'amore: il quale tende ad esprimersi nella collaborazione leale, multiforme, apportatrice di molti beni» [Giovanni XXIII, Lett. enc. Pacem in terris (1963)]

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GAUDIUM ET SPES (7 dicembre 1965)

PARTE II – CAPITOLO V – LA PROMOZIONE DELLA PACE E LA COMUNITÀ DELLE NAZIONI

Introduzione 77 In questi nostri anni, nei quali permangono ancora gravissime tra gli uomini le afflizioni e le angustie derivanti da guerre ora imperversanti, ora incombenti, l'intera società umana è giunta ad un momento sommamente decisivo nel processo della sua maturazione. Mentre a poco a poco l'umanità va unificandosi e in ogni luogo diventa ormai più consapevole della propria unità, non potrà tuttavia portare a compimento l'opera che l'attende, di costruire cioè un mondo più umano per tutti gli uomini e su tutta la terra, se gli uomini non si volgeranno tutti con animo rinnovato alla vera pace. Per questo motivo il messaggio evangelico, in armonia con le aspirazioni e gli ideali più elevati del genere umano, risplende in questi nostri tempi di rinnovato fulgore quando proclama beati i promotori della pace, «perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9).

Illustrando pertanto la vera e nobilissima concezione della pace, il Concilio, condannata l'inumanità della guerra, intende rivolgere un ardente appello ai cristiani, affinché con l'aiuto di Cristo, autore della pace, collaborino con tutti per stabilire tra gli uomini una pace fondata sulla giustizia e sull'amore e per apprestare i mezzi necessari per il suo raggiungimento.

La natura della pace 78 La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l'equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita a opera della giustizia » (Is 32,7). È il frutto dell'ordine impresso nella società umana dal suo divino Fondatore e che deve essere attuato dagli uomini che aspirano ardentemente ad una giustizia sempre più perfetta. Infatti il bene comune del genere umano è regolato, sì, nella sua sostanza, dalla legge eterna, ma nelle sue esigenze concrete è soggetto a continue variazioni lungo il corso del tempo; per questo la pace non è mai qualcosa di raggiunto una volta per tutte, ma è un edificio da costruirsi continuamente. Poiché inoltre la volontà umana è labile e ferita per di più dal peccato, l'acquisto della pace esige da ognuno il costante dominio delle passioni e la vigilanza della legittima autorità.

Tuttavia questo non basta. Tale pace non si può ottenere sulla terra se non è tutelato il bene delle persone e se gli uomini non possono scambiarsi con fiducia e liberamente le ricchezze del loro animo e del loro ingegno. La ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli e la loro dignità, e l'assidua pratica della fratellanza umana sono assolutamente necessarie per la costruzione della pace. In tal modo la pace è frutto anche dell'amore, il quale va oltre quanto può apportare la semplice giustizia.

La pace terrena, che nasce dall'amore del prossimo, è essa stessa immagine ed effetto della pace di Cristo che promana dal Padre. Il Figlio incarnato infatti, principe della pace, per mezzo della sua croce ha riconciliato tutti gli uomini con Dio; ristabilendo l'unità di tutti in un solo popolo e in un solo corpo, ha ucciso nella sua carne (166) l'odio e, nella gloria della sua risurrezione, ha diffuso lo Spirito di amore nel cuore degli uomini.

Pertanto tutti i cristiani sono chiamati con insistenza a praticare la verità nell'amore (Ef 4,15) e ad unirsi a tutti gli uomini sinceramente amanti della pace per implorarla dal cielo e per attuarla.

Mossi dal medesimo spirito, noi non possiamo non lodare coloro che, rinunciando alla violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono, del resto, alla portata anche dei più deboli, purché ciò si possa fare senza pregiudizio dei diritti e dei doveri degli altri o della comunità.

Gli uomini, in quanto peccatori, sono e saranno sempre sotto la minaccia della guerra fino alla venuta di Cristo; ma in quanto riescono, uniti nell'amore, a vincere i1 peccato essi vincono anche la violenza, fino alla realizzazione di quella parola divina «Con le loro spade costruiranno aratri e falci con le loro lance; nessun popolo prenderà più le armi contro un altro popolo, né si eserciteranno più per la guerra» (Is 2,4).

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Approfondimenti

Durante la prima sessione del Vaticano II papa Giovanni XXIII pubblicò l’enciclica “Pacem in terris” (11 aprile 1963), nella quale affrontò il tema di quell’«anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi« (n. 1) che è la convivenza pacifica tra gli individui, le famiglie, i popoli, e nell’intera famiglia umana. In essa sosteneva che «al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si deve sostituire il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia» (n. 61). Faceva anche un accorato invito: «Come vicario di Gesù Cristo, Salvatore del mondo e artefice della pace, e come interprete dell’anelito più profondo dell’intera famiglia umana, seguendo l’impulso del nostro animo, preso dall’ansia di bene per tutti, ci sentiamo in dovere di scongiurare gli uomini, soprattutto quelli che sono investiti di responsabilità pubbliche, a non risparmiare fatiche per imprimere alle cose un corso ragionevole ed umano» (n. 63). Il Vaticano II diede chiari segni di condividere la stessa “ansia di bene per tutti” anzitutto nel suo Messaggio iniziale del 20 ottobre 1962, nel quale dichiarò di voler tenere in gran conto tutto quello che compete alla dignità dell’uomo e quello che contribuisce alla vera fraternità dei popoli, particolarmente la pace tra essi e la giustizia sociale, e poi nella Costituzione “Gaudium et Spes”, nella quale dedicò la prima sessione del suo ultimo capitolo precisamente al tema della promozione della pace.

