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DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GAUDIUM ET SPES (7 dicembre 1965)

PARTE II – CAPITOLO V – LA PROMOZIONE DELLA PACE E LA COMUNITÀ DELLE NAZIONI

Introduzione 77 In questi nostri anni, nei quali permangono ancora gravissime tra gli uomini le afflizioni e le angustie derivanti da guerre ora imperversanti, ora incombenti, l'intera società umana è giunta ad un momento sommamente decisivo nel processo della sua maturazione. Mentre a poco a poco l'umanità va unificandosi e in ogni luogo diventa ormai più consapevole della propria unità, non potrà tuttavia portare a compimento l'opera che l'attende, di costruire cioè un mondo più umano per tutti gli uomini e su tutta la terra, se gli uomini non si volgeranno tutti con animo rinnovato alla vera pace. Per questo motivo il messaggio evangelico, in armonia con le aspirazioni e gli ideali più elevati del genere umano, risplende in questi nostri tempi di rinnovato fulgore quando proclama beati i promotori della pace, «perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9).

Illustrando pertanto la vera e nobilissima concezione della pace, il Concilio, condannata l'inumanità della guerra, intende rivolgere un ardente appello ai cristiani, affinché con l'aiuto di Cristo, autore della pace, collaborino con tutti per stabilire tra gli uomini una pace fondata sulla giustizia e sull'amore e per apprestare i mezzi necessari per il suo raggiungimento.

La natura della pace 78 La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l'equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita a opera della giustizia » (Is 32,7). È il frutto dell'ordine impresso nella società umana dal suo divino Fondatore e che deve essere attuato dagli uomini che aspirano ardentemente ad una giustizia sempre più perfetta. Infatti il bene comune del genere umano è regolato, sì, nella sua sostanza, dalla legge eterna, ma nelle sue esigenze concrete è soggetto a continue variazioni lungo il corso del tempo; per questo la pace non è mai qualcosa di raggiunto una volta per tutte, ma è un edificio da costruirsi continuamente. Poiché inoltre la volontà umana è labile e ferita per di più dal peccato, l'acquisto della pace esige da ognuno il costante dominio delle passioni e la vigilanza della legittima autorità.

Tuttavia questo non basta. Tale pace non si può ottenere sulla terra se non è tutelato il bene delle persone e se gli uomini non possono scambiarsi con fiducia e liberamente le ricchezze del loro animo e del loro ingegno. La ferma volontà di rispettare gli altri uomini e gli altri popoli e la loro dignità, e l'assidua pratica della fratellanza umana sono assolutamente necessarie per la costruzione della pace. In tal modo la pace è frutto anche dell'amore, il quale va oltre quanto può apportare la semplice giustizia.

La pace terrena, che nasce dall'amore del prossimo, è essa stessa immagine ed effetto della pace di Cristo che promana dal Padre. Il Figlio incarnato infatti, principe della pace, per mezzo della sua croce ha riconciliato tutti gli uomini con Dio; ristabilendo l'unità di tutti in un solo popolo e in un solo corpo, ha ucciso nella sua carne (166) l'odio e, nella gloria della sua risurrezione, ha diffuso lo Spirito di amore nel cuore degli uomini.

Pertanto tutti i cristiani sono chiamati con insistenza a praticare la verità nell'amore (Ef 4,15) e ad unirsi a tutti gli uomini sinceramente amanti della pace per implorarla dal cielo e per attuarla.

Mossi dal medesimo spirito, noi non possiamo non lodare coloro che, rinunciando alla violenza nella rivendicazione dei loro diritti, ricorrono a quei mezzi di difesa che sono, del resto, alla portata anche dei più deboli, purché ciò si possa fare senza pregiudizio dei diritti e dei doveri degli altri o della comunità.

Gli uomini, in quanto peccatori, sono e saranno sempre sotto la minaccia della guerra fino alla venuta di Cristo; ma in quanto riescono, uniti nell'amore, a vincere i1 peccato essi vincono anche la violenza, fino alla realizzazione di quella parola divina «Con le loro spade costruiranno aratri e falci con le loro lance; nessun popolo prenderà più le armi contro un altro popolo, né si eserciteranno più per la guerra» (Is 2,4).

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Approfondimenti

Durante la prima sessione del Vaticano II papa Giovanni XXIII pubblicò l’enciclica “Pacem in terris” (11 aprile 1963), nella quale affrontò il tema di quell’«anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi« (n. 1) che è la convivenza pacifica tra gli individui, le famiglie, i popoli, e nell’intera famiglia umana. In essa sosteneva che «al criterio della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si deve sostituire il principio che la vera pace si può costruire soltanto nella vicendevole fiducia» (n. 61). Faceva anche un accorato invito: «Come vicario di Gesù Cristo, Salvatore del mondo e artefice della pace, e come interprete dell’anelito più profondo dell’intera famiglia umana, seguendo l’impulso del nostro animo, preso dall’ansia di bene per tutti, ci sentiamo in dovere di scongiurare gli uomini, soprattutto quelli che sono investiti di responsabilità pubbliche, a non risparmiare fatiche per imprimere alle cose un corso ragionevole ed umano» (n. 63). Il Vaticano II diede chiari segni di condividere la stessa “ansia di bene per tutti” anzitutto nel suo Messaggio iniziale del 20 ottobre 1962, nel quale dichiarò di voler tenere in gran conto tutto quello che compete alla dignità dell’uomo e quello che contribuisce alla vera fraternità dei popoli, particolarmente la pace tra essi e la giustizia sociale, e poi nella Costituzione “Gaudium et Spes”, nella quale dedicò la prima sessione del suo ultimo capitolo precisamente al tema della promozione della pace.

La Costituzione inizia, descrivendo la situazione mondiale da questo punto di vista. Si può dire che la situazione non sembra essere fondamentalmente cambiata dopo i decenni da allora trascorsi ma la presa di posizione della Costituzione davanti alla panoramica sembra dover cambiare: «Tutte queste cose ci obbligano a considerare l’argomento della guerra con mentalità completamente nuova» (n. 80). L’avverbio che affianca l’aggettivo rivela una volontà di accentuazione molto forte: non basta la novità, ci vuole una “completa” novità nella mentalità. Il tema della pace non può, quindi, essere affrontato come veniva affrontato finora. Quali sono le novità? Anzitutto, quella specie di definizione che la Costituzione dà della stessa pace. Si tratta di una sua “vera e nobilissima concezione”, come viene detto nel n. 77. Superando, infatti, una visione meramente negativa di essa che prevalse per secoli tanto nella società quanto nella Chiesa, afferma: «La pace non è la semplice assenza della guerra, né può ridursi unicamente a rendere stabile l’equilibrio delle forze avverse; essa non è effetto di una dispotica dominazione, ma viene con tutta esattezza definita “opera della giustizia” (Is 32,7)».

L’associazione della pace alla giustizia, già presente nei testi profetici veterotestamentari, come si desume per esempio dalla citazione del profeta Isaia fatta nel testo, ritorna incalzante nel pensiero conciliare. Come a dire che non ci si può illudere di avere pace se non si coltivano i giusti rapporti tra gli individui, i gruppi e le nazioni. O, ancora, che ogni ingiustizia è un semenzaio di guerra. Anche l’apparente “tranquillità dell’ordine” – definizione agostiniana della pace – può covare la guerra, proprio perché essa può essere solo una copertura dell’ingiustizia. Tardi o presto tale pseudo-pace è destinata a scoppiare.

L’aver vincolato in questo modo la pace e la giustizia, in tutta l’estensione della parola, richiama ad una responsabilità quasi sconfinata. La giustizia, infatti, ha a che fare con gli atteggiamenti, con le programmazioni e con le azioni della vita di ogni giorno e dei momenti nodali della vita collettiva. Perché è proprio in tutto questo vasto ambito che essa è messa alla prova e sfidata. Solo se si coltiverà in esso la giustizia si potrà avere la tanto desiderata pace.

Una seconda novità è data dalla netta condanna che la Costituzione fa della guerra totale. Per secoli si era parlato, anche nella Chiesa, di una guerra “giusta”; ora il Vaticano II, facendo proprie le condanne già pronunciate dai recenti papi dichiara: «Ogni atto di guerra, che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione» (n. 80).

Un doppio fondamento sorregge, come si vede, tale condanna. Religioso l’uno, umano l’altro. L’atto di guerra ha una dimensione religiosa perché è “delitto contro Dio”, e una dimensione umana perché è “delitto contro la stessa umanità”. Il testo non spiega la relazione esistente tra i due, ma non è difficile coglierla se si tiene presente la visione evangelica delle cose che sottostà all’intera Costituzione. Alla sua luce si può dire che la guerra è delitto contro Dio proprio perché è delitto contro l’umanità, dato che, stando al Vangelo del giudizio finale, ciò che viene fatto o non viene fatto all’uomo viene fatto o non fatto a Dio stesso (Mt 25,31-46). Così, quello che alla luce della ragione è un semplice atto umano negativo (la guerra, con le sue tristi conseguenze), acquista una dimensione teologalmente negativa. Ed è proprio questa visione religiosa e umana di ogni intervento bellico mirato indiscriminatamente alla distruzione che fonda lo rende illegittimo.

Ovviamente, sostiene ancora la Costituzione, questa radicale condanna non elimina il diritto alla legittima difesa dei popoli in caso di venire aggrediti. «La guerra non è purtroppo estirpata dalla umana condizione. E fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un’autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa. I capi di Stato e coloro che condividono la responsabilità della cosa pubblica hanno dunque il dovere di tutelare la salvezza dei popoli che sono stati loro affidati, trattando con grave senso di responsabilità cose di così grande importanza. Ma una cosa è servirsi delle armi per difendere i giusti diritti dei popoli, ed altra cosa voler imporre il proprio dominio su altre nazioni» (n. 79).

Come si vede, il documento conciliare sembra sopportare a mala pena l’appello alla legittima difesa. Ne accetta l’uso, ma solo perché e fintantoché non ci sarà “un’autorità internazionale competente”. L’esistenza di una tale autorità lo renderebbe, quindi, obsoleto. Il che permette di intravedere pure quale sia l’auspicio del concilio: la creazione di una autorità del genere, che sia dotata di efficace potere per garantire a tutti i popoli sicurezza, osservanza della giustizia e rispetto dei diritti.

Tratto da: La pace universale nella “Gaudium et Spes” di Luis A. Gallo, Note di Pastorale Giovanile, maggio 2003.


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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GAUDIUM ET SPES (7 dicembre 1965)

PARTE II – CAPITOLO IV – LA VITA DELLA COMUNITÀ POLITICA

La vita pubblica contemporanea 73 Ai nostri giorni si notano profonde trasformazioni anche nelle strutture e nelle istituzioni dei popoli; tali trasformazioni sono conseguenza della evoluzione culturale, economica e sociale dei popoli. Esse esercitano una grande influenza, soprattutto nel campo che riguarda i diritti e i doveri di tutti nell'esercizio della libertà civile e nel conseguimento del bene comune, come pure in ciò che si riferisce alla regolazione dei rapporti dei cittadini tra di loro e con i pubblici poteri.

Da una coscienza più viva della dignità umana sorge, in diverse regioni del mondo, lo sforzo di instaurare un ordine politico-giuridico nel quale siano meglio tutelati nella vita pubblica i diritti della persona: ad esempio, il diritto di liberamente riunirsi, associarsi, esprimere le proprie opinioni e professare la religione in privato e in pubblico. La tutela, infatti dei diritti della persona è condizione necessaria perché i cittadini, individualmente o in gruppo, possano partecipare attivamente alla vita e al governo della cosa pubblica.

Assieme al progresso culturale, economico e sociale, si rafforza in molti il desiderio di assumere maggiori responsabilità nell'organizzare la vita della comunità politica.

Nella coscienza di molti aumenta la preoccupazione di salvaguardare i diritti delle minoranze di una nazione, senza che queste dimentichino il loro dovere verso la comunità politica. Cresce inoltre il rispetto verso le persone che hanno altre opinioni o professano religioni diverse. Contemporaneamente si instaura una più larga collaborazione, tesa a garantire a tutti i cittadini, e non solo a pochi privilegiati, l'effettivo godimento dei diritti personali.

Vengono condannate tutte quelle forme di regime politico, vigenti in alcune regioni, che impediscono la libertà civile o religiosa, moltiplicano le vittime delle passioni e dei crimini politici e distorcono l'esercizio dell'autorità dal bene comune per farlo servire all'interesse di una fazione o degli stessi governanti.

Per instaurare una vita politica veramente umana non c'è niente di meglio che coltivare il senso interiore della giustizia, dell'amore e del servizio al bene comune e rafforzare le convinzioni fondamentali sulla vera natura della comunità politica e sul fine, sul buon esercizio e sui limiti di competenza dell'autorità pubblica.

Natura e fine della comunità politica 74 Gli uomini, le famiglie e i diversi gruppi che formano la comunità civile sono consapevoli di non essere in grado, da soli, di costruire una vita capace di rispondere pienamente alle esigenze della natura umana e avvertono la necessità di una comunità più ampia, nella quale tutti rechino quotidianamente il contributo delle proprie capacità, allo scopo di raggiungere sempre meglio il bene comune [Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra (1961)].

Per questo essi costituiscono, secondo vari tipi istituzionali, una comunità politica.

La comunità politica esiste dunque in funzione di quel bene comune, nel quale essa trova significato e piena giustificazione e che costituisce la base originaria del suo diritto all'esistenza.

Il bene comune si concreta nell'insieme di quelle condizioni di vita sociale che consentono e facilitano agli esseri umani, alle famiglie e alle associazioni il conseguimento più pieno della loro perfezione [Cf. Rm 13,1-5].

Ma nella comunità politica si riuniscono insieme uomini numerosi e differenti, che legittimamente possono indirizzarsi verso decisioni diverse. Affinché la comunità politica non venga rovinata dal divergere di ciascuno verso la propria opinione, è necessaria un'autorità capace di dirigere le energie di tutti i cittadini verso il bene comune, non in forma meccanica o dispotica, ma prima di tutto come forza morale che si appoggia sulla libertà e sul senso di responsabilità.

È dunque evidente che la comunità politica e l'autorità pubblica hanno il loro fondamento nella natura umana e perciò appartengono all'ordine fissato da Dio, anche se la determinazione dei regimi politici e la designazione dei governanti sono lasciate alla libera decisione dei cittadini [Cf. Rm 13,5].

Ne segue parimenti che l'esercizio dell'autorità politica, sia da parte della comunità come tale, sia da parte degli organismi che rappresentano lo Stato, deve sempre svolgersi nell'ambito dell'ordine morale, per il conseguimento del bene comune (ma concepito in forma dinamica), secondo le norme di un ordine giuridico già definito o da definire. Allora i cittadini sono obbligati in coscienza ad obbedire [Cf. PIO XII, Messaggio radiof., 24 dic. 1942 Con sempre nuova freschezza; GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris (1963)]. Da ciò risulta chiaramente la responsabilità, la dignità e 1 importanza del ruolo di coloro che governano.

Dove i cittadini sono oppressi da un'autorità pubblica che va al di là delle sue competenze, essi non rifiutino ciò che è oggettivamente richiesto dal bene comune; sia però lecito difendere i diritti propri e dei concittadini contro gli abusi dell'autorità, nel rispetto dei limiti dettati dalla legge naturale e dal Vangelo.

Le modalità concrete con le quali la comunità politica organizza le proprie strutture e l'equilibrio dei pubblici poteri possono variare, secondo l'indole dei diversi popoli e il cammino della storia; ma sempre devono mirare alla formazione di un uomo educato, pacifico e benevolo verso tutti, per il vantaggio di tutta la famiglia umana.

Collaborazione di tutti alla vita pubblica 75 È pienamente conforme alla natura umana che si trovino strutture giuridico-politiche che sempre meglio offrano a tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione, la possibilità effettiva di partecipare liberamente e attivamente sia alla elaborazione dei fondamenti giuridici della comunità politica, sia al governo degli affari pubblici, sia alla determinazione del campo d'azione e dei limiti dei differenti organismi, sia alla elezione dei governanti [Cf. PIO XII, Messaggio radiof., 1° giu. 1941; GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, I c.].

Si ricordino perciò tutti i cittadini del diritto, che è anche dovere, di usare del proprio libero voto per la promozione del bene comune [Cf. GIOVANNI XXIII, Lett. Encicl. Mater et Magistra(1961)].

La Chiesa stima degna di lode e di considerazione l'opera di coloro che, per servire gli uomini, si dedicano al bene della cosa pubblica e assumono il peso delle relative responsabilità.

