📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

Inno di lode 1Signore, tu sei il mio Dio; voglio esaltarti e lodare il tuo nome, perché hai eseguito progetti meravigliosi, concepiti da lungo tempo, fedeli e stabili. 2Poiché hai trasformato la città in un mucchio di sassi, la cittadella fortificata in una rovina, la fortezza degli stranieri non è più una città, non si ricostruirà mai più. 3Per questo ti glorifica un popolo forte, la città di nazioni possenti ti venera. 4Perché tu sei sostegno al misero, sostegno al povero nella sua angoscia, riparo dalla tempesta, ombra contro il caldo; poiché lo sbuffo dei tiranni è come pioggia che rimbalza sul muro, 5come arsura in terra arida il clamore degli stranieri. Tu mitighi l’arsura con l’ombra di una nube, l’inno dei tiranni si spegne.

Il banchetto per tutti i popoli 6Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. 7Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. 8Eliminerà la morte per sempre. Il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni volto, l’ignominia del suo popolo farà scomparire da tutta la terra, poiché il Signore ha parlato.

Inno di lode 9E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; in lui abbiamo sperato perché ci salvasse. Questi è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza, 10poiché la mano del Signore si poserà su questo monte».

La fine di Moab Moab invece sarà calpestato al suolo, come si pesta la paglia nel letamaio. 11Là esso stenderà le mani, come le distende il nuotatore per nuotare; ma il Signore abbasserà la sua superbia, nonostante l’annaspare delle sue mani. 12L’eccelsa fortezza delle tue mura egli abbatterà e demolirà, la raderà al suolo.

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Approfondimenti

Inno di lode 25,1-5 Questo inno di lode appartiene al terzo stadio del processo formativo dell'apocalisse isaiana. L'autore richiama i grandi temi dell'annuncio del giudizio, in particolare la caduta della città del caos (cfr. 24,10-12), mosso da un preciso intento. Anche in una catastrofe cosmica chi confida nel Signore non resta privato del suo potente aiuto.

2-3. Si annuncia il secondo motivo della lode: la distruzione della città, qui indicata come «cittadella fortificata» e fortezza dei superbi. L'espressione «popolo forte» (v. 3), che potrebbe far pensare ai vincitori della città superba, indica invece gli abitanti della stessa città distrutta, come si evince dalla locuzione parallela «la città di genti possenti ti venera».

Il banchetto per tutti i popoli 25,6-8 La descrizione di un solenne banchetto, preparato dal Signore per tutti i popoli «su questo monte», è la continuazione di 24,21-23 e perciò deriva dallo stesso autore e non appartiene allo scritto fondamentale. La promessa di un banchetto destinato ai popoli è singolare all'interno della Scrittura. L'autore l'ha creata ispirandosi ad alcuni grandi motivi della tradizione, quali: il pellegrinaggio dei popoli al monte Sion (2,2-4; 60), la rivelazione che costituisce l'ammirazione delle genti, la sapienza che esercita il suo influsso in tutte le nazioni, la missione di Israele quale testimone dell'alleanza e della benedizione divina fino ai confini della terra.

6. Il richiamo a «questo monte» è molto illuminante: esso rinvia a 24,23 dove gli anziani sono alla presenza della Gloria divina, e richiama il racconto dell'alleanza di Es 24,9-11 quando essi «videro il Dio d'Israele» e mangiarono e bevvero, cioè parteciparono al banchetto nel quale il Signore sigillava la su alleanza con il popolo. Questi richiami orientano la ritenere che nel nostro testo tutti i popoli sono chiamati a partecipare al banchetto dell'alleanza.

7. «Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli»: l'espressione non significa l'eliminazione dell'incredulità con il dono della rivelazione (questo dono è già implicito nel tema dei popoli ammessi al monte dell'alleanza). Il velo o la coltre che ricopre i popoli richiama la condizione di sofferenza e di angustia dalla quale il Signore libera definitivamente (cfr. 2Sam 15,30; 19,5; Ger 14,3s.).

8. Una mano successiva ha aggiunto la prima frase: «Eliminerà la morte per sempre». Questa aggiunta, riflettendo la fede nella risurrezione, testimonia che il nostro brano venne reinterpretato secondo l'ottica propria dell'apocalittica.

Inno di lode 25,9-10a Questo inno di lode, che nella redazione attuale del libro forma, con 25,1-5, la cornice all'annuncio del banchetto preparato per tutti i popoli, è profondamente caratterizzato da un intento parenetico. Il canto che si innalzerà «in quel giorno» è attraversato da un unico tema: la speranza posta nel Signore non andrà delusa. Quando in Israele maturerà la fede nella risurrezione il canto della speranza svilupperà le sue virtualità in una prospettiva nuova e inattesa. La speranza pone la vita del credente nella sicurezza della vittoria eterna del Dio vivente.

La fine di Moab 25,10b-12 È l'aggiunta di un redattore che ritenne necessario precisare che il popolo di Moab sarebbe stato escluso dal banchetto di 25,6-8 e quindi dalla salvezza. Il nostro detto, che riflette l'esclusione dei Moabiti dalla comunità cultuale di Gerusalemme (cfr. Ne 13,1), non offre nessun aggancio a un fatto storico che consenta di datare l'apocalisse isaiana. Esso, invece, ha il merito di inserirsi nel discorso sviluppando il motivo dell'orgoglio quale causa della rovina dell'uomo e dei popoli nel giudizio di Dio (cfr. i vv. 11-12 con il v. 2).

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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LA GRANDE APOCALISSE

Il giudizio del mondo 1Ecco che il Signore devasta la terra, la squarcia e ne sconvolge la superficie e ne disperde gli abitanti. 2Avverrà lo stesso al popolo come al sacerdote, allo schiavo come al suo padrone, alla schiava come alla sua padrona, al compratore come al venditore, a chi riceve come a chi dà in prestito, al creditore come al debitore. 3Sarà tutta devastata la terra, sarà tutta saccheggiata, perché il Signore ha pronunciato questa parola. 4È in lutto, languisce la terra; è squallido, languisce il mondo, sono desolati il cielo e gli abitanti della terra. 5La terra è stata profanata dai suoi abitanti, perché hanno trasgredito le leggi, hanno disobbedito al decreto, hanno infranto l’alleanza eterna. 6Per questo la maledizione divora la terra, i suoi abitanti ne scontano la pena; per questo si consumano gli abitanti della terra e sono rimasti solo pochi uomini. 7Lugubre è il mosto, la vigna languisce, gemono tutti i cuori festanti. 8È cessata la gioia dei tamburelli, è finito il chiasso dei gaudenti, è cessata la gioia della cetra. 9Non si beve più il vino tra i canti, la bevanda inebriante è amara per chi la beve. 10È distrutta la città del nulla, è chiuso l’ingresso di ogni casa. 11Per le strade si lamentano, perché non c’è vino; ogni gioia è scomparsa, se ne è andata la letizia dalla terra. 12Nella città è rimasta la desolazione; la porta è stata abbattuta a pezzi. 13Perché così accadrà nel centro della terra, in mezzo ai popoli, come quando si bacchiano le olive, come quando si racimola, finita la vendemmia.

Giubilo per la salvezza 14Quelli alzeranno la voce, canteranno alla maestà del Signore. Acclameranno gioiosamente dal mare: 15«Voi in oriente, glorificate il Signore, nelle isole del mare, il nome del Signore, Dio d’Israele». 16Dagli angoli estremi della terra abbiamo udito il canto: «Gloria al giusto».

Inevitabilità del giudizio Ma io dico: «Guai a me! Guai a me! Ohimè!». I perfidi agiscono perfidamente, i perfidi operano con perfidia. 17Terrore, fossa e laccio ti sovrastano, o abitante della terra. 18Avverrà che chi fugge al grido di terrore cadrà nella fossa, chi risale dalla fossa sarà preso nel laccio, poiché cateratte dall’alto si aprono e si scuotono le fondamenta della terra. 19A pezzi andrà la terra, in frantumi si ridurrà la terra, rovinosamente crollerà la terra. 20La terra barcollerà come un ubriaco, vacillerà come una tenda; peserà su di essa la sua iniquità, cadrà e non si rialzerà.

Fine dei regni della terra e regno del Signore 21Avverrà che in quel giorno il Signore punirà in alto l’esercito di lassù e in terra i re della terra. 22Saranno senza scampo incarcerati, come un prigioniero in una prigione sotterranea, saranno rinchiusi in un carcere e dopo lungo tempo saranno puniti. 23Arrossirà la luna, impallidirà il sole, perché il Signore degli eserciti regna sul monte Sion e a Gerusalemme, e davanti ai suoi anziani risplende la sua gloria.

