📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

L'intervento divino 1E vidi: ecco l’Agnello in piedi sul monte Sion, e insieme a lui centoquarantaquattromila persone, che recavano scritto sulla fronte il suo nome e il nome del Padre suo. 2E udii una voce che veniva dal cielo, come un fragore di grandi acque e come un rimbombo di forte tuono. La voce che udii era come quella di suonatori di cetra che si accompagnano nel canto con le loro cetre. 3Essi cantano come un canto nuovo davanti al trono e davanti ai quattro esseri viventi e agli anziani. E nessuno poteva comprendere quel canto se non i centoquarantaquattromila, i redenti della terra. 4Sono coloro che non si sono contaminati con donne; sono vergini, infatti, e seguono l’Agnello dovunque vada. Questi sono stati redenti tra gli uomini come primizie per Dio e per l’Agnello. 5Non fu trovata menzogna sulla loro bocca: sono senza macchia. 6E vidi un altro angelo che, volando nell’alto del cielo, recava un vangelo eterno da annunciare agli abitanti della terra e ad ogni nazione, tribù, lingua e popolo. 7Egli diceva a gran voce: «Temete Dio e dategli gloria, perché è giunta l’ora del suo giudizio. Adorate colui che ha fatto il cielo e la terra, il mare e le sorgenti delle acque». 8E un altro angelo, il secondo, lo seguì dicendo: «È caduta, è caduta Babilonia la grande, quella che ha fatto bere a tutte le nazioni il vino della sua sfrenata prostituzione». 9E un altro angelo, il terzo, li seguì dicendo a gran voce: «Chiunque adora la bestia e la sua statua, e ne riceve il marchio sulla fronte o sulla mano, 10anch’egli berrà il vino dell’ira di Dio, che è versato puro nella coppa della sua ira, e sarà torturato con fuoco e zolfo al cospetto degli angeli santi e dell’Agnello. 11Il fumo del loro tormento salirà per i secoli dei secoli, e non avranno riposo né giorno né notte quanti adorano la bestia e la sua statua e chiunque riceve il marchio del suo nome». 12Qui sta la perseveranza dei santi, che custodiscono i comandamenti di Dio e la fede in Gesù. 13E udii una voce dal cielo che diceva: «Scrivi: d’ora in poi, beati i morti che muoiono nel Signore. Sì – dice lo Spirito –, essi riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono». 14E vidi: ecco una nube bianca, e sulla nube stava seduto uno simile a un Figlio d’uomo: aveva sul capo una corona d’oro e in mano una falce affilata. 15Un altro angelo uscì dal tempio, gridando a gran voce a colui che era seduto sulla nube: «Getta la tua falce e mieti; è giunta l’ora di mietere, perché la messe della terra è matura». 16Allora colui che era seduto sulla nube lanciò la sua falce sulla terra e la terra fu mietuta. 17Allora un altro angelo uscì dal tempio che è nel cielo, tenendo anch’egli una falce affilata. 18Un altro angelo, che ha potere sul fuoco, venne dall’altare e gridò a gran voce a quello che aveva la falce affilata: «Getta la tua falce affilata e vendemmia i grappoli della vigna della terra, perché le sue uve sono mature». 19L’angelo lanciò la sua falce sulla terra, vendemmiò la vigna della terra e rovesciò l’uva nel grande tino dell’ira di Dio. 20Il tino fu pigiato fuori della città e dal tino uscì sangue fino al morso dei cavalli, per una distanza di milleseicento stadi.

Approfondimenti

(cf APOCALISSE – introduzione, traduzione e commento di CLAUDIO DOGLIO © EDIZIONI SAN PAOLO, 2012)

L'intervento divino Il dramma della storia è stato rappresentato dal conflitto tra il serpente e la donna; le due bestie poi hanno evocato la corruzione storica del potere politico e dell'istituzione religiosa. Come scrittore apocalittico, Giovanni ha descritto lo stato miserabile della condizione umana, oppressa da forze sataniche terribili; in quanto cristiano, però, non si limita a desiderare l'intervento divino, ma ribadisce la sua fede nell'intervento di Dio nella persona del Cristo, culmine di una lunga storia di preparazione. In questa nuova sezione, l'Apocalisse presenta una sintesi di storia della salvezza, organizzandola in due scene(14,1-5.6-20).

1ª scena: L'Agnello e i centoquarantaquattromila (14,1-5) La prima scena richiama la figura dell'Agnello (cfr. 5,6), ritto sul monte Sion centro della religiosità anticotestamentaria, e riprende il simbolo numerico del resto di Israele (cfr. 7,4), i salvati provenienti dall'antico popolo dell'alleanza: l'unione delle due immagini evoca il piano divino di salvezza già all'opera nella vicenda storica del popolo di Dio. Alla visione si aggiunge, poi, l'audizione: la scena terrestre («sul monte Sion») è commentata da una voce proveniente dalla trascendenza divina («dal cielo»). Tre paragoni la caratterizzano come l'eco della rivelazione divina, mettendo l'accento sul tema del «canto nuovo» che richiama l'opera della redenzione e l'intervento salvifico di Dio: riprendendo i simboli caratteristici della visione introduttiva (cc. 4-5), l'attenzione viene così riportata al mistero della creazione e della redenzione. Anche il verbo «potere» richiama la scena dell'Agnello in 5,3 («nessuno poté aprire il libro»): qui viene detto che solo i centoquarantaquattromila sono in grado di imparare quel canto. L'insistenza su tale verbo ha un'importanza teologica: solo i redenti, infatti, possono cogliere e accogliere la rivelazione di Dio. Le immagini e i suoni lasciano poi il posto a tre definizioni simboliche. La prima – intesa da qualcuno in senso reale per designare coloro che si astennero da rapporti sessuali – deve piuttosto essere interpretata in senso metaforico, indicando secondo il modello biblico coloro che, non avendo deturpato la relazione di alleanza con il Signore, sono nella condizione adatta per accostarsi a lui. La seconda immagine definisce costoro come i seguaci dell'Agnello, ovvero coloro che seguono nella loro vita la dinamica dell'offerta di sé compiuta dal Cristo. Nella terza definizione ritorna l'immagine dell'acquisto o riscatto, unita a quella di «primizia», per evocare il primo gruppo umano salvato dal sangue di Cristo e offerto come sacrificio vivente a Dio. Il tono sacrificale è accentuato dagli ultimi elementi che completano la scena con cui Giovanni, dopo gli orrori e le violenze delle due bestie, presenta l'opera salvifica compiuta da Dio. Essa si realizza nelle persone che, pur appartenendo all'antica alleanza, hanno accolto il canto nuovo dell'Agnello, cioè l'atteggiamento di fiducia oblativa proprio del Cristo.

2ª scena: Un Figlio d'uomo circondato da sei angeli (14,6-20) La seconda scena evoca più espressamente l'intervento messianico, che costituiva il desiderio ardente dei profeti antichi e rappresenta la soluzione definitiva della crisi terrena. In base agli indizi testuali, che mostrano un Figlio d'uomo preceduto e seguito da due gruppi di tre angeli, la struttura della pericope segue un andamento settenario. Il messaggio è focalizzato sul Figlio che subentra alla legge di Dio data per mezzo degli angeli. La sua venuta segna la pienezza dei tempi: inaugura, con la sua vita, la mietitura escatologica e, nella sua morte, compie il mistero dell'intervento divino.

  • prima parte: Tre angeli che precedono (14,6-11).

Il primo angelo (vv. 6-7), in posizione solenne e simbolica (cfr. 8,13; 19,17), ha una buona notizia («vangelo») per tutta l'umanità; essa consiste in tre imperativi: riconoscere e glorificare Dio come l'unico e, quindi, adorarlo in quanto creatore dell'universo. Senza citare nessuna formula particolare, viene così riassunto il senso della Legge antica (cfr. 10,7), indicandone la tensione verso il compimento del progetto divino. Infatti, l'annuncio del «giudizio» conferisce al proclama angelico una connotazione propria della fine dei tempi. Il secondo angelo (v. 8). anticipando la celebrazione per la sconfitta del male (cfr. 18,2-3), esprime la fede nell'intervento storico di Dio contro la corruzione. Il terzo angelo (vv. 9-11) è portavoce di tutta la tradizione profetica anti-idolatrica: il suo discorso, più ampio rispetto agli altri, è incluso dalla menzione dei tre simboli malefici (bestia, immagine, marchio; cfr. 13,12- 17) e minaccia la punizione agli idolatri, sviluppando immagini tipicamente profetiche.

L'allusione conclusiva alla malefica azione della bestia induce un altro intervento diretto dell'autore (v. 12), rivolto all'assemblea con una formula simile alle due precedenti (cfr. 13,10.18). Di fronte al potere del male, agli uomini di Dio è chiesta una coraggiosa resistenza, che si manifesta in due modi principali: la fedeltà alla Legge divina e la fiducia nell'intervento messianico di salvezza.

Una consueta formula di passaggio apre un breve intermezzo lirico (v. 13), occupato da un'esplicita comunicazione divina che ordina a Giovanni di mettere per iscritto una beatitudine a favore di coloro che muoiono nel Signore: l'intervento rafforzativo dello Spirito garantisce per questi fedeli il riposo dopo la persecuzione e il premio per la loro costanza. L'intento consolatorio di Giovanni è evidente, sottolineando un oracolo che annuncia la possibilità data ai defunti «fin da ora» di partecipare al riposo escatologico (cfr. 6,11; Eb 4,10) inaugurato dalla risurrezione di Cristo, riconosciuto come Kyrios.

  • seconda parte: Il Figlio dell'uomo (14,14).

Nel cuore della struttura settenaria compare il simbolo della trascendenza e della vita divina («una nuvola bianca») su cui, in atteggiamento di autorità («seduto»), troneggia il Figlio dell'uomo. Questa figura, derivata dalla visione di Dn 7, er agià comparsa all'inizio dell'opera (1,13- 16) ed era stata chiaramente identificata con il Risorto; il colore bianco, cifra della risurrezione, caratterizza l'elemento su cui il personaggio è seduto, come il cavallo del primo sigillo (6,2) e il cavallo della «parola (lógos) di Dio» (19,11). A queste altre figure presenti nell'opera corrisponde il Figlio dell'uomo, sia nella forma simbolica sia nel messaggio teologico; egli evoca, infatti, il Messia annunciato dai profeti, portatore della vittoria divina («corona d'oro») e giudice efficace del mondo intero («falce affilata»).

  • terza parte: Tre angeli che seguono (14,15-20).

La seconda serie di angeli è unificata dal simbolo della falce, da cui derivano le immagini di mietitura e vendemmia. L'interpretazione generale di questa sezione è tutt'altro che concorde; le opinioni si possono ridurre a tre: a) tutte le scene indicano la punizione degli empi; b) la mietitura rappresenta il raduno dei buoni, mentre la vendemmia evoca la punizione dei malvagi; c) entrambe le immagini hanno valore positivo escatologico. Si può riconoscere qui l'influsso di Gl 4,13, testo profetico che annuncia il giorno decisivo del giudizio divino («Impugnate la falce, perché la messe è matura! Venite, pigiate, perché il torchio è pieno, i tini traboccano, perché grande è la loro malvagità!»). I simboli della mietitura e della vendemmia erano abituali per evocare l'intervento escatologico alla fine del processo di maturazione e l'inaugurazione di una vita nuova:nei testi evangelici ricorre la medesima terminologia per significare la presenza decisiva del Cristo e il compito dei suoi discepoli (cfr. Mt 9,37-38; Mc 4,29; Gv 4,35-38).

Il primo angelo (vv. 15-16) ha il compito di emettere dal santuario celeste l'ordine della mietitura e il Figlio dell'uomo raccoglie la messe della terra: l'allusione agli ultimi tempi è chiara, ma questi sono intesi probabilmente, secondo il linguaggio evangelico, come realizzati nell'opera decisiva compiuta nella sua vita storica dal Messia Gesù, quando il tempo della maturazione è giunto a compimento (cfr. Mc 1,15).

Il secondo angelo (v. 17) viene solo presentato, perché agirà in seguito: per il momento svolge la funzione strutturale di completamento del terzetto.