Affinché la collaborazione di cittadini responsabili possa ottenere felici risultati nella vita politica quotidiana, si richiede un ordinamento giuridico positivo, che organizzi una opportuna ripartizione delle funzioni e degli organi del potere, insieme ad una protezione efficace dei diritti, indipendente da chiunque.

I diritti delle persone, delle famiglie e dei gruppi e il loro esercizio devono essere riconosciuti, rispettati e promossi non meno dei doveri ai quali ogni cittadino è tenuto. Tra questi ultimi non sarà inutile ricordare il dovere di apportare allo Stato i servizi, materiali e personali, richiesti dal bene comune.

Si guardino i governanti dall'ostacolare i gruppi familiari, sociali o culturali, i corpi o istituti intermedi, né li privino delle loro legittime ed efficaci attività, che al contrario devono volentieri e ordinatamente favorire.

Quanto ai cittadini, individualmente o in gruppo, evitino di attribuire un potere eccessivo all'autorità pubblica, né chiedano inopportunamente ad essa troppi servizi e troppi vantaggi, col rischio di diminuire così la responsabilità delle persone, delle famiglie e dei gruppi sociali.

Ai tempi nostri, la complessità dei problemi obbliga i pubblici poteri ad intervenire più frequentemente in materia sociale, economica e culturale, per determinare le condizioni più favorevoli che permettano ai cittadini e ai gruppi di perseguire più efficacemente, nella libertà, il bene completo dell'uomo. Il rapporto tra la socializzazione [Cf. PIO XI, Discorso Ai dirigenti della Federazione Universitaria cattolica: Discorsi di Pio XI: ed. Bertetto, Torino, vol. I, 1960, p. 743.] l'autonomia e lo sviluppo della persona può essere concepito in modo differente nelle diverse regioni del mondo e in base alla evoluzione dei popoli. Ma dove l'esercizio dei diritti viene temporaneamente limitato in vista del bene comune, si ripristini al più presto possibile la libertà quando le circostanze sono cambiate. È in ogni caso inumano che l'autorità politica assuma forme totalitarie, oppure forme dittatoriali che ledano i diritti della persona o dei gruppi sociali.

I cittadini coltivino con magnanimità e lealtà l'amore verso la patria, ma senza grettezza di spirito, cioè in modo tale da prendere anche contemporaneamente in considerazione il bene di tutta la famiglia umana, di tutte le razze, popoli e nazioni, che sono unite da innumerevoli legami.

Tutti i cristiani devono prendere coscienza della propria speciale vocazione nella comunità politica; essi devono essere d'esempio, sviluppando in se stessi il senso della responsabilità e la dedizione al bene comune, così da mostrare con i fatti come possano armonizzarsi l'autorità e la libertà, l'iniziativa personale e la solidarietà di tutto il corpo sociale, la opportuna unità e la proficua diversità. In ciò che concerne l'organizzazione delle cose terrene, devono ammettere la legittima molteplicità e diversità delle opzioni temporali e rispettare i cittadini che, anche in gruppo, difendono in maniera onesta il loro punto di vista.

I partiti devono promuovere ciò che, a loro parere, è richiesto dal bene comune; mai però è lecito anteporre il proprio interesse a tale bene.

Bisogna curare assiduamente la educazione civica e politica, oggi particolarmente necessaria, sia per l'insieme del popolo, sia soprattutto per i giovani, affinché tutti i cittadini possano svolgere il loro ruolo nella vita della comunità politica. Coloro che sono o possono diventare idonei per l'esercizio dell'arte politica, così difficile, ma insieme così nobile [Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, n. 13 (1965)]. Vi si preparino e si preoccupino di esercitarla senza badare al proprio interesse e a vantaggi materiali. Agiscono con integrità e saggezza contro l'ingiustizia e l'oppressione, l'assolutismo e l'intolleranza d'un solo uomo e d'un solo partito politico; si prodighino con sincerità ed equità al servizio di tutti, anzi con l'amore e la fortezza richiesti dalla vita politica.

La comunità politica e la Chiesa 76 È di grande importanza, soprattutto in una società pluralista, che si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla loro coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori.

La Chiesa che, in ragione del suo ufficio e della sua competenza, in nessuna maniera si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico, è insieme il segno e la salvaguardia del carattere trascendente della persona umana.

La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall'altra nel proprio campo. Ma tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale e sociale degli stessi uomini. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace, quanto più coltiveranno una sana collaborazione tra di loro, secondo modalità adatte alle circostanze di luogo e di tempo. L'uomo infatti non è limitato al solo orizzonte temporale, ma, vivendo nella storia umana, conserva integralmente la sua vocazione eterna.

Quanto alla Chiesa, fondata nell'amore del Redentore, essa contribuisce ad estendere il raggio d'azione della giustizia e dell'amore all'interno di ciascuna nazione e tra le nazioni. Predicando la verità evangelica e illuminando tutti i settori dell'attività umana con la sua dottrina e con la testimonianza resa dai cristiani, rispetta e promuove anche la libertà politica e la responsabilità dei cittadini.

Gli apostoli e i loro successori con i propri collaboratori, essendo inviati ad annunziare agli uomini il Cristo Salvatore del mondo, nell'esercizio del loro apostolato si appoggiano sulla potenza di Dio, che molto spesso manifesta la forza del Vangelo nella debolezza dei testimoni. Bisogna che tutti quelli che si dedicano al ministero della parola di Dio, utilizzino le vie e i mezzi propri del Vangelo, i quali differiscono in molti punti dai mezzi propri della città terrestre.

Certo, le cose terrene e quelle che, nella condizione umana, superano questo mondo, sono strettamente unite, e la Chiesa stessa si serve di strumenti temporali nella misura in cui la propria missione lo richiede. Tuttavia essa non pone la sua speranza nei privilegi offertigli dall'autorità civile. Anzi, essa rinunzierà all'esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso può far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni.

Ma sempre e dovunque, e con vera libertà, è suo diritto predicare la fede e insegnare la propria dottrina sociale, esercitare senza ostacoli la propria missione tra gli uomini e dare il proprio giudizio morale, anche su cose che riguardano l'ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime. E farà questo utilizzando tutti e soli quei mezzi che sono conformi al Vangelo e in armonia col bene di tutti, secondo la diversità dei tempi e delle situazioni.

Nella fedeltà del Vangelo e nello svolgimento della sua missione nel mondo, la Chiesa, che ha come compito di promuovere ed elevare tutto quello che di vero, buono e bello si trova nella comunità umana [Cf. Lc 2,14] rafforza la pace tra gli uomini a gloria di Dio [Cf. Ef 2,16; Col 1,20-22].


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Sezione 2: Alcuni principi relativi all'insieme della vita economico-sociale

Lavoro, condizione di lavoro e tempo libero 67 Il lavoro umano, con cui si producono e si scambiano beni o si prestano servizi economici, è di valore superiore agli altri elementi della vita economica, poiché questi hanno solo valore di strumento.

Tale lavoro, infatti, sia svolto in forma indipendente sia per contratto con un imprenditore, procede direttamente dalla persona, la quale imprime nella natura quasi il suo sigillo e la sottomette alla sua volontà. Con il lavoro, l'uomo provvede abitualmente al sostentamento proprio e dei suoi familiari, comunica con gli altri, rende un servizio agli uomini suoi fratelli e può praticare una vera carità e collaborare attivamente al completamento della divina creazione. Ancor più: sappiamo per fede che l'uomo, offrendo a Dio il proprio lavoro, si associa all'opera stessa redentiva di Cristo, il quale ha conferito al lavoro una elevatissima dignità, lavorando con le proprie mani a Nazareth. Di qui discendono, per ciascun uomo, il dovere di lavorare fedelmente, come pure il diritto al lavoro. Corrispondentemente è compito della società, in rapporto alle condizioni in essa esistenti, aiutare da parte sua i cittadini a trovare sufficiente occupazione. Infine il lavoro va rimunerato in modo tale da garantire i mezzi sufficienti per permettere al singolo e alla sua famiglia una vita dignitosa su un piano materiale, sociale, culturale e spirituale, tenuto conto del tipo di attività e grado di rendimento economico di ciascuno, nonché delle condizioni dell'impresa e del bene comune [Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra (1961); il termine “curatione” [=conduzione] è desunto dal testo latino dell’Encicl. Quadragesimo anno (1931). Riguardo all’evoluzione del problema cf. anche: PIO XII, Discorso 3 giugno 1950; PAOLO VI, Discorso, 8 giugno 1964].

Poiché l'attività economica è per lo più realizzata in gruppi produttivi in cui si uniscono molti uomini, è ingiusto ed inumano organizzarla con strutture ed ordinamenti che siano a danno di chi vi operi. Troppo spesso avviene invece, anche ai nostri giorni, che i lavoratori siano in un certo senso asserviti alle proprie opere. Ciò non trova assolutamente giustificazione nelle cosiddette leggi economiche. Occorre dunque adattare tutto il processo produttivo alle esigenze della persona e alle sue forme di vita, innanzitutto della sua vita domestica, particolarmente in relazione alle madri di famiglia, sempre tenendo conto del sesso e dell'età di ciascuno. Ai lavoratori va assicurata inoltre la possibilità di sviluppare le loro qualità e di esprimere la loro personalità nell'esercizio stesso del lavoro. Pur applicando a tale attività lavorativa, con doverosa responsabilità, tempo ed energie, tutti i lavoratori debbono però godere di sufficiente riposo e tempo libero, che permetta loro di curare la vita familiare, culturale, sociale e religiosa. Anzi, debbono avere la possibilità di dedicarsi ad attività libere che sviluppino quelle energie e capacità, che non hanno forse modo di coltivare nel loro lavoro professionale.

Partecipazione nell'impresa e nell'indirizzo economico generale; conflitti di lavoro 68 Nelle imprese economiche si uniscono delle persone, cioè uomini liberi ed autonomi, creati ad immagine di Dio. Perciò, prendendo in considerazione le funzioni di ciascuno – sia proprietari, sia imprenditori, sia dirigenti, sia operai – e salva la necessaria unità di direzione dell'impresa, va promossa, in forme da determinarsi in modo adeguato, la attiva partecipazione di tutti alla gestione dell'impresa [Cf. PIO XII, Encicl. Sertum laetitiae (1939); GIOVANNI XXIII, Discorso concistoriale (1960); Encicl. Mater et Magistra (1961)]. Poiché, tuttavia, in molti casi non è più a livello dell'impresa, ma a livello superiore in istituzioni di ordine più elevato, che si prendono le decisioni economiche e sociali da cui dipende l'avvenire dei lavoratori e dei loro figli, bisogna che essi siano parte attiva anche in tali decisioni, direttamente o per mezzo di rappresentanti liberamente eletti.

Tra i diritti fondamentali della persona umana bisogna annoverare il diritto dei lavoratori di fondare liberamente proprie associazioni, che possano veramente rappresentarli e contribuire ad organizzare rettamente la vita economica, nonché il diritto di partecipare liberamente alle attività di tali associazioni senza incorrere nel rischio di rappresaglie. Grazie a tale partecipazione organizzata, congiunta con una formazione economica e sociale crescente, andrà sempre più aumentando in tutti la coscienza della propria funzione e responsabilità: essi saranno così portati a sentirsi parte attiva, secondo le capacità e le attitudini di ciascuno, in tutta l'opera dello sviluppo economico e sociale e della realizzazione del bene comune universale.

In caso di conflitti economico-sociali, si deve fare ogni sforzo per giungere a una soluzione pacifica. Benché sempre si debba ricorrere innanzitutto a un dialogo sincero tra le parti, lo sciopero può tuttavia rimanere anche nelle circostanze odierne un mezzo necessario, benché estremo, per la difesa dei propri diritti e la soddisfazione delle giuste aspirazioni dei lavoratori. Bisogna però cercare quanto prima le vie atte a riprendere il dialogo per le trattative e la conciliazione.

I beni della terra e loro destinazione a tutti gli uomini 69 Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all'uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i beni creati debbono essere partecipati equamente a tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità [Cf. S. TOMMASO, Summa Theol., II-II, q. 32, a. 5 ad 2; Ibid. q. 66, a. 2; cf. la spiegazione in LEONE XIII, Encicl. Rerum Novarum; cf. anche PIO XII, Discorso 1° giugno 1941; Messaggio radiofonico natalizio Ecce ego declinabo 1954]. Pertanto, quali che siano le forme della proprietà, adattate alle legittime istituzioni dei popoli secondo circostanze diverse e mutevoli, si deve sempre tener conto di questa destinazione universale dei beni. L'uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui ma anche agli altri [Cf. S. BASILIO, Hom. in illud Lucae: Destruam horrea mea, n. 2: PG 31, 263; LATTANZIO, Divinarum Institutionum, lib. V, sulla giustizia: PL 6: 565B; S. AGOSTINO, In Ioann. Ev., tr. 50, n. 6: PL 35, 1760; ID., Enarratio in Ps. CXLVII, 12: PL 37, 1922; S. GREGORIO M., Homiliae in Ev., om. 20, 12: PL 76, 1165; ID., Regulae Pastoralis liber, pars III, c. 21: PL 77, 87; S. BONAVENTURA, In III Sent., d. 33, dub. 1: ed. Quaracchi III, 728; ID., In IV Sent., d. 15, p. II, a. 2, q. 1: ibid., IV, 371b; Quaest. de superfluo: ms. Assisi, Bibl. comun. 186, ff. 112a-113a; S. ALBERTO M., In III Sent, d. 33, a. 3, sol. I: Ed. Borgnet XXVIII, 611; ID., In IV Sent., d. 15, a. 16: ibid., XXIX, 494-497. Quanto alla determinazione del superfluo ai nostri tempi, cf. GIOVANNI XXIII, Messaggio radiotelevisivo 11 sett. 1962: “Dovere di ogni uomo, dovere impellente del cristiano è di considerare il superfluo con la misura delle necessità altrui, e di ben vigilare perché l’amministrazione e la distribuzione dei beni creati venga posta a vantaggio di tutti”]. Del resto, a tutti gli uomini spetta il diritto di avere una parte di beni sufficienti a sé e alla propria famiglia. Questo ritenevano giusto i Padri e dottori della Chiesa, i quali insegnavano che gli uomini hanno l'obbligo di aiutare i poveri, e non soltanto con il loro superfluo [Vale in tal caso l’antico principio: “In estrema necessità tutto è in comune, cioè da comunicare”. D’altra parte, per il criterio, l’estensione e il modo con cui si applica il principio proposto nel testo, oltre ai sicuri autori moderni, cf. S. TOMMASO, Summa Theol., II-II, q. 66, a. 7. Com’è evidente, per una corretta applicazione del principio, si devono osservare tutte le condizioni moralmente richieste]. Colui che si trova in estrema necessità, ha diritto di procurarsi il necessario dalle ricchezze altrui [Cf. Gratiani Decretum, c. 21, dist. LXXXVI: ed. Friedberg, I, 302. Questo detto si trova già in PL 54, 491A e in PL 56, 1132B. Cf. in Antonianum 27 (1952), pp. 349-366]. Considerando il fatto del numero assai elevato di coloro che nel mondo intero sono oppressi dalla fame, il sacro Concilio richiama urgentemente tutti, sia singoli che autorità pubbliche, affinché – memori della sentenza dei Padri: «Dà da mangiare a colui che è moribondo per fame, perché se non gli avrai dato da mangiare, lo avrai ucciso» [Cf. LEONE XIII, Encicl. Rerum Novarum; PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno (1931); PIO XII, Messaggio radiofonico 1° giugno 1941; ID., Messaggio radiofonico nella vigilia del Natale del Signore 1942 Con sempre nuova freschezza; ID., Messaggio radiofonico, 1° set. 1944 Oggi al compiersi (1944); GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra (1961)] realmente mettano a disposizione ed impieghino utilmente i propri beni, ciascuno secondo le proprie risorse, specialmente fornendo ai singoli e ai popoli i mezzi con cui essi possano provvedere a se stessi e svilupparsi.

Nelle società economicamente meno sviluppate, frequentemente la destinazione comune dei beni è in parte attuata mediante un insieme di consuetudini e di tradizioni comunitarie, che assicurano a ciascun membro i beni più necessari. Bisogna certo evitare che alcune consuetudini vengano considerate come assolutamente immutabili, se esse non rispondono più alle nuove esigenze del tempo presente; d'altra parte però, non si deve agire imprudentemente contro quelle oneste consuetudini che non cessano di essere assai utili, purché vengano opportunamente adattate alle odierne circostanze. Similmente, nelle nazioni economicamente molto sviluppate, una rete di istituzioni sociali per la previdenza e la sicurezza sociale può in parte contribuire a tradurre in atto la destinazione comune dei beni. Inoltre, è importante sviluppare ulteriormente i servizi familiari e sociali, specialmente quelli che provvedono agli aspetti culturali ed educativi. Ma nell'organizzare tutte queste istituzioni bisogna vegliare affinché i cittadini non siano indotti ad assumere di fronte alla società un atteggiamento di passività o di irresponsabilità nei compiti assunti o di rifiuto di servizio.