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Approfondimenti

LA GRANDE APOCALISSE 24,1-27,13 I cc. 24-27 sono chiamati impropriamente “l’Apocalisse di Isaia”. Se si prescinde da alcune aggiunte reinterpretative, lo strato fondamentale di questi capitoli (24,1-6.14-20; 26,7-21) sviluppa il tema del giudizio del mondo in modo da costituire la degna conclusione alle sentenze contro le nazioni dei cc. 13-23. La formazione del “Protoisaia” si è compiuta appunto in questo contesto storico e spirituale, forse negli anni 480-460, prima che la situazione si evolvesse e preparasse il terreno all'intervento di Neemia. La raccolta, così ultimata, continuò il suo cammino di costante attualizzazione nella vita del popolo. Ne sono un segno varie aggiunte, tra le quali meritano di essere menzionati gli interventi redazionali effettuati nei cc. 24-27: descrizioni escatologiche (24,21-23; 25,6-8.9-10a); canti che contrappongono alla rovina della città forte e superba il destino salvifico di Gerusalemme (25,1-5; 26,1-6); infine le sentenze, raggruppate nel c. 27. Alcune di queste aggiunte, però, si verificarono quando il libro di Isaia aveva ormai assunto la forma attuale con la fusione del “Protoisaia” con i cc. 40-66 (40-55 “Deuteroisaia”, 56-66 “Tritoisaia”). L'unione letteraria di queste opere fu possibile proprio per la loro interiore convergenza nella prospettiva della nuova Sion.

La redazione della “Visione di Isaia”, che si verificò intorno al 300, in un'epoca di incertezza per gli sconvolgimenti politici e sociali, avvenne per richiamare alla fede del popolo gli orientamenti vitali dell'opera e situarli nel contesto della rivelazione divina, quindi nella luce profetica della speranza. Grazie a questa prospettiva teologica della nuova Sion, la Gerusalemme storica si configurò come il punto di riferimento non solo dei Giudei che vivevano nella terra dei Padri, ma di tutto il giudaismo della diaspora.

Il giudizio del mondo 24, 1-13 La pericope è costituita dal racconto fondamentale (vv. 1-6) e da alcune aggiunte interpretative, Nel racconto fondamentale i vv. 1-3 formano una prima parte. Essa ha per tema l'annuncio della distruzione totale della terra e si conclude con la formula di citazione «il Signore ha pronunziato questa parola». La seconda strofa (vv. 4-6) presenta, nella forma di un detto di minaccia, il motivo del giudizio annunciato. La parola iniziale «languisce» ricorre di nuovo al principio del v. 7, segno che i vv. 7-13 sono stati intesi a livello redazionale come una terza strofa della composizione.

1-3. La prima strofa si presenta costruita in forma chiastica: terra (v. 1a) – abitanti (v. 1b); abitanti (v. 2) – terra (v. 3a). L'intero quadro, inoltre, è caratterizzato all'inizio e alla fine dall'enfasi data all'azione e alla parola del Signore. L'immagine del Signore che «spacca» e «squarcia» la terra richiama il testo di Na 2,11. Però, mentre il profeta si riferisce alla distruzione di Ninive, il nostro testo parla del giudizio del Signore che sconvolge tutta la terra, disperdendo senza scampo i suoi abitanti. L'autore non descrive come si verifica questo evento. Dal v. 2 risulta che a lui interessano di più le conseguenze che non le modalità del giudizio divino. Tutti gli uomini saranno raggiunti dal giudizio, senza riguardo alla loro posizione religiosa, al loro ceto sociale e alle loro ricchezze.

4-6. La seconda strofa descrive il giudizio della terra con l'immagine della siccità che colpisce l'intera vegetazione. Il v. 5 indica il motivo teologico del giudizio annunciato. La profanazione della terra ad opera dei suoi abitanti può avvenire sia per i delitti di sangue (Nm 35,33; cfr. Sal 106, 38), sia per l'idolatria (Ger 3,9). Nel nostro testo la terra è profanata perché i suoi abitanti «hanno infranto l'alleanza eterna»: l'alleanza del Signore con tutta l'umanità (cfr. Gn 9,16). L'infrazione dell'alleanza porta con sé l'irruzione della maledizione (v. 6; cfr. Dt 27,15-28; 28,15-46; 29,15-20). Come il diluvio non annientò l'intero genere umano, così anche dalla catastrofe del giudizio del mondo rimarrà un piccolo resto, primizia di un'umanità nuova e di un mondo nuovo. Questa visuale è un chiaro indizio che il nostro testo non è apocalittico, ma escatologico.

7-13. Questi versetti riuniscono tre aggiunte distinte. La prima si riallaccia alla descrizione del v. 7 («Lugubre è il mosto, la vigna languisce») per delineare un quadro dominato dall'assenza della gioia (vv. 7-9). Con l'aggiunta dei vv. 10-12 compare per la prima volta nei cc. 24-27 una grandezza che riveste particolare significato e che qui è denominata la «città del caos». Il termine non denota una città storica particolare, ma è carico di una connotazione simbolica: essa è l'anti-Gerusalemme, il simbolo della città costruita sull'orgoglio e quindi il luogo dove si concentrano e si condensano le forze della violenza e dell'oppressione. Con l'annuncio della distruzione della città del caos i nostri versetti sviluppano la dimensione positiva del giudizio del mondo: la fine della città del caos è il preludio della città della pace.

Giubilo per la salvezza 24,14-16a La breve pericope appartiene al secondo stadio della formazione dell'Apocalisse isaiana e introduce un canto alla «maestà» del Signore. Il termine, che non è frequente nella Scrittura (cfr. Is 2,10.19.21), si richiama al verbo che nel canto dell'esodo proclama la potenza salvifica del Signore che libera il suo popolo dall'oppressione del faraone (cfr. Es 15,1b.21b). Il «giusto» (v. 16) può essere o il pio Israele o avere un'estensione universale e riferirsi all'uomo retto e «timorato di Dio», secondo l'immagine di Giobbe. Il contesto sembra favorire l'ultima possibilità. I giusti sono il piccolo resto scampato dal giudizio, primizia di un'umanità nuova.

Inevitabilità del giudizio 24,16b-20 Con il v. 16b riprende il testo fondamentale. L'inevitabilità del giudizio è resa ancora più acuta dal grido di dolore suscitato nell'autore dalla perfidia umana che attira il giudizio. Il ritmo inarrestabile del giudizio è espresso con tre sostantivi («Terrore, fossa e laccio») che presentano una forte allitterazione. I tre sostantivi prospettano, in un drammatico crescendo, lo sviluppo di situazioni sempre più gravi e dalle quali è definitivamente impossibile una liberazione.

19-20. Prosegue la descrizione del cataclisma universale con le immagini della terra che si frantuma, «barcolla come un ubriaco» (28,7-8; 29,9) e «vacilla come una tenda» scossa dall'uragano prima di cadere senza più rialzarsi. Il v. 20b si riallaccia al v. 5 per indicare il motivo teologico del giudizio del mondo: la terra è schiacciata dal peso della sua iniquità (cfr. Sal 38,5).