Il terzo angelo (vv. 18-20) è connesso con l'altare dei sacrifici e porta l'ordine della vendemmia, incaricando il secondo angelo di questa operazione. Ma l'immagine non si ferma qui: come per la mietitura, si procede con l'operazione seguente, cioè la pigiatura dell'uva nel torchio. Con allusione ai testi di Gen 49,11 e Is 63,1-6 l'autore evoca una scena potente ed enigmatica; vi si riconosce l'intervento divino che pesta e distrugge i nemici, ma la spiegazione migliore non sembra quella letterale-escatologica. Non è detto chi viene pigiato, né di chi sia il sangue. Ma l'immagine di un Messia violento non appartiene all'insegnamento esplicito del libro, mentre è tipica quella della vittima che redime con il proprio sangue: mostrando immolato proprio l'Agnello condottiero e guerriero, l'autore assume e ribalta l'attesa di un messianismo violento contro gli avversari. Inoltre, la medesima metafora ritornerà in 19,13.15, a proposito della «parola di Dio» e applicata alla morte di Cristo. È quindi giustificabile vedere, anche in questo contesto, un riferimento alla passione di Gesù: nel torchio dell'ira, non ha pestato i nemici, ma è stato egli stesso schiacciato, come vittima del male che ha corrotto l'umanità: al di fuori della città di Gerusalemme è stata consumata la sua morte con valore sacrificale, come sottolinea teologicamente la lettera agli Ebrei (cfr. Eb 13,10-15). La novità del teologo cristiano, che rilegge le antiche immagini profetiche, sta proprio qui: invece della distruzione dei nemici viene presentato l'intervento giudiziale di Dio che versa il proprio sangue in favore dei suoi nemici. Il suo sangue è un nuovo Mar Rosso che ferma la cavalleria infernale (cfr. Ap 9.16-19) ed estende i propri effetti salvifici all'estremità della terra.


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Le due bestie 1E vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo. 2La bestia che io vidi era simile a una pantera, con le zampe come quelle di un orso e la bocca come quella di un leone. Il drago le diede la sua forza, il suo trono e il suo grande potere. 3Una delle sue teste sembrò colpita a morte, ma la sua piaga mortale fu guarita. Allora la terra intera, presa d’ammirazione, andò dietro alla bestia 4e gli uomini adorarono il drago perché aveva dato il potere alla bestia, e adorarono la bestia dicendo: «Chi è simile alla bestia e chi può combattere con essa?». 5Alla bestia fu data una bocca per proferire parole d’orgoglio e bestemmie, con il potere di agire per quarantadue mesi. 6Essa aprì la bocca per proferire bestemmie contro Dio, per bestemmiare il suo nome e la sua dimora, contro tutti quelli che abitano in cielo. 7Le fu concesso di fare guerra contro i santi e di vincerli; le fu dato potere sopra ogni tribù, popolo, lingua e nazione. 8La adoreranno tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto nel libro della vita dell’Agnello, immolato fin dalla fondazione del mondo. 9Chi ha orecchi, ascolti: 10Colui che deve andare in prigionia, vada in prigionia; colui che deve essere ucciso di spada, di spada sia ucciso. In questo sta la perseveranza e la fede dei santi. 11E vidi salire dalla terra un’altra bestia che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, ma parlava come un drago. 12Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita. 13Opera grandi prodigi, fino a far scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini. 14Per mezzo di questi prodigi, che le fu concesso di compiere in presenza della bestia, seduce gli abitanti della terra, dicendo loro di erigere una statua alla bestia, che era stata ferita dalla spada ma si era riavuta. 15E le fu anche concesso di animare la statua della bestia, in modo che quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non avessero adorato la statua della bestia. 16Essa fa sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, ricevano un marchio sulla mano destra o sulla fronte, 17e che nessuno possa comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. 18Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: è infatti un numero di uomo, e il suo numero è seicentosessantasei.

Approfondimenti

(cf APOCALISSE – introduzione, traduzione e commento di CLAUDIO DOGLIO © EDIZIONI SAN PAOLO, 2012)

Le due bestie La narrazione si interrompe per lasciare il posto alla descrizione: prima di incontrare il terzo segno (15,1) – quello risolutivo – l'autore si dilunga a descrivere i metodi diabolici (c. 13) e l'intervento divino (c. 14). Anzitutto Giovanni presenta, seguendo il modello di Dn 7, due bestie che riassumono in sé le caratteristiche dell'azione demoniaca nel mondo. L'intero capitolo costituisce una chiara unità letteraria divisa in due parti, introdotte entrambe dalla consueta formula «vidi» (vv. 1.11) e concluse da un analogo intervento esplicativo (vv. 10b.18). La prima parte descrive la bestia che sale dal mare (13,1-10), mentre la seconda è dedicata alla bestia che sale dalla terra (13,11-18).

La bestia che sale dal mare (13.1-10). In un sogno notturno l'apocalittico Daniele aveva visto emergere dal mare quattro bestie orribili, rappresentanti dei quattro imperi storici che oppressero Israele (cfr. Dn 7,2-7.17-27); facendo riferimento a questo testo, l'autore descrive un'unica bestia che unisce in sé le caratteristiche delle quattro: ha l'aspetto di un leopardo (Dn 7,6),di un orso (come Dn 7,5), di un leone (Dn 7,4); ha, inoltre, dieci corna (Dn 7,7). Anch'essa emerge dal mare, segno primordiale del caos. Alla descrizione del mostro seguono tre azioni a esso rivolte; con queste immagini Giovanni riassume le idee degli apocalittici sulle grandi e organizzate forze del mondo: il potere è bestiale e perverso; la caduta originale non ha privato satana della sua forza e il mondo è vittima del suo agire (cfr. 12,12); anzi, le manifestazioni della sua forza suscitano ammirazione in alcuni uomini, al punto che giungono ad adorare il potere, ritenendolo superiore a Dio stesso. La superbia – causa della caduta di satana e dell'uomo – continua, infatti, a mostrarsi in alcune situazioni storiche come pretesa di dominio assoluto che vuole sostituirsi a Dio. Appare chiaro che la bestia in questione è simbolo del potere politico corrotto, immagine astratta e generale, valida per rappresentare ogni arrogante organizzazione storica. Daniele si era riferito ai quattro imperi del suo tempo; Giovanni riduce il simbolo a una sola figura, non tanto per descrivere l'impero romano, quanto per allargare l'orizzonte e indicare il potere in genere nella sua tirannica pretesa di superiorità assoluta. In concreto, non si può non intravedere un accenno alla potenza imperiale di Roma del I secolo, tuttavia il simbolo proposto ha un valore universale. L'attenzione viene poi portata sull'azione della bestia e, anche in questo caso, le immagini derivano da Dn 7 con un'attenzione particolare alla figura emblematica di Antioco IV Epifane, tiranno seleucide che nel II secolo a.C. aveva mosso guerra ai fedeli di Israele (cfr. 1Mac 1-4; 2Mac 5-8), divenendo figura stessa delle corruzione: la bestia descritta da Giovanni riproduce la fisionomia di un simbolico tiranno e crea continuità con l'antico testo, ma allo stesso tempo generalizza il grave problema, che si ripresenta, sotto altre forme, per la comunità cristiana alla fine del I secolo d.C. Gli uomini rimasti fedeli («i santi») sono stati vinti e uccisi dall'intollerante potere tirannico; altri, invece, hanno rinnegato la fede e si sono piegati in adorazione della bestia. La superbia del potere politico viene evidenziata nell'arroganza dei discorsi antireligiosi (13,6; cfr. Dn 7,8.20.25), nella lotta contro i fedeli fino al punto di metterli a morte (13,7; cfr. Dn 7,7.21), nell'imperialismo totalitario che mira a sottomettere tutto e tutti (13,7; cfr. Dn 7,7.23). Si noti, però, l'insistente ripetizione del passivo teologico «fu concesso», che ricorre quattro volte in Ap 13,5-7: esso evidenzia con forza la superiorità di Dio, che permette la prepotenza dello strumento demoniaco, ma lo tiene sotto controllo. Nel finale, l'autore apre una parentesi (vv. 9-10) per rivolgersi ai propri ascoltatori e invitarli a una particolare attenzione. Ripete la consueta formula dell'ascolto e aggiunge un'espressione proverbiale, tratta da Ger 15,2 (cfr. 43,11), per affermare l'efficacia del progetto divino e ribadire che, nonostante la prepotenza degli imperi terreni (Geremia si riferiva ai Babilonesi), la storia resta nelle mani di Dio. L'espressione conclusiva comunica un'idea fondamentale: «i santi» sono coloro che conservano la fede in Dio solo, non si piegano ai despoti di questo mondo e sanno resistere alla loro oppressione, proprio perché consapevoli che la storia appartiene a Dio.

La bestia che sale dalla terra (13,11-18). Con la consueta formula «vidi poi» si passa al secondo quadro dominato dalla presenza di un'altra bestia. Il luogo di provenienza è volutamente contrapposto al caotico elemento marino: la terra, infatti, è l'ambiente vivibile dagli esseri umani. La descrizione, molto sintetica, è basata su un contrasto che provoca ambiguità: la bestia assomiglia nell'esercizio del potere («corna») a un agnello (cioè a Cristo), ma nel modo di esprimersi è uguale a un drago (satana). La contrapposizione tra agnello e drago rivela uno stretto contatto con il detto evangelico in cui Gesù mette in guardia dai falsi profeti (cfr. Mt 7,15): il raffronto è ancora più significativo, se si aggiunge che nel resto dell'opera la seconda bestia è chiamata «falso profeta» (16,13; 19,20; 20,10). Essa rappresenta, quindi, una predicazione di Dio buona solo in apparenza, ma falsa nei contenuti e dannosa per i destinatari. Quello che era detto del diavolo stesso (12,9), vale ora per questa figura che inganna l'umanità intera. L'insistenza sul verbo «fare» richiama la dimensione creatrice di Dio e l'azione del formare e del manipolare: la seconda bestia vive in funzione della prima e tende a trasformare la mentalità degli uomini per asservirli al regime. L'espressione vertice di questo totalitarismo si ha in un «marchio» che fa sentire il proprio influsso sull'agire («mano») e sulla mentalità («fronte»): esso corrisponde al nome della bestia, cioè alle caratteristiche che la rendono tale. Contrapposto al «sigillo» che segna coloro che appartengono a Dio (7,3-4), il «marchio» caratterizza le persone asservite dalla bestia, in quanto contrassegno tipico degli schiavi. La marchiatura allude a un'operazione di cambiamento della mentalità che vuole coinvolgere proprio tutti, come indicano le tre coppie di opposti («piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi»). I «marchiati», dunque, sono quelli che hanno assimilato la mentalità dell'ideologia corrotta. Dall'insieme si può concludere che la seconda bestia rappresenti l'autorità religiosa corrotta, ovvero il dominio ideologico, asservito alla politica e traditore della sua funzione specifica di mediazione verso Dio. Poiché ogni sovrano ha il suo profeta, alla bestia ne viene accostato uno falso, che allontana da Dio e crea degli schiavi. Giovanni allude al faraone e ai suoi maghi (cfr. Es 7,11), a Nabucodonosor e ai suoi indovini (cfr. Dn 2,2), ad Antioco Epifane e alla corrotta classe sacerdotale di Gerusalemme (cfr. 1Mac 1,34). Nel I secolo d.C. la comunità dell'Apocalisse non poteva non pensare all'imperialismo romano e alle autorità religiose (giudaiche e greche) conniventi; tuttavia, la ricchezza del simbolo permette di riconoscere uno schema generale, valido per ogni altra situazione. Come il primo quadro, anche il secondo termina con un invito all'assemblea: ciò che ora è richiesto agli ascoltatori è la «sapienza», la capacità di interpretare l'immagine per renderla concreta nella propria esperienza. Tale operazione, nell'ambito dell'apocalittica, assume la forma di un enigma: la comunità deve cercare di individuare nella realtà umana che la circonda la cifra simbolica di questa bestia, ovvero il senso del marchio che asservisce. Sebbene non sia risolvibile con sicurezza, la triplice ripetizione del numero 6 sembra alludere allo sforzo vano della creatura di raggiungere con le sole proprie forze la pienezza e la perfezione. Il numero 6 viene interpretato come cifra tipica dell'uomo (creato nel sesto giorno, secondo Gen 1,26- 31), segno del limite creaturale e dell'impossibilità di autonoma realizzazione. Mediante questa riflessione la Chiesa può giungere a riconoscere come illusione la pretesa di ogni ideologia che rifiuta Dio e mira a sostituirlo.