Investimenti e moneta 70 Gli investimenti, da parte loro, devono contribuire ad assicurare possibilità di lavoro e reddito sufficiente tanto alla popolazione attiva di oggi, quanto a quella futura. Tutti i responsabili di tali investimenti e della organizzazione della vita economica globale – sia singoli che gruppi o pubbliche autorità – devono aver presenti questi fini e mostrarsi consapevoli del loro grave obbligo: da una parte di vigilare affinché si provveda ai beni necessari richiesti per una vita decorosa sia dei singoli che di tutta la comunità; d'altra parte di prevedere le situazioni future e di assicurare il giusto equilibrio tra i bisogni attuali di consumo, sia individuale che collettivo, e le esigenze di investimenti per la generazione successiva. Si abbiano ugualmente sempre presenti le urgenti necessità delle nazioni o regioni economicamente meno sviluppate.

In campo monetario ci si guardi dal danneggiare il bene della propria nazione e delle altre. Si provveda inoltre affinché coloro che sono economicamente deboli non siano ingiustamente danneggiati dai mutamenti di valore della moneta.

71 Accesso alla proprietà e dominio privato dei beni; problemi dei latifondi Poiché la proprietà e le altre forme di potere privato sui beni esteriori contribuiscono alla espressione della persona e danno occasione all'uomo di esercitare il suo responsabile apporto nella società e nella economia, è di grande interesse favorire l'accesso degli individui o dei gruppi ad un certo potere sui beni esterni.

La proprietà privata o un qualche potere sui beni esterni assicurano a ciascuno una zona indispensabile di autonomia personale e familiare e bisogna considerarli come un prolungamento della libertà umana. Infine, stimolando l'esercizio della responsabilità, essi costituiscono una delle condizioni delle libertà civili [Cf. PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno (1931); GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra].

Le forme di tale potere o di tale proprietà sono oggi varie e vanno modificandosi sempre di più di giorno in giorno. Nonostante i fondi sociali, i diritti e i servizi garantiti dalla società, le forme di tale potere o di tale proprietà restano tuttavia una fonte non trascurabile di sicurezza. Tutto ciò non va riferito soltanto alla proprietà dei beni materiali, ma altresì dei beni immateriali, come sono ad esempio le capacità professionali.

La legittimità della proprietà privata non è in contrasto con quella delle varie forme di proprietà pubblica. Però i1 trasferimento dei beni in pubblica proprietà non può essere fatto che dalla autorità competente, secondo le esigenze ed entro i limiti del bene comune e con un equo indennizzo. Spetta inoltre alla pubblica autorità impedire che si abusi della proprietà privata agendo contro il bene comune [Cf. PIO XII, Messaggio radiofonico per la Pent. 1941; GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra (1961)].

Ogni proprietà privata ha per sua natura anche un carattere sociale, che si fonda sulla comune destinazione dei beni [Per il giusto uso dei beni secondo la dottrina del Nuovo Testamento cf. Lc 3,11; 10,30ss; 11,41; 1 Pt 5,3; Mc 8,36; 12,29-31; Gc 5,1-6; 1Tm 6,8; Ef 4,28; 2 Cor 8,13ss; 1 Gv 3,17-18]. Se si trascura questo carattere sociale, la proprietà può diventare in molti modi occasione di cupidigia e di gravi disordini, così da offrire facile pretesto a quelli che contestano il diritto stesso di proprietà.

In molti paesi economicamente meno sviluppati esistono proprietà agricole estese od anche immense, scarsamente o anche per nulla coltivate per motivi di speculazione; mentre la maggioranza della popolazione è sprovvista di terreni da lavorare o fruisce soltanto di poderi troppo limitati, e d'altra parte, l'accrescimento della produzione agricola presenta un carattere di evidente urgenza. Non è raro che coloro che sono assunti come lavoratori dipendenti dai proprietari di tali vasti possedimenti, ovvero coloro che ne coltivano una parte a titolo di locazione, ricevono un salario o altre forme di remunerazione indegne di un uomo, non dispongono di una abitazione decorosa o sono sfruttati da intermediari. Mancando così ogni sicurezza, vivono in tale stato di dipendenza personale, che viene loro interdetta quasi ogni possibilità di iniziativa e di responsabilità e viene loro impedita ogni promozione culturale ed ogni partecipazione attiva nella vita sociale e politica. Si impongono pertanto, secondo le varie situazioni, delle riforme intese ad accrescere i redditi, a migliorare le condizioni di lavoro, ad aumentare la sicurezza dell'impiego e a favorire l'iniziativa personale; ed anche riforme che diano modo di distribuire le proprietà non sufficientemente coltivate a beneficio di coloro che siano capaci di farle fruttificare. In questo caso, devono essere loro assicurate le risorse e gli strumenti indispensabili, in particolare i mezzi di educazione e le possibilità di una giusta organizzazione cooperativa. Ogni volta che il bene comune esige l'espropriazione della proprietà, l'indennizzo va calcolato secondo equità, tenendo conto di tutte le circostanze.

L'attività economico-sociale e il regno di Cristo 72 I cristiani che partecipano attivamente allo sviluppo economico-sociale contemporaneo e alla lotta per la giustizia e la carità siano convinti di poter contribuire molto alla prosperità del genere umano e alla pace del mondo. In tali attività, sia che agiscano come singoli, sia come associati, brillino per il loro esempio. A tal fine è di grande importanza che, acquisite la competenza e l'esperienza assolutamente indispensabili, mentre svolgono le attività terrestri conservino una giusta gerarchia di valori, rimanendo fedeli a Cristo e al suo Vangelo, cosicché tutta la loro vita, individuale e sociale, sia compenetrata dello spirito delle beatitudini, specialmente dello spirito di povertà. Chi segue fedelmente Cristo cerca anzitutto il regno di Dio e vi trova un più valido e puro amore per aiutare i suoi fratelli e per realizzare, con l'ispirazione della carità, le opere della giustizia [Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra (1961)].


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PARTE II – CAPITOLO III – VITA ECONOMICO-SOCIALE

La vita economica e alcuni aspetti caratteristici contemporanei 63 Anche nella vita economico-sociale sono da tenere in massimo rilievo e da promuovere la dignità della persona umana, la sua vocazione integrale e il bene dell'intera società. L'uomo infatti è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale.

L'economia contemporanea, come ogni altro campo della vita sociale, è caratterizzata da un dominio crescente dell'uomo sulla natura, dalla moltiplicazione e dalla intensificazione dei rapporti e dalla interdipendenza tra cittadini, gruppi e popoli, come pure da un più intenso intervento dei pubblici poteri. Nello stesso tempo, il progresso nella efficienza produttiva e nella migliore organizzazione degli scambi e servizi hanno reso l'economia strumento adatto a meglio soddisfare i bisogni accresciuti della famiglia umana.

Tuttavia non mancano motivi di preoccupazione. Molti uomini, soprattutto nelle regioni economicamente sviluppate, appaiono quasi unicamente retti dalle esigenze dell'economia, cosicché quasi tutta la loro vita personale e sociale viene permeata da una mentalità economicistica, e ciò si diffonde sia nei paesi ad economia collettivistica che negli altri. In un tempo in cui lo sviluppo della vita economica, orientata e coordinata in una maniera razionale e umana, potrebbe permettere una attenuazione delle disparità sociali, troppo spesso essa si tramuta in una causa del loro aggravamento o, in alcuni luoghi, perfino nel regresso delle condizioni sociali dei deboli e nel disprezzo dei poveri. Mentre folle immense mancano dello stretto necessario, alcuni, anche nei paesi meno sviluppati, vivono nell'opulenza o dissipano i beni. Il lusso si accompagna alla miseria. E, mentre pochi uomini dispongono di un assai ampio potere di decisione, molti mancano quasi totalmente della possibilità di agire di propria iniziativa o sotto la propria responsabilità, spesso permanendo in condizioni di vita e di lavoro indegne di una persona umana.

Simili squilibri economici e sociali si avvertono tra l'agricoltura, l'industria e il settore dei servizi, come pure tra le diverse regioni di uno stesso paese. Una contrapposizione, che può mettere in pericolo la pace del mondo intero, si fa ogni giorno più grave tra le nazioni economicamente più progredite e le altre.

Gli uomini del nostro tempo reagiscono con coscienza sempre più sensibile di fronte a tali disparità: essi sono profondamente convinti che le più ampie possibilità tecniche ed economiche, proprie del mondo contemporaneo, potrebbero e dovrebbero correggere questo funesto stato di cose. Ma per questo si richiedono molte riforme nelle strutture della vita economico-sociale; è necessario anche da parte di tutti un mutamento di mentalità e di abitudini di vita. In vista di ciò la Chiesa, lungo lo svolgersi della storia, ha formulato nella luce del Vangelo e, soprattutto in questi ultimi tempi, ha largamente insegnato i principi di giustizia e di equità richiesti dalla retta ragione umana e validi sia per la vita individuale o sociale che per la vita internazionale. Il sacro Concilio, tenuto conto delle caratteristiche del tempo presente, intende riconfermare tali principi e formulare alcuni orientamenti, con particolare riguardo alle esigenze dello sviluppo economico [Cf. PIO XII, Messaggio La famiglia è la culla, 23 marzo 1952; GIOVANNI XXIII, Discorso alle A.C.L.I., 1° maggio 1959].

Sezione 1: Sviluppo economico

Lo sviluppo economico a servizio dell'uomo 64 Oggi più che mai, per far fronte all'aumento della popolazione e per rispondere alle crescenti aspirazioni del genere umano, giustamente si tende ad incrementare la produzione di beni nell'agricoltura e nell'industria e la prestazione dei servizi. Perciò sono da favorire il progresso tecnico, lo spirito di innovazione, la creazione di nuove imprese e il loro ampliamento, l'adattamento nei metodi dell'attività produttiva e dello sforzo sostenuto da tutti quelli che partecipano alla produzione, in una parola tutto ciò che possa contribuire a questo sviluppo [Cf. PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno (1931); PIO XII, Messaggio La famiglia è la culla, 23 marzo 1952; GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra (1961); CONC. VAT. II, Decreto sugli strum. di comunic. sociale Inter mirifica, cap. I, n. 6 (1964)]. Ma il fine ultimo e fondamentale di tale sviluppo non consiste nel solo aumento dei beni prodotti, né nella sola ricerca del profitto o del predominio economico, bensì nel servizio dell'uomo: dell'uomo integralmente considerato, tenendo cioè conto della gerarchia dei suoi bisogni materiali e delle esigenze della sua vita intellettuale, morale, spirituale e religiosa; di ogni uomo, diciamo, e di ogni gruppo umano, di qualsiasi razza o continente. Pertanto l'attività economica deve essere condotta secondo le leggi e i metodi propri dell'economia, ma nell'ambito dell'ordine morale [Cf. Mt 16,26; Lc 16,1-31; Col 3,17], in modo che così risponda al disegno di Dio sull'uomo [Cf. LEONE XIII, Encicl. Libertas praestantissimum, 20 giugno 1888; PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno (1931); ID., Divini Redemptoris (1937); PIO XII, Messaggio natalizio Nell'alba e nella luce 1941; GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra (1961)].

Lo sviluppo economico sotto il controllo dell'uomo 65 Lo sviluppo economico deve rimanere sotto il controllo dell'uomo. Non deve essere abbandonato all'arbitrio di pochi uomini o gruppi che abbiano in mano un eccessivo potere economico, né della sola comunità politica, né di alcune nazioni più potenti. Conviene, al contrario, che il maggior numero possibile di uomini, a tutti i livelli e, quando si tratta dei rapporti internazionali, tutte le nazioni possano partecipare attivamente al suo orientamento. È necessario egualmente che le iniziative spontanee dei singoli e delle loro libere associazioni siano coordinate e armonizzate in modo conveniente ed organico con la molteplice azione delle pubbliche autorità.

Lo sviluppo economico non può essere abbandonato né al solo gioco quasi meccanico della attività economica dei singoli, né alla sola decisione della pubblica autorità. Per questo, bisogna denunciare gli errori tanto delle dottrine che, in nome di un falso concetto di libertà, si oppongono alle riforme necessarie, quanto delle dottrine che sacrificano i diritti fondamentali delle singole persone e dei gruppi all'organizzazione collettiva della produzione [Quanto al problema dell’agricoltura, cf. soprattutto GIOVANNI XXIII, Encicl Mater et Magistra (1961)].

Si ricordino, d'altra parte, tutti i cittadini che essi hanno il diritto e il dovere – e il potere civile lo deve riconoscere loro – di contribuire secondo le loro capacità al progresso della loro propria comunità. Specialmente nelle regioni economicamente meno progredite, dove si impone d'urgenza l'impiego di tutte le risorse ivi esistenti, danneggiano gravemente il bene comune coloro che tengono inutilizzate le proprie ricchezze o coloro che – salvo il diritto personale di migrazione – privano la propria comunità dei mezzi materiali e spirituali di cui essa ha bisogno.

Ingenti disparità economico-sociali da far scomparire 66 Per rispondere alle esigenze della giustizia e dell'equità, occorre impegnarsi con ogni sforzo affinché, nel rispetto dei diritti personali e dell'indole propria di ciascun popolo, siano rimosse il più rapidamente possibile le ingenti disparità economiche che portano con sé discriminazioni nei diritti individuali e nelle condizioni sociali quali oggi si verificano e spesso si aggravano. Similmente, in molte zone, tenendo presenti le particolari difficoltà del settore agricolo quanto alla produzione e alla commercializzazione dei beni, gli addetti all'agricoltura vanno sostenuti per aumentare la produzione e garantirne la vendita, nonché per la realizzazione delle trasformazioni e innovazioni necessarie, come pure per raggiungere un livello equo di reddito; altrimenti rimarranno, come spesso avviene, in condizioni sociali di inferiorità. Da parte loro gli agricoltori, soprattutto i giovani, si impegnino con amore a migliorare la loro competenza professionale, senza la quale non si dà sviluppo dell'agricoltura [Cf. LEONE XIII, Encicl. Rerum Novarum; PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno (1931); ID, Encicl. Divini Redemptoris: (1937); PIO XII, Messaggio radiofonico nella vigilia del Natale del Signore 1942: Con sempre nuova freschezza; ID., Discorso 13 giugno 1943; ID., Messaggio radiofonico diretto agli operai di Spagna, 11 marzo 1951; GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra (1961)].

La giustizia e l'equità richiedono similmente che la mobilità, assolutamente necessaria in una economia di sviluppo, sia regolata in modo da evitare che la vita dei singoli e delle loro famiglie si faccia incerta e precaria. Per quanto riguarda i lavoratori che, provenendo da altre nazioni o regioni, concorrono con il loro lavoro allo sviluppo economico di un popolo o di una zona, è da eliminare accuratamente ogni discriminazione nelle condizioni di rimunerazione o di lavoro. Inoltre tutti e in primo luogo i poteri pubblici, devono trattarli come persone, e non semplicemente come puri strumenti di produzione; devono aiutarli perché possano accogliere presso di sé le loro famiglie e procurarsi un alloggio decoroso, nonché favorire la loro integrazione nella vita sociale del popolo o della regione che li accoglie. Si creino tuttavia nella misura del possibile, posti di lavoro nelle regioni stesse d'origine.

Nelle economie attualmente in fase di ulteriore trasformazione, come nelle nuove forme della società industriale nelle quali, per esempio, si va largamente applicando l'automazione, si richiedono misure per assicurare a ciascuno un impiego sufficiente e adatto, insieme alla possibilità di una formazione tecnica e professionale adeguata; inoltre bisogna garantire la sussistenza e la dignità umana di coloro che, soprattutto per motivi di salute e di età, si trovano in particolari difficoltà.


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Sezione 3: Alcuni doveri più urgenti per i cristiani circa la cultura

Il riconoscimento del diritto di ciascuno alla cultura e sua attuazione 60 Poiché si offre ora la possibilità di liberare moltissimi uomini dal flagello dell'ignoranza, è compito sommamente confacente al nostro tempo, in specie per i cristiani, lavorare indefessamente perché tanto in campo economico quanto in campo politico, tanto sul piano nazionale quanto sul piano internazionale, siano prese le decisioni fondamentali, mediante le quali sia riconosciuto e attuato dovunque il diritto di tutti a una cultura umana conforme alla dignità della persona, senza distinzione di razza, di sesso, di nazione, di religione o di condizione sociale. Perciò è necessario procurare a tutti una quantità sufficiente di beni culturali, specialmente di quelli che costituiscono la cosiddetta cultura di base, affinché moltissimi non siano impediti, a causa dell'analfabetismo e della privazione di un'attività responsabile, di dare una collaborazione veramente umana al bene comune.

