cosechehoscritto

[dell'intelligenza artificiale e del progresso della tecnologia]

Ci sono questi libri che ho con me dell'Enciclopedia della Fantascienza, di cui parlo spesso, lo xanadu del mio immaginario fantastico inizio anni ottanta, in cui si profila un mondo in cui il lavoro viene svolto alle macchine o dalle intelligenze artificiali lasciando tempo libero all'umanità di rilassarsi.

In realtà nella mia esperienza in campo lavorativo con macchine & informatica, l'aumento delle capacità di calcolo o di interazioni della macchina non ha mai aumentato di un minuto il mio tempo libero dal lavoro, anzi, in genere l'opposto.

Quello che è successo, finora, è che l'aumento di produttività di uno strumento informatico semplicemente aumentasse il ritmo di produzione: se prima in un'ora terminavo un lavoro, oggi ne termino dieci, magari con meno cura rispetto ad un tempo.

Ma il carico di lavoro mio è sempre restato immutato man mano che l'informatica diventava pervasiva e che occupava ogni spazio che mi circondava. Il sistema capitalista trasformava la possibilità di avere più prodotto in una realtà produttiva.

Quindi oggi capisco chi ha paura dell'intelligenza artificiale, in ambito di generazione immagini o nel campo delle traduzioni. Le difese di 'si creeranno nuovi posti di lavoro per chi saprà capire per primo le potenzialità di questi strumenti' sono vere, ma non consolatorie: i nuovi posti di lavoro saranno radicalmente diversi di quelli che verranno dismessi e – probabilmente – saranno meno e remunerati meno.

Anche questa volta l'Enciclopedia della fantascienza ci resterà male: l'intelligenza artificiale non salverà l'umanità dalla disoccupazione, dalla frenesia lavorativa e dall'abbassamento del punto di non ritorno tra benessere e sostentamento, ma verrà integrata e assorbita in un sistema economico produttivo che cercherà di trarre in massimo beneficio al minor costo possibile, come è sempre stato.

Di contro questo sistema funziona perché funziona. L'informatizzazione in questa sua frenesia nel produrre di più abbassando il più possibile i costi di produzione crea di fatto possibilità che un tempo erano impensabili. Se giochi al suo gioco il capitalismo informatico inizia a trasudare una sorta di democratizzazione di base.

Quando qualche anno fa lavoravo a quintadicopertina, nei primissimi mesi di lavoro in cui io e Elettra allestivamo il tutto, ero a un certo punto rimasto stupito del fatto che in qualche mese di lavoro un team di due persone avesse creato libri interattivi, messo su un sito online, uno store indipendente e avuto anche un discreto riscontro in termini di comunicazione online.

Nel corso dei primi anni lo stesso team di due persone avrebbe integrato i bitcoin, il pagamento via carta del docente, lavorato con la comunicazione video e social. Fare la stessa cosa solo qualche decennio prima avrebbe necessitato di una squadra e di risorse di ben altra portata.

Così oggi non posso non pensare che questo furto che le intelligenze artificiali hanno fatto a danno dei materiali di addestramento ha dato via a uno strumento generativo e creativo che è – potenzialmente – democratico. Posso interagire con linguaggio naturale con un software che restituisce informazioni, testo e immagini che un tempo non mi sarei potuto permettere.

Aumentano, ancora una volta, le possibilità di creare nuovi prodotti a costi, ancora una volta, più bassi rispetto a prima, accessibili a un pubblico molto più vasto.

Non è forse quello che volevamo fare da sempre, quando inserivamo i nostri comandi in BASIC sugli home computer a basso costo che entravano nelle nostre case?

Ma a scapito di chi?

c'è stato un periodo nella mia vita in cui ho lavorato in un ufficio a fare cose del tutto ripetitive, tipo contabilità, con un contratto a tempo indeterminatissimo, e mettevo questa musica per astronauti, si chiamava Blue Mars, tastiere, echi, e in quelle mattine, tutte identiche le une alle altre, sembrava che il tempo non esistesse più, che tutto potesse continuare in eterno

tasto dopo tasto, invio dopo invio infilavo dati nel computer, stampavo lettere, ascoltavo musica astrale e tutto – fuori da quell'ufficio – era alieno. Ero circondato dal nulla, i colori sottili delle nevrosi dei miei colleghi, i manuali grigi di Windows NT Server, i calendari omaggio dei committenti.

Quando uscivo da quell'ufficio il tempo riprendeva a scorrere, dolorosamente, lo strappo era letale. La realtà irreale dell'ufficio anestetizzava: una criogenia dell'intelletto che prendeva tempo, si dilatava nello spazio esterno al pianeta, fino alle porte del cosmo.

Ripensandoci oggi mi facevo le mie dosi di niente, ogni giorno una dose di niente protetto dal muro invalicabile del sistema sanitario, della tredicesima, della pausa caffè e del sortilegio. Una parte di me era succube e allineata, si godeva l'eternità di quelle giornate. Ingoiava il niente, le umiliazioni interne, la prassi.

Una parte no, pianificava fughe astratte. Irreali e irrealizzabili, forse per consolare la prima. Faceva microribellioni omeopatiche. Fingeva di non essere lì, inventava altri sosia di Fabrizio che sovrascrivevano quello lì nell'ufficio, seduto, a inserire dati e sentire musica spaziale.