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IL SETTENARIO DELLE COPPE

Il trittico dei segni

I segni del conflitto: la donna e il drago 1Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. 2Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto. 3Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; 4la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito. 5Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono. 6La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni. 7Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme ai suoi angeli, 8ma non prevalse e non vi fu più posto per loro in cielo. 9E il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana e che seduce tutta la terra abitata, fu precipitato sulla terra e con lui anche i suoi angeli. 10Allora udii una voce potente nel cielo che diceva: «Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, perché è stato precipitato l’accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte. 11Ma essi lo hanno vinto grazie al sangue dell’Agnello e alla parola della loro testimonianza, e non hanno amato la loro vita fino a morire. 12Esultate, dunque, o cieli e voi che abitate in essi. Ma guai a voi, terra e mare, perché il diavolo è disceso sopra di voi pieno di grande furore, sapendo che gli resta poco tempo». 13Quando il drago si vide precipitato sulla terra, si mise a perseguitare la donna che aveva partorito il figlio maschio. 14Ma furono date alla donna le due ali della grande aquila, perché volasse nel deserto verso il proprio rifugio, dove viene nutrita per un tempo, due tempi e la metà di un tempo, lontano dal serpente. 15Allora il serpente vomitò dalla sua bocca come un fiume d’acqua dietro alla donna, per farla travolgere dalle sue acque. 16Ma la terra venne in soccorso alla donna: aprì la sua bocca e inghiottì il fiume che il drago aveva vomitato dalla propria bocca. 17Allora il drago si infuriò contro la donna e se ne andò a fare guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che custodiscono i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù. 18E si appostò sulla spiaggia del mare.

Approfondimenti

(cf APOCALISSE – introduzione, traduzione e commento di CLAUDIO DOGLIO © EDIZIONI SAN PAOLO, 2012)

IL SETTENARIO DELLE COPPE Il settenario delle coppe si trova al capitolo 16, ma sia ciò che lo precede sia ciò che lo segue è a esso strettamente congiunto, tanto da rappresentare la preparazione e il completamento. I capitoli 12-15 svolgono la funzione di grande proemio al settenario e sono caratterizzati dalla presenza di un trittico dei segni (12,1.3; 15.1). Invece i capitoli che lo seguono riprendono, a loro volta, il tema delle coppe in una fantasmagoria settenaria di scene e di generi letterari per presentare i due grandi simboli di donne-città: Babilonia e Gerusalemme (17,1-22,5). Tutta la sezione, dunque, può essere considerata unitaria e composta di tre parti con al centro il settenario vero e proprio. Rappresentando il centro di tutta la sezione, il capitolo 16 evoca ancora una volta l'intervento definitivo di Dio nella storia umana e il compimento del mistero di salvezza: il trittico dei segni lo introduce, mentre l'ultima parte ne esplicita le conseguenze come giudizio e salvezza. Entrambe queste sezioni comprendono una serie settenaria formata da tre angeli più tre (14,6-20; 17,1-21.9), con al centro una figura cristologica, qualificata come «Figlio d'uomo» (14,14) e come «parola (lógos) di Dio» (19.11-16).

Il trittico dei segni I primi due segni (la «donna» e il «drago»)rappresentano il conflitto, mentre il terzo (i «sette angeli» che versano le coppe) rappresenta la soluzione di tale scontro. I capitoli intermedi evocano le dinamiche storiche del potere satanico e dell'intervento salvifico di Dio.

I segni del conflitto: la donna e il drago La donna che contrasta un mostro è un motivo che appartiene all'immaginario di molti popoli e importanti miti antichi (babilonesi, egizi, persiani e greci) descrivono vicende simili. L'autore dell'Apocalisse ha, però, le proprie radici nella tradizione biblica e rifiuta con forza le culture idolatriche. È inutile quindi ricercare paralleli e spiegazioni al di fuori della Bibbia. L'insieme narrativo e simbolico di Ap 12 si ispira al racconto di Gen 3. La rappresentazione apocalittica è qui una rilettura cristiana dell'evento primordiale decisivo e offre una sintesi simbolica delle sue conseguenze storiche. A tale riferimento principale se ne aggiungono altri: il serpente antico (v. 9) è chiamato «drago», come il mitico mostro del caos, inteso dai profeti anche come l'emblema del potere tirannico d'Egitto; all'epopea dell'esodo si rifanno alcuni particolari (il salvataggio dalle acque, il nutrimento nel deserto, l'aquila); il figlio che deve nascere è evocato con le caratteristiche del davidico re-Messia; la scena della donna nel travaglio del parto si ispira a grandi immagini profetiche già intrise di mentalità apocalittica e la guerra celeste tra potenze angeliche è un motivo ricorrente in questo genere di letteratura. Una corretta interpretazione deve tenere conto di tutto il capitolo e di questo ricchissimo substrato simbolico. Giovanni compone un nuovo mosaico attingendo da molteplici tasselli anticotestamentari e la narrazione chiede di essere interpretata rispettando i vari episodi in successione. Sembra trattarsi di un'ulteriore riflessione sulla storia della salvezza: l'inimicizia, posta da Dio tra la donna e il serpente, si sviluppa come un drammatico conflitto tra l'umanità e il potere demoniaco, teso verso una soluzione; lo schema dell'esodo, come già per altri autori biblici, diviene il modello dell'intervento divino a favore del suo popolo, raggiungendo il vertice nell'opera messianica di Gesù.

La donna (12,1-2). È una figura ricchissima e molteplice, frequente nell'Antico Testamento con sfumature diverse. I simboli femminili dominano l'ultima parte dell'opera; nei capitoli 17-22 emergono due donne-città: Babilonia, la prostituta, e Gerusalemme, la sposa. È lecito pensare che, come nei capitoli conclusivi, anche all'inizio della sezione la simbologia muliebre voglia evocare la relazione personale che l'umanità ha con Dio. Nella storia dell'esegesi la donna del capitolo 12 è stata interpretata nei modi più disparati e la continua molteplicità di opinioni al riguardo testimonia la difficoltà del passo; ma le soluzioni più attendibili danno risalto alla generazione di un figlio con caratteristiche messianiche. Le proposte ermeneutiche, senza escludersi a vicenda, si possono ridurre a quattro modelli in ordine crescente di ampiezza simbolica: 1) la Vergine Maria, madre di Gesù, il Cristo; 2) la Chiesa, comunità-sposa che continua, nel dramma della storia, a generare il Cristo; 3) il popolo di Israele, che ha preparato con la sua storia la nascita del Messia; 4) la prima madre, ovvero l'umanità a cui è promessa la salvezza nella lotta contro il male attraverso l'opera della sua stessa discendenza. Il contesto narrativo dell'insieme induce a preferire un'interpretazione ampia che veda nella donna soprattutto l'umanità nella sua originale bellezza e anche l'esperienza di misericordia vissuta dal popolo eletto, ovvero il punto di partenza della storia umana segnata dal peccato e dall'intervento salvifico di Dio. Con poche pennellate surrealiste la figura della donna evoca la situazione originale dell'umanità, creata da Dio bella come il sole, superiore alle fasi del tempo (simboleggiate dalla luna), coronamento di tutto il cosmo (le dodici costellazioni); eppure il travaglio del parto dice che non è perfetta in sé, ma in tensione verso una novità futura.

Il drago contro la donna (12,3-6). Il secondo segno è il mostro demoniaco, crede letterario degli antichi miti sull'origine del mondo. Viene descritto secondo il modello offerto dalle bestie di Daniele (cfr. Dn 7,7.24) e subito posto di fronte alla donna, come nel racconto all'inizio della Genesi. Il futuro dell'umanità è messo in pericolo dall'invidia del diavolo (cfr. Sap 2,24), che vuole divorare il parto della donna. L'azione è ridotta a pochi essenziali accenni: la nascita del figlio e il suo rapimento da parte di Dio. Alcuni interpreti hanno visto in queste immagini l'estrema sintesi della vicenda terrena di Gesù (nascita e ascensione); ma il riferimento alle origini induce a preferire un altro quadro simbolico. Partendo dall'immagine apocalittica di un parto frustrato (cfr. Is 26,17-19), Giovanni potrebbe vedere nel figlio della donna il Messia promesso fin dall'inizio, che però è allontanato rispetto all'umanità, eppure al sicuro nelle mani del Creatore (cfr. Is 66,7-11), nella prospettiva di un compimento futuro (cfr. 19,15). Il fallimento originale e l'incapacità umana di produrre la salvezza sono rimarcati dalla seguente situazione in cui si trova la donna, che fugge nel deserto: tuttavia l'intervento di Dio è caratterizzato come progetto di misericordia e di cura nei confronti dell'umanità fuggitiva e perseguitata.

La guerra in cielo (12,7-9). Alla sorte della donna è contrapposta quella del drago. Secondo un diffuso schema apocalittico, la soluzione è raggiunta attraverso uno scontro militare che avviene nella trascendenza divina, tra opposti schieramenti angelici. Giovanni accenna nuovamente alla caduta degli angeli (cfr.8,7- 9.12): al ribelle, che aveva ingannato l'umanità con la superba pretesa di «essere come Dio» (cfr. Gen 3,4-5), si contrappone Michele, l'angelo fedele che, con il suo stesso nome (cfr. nota al v. 7), richiama la necessità di una docile sottomissione. L'esito del conflitto è sfavorevole ai ribelli: il drago e i suoi complici sono vinti e buttati giù dal cielo. La terra diviene così l'ambiente del loro negativo operare.

Un inno di vittoria (12,10-12). La narrazione continua al v. 13; ma si interrompe qui bruscamente, per lasciare spazio a un intermezzo lirico, attribuito a un imprecisato coro celeste. Il testo poetico rispecchia con probabilità un inno liturgico cristiano, in uso nella comunità giovannea per celebrare il trionfo pasquale di Cristo e la sconfitta del «principe di questo mondo» (Gv 12,31). L'evocazione della primordiale caduta degli angeli insorti viene commentata con il canto cristiano della sconfitta definitiva di satana: l'inizio del poema liturgico con un deciso avverbio di tempo («ora») mette in stretto collegamento la realizzazione del regno di Dio e l'intronizzazione del Cristo risorto. Coloro che pronunciano l'inno si sentono esclusi dall'azione satanica e riconoscono vittime dell'accusatore solo i loro fratelli: l'autore pensa forse ai ventiquattro anziani (come in 11,16-18), rappresentanti gloriosi dell'umanità storica. Per mezzo del sangue dell'Agnello, cioè grazie al mistero pasquale del Cristo morto e risorto, i fedeli hanno avuto ragione dell'avversario demoniaco con la parola e con i fatti, grazie all'imitazione dell'atteggiamento che fu di Gesù, cioè la totale fiducia in Dio fino alla morte. Coloro che dimorano in cielo possono gioire pienamente di questa vittoria, ma per gli abitanti della terra l'influenza maligna può recare ancora danni. L'immagine mitica attribuisce l'ulteriore rovina alla rabbia dello sconfitto e alla sua consapevolezza del tempo limitato che gli è concesso. In altre parole, l'inno riconosce che anche dopo la Pasqua il male è rimasto nel mondo, anche se definitivamente sconfitto alla radice. Per raggiungere la vittoria piena, ai fedeli della terra è chiesto il coraggio della testimonianza.

La lotta prosegue (12,13-18). Riprende la narrazione del conflitto donna-serpente: dal cielo, la battaglia si è trasferita sulla terra e la donna subisce persecuzione proprio a causa della caduta del drago; ma il Signore la mette in salvo. Lo sfondo anticotestamentario orienta al tema dell'esodo e induce a leggere le immagini apocalittiche come simboli dell'intervento di Dio che libera il suo popolo dalla schiavitù. Come sintesi di storia della salvezza, Giovanni presenta l'impegno di Dio a favore dell'umanità decaduta nella vicenda fondamentale della storia di Israele: il segno della donna si è evoluto e da evocazione dell'umanità primordiale ha assunto il valore biblico di figura del popolo eletto. Già i profeti avevano storicizzato il mostro caotico e l'avevano inteso come l'emblema del tiranno egiziano (cfr. Is 51,10; Ez 29,3: 32,2); nel linguaggio apocalittico l'epopea dell'esodo è così facilmente ripresentabile come uno scontro tra il drago (satana-Egitto) e la donna(Israele). La persecuzione prende forma nell'acqua che inghiotte: il mostro marino tenta di sommergere nel caos il progetto di Dio, ma vede fallire i suoi disegni contro la donna per la seconda volta. Sempre più furioso, il drago non si dà per vinto: la sua guerra non è più con le schiere angeliche, né con la donna stessa, ma con il resto della sua discendenza. L'estremo tentativo demoniaco è dunque la battaglia contro il gruppo fedele che custodisce le leggi divine e confida nella salvezza messianica. Con un tocco da maestro, il narratore conclude il grande quadro del conflitto, lasciando il lettore nell'attesa: il drago è sulla spiaggia. È con fine ironia che Giovanni indica il drago, pronto alla guerra, fermo sul segno del suo limite e della sua sconfitta. La scena seguente sarà, infatti, suddivisa secondo il criterio geografico di mare e terra.