Occorre perciò fare ogni sforzo affinché quelli che ne sono capaci possano accedere agli studi superiori; ma in tale maniera che, per quanto è possibile, essi possano occuparsi nell'umana società di quelle funzioni, compiti e servizi che corrispondono alle loro attitudini naturali e alle competenze acquisite [Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris]. Così ognuno e i gruppi sociali di ciascun popolo potranno raggiungere il pieno sviluppo della loro vita culturale, in conformità con le doti e tradizioni loro proprie.

Bisogna inoltre fare di tutto perché ciascuno prenda coscienza tanto del diritto alla cultura, quanto del dovere di coltivarsi e di aiutare gli altri. Vi sono talora condizioni di vita e di lavoro che impediscono lo sforzo culturale e perciò distruggono l'interesse per la cultura. Questo vale in modo speciale per gli agricoltori e gli operai, ai quali bisogna assicurare condizioni di lavoro tali che non impediscano, ma promuovano la loro vita culturale. Le donne lavorano già in quasi tutti i settori della vita; conviene però che esse possano svolgere pienamente i loro compiti secondo le attitudini loro proprie. Sarà dovere di tutti far si che la partecipazione propria e necessaria delle donne nella vita culturale sia riconosciuta e promossa.

L'educazione ad una cultura integrale 61 Oggi vi è più difficoltà di un tempo di ridurre a sintesi le varie discipline e arti del sapere. Mentre infatti aumenta il volume e la diversità degli elementi che costituiscono la cultura, diminuisce nello stesso tempo la capacità per i singoli uomini di percepirli e di armonizzarli organicamente, cosicché l'immagine dell'«uomo universale» diviene sempre più evanescente. Tuttavia ogni uomo ha il dovere di tener fermo il concetto della persona umana integrale, in cui eccellono i valori della intelligenza, della volontà, della coscienza e della fraternità, che sono fondati tutti in Dio Creatore e sono stati mirabilmente sanati ed elevati in Cristo.

La famiglia anzitutto è come la madre e la nutrice di questa educazione; in essa i figli, vivendo in una atmosfera d'amore, apprendono più facilmente la gerarchia dei valori, mentre collaudate forme culturali vengono quasi naturalmente trasfuse nell'animo dell'adolescente, man mano che si sviluppa.

Per la medesima educazione nella società odierna vi sono opportunità derivanti specialmente dall'accresciuta diffusione del libro e dai nuovi strumenti di comunicazione culturale e sociale, che possono favorire la cultura universale. La diminuzione più o meno generalizzata del tempo dedicato al lavoro fa aumentare di giorno in giorno per molti uomini le possibilità di coltivarsi. Il tempo libero sia impiegato per distendere lo spirito, per fortificare la salute dell'anima e del corpo; mediante attività e studi di libera scelta; mediante viaggi in altri paesi (turismo), con i quali si affina lo spirito dell'uomo, e gli uomini si arricchiscono con la reciproca conoscenza; anche mediante esercizi e manifestazioni sportive, che giovano a mantenere l'equilibrio dello spirito, ed offrono un aiuto per stabilire fraterne relazioni fra gli uomini di tutte le condizioni, di nazioni o di razze diverse. I cristiani collaborino dunque affinché le manifestazioni e le attività culturali collettive, proprie della nostra epoca, siano impregnate di spirito umano e cristiano.

Tuttavia tutte queste facilitazioni non possono assicurare la piena ed integrale formazione culturale dell'uomo, se nello stesso tempo trascuriamo di interrogarci profondamente sul significato della cultura e della scienza per la persona umana.

Accordo fra cultura umana e insegnamento cristiano 62 Sebbene la Chiesa abbia grandemente contribuito al progresso della cultura, l'esperienza dimostra tuttavia che, per ragioni contingenti, l'accordo fra la cultura e la formazione cristiana non si realizza sempre senza difficoltà.

Queste difficoltà non necessariamente sono di danno alla fede; possono, anzi, stimolare lo spirito ad acquisirne una più accurata e profonda intelligenza. Infatti gli studi recenti e le nuove scoperte delle scienze, come pure quelle della storia e della filosofia, suscitano nuovi problemi che comportano conseguenze anche per la vita pratica ed esigono nuove indagini anche da parte dei teologi. Questi sono inoltre invitati, nel rispetto dei metodi e delle esigenze proprie della scienza teologica, a ricercare modi sempre più adatti di comunicare la dottrina cristiana agli uomini della loro epoca: altro è, infatti, il deposito o le verità della fede, altro è il modo con cui vengono espresse, a condizione tuttavia di salvaguardarne il significato e il senso profondo [Cf. GIOVANNI XXIII, Discorso tenuto all’inizio del Concilio l’11 ott. 1962]. Nella cura pastorale si conoscano sufficientemente e si faccia uso non soltanto dei principi della teologia, ma anche delle scoperte delle scienze profane, in primo luogo della psicologia e della sociologia, cosicché anche i fedeli siano condotti a una più pura e più matura vita di fede.

A modo loro, anche la letteratura e le arti sono di grande importanza per la vita della Chiesa. Esse cercano infatti di esprimere la natura propria dell'uomo, i suoi problemi e la sua esperienza nello sforzo di conoscere e perfezionare se stesso e il mondo; cercano di scoprire la sua situazione nella storia e nell'universo, di illustrare le sue miserie e le sue gioie, i suoi bisogni e le sue capacità, e di prospettare una sua migliore condizione. Così possono elevare la vita umana, che esprimono in molteplici forme, secondo i tempi e i luoghi.

Bisogna perciò impegnarsi affinché gli artisti si sentano compresi dalla Chiesa nella loro attività e, godendo di un'ordinata libertà, stabiliscano più facili rapporti con la comunità cristiana. Siano riconosciute dalla Chiesa le nuove tendenze artistiche adatte ai nostri tempi secondo l'indole delle diverse nazioni e regioni. Siano ammesse negli edifici del culto, quando, con modi d'espressione adatti e conformi alle esigenze liturgiche, innalzano lo spirito a Dio [Cf. CONC. VAT. II, Cost. sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium, n. 123; PAOLO VI, Discorso agli artisti romani, 7 maggio 1964].

Così la conoscenza di Dio viene meglio manifestata e la predicazione evangelica si rende più trasparente all'intelligenza degli uomini e appare come connaturata con le loro condizioni d'esistenza.

I fedeli dunque vivano in strettissima unione con gli uomini del loro tempo, e si sforzino di penetrare perfettamente il loro modo di pensare e di sentire, quali si esprimono mediante la cultura. Sappiano armonizzare la conoscenza delle nuove scienze, delle nuove dottrine e delle più recenti scoperte con la morale e il pensiero cristiano, affinché il senso religioso e la rettitudine morale procedano in essi di pari passo con la conoscenza scientifica e con il continuo progresso della tecnica; potranno così giudicare e interpretare tutte le cose con senso autenticamente cristiano.

Coloro che si applicano alle scienze teologiche nei seminari e nelle università si studino di collaborare con gli uomini che eccellono nelle altre scienze, mettendo in comune le loro forze e opinioni. La ricerca teologica, mentre persegue la conoscenza profonda della verità rivelata, non trascuri il contatto con il proprio tempo, per poter aiutare gli uomini competenti nelle varie branche del sapere ad acquistare una più piena conoscenza della fede. Questa collaborazione gioverà grandemente alla formazione dei sacri ministri, che potranno presentare ai nostri contemporanei la dottrina della Chiesa intorno a Dio, all'uomo e al mondo in maniera più adatta, così da farla anche da essi più volentieri accettare [Cf. CONC. VAT. II, Decr. sulla formazione sacerdotale Optatam totius: e Dich. sull’educazione cristiana Gravissimum educationis]. È anzi desiderabile che molti laici acquistino una conveniente formazione nelle scienze sacre e che non pochi tra loro si diano di proposito a questi studi e li approfondiscano con mezzi scientifici adeguati. Ma affinché possano esercitare il loro compito, sia riconosciuta ai fedeli, tanto ecclesiastici che laici, una giusta libertà di ricercare, di pensare e di manifestare con umiltà e coraggio la propria opinione nel campo in cui sono competenti [Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. IV, n. 37].


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Sezione 2: Alcuni principi riguardanti la retta promozione della cultura

Fede e cultura 57 I cristiani, in cammino verso la città celeste, devono ricercare e gustare le cose di lassù [Cf. Col 3,1-2] questo tuttavia non diminuisce, anzi aumenta l'importanza del loro dovere di collaborare con tutti gli uomini per la costruzione di un mondo più umano. E in verità il mistero della fede cristiana offre loro eccellenti stimoli e aiuti per assolvere con maggiore impegno questo compito e specialmente per scoprire il pieno significato di quest'attività, mediante la quale la cultura umana acquista un posto importante nella vocazione integrale dell'uomo.

L'uomo infatti, quando coltiva la terra col lavoro delle sue braccia o con l'aiuto della tecnica, affinché essa produca frutto e diventi una dimora degna di tutta la famiglia umana, e quando partecipa consapevolmente alla vita dei gruppi sociali, attua il disegno di Dio, manifestato all'inizio dei tempi, di assoggettare la terra [Cf. Gen 1,28] e di perfezionare la creazione, e coltiva se stesso; nel medesimo tempo mette in pratica il grande comandamento di Cristo di prodigarsi al servizio dei fratelli.

L'uomo inoltre, applicandosi allo studio delle varie discipline, quali la filosofia, la storia, la matematica, le scienze naturali, e coltivando l'arte, può contribuire moltissimo ad elevare l'umana famiglia a più alti concetti del vero, del bene e del bello e a una visione delle cose di universale valore; in tal modo essa sarà più vivamente illuminata da quella mirabile Sapienza, che dall'eternità era con Dio, disponendo con lui ogni cosa, giocando sull'orbe terrestre e trovando le sue delizie nello stare con i figli degli uomini [Cf. Pr 8,30-31].

Per ciò stesso lo spirito umano, più libero dalla schiavitù delle cose, può innalzarsi con maggiore speditezza al culto ed alla contemplazione del Creatore. Anzi, sotto l'impulso della grazia si dispone a riconoscere il Verbo di Dio che, prima di farsi carne per tutto salvare e ricapitolare in se stesso, già era «nel mondo» come «luce vera che illumina ogni uomo» (Gv 1,9) [Cf. S. IRENEO, Adv. Haer., III, 11, 8].

Certo, l'odierno progresso delle scienze e della tecnica, che in forza del loro metodo non possono penetrare nelle intime ragioni delle cose, può favorire un certo fenomenismo e agnosticismo, quando il metodo di investigazione di cui fanno uso queste scienze viene a torto innalzato a norma suprema di ricerca della verità totale. Anzi, vi è il pericolo che l'uomo, fidandosi troppo delle odierne scoperte, pensi di bastare a se stesso e non cerchi più valori superiori.

Questi fatti deplorevoli però non scaturiscono necessariamente dalla odierna cultura, né debbono indurci nella tentazione di non riconoscere i suoi valori positivi. Fra questi si annoverano: il gusto per le scienze e la rigorosa fedeltà al vero nella indagine scientifica, la necessità di collaborare con gli altri nei gruppi tecnici specializzati, il senso della solidarietà internazionale, la coscienza sempre più viva della responsabilità degli esperti nell'aiutare e proteggere gli uomini, la volontà di rendere più felici le condizioni di vita per tutti, specialmente per coloro che soffrono per la privazione della responsabilità personale o per la povertà culturale. Tutti questi valori possono essere in qualche modo una preparazione a ricevere l'annunzio del Vangelo; preparazione che potrà essere portata a compimento dalla divina carità di colui che è venuto a salvare il mondo.

I molteplici rapporti fra il Vangelo di Cristo e la cultura 58 Fra il messaggio della salvezza e la cultura esistono molteplici rapporti. Dio infatti, rivelandosi al suo popolo fino alla piena manifestazione di sé nel Figlio incarnato, ha parlato secondo il tipo di cultura proprio delle diverse epoche storiche.

Parimenti la Chiesa, che ha conosciuto nel corso dei secoli condizioni d'esistenza diverse, si è servita delle differenti culture per diffondere e spiegare nella sua predicazione il messaggio di Cristo a tutte le genti, per studiarlo ed approfondirlo, per meglio esprimerlo nella vita liturgica e nella vita della multiforme comunità dei fedeli.

Ma nello stesso tempo, inviata a tutti i popoli di qualsiasi tempo e di qualsiasi luogo [Cf. Ef 1,10], non è legata in modo esclusivo e indissolubile a nessuna razza o nazione, a nessun particolare modo di vivere, a nessuna consuetudine antica o recente. Fedele alla propria tradizione e nello stesso tempo cosciente dell'universalità della sua missione [Cf. le parole di PIO XI all’Ecc.mo Sig. Roland-Gosselin: “Non bisogna perdere mai di vista che l’obiettivo della Chiesa è di evangelizzare e non di civilizzare. Se essa civilizza, è per l’evangelizzazione” (Semaine Sociale de Versailles, 1936, pp. 461-462)], può entrare in comunione con le diverse forme di cultura; tale comunione arricchisce tanto la Chiesa stessa quanto le varie culture.

Il Vangelo di Cristo rinnova continuamente la vita e la cultura dell'uomo decaduto, combatte e rimuove gli errori e i mali derivanti dalla sempre minacciosa seduzione del peccato. Continuamente purifica ed eleva la moralità dei popoli. Con la ricchezza soprannaturale feconda dall'interno, fortifica, completa e restaura in Cristo le qualità spirituali e le doti di ciascun popolo. In tal modo la Chiesa, compiendo la sua missione già con questo stesso fatto stimola e dà il suo contributo alla cultura umana e civile e, mediante la sua azione, anche liturgica, educa l'uomo alla libertà interiore.

Armonizzazione dei diversi aspetti della cultura 59 Per i motivi suddetti la Chiesa ricorda a tutti che la cultura deve mirare alla perfezione integrale della persona umana, al bene della comunità e di tutta la società umana. Perciò è necessario coltivare lo spirito in modo che si sviluppino le facoltà dell'ammirazione, dell'intuizione, della contemplazione, e si diventi capaci di formarsi un giudizio personale e di coltivare il senso religioso, morale e sociale.

Infatti la cultura, scaturendo direttamente dalla natura ragionevole e sociale dell'uomo, ha un incessante bisogno della giusta libertà per svilupparsi e le si deve riconoscere la legittima possibilità di esercizio autonomo secondo i propri principi. A ragione dunque essa esige rispetto e gode di una certa inviolabilità, salvi evidentemente i diritti della persona e della comunità, sia particolare sia universale, entro i limiti del bene comune.

Il sacro Concilio, richiamando ciò che insegnò il Concilio Vaticano I, dichiara che «esistono due ordini di conoscenza» distinti, cioè quello della fede e quello della ragione, e che la Chiesa non vieta che «le arti e le discipline umane (...) si servano, nell'ambito proprio a ciascuna, di propri principi e di un proprio metodo»; perciò, «riconoscendo questa giusta libertà», la Chiesa afferma la legittima autonomia della cultura e specialmente delle scienze [Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede catt. Dei Filius, cap. IV Cf. PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno].

Tutto questo esige pure che l'uomo, nel rispetto dell'ordine morale e della comune utilità, possa liberamente cercare la verità, manifestare e diffondere le sue opinioni, e coltivare qualsiasi arte; esige, infine, che sia informato secondo verità degli eventi della vita pubblica [Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris].

È compito dei pubblici poteri, non determinare il carattere proprio delle forme di cultura, ma assicurare le condizioni e i sussidi atti a promuovere la vita culturale fra tutti, anche fra le minoranze di una nazione [Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris; PIO XII, Messaggio radiofon Nell'alba e nella luce., 24 dic. 1941]. Perciò bisogna innanzi tutto esigere che la cultura, stornata dal proprio fine, non sia costretta a servire il potere politico o il potere economico.


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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GAUDIUM ET SPES (7 dicembre 1965)

PARTE II – CAPITOLO II – LA PROMOZIONE DELLA CULTURA

Introduzione 53 È proprio della persona umana il non poter raggiungere un livello di vita veramente e pienamente umano se non mediante la cultura, coltivando cioè i beni e i valori della natura. Perciò, ogniqualvolta si tratta della vita umana, natura e cultura sono quanto mai strettamente connesse.

Con il termine generico di «cultura» si vogliono indicare tutti quei mezzi con i quali l'uomo affina e sviluppa le molteplici capacità della sua anima e del suo corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale, sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l'andar del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano.