Fine dei regni della terra e regno del Signore 24,21-23 Una sentenza di minaccia contro le potenze cosmiche che si ergono contro il Signore, culminante in un solenne annuncio di salvezza nel quale si proclama l'irruzione definitiva del regno del Signore. 21. «esercito di lassù»: richiama la polemica antidolatrica (cfr. Dt 4) e assicura l'eliminazione degli idoli, nei quali l'uomo trova la legittimazione della propria sicurezza e del proprio successo. Nel v. 22 l'affermazione che i re della terra saranno imprigionati e «dopo lungo tempo» saranno puniti presenta in embrione la concezione secondo cui il dramma finale si svolge in diverse fasi. Questa prospettiva riceverà un particolare sviluppo in alcune correnti dell'apocalitica futura.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Detto su Tiro 1Oracolo su Tiro. Fate il lamento, navi di Tarsis, perché è stata distrutta: è senza più case. Mentre tornavano dalla terra dei Chittìm, ne fu data loro notizia. 2Ammutolite, abitanti della costa. I mercanti di Sidone, che attraversavano il mare, ti affollavano. 3Attraverso le acque profonde giungeva il frumento di Sicor, il raccolto del Nilo, che era la sua ricchezza. Tu eri il mercato dei popoli. 4Vergógnati, Sidone, perché il mare, la fortezza marinara, ha parlato dicendo: «Io non ho avuto doglie, non ho partorito, non ho allevato giovani, non ho fatto crescere vergini». 5All’udirlo in Egitto, si addoloreranno per la notizia su Tiro. 6Passate a Tarsis, fate il lamento, abitanti della costa. 7È questa la vostra città gaudente, le cui origini risalgono a un’antichità remota, i cui piedi la portavano lontano per fissarvi dimore? 8Chi ha deciso questo contro Tiro, la dispensatrice di corone, i cui mercanti erano prìncipi, i cui trafficanti erano i più nobili della terra? 9Il Signore degli eserciti lo ha deciso, per svergognare l’orgoglio di tutto il suo fasto, per umiliare i più nobili sulla terra. 10Solca la tua terra come il Nilo, figlia di Tarsis; il porto non esiste più. 11Ha steso la mano verso il mare, ha sconvolto i regni, il Signore ha decretato per Canaan di abbattere le sue fortezze. 12Egli ha detto: «Non continuerai a far baldoria, o vergine, duramente oppressa, figlia di Sidone. Àlzati, va’ pure dai Chittìm; neppure là ci sarà pace per te». 13Ecco la terra dei Caldei: questo popolo non esisteva. L’Assiria l’assegnò alle bestie selvatiche. Vi eressero le loro torri d’assedio, ne hanno demolito i palazzi, l’hanno ridotta a un cumulo di rovine. 14Fate il lamento, navi di Tarsis, perché è stato distrutto il vostro rifugio. 15Avverrà che in quel giorno Tiro sarà dimenticata per settant’anni, quanti sono gli anni di un re. Alla fine dei settant’anni a Tiro si applicherà la canzone della prostituta: 16«Prendi la cetra, gira per la città, prostituta dimenticata; suona con abilità, moltiplica i canti, perché qualcuno si ricordi di te». 17Ma alla fine dei settant’anni il Signore visiterà Tiro, che ritornerà ai suoi guadagni; essa trescherà con tutti i regni del mondo sulla terra. 18Il suo salario e il suo guadagno saranno sacri al Signore. Non sarà ammassato né custodito il suo salario, ma andrà a coloro che abitano presso il Signore, perché possano nutrirsi in abbondanza e vestirsi con decoro.

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Approfondimenti

Detto su Tiro 23,1-18 Anche prescindendo dalle aggiunte dei vv. 15-18, la sentenza su Tiro (vv. 1-14) presenta non pochi problemi sia di traduzione che di interpretazione. E probabile che nella sua forma originaria il poema fosse un invito al lamento per la distruzione di Sidone. Questo ci porterebbe non tanto al 701, quando Sidone riuscì a salvarsi accettando come re il filoassiro Ittobaal, ma alla distruzione della città avvenuta nel 678 ad opera del re assiro Assaraddon. La distruzione di Sidone poneva tutta la Fenicia sotto il potere assiro. Il poema lo afferma unendo anche la città di Tiro, rinomato centro politico e commerciale. Come Tiro crebbe in importanza, la sentenza fu letta soprattutto in riferimento ad essa. Il poema può suddividersi nelle seguenti parti: vv. 1b-5, la distruzione di Sidone; v. 6-9, la fine della città; vv. 10-14, la situazione disperata dei sopravvissuti. Sotto il profilo del genere letterario il testo si presenta come un invito al lamento nazionale per la catastrofe già abbattutasi sulla Fenicia. Interessante è l'appello «Fate il lamento, navi di Tarsis» che racchiude l'intero poema in un'inclusione (cfr. v. 1 e v. 14).

1-5. È un invito al lamento. In questo spazio totalmente marino il v. 4 capta la voce del mare che invita Sidone a «vergognarsi», prendendo coscienza della sua situazione priva di speranza (la «vergogna» è il riflesso soggettivo di una sventura oggettiva, cfr. Gb 29-30). Il mare non può dare nuovi giovani. Non si può più contare sul commercio marittimo. Il v. 5 sembra una glossa che riferisce tutto il carme alla distruzione di Tiro ad opera di Alessandro Magno nella sua marcia trionfale che si concluse in Egitto.

6-9. L'autore invita gli abitanti della costa a rifugiarsi nella lontana Tarsis. L'individuazione di questa città rinomata non è del tutto sicura sud della identificano con la greca Tartessos, situata nel sud della Spagna, ma ugualmente probabile ci sembra l'identificazione con Tarros, in Sardegna, un rinomato centro commerciale fenicio e, successivamente, cartaginese, greco e romano.

10-14. Il poema parte dalle ripercussioni nella lontana Tarsis (invitata a dedicarsi all'agricoltura) per mostrare che il Signore ha realizzato il suo decreto (cfr. v. 9). Rinnovando la potenza con cui aveva compiuto l'esodo, egli ha «steso la mano» (cfr. Es 14,20; Sal 89,26) contro i regni costruiti sulla ricchezza del mare, in particolare contro le fortezze di Canaan, ossia le fortezze della regione fenicia, dedita al commercio marino (v. 11). La conclusione (v. 14), che riprende la frase iniziale del v. 1b, sintetizza tutto il poema nell'immagine delle navi di Tarsis che hanno perso il loro «rifugio» e con esso la possibilità di solcare i mari per unire, con i vincoli del commercio e della ricchezza, popoli distanti tra loro e lontani da Sidone e Tiro.

15-18. La formula «In quel giorno» indica il carattere secondario di questi versetti. L'aggiunta più antica è costituita da una formula d'introduzione (v. 15b), cui segue il detto vero e proprio (v. 16). Il glossatore paragona Tiro a una prostituta che, invecchiata, è abbandonata da tutti e con le sue arti cerca ancora di attirare a sé gli amanti. L'immagine indica il commercio che con le sue ricchezze seduce e soggioga i popoli. Forse l'aggiunta testimonia gli sforzi compiuti con scarso successo da Tiro per riconquistare la grandezza e la gloria di un tempo.

I vv. 17-18 costituiscono la seconda aggiunta, composta da uno scriba che conobbe la caduta della città ad opera di Alessandro Magno (332) e la sua riabilitazione ad opera di Tolomeo II (274). La visione che le ricchezze guadagnate da Tiro sono «sacre» al Signore (e quindi sono da riservare al culto), e perciò sono portate a Gerusalemme, riflette forse la consapevolezza che la rinascita di Tiro poteva essere vantaggiosa per Gerusalemme.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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La tragedia di Gerusalemme 1Oracolo sulla valle della Visione. Che hai tu dunque, che sei salita tutta sulle terrazze, 2città colma di rumore e tumulto, città gaudente? I tuoi trafitti non sono stati trafitti di spada né sono morti in battaglia. 3Tutti i tuoi capi sono fuggiti insieme, sono stati fatti prigionieri senza un tiro d’arco; tutti coloro che si trovavano in te sono stati catturati insieme, anche se fuggiti lontano. 4Per questo dico: «Stornate lo sguardo da me, che io pianga amaramente; non cercate di consolarmi per la desolazione della figlia del mio popolo». 5Infatti è un giorno di panico, di distruzione e di smarrimento, voluto dal Signore, Dio degli eserciti. Nella valle della Visione un diroccare di mura e un invocare aiuto verso i monti. 6Gli Elamiti hanno indossato la faretra, con uomini su carri e cavalieri; Kir ha tolto il fodero allo scudo. 7Le migliori tra le tue valli sono piene di carri; i cavalieri si sono disposti contro la porta. 8Così è tolta la protezione di Giuda. Tu guardavi in quel giorno alle armi del palazzo della Foresta. 9Avete visto le brecce della Città di Davide quanto erano numerose. Poi avete raccolto le acque della piscina inferiore, 10avete contato le case di Gerusalemme e avete demolito le case per fortificare le mura. 11Avete anche costruito un serbatoio fra i due muri per le acque della piscina vecchia; ma voi non avete guardato a chi ha fatto queste cose, né avete visto chi ha preparato ciò da tempo. 12Vi invitava in quel giorno il Signore, Dio degli eserciti, al pianto e al lamento, a rasarvi il capo e a vestire il sacco. 13Ecco invece gioia e allegria, sgozzate bovini e scannate greggi, mangiate carne e bevete vino: «Mangiamo e beviamo, perché domani moriremo!». 14Ma il Signore degli eserciti si è rivelato ai miei orecchi: «Certo non sarà espiato questo vostro peccato, finché non sarete morti», dice il Signore, Dio degli eserciti.