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L'intervento di Dio 1Poi mi fu data una canna simile a una verga e mi fu detto: «Àlzati e misura il tempio di Dio e l’altare e il numero di quelli che in esso stanno adorando. 2Ma l’atrio, che è fuori dal tempio, lascialo da parte e non lo misurare, perché è stato dato in balìa dei pagani, i quali calpesteranno la città santa per quarantadue mesi. 3Ma farò in modo che i miei due testimoni, vestiti di sacco, compiano la loro missione di profeti per milleduecentosessanta giorni». 4Questi sono i due olivi e i due candelabri che stanno davanti al Signore della terra. 5Se qualcuno pensasse di fare loro del male, uscirà dalla loro bocca un fuoco che divorerà i loro nemici. Così deve perire chiunque pensi di fare loro del male. 6Essi hanno il potere di chiudere il cielo, perché non cada pioggia nei giorni del loro ministero profetico. Essi hanno anche potere di cambiare l’acqua in sangue e di colpire la terra con ogni sorta di flagelli, tutte le volte che lo vorranno. 7E quando avranno compiuto la loro testimonianza, la bestia che sale dall’abisso farà guerra contro di loro, li vincerà e li ucciderà. 8I loro cadaveri rimarranno esposti sulla piazza della grande città, che simbolicamente si chiama Sòdoma ed Egitto, dove anche il loro Signore fu crocifisso. 9Uomini di ogni popolo, tribù, lingua e nazione vedono i loro cadaveri per tre giorni e mezzo e non permettono che i loro cadaveri vengano deposti in un sepolcro. 10Gli abitanti della terra fanno festa su di loro, si rallegrano e si scambiano doni, perché questi due profeti erano il tormento degli abitanti della terra. 11Ma dopo tre giorni e mezzo un soffio di vita che veniva da Dio entrò in essi e si alzarono in piedi, con grande terrore di quelli che stavano a guardarli. 12Allora udirono un grido possente dal cielo che diceva loro: «Salite quassù» e salirono al cielo in una nube, mentre i loro nemici li guardavano. 13In quello stesso momento ci fu un grande terremoto, che fece crollare un decimo della città: perirono in quel terremoto settemila persone; i superstiti, presi da terrore, davano gloria al Dio del cielo. 14 Il secondo «guai» è passato; ed ecco, viene subito il terzo «guai».

La settima tromba 15Il settimo angelo suonò la tromba e nel cielo echeggiarono voci potenti che dicevano: «Il regno del mondo appartiene al Signore nostro e al suo Cristo: egli regnerà nei secoli dei secoli». 16Allora i ventiquattro anziani, seduti sui loro seggi al cospetto di Dio, si prostrarono faccia a terra e adorarono Dio dicendo: 17«Noi ti rendiamo grazie, Signore Dio onnipotente, che sei e che eri, 18perché hai preso in mano la tua grande potenza e hai instaurato il tuo regno. Le genti fremettero, ma è giunta la tua ira, il tempo di giudicare i morti, di dare la ricompensa ai tuoi servi, i profeti, e ai santi, e a quanti temono il tuo nome, piccoli e grandi, e di annientare coloro che distruggono la terra». 19Allora si aprì il tempio di Dio che è nel cielo e apparve nel tempio l’arca della sua alleanza. Ne seguirono folgori, voci, scoppi di tuono, terremoto e una tempesta di grandine.

Approfondimenti

(cf APOCALISSE – introduzione, traduzione e commento di CLAUDIO DOGLIO © EDIZIONI SAN PAOLO, 2012)

  1. La misurazione del tempio (11,1-3). Un'altra fondamentale caratteristica della rivelazione anticotestamentaria riguarda il santuario: riecheggiando famose scene profetiche (cfr. Ez 40.3-42.20; Zc 2,5-9), Giovanni le rielabora in modo originale. Non l'angelo, ma lo stesso veggente ha lo strumento di misurazione; la canna ha forma di scettro ed evoca facilmente l'idea di potere; questo attrezzo gli viene consegnato insieme a un messaggio che contiene due serie di imperativi. Il primo comando prevede la misurazione, il secondo la non misurazione: si tratta quindi di una separazione di ambiti, espressa con il linguaggio architettonico e rituale. L'aggiunta dell'eccezione relativa all'«atrio esterno», infatti, sarebbe inutile, se non fosse sentita come particolarmente significativa. Il cortile esterno è concesso da Dio ai pagani, così come il dominio sulla città santa di Gerusalemme: l'allusione alle drammatiche occupazioni e distruzioni di Gerusalemme ribadisce che l'antico santuario non era perfetto e intangibile, come annunciavano Ezechiele e Zaccaria. Il contrasto con la «nuova» Gerusalemme, descritta al termine dell'Apocalisse con elementi analoghi, deve essere necessariamente sottolineato (cfr. 21.15-27). In 11,3 continua il discorso divino rivolto a Giovanni, contrapponendo alle genti la figura di due testimoni: come ha concesso ai pagani momenti di predominio, così Dio promette di concedere ai suoi profeti la possibilità di compiere il loro ministero di predicazione. L'annuncio dei due testimoni segna il passaggio alla nuova scena.

  2. I due testimoni (11,4-14). A descrivere le qualità e le azioni di questi due testimoni interviene il narratore stesso, elaborando un intreccio molto complesso in cui i tempi verbali passano dal passato al presente e al futuro. E difficile ricostruire una sequenza storica da collocare in qualche epoca precisa; la descrizione accumula molti particolari da interpretare nel rispetto del contesto generale in cui sono inseriti. I due enigmatici personaggi sono dei consacrati, strettamente uniti a Dio e portatori della sua luce; hanno la capacità di eliminare con il fuoco gli eventuali ingiusti nemici: la descrizione li avvicina a due grandi personaggi biblici: la capacità di comandare alla pioggia è il distintivo di Elia (cfr. 1Re 17,1),come il potere di mutare l'acqua in sangue fa riferimento all'epopea di liberazione dall'Egitto che ha come protagonista Mosè (cfr. Es 7,17-21). La fine del loro ministero, definito «profezia» e «testimonianza», è presentata al v. 7 con tratti desunti da Dn 7 (cfr. in particolare i vv. 3.7.21) in cui si allude all'oppressione di Antioco IV, all'uccisione degli Israeliti fedeli e alla promessa divina di instaurare un nuovo regno. I vv. 8-10 sono una elaborazione ridondante di Giovanni per enfatizzare la morte di questi personaggi e l'universale reazione di gioia di coloro che li avevano in odio. Uccisi in Gerusalemme, i due testimoni sono rianimati da un «soffio vitale» divino: alla visione di Daniele se ne aggiunge un'altra di Ezechiele (Ez 37,1-14, cfr. in particolare il v. 10) per presentare la conclusione della loro vicenda, dopo il tipico tempo di «tre e mezzo» (cfr. 11,2.3). Essi salgono poi al cielo in modo trionfale, sotto gli occhi attoniti degli avversari. Ma chi sono costoro? La loro identificazione non trova gli studiosi affatto d'accordo; le innumerevoli interpretazioni proposte possono ridursi sostanzialmente a tre: a)personaggi storici dell'Antico Testamento (p.es., Mosè ed Elia); b) personaggi storici del Nuovo Testamento (p.es., Pietro e Paolo): c) figure simboliche (p. es., la Legge e i Profeti). In base al contesto letterario della sesta tromba, intesa come l'intervento divino nell'economia anticotestamentaria, i due possono riassumere tutti coloro che, fedeli all'alleanza di Dio, sono stati ostacolati e soppressi da empi «rinnegati». La corruzione del mondo era iniziata con una caduta dal cielo (cfr.9,1): l'intervento divino raggiunge il suo vertice permettendo la salita al cielo (11,12). Secondo le attese degli apocalittici, il momento tremendo dell'angoscia e della persecuzione sarà seguito dalla risurrezione e dall'inaugurazione di un regno nuovo (cfr. Dn 12,1-3): conformemente a questo schema, Giovanni conclude la sesta tromba con il ricordo della risurrezione dei due testimoni.

Al v. 12, per la terza volta in questa sezione (cfr. 10,4.8), si fa udire la voce dal cielo: questa è l'«ora» decisiva, tema classico della teologia giovannea (cfr. Gv 5.25.28), caratterizzata dal grande terremoto (cfr. 8,5), simbolo della catastrofe positiva che ribalta le sorti dell'umanità. L'intervento divino distrugge la città del male e rende gli uomini capaci di dare gloria a Dio. Evocato dal simbolo teofanico del sisma, al vertice del sesto elemento giunge il richiamo all'intervento decisivo di Dio, che il profeta cristiano riconosce nell'evento pasquale di Cristo: anche Matteo collega la morte di Gesù al terremoto e alla risurrezione di molti santi (cfr. Mt 27,51-53). Il v. 14. di transizione e sutura (cfr. 9,12), attira l'attenzione sull'ultimo momento e ne sottolinea, nonostante l'aspetto trionfale, il carattere di giudizio, drammatico e definitivo (cfr. 11,18). Alla settima tromba non resta che celebrare l'instaurazione del regno atteso dagli apocalittici e inaugurato con la risurrezione di Gesù.

La settima tromba L'elemento conclusivo non si distingue nettamente da quello che l'ha preceduto, ma ne celebra il senso e il valore. Per disegnare la cornice simbolica della grande rivelazione che annuncia la realizzazione della signoria divina, l'unità letteraria è inclusa dalla menzione di fragori celesti, tipici fenomeni teofanici. La posizione enfatica del verbo all'inizio della frase angelica(«è venuto») non dice semplicemente qualcosa che è presente, ma annuncia un avvenimento che è capitato: l'inaugurazione del Regno. In 10,7 era stato annunciato, per questa settima tromba, il compimento del mistero di Dio: di questo dunque si tratta. Secondo il linguaggio giovanneo che celebra la croce di Cristo come il momento solenne della intronizzazione del Re definitivo (cfr. Gv 12,31-32; 18,38; 19.2-3.13-14), l'inizio glorioso del Regno si può riconoscere in questo inno. È significativo notare che nella settima tromba si canta il compimento che Cristo annuncia nella sua ultima parola in croce (Gv 19,30: «è compiuto»). La novità della formula («È venuto il regno universale») sta nell'affermare che il Cristo condivide con Dio il dominio del mondo. È iniziato un Regno che non avrà più termine, come aveva annunciato Gabriele a Maria (cfr. Lc 1,33) e come i Padri della Chiesa hanno riportato nel simbolo di fede. I ventiquattro anziani, già presentati nella sezione dei sigilli, ripetono ora il loro atto di adorazione (cfr. 4,4.10; 5,8.14), intonando un inno di ringraziamento che riproduce, forse, un testo liturgico effettivamente usato nella comunità giovannea per celebrare l'inaugurazione della signoria di Cristo risorto. Secondo un classico schema apocalittico viene annunciata la reale possibilità del giudizio sulla storia, inteso come separazione tra buoni e cattivi: infatti, «giudicare i morti» significa «dare la ricompensa» e «distruggere». L'episodio dei due testimoni anticipava questa affermazione teologica; terminava, infatti, con la risurrezione dei morti e la loro accoglienza nel mondo divino, contrapposta all'uccisione degli uomini e alla distruzione della città. Nelle parole del canto si può così ritrovare la definizione dei due testimoni: sono i servi di Dio, cioè i profeti, e i santi, ovvero tutti coloro che temono Dio, senza distinzione tra piccoli e grandi (11,18b). La rovina, invece, è destinata a quelli che distruggono la terra, le forze demoniache e gli uomini idolatri, loro succubi (cfr. Ger 51,25): tale immagine riporta all'inizio del settenario e ai gravi danni causati alla terra dagli angeli decaduti (cfr. 8,6-12).