Di conseguenza la cultura presenta necessariamente un aspetto storico e sociale e la voce «cultura» assume spesso un significato sociologico ed etnologico. In questo senso si parla di pluralità delle culture. Infatti dal diverso modo di far uso delle cose, di lavorare, di esprimersi, di praticare la religione e di formare i costumi, di fare le leggi e creare gli istituti giuridici, di sviluppare le scienze e le arti e di coltivare il bello, hanno origine i diversi stili di vita e le diverse scale di valori. Cosi dalle usanze tradizionali si forma il patrimonio proprio di ciascun gruppo umano. Così pure si costituisce l'ambiente storicamente definito in cui ogni uomo, di qualsiasi stirpe ed epoca, si inserisce, e da cui attinge i beni che gli consentono di promuovere la civiltà.

Sezione 1: La situazione della cultura nel mondo odierno

Nuovi stili di vita 54 Le condizioni di vita dell'uomo moderno, sotto l'aspetto sociale e culturale, sono profondamente cambiate, così che è lecito parlare di una nuova epoca della storia umana [Cf. Esposizione introduttiva di questa Costituzione, nn. 4-10]. Di qui si aprono nuove vie per perfezionare e diffondere più largamente la cultura. Esse sono state preparate da un grandioso sviluppo delle scienze naturali e umane, anche sociali, dal progresso delle tecniche, dallo sviluppo e dall'organizzazione degli strumenti di comunicazione sociale. Perciò la cultura odierna è caratterizzata da alcune note distintive: le scienze dette «esatte» affinano al massimo il senso critico; i più recenti studi di psicologia spiegano in profondità l'attività umana; le scienze storiche spingono fortemente a considerare le cose sotto l'aspetto della loro mutabilità ed evoluzione; i modi di vivere ed i costumi diventano sempre più uniformi; l'industrializzazione, l'urbanesimo e le altre cause che favoriscono la vita collettiva creano nuove forme di cultura (cultura di massa), da cui nascono nuovi modi di pensare, di agire, di impiegare il tempo libero; lo sviluppo dei rapporti fra le varie nazioni e le classi sociali rivela più ampiamente a tutti e a ciascuno i tesori delle diverse forme di cultura, e così poco a poco si prepara una forma di cultura umana più universale, la quale tanto più promuove ed esprime l'unità del genere umano, quanto meglio rispetta le particolarità delle diverse culture.

L'uomo artefice della cultura 55 Cresce sempre più il numero degli uomini e delle donne di ogni gruppo o nazione che prendono coscienza di essere artefici e promotori della cultura della propria comunità. In tutto il mondo si sviluppa sempre più il senso dell'autonomia e della responsabilità, cosa che è di somma importanza per la maturità spirituale e morale dell'umanità. Ciò appare ancor più chiaramente se teniamo presente l'unificazione del mondo e il compito che ci si impone di costruire un mondo migliore nella verità e nella giustizia. In tal modo siamo testimoni della nascita d'un nuovo umanesimo, in cui l'uomo si definisce anzitutto per la sua responsabilità verso i suoi fratelli e verso la storia.

Difficoltà e compiti 56 In queste condizioni non stupisce che l'uomo sentendosi responsabile del progresso della cultura, nutra grandi speranze, ma consideri pure con ansietà le molteplici antinomie esistenti ch'egli deve risolvere. Che cosa si deve fare affinché gli intensificati rapporti culturali, che dovrebbero condurre ad un vero e fruttuoso dialogo tra classi e nazioni diverse, non turbino la vita delle comunità, né sovvertano la sapienza dei padri, né mettano in pericolo il carattere proprio di ciascun popolo?

In qual modo promuovere il dinamismo e l'espansione della nuova cultura senza che si perda la viva fedeltà al patrimonio della tradizione? Questo problema si pone con particolare urgenza là dove la cultura, che nasce dal grande sviluppo scientifico e tecnico, si deve armonizzare con la cultura che, secondo le varie tradizioni, viene alimentata dagli studi classici.

In qual maniera conciliare una così rapida e crescente diversificazione delle scienze specializzate, con la necessità di farne la sintesi e di mantenere nell'uomo le facoltà della contemplazione e dell'ammirazione che conducono alla sapienza?

Che cosa fare affinché le moltitudini siano rese partecipi dei beni della cultura, proprio quando la cultura degli specialisti diviene sempre più alta e complessa?

Come, infine, riconoscere come legittima l'autonomia che la cultura rivendica a se stessa, senza giungere a un umanesimo puramente terrestre, anzi avverso alla religione?

In mezzo a queste antinomie, la cultura umana va oggi sviluppata in modo da perfezionare con giusto ordine la persona umana nella sua integrità e da aiutare gli uomini nell'esplicazione di quei compiti, al cui adempimento tutti, ma specialmente i cristiani fraternamente uniti in seno all'unica famiglia umana, sono chiamati.


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PARTE II – ALCUNI PROBLEMI PIÙ URGENTI

Proemio 46 Dopo aver esposto di quale dignità è insignita la persona dell'uomo e quale compito, individuale e sociale, egli è chiamato ad adempiere sulla terra, il Concilio, alla luce del Vangelo e dell'esperienza umana, attira ora l'attenzione di tutti su alcuni problemi contemporanei particolarmente urgenti, che toccano in modo specialissimo il genere umano. Tra le numerose questioni che oggi destano l'interesse generale, queste meritano particolare menzione: il matrimonio e la famiglia, la cultura umana, la vita economico-sociale, la vita politica, la solidarietà tra le nazioni e la pace. Sopra ciascuna di esse risplendano i principi e la luce che provengono da Cristo; così i cristiani avranno una guida e tutti gli uomini potranno essere illuminati nella ricerca delle soluzioni di problemi tanto numerosi e complessi.

PARTE II – CAPITOLO I – DIGNITÀ DEL MATRIMONIO E DELLA FAMIGLIA E SUA VALORIZZAZIONE

Matrimonio e famiglia nel mondo d'oggi 47 Il bene della persona e della società umana e cristiana è strettamente connesso con una felice situazione della comunità coniugale e familiare. Perciò i cristiani, assieme con quanti hanno alta stima di questa comunità, si rallegrano sinceramente dei vari sussidi, con i quali gli uomini favoriscono oggi la formazione di questa comunità di amore e la stima ed il rispetto della vita: sussidi che sono di aiuto a coniugi e genitori della loro eminente missione; da essi i cristiani attendono sempre migliori vantaggi e si sforzano di promuoverli.

Però la dignità di questa istituzione non brilla dappertutto con identica chiarezza poiché è oscurata dalla poligamia, dalla piaga del divorzio, dal cosiddetto libero amore e da altre deformazioni. Per di più l'amore coniugale è molto spesso profanato dall'egoismo, dall'edonismo e da pratiche illecite contro la fecondità. Inoltre le odierne condizioni economiche, socio-psicologiche e civili portano turbamenti non lievi nella vita familiare. E per ultimo in determinate parti del mondo si avvertono non senza preoccupazioni i problemi posti dall'incremento demografico. Da tutto ciò sorgono difficoltà che angustiano la coscienza. Tuttavia il valore e la solidità dell'istituto matrimoniale e familiare prendono risalto dal fatto che le profonde mutazioni dell'odierna società, nonostante le difficoltà che ne scaturiscono, molto spesso rendono manifesta in maniere diverse la vera natura di questa istituzione.

Perciò il Concilio, mettendo in chiara luce alcuni punti capitali della dottrina della Chiesa, si propone di illuminare e incoraggiare i cristiani e tutti gli uomini che si sforzano di salvaguardare e promuovere la dignità naturale e l'altissimo valore sacro dello stato matrimoniale.

Santità del matrimonio e della famiglia 48 L'intima comunità di vita e d'amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dall'alleanza dei coniugi, vale a dire dall'irrevocabile consenso personale. E così, è dall'atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono, che nasce, anche davanti alla società, l'istituzione del matrimonio, che ha stabilità per ordinamento divino. In vista del bene dei coniugi, della prole e anche della società, questo legame sacro non dipende dall'arbitrio dell'uomo . Perché è Dio stesso l'autore del matrimonio, dotato di molteplici valori e fini [Cf. S. AGOSTINO, De bono coniugali: PL 40, 375-376 e 394; S. TOMMASO, Summa Theol., Suppl. Quaest. 49, art. 3 ad 1; Decretum pro Armenis: Dz 702 (1327) [Collantes 9.343]; PIO XI, Encicl. Casti Connubii]: tutto ciò è di somma importanza per la continuità del genere umano, il progresso personale e la sorte eterna di ciascuno dei membri della famiglia, per la dignità, la stabilità, la pace e la prosperità della stessa famiglia e di tutta la società umana.

Per la sua stessa natura l'istituto del matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento. E così l'uomo e la donna, che per l'alleanza coniugale «non sono più due, ma una sola carne» (Mt 19,6), prestandosi un mutuo aiuto e servizio con l'intima unione delle persone e delle attività, esperimentano il senso della propria unità e sempre più pienamente la conseguono.

Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità [Cf. PIO XI, Encicl. Casti Connubii (1930)].

Cristo Signore ha effuso l'abbondanza delle sue benedizioni su questo amore dai molteplici aspetti, sgorgato dalla fonte della divina carità e strutturato sul modello della sua unione con la Chiesa. Infatti, come un tempo Dio ha preso l'iniziativa di un'alleanza di amore e fedeltà [Cf. Os 2; Ger 3,6-13; Ez 16 e 23; Is 54] con il suo popolo cosi ora il Salvatore degli uomini e sposo della Chiesa [Cf. Mt 9,15; Mc 2,19-20; Lc 5,34-35; Gv 3,29; 2 Cor 11,2; Ef 5,27; Ap 19,7-8; 21,2 e 9] viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Inoltre rimane con loro perché, come egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per essa [Cf. Ef 5,25] così anche i coniugi possano amarsi l'un l'altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione. L'autentico amore coniugale è assunto nell'amore divino ed è sostenuto e arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dalla azione salvifica della Chiesa, perché i coniugi in maniera efficace siano condotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nello svolgimento della sublime missione di padre e madre [Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium (1965)]. Per questo motivo i coniugi cristiani sono fortificati e quasi consacrati da uno speciale sacramento [Cf. PIO XI, Encicl. Casti Connubii (1930)] per i doveri e la dignità del loro stato. Ed essi, compiendo con la forza di tale sacramento il loro dovere coniugale e familiare, penetrati dello spirito di Cristo, per mezzo del quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza e carità, tendono a raggiungere sempre più la propria perfezione e la mutua santificazione, ed assieme rendono gloria a Dio.

Prevenuti dall'esempio e dalla preghiera comune dei genitori, i figli, anzi tutti quelli che vivono insieme nell'ambito familiare, troveranno più facilmente la strada di una formazione veramente umana, della salvezza e della santità.

Quanto agli sposi, insigniti della dignità e responsabilità di padre e madre, adempiranno diligentemente il dovere dell'educazione, soprattutto religiosa, che spetta loro prima che a chiunque altro.

I figli, come membra vive della famiglia, contribuiscono pure in qualche modo alla santificazione dei genitori. Risponderanno, infatti, ai benefici ricevuti dai genitori con affetto riconoscente, con pietà filiale e fiducia; e li assisteranno, come si conviene a figli, nelle avversità della vita e nella solitudine della vecchiaia. La vedovanza, accettata con coraggio come continuazione della vocazione coniugale sia onorata da tutti [Cf. 1Tm 5,3]. La famiglia metterà con generosità in comune con le altre famiglie le proprie ricchezze spirituali. Allora la famiglia cristiana che nasce dal matrimonio, come immagine e partecipazione dell'alleanza d'amore del Cristo e della Chiesa [Cf. Ef 5,32] renderà manifesta a tutti la viva presenza del Salvatore nel mondo e la genuina natura della Chiesa, sia con l'amore, la fecondità generosa, l'unità e la fedeltà degli sposi, che con l'amorevole cooperazione di tutti i suoi membri.

L'amore coniugale 49 I fidanzati sono ripetutamente invitati dalla parola di Dio a nutrire e potenziare il loro fidanzamento con un amore casto, e gli sposi la loro unione matrimoniale con un affetto senza incrinature [Cf. Gen 2,22-24; Pr 5,18-20; 31,10-31; Tb 8,4-8; Ct 1,1-3; 2,16; 4,16-5,1; 7,8-11; 1 Cor 7,3-6; Ef 5,25-33]. Anche molti nostri contemporanei annettono un grande valore al vero amore tra marito e moglie, che si manifesta in espressioni diverse a seconda dei sani costumi dei popoli e dei tempi. Proprio perché atto eminentemente umano, essendo diretto da persona a persona con un sentimento che nasce dalla volontà, quell'amore abbraccia il bene di tutta la persona; perciò ha la possibilità di arricchire di particolare dignità le espressioni del corpo e della vita psichica e di nobilitarle come elementi e segni speciali dell'amicizia coniugale.

Il Signore si è degnato di sanare, perfezionare ed elevare questo amore con uno speciale dono di grazia e carità. Un tale amore, unendo assieme valori umani e divini, conduce gli sposi al libero e mutuo dono di se stessi, che si esprime mediante sentimenti e gesti di tenerezza e pervade tutta quanta la vita dei coniugi [Cf. PIO XI, Encicl. Casti Connubii (1930)] anzi, diventa più perfetto e cresce proprio mediante il generoso suo esercizio. È ben superiore, perciò, alla pura attrattiva erotica che, egoisticamente coltivata, presto e miseramente svanisce.

Questo amore è espresso e sviluppato in maniera tutta particolare dall'esercizio degli atti che sono propri del matrimonio. Ne consegue che gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità sono onesti e degni; compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano ed arricchiscono vicendevolmente nella gioia e nella gratitudine gli sposi stessi. Quest'amore, ratificato da un impegno mutuo e soprattutto consacrato da un sacramento di Cristo, resta indissolubilmente fedele nella prospera e cattiva sorte, sul piano del corpo e dello spirito; di conseguenza esclude ogni adulterio e ogni divorzio. L'unità del matrimonio, confermata dal Signore, appare in maniera lampante anche dalla uguale dignità personale che bisogna riconoscere sia all'uomo che alla donna nel mutuo e pieno amore.

Per tener fede costantemente agli impegni di questa vocazione cristiana si richiede una virtù fuori del comune; è per questo che i coniugi, resi forti dalla grazia per una vita santa, coltiveranno assiduamente la fermezza dell'amore, la grandezza d'animo, lo spirito di sacrificio e li domanderanno nella loro preghiera. Ma l'autentico amore coniugale godrà più alta stima e si formerà al riguardo una sana opinione pubblica, se i coniugi cristiani danno testimonianza di fedeltà e di armonia nell'amore come anche di sollecitudine nell'educazione dei figli, e se assumono la loro responsabilità nel necessario rinnovamento culturale, psicologico e sociale a favore del matrimonio e della famiglia.

I giovani siano adeguatamente istruiti, molto meglio se in seno alla propria famiglia, sulla dignità dell'amore coniugale, sulla sua funzione e le sue espressioni; così che, formati nella stima della castità, possano ad età conveniente passare da un onesto fidanzamento alle nozze.

La fecondità del matrimonio 50 Il matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della prole. I figli infatti sono il dono più eccellente del matrimonio e contribuiscono grandemente al bene dei genitori stessi. Dio che disse: «non è bene che l'uomo sia solo» (Gn 2,18) e «che creò all'inizio l'uomo maschio e femmina» (Mt 19,4), volendo comunicare all'uomo una speciale partecipazione nella sua opera creatrice, benedisse l'uomo e la donna, dicendo loro: «crescete e moltiplicatevi» (Gn 1,28). Di conseguenza un amore coniugale vero e ben compreso e tutta la struttura familiare che ne nasce tendono, senza trascurare gli altri fini del matrimonio, a rendere i coniugi disponibili a cooperare coraggiosamente con l'amore del Creatore e del Salvatore che attraverso di loro continuamente dilata e arricchisce la sua famiglia.

I coniugi sappiano di essere cooperatori dell'amore di Dio Creatore e quasi suoi interpreti nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla; ciò deve essere considerato come missione loro propria.

E perciò adempiranno il loro dovere con umana e cristiana responsabilità e, con docile riverenza verso Dio, di comune accordo e con sforzo comune, si formeranno un retto giudizio: tenendo conto sia del proprio bene personale che di quello dei figli, tanto di quelli nati che di quelli che si prevede nasceranno; valutando le condizioni sia materiali che spirituali della loro epoca e del loro stato di vita; e, infine, tenendo conto del bene della comunità familiare, della società temporale e della Chiesa stessa. Questo giudizio in ultima analisi lo devono formulare, davanti a Dio, gli sposi stessi. Però nella loro linea di condotta i coniugi cristiani siano consapevoli che non possono procedere a loro arbitrio, ma devono sempre essere retti da una coscienza che sia con forme alla legge divina stessa; e siano docili al magistero della Chiesa, che interpreta in modo autentico quella legge alla luce del Vangelo.