La Costituzione inizia, descrivendo la situazione mondiale da questo punto di vista. Si può dire che la situazione non sembra essere fondamentalmente cambiata dopo i decenni da allora trascorsi ma la presa di posizione della Costituzione davanti alla panoramica sembra dover cambiare: «Tutte queste cose ci obbligano a considerare l’argomento della guerra con mentalità completamente nuova» (n. 80). L’avverbio che affianca l’aggettivo rivela una volontà di accentuazione molto forte: non basta la novità, ci vuole una “completa” novità nella mentalità. Il tema della pace non può, quindi, essere affrontato come veniva affrontato finora. Quali sono le novità? Anzitutto, quella specie di definizione che la Costituzione dà della stessa pace. Si tratta di una sua “vera e nobilissima concezione”, come viene detto nel n. 77. Superando, infatti, una visione meramente negativa di essa che prevalse per secoli tanto nella società quanto nella Chiesa, afferma: «La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita “opera della giustizia” (Is 32,7)».

L’associazione della pace alla giustizia, già presente nei testi profetici veterotestamentari, come si desume per esempio dalla citazione del profeta Isaia fatta nel testo, ritorna incalzante nel pensiero conciliare. Come a dire che non ci si può illudere di avere pace se non si coltivano i giusti rapporti tra gli individui, i gruppi e le nazioni. O, ancora, che ogni ingiustizia è un semenzaio di guerra. Anche l’apparente “tranquillità dell’ordine” – definizione agostiniana della pace – può covare la guerra, proprio perché essa può essere solo una copertura dell’ingiustizia. Tardi o presto tale pseudo-pace è destinata a scoppiare.

L’aver vincolato in questo modo la pace e la giustizia, in tutta l’estensione della parola, richiama ad una responsabilità quasi sconfinata. La giustizia, infatti, ha a che fare con gli atteggiamenti, con le programmazioni e con le azioni della vita di ogni giorno e dei momenti nodali della vita collettiva. Perché è proprio in tutto questo vasto ambito che essa è messa alla prova e sfidata. Solo se si coltiverà in esso la giustizia si potrà avere la tanto desiderata pace.

Una seconda novità è data dalla netta condanna che la Costituzione fa della guerra totale. Per secoli si era parlato, anche nella Chiesa, di una guerra “giusta”; ora il Vaticano II, facendo proprie le condanne già pronunciate dai recenti papi dichiara: «Ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione» (n. 80).

Un doppio fondamento sorregge, come si vede, tale condanna. Religioso l’uno, umano l’altro. L’atto di guerra ha una dimensione religiosa perché è “delitto contro Dio”, e una dimensione umana perché è “delitto contro la stessa umanità”. Il testo non spiega la relazione esistente tra i due, ma non è difficile coglierla se si tiene presente la visione evangelica delle cose che sottostà all’intera Costituzione. Alla sua luce si può dire che la guerra è delitto contro Dio proprio perché è delitto contro l’umanità, dato che, stando al Vangelo del giudizio finale, ciò che viene fatto o non viene fatto all’uomo viene fatto o non fatto a Dio stesso (Mt 25,31-46). Così, quello che alla luce della ragione è un semplice atto umano negativo (la guerra, con le sue tristi conseguenze), acquista una dimensione teologalmente negativa. Ed è proprio questa visione religiosa e umana di ogni intervento bellico mirato indiscriminatamente alla distruzione che fonda lo rende illegittimo.

Ovviamente, sostiene ancora la Costituzione, questa radicale condanna non elimina il diritto alla legittima difesa dei popoli in caso di venire aggrediti. «La guerra non è purtroppo estirpata dalla umana condizione. E fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un’autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa. I capi di Stato e coloro che condividono la responsabilità della cosa pubblica hanno dunque il dovere di tutelare la salvezza dei popoli che sono stati loro affidati, trattando con grave senso di responsabilità cose di così grande importanza. Ma una cosa è servirsi delle armi per difendere i giusti diritti dei popoli, ed altra cosa voler imporre il proprio dominio su altre nazioni» (n. 79).

Come si vede, il documento conciliare sembra sopportare a mala pena l’appello alla legittima difesa. Ne accetta l’uso, ma solo perché e fintantoché non ci sarà “un’autorità internazionale competente”. L’esistenza di una tale autorità lo renderebbe, quindi, obsoleto. Il che permette di intravedere pure quale sia l’auspicio del concilio: la creazione di una autorità del genere, che sia dotata di efficace potere per garantire a tutti i popoli sicurezza, osservanza della giustizia e rispetto dei diritti.

Tratto da: La pace universale nella “Gaudium et Spes” di Luis A. Gallo, Note di Pastorale Giovanile, maggio 2003.


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