Il settenario è concluso da una scena grandiosa che ha per oggetto il santuario di Dio nel cielo. Si collega alla visione introduttiva che aveva descritto il culto angelico sull'altare dei profumi che sta davanti al santuario, simbolo dell'economia anticotestamentaria. Con un'inclusione letteraria, la liturgia si sposta all'interno stesso del santuario per celebrare il compimento che è il mistero pasquale di Cristo. L'apertura del luogo sacro permette l'apparizione dell'arca dell'alleanza e la sua comparsa, accompagnata dai fenomeni di manifestazione divina del Sinai (cfr. Es 19,16), evoca un rinnovamento e un compimento. Si allude così alla storia dell'antica alleanza e si celebra con entusiasmo l'inaugurazione della nuova (cfr. Eb 8,6; 9,15). Anche in questo caso, la fine di una sezione coincide con l'inizio di quella seguente: la settima tromba e il canto preludono all'ultima grande parte dell'Apocalisse, che ritorna sullo stesso messaggio fondamentale, presentandolo con altre immagini e un ampliamento di prospettiva.


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L'intervento di Dio 1E vidi un altro angelo, possente, discendere dal cielo, avvolto in una nube; l’arcobaleno era sul suo capo e il suo volto era come il sole e le sue gambe come colonne di fuoco. 2Nella mano teneva un piccolo libro aperto. Avendo posto il piede destro sul mare e il sinistro sulla terra, 3gridò a gran voce come leone che ruggisce. E quando ebbe gridato, i sette tuoni fecero udire la loro voce. 4Dopo che i sette tuoni ebbero fatto udire la loro voce, io ero pronto a scrivere, quando udii una voce dal cielo che diceva: «Metti sotto sigillo quello che hanno detto i sette tuoni e non scriverlo». 5Allora l’angelo, che avevo visto con un piede sul mare e un piede sulla terra, alzò la destra verso il cielo 6e giurò per Colui che vive nei secoli dei secoli, che ha creato cielo, terra, mare e quanto è in essi: «Non vi sarà più tempo! 7Nei giorni in cui il settimo angelo farà udire la sua voce e suonerà la tromba, allora si compirà il mistero di Dio, come egli aveva annunciato ai suoi servi, i profeti». 8Poi la voce che avevo udito dal cielo mi parlò di nuovo: «Va’, prendi il libro aperto dalla mano dell’angelo che sta in piedi sul mare e sulla terra». 9Allora mi avvicinai all’angelo e lo pregai di darmi il piccolo libro. Ed egli mi disse: «Prendilo e divoralo; ti riempirà di amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele». 10Presi quel piccolo libro dalla mano dell’angelo e lo divorai; in bocca lo sentii dolce come il miele, ma come l’ebbi inghiottito ne sentii nelle viscere tutta l’amarezza. 11Allora mi fu detto: «Devi profetizzare ancora su molti popoli, nazioni, lingue e re».

Approfondimenti

(cf APOCALISSE – introduzione, traduzione e commento di CLAUDIO DOGLIO © EDIZIONI SAN PAOLO, 2012)

L'intervento di Dio In questa parte si può riconoscere come tema la proposta di un rimedio divino, realizzatosi nell'economia anticotestamentaria. Lo sviluppo segue un movimento tripartito:

  1. innanzitutto un angelo offre un piccolo libro che deve essere mangiato (10,1-11);
  2. viene poi evocata la misurazione del santuario (11,1-3);
  3. infine il grande quadro dei due testimoni (11,4-14) si conclude con il terremoto cosmico che determina una reazione umana positiva.

  4. L'angelo e il libretto (10,1-11). In una nuova visione viene presentato un angelo diverso dai precedenti, inserito in una grandiosa scena marina dopo un temporale: le nubi si squarciano e il sole lancia attraverso di esse due potenti raggi, mentre si intravedono i colori dell'arcobaleno. Questa nuova figura che proviene dal cielo è mostrata mentre «discende» sulla terra; alle precedenti cadute angeliche (8,10; 9,1), con conseguenze nefaste, si contrappone questa discesa benefica. L'angelo compare dotato di forza e caratterizzato da simboli tipici delle teofanie (cfr. Es 13,21); nella sua mano sta un piccolo libro, intorno al quale si concentra tutta la visione. Improvvisamente si aggiunge la voce di sette tuoni, che un comando preciso ordina di non mettere per iscritto, conservandone il segreto: probabilmente Giovanni riprende qui un motivo letterario, tipico di alcuni circoli giudaici e misterici, che parlava di una rivelazione affidata come segreto soltanto ad alcuni. Dopo la parentesi dei tuoni, ritorna protagonista l'angelo iniziale che, prima di consegnare il piccolo libro, annuncia il compimento del mistero di Dio, oggetto della buona notizia proclamata dai profeti. Questo evento è riservato alla settima tromba. Non viene, però, spiegato in che cosa consista tale «mistero»: il chiarimento verrà in seguito. Per il momento all'autore interessa creare tensione verso il compimento e ripetere che la rivelazione angelica è provvisoria e incompleta. Un nuovo ordine impartito dalla voce celeste ripropone lo stesso gesto narrato da Ezechiele, al momento della sua vocazione (cfr. Ez. 2.8-3,3): mangiare il rotolo scritto significa, da parte del profeta, assimilare il messaggio divino ed essere in grado di trasmetterlo ad altri. Sembra dunque che il libretto contenga la rivelazione affidata ai profeti. Ma tra il modello e la versione apocalittica c'è un 'importante differenza: mentre Ezechiele menzionava soltanto la dolcezza del libro, Giovanni presenta una contrapposizione, aggiungendo l'impressione di amarezza. Il contrasto di sapori avviene tra la bocca e il ventre, in una successione cronologica: prima sembra dolce, per rivelarsi successivamente amaro. Vi si può forse riconoscere un altro indizio che connota il cammino verso la pienezza della rivelazione. Al veggente, infine, che personifica la missione profetica, viene affidato l'incarico di comunicare il messaggio assimilato. Importante è la necessità imprescindibile («bisogna») di continuare la missione profetica, indirizzandola a quattro destinatari, cioè al mondo intero. La formula quadripartita, tipica del libro (cfr. 5.9; 7.9; 11,9), subisce, in questo caso, una modificazione nell'ultimo elemento; la presenza dei re sembra, infatti, sottolineare un incontro-scontro con l'autorità politica, ovvero con l'idolatrico potere di questo mondo.


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La quinta tromba 1Il quinto angelo suonò la tromba: vidi un astro caduto dal cielo sulla terra. Gli fu data la chiave del pozzo dell’Abisso; 2egli aprì il pozzo dell’Abisso e dal pozzo salì un fumo come il fumo di una grande fornace, e oscurò il sole e l’atmosfera. 3Dal fumo uscirono cavallette, che si sparsero sulla terra, e fu dato loro un potere pari a quello degli scorpioni della terra. 4E fu detto loro di non danneggiare l’erba della terra, né gli arbusti né gli alberi, ma soltanto gli uomini che non avessero il sigillo di Dio sulla fronte. 5E fu concesso loro non di ucciderli, ma di tormentarli per cinque mesi, e il loro tormento è come il tormento provocato dallo scorpione quando punge un uomo. 6In quei giorni gli uomini cercheranno la morte, ma non la troveranno; brameranno morire, ma la morte fuggirà da loro. 7Queste cavallette avevano l’aspetto di cavalli pronti per la guerra. Sulla testa avevano corone che sembravano d’oro e il loro aspetto era come quello degli uomini. 8Avevano capelli come capelli di donne e i loro denti erano come quelli dei leoni. 9Avevano il torace simile a corazze di ferro e il rombo delle loro ali era come rombo di carri trainati da molti cavalli lanciati all’assalto. 10Avevano code come gli scorpioni e aculei. Nelle loro code c’era il potere di far soffrire gli uomini per cinque mesi. 11Il loro re era l’angelo dell’Abisso, che in ebraico si chiama Abaddon, in greco Sterminatore. 12Il primo «guai» è passato. Dopo queste cose, ecco, vengono ancora due «guai».

La sesta tromba La cavalleria infernale 13Il sesto angelo suonò la tromba: udii una voce dai lati dell’altare d’oro che si trova dinanzi a Dio. 14Diceva al sesto angelo, che aveva la tromba: «Libera i quattro angeli incatenati sul grande fiume Eufrate». 15Furono liberati i quattro angeli, pronti per l’ora, il giorno, il mese e l’anno, al fine di sterminare un terzo dell’umanità. 16Il numero delle truppe di cavalleria era duecento milioni; ne intesi il numero. 17E così vidi nella visione i cavalli e i loro cavalieri: questi avevano corazze di fuoco, di giacinto, di zolfo; le teste dei cavalli erano come teste di leoni e dalla loro bocca uscivano fuoco, fumo e zolfo. 18Da questo triplice flagello, dal fuoco, dal fumo e dallo zolfo che uscivano dalla loro bocca, fu ucciso un terzo dell’umanità. 19La potenza dei cavalli infatti sta nella loro bocca e nelle loro code, perché le loro code sono simili a serpenti, hanno teste e con esse fanno del male. 20Il resto dell’umanità, che non fu uccisa a causa di questi flagelli, non si convertì dalle opere delle sue mani; non cessò di prestare culto ai demòni e agli idoli d’oro, d’argento, di bronzo, di pietra e di legno, che non possono né vedere, né udire, né camminare; 21e non si convertì dagli omicidi, né dalle stregonerie, né dalla prostituzione, né dalle ruberie.

Approfondimenti

(cf APOCALISSE – introduzione, traduzione e commento di CLAUDIO DOGLIO © EDIZIONI SAN PAOLO, 2012)

**La quinta tromba La conseguenza più grave arrecata al cosmo dalla caduta degli angeli ribelli è la rivolta degli uomini e la loro rovina; questa grande scena simbolica riprende le quattro precedenti e allarga la prospettiva al rapporto del demoniaco con l'umanità. Il quadro è dominato dal simbolo delle cavallette, presentate nella loro azione e nella loro figura: l'ottava piaga d'Egitto consisteva proprio in questo flagello (cfr. Es 10,12-15). L'angelo dell'abisso (9,11) ha un potere di accesso («la chiave») tale da influenzare il cosmo intero; ma questo gli è stato concesso e quindi tutto resta sotto il controllo di Dio. Il contatto del demoniaco con il cosmo e con l'uomo è evocato dal fumo tossico che oscura il sole e danneggia l'aria (cfr. 8.12) e dalle strane cavallette che possono inoculare veleno molto doloroso come gli scorpioni. È chiaro che si tratta di cavallette del tutto particolari: non danneggiano la vegetazione, ma quella parte di umanità che non aderisce con fedeltà a Dio (cfr.7,3); esse non hanno il potere di uccidere, bensì di tormentare e far soffrire. Il veleno della disubbidienza, infatti, viene messo negli uomini e ne deriva un'angoscia esistenziale profonda. Colpiti dal potere demoniaco, gli uomini ritengono la morte migliore della vita e tale angoscia è evocata con formule bibliche (cfr. Ger 8,3; Gb 3,21). Questo tormento, tuttavia, è limitato: l'indicazione temporale («cinque mesi»), infatti, sembra indizio di breve durata (9,5.10). La descrizione accumula molti particolari simbolici, in parte derivati da Gioele (cfr. Gl 1,6; 2,4.5), in parte originali. Caratteristica è l'insistenza sulla somiglianza senza identificazione e la contraddittorietà di alcuni elementi: corone simili all'oro e corazze di ferro vero: volto di uomo, capelli di donna e denti di leone. L'insieme rievoca un esercito di cavalleria pronto per la guerra. I particolari non mirano a delineare una figura fantastica, ma tendono a offrire l'idea di un volgare ibrido, evocando le disarmonie e le contraddizioni che turbano la storia umana. Queste mostruose cavallette sono i segni dell'influsso maligno sugli uomini, che porta all'idolatria. Proprio nell'idolatria Giovanni denuncia un pericoloso stravolgimento dei valori e mette in guardia dall'accettazione di pseudo-valori che provoca distruzione per l'umanità.

Il capo dell'esercito di cavallette è la figura demoniaca, definita con due nomi in lingue diverse. Il primo «Abaddon» ricalca il termine ebraico che viene usato nell'AT come sinonimo di «abisso», «inferi», «sheol» (cfr. Sal 88,12; Gb 26,2; 28.22; 31.12; Pr 15,11). Il secondo nome «Sterminatore» in greco è il participio presente attivo del verbo «sterminare» e allude, con probabilità, in modo polemico, alla divinità greca Apollo. L'angelo dell'abisso è presentato come colui che fa morire l'umanità, senza poter togliere la vita fisica (cfr. Sap 2,24).