Tale legge divina manifesta il significato pieno dell'amore coniugale, lo protegge e lo conduce verso la sua perfezione veramente umana.

Così quando gli sposi cristiani, fidando nella divina Provvidenza e coltivando lo spirito di sacrificio [Cf. 1Cor 7,5], svolgono il loro ruolo procreatore e si assumono generosamente le loro responsabilità umane e cristiane, glorificano il Creatore e tendono alla perfezione cristiana.

Tra i coniugi che in tal modo adempiono la missione loro affidata da Dio, sono da ricordare in modo particolare quelli che, con decisione prudente e di comune accordo, accettano con grande animo anche un più grande numero di figli da educare convenientemente [Cf. PIO XII, Discorso Tra le visite, 20 gen. 1958].

Il matrimonio tuttavia non è stato istituito soltanto per la procreazione; il carattere stesso di alleanza indissolubile tra persone e il bene dei figli esigono che anche il mutuo amore dei coniugi abbia le sue giuste manifestazioni, si sviluppi e arrivi a maturità. E perciò anche se la prole, molto spesso tanto vivamente desiderata, non c'è, il matrimonio perdura come comunità e comunione di tutta la vita e conserva il suo valore e la sua indissolubilità.

Accordo dell'amore coniugale col rispetto della vita 51 Il Concilio sa che spesso i coniugi, che vogliono condurre armoniosamente la loro vita coniugale, sono ostacolati da alcune condizioni della vita di oggi, e possono trovare circostanze nelle quali non si può aumentare, almeno per un certo tempo, il numero dei figli; non senza difficoltà allora si può conservare la pratica di un amore fedele e la piena comunità di vita. Là dove, infatti, è interrotta l'intimità della vita coniugale, non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli: allora corrono pericolo anche l'educazione dei figli e il coraggio di accettarne altri.

C'è chi presume portare a questi problemi soluzioni non oneste, anzi non rifugge neppure dall'uccisione delle nuove vite. La Chiesa ricorda, invece, che non può esserci vera contraddizione tra le leggi divine, che reggono la trasmissione della vita, e quelle che favoriscono l'autentico amore coniugale.

Infatti Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l'altissima missione di proteggere la vita: missione che deve essere adempiuta in modo degno dell'uomo. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; l'aborto e l'infanticidio sono delitti abominevoli. La sessualità propria dell'uomo e la facoltà umana di generare sono meravigliosamente superiori a quanto avviene negli stadi inferiori della vita; perciò anche gli atti specifici della vita coniugale, ordinati secondo la vera dignità umana, devono essere rispettati con grande stima. Perciò, quando si tratta di mettere d'accordo l'amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato secondo criteri oggettivi, che hanno il loro fondamento nella dignità stessa della persona umana e dei suoi atti, criteri che rispettano, in un contesto di vero amore, il significato totale della mutua donazione e della procreazione umana; cosa che risulterà impossibile se non viene coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale. I figli della Chiesa, fondati su questi principi, nel regolare la procreazione, non potranno seguire strade che sono condannate dal Magistero nella spiegazione della legge divina [Cf. PIO XI, Encicl. Casti Connubii (1930); PIO XII, Discorso al Convegno dell’Unione Italiana Ostetriche 29 ott. 1951; PAOLO VI, Discorso agli Em.mi Padri Cardinali, 23 giugno 1964. Alcuni problemi, che hanno bisogno di analisi ulteriori e più approfondite, per ordine del Sommo Pontefice sono stati demandati alla Commissione per lo studio della popolazione, della famiglia e della natalità, perché il Sommo Pontefice dia il suo giudizio dopo che essa avrà concluso il suo compito. Stando a questo punto la dottrina del Magistero, il S. Concilio non intende proporre immediatamente soluzioni concrete]. Del resto, tutti sappiamo che la vita dell'uomo e il compito di trasmetterla non sono limitati agli orizzonti di questo mondo e non vi trovano né la loro piena dimensione, né il loro pieno senso, ma riguardano il destino eterno degli uomini.

L'impegno di tutti per il bene del matrimonio e della famiglia 52 La famiglia è una scuola di arricchimento umano. Perché però possa attingere la pienezza della sua vita e del suo compimento, è necessaria una amorevole apertura vicendevole di animo tra i coniugi, e la consultazione reciproca e una continua collaborazione tra i genitori nella educazione dei figli. La presenza attiva del padre giova moltissimo alla loro formazione; ma bisogna anche permettere alla madre, di cui abbisognano specialmente i figli più piccoli, di prendersi cura del proprio focolare pur senza trascurare la legittima promozione sociale della donna. I figli poi, mediante l'educazione devono venire formati in modo che, giunti alla maturità, possano seguire con pieno senso di responsabilità la loro vocazione, compresa quella sacra; e se sceglieranno lo stato di vita coniugale, possano formare una propria famiglia in condizioni morali, sociali ed economiche favorevoli. È compito poi dei genitori o dei tutori guidare i più giovani nella formazione di una nuova famiglia con il consiglio prudente, presentato in modo che questi lo ascoltino volentieri; dovranno tuttavia evitare di esercitare forme di coercizione diretta o indiretta su di essi per spingerli al matrimonio o alla scelta di una determinata persona come coniuge.

In questo modo la famiglia, nella quale le diverse generazioni si incontrano e si aiutano vicendevolmente a raggiungere una saggezza umana più completa e ad armonizzare i diritti della persona con le altre esigenze della vita sociale, è veramente il fondamento della società. Tutti coloro che hanno influenza sulla società e sulle sue diverse categorie, quindi, devono collaborare efficacemente alla promozione del matrimonio e della famiglia; e le autorità civili dovranno considerare come un sacro dovere conoscere la loro vera natura, proteggerli e farli progredire, difendere la moralità pubblica e favorire la prosperità domestica. In particolare dovrà essere difeso il diritto dei genitori di generare la prole e di educarla in seno alla famiglia. Una provvida legislazione ed iniziative varie dovranno pure proteggere ed aiutare opportunamente coloro che sono purtroppo privi di una propria famiglia.

I cristiani, bene utilizzando il tempo presente [Cf. Ef 5,16; Col 4,5] e distinguendo le realtà permanenti dalle forme mutevoli, si adoperino per sviluppare diligentemente i valori del matrimonio e della famiglia; lo faranno tanto con la testimonianza della propria vita, quanto con un'azione concorde con gli uomini di buona volontà. Così, superando le difficoltà presenti, essi provvederanno ai bisogni e agli interessi della famiglia, in accordo con i tempi nuovi. A questo fine sono di grande aiuto il senso cristiano dei fedeli, la retta coscienza morale degli uomini, come pure la saggezza e la competenza di chi è versato nelle discipline sacre.

Gli esperti nelle scienze, soprattutto biologiche, mediche, sociali e psicologiche, possono portare un grande contributo al bene del matrimonio e della famiglia e alla pace delle coscienze se, con l'apporto convergente dei loro studi, cercheranno di chiarire sempre più a fondo le diverse condizioni che favoriscono un'ordinata e onesta procreazione umana.

È compito dei sacerdoti, provvedendosi una necessaria competenza sui problemi della vita familiare, aiutare amorosamente la vocazione dei coniugi nella loro vita coniugale e familiare con i vari mezzi della pastorale, con la predicazione della parola di Dio, con il culto liturgico o altri aiuti spirituali, fortificarli con bontà e pazienza nelle loro difficoltà e confortarli con carità, perché si formino famiglie veramente serene.

Le varie opere di apostolato, specialmente i movimenti familiari, si adopereranno a sostenere con la dottrina e con l'azione i giovani e gli stessi sposi, particolarmente le nuove famiglie, ed a formarli alla vita familiare, sociale ed apostolica.

Infine i coniugi stessi, creati ad immagine del Dio vivente e muniti di un'autentica dignità personale, siano uniti da un uguale mutuo affetto, dallo stesso modo di sentire, da comune santità [Cf. Sacramentarium Gregorianum: PL 78, 262], cosi che, seguendo Cristo principio di vita [Cf. Rm 5,15 e 18; 6,5-11; Gal 2,20] nelle gioie e nei sacrifici della loro vocazione, attraverso il loro amore fedele possano diventare testimoni di quel mistero di amore che il Signore ha rivelato al mondo con la sua morte e la sua risurrezione [Cf. Ef 5,25-27].

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Approfondimenti

La genesi di questo capitolo della Gaudium et spes è stata tra le più tormentate e difficili di tutto il Concilio. I testi prodotti sul tema sono stati quattro. Inoltre le questioni dell’indissolubilità e dei fini del matrimonio hanno visto opporsi posizioni tradizionaliste e progressiste lungo tutta la redazione della costituzione pastorale; mai come in questo caso il Papa è intervenuto con tanta incisività, avocando a sé lo studio di alcuni problemi morali della conduzione familiare, soprattutto nel campo della procreazione.

Il capitolo comincia allo stesso modo della costituzione generale, cioè con un elenco dei problemi della famiglia al mondo d’oggi (1965). Quando si ha a che fare con questioni non dogmatiche ma riguardanti il divenire storico e i cambiamenti socio-culturali che investono gli uomini e le donne di una determinata epoca, il primo passo da compiere è quello di conoscere e quindi capire quale sia la realtà oggettiva della questione considerata. Il Concilio ribadisce da un lato il fondamento umano del consenso matrimoniale dall’altro che la composizione della coppia e della famiglia è di diritto divino (cf. GS 48).

La Gaudium et spes riserva parole molto intense e straordinariamente attuali al sacramento del matrimonio, esaltando il contenuto di grazia spirituale presente nel sacramento che però nutre e santifica qualcosa che già c’è ed è operante: l’amore umano dei coniugi in tutte le sue espressioni, anche quella sessuale.

http://www.parrocchiasantatecla.it/attachments/article/16/Catechesi%20sulla%20Gaudium%20et%20Spes%20-%2013%20Febbraio%202014.pdf

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Il Concilio Vaticano II non ha inteso presentare l’intera dottrina sul matrimonio. Ha cercato soltanto di chiarire alcuni punti capitali della dottrina della Chiesa, i quali, già sufficientemente acquisiti dalle scienze dell’uomo, dalla esegesi biblica e dalla teologia, devono “illuminare e confortare i cristiani e tutti gli uomini che si sforzano di salvaguardare e promuovere la dignità naturale e l’altissimo valore sacro dello stato matrimoniale” (GS n.47c).

Significativo rimane il fatto che dei cinque problemi di carattere universale, giudicati importanti nel dialogo tra Chiesa e mondo contemporaneo, il Concilio abbia dato il primo posto al matrimonio. E questo, per sottolineare l’importanza e il significato per la società umana e comunità ecclesiale.

I rapidi cambiamenti, susseguiti dopo il secondo conflitto mondiale nel campo politico, sociale, culturale, religioso e del costume, hanno avuto i loro riflessi, ora positivi ora negativi, sulla famiglia. Avulsa da un precedente da un contesto socioculturale di relativa stabilità e immessa in una condizione di mobilità, di instabilità economica, di crescenti bisogni di ogni genere, di tensioni psicologiche e di sollecitazioni esterne da parte degli strumenti della comunicazione sociale, la famiglia fu scossa da “ non lievi turbamenti” (GS n.47b), che ne hanno modificato la configurazione tradizionale.

In questi ultimi decenni, da punti di vista diversi si interessarono al problema della famiglia esegeti, teologi, sociologi e psicologi. Una delle questioni, che ha polarizzato l’attenzione degli studiosi, concerne i fini del matrimonio che ne rappresentano il punto nodale. Sulla questione relativa ai fini, che investe l’intero argomento del matrimonio e della vita coniugale, il Vaticano II segna un approdo, ma apre anche nuove vie all’indagine teologica.

La novità del testo della Gaudium et Spes consiste nel fatto d’essersi liberata da una concezione troppo biologica-giuridica del matrimonio e di aver evidenziato, partendo da una nozione unitaria dell’uomo, le esigenze personalistiche e la correlazione tra le diverse componenti del matrimonio. L’elemento motore e coordinatore di queste correlazioni è l’amore coniugale, il quale non viene più visto come un semplice presupposto psicologico-affettivo, diretto a realizzare i fini del matrimonio, ma, soprattutto in seguito alla sua assunzione all’ordine soprannaturale con la recezione del sacramento e alla sua significazione dell’unione Cristo-Chiesa, viene considerato come un valore a sé stante, su cui il matrimonio si fonda e da cui esso trae origine, vitalità, unità, indissolubilità, stabilità e fecondità. La riscoperta del nesso profondo, che esiste tra amore coniugale e istituzione matrimoniale, rappresenta il vero punto di partenza per una revisione critica e una ristrutturazione della precedente dottrina sui fini del matrimonio.

Se l’amore coniugale ha una funzione altissima e insostituibile nel matrimonio e nella salvaguardia delle sue proprietà, non può essere declassato al rango di fine secondario, né può essere equiparato al solo ”mutuum adiutorium” o ridotto a qualcosa di semplicemente tollerato e sovrapposto al matrimonio o indebitamente sublimato, ma deve diventarne la regola e l’anima.

Inoltre l’amore coniugale, proprio perché è l’elemento motore e perfettivo del matrimonio, ne investe le varie componenti, sicché il problema non è più tanto quello di vedere come la stessa dinamica dell’amore coniugale ricomponga e realizzi, dall’interno, la loro integrazione a servizio della comunità di vita dei coniugi.

Un aspetto, che affiora dalla lettura del testo della Gaudium et Spes sul matrimonio, è quello del riferimento del “mutuum adiutorium” non tanto alla procreazione come fine ad essa subordinato, quanto all’amore coniugale, che presiede alla promozione della vita dei coniugi (cfr. GS nn.48.49).

La formulazione della teoria del fine primario e dei fini secondari aveva concorso ad impoverire il concetto di amore coniugale. Si arrivò anche a relegarlo tra i fini secondari del matrimonio, equiparandolo al “mutuum adiutorium”. Difatti, il testo della Gaudium et Spes lo considera un valore che insieme ad altri valori si inserisce nel più ampio contesto della comunità di vita degli sposi come elemento propulsore della medesima. (cfr. GS n.52b).

Il Concilio, ricollegandosi ad una visione più approfondita e completa del matrimonio, prima ancora di presentarlo come uno strumento di procreazione, lo descrive come una comunità di vita e di amore, capace di arricchire i coniugi anche in assenza di prole (cfr. GS n.50g).

Ora, affermata la centralità dell’amore coniugale nel matrimonio e ammesso, come fa la Gaudium et Spes (cfr. nn.48- 50), che il “mutuum adiutorium” è orientato a promuovere la comunità di vita degli sposi, non è più legittimo considerare il “mutuum adiutorium“ soltanto in rapporto subordinato alla procreazione e quindi come un qualcosa di secondario. Esso va direttamente riferito al perfezionamento dei coniugi, il quale, essendo una conseguenza dell’amore coniugale sviluppato in tutte le sue virtualità, deve avere il suo giusto posto nell’insieme della complessa realtà matrimoniale. E benché il “mutuum adiutorium” non si identifichi con l’amore coniugale e il perfezionamento dei coniugi in se stesso, tuttavia esso pone quell’insieme di comportamenti e di atteggiamenti che, pervasi dall’amore coniugale, favoriscono l’incontro e il miglioramento vicendevole degli sposi, perciò trascende il puro fatto della procreazione e educazione della prole, anche se non è ad esso estraneo.

Con la sua concezione personalistica del matrimonio, il Vaticano II ha promosso anche il processo di integrazione tra amore coniugale e sessualità.

Per secoli aveva pesato sulla teologia cattolica, e di riflesso, sull’agiografia e sulla condotta morale di generazioni cristiane una concezione antropologica, ispirata al dualismo di anima e di corpo di matrice platonica, sostanzialmente pessimista riguardo al corpo e alla materia in genere.

In quest’ottica dualistica, l’esaltazione dell’amicizia coniugale, fatta da un certo tipo di “spiritualismo cristiano” e confinata nelle più alte sfere dello spirito al di fuori di ogni contaminazione carnale, aveva finito per proiettare una luce fosca sull’esercizio della sessualità nelle relazioni tra gli sposi, riducendolo a strumento di procreazione e di rimedio alla concupiscenza. Secondo tale visuale, l’atto coniugale aveva una sua ben definita struttura e funzione biologica naturale, stabilita dal Creatore, e perciò conservava la sua liceità morale soltanto nel caso in cui i coniugi non escludessero l’intenzionalità procreativa.