Contro l'arroganza di Sebna 15Così dice il Signore, Dio degli eserciti: «Rècati da questo ministro, da Sebna, il maggiordomo, e digli: 16“Che cosa possiedi tu qui e chi hai tu qui, tanto da scavarti qui un sepolcro?”. Scavarsi in alto il proprio sepolcro, nella rupe la propria tomba! 17Ecco, il Signore ti scaglierà giù a precipizio, o uomo, ti afferrerà saldamente, 18certamente ti rotolerà ben bene come una palla, verso una regione estesa. Là morirai e là finiranno i tuoi sontuosi cocchi, o ignominia del palazzo del tuo signore! 19Ti toglierò la carica, ti rovescerò dal tuo posto. 20In quel giorno avverrà che io chiamerò il mio servo Eliakìm, figlio di Chelkia; 21lo rivestirò con la tua tunica, lo cingerò della tua cintura e metterò il tuo potere nelle sue mani. Sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per il casato di Giuda. 22Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide: se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire. 23Lo conficcherò come un piolo in luogo solido e sarà un trono di gloria per la casa di suo padre. 24Su di lui faranno convergere ogni gloria della casa di suo padre: germogli e rampolli, ogni piccolo vasellame, dalle coppe alle anfore. 25In quel giorno – oracolo del Signore degli eserciti – cederà il piolo conficcato in luogo solido. Si spezzerà, cadrà e andrà in frantumi tutto ciò che vi era appeso, perché il Signore ha parlato».

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Approfondimenti

La tragedia di Gerusalemme 22,1-14 Il nostro brano ha una storia piuttosto complessa. In essa si incontra anzitutto una parola autentica di Isaia (vv. 1b-3.12-14). Il profeta rimprovera la città perché nello scampato pericolo (vv. 2b-3), non ha saputo riconoscere l'appello del Signore al ravvedimento (v. 12), ma si è nuovamente abbandonata a una gioia sfrenata, segno della sua irresponsabilità e ostinazione (vv. 1-2a.13). Il detto, nel suo insieme, è un annuncio del giudizio diretto contro «questo peccato» di Gerusalemme (v. 14), nel quale l'invettiva dei vv. 1b-3.12-13 svolge la funzione di motivare la sentenza di condanna. Al detto originario furono incorporate in seguito varie aggiunte interpretative. La più antica di queste è il v. 4, deuteronomistico, nel quale la caduta di Gerusalemme sembra ormai un fatto compiuto. Una seconda aggiunta, che rappresenta una vera reinterpretazione, è costituita dai vv. 8b-11. Qui il contrasto non si sviluppa più sull'antitesi lamento-gioia, ma si svolge tra la fiducia nei mezzi umani (di natura militare) e la fiducia in JHWH. L'ultima aggiunta è rappresentata dai vv. 5-8a che conferiscono alla parola di Isaia, già attualizzata nel suo riferimento alla caduta di Gerusalemme, una connotazione escatologica o, addirittura, protopocalittica.

1-4. Il testo suppone che Gerusalemme sia scampata dal pericolo di essere conquistata e distrutta dalle truppe di Sennacherib che l'assediarono nel 701. L'immagine dei caduti, che non sono morti sul campo di battaglia, ma perché nel panico hanno tentato la fuga e sono stati catturati dall'esercito assiro, crea un forte contrasto tra la gioia chiassosa del momento e la paura dei capi e dei guerrieri che rende la città potenzialmente preda di un qualsiasi nemico futuro. Il quadro dei capi in fuga ha permesso di rileggere la parola di Isaia nella luce dell'amara esperienza del 587, quando i soldati e lo stesso re Sedecia tentarono inutilmente di porsi in salvo con la fuga (v. 4; cfr. 2Re 25,2-7).

5-8a. Il dolore descritto nel v. 4 costituisce lo sfondo sul quale si innesta la reinterpretazione escatologica dei vv. 5-8a. Il suo autore, che probabilmente è il responsabile del titolo di questa pericope e della sua inserzione nei detti contro i popoli, vede nella caduta di Gerusalemme il simbolo del giorno del Signore contro ogni potenza umana che si oppone al suo disegno di salvezza. Il gusto per l'allitterazione, già incontrato in 21,1-9 (ma anche in 13, 1-22; cfr. inoltre 24, 1-13.18b-20), si carica di una suggestione misteriosa con la locuzione iniziale del v. 5: giorno di panico (caratteristico della guerra nella quale interviene il Signore; cfr. Dt 7,23; 28,20; Ez 7,7; Zc 14,13), rovina (cfr. Am 7,4) e smarrimento (cfr. Is 14,25; 63,6; Zc 10,5). Le immagini, che solitamente descrivono il giudizio divino contro i popoli, qui sono riferite, come in Am 5, 18-20, all'intervento del Signore che punisce l'infedeltà del suo popolo.

8b-11. Questi versetti sono caratterizzati dall'inclusione antitetica del verbo «guardare» che aiuta a cogliere il loro significato. Essi descrivono il popolo che mira a costruire le proprie sicurezze militari: la descrizione, che riunisce in un solo sguardo opere di fortificazione e di urbanizzazione, verificatesi in varie tappe della storia di Gerusalemme, svela il suo vero intento nel v. 11. Nelle prove della sua esistenza il popolo non ha saputo «guardare» e «vedere» colui che operava e «preparava (plasmava)» gli eventi, ma ha cercato di costruirsi le proprie sicurezze e speranze.

12-14. Nei vv. 12-14 ritorna la voce di Isaia che condanna la gioia spensierata e irresponsabile della città di Gerusalemme perché ha saputo scorgere nello scampato pericolo del 701 un appello del Signore alla conversione. L'antitesi stilisticamente efficace tra il v. 12 (appello al pianto e al lamento) e il v. 13 (gioia e banchetti) esprime in modo forte la chiusura totale del popolo al disegno salvifico del suo Dio.

Contro l'arroganza di Sebna 22,15-25 La pericope si presenta suddivisa in tre parti: i vv. 15-19 sono un detto contro Sebnà, che riveste la carica di ministro del palazzo; i vv. 20-23 annunciano la chiamata di Eliakim alla stessa carica; infine i vv. 24-25 contengono due glosse che interpretano il detto relativo a Eliakim.

15-19. Il detto contro Sebna (vv. 15-18) ministro del palazzo, risale a un periodo anteriore all'invasione di Sennacherib (701), poiché in quella circostanza egli ricompare ma solo con la carica di scriba, mentre la carica di ministro del palazzo era in quel momento ricoperta da Eliakim (2Re 18, 18.37; 19,2; cfr. Is 36,3.22; 37,2). Non conosciamo il motivo che determinò l'intervento di Isaia contro Sebna, oscuro personaggio giunto alla carica più importante dello stato. Il v. 19 (dove il Signore parla in prima persona) è stato aggiunto per raccordare il nostro detto con quello di Eliakim. Poiché i vv. 20-23 sono incentrati sulla carica di maestro del palazzo, il v. 19 esplicita che la rovina di Sebna comportò la sua destituzione dall'ufficio che ricopriva.

20-23. L'espressione «Sarà un padre» (v. 21) indica che Eliakim svolge la propria funzione in modo da difendere e tutelare i diritti di tutti (cfr. Gb 29, 16). L'immagine della chiave della «casa di Davide» (v. 22) ricorda da vicino le mansioni del visir, il funzionario d'Egitto che i testi dell'epoca ci presentano inferiore solo al faraone (la stessa concezione traspare anche in Gn 41,37-44). Il ministro del palazzo è colui che, come rappresentante del re, ogni giorno inaugura e conclude la vita amministrativa del regno. Il v. 23 contiene una promessa. L'immagine del «piolo», piantato in un «luogo solido», conferma la funzione fondamentale che il personaggio svolge nel regno e quindi per la “solidità” della casa di Davide. L'ultimo stico suppone che la carica si sia trasmessa nella «casa di suo padre», rendendola gloriosa.

24-25. Il v. 24, che si ispira a Ez 15,3, proviene da un autore che era a conoscenza del nepotismo sviluppatosi in seno a questa potente famiglia. L'autore del v. 25 testimonia la caduta della famiglia, e, con la scomparsa della funzione di «ministro del palazzo», insinua anche la scomparsa della monarchia. Il detto suppone probabilmente la riforma di Esdra (cfr. Esd 9 7-8).

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Caduta di Babilonia 1Oracolo sul deserto del mare. Come i turbini che si scatenano nel Negheb, così egli viene dal deserto, da una terra orribile. 2Una visione tremenda mi fu mostrata: il saccheggiatore che saccheggia, il distruttore che distrugge. Salite, o Elamiti, assediate, o Medi! Io faccio cessare ogni gemito. 3Per questo i miei reni sono nello spasimo, mi hanno colto dolori come di una partoriente; sono troppo sconvolto per udire, troppo sbigottito per vedere. 4Smarrito è il mio cuore, la costernazione mi invade; il tramonto tanto desiderato diventa il mio terrore. 5Si prepara la tavola, si stende la tovaglia, si mangia, si beve. Alzatevi, o capi, ungete gli scudi, 6poiché così mi ha detto il Signore: «Va’, metti una sentinella che annunci quanto vede. 7E se vedrà cavalleria, coppie di cavalieri, uomini che cavalcano asini, uomini che cavalcano cammelli, allora osservi attentamente, con grande attenzione». 8La vedetta ha gridato: «Al posto di osservazione, Signore, io sto sempre lungo il giorno, e nel mio osservatorio sto in piedi, tutte le notti. 9Ecco, qui arriva una schiera di cavalieri, coppie di cavalieri. Essi esclamano e dicono: “È caduta, è caduta Babilonia! Tutte le statue dei suoi dèi sono a terra, in frantumi”». 10O popolo mio, calpestato e trebbiato come su un’aia, quanto ho udito dal Signore degli eserciti, Dio d’Israele, a voi l’ho annunciato.