Un versetto di cesura e transizione (9,12) chiude la scena della quinta tromba identificata con il primo «guai» e attira l'attenzione sui due ultimi elementi del settenario che sono, come sempre, quelli decisivi.

La sesta tromba Il sesto elemento è decisamente più sviluppato degli altri: non si tratta di semplice continuazione, bensì di ripresa dei temi per raggiungere la conclusione che è fondamentale. Muovendo dalla constatazione dei gravi danni provocati dall'influsso demoniaco, si tratta diffusamente dell'intervento liberatore di Dio fino al vertice del grande terremoto e all'inizio della lode. Questa grande unità si divide in due parti maggiori: la prima (9,13-21) termina con una reazione negativa degli uomini che rifiutano di convertirsi; la seconda (10,1-11,13), dopo aver presentato vari simboli dell'intervento salvifico divino, si conclude con la reazione positiva di coloro che danno gloria a Dio. La sesta tromba è, in qualche modo, parallela al sesto sigillo: entrambi parlano dell'intervento finale definitivo di Dio e hanno in comune il riferimento al grande terremoto. Ma, mentre nel sesto sigillo il terremoto è il primo elemento della scena (6,12), nella sesta tromba il terremoto è l'ultimo (11,13); se nel sesto sigillo l'attenzione era posta sulle conseguenze del sisma (la salvezza), nella sesta tromba si insiste invece su ciò che lo precede. Si tratta, quindi, dell'intervento divino nell'antica alleanza, mediato dagli angeli e culminato con il mistero pasquale del Cristo morto e risorto. Infatti, la sesta tromba è essenzialmente protesa alla settima, annunciata in 10,7 come il compimento del «mistero di Dio»: tale esplicita tensione indica una fase di preparazione.

La cavalleria infernale L'immagine della voce che parte dall'altare (cfr. 8,3) determina la scena seguente e si anticipa, così, l'affermazione che tutto resta sotto il controllo di Dio. Viene ripresa la tematica del demoniaco che rovina il mondo; tuttavia, nel ripetersi di immagini affini c'è uno sviluppo costante. In questo caso, si aggiunge che l'azione demoniaca porta anche alla morte fisica e all'autentica distruzione degli uomini. I quattro angeli si trasformano in un esercito sterminato, una cavalleria infernale lanciata all'attacco dell'umanità: la sua descrizione è conclusa da un intervento interpretativo (9,19) che aiuta a comprenderne il valore, dicendo che il potere di questi simbolici cavalli sta nella bocca e nella coda (cfr. 9,3.10). La bocca è l'organo della parola; ma dalle bocche di queste figure esce un fumo asfissiante, terribile metafora di un discorso che uccide. La coda non è particolarmente significativa, ma qui assume la forma di serpente: così è chiaro il velenoso e assassino simbolo diabolico (cfr. 12,9; 20,2). La cavalleria infernale assume i connotati del flagello della guerra; Giovanni vi vede un segno eloquente dell'orgoglio e della violenza demoniaca che rovinano l'umanità. La reazione degli uomini (9,20-21) di fronte a queste piaghe è simile a quella degli Egiziani secondo il racconto dell'Esodo: ostinazione e rifiuto. Il culto riservato agli idoli è indicato come l'effetto della corruzione portata dai demoni: essi traviano l'umanità e si fanno adorare come divinità. L'idolatria viene evocata con il linguaggio polemico tipico di tanta letteratura biblica (cfr. Sal 115,4-7; 135,15-17; Dn 5.23). Strettamente legata all'idolatria è l'immoralità: il mondo umano è profondamente corrotto; il sistema terrestre pervertito dalle forze del male è chiuso a Dio e diviene quindi fonte e strumento di morte. Nonostante la lezione delle piaghe, l'umanità non riesce da sola a liberarsi e a cambiare modo di pensare. Per porre rimedio a questa situazione corrotta è assolutamente necessario che Dio intervenga!


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Il settimo sigillo 1Quando l’Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio nel cielo per circa mezz’ora.

IL SETTENARIO DELLE TROMBE (8,2-11,19)

Visione introduttiva 2E vidi i sette angeli che stanno davanti a Dio, e a loro furono date sette trombe. 3Poi venne un altro angelo e si fermò presso l’altare, reggendo un incensiere d’oro. Gli furono dati molti profumi, perché li offrisse, insieme alle preghiere di tutti i santi, sull’altare d’oro, posto davanti al trono. 4E dalla mano dell’angelo il fumo degli aromi salì davanti a Dio, insieme alle preghiere dei santi. 5Poi l’angelo prese l’incensiere, lo riempì del fuoco preso dall’altare e lo gettò sulla terra: ne seguirono tuoni, voci, fulmini e scosse di terremoto. 6I sette angeli, che avevano le sette trombe, si accinsero a suonarle.

Le prime quattro trombe 7Il primo suonò la tromba: grandine e fuoco, mescolati a sangue, scrosciarono sulla terra. Un terzo della terra andò bruciato, un terzo degli alberi andò bruciato e ogni erba verde andò bruciata. 8Il secondo angelo suonò la tromba: qualcosa come una grande montagna, tutta infuocata, fu scagliato nel mare. Un terzo del mare divenne sangue, 9un terzo delle creature che vivono nel mare morì e un terzo delle navi andò distrutto. 10Il terzo angelo suonò la tromba: cadde dal cielo una grande stella, ardente come una fiaccola, e colpì un terzo dei fiumi e le sorgenti delle acque. 11La stella si chiama Assenzio; un terzo delle acque si mutò in assenzio e molti uomini morirono a causa di quelle acque, che erano divenute amare. 12Il quarto angelo suonò la tromba: un terzo del sole, un terzo della luna e un terzo degli astri fu colpito e così si oscurò un terzo degli astri; il giorno perse un terzo della sua luce e la notte ugualmente. 13E vidi e udii un’aquila, che volava nell’alto del cielo e che gridava a gran voce: «Guai, guai, guai agli abitanti della terra, al suono degli ultimi squilli di tromba che i tre angeli stanno per suonare!».

Approfondimenti

(cf APOCALISSE – introduzione, traduzione e commento di CLAUDIO DOGLIO © EDIZIONI SAN PAOLO, 2012)

Il settimo sigillo La redenzione cristiana è stata celebrata nel sesto sigillo; il settimo corrisponde al compimento della storia. Rimosso l'ultimo sigillo, il libro misterioso del progetto divino può finalmente essere letto. La scena che segue, tuttavia, è brevissima e caratterizzata dal silenzio che sembra evocare la grande attesa e lo sbigottimento universale davanti alla manifestazione del Signore. In questo modo il settenario dei sigilli non pone fine alla rivelazione, ma dopo una breve pausa di contemplazione dà inizio a una nuova serie, riprendendo da capo la presentazione dell'opera di salvezza realizzata in Gesù Cristo.

IL SETTENARIO DELLE TROMBE Sette angeli, presentati in un contesto liturgico, suonano le loro trombe e a ogni squillo corrisponde una diversa scena simbolica. Seguendo una struttura circolare ascendente, l'Apocalisse ritorna sulle medesime tematiche della storia salvifica e adopera altre immagini per sviluppare la stessa riflessione secondo una diversa prospettiva. Come avviene per i sigilli, anche questo settenario riceve la propria connotazione dalla visione che lo introduce e dal simbolo che lo caratterizza. Nella tradizione biblica il suono della tromba sottolinea i grandi momenti della storia di Israele: chiama al combattimento, fa parte del culto e accompagna le feste e il canto; soprattutto risuona nelle teofanie (cfr. Es 19,16.19), insieme ai tuoni e ai fulmini evoca la voce potente di Dio: nel linguaggio apocalittico, infine, diviene lo strumento che annuncia il giorno del compimento della storia (cfr. Gl 2,1; Sof 1,16). Tipico di questo settenario è, inoltre, lo stretto rapporto tra il cielo e la terra, sottolineato dai movimenti opposti di «cadere» e di «salire». La dinamica delle vicende è caratterizzata da angeli buoni e cattivi: da una parte sono importanti in queste scene le figure di angeli fedeli a Dio, che svolgono simboliche funzioni di mediatori della rivelazione; dall'altra parte si insiste sulla caduta degli angeli ribelli e sulla conseguente rovina del mondo da loro causata. Nel settenario dunque possiamo riconoscere il tema dell'intervento salvifico di Dio nell'antica alleanza.

Visione introduttiva Protagonisti di questa visione iniziale sono gli angeli, presentati in tre scene diverse: i vv. 2 e 6 costituiscono la cornice che offre l'intelaiatura dell'intero settenario, mentre la scena centrale (vv. 3-5), simbolicamente più rilevante, descrive una celebrazione liturgica strettamente affine al rito dell'offerta dell'incenso che avveniva nel tempio di Gerusalemme sull'altare dei profumi, di fronte al Santo dei Santi (cfr. Es 30,1-3). Questa scena sembra indicare il corrispondente celeste del culto giudaico (cfr. Lv 16,12) e sottolineare la mediazione angelica, dove al movimento ascendente verso Dio si contrappone un movimento discendente verso la terra. Si noti che al v. 5 la risposta alla preghiera viene dalle mani dello stesso angelo che ha fatto salire l'incenso presso Dio. L'immagine è quella del fuoco dal cielo (cfr. il riferimento alle braci) che è capace di esprimerei due aspetti dell'intervento divino: giudizio e punizione, ma anche salvezza e dono dello Spirito.

Le prime quattro trombe Nel giudaismo precristiano era diffusa una dottrina teologica che spiegava la corruzione del mondo con la ribellione iniziale di alcuni angeli, la loro caduta e la conseguente azione negativa contro gli uomini; a questa universale situazione di male poteva rimediare solo un intervento potente di Dio (cfr. I Enok). L'apocalittico Giovanni si colloca in questa ottica, ma vi aggiunge il dato fondamentale del rimedio potente operato da Gesù Cristo. Perciò in questo settenario, occupa un ruolo importante il demoniaco: nella prima parte, contrassegnata dal movimento di caduta, sono presentati i danni recati al cosmo. Ognuna delle prime quattro trombe descrive i guasti apportati a una zona cosmica: l'ordine della creazione è stato sconvolto dalla caduta degli angeli, ma con effetti limitati. Inoltre, nel substrato simbolico del settenario, si intravede lo schema delle piaghe d'Egitto secondo il racconto dell'Esodo: Dio interviene per liberare il suo popolo e colpisce gli avversari oppressori, dando loro severe lezioni.

La scena della prima tromba (v. 7) evoca una terribile tempesta che distrugge la terra e la sua vegetazione; ricorda, anche nei particolari, la settima piaga costituita da grandine e fulmini (cfr. Es 9,23-25).

Con la seconda tromba (vv. 8-9), si descrive il danno recato al mare, le cui acque diventano sangue, facendo riferimento alla prima piaga (cfr. Es 7,20-21). La causa è costituita da un'enorme montagna infuocata che è stata gettata nelle acque; l'oscura allusione viene chiarita dalla scena seguente.

Al suono della terza tromba (vv. 10-11) sono i fiumi e le sorgenti la zona cosmica rovinata da un'altra caduta: qui si tratta di una stella, descritta con tratti molto simili a quelli della precedente montagna; di essa però si dice che «cadde», causando la morte di una parte dell'umanità. Secondo il simbolismo giudaico, è probabile che in queste scene Giovanni evochi la caduta degli angeli ribelli. Non c'è riferimento diretto a una piaga d'Egitto; piuttosto si evoca l'episodio delle acque amare, in cui il Signore prometteva di risparmiare al popolo fedele le piaghe inflitte agli Egiziani (cfr. Es 15,23.26).

Alla quarta tromba(v. 12) il danno prodotto agli astri riduce parzialmente la luce sulla terra e ,allo stesso modo, la nona piaga comportava le tenebre per gli Egiziani (cfr. Es 10,21-23).

Un versetto di transizione (8,13) presenta al figura simbolica di un'aquila per attirare l'attenzione sugli ultimi tre elementi del settenario. L'immagine può alludere all'intervento benevolo di Dio a favore del suo popolo nel momento della liberazione dalla schiavitù (cfr. Es 19,4; Dt 32,11). Inoltre, li termine «guai», qui ripetuto tre volte, sembra imitare il verso stesso dell'aquila. L'annuncio dei tre «guai»,cioè della difficile situazione di questo mondo, non è disgiunto dalla fiducia nell'intervento di Dio.