Solo dopo che nell’ambito del pensiero cattolico, sotto l’influsso della riscoperta del monismo personalistico biblico, è maturata l’idea dell’unità vitale della creatura umana e una visione personalistica del matrimonio, si cominciò a scorgere più distintamente che l’atto coniugale non è un puro atto naturale (actus naturae), come si deduceva dalla prospettiva agostiniana e tomistica, ma è soprattutto una atto umano (actus hominis), che coinvolge la cooperazione simultanea delle persone dei coniugi (cfr. GS n. 49b).

Facendo propria questa concezione unitaria dell’uomo e del matrimonio, la Gaudium et Spes afferma anzitutto che l’amore coniugale è l’attrazione reciproca di due volontà e la disponibilità alla donazione totale di due persone (cfr. GS n. 49a): quindi non di due spiriti soltanto, né di due sessi soltanto, ma di due esseri umani nella pienezza della loro realtà corporea e spirituale.

In secondo luogo la stessa costituzione asserisce che la reciprocità di donazione degli sposi si realizza anche con l’esercizio della sessualità, che è l’attività propria del matrimonio (cfr. GS n. 49b) ed è anche un valore iscritto nelle radici ultime della persona e risponde ad un preciso disegno divino di arricchimento delle persone dei coniugi e di conservazione della specie.

Secondo la Gaudium et Spes, sessualità e amore coniugale, pur non identificandosi, si integrano a vicenda nelle relazioni interpersonali del matrimonio.

La sessualità entra nella dinamica dell’amore come una sua componente fondamentale, e l’amore pervade, la sessualità. In tal modo l’amore coniugale investe la donazione totale con cui gli sposi si vanno incontro l’uno all’altro con tutto il loro essere, corpo e spirito, conferisce agli atti della sfera sessuale una loro intrinseca dignità e onestà ( cfr. GS n. 49b), e li differenzia da quelli compiuti dagli animali che sono unicamente finalizzati alla riproduzione (cfr. GS n. 51c).

La sessualità viene elevata così dal piano biologico a quello affettivo-integrativo, per diventare espressione specifica dell’amore coniugale.

Gli atti, con cui i coniugi realizzano la loro unione in una sola carne e in un solo spirito, acquistano una particolare nobiltà, purché si compiano in “intima castità”, cioè in un’atmosfera di riservatezza quale si addice a atteggiamenti e a manifestazioni tanto personali, e secondo l’ordine voluto da Dio nell’esercizio della funzione sessuale; e in modo veramente umano, cioè secondo un comportamento che domini la ricerca egoistica del piacere e la forza cieca della passione erotica, orientando l’atto coniugale verso la soddisfazione reciproca in un clima di tenero affetto, di grande benevolenza e di abbandono non solo fisico ma anche psicologico dell'uno nell’altro (cfr. GS n. 49b). Ne consegue che gli atti sessuali umani sono leciti soltanto nel matrimonio, perché è all’interno della vita coniugale che essi esprimono un amore totale, e diventano portatori di valori personali.

A queste condizioni, l’attività sessuale degli sposi va ben al di là del soddisfacimento di certi istinti. Il rapporto coniugale, associando in sé valori umani e divini, promuove la comunione tra i coniugi, e si qualifica non come eticamente pericoloso o riprovevole, ma come scambio interpersonale di amore dal quale erompe la volontà procreativa. E per lo stretto legame che esiste nell’uomo tra corpo e spirito, l’unione degli sposi sul piano fisico abbraccia e rafforza la loro unione sul piano affettivo e spirituale facendosi dialogo, donazione e arricchimento reciproco, sorgente di gioia e di gratitudine. (cfr. GS n. 49b).

La Gaudium et spes, rapportando la sessualità all’amore coniugale, ne mette in luce tanto l’aspetto procreativo quanto quello unitivo, e le accorda così una funzione insopprimibile nelle reazioni interpersonali dei coniugi. Ma, nel contempo, la costituzione conciliare sembra voler ricondurre il “remedium concupiscentiae”, connesso con l’esercizio della sessualità, nell’alveo dell’amore coniugale, e quindi lo ripone nell’insieme di quei comportamenti tipici, con i quali si esplica l’unione coniugale, che appaga l’appetito sensuale, modificando la precedente dottrina che si limitava a ricongiungerlo con la procreazione, ritenendolo come fine ad essa subordinato.

Il vero amore coniugale, per sua natura, non può chiudersi in se stesso ed esaurirsi nella donazione reciproca degli sposi. Esso tende a stimolare la disponibilità dei coniugi, perché collaborino con l’amore del Creatore e del Salvatore, “il quale per mezzo di essi ogni giorno più ingrandisce ed arricchisce la sua famiglia” (GS n. 50a).

L’insegnamento conciliare rivede e si libera dalla concezione matrimoniale, finalizzata unicamente alla procreazione, descrive la correlazione che esiste tra amore e fecondità, e illustra il posto che spetta all’amore coniugale sia nei confronti della generazione e educazione della prole sia in rapporto alla comunione di vita dei coniugi.

Secondo la Gaudium et spes, la procreazione non appare, più come un compito imposto dalla natura quasi dall’esterno e in forma deterministica, ma è un ministerium (GS n. 51c), cioè una missione che Dio affida agli sposi, perché, seguendo la logica di un autentico amore coniugale, partecipino alla sua opera creatrice e redentrice, non come ciechi strumenti o come semplici usufruttuari della vita, ma come interpreti in un certo senso “del suo amore fecondo nel comunicare l’esistenza ad altri esseri umani, e nel proteggerla” (cfr. GS n.50b.50c).

Ciò esige che il comportamento dei coniugi sul piano procreativo, superando ogni forma di egoismo, sia ragionevole e responsabile.

Certo, il Concilio ribadisce che fine essenziale e specificante del matrimonio è la procreazione e educazione della prole, principio saldo e irreformabile nella dottrina cattolica, ma, contemporaneamente, abbandona la rigida concezione del matrimonio orientato esclusivamente o quasi alla procreazione per dare risalto anche al perfezionamento degli sposi, ponendo in tal modo il loro vero bene come elemento non meno essenziale al matrimonio, concepito come comunità di vita e di amore (cfr. GS n. 50a).

Che cosa rappresentano e in quale rapporto stanno l’amore coniugale, la procreazione e il perfezionamento dei coniugi? Da un’attenta analisi del testo della Gaudium et Spes sul matrimonio sembra si possano fare le seguenti deduzioni. L’amore coniugale appare come l’elemento motore e perfettivo del matrimonio. Causa efficiente del matrimonio è il patto coniugale, cioè “l’irrevocabile consenso personale,” espresso in modo percepibile, con cui i due contraenti mutuamente si donano e si ricevono allo scopo di vivere, per edificare una famiglia.

La Gaudium et Spes, sebbene riconosca la natura contrattualistica del matrimonio, non parla tuttavia di contratto, ma di “patto coniugale” (cfr.GS n. 48a). E questo, sia per indicare l’idea di “alleanza” che il patto coniugale include, sia per sottolineare che l’istituzione, che deriva da tale patto, è stata fondata ed è stata dotata da Dio stesso di leggi proprie, sicché la permanenza del vincolo matrimoniale è sottratto alla arbitrazione dei contraenti (cfr. GS n. 48a). L’amore coniugale, corroborato dal consenso, realizza l’intima comunità di vita, che costituisce lo “specifico” o l’essenza del matrimonio. Tale comunità di vita e di amore ha come finalità preminenti la procreazione e l’educazione della prole, e l’arricchimento e il perfezionamento dei coniugi: finalità, l’una sociale e l’altra personale, che non si escludono, ma che si richiamano e si completano a vicenda.

Alla luce di queste riflessioni si comprende meglio anche il senso di questa altra affermazione conciliare: “Tuttavia il matrimonio non è stato istituito in vista della sola procreazione” (GS n.50c). Indubbiamente, la procreazione è un bene importante del matrimonio, senza esserne l’unico. Il matrimonio non ha nella prole la sua giustificazione. Nel caso in cui la prole dovesse mancare per ragioni che esulano dall’intenzione degli sposi, il matrimonio conserva la sua piena validità, perché include altri fini non trascurabili né da porsi in second’ordine (cfr. GS n.50a). Inteso come comunità di vita e di amore, il matrimonio sprona gli sposi a mettere in comune le loro qualità e doti diverse, ma complementari in relazione alla edificazione della società coniugale, e a prestarsi quella vicendevole assistenza che serve a migliorarli e a maturarli umanamente e spiritualmente (cfr. GS nn.49b.52b).

Del resto la, stessa natura del patto coniugale tra due persone esige che l’unità della coppia non possa essere perseguita mediante la strumentalizzazione dell’una o dell’altra parte, poiché la realizzazione di un coniuge dipende dalla realizzazione dell’altro, e qualunque limitazione o sfruttamento dell’uno si riflette sull’altro. I coniugi si uniscono su un piano di uguaglianza per donarsi, in quello che hanno di proprio, senza riserve. Vivendo in pienezza la loro reciproca donazione, non possono non riceverne beneficio a vicenda (cfr. GS n. 50c).

L’accento posto dal Vaticano II sulla dimensione interiore della vita coniugale spiega anche come la Gaudium et Spes difenda il permanere dell’indissolubilità del matrimonio in assenza di prole, richiamandosi alla presenza dell’amore coniugale (cfr. GS n. 50c), e non semplicemente perché si salvi l’istituzione matrimoniale, come invece si esprimeva l’insegnamento preconciliare ancora legato ad una concezione puramente contrattualistica del matrimonio.

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GAUDIUM ET SPES (7 dicembre 1965)

L'aiuto che la Chiesa intende dare alla società umana 42 L'unione della famiglia umana viene molto rafforzata e completata dall'unità della famiglia dei figli di Dio, fondata sul Cristo [Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. II, n. 9]. Certo, la missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è d'ordine politico, economico o sociale: il fine, infatti, che le ha prefisso è d'ordine religioso [Cf. PIO XII, Discorso a cultori di storia e di arte, 9 marzo 1956: “Il suo Divino Fondatore, Gesù Cristo, non le ha conferito nessun mandato né fissato alcun fine d’ordine culturale. Lo scopo che il Cristo le assegna è strettamente religioso (...). La Chiesa deve condurre gli uomini a Dio, perché si donino a lui senza riserva (...). La Chiesa non può perdere mai di vista questo fine strettamente religioso, soprannaturale. Il senso di ogni sua attività, fino all’ultimo canone del suo Codice, non può che riferirsi ad esso direttamente o indirettamente”].

Eppure proprio da questa missione religiosa scaturiscono compiti, luce e forze, che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la legge divina.

Così pure, dove fosse necessario, a seconda delle circostanze di tempo e di luogo, anch'essa può, anzi deve suscitare opere destinate al servizio di tutti, ma specialmente dei bisognosi, come, per esempio, opere di misericordia e altre simili.

La Chiesa, inoltre, riconosce tutto ciò che di buono si trova nel dinamismo sociale odierno, soprattutto il movimento verso l'unità, il progresso di una sana socializzazione e della solidarietà civile ed economica. Promuovere l'unità corrisponde infatti alla intima missione della Chiesa, la quale è appunto «in Cristo quasi un sacramento, ossia segno e strumento di intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» [CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. I, n. 1]. Così essa mostra al mondo che una vera unione sociale esteriore discende dalla unione delle menti e dei cuori, ossia da quella fede e da quella carità, con cui la sua unità è stata indissolubilmente fondata nello Spirito Santo.

Infatti, la forza che la Chiesa riesce a immettere nella società umana contemporanea consiste in quella fede e carità effettivamente vissute, e non in una qualche sovranità esteriore esercitata con mezzi puramente umani. Inoltre, siccome in forza della sua missione e della sua natura non è legata ad alcuna particolare forma di cultura umana o sistema politico, economico, o sociale, la Chiesa per questa sua universalità può costituire un legame strettissimo tra le diverse comunità umane e nazioni, purché queste abbiano fiducia in lei e le riconoscano di fatto una vera libertà per il compimento della sua missione. Per questo motivo la Chiesa esorta i suoi figli, come pure tutti gli uomini, a superare, in questo spirito di famiglia proprio dei figli di Dio, ogni dissenso tra nazioni e razze, e a consolidare interiormente le legittime associazioni umane. Il Concilio, dunque, considera con grande rispetto tutto ciò che di vero, di buono e di giusto si trova nelle istituzioni, pur così diverse, che la umanità si è creata e continua a crearsi. Dichiara inoltre che la Chiesa vuole aiutare e promuovere tutte queste istituzioni, per quanto ciò dipende da lei ed è compatibile con la sua missione.

Niente le sta più a cuore che di servire al bene di tutti e di potersi liberamente sviluppare sotto qualsiasi regime che rispetti i diritti fondamentali della persona e della famiglia e riconosca le esigenze del bene comune.

L'aiuto che la Chiesa intende dare all'attività umana per mezzo dei cristiani 43 Il Concilio esorta i cristiani, cittadini dell'una e dell'altra città, di sforzarsi di compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo.

Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura [Cf. Eb 13,14], pensano che per questo possono trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno [Cf. 2Ts 3,6-13; Ef 4,28].

A loro volta non sono meno in errore coloro che pensano di potersi immergere talmente nelle attività terrene, come se queste fossero del tutto estranee alla vita religiosa, la quale consisterebbe, secondo loro, esclusivamente in atti di culto e in alcuni doveri morali.

La dissociazione, che si costata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo.

Contro questo scandalo [Cf. Is 58,1-12] già nell'Antico Testamento elevavano con veemenza i loro rimproveri i profeti e ancora di più Gesù Cristo stesso, nel Nuovo Testamento, minacciava gravi castighi [Cf. Mt 23,3-33; Mc 7,10-13].

Non si crei perciò un'opposizione artificiale tra le attività professionali e sociali da una parte, e la vita religiosa dall'altra. Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna.

Gioiscano piuttosto i cristiani, seguendo l'esempio di Cristo che fu un artigiano, di poter esplicare tutte le loro attività terrene unificando gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di Dio. Ai laici spettano propriamente, anche se non esclusivamente, gli impegni e le attività temporali. Quando essi, dunque, agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente sia associati, non solo rispetteranno le leggi proprie di ciascuna disciplina, ma si sforzeranno di acquistare una vera perizia in quei campi. Daranno volentieri la loro cooperazione a quanti mirano a identiche finalità. Nel rispetto delle esigenze della fede e ripieni della sua forza, escogitino senza tregua nuove iniziative, ove occorra, e ne assicurino la realizzazione.

Spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della città terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale.

Non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che, ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta, o che proprio a questo li chiami la loro missione; assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero [Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, IV].

Per lo più sarà la stessa visione cristiana della realtà che li orienterà, in certe circostanze, a una determinata soluzione. Tuttavia, altri fedeli altrettanto sinceramente potranno esprimere un giudizio diverso sulla medesima questione, come succede abbastanza spesso e legittimamente.

Ché se le soluzioni proposte da un lato o dall'altro, anche oltre le intenzioni delle parti, vengono facilmente da molti collegate con il messaggio evangelico, in tali casi ricordino essi che nessuno ha il diritto di rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l'autorità della Chiesa.

Invece cerchino sempre di illuminarsi vicendevolmente attraverso un dialogo sincero, mantenendo sempre la mutua carità e avendo cura in primo luogo del bene comune.

I laici, che hanno responsabilità attive dentro tutta la vita della Chiesa, non solo son tenuti a procurare l'animazione del mondo con lo spirito cristiano, ma sono chiamati anche ad essere testimoni di Cristo in ogni circostanza e anche in mezzo alla comunità umana.

I vescovi, poi, cui è affidato l'incarico di reggere la Chiesa di Dio, devono insieme con i loro preti predicare il messaggio di Cristo in modo tale che tutte le attività terrene dei fedeli siano pervase dalla luce del Vangelo.

Inoltre i pastori tutti ricordino che essi con la loro quotidiana condotta e con la loro sollecitudine [Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. III, n. 28] mostrano al mondo un volto della Chiesa, in base al quale gli uomini si fanno un giudizio sulla efficacia e sulla verità del messaggio cristiano. Con la vita e con la parola, uniti ai religiosi e ai loro fedeli, dimostrino che la Chiesa, già con la sola sua presenza, con tutti i doni che contiene, è sorgente inesauribile di quelle forze di cui ha assoluto bisogno il mondo moderno.

Con lo studio assiduo si rendano capaci di assumere la propria responsabilità nel dialogo col mondo e con gli uomini di qualsiasi opinione.