Sull'Idumea 11Oracolo su Duma. Mi gridano da Seir: «Sentinella, quanto resta della notte? Sentinella, quanto resta della notte?». 12La sentinella risponde: «Viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!».

Le carovane di Dedan 13Oracolo nella steppa. Nella boscaglia, nella steppa, passate la notte, carovane di Dedan; 14andando incontro agli assetati, portate acqua. Abitanti della terra di Tema, presentatevi ai fuggiaschi con pane per loro. 15Perché essi fuggono di fronte alle spade, di fronte alla spada affilata, di fronte all’arco teso, di fronte al furore della battaglia.

La distruzione di Kedar 16Poiché mi ha detto il Signore: «Ancora un anno, contato alla maniera degli anni di un salariato, e scomparirà tutta la potenza gloriosa di Kedar. 17E il numero degli archi dei prodi di Kedar resterà molto esiguo, perché il Signore Dio d’Israele ha parlato».

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Approfondimenti

Caduta di Babilonia 21,1-10 Il poema tratta della caduta di Babilonia ad opera degli Elamiti e dei Medi (v. 2). Alcuni autori hanno riferito il detto alla conquista della città da parte di Sargon II nel 710, o di Sennacherib nel 689, ma è difficile vedere nei Medi e negli Elamiti degli pseudonimi per l'Assiria. Per altri la caduta di cui si parla è quella del 539 ad opera di Ciro, al quale si erano alleati gli Elamiti. L'iportesi, però, non spiega adeguatamente la distruzione di Babilonia e dei suoi templi (cfr. v. 9), sia perché la città accolse Ciro come un liberatore, sia perché questi si presentò come garante delle religioni locali. Con ogni probabilità il poema deve essere compreso in rapporto con l'assedio di Babilonia ad opera di Serse I, nel 482, che culminò con la distruzione totale della città, di cui non furono risparmiati né i templi né le numerose statue degli dei. Questa spiegazione risulta ulteriormente confermata dallo stile che è affine a quello di Is 24,1-13.18b-20, una pagina nella quale si rispecchiano gli eventi del 485-476. Oltre l'introduzione (v. 1) e la conclusione (v. 10) il poema si divide in due parti: l'annuncio della venuta del nemico (vv. 1b-5) e la caduta di Babilonia (vv. 6-9).

1a. Si ipotizza che «sul deserto del mare» derivi dalla locuzione assira mât tâmti («paese del mare») con cui si indicava il sud di Babilonia.

1b-5. Questi versetti descrivono una visione, dominata da una “venuta” misteriosa paragonabile, per potenza devastatrice, ai turbini del Negheb (v. 1b). Il linguaggio (cfr. «dal deserto») orienta a scorgere negli eventi descritti l'opera stessa del Signore che realizza il suo disegno. La prima parte si chiude con l'ultimo banchetto prima dell'assalto. L'ordine ai capi di ungere gli scudi rievoca la consacrazione alla divinità degli scudi prima del loro uso in battaglia.

6-9. Nella seconda parte il poema non descrive la battaglia vera e propria, ma con l'immagine della sentinella mira a sviluppare negli uditori l'attesa della vittoria e, quindi, la fiducia nella parola della promessa. La sentinella scorge i cavalieri che giungono e può far risuonare il loro grido: «È caduta, è caduta Babilonia!». Non si tratta dell'annuncio di un episodio singolo, ma di un evento simbolico. Babilonia è il simbolo della potenza che realizza le sue orgogliose ambizioni di dominio, costruendo il proprio impero sull'ingiustizia e sulla violenza. Nella caduta delle statue degli dei il crollo di Babilonia si presenta come la fine di un mondo e la premessa per un mondo nuovo: il mondo che sorge e si sviluppa per opera di JHWH e in sintonia con il suo disegno.

Sull'Idumea 21,11-12 Questo detto parla di Seir (Edom), mentre il titolo lo riferisce a «Dûmâ». Il nome indica un'oasi dell'Arabia settentrionale, ma nell'antichità poteva anche riferirsi a una località sita nel territorio di Edom, della quale si ha ancora conoscenza nei primi secoli dopo Cristo («Idumea»). Alcuni suppongono che si sia ricorso al termine dûmâ (silenzio) per indicare non una località, ma il carattere oscuro e difficile della sentenza. Nella Scrittura la «notte» è simbolo di sventura (Gb 18,18; 30,26; Is 8,23; 9,1; Am 5,18.20; Na 1,8), mentre la luce e il giorno connotano la redenzione e la salvezza (Is 9,1; cfr. Sal 27,1; 90,14; 97,11). In quest'ottica la domanda che giunge dagli Edomiti chiede quanto tempo duri ancora l'oppressione. Il testo della risposta può essere inteso in due sensi opposti: 1) «È venuto il giorno, ma è ancora notte» (la salvezza è venuta, ma gli Edomiti sono ancora nell'oppressione); 2) «Viene il giorno anche se è notte» (la risposta sottolinea che l'oppressione finirà sicuramente, anche se questo evento non si è ancora verificato). L'invito a rinnovare la domanda e ritornare si comprende meglio alla luce del secondo significato che è, dunque, quello più probabile.

21,13-15. IL detto sembra sorto al tempo della guerra di Ciro contro Nabonide che culminò con la resa della città di Babilonia. I Dedaniti, che formavano una tribù carovaniera a sud dell'Arabia, si trovano inseguiti da una truppa armata (v. 15) e sono costretti ad abbandonare la via commerciale, dotata dei necessari punti di rifornimento per il viaggio, e a rifugiarsi nella steppa. Il profeta invita gli abitanti di Tema a soccorrere gli infelici fuggiaschi. Il carattere umanitario di questo invito alla solidarietà mostra che, per il redattore, il tema del giudizio mira alla conversione e alla genesi di un mondo nuovo.

21,16-17. Kedar era una tribù di gruppi semisedentari (42,11), che vivevano nella zona desertica a nord della penisola arabica. Il detto, che presenta una prospettiva apocalittica interessata al computo del tempo (cfr. 16,13-14), annuncia l'annientamento di questa tribù di famosi arcieri che saranno ridotti a un numero esiguo.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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L'Azione simbolica di Isaia 1Nell’anno in cui il tartan, mandato ad Asdod da Sargon re d’Assiria, giunse ad Asdod, la assalì e la prese. 2In quel tempo il Signore disse per mezzo di Isaia, figlio di Amoz: «Va’, lèvati il sacco dai fianchi e togliti i sandali dai piedi!». Così egli fece, andando nudo e scalzo. 3Il Signore poi disse: «Come il mio servo Isaia è andato nudo e scalzo per tre anni, come segno e presagio per l’Egitto e per l’Etiopia, 4così il re d’Assiria condurrà i prigionieri d’Egitto e i deportati dell’Etiopia, giovani e vecchi, nudi e scalzi e con le natiche scoperte, vergogna per l’Egitto. 5Allora saranno abbattuti e confusi a causa dell’Etiopia, loro speranza, e a causa dell’Egitto, di cui si vantavano. 6In quel giorno gli abitanti di questo lido diranno: “Ecco che cosa è avvenuto della speranza nella quale ci eravamo rifugiati per trovare aiuto ed essere liberati dal re d’Assiria! Ora come ci salveremo?”».