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CONTINUA: Il sesto sigillo I centoquarantaquattromila segnati di Israele 1Dopo questo vidi quattro angeli, che stavano ai quattro angoli della terra e trattenevano i quattro venti, perché non soffiasse vento sulla terra, né sul mare, né su alcuna pianta. 2E vidi salire dall’oriente un altro angelo, con il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli, ai quali era stato concesso di devastare la terra e il mare: 3«Non devastate la terra né il mare né le piante, finché non avremo impresso il sigillo sulla fronte dei servi del nostro Dio». 4E udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele: 5dalla tribù di Giuda, dodicimila segnati con il sigillo; dalla tribù di Ruben, dodicimila; dalla tribù di Gad, dodicimila; 6dalla tribù di Aser, dodicimila; dalla tribù di Nèftali, dodicimila; dalla tribù di Manasse, dodicimila; 7dalla tribù di Simeone, dodicimila; dalla tribù di Levi, dodicimila; dalla tribù di Ìssacar, dodicimila; 8dalla tribù di Zàbulon, dodicimila; dalla tribù di Giuseppe, dodicimila; dalla tribù di Beniamino, dodicimila segnati con il sigillo.

La folla che nessuno poteva contare 9Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani. 10E gridavano a gran voce: «La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono, e all’Agnello». 11E tutti gli angeli stavano attorno al trono e agli anziani e ai quattro esseri viventi, e si inchinarono con la faccia a terra davanti al trono e adorarono Dio dicendo: 12«Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen». 13Uno degli anziani allora si rivolse a me e disse: «Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». 14Gli risposi: «Signore mio, tu lo sai». E lui: «Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello. 15Per questo stanno davanti al trono di Dio e gli prestano servizio giorno e notte nel suo tempio; e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. 16Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, 17perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi».

Approfondimenti

(cf APOCALISSE – introduzione, traduzione e commento di CLAUDIO DOGLIO © EDIZIONI SAN PAOLO, 2012)

I centoquarantaquattromila segnati di Israele Introdotta da una formula di passaggio, la nuova scena è articolata in due parti: la presentazione dell'angelo col sigillo (vv. 1-3) e l'elenco dei «segnati» (vv. 4-8). La scena è presa da un modello anticotestamentario presente nella grandiosa visione di Ezechiele sulla gloria divina che abbandona il tempio di Gerusalemme (cfr. Ez 8-10). Dio annuncia la punizione del popolo di Israele peccatore, ma risparmia gli innocenti: quelli che non sono stati idolatri vengono segnati sulla fronte con un “tau” (Ez 9,4), l'ultima lettera dell'alfabeto ebraico che, nella grafia più antica (caduta in disuso a partire dal V sec. a.C.), aveva la forma di una croce. Chi ha il segno è il resto fedele di Israele; chi non ha il segno sarà distrutto. Ai quattro angeli cosmici se ne aggiunge un altro, descritto con connotazione positiva e messianica (il sorgere del sole), mentre invita a dilazionare l'intervento di giustizia punitiva perché prima bisogna segnare con il sigillo i servi di Dio. Con insistente ritmo da catalogo vengono ripetuti il numero e la provenienza dei segnati. L'elenco delle tribù di Israele segue un ordine peculiare e non riproduce nessun elenco biblico; esso parte da Giuda, perché è la tribù di David e quindi del Messia; omette Dan e inserisce, stranamente, Manasse oltre a Giuseppe, ma non Efraim. L'assenza di Dan si spiega in genere con una leggenda giudaica che ipotizzava la provenienza dell'anticristo da quella tribù; le altre scelte non trovano spiegazioni plausibili. Giovanni, rielaborando la scena di Ezechiele, la utilizza come simbolo dell'intervento di Dio nella storia di Israele caratterizzato da giudizio e da salvezza. Ai particolari tratti dal profeta, viene aggiunto il numero, per distinguere chiaramente questo gruppo dalla moltitudine innumerevole di cui si parla in 7,9. Sembra quindi che si tratti del resto di Israele, cioè dei salvati dell'antico popolo eletto.

La folla che nessuno poteva contare Una formula analoga a 7,1 introduce la terza scena, visione vertice di tutto il settenario. La struttura del brano è tripartita: presentazione e descrizione della folla (vv. 9-10), interludio liturgico-celebrativo (vv. 11-12), intervento ermeneutico e chiarificatore. La folla e gli eletti di Israele sono presentati per contrasto: da una parte, un gruppo numerabile e chiaramente distinto dalla provenienza; dall'altra, una moltitudine incalcolabile radunata dalla totalità cosmica. La descrizione è ricca di particolari simbolici: sono viventi («stanno in piedi») come l'Agnello (cfr. 5,6); sono in relazione personale («davanti») con Dio e l'Agnello; vivono questa relazione in modo definitivo («avvolti»), poiché sono partecipi della risurrezione di Gesù Cristo («vesti bianche»): con lui condividono la vittoria sul male e la pienezza della vita («i rami di palma»). La descrizione dei salvati sfocia in un canto liturgico (vv. 11-12), che riprende la celebrazione iniziale (cfr 5,11-14): in tal modo le due scene risultano strettamente parallele. Nell'acclamazione liturgica si ribadisce che l'opera salvifica «appartiene» all'operazione congiunta di Dio e dell'Agnello: soltanto loro possono salvare. Al grido dei redenti si unisce poi un canto cosmico che attribuisce a Dio sette elementi: tre rappresentano il movimento discendente dell'azione divina (sapienza, potenza e forza) e quattro il movimento ascendente della risposta umana (lode, gloria, ringraziamento e onore). Con un espediente letterario, tipico del genere apocalittico, si chiarisce il significato dei simboli (vv. 13-17). Sottolineata l'incapacità del veggente, la risposta autorevole viene da uno degli anziani che partecipano al potere di Dio. La sua presentazione si sofferma dapprima sulla provenienza dei salvati: sono coloro che traggono origine (nel presente e nel futuro) dalla «grande tribolazione», con la morte redentrice di Gesù Cristo. Ne completa, poi, la descrizione con riferimenti cristologici: la morte di Cristo («sangue») ha permesso e comunicato la risurrezione («vesti bianche») e nel lavacro battesimale si realizza tale partecipazione alla vita eterna del Risorto (cfr. 22,14). L'anziano che funge da interprete prosegue descrivendo le conseguenze della redenzione come una serie di azioni dei salvati, dell'Agnello e di Dio; esse sono tutte caratterizzate dalla novità e i verbi al futuro indicano che tale situazione durerà nei secoli. Il cambiamento riguarda, innanzitutto, il culto: l'incontro è personale e diretto («stanno davanti al trono di Dio»); l'adorazione è ininterrotta perché la comunità stessa diviene «tenda» della presenza di Dio (cfr. 21,3). Poi c'è la vita nuova, giacché Dio ha consolato il suo popolo sconfiggendo la morte (cfr. 21,4) e ha compiuto il vero esodo, realizzando i desideri umani (cfr. 21,6). L'autore descrive la nuova e felice situazione del popolo messianico con due citazioni tratte dal rotolo di Isaia (Is 25,8;49,10). Importante è notare come il ruolo decisivo di Dio-Pastore (cfr. Ez 34,11.15.23) è ora svolto in modo paradossale dall'Agnello: egli è il centro del progetto divino, perché simbolicamente «sta in mezzo al trono». Al vertice è così posta la novità del pastore: guida del popolo è ora Gesù Cristo, unica causa e modello di salvezza.


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IL SETTENARIO DEI SIGILLI

I quattro cavalli

Primo sigillo: un cavallo bianco 1E vidi, quando l’Agnello sciolse il primo dei sette sigilli, e udii il primo dei quattro esseri viventi che diceva come con voce di tuono: «Vieni». 2E vidi: ecco, un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava aveva un arco; gli fu data una corona ed egli uscì vittorioso per vincere ancora.

Secondo sigillo: un cavallo rosso 3Quando l’Agnello aprì il secondo sigillo, udii il secondo essere vivente che diceva: «Vieni». 4Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra e di far sì che si sgozzassero a vicenda, e gli fu consegnata una grande spada.

Terzo sigillo: un cavallo nero 5Quando l’Agnello aprì il terzo sigillo, udii il terzo essere vivente che diceva: «Vieni». E vidi: ecco, un cavallo nero. Colui che lo cavalcava aveva una bilancia in mano. 6E udii come una voce in mezzo ai quattro esseri viventi, che diceva: «Una misura di grano per un denaro, e tre misure d’orzo per un denaro! Olio e vino non siano toccati».

Ouarto sigillo: un cavallo verde 7Quando l’Agnello aprì il quarto sigillo, udii la voce del quarto essere vivente che diceva: «Vieni». 8E vidi: ecco, un cavallo verde. Colui che lo cavalcava si chiamava Morte e gli inferi lo seguivano. Fu dato loro potere sopra un quarto della terra, per sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con le fiere della terra.

Quinto sigillo: le anime degli uccisi sotto l'altare 9Quando l’Agnello aprì il quinto sigillo, vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli avevano reso. 10E gridarono a gran voce: «Fino a quando, Sovrano, tu che sei santo e veritiero, non farai giustizia e non vendicherai il nostro sangue contro gli abitanti della terra?». 11Allora venne data a ciascuno di loro una veste candida e fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse completo il numero dei loro compagni di servizio e dei loro fratelli, che dovevano essere uccisi come loro.

Il sesto sigillo L'intervento escatologico di Dio 12E vidi, quando l’Agnello aprì il sesto sigillo, e vi fu un violento terremoto. Il sole divenne nero come un sacco di crine, la luna diventò tutta simile a sangue, 13le stelle del cielo si abbatterono sopra la terra, come un albero di fichi, sbattuto dalla bufera, lascia cadere i frutti non ancora maturi. 14Il cielo si ritirò come un rotolo che si avvolge, e tutti i monti e le isole furono smossi dal loro posto. 15Allora i re della terra e i grandi, i comandanti, i ricchi e i potenti, e infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti nelle caverne e fra le rupi dei monti; 16e dicevano ai monti e alle rupi: «Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla faccia di Colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello, 17perché è venuto il grande giorno della loro ira, e chi può resistervi?».

Approfondimenti

(cf APOCALISSE – introduzione, traduzione e commento di CLAUDIO DOGLIO © EDIZIONI SAN PAOLO, 2012)

IL SETTENARIO DEI SIGILLI L'Agnello procede ad aprire i sette sigilli, esprimendo il simbolo del Cristo risorto, l'unico capace di rivelare pienamente il progetto salvifico di Dio. All'apertura di ogni sigillo corrisponde una diversa scena simbolica. Lo schema riflette la divisione religiosa del tempo in periodi di sette giorni e diviene, nell'apocalittica, un simbolo teologico per inquadrare tutta la storia. Seguendo il modello del poema che apre il racconto biblico (Gen 1,1-2,4a), dove il sesto è il giorno della creazione dell'uomo, anche nei settenari dell'Apocalisse assume un ruolo importantissimo il sesto elemento; è sempre a questo punto che Giovanni colloca l'intervento decisivo di Dio nella storia, che consiste nel mistero pasquale di Cristo, creazione dell'uomo nuovo, condizione indispensabile per il compimento perfetto evocato nel settimo elemento. La lineare struttura dell'insieme subisce, dunque, un evidente ampliamento nel sesto elemento (6,12-7,17), per chiudersi, poi, con una nota brevissima (8,1).

I quattro cavalli I primi quattro sigilli costituiscono un blocco omogeneo con schema fisso: lo sviluppo è lineare e progressivo, proponendo un medesimo simbolismo di animali e colori. Lo spunto simbolico perla scena dei quattro cavalli colorati deriva dal profeta Zaccaria (cfr. Zc 1,8-11;6,1-6), ma l'autore ha elaborato qui una presentazione originale, apportando tante correzioni da rendere il suo quadro molto diverso dalla fonte. In questa descrizione apocalittica i cavalli evocano le grandi forze che dominano la storia, cioè le dinamiche che più profondamente segnano la vicenda umana. Ognuno di essi è chiamato da uno dei quattro esseri viventi, evidenziando così come tali forze restino sotto la giurisdizione del trono divino; non si tratta, cioè, di eventi casuali e incontrollati.