Soprattutto però abbiano in mente le parole di questo Concilio: «Siccome oggi l'umanità va sempre più organizzandosi in unità civile, economica e sociale, è tanto più necessario che i sacerdoti, unendo sforzi e mezzi sotto la guida dei vescovi e del sommo Pontefice, eliminino ogni motivo di dispersione, affinché tutto il genere umano sia ricondotto all'unità della famiglia di Dio» [Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. III, n. 28].

Benché la Chiesa, per la virtù dello Spirito Santo, sia rimasta la sposa fedele del suo Signore e non abbia mai cessato di essere segno di salvezza nel mondo, essa tuttavia non ignora affatto che tra i suoi membri sia chierici che laici [Cf. S. AMBROGIO, De virginitate, cap. VIII, n. 48: PL 16, 278], nel corso della sua lunga storia, non sono mancati di quelli che non furono fedeli allo Spirito di Dio.

E anche ai nostri giorni sa bene la Chiesa quanto distanti siano tra loro il messaggio ch'essa reca e l'umana debolezza di coloro cui è affidato il Vangelo. Qualunque sia il giudizio che la storia dà di tali difetti, noi dobbiamo esserne consapevoli e combatterli con forza, perché non ne abbia danno la diffusione del Vangelo. Così pure la Chiesa sa bene quanto essa debba continuamente maturare imparando dall'esperienza di secoli, nel modo di realizzare i suoi rapporti col mondo.

Guidata dallo Spirito Santo, la madre Chiesa non si stancherà di «esortare i suoi figli a purificarsi e a rinnovarsi, perché il segno di Cristo risplenda ancor più chiaramente sul volto della Chiesa» [CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. II, n. 15].

L'aiuto che la Chiesa riceve dal mondo contemporaneo. 44 Come è importante per il mondo che esso riconosca la Chiesa quale realtà sociale della storia e suo fermento, così pure la Chiesa non ignora quanto essa abbia ricevuto dalla storia e dall'evoluzione del genere umano. L'esperienza dei secoli passati, il progresso della scienza, i tesori nascosti nelle varie forme di cultura umana, attraverso cui si svela più appieno la natura stessa dell'uomo e si aprono nuove vie verso la verità, tutto ciò è di vantaggio anche per la Chiesa.

Essa, infatti, fin dagli inizi della sua storia, imparò ad esprimere il messaggio di Cristo ricorrendo ai concetti e alle lingue dei diversi popoli; inoltre si sforzò di illustrarlo con la sapienza dei filosofi: e ciò allo scopo di adattare il Vangelo, nei limiti convenienti, sia alla comprensione di tutti, sia alle esigenze dei sapienti. E tale adattamento della predicazione della parola rivelata deve rimanere la legge di ogni evangelizzazione. Così, infatti, viene sollecitata in ogni popolo la capacità di esprimere secondo il modo proprio il messaggio di Cristo, e al tempo stesso viene promosso uno scambio vitale tra la Chiesa e le diverse culture dei popoli [Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. II, n. 13]. Allo scopo di accrescere tale scambio, oggi soprattutto, che i cambiamenti sono così rapidi e tanto vari i modi di pensare, la Chiesa ha bisogno particolare dell'apporto di coloro che, vivendo nel mondo, ne conoscono le diverse istituzioni e discipline e ne capiscono la mentalità, si tratti di credenti o di non credenti.

È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l'aiuto dello Spirito Santo, ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta.

La Chiesa, avendo una struttura sociale visibile, che è appunto segno della sua unità in Cristo, può essere arricchita, e lo è effettivamente, dallo sviluppo della vita sociale umana non perché manchi qualcosa nella costituzione datale da Cristo, ma per conoscere questa più profondamente, per meglio esprimerla e per adattarla con più successo ai nostri tempi.

Essa sente con gratitudine di ricevere, nella sua comunità non meno che nei suoi figli singoli, vari aiuti dagli uomini di qualsiasi grado e condizione.

Chiunque promuove la comunità umana nell'ordine della famiglia, della cultura, della vita economica e sociale, come pure della politica, sia nazionale che internazionale, porta anche non poco aiuto, secondo il disegno di Dio, alla comunità della Chiesa, nella misura in cui questa dipende da fattori esterni.

Anzi, la Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino dall'opposizione di quanti la avversano o la perseguitano [Cf. GIUSTINO, Dialogus cum Triphone, cap. 110: PG 6, 729; ed. Otto, 1897, pp. 391-393: “...ma quanto più ci vengono inflitte queste pene, tanto più altri diventano fedeli e pii per il nome di Gesù”. Cf. TERTULLIANO, Apologeticus, cap. L, 13: PL 1, 534; Corpus Christ., ser. lat. I, p. 171: “Diventiamo anzi sempre di più ogni volta che siamo mietuti da voi: il sangue dei Cristiani è seme!”). Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. II, n. 9].

Cristo, l'alfa e l'omega. 45 La Chiesa, nel dare aiuto al mondo come nel ricevere molto da esso, ha di mira un solo fine: che venga il regno di Dio e si realizzi la salvezza dell'intera umanità. Tutto ciò che di bene il popolo di Dio può offrire all'umana famiglia, nel tempo del suo pellegrinaggio terreno, scaturisce dal fatto che la Chiesa è «l'universale sacramento della salvezza» [CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. VII, n. 48] che svela e insieme realizza il mistero dell'amore di Dio verso l'uomo. Infatti il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne, per operare, lui, l'uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale. Il Signore è il fine della storia umana, «il punto focale dei desideri della storia e della civiltà», il centro del genere umano, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni [Cf. PAOLO VI, Discorso pronunciato il 3 feb. 1965]. Egli è colui che il Padre ha risuscitato da morte, ha esaltato e collocato alla sua destra, costituendolo giudice dei vivi e dei morti. Vivificati e radunati nel suo Spirito, come pellegrini andiamo incontro alla finale perfezione della storia umana, che corrisponde in pieno al disegno del suo amore: «Ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,10). Dice il Signore stesso: «Ecco, io vengo presto, e porto con me il premio, per retribuire ciascuno secondo le opere sue. Io sono l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e il fine» (Ap 22,12-13).

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Approfondimenti

  • La Chiesa (e con lei ogni cristiano) si dichiara al servizio dell’intera umanità, specialmente impegnata a fare di tutto il genere umano una sola famiglia.

  • La Chiesa (e dunque il cristianesimo) non ha una specifica cultura da proporre o da apportare, quanto piuttosto un progetto di uomo e del suo legame nativo con Dio. Ciò fonda la sua azione di inculturazione, il suo divenire cultura in ogni cultura.

  • Ai fini dell’apostolato è opportuno riflettere sui rapporti fra Vangelo e cultura, alla luce del legame fra religione e cultura in ogni specifico popolo ed etnia. Il cristianesimo non è una cultura fra le altre e, in un certo senso, non è (solo) una religione.

  • Il punto riprende la dottrina sul laicato della Lumen gentium ed offre un bel quadro del rapporto fra sacerdozio comune dei fedeli e sacerdozio ministeriale, anche se non vengono impiegati questi termini. È in particolare la responsabilità personale dei laici ad essere sottolineata.

  • Affinché questo agire sia un vivere da cristiani nel mondo senza essere del mondo, diventa strategica la necessità di una formazione integrata (professionale e teologica), condizione di una autentica unità di vita intellettuale.

  • Si può riflettere insieme sul rapporto fra pastori e laici nelle cose temporali. Si può anche riflettere su quali siano gli errori del clericalismo e su cosa si debba intendere con questo termine.

  • Il Concilio riconosce limiti ed errori compiuti da cristiani lungo la storia. Idea più volte ribadita nel Magistero die Giovanni Paolo II ed anche in quello di papa Francesco. Occorre impostare e comprendere rettamente questo aspetto.

  • Si tratta di un punto assai interessante e programmatico che spiega come la predicazione della Chiesa e la stessa riflessione teologica, deve giovarsi delle conoscenze e delle molteplici forme della cultura umana.

  • Questo scambio (la Chiesa dà e riceve) non si realizza tanto a livello istituzionale (la Chiesa di fronte alla cultura e al mondo), bensì attraverso i cristiani che vivono in mezzo al mondo. Questo implica che il cristiano sia una persona colta, nel senso più genuino del termine, ed un uomo del suo tempo.

  • C'è la possibilità, ancora in parte inedita, di svolgere un lavoro teologico serio, seguendo questa prospettiva.

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GAUDIUM ET SPES (7 dicembre 1965)

PARTE I – CAPITOLO IV – LA MISSIONE DELLA CHIESA NEL MONDO CONTEMPORANEO

Mutua relazione tra Chiesa e mondo 40 Tutto quello che abbiamo detto a proposito della dignità della persona umana, della comunità degli uomini, del significato profondo della attività umana, costituisce il fondamento del rapporto tra Chiesa e mondo, come pure la base del dialogo fra loro [Cf. PAOLO VI, Encicl. Ecclesiam suam, III].

In questo capitolo, pertanto, presupponendo tutto ciò che il Concilio ha già insegnato circa il mistero della Chiesa, si viene a prendere in considerazione la medesima Chiesa in quanto si trova nel mondo e insieme con esso vive ed agisce.

La Chiesa, procedendo dall'amore dell'eterno Padre [Cf. Tt 3,4: «philanthropia»], fondata nel tempo dal Cristo redentore, radunata nello Spirito Santo [Cf. Ef 1,3.5-6.13-14.23], ha una finalità salvifica ed escatologica che non può essere raggiunta pienamente se non nel mondo futuro. Ma essa è già presente qui sulla terra, ed è composta da uomini, i quali appunto sono membri della città terrena chiamati a formare già nella storia dell'umanità la famiglia dei figli di Dio, che deve crescere costantemente fino all'avvento del Signore. Unita in vista dei beni celesti e da essi arricchita, tale famiglia fu da Cristo «costituita e ordinata come società in questo mondo» [Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. I, n. 8] e fornita di «mezzi capaci di assicurare la sua unione visibile e sociale» [CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. II, n. 9]. Perciò la Chiesa, che è insieme «società visibile e comunità spirituale» [CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. I, n. 8] cammina insieme con l'umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena; essa è come il fermento e quasi l'anima della società umana [Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. IV, n. 38], destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio. Tale compenetrazione di città terrena e città celeste non può certo essere percepita se non con la fede; resta, anzi, il mistero della storia umana, che è turbata dal peccato fino alla piena manifestazione dello splendore dei figli di Dio.

Ma la Chiesa, perseguendo il suo proprio fine di salvezza, non solo comunica all'uomo la vita divina; essa diffonde anche in qualche modo sopra tutto il mondo la luce che questa vita divina irradia, e lo fa specialmente per il fatto che risana ed eleva la dignità della persona umana, consolida la compagine della umana società e conferisce al lavoro quotidiano degli uomini un più profondo senso e significato. Così la Chiesa, con i singoli suoi membri e con tutta intera la sua comunità, crede di poter contribuire molto a umanizzare di più la famiglia degli uomini e la sua storia.

Inoltre la Chiesa cattolica volentieri tiene in gran conto il contributo che, per realizzare il medesimo compito, han dato e danno, cooperando insieme, le altre Chiese o comunità ecclesiali.

Al tempo stesso essa è persuasa che, per preparare le vie al Vangelo, il mondo può fornirle in vario modo un aiuto prezioso mediante le qualità e l'attività dei singoli o delle società che lo compongono. Allo scopo di promuovere debitamente tale mutuo scambio ed aiuto, nei campi che in qualche modo sono comuni alla Chiesa e al mondo, vengono qui esposti alcuni principi generali.

L'aiuto che la Chiesa intende offrire agli individui 41 L'uomo d'oggi procede sulla strada di un più pieno sviluppo della sua personalità e di una progressiva scoperta e affermazione dei propri diritti. Poiché la Chiesa ha ricevuto la missione di manifestare il mistero di Dio, il quale è il fine ultimo dell'uomo, essa al tempo stesso svela all'uomo il senso della sua propria esistenza, vale a dire la verità profonda sull'uomo.

Essa sa bene che soltanto Dio, al cui servizio è dedita, dà risposta ai più profondi desideri del cuore umano, che mai può essere pienamente saziato dagli elementi terreni.

Sa ancora che l'uomo, sollecitato incessantemente dallo Spirito di Dio, non potrà mai essere del tutto indifferente davanti al problema religioso, come dimostrano non solo l'esperienza dei secoli passati, ma anche molteplici testimonianze dei tempi nostri.

L'uomo, infatti, avrà sempre desiderio di sapere, almeno confusamente, quale sia il significato della sua vita, della sua attività e della sua morte. E la Chiesa, con la sua sola presenza nel mondo, gli richiama alla mente questi problemi. Ma soltanto Dio, che ha creato l'uomo a sua immagine e che lo ha redento dal peccato, può offrire a tali problemi una risposta pienamente adeguata; cose che egli fa per mezzo della rivelazione compiuta nel Cristo, Figlio suo, che si è fatto uomo.

Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, diventa anch'egli più uomo.

Partendo da questa fede, la Chiesa può sottrarre la dignità della natura umana al fluttuare di tutte le opinioni che, per esempio, abbassano troppo il corpo umano, oppure lo esaltano troppo.

Nessuna legge umana è in grado di assicurare la dignità personale e la libertà dell'uomo, quanto il Vangelo di Cristo, affidato alla Chiesa.

Questo Vangelo, infatti, annunzia e proclama la libertà dei figli di Dio, respinge ogni schiavitù che deriva in ultima analisi dal peccato [Cf. Rm 8,14-17] onora come sacra la dignità della coscienza e la sua libera decisione, ammonisce senza posa a raddoppiare tutti i talenti umani a servizio di Dio e per il bene degli uomini, infine raccomanda tutti alla carità di tutti [Cf. Mt 22,39].

Ciò corrisponde alla legge fondamentale della economia cristiana.

Benché, infatti, i1 Dio Salvatore e il Dio Creatore siano sempre lo stesso Dio, e così pure si identifichino il Signore della storia umana e il Signore della storia della salvezza, tuttavia in questo stesso ordine divino la giusta autonomia della creatura, specialmente dell'uomo, lungi dall'essere soppressa, viene piuttosto restituita alla sua dignità e in essa consolidata.

Perciò la Chiesa, in forza del Vangelo affidatole, proclama i diritti umani, e riconosce e apprezza molto il dinamismo con cui ai giorni nostri tali diritti vengono promossi ovunque.

Questo movimento tuttavia deve essere impregnato dallo spirito del Vangelo e dev'essere protetto contro ogni specie di falsa autonomia.

Siamo, infatti, esposti alla tentazione di pensare che i nostri diritti personali sono pienamente salvi solo quando veniamo sciolti da ogni norma di legge divina.

Ma per questa strada la dignità della persona umana non si salva e va piuttosto perduta.

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Approfondimenti

  • Si chiariscono differenze e sinergie fra gli ordini della natura e della grazia, distinguendoli senza separarli. È il primo numero, introduttorio, di un capitolo complesso, la cui redazione ha richiesto molto lavoro e riflessione, nonché la composizione di diverse prospettive.

  • Il canone del rapporto fra la Chiesa e il mondo viene stabilito su basi antropologiche (avrebbero potuto essere altre, cosmologiche ad esempio, ma il Concilio ha preferito così, per il mondo odierno).

  • La Chiesa non ha un fine terreno ma non può raggiungere il suo fine escatologico se non attraversa la storia ed è perciò chiamata a costruire questa storia insieme a tutti gli uomini.

  • La proposta della missione della Chiesa parte dalla constatazione che l’essere umano, in ogni luogo e in ogni tempo, manifesta la sua autotrascendenza segno dell’immagine divina in lui. Parte anche dal rilevare che l’ordine terreno, per quanto tenda ad assicurare all’uomo, dignità, libertà e soddisfazione delle sue aspirazioni più alte, in realtà può farlo fino ad un certo punto.

  • La proposta/missione della Chiesa è proposta/missione di un umanesimo integrale. Proporre Cristo all’uomo, vuol dire aiutarlo ad essere più uomo. La società umana non ha nulla da temere dalla Chiesa, proprio per l’intima convergenza fra antropologia e cristologia, cioè fra l’apertura dell’uomo al bene, alla giustizia, alla verità e alla libertà e il messaggio di Cristo Gesù.

  • La Chiesa coopera pertanto attivamente alla promozione e alla difesa dei diritti umani e questo suo lavoro non può essere giudicato né come ingerenza, né come legame eteronomo, né come limite alcuno alla piena espressione di una vera umanità.

  • Vale la pena di riflettere su questa convergenza fra cristianesimo e umanesimo al momento si spiegare, nel lavoro apostolico, le esigenze della legge morale, senza “complessi di inferiorità”. Cristo non propone nulla che sia diminuzione dell’umano ma solo ciò che è sua autentica promozione, anche quando erroneamente ad alcuni può sembrare il contrario.

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