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Approfondimenti

L'Azione simbolica di Isaia 20,1-6 La narrazione si riferisce a quel periodo movimentato che coinvolse gli stati vassalli dell'Assiria quando nel 715 il re etiope Shabako, sottomettendo l'Egitto e dando inizio alla XXV dinastia, apparve come l'unica forza che avrebbe potuto contrapporsi all'impero assiro. La città filistea di Asdod si fece promotrice dei diffusi fermenti di inquietudine e nel 713 diede inizio alla rivolta. Questa fu definitivamente domata ad opera del tartan (ufficiale militare) di Sargon II nel 711.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Giudizio contro l'Egitto 1Oracolo sull’Egitto. Ecco, il Signore cavalca una nube leggera ed entra in Egitto. Crollano gli idoli dell’Egitto davanti a lui e agli Egiziani viene meno il cuore nel petto. 2«Aizzerò gli Egiziani contro gli Egiziani: combatterà ognuno contro il proprio fratello, ognuno contro il proprio prossimo, città contro città e regno contro regno. 3Lo spirito che anima l’Egitto sarà stravolto e io distruggerò il suo progetto; per questo ricorreranno agli idoli e ai maghi, ai negromanti e agli indovini. 4Ma io consegnerò gli Egiziani in mano a un duro padrone, un re crudele li dominerà». Oracolo del Signore, il Signore degli eserciti. 5Si prosciugheranno le acque del mare, il fiume si inaridirà e seccherà. 6I suoi canali diventeranno putridi, diminuiranno e seccheranno i torrenti dell’Egitto, canne e giunchi sfioriranno. 7I giunchi sulle rive e alla foce del Nilo e tutte le piante del Nilo seccheranno, saranno dispersi dal vento, non saranno più. 8I pescatori si lamenteranno, gemeranno quanti gettano l’amo nel Nilo, quanti stendono le reti sull’acqua saranno desolati. 9Saranno delusi i lavoratori del lino, le cardatrici e i tessitori impallidiranno; 10i tessitori saranno avviliti, tutti i salariati saranno costernati. 11Quanto sono stolti i prìncipi di Tanis! I più saggi consiglieri del faraone formano un consiglio insensato. Come osate dire al faraone: «Sono figlio di saggi, figlio di re antichi»? 12Dove sono, dunque, i tuoi saggi? Ti rivelino e manifestino quanto ha deciso il Signore degli eserciti a proposito dell’Egitto. 13Stolti sono i prìncipi di Tanis; si ingannano i prìncipi di Menfi. Hanno fatto traviare l’Egitto i capi delle sue tribù. 14Il Signore ha mandato in mezzo a loro uno spirito di smarrimento; essi fanno smarrire l’Egitto in ogni impresa, come barcolla un ubriaco nel vomito. 15Non gioverà all’Egitto qualunque opera faccia il capo o la coda, la palma o il giunco.

La conversione dell'Egitto 16In quel giorno gli Egiziani diventeranno come femmine, tremeranno e temeranno al vedere la mano che il Signore degli eserciti agiterà contro di loro. 17La terra di Giuda sarà il terrore degli Egiziani; quando se ne parlerà, ne avranno spavento, a causa della decisione che il Signore degli eserciti ha preso contro di loro. 18In quel giorno ci saranno cinque città nell’Egitto che parleranno la lingua di Canaan e giureranno per il Signore degli eserciti; una di esse si chiamerà Città del Sole. 19In quel giorno ci sarà un altare dedicato al Signore in mezzo alla terra d’Egitto e una stele in onore del Signore presso la sua frontiera: 20sarà un segno e una testimonianza per il Signore degli eserciti nella terra d’Egitto. Quando, di fronte agli avversari, invocheranno il Signore, allora egli manderà loro un salvatore che li difenderà e li libererà. 21Il Signore si farà conoscere agli Egiziani e gli Egiziani riconosceranno in quel giorno il Signore, lo serviranno con sacrifici e offerte, faranno voti al Signore e li adempiranno. 22Il Signore percuoterà ancora gli Egiziani, ma, una volta colpiti, li risanerà. Essi faranno ritorno al Signore ed egli si placherà e li risanerà. 23In quel giorno ci sarà una strada dall’Egitto verso l’Assiria; l’Assiro andrà in Egitto e l’Egiziano in Assiria, e gli Egiziani renderanno culto insieme con gli Assiri. 24In quel giorno Israele sarà il terzo con l’Egitto e l’Assiria, una benedizione in mezzo alla terra. 25Li benedirà il Signore degli eserciti dicendo: «Benedetto sia l’Egiziano mio popolo, l’Assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità».

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Approfondimenti

Giudizio contro l'Egitto 19,1-15 I cc. 19-20 trattano dell'Egitto. Mentre 20, 1-6, come è generalmente riconosciuto, contiene un detto autentico del profeta Isaia, il c. 19 è costituito da una unità “redazionale” nella quale sono raggruppati detti diversi. La prima divisione è costituita dal poema dei vv. 1-15 e dai cinque supplementi riuniti nei vv. 16-25. A un esame attento anche il poema, che annuncia il giudizio, è ben lungi dall'essere unitario.

I vv. 1-4, caratterizzati da una formula introduttiva («Ecco») e da una conclusione («Oracolo del Signore degli eserciti»), suppongono una grave crisi politica che fa precipitare l'Egitto nell'anarchia e lo porta a cadere nelle mani di un «duro padrone» (v. 4). La pericope sembra risalire al tardo esilio o agli inizi del periodo postesilico. Il sovrano in questione è probabilmente da identificare con Nabucodonosor che conquistò l'Egitto (cfr. Ger 43,8-13; Ez. 29,17.20; 30,10-11a.20-26).

I vv. 5-10, invece, interrompono il discorso della crisi politica per descrivere una catastrofe naturale connessa con il prosciugamento del Nilo. Essi rappresentano un'aggiunta posteriore.

I vv. 11-14 (il v. 15 è secondario) mostrano una maggiore connessione con i vv. 1-4, in quanto riprendono e sviluppano il motivo della stoltezza del v. 3. Tuttavia la loro riflessione, improntata alle categorie e ai valori della sapienza, orienta a considerare questi versetti come un'unità originariamente autonoma, sorta dopo l'esilio in un ambiente sapienziale dove, al tempo stesso, era ancora forte la tradizione deuteronomistica.

Letto nella sua forma redazionale definitiva il poema dei vv. 1-15 sviluppa, con un efficace crescendo, l'annuncio del giudizio contro l'Egitto. La prima strofa (vv. 1-4) delinea il crollo dell'ordine religioso e statale del paese; la seconda (v. 5-10) preannuncia il venir meno del Nilo alla sua funzione di fonte vitale del benessere economico; infine la terza strofa (vv. 11-15), con la descrizione dei capi e dei consiglieri in preda a «uno spirito di smarrimento», chiude il triste quadro di una crisi nella quale, con il naufragio della saggezza dei capi, viene anche a mancare l'ultima risorsa della speranza.

1. «il Signore cavalca una nube»: l'espressione, che affonda le sue radici nelle tradizioni religiose del mondo cananeo, indica la teofania del Signore che viene per giudicare (come accentua il nostro testo) e per portare la salvezza (cfr. Sal 68,5.34; 104,3; Dt 33,26). Il vacillare degli idoli e la paura degli Egiziani, descritta con un'espressione che richiama il motivo della guerra sacra (cfr. Dt 20,6; 2Sam 17,10), pongono la parola che segue nella luce della potenza invincibile del Signore.

5-10. La strofa centrale descrive l'intensificarsi dell'angustia a causa di un'improvvisa siccità dovuta al prosciugarsi delle acque del Nilo e di tutti i suoi canali, indispensabili per un irrigazione estesa e capillare (vv. 5-6). Gli effetti della siccità colpiscono la vegetazione e l'agricoltura (v. 7), la pesca (v. 8), l'attività tessile (v. 9) fino a minare la sicurezza del lavoro e dell'economia (v. 10). Un testo egizio del 2000 a. C., noto come la Profezia di Nefer-Ro-bu, contiene una descrizione della siccità del Nilo e delle sue conseguenze economiche, dove si incontrano molte affermazioni affini a quelle del nostro testo (ANET 444-446). L'autore biblico ha potuto ispirarsi a descrizioni simili a questa per favorire nei suoi uditori e lettori una riflessione sulla serietà del giudizio divino e, quindi, sulla responsabilità che hanno i popoli davanti al Signore della storia.

11-15. L'Egitto, un tempo famoso per la sua sapienza (cfr. Is 30,4; Sal 78,12.43; Ez 30,14), diventa preda dell'insipienza e della stoltezza. La vera sapienza consiste nel conoscere il disegno del Signore (v. 12; cfr. Gb 28,28). Perciò i capi delle grandi città (come Tanis e la stessa capitale Menfi), che sono incapaci di discernere con intelligenza il disegno divino, portano il popolo alla sua totale perdizione (v. 13). In questa realtà, come afferma il v. 14, si manifesta il giudizio: il Signore stesso ha infuso in essi non lo spirito della sapienza e del consiglio, ma uno spirito di smarrimento (cfr. 1Re 22,20ss.; 2Re 19,7; Gb 12,24) che li rende fonte di rovina per il popolo.