  1. Il primo cavallo è descritto in modo ambiguo; alcuni tratti lo distinguono dagli altri tre, eppure lo schema descrittivo è pressoché lo stesso. Nella storia dell'esegesi questo simbolo è stato interpretato in modi diametralmente opposti: a )come segno negativo, potrebbe evocare la guerra e la violenza, l'esercito dei Parti o addirittura l'anticristo; b) come segno positivo, è stato inteso quale simbolo della parola di Dio, del Vangelo o di Cristo stesso. I particolari che lo caratterizzano, interpretati nell'ottica di tutta l'Apocalisse, fanno propendere per un valore positivo: il colore bianco è simbolo di vita e risurrezione; l'arco evoca il giudizio divino; la corona è riconoscimento di vittoria e le due indicazioni finali sottolineano la natura di vincitore nel presente e nel futuro. Il confronto con la scena di 19,11-16 induce definitivamente a ritenere il cavallo bianco un simbolo cristologico. Nel quadro delle dinamiche storiche, si può riconoscere nel primo cavallo un'allusione al progetto originale, secondo cui l'umanità è destinata, nonostante tutto, alla vittoria finale e definitiva.
  2. Il secondo cavallo è caratterizzato dal colore rosso, che richiama sangue e fuoco, e il suo cavaliere reca una grande spada con cui elimina la pace e spinge gli uomini alla lotta tra di loro. Costituisce, perciò, un simbolo di guerra e di violenza; tuttavia il suo potere resta sotto il controllo di Dio.
  3. Il colore del terzo cavallo lo connette alle tenebre e alla morte, mentre il suo cavaliere tiene in mano una bilancia, segno di misurazione. Una voce ne precisa il significato dicendo che i cibi sono razionati, i prezzi salgono vertiginosamente, i beni essenziali vanno usati con parsimonia. La scena rappresenta la carestia e la fame, cioè una grave piaga da sempre, per tutta l'umanità.
  4. Il quarto cavallo è connotato da un colore irreale e provocatorio. Può evocare l'erba che appassisce e non dura oppure il colorito livido e verdastro di un cadavere. Il suo cavaliere è definito: la morte in persona, seguita dalla figura simbolica del mondo sotterraneo. In questo quarto cavallo Giovanni ha sintetizzato le disparate potenze di morte (cfr. Ez 14.21) che dominano e affliggono l'umanità. Si ribadisce, però, che il loro potere è sottomesso a Dio: che solo un quarto della terra sia colpito ne dice simbolicamente la limitazione.

Quinto sigillo: le anime degli uccisi sotto l'altare Con il quinto sigillo cambia lo schema e muta il tema; eppure si nota continuità e progressione. Viene presentata un'altra forza determinante nella storia, costituita dalle anime vicine a Dio, cioè persone violentemente uccise per motivi religiosi. La loro azione consiste in un grido potente: la preghiera delle vittime urla il desiderio ardente dell'intervento di Dio come giudice escatologico. Al desiderio dell'intervento escatologico che metta ordine nel mondo dominato dal male, Dio risponde con il dono della veste bianca, simbolo della partecipazione personale alla risurrezione, e con l'invito alla paziente attesa perché il momento decisivo non è ancora giunto, ma sta per arrivare. Proprio tale sfumatura induce a riconoscere in questi versetti una scena simbolica dell'ardente aspettativa del giudaismo precristiano, con l'insegnamento che la preghiera delle vittime costituisce una grande forza nel progresso della storia.

Il sesto sigillo L'intervento salvifico di Dio è presentato in tre quadri giustapposti, tre visioni che si succedono per presentare vari aspetti di un unico mistero.

L'intervento escatologico di Dio Le immagini di sconvolgimenti cosmici appartengono al genere letterario apocalittico ed evocano il cambiamento radicale operato dall'intervento divino nella storia. La catastrofe è, infatti, un capovolgimento che produce una novità assoluta: il libro non minaccia né prevede per il futuro terribili calamità naturali, ma utilizza un linguaggio tradizionale per presentare la decisiva azione di salvezza. Il giorno di YHWH, quello risolutivo e definitivo, annunciato e atteso da tutti i profeti, secondo Giovanni è giunto con l'evento determinante della morte e risurrezione di Cristo. La citazione di Os 10,8 (presente anche in Lc 23,30) avvicina questa scena al contesto della passione di Cristo e conferisce all'insieme un tono drammatico: come in tempo di invasione o di assedio, gli abitanti di una città fuggono sui monti e si nascondono nelle caverne per sfuggire ai nemici. Qui, però, il pericolo è rappresentato da Dio stesso: il suo intervento in Cristo getta nel panico gli avversari, fa crollare il sistema terrestre e mette l'uomo definitivamente allo scoperto ponendolo di fronte al suo peccato, ma anche alla possibilità di salvezza. Perciò tale giorno «grande» è caratterizzato dall'ira di Dio e dell'Agnello. L'espressione, provocatoria nella sua ironia, allude alla forza messianica di distruzione del male attraverso il proprio sacrificio: anche se nella letteratura apocalittica si trova qualche accenno a un agnello combattente, il richiamo simbolico è paradossale proprio per il riferimento al fatto di essere piccolo e debole. Infatti, il mondo terreno costruito come un assoluto è solo una potente struttura di male che viene sconvolta dall'intervento divino: riconoscendo la presenza di Dio nell'Agnello immolato, l'uomo prepotente scopre il proprio fallimento e se ne vergogna, tenta di nascondersi o di scomparire (cfr. Os 10,8; Is 2,10.19.21). A sette sconvolgimenti cosmici, infatti, reagiscono con la fuga altrettanti tipi di persone di cui cinque sono categorie di uomini potenti. Il quadro termina con una domanda («Chi può restare in piedi?»), che ha la forza retorica dell'ammissione: nessuno ha la forza di conservare l'esistenza indipendentemente da Dio. La drammatica questione ha anche una funzione strutturante, introducendo le due scene seguenti in cui si propone la risposta: la possibilità è offerta sia al popolo di Israele sia a tutte le altre genti.


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Il libro 1E vidi, nella mano destra di Colui che sedeva sul trono, un libro scritto sul lato interno e su quello esterno, sigillato con sette sigilli. 2Vidi un angelo forte che proclamava a gran voce: «Chi è degno di aprire il libro e scioglierne i sigilli?». 3Ma nessuno né in cielo, né in terra, né sotto terra, era in grado di aprire il libro e di guardarlo. 4Io piangevo molto, perché non fu trovato nessuno degno di aprire il libro e di guardarlo. 5Uno degli anziani mi disse: «Non piangere; ha vinto il leone della tribù di Giuda, il Germoglio di Davide, e aprirà il libro e i suoi sette sigilli».

Seconda tavola: la redenzione 6Poi vidi, in mezzo al trono, circondato dai quattro esseri viventi e dagli anziani, un Agnello, in piedi, come immolato; aveva sette corna e sette occhi, i quali sono i sette spiriti di Dio mandati su tutta la terra. 7Giunse e prese il libro dalla destra di Colui che sedeva sul trono. 8E quando l’ebbe preso, i quattro esseri viventi e i ventiquattro anziani si prostrarono davanti all’Agnello, avendo ciascuno una cetra e coppe d’oro colme di profumi, che sono le preghiere dei santi, 9e cantavano un canto nuovo: «Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio, con il tuo sangue, uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, 10e hai fatto di loro, per il nostro Dio, un regno e sacerdoti, e regneranno sopra la terra». 11E vidi, e udii voci di molti angeli attorno al trono e agli esseri viventi e agli anziani. Il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia 12e dicevano a gran voce: «L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione». 13Tutte le creature nel cielo e sulla terra, sotto terra e nel mare, e tutti gli esseri che vi si trovavano, udii che dicevano: «A Colui che siede sul trono e all’Agnello lode, onore, gloria e potenza, nei secoli dei secoli». 14E i quattro esseri viventi dicevano: «Amen». E gli anziani si prostrarono in adorazione.

Approfondimenti

(cf APOCALISSE – introduzione, traduzione e commento di CLAUDIO DOGLIO © EDIZIONI SAN PAOLO, 2012)

Il libro Un libro in forma di rotolo, secondo l'uso dell'antichità, crea il collegamento tra le tavole del dittico. Esso è legato al governo del mondo, svolgendo quasi la funzione dello scettro, e ha un valore positivo (sta nella mano destra); è scritto in modo completo e non c'è lo spazio per aggiunte; inoltre vi sono apposti i sigilli che lo qualificano come appartenente a Dio in modo perfetto. L'interpretazione migliore del libro sembra quella di chi vi ha visto il simbolo della Bibbia, che conserva all'immagine un profondo significato simbolico: il libro segreto contiene il piano di Dio, è il suo progetto sulla storia dell'uomo, è la risposta ai grandi “perché” dell'umanità. Nessuno, né angeli, né uomini, né morti, può penetrare il mistero di Dio. Le creature non hanno la capacità di risolvere le gravi questioni dell'esistenza. La reazione di Giovanni riassume lo stato dell'umanità di fronte al mistero: il grande pianto è simbolo dell'angoscia e della sofferenza di ogni persona che non sa spiegarsi il senso della vita. Finalmente uno degli anziani proclama, con un solenne annuncio pasquale, che il Messia ha vinto. Egli ha ottenuto la vittoria ed è l'unico in grado di rivelare il piano di Dio: può, così, colmare il desiderio dell'uomo e calmare il suo pianto angosciato. In che cosa consista questa vittoria non è detto. Con fine abilità l'autore prepara un grande colpo di scena.

Seconda tavola: la redenzione È stato annunciato un leone e compare un agnello è stata evocata la figura di un predatore che vince sbranando e viene, invece, descritta una preda sbranata. Più che all'immagine dell'anello guerriero e vincitore, presente nell'apocalittica giudaica, il riferimento è al simbolo biblico della vittima, in opposizione a ideologie messianiche violente. L'Agnello si trova «in mezzo al trono»: chiaro particolare simbolico, non descrittivo. Al centro di tutto il potere divino, nel cuore dell'azione di Dio, c'è l'Agnello. La sua identità non è svelata, ma la comunità cristiana, già formata a comprendere i riferimenti all'Antico Testamento, riconosce facilmente il simbolo di Gesù Cristo, in forza di una tradizione neotestamentaria (cfr. 1Cor 5.7; 1Pt 1.18-19; Gv 1,29.36; 19,36). Il significato globale della scena non è né quello di una intronizzazione né di un semplice affidamento d'incarico; il quadro teologico è connotato come l'investitura dell'Agnello, in quanto contiene il riconoscimento solenne e cosmico di un ruolo decisivo già svolto. La morte sacrificale del Cristo fonda tale investitura.

La descrizione avviene mediante un simbolismo discontinuo: non si tratta, infatti, di disegnare la figura (sarebbe mostruosa!), ma di comprendere il senso. L'Agnello è il vivente proprio perché è stato ucciso, ha ottenuto il potere universale ed è il datore dello Spirito divino nella sua pienezza. Mentre celebra la domenica, la comunità liturgica contempla al centro della signoria di Dio il Cristo risorto, colui che ha vinto morendo e rivela e comunica a «tutta la terra» la vita di Dio, cioè il suo Spirito.

Nel momento in cui l'Agnello prende il libro, scoppiano l'adorazione e il canto. L'evento della redenzione è il vertice del piano di Dio, perciò la natura e la storia si prostrano davanti al Cristo risorto con i simboli della preghiera e intonano un canto nuovo. Di fronte all'umanità incapace e impotente si presenta il Cristo glorioso, l'unico che può aprire il libro del mistero perché ha accolto perfettamente il piano di Dio, fino a essere ucciso. La sua capacità di unire l'umanità a Dio riguarda tutti senza distinzione, in modo da abilitarli a collaborare per l'instaurazione del Regno con una mediazione tipicamente sacerdotale (cfr. 1.6; 20,6).

Il canto liturgico che celebra al redenzione, partito da coloro che stanno intorno al trono, si espande per tutto l'universo: dopo aver raggiunto le profondità della terra e del mare, il canto ritorna al cielo e si conclude con il solenne «Amen» degli esseri viventi e con l'adorazione degli anziani. La lode sfocia nella contemplazione con cui si chiude la grande sinfonia di apertura: in modoa nalogo terminerà anche il settenario dei sigilli (8,1) che questa visione introduce.


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