La conversione dell'Egitto 19,16-25 La presente sezione in prosa, con cui si intende reinterpretare l'annuncio del giudizio contro l'Egitto dei v. 1-15, riunisce cinque aggiunte, tra loro distinte mediante la locuzione «In quel giorno» (vv. 16.18.19.23.24). L'elemento che le accomuna è il fatto che esse sono tutte un annuncio di salvezza: la prima per Giuda e le altre per l'Egitto, l'Assiria e, quindi, per tutti i popoli. L'universalismo di questi detti conferisce loro un valore e un fascino particolari. Quanto al tempo di composizione, tutto orienta a ritenere che risalgono all'inizio dell'epoca alessandrina (l'«Egitto», in questa ipotesi, connota il regno dei Lagidi, mentre l'«Assiria» indica il regno dei Seleucidi che aveva la Siria come proprio centro).

16-17. La prima aggiunta (vv. 16-17) riprende il tema del consiglio del Signore del v. 12 e lo reinterpreta. Non è da escludere che questo detto supponga qualche fatto militare avvenuto nel territorio di Giuda tra l'esercito dei Lagidi e quello dei Seleucidi. Ad ogni modo il detto trascende l'occasione storica per concentrare l'attenzione sul piano del Signore.

18. Il versetto suppone la presenza della diaspora in Egitto (le «cinque città» purtroppo non sono identificabili, perché non siamo sicuri se l'autore intendeva riferirsi a Ger 44,1.15). In Egitto i Giudei hanno introdotto la «lingua di Canaan» (l'espressione connota significativamente la lingua “giudaica”, nella quale avviene la redazione della Scrittura) e la fede in JHWH (espressa con la formula «giurare per il Signore degli eserciti», cfr. Dt 10, 20). L'autore contempla questa presenza come un seme cui è riservato un importante avvenire. L'insediamento della diaspora nell'importante «Città del sole» (Heliopolis) ne è un segno eloquente.

19-22. L'orizzonte del terzo detto si innalza a un livello ancora più esplicitamente soteriologico ed universale. L'Egitto possiede al suo centro un altare in onore di JHWH e al suo confine si erge una stele come segno che tutto il paese è sotto la protezione del Signore (il detto suppone un contesto nel quale non tutte le prescrizioni deuteronomiche erano vincolanti). La stessa storia dell'Egitto è ora illuminata dalla luce teologica che Israele ha maturato nella comprensione della propria storia: quando il Signore «percuoterà» gli Egiziani, essi si convertiranno a lui ed egli realizzerà l'espiazione delle loro colpe e li guarirà (v. 22).

23-25 Gli ultimi due detti sviluppano, in un inarrestabile crescendo, la visione salvifica dischiusa dai vv. 19-22. Le due grandi potenze antagoniste della storia umana, l'Egitto e l'Assiria, si trovano ora sulla strada della comunicazione pacifica che conduce un popolo nel territorio dell'altro. Il culmine di questa visione è costituito dai vv. 24-25 che delineano, nella fede, un mondo raggiunto dalla benedizione divina. In esso l'Egiziano e l'Assiro – e quindi tutti i popoli – sono chiamati con i titoli propri di Israele. In questo orizzonte di speranza, che si situa nella linea di Is 2,2-4; Sof 2,11; 3,9b-10; Ger 12,14-17, risalta la funzione di Israele nella storia: egli è l'«eredità» del Signore (v. 24; cfr. Dt 4,20; Sal 28,9; 94,5), eletto da JHWH per testimoniare il futuro dell'umanità nuova.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Contro l'Etiopia 1Ah! Terra dagli insetti ronzanti, che ti trovi oltre i fiumi dell’Etiopia, 2che mandi ambasciatori per mare, in barche di papiro sulle acque: «Andate, messaggeri veloci, verso un popolo alto e abbronzato, verso un popolo temuto ora e sempre, un popolo potente e vittorioso, la cui terra è solcata da fiumi». 3O voi tutti abitanti del mondo, che dimorate sulla terra, appena si alzerà un segnale sui monti, guardatelo! Appena squillerà la tromba, ascoltatela! 4Poiché questo mi ha detto il Signore: «Io osserverò tranquillo dalla mia dimora, come il calore sereno alla luce del sole, come una nube di rugiada al calore della mietitura». 5Poiché prima della raccolta, quando la fioritura è finita e il fiore è diventato un grappolo maturo, egli taglierà i tralci con roncole, strapperà e getterà via i pampini. 6Saranno abbandonati tutti insieme agli avvoltoi dei monti e alle bestie della terra; su di essi gli avvoltoi passeranno l’estate, su di essi tutte le bestie della terra passeranno l’inverno. 7In quel tempo saranno portate offerte al Signore degli eserciti da un popolo alto e abbronzato, da un popolo temuto ora e sempre, da un popolo potente e vittorioso, la cui terra è solcata da fiumi; saranno portate nel luogo dove è invocato il nome del Signore degli eserciti, sul monte Sion.

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Approfondimenti

Contro l'Etiopia 18, 1-7 Con 18,1 inizia una nuova pericope (cfr. l'interiezione iniziale) che si conclude nel v. 6, dato che il v. 7, in prosa, si presenta chiaramente come un'aggiunta secondaria La, pericope manca di un titolo proprio, comunque contiene un detto, ritenuto sostanzialmente autentico, contro il popolo di Kush. Questo termine indica un esteso territorio a sud dell'Egitto che corrisponde all'attuale Etiopia settentrionale, al Sudan e alla Somalia. Legato politicamente all'Egitto, il paese di Kush nel sec. VIII offrì una propria dinastia (la XV) di faraoni. Il detto di Isaia suppone una sua presa di posizione quando a Gerusalemme giunsero degli ambasciatori provenienti da Kush, per indurre il re Ezechia a un'alleanza antiassira con l'Egitto. Alcuni mettono in rapporto questa ambasciata con gli anni 705-701, quando alla morte di Sargon l'Egitto si mise a capo di una grande lega contro l'Assiria; altri, invece, ritengono, con maggiore probabilità, che questa ambasciata si verificò poco prima della rivolta di Asdod del 713-711.

Il testo originario è costituito da un detto «Guai (Ah)», (vv. 1-2, eccetto la frase «il cui paese è solcato da fiumi», che è una glossa armonizzatrice), ampliato da una minaccia (vv. 4-6a). Oltre il v. 7, anche il v. 3 e il v. 6b sono delle aggiunte che reinterpretano il testo attualizzandolo.

2. «popolo alto e abbronzato»: si avverte qui un'eco dell'impressione che la venuta degli ambasciatori etiopi produsse in Gerusalemme, impressione che concorda con altre testimonianze dell'antichità. Al riguardo è nota la frase di Erodoto (I,20.114) che presenta gli Etiopi come «i più alti, i più belli e i più longevi degli uomini».

3. Qui il messaggio dei vv. 4-6 e la loro reinterpretazione nel v. 7 sono estesi a tutti i popoli della terra. L'invito ad attendere il segnale sul monte e il suono della tromba sottolineano che il dramma dell'Egitto e dell'Assiria assume la dimensione di una catastrofe universale che coinvolge il mondo avverso al disegno divino.

4-6. Di fronte al frenetico agitarsi dei regni e degli uomini il Signore è presentato come il “sovrano della storia”, colui che nella pace della sua dimora si rivolge al mondo per realizzarvi il suo disegno di salvezza (v. 4a; cfr. Sal 33,13-14). Alludendo al regno di Kush con l'immagine della vigna il profeta annuncia che possono maturare i fiori e questi trasformarsi in grappoli, però JHWH non permetterà che l'uomo raccolga i frutti dei propri progetti, quando sono antitetici al suo disegno. Prima della raccolta le potenze avverse al piano divino saranno stroncate come si tagliano i tralci e si gettano via i pampini. Il fallimento dei progetti “umani” è ulteriormente sottolineato con la lugubre rappresentazione dei caduti in guerra, sui quali piombano gli «avvoltoi» e le «bestie selvatiche» (v. 6a).

7. L'aggiunta del v. 7, che si richiama alla descrizione del v. 2, è una rilettura postesilica del nostro testo fatta alla luce della riforma di Giosia, ormai compresa secondo le prospettive universalistiche di Is 60,1-13, di Ag 2,7-9 e di Sof 3,9-10. Anche un popolo lontano, come gli abitanti di Kush, verrà con offerte sul monte Sion, «nel luogo del (dove è invocato il) Nome del Signore degli eserciti». La locuzione, che ricorre unicamente qui, unisce insieme i termini «luogo» e «Nome», che rappresentano due elementi essenziali nella teologia deuteronomistica. Come il giudizio di Israele sfocia nella sua salvezza, così anche il giudizio dei popoli culmina nel loro pellegrinaggio al monte dove avviene l'incontro con il Salvatore (cfr. Is 19,21-25; 56,3-6; 66,18-19.21).

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Crollo di Damasco e fine di Israele 1Oracolo su Damasco. Ecco, Damasco cesserà di essere una città, diverrà un cumulo di rovine. 2Le città di Aroèr saranno abbandonate; saranno pascolo delle greggi, che vi riposeranno senza esserne scacciate. 3A Èfraim sarà tolta la cittadella, a Damasco la sovranità. Al resto degli Aramei toccherà la stessa sorte della gloria degli Israeliti. Oracolo del Signore degli eserciti. 4In quel giorno verrà ridotta la gloria di Giacobbe e la pinguedine delle sue membra dimagrirà. 5Avverrà come quando il mietitore prende una manciata di steli, e con l’altro braccio falcia le spighe, come quando si raccolgono le spighe nella valle dei Refaìm. 6Vi resteranno solo racimoli, come alla bacchiatura degli ulivi: due o tre bacche sulla cima dell’albero, quattro o cinque sui rami da frutto. Oracolo del Signore, Dio d’Israele. 7In quel giorno si volgerà l’uomo al suo creatore e i suoi occhi guarderanno al Santo d’Israele. 8Non si volgerà agli altari, lavoro delle sue mani; non guarderà ciò che fecero le sue dita, i pali sacri e gli altari per l’incenso. 9In quel giorno avverrà alle tue fortezze come alle città abbandonate, che l’Eveo e l’Amorreo evacuarono di fronte agli Israeliti e sarà una desolazione. 10Perché hai dimenticato Dio, tuo salvatore, e non ti sei ricordato della Roccia, tua fortezza, tu pianti giardini ameni e innesti tralci stranieri. 11Nel giorno in cui li pianti, li vedi crescere e al mattino vedi fiorire i tuoi semi, ma svanirà il raccolto nel giorno della sventura e del dolore insanabile.

L'assalto dei popoli 12Ah, il tumulto di popoli immensi, tumultuanti come il tumulto dei mari, fragore di nazioni come lo scroscio di acque che scorrono veementi! 13Le nazioni fanno fragore come il fragore di molte acque, ma egli le minaccia, esse fuggono lontano; come pula sono disperse sui monti dal vento e come vortice di polvere dinanzi al turbine. 14Alla sera, ecco, era tutto uno spavento, prima del mattino, già non è più. Questo è il destino di chi ci depredava e la sorte di chi ci saccheggiava.

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Approfondimenti

Crollo di Damasco e fine di Israele 17,1-11 Il titolo riguarda solo i vv. 1-3. I versetti che seguono trattano della fine dell'Israele del Nord (vv. 5-6), della conversione al Signore (vv. 7-8) e, ancora, della caduta di Israele (v. 9) per aver dimenticato JHWH e perseverato nelle pratiche idolatriche (vv. 10-11). I vari temi, che appartengono a detti di epoche diverse, sono disposti redazionalmente in modo da formare un'unità in senso lato. Ciò appare anzitutto dal v. 3, dove si annuncia che al «resto degli Aramei» toccherà la stessa sorte degli Israeliti. In questo modo l'annuncio della caduta di Israele assume la funzione di indicare il castigo riservato a Damasco. Inoltre è chiara l'intenzione del redattore di presentare i vv. 4-11 come un'unità. Infatti l'annuncio del castigo di Israele dei vv. 4-6 forma un'inclusione essendo ripreso nei vv. 9-11 con l'esplicitazione della causa che lo ha provocato. In tal modo l'annuncio della conversione (vv. 7-8) riceve il massimo rilievo in quanto occupa la posizione centrale. Questo dato mette in luce che, a livello della redazione finale, la fine politica del regno di Israele non era intesa come scomparsa del popolo del Signore, ma come premessa di un mondo nuovo che avrebbe avuto nella conversione il suo inizio e le sue possibilità.

1-3. Contengono un annuncio del giudizio contro Damasco, che risale al periodo della guerra siro-etraimitica, forse poco prima del 732, quando la città fu sconfitta da Tiglat-Pilezer III. Il detto, sostanzialmente autentico, associa il castigo di Damasco a quello di Israele: Efraim perde la sua fortezza e Damasco la sua sovranità. Con l'aggiunta del v. 2 si intese sottolineare che la minaccia del castigo si era adempiuta. Al riguardo è molto eloquente l'immagine dei greggi che si accovacciano «senza esserne scacciati», immagine che, dipendendo da Sof 3,13 e Gb 11,19, tradisce il carattere recente dell'aggiunta.

4-6. Uniti al detto precedente mediante la frase redazionale «In quel giorno», questi versetti contengono un annuncio di giudizio rivolto contro Israele, la cui potenza e autonomia saranno drasticamente ridotte (qui Giacobbe non connota Israele come popolo del Signore, ma denota il regno del Nord come in Os 10,11; Am 6,8; 7,2.5; Mic 1,5).

7-11. Questi versetti sono costituiti da tre aggiunte interpretative. La più antica di queste è rappresentata dai vv. 9-10a che, in sintonia con i vv. 4-5, continua nell'annuncio del giudizio Il v. 9, il cui testo ebraico è poco comprensibile, sembra annunciare alle città di Israele la stessa sorte toccata un tempo alle città cananee. Si avrebbe quindi un movimento antitetico a quello dell'ingresso nella terra. Allora il Signore “scacciava” i popoli perché Israele potesse entrare nella terra promessa, ora Israele viene allontanato dalle sue città che rimangono abbandonate e nella desolazione (cfr. Is 6,11). L'autore vede la causa del giudizio nel fatto che il popolo ha abbandonato il Signore, unica «Roccia» di difesa, unico «salvatore». Il linguaggio e la concezione deuteronomistica, qui supposte, orientano a situare i nostri versetti nel periodo postesilico. Questo quadro fu successivamente integrato mediante l'inserzione dei vv. 7-8. L'aggiunta riflette una tendenza del postesilio di considerare le minacce del giudizio adempiuete con l'esilio e di porre il futuro di Israele nella prospettiva della salvezza.

I vv. 10b-11 rappresentano l'ultima aggiunta del presente brano. Formalmente i versetti continuano la descrizione della colpa di Israele già indicata sinteticamente nel v. 10a. In realtà l'espressione «piante amene» si riferisce ai culti licenziosi in onore del dio della vegetazione Tammuz (cfr. Ez 8,14), le cui pratiche nel periodo ellenistico furono associate al culto di Adone. I versetti testimoniano quindi una rilettura recente nella quale traspare lo stesso anelito dei testi più antichi quando orientano il popolo del Signore a una vita di fedeltà totale ed esclusiva al suo Dio.

L'assalto dei popoli 17,12-14 La pericope, chiaramente delimitata dal «Guai (Ah)», che la separa da quanto precede, e dall'epifonema del v. 14b, che ne segna la riflessione conclussiva, appartiene probabilmente alla redazione giosiana. Il testo suppone una rilettura teologica degli avvenimenti del 701, quando Gerusalemme fu scampata dalla distruzione minacciata da Sennacherib. Questa liberazione fu in seguito compresa con la categoria della presenza del Signore nel suo tempio. Una simile reinterpretazione avviene soprattutto nell'opera deuteronomistica. Essa vide, nella liberazione di Gerusalemme (cfr. 2Re 19,35), il segno che confermava la verità della sua tesi fondamentale secondo cui la presenza del Signore in mezzo al suo popolo è garanzia permanente di vittoria (cfr. Dt 20,1-4).

Il pericolo è richiamato in tutta la sua gravità (vv. 12-13a) nell'immagine del «rumore dei popoli» simile al fragore delle acque impetuose (il ripetersi in ebraico di parole che finiscono in -îm, -ôm, -ûm, produce un effetto onomatopeico di particolare efficacia). L'immagine, che l'autore prende da Is 8,7, rievoca nell'uditore e nel lettore la forza inarrestabile dell'esercito assiro, costituito appunto da soldati di diverse nazionalità. Proprio questa forza inarrestabile è resa inoffensiva dal Signore. Il modo con cui l'autore descrive l'intervento di JHWH richiama da vicino l'evento dell'esodo, come è narrato in Es 14,24-25. In quest'ottica il messaggio del testo si presenta con una particolare ricchezza: il Signore opera costantemente la liberazione del suo popolo e perpetua, nel tempo, la notte luminosa della Pasqua (cui forse allude il v. 14a). La condizione richiesta è che il popolo dell'alleanza non si rivolga agli idoli, ma si appoggi con fede al suo Dio, al Santo di Israele.

La solenne dichiarazione del v. 14b, che richiama i testi recenti di Gb 27,13 e 31,2-3, testimonia la rilettura del testo in una prospettiva escatologica. L'annuncio del Signore, che viene a liberare dal «fragore di molte acque», si realizza sempre: in ogni generazione e in tutte le prove che il popolo di JHWH sperimenta lungo la sua storia.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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