Basta poco per finire dentro la meccanica del basso benessere. Assuefarsi alla cecità, credere che la ripetizione seriale sia davvero eterna. Che a ogni mattina ne seguirà sempre una ancora identica il giorno dopo. La fede nell'insensibilità.

Stasera ho messo per caso della musica russa cyberpunk e per un attimo ho risentito quell'atmosfera protetta, dolorosa. Il tempo attorno ha smesso di muoversi e ho cercato istintivamente riparo da quello che avevo attorno: la vita, il tempo inesorabile, l'età.

Una malia che mi promette ancora quello che invece divora nel silenzio.

[diario dal tavolinetto di vetro]

Pensavo ieri guardando gli struzzi, le gnu, gli sciacalli che vanno a bere alla pozza e restano lì immobili a guardare la vastità del deserto, abbassano la testa per leccare blocchi salini, si fanno scaldare dal sole, ecco, pensavo che sembravano proprio mob di un videogioco nati per essere uccisi e aumentare skill.

La visione religiosa del mondo creato per l'uomo parte da questa radice predatoria con cui conviviamo e che ci portiamo dentro nella vita di tutti i giorni. I diritti umani non sono un diritto, sono una specie di fragile patto tacito collettivo per mettere sottotraccia questa natura predatoria o almeno organizzarla perché vada a colpire qualcuno di abbastanza diverso o abbastanza lontano. Figuriamoci i diritti animali o ambientali.

Sempre ieri finivo in questo video postato da un profilo dove si vede – ripreso da un drone – un soldato russo in una casa distrutta dai bombardamenti, mentre sta facendo presumibilmente sesso e dal drone viene fatta partire una bomba che lo centra in pieno. I commenti li lascio immaginare. Lo scrivevo qualche giorno fa in un mio scritto in versi:

“cercando in rete video di gente che muore male si trovano — nel digitale tutto non muore mai — “

Ho sempre provato un umano imbarazzo nelle riprese di esseri che muoiono che circolano in rete, animali, bestie, uomini, nemici. Anche qua l'istinto predatorio. Il video della morte di un soldato usato come propaganda bellica e fatto circolare tra i social. L'idea è che il soldato russo, in quanto invasore, perda una parte dei suoi diritti umani.

Mi sono chiesto se gli stessi che condividevano ieri il video avrebbero condiviso con lo stesso umorismo video di italiani ammazzati in Libia o in Somalia. O video di italiani ammazzati in Russia. Cioè, al di là del paradosso: quanta distanza è necessaria perché ci si renda conto di quello che sta succedendo e di quello che si sta facendo.

È facile fare questi ragionamenti a migliaia di chilometri dal deserto del Nabir o dalla linea di guerra dove la gente muore ora. Nel proprio salotto davanti al proprio computer.

Ma è proprio perché c'è questa distanza che è possibile ragionare; come possiamo ragionare sulla nostra storia meglio quando c'è una certa distanza tra quando succede la cosa e quando la andiamo ad analizzare.

Il digitale aumenta questa percezione alterata del reale. Così potente e così disturbante: oggi, alle sei del mattino, guardavo l'alba sorgere nel deserto del Nabir, affascinante, e poi alzavo la testa e mi rendevo conto che avevo le persiane di casa mia ancora chiuse.

Come un insetto davanti alla mia pozza elettrica.

l'idea è che l'umanità scomparirà, così, si autodistruggerà da sola, aumenterà l'inquinamento e gli uni diranno che non si faranno dettare l'agenda dagli altri e gli altri diranno che non si faranno dettare l'agenda dai primi e l'umanità supererà il punto di non ritorno, ha anche un nome tecnico, adesso non me lo ricordo, non sto tanto bene stasera, dormito pochissimo, e comunque l'umanità sparirà

come è poco importante, magari un virus scappato da un laboratorio, magari una centrale atomica riconvertita a rave party in cui uno come me e te ma ubriaco perso preme un pulsante per errore, tipo cade su una ragazza con i tatuaggi vikinghi e iniziano a limonare forte e con un gomito danno un colpo a un pulsante e le caldaie dell'atomica diventano incandescenti e esplode tutto e si innescano una serie di esplosioni a catena e il mondo muore, oppure più semplicemente l'umanità diventa progressivamente abitata più da merde che da persone tolleranti, sempre più merde sempre meno persone tolleranti e alla fine come gli zombie, come gli zombie, oppure altre cose, tipo una modifica ai termini e condizioni d'uso di Facebook che tutti cliccano senza leggere e il mondo esplode

oh, c'era scritto nero su bianco, non voglio dare la colpa a Meta, ma la gente non legge e clicca, non legge e clicca

comunque secondo me il mondo continua lo stesso, moriamo noi umani ma una razza si salva e sono i delfini, non come li conosciamo adesso perché il mare sarà una pozza di acidi e materiale tossico che abbiamo sversato in mare, così i delfini si salveranno ma non volando in cielo come diceva quello scemo, quello americano che tutti lo adorano e io non ho il coraggio di dire che non lo amo perché poi mi ammazzano, ma secondo me fortemente sopravvalutato, comunque, niente delfini che saltano in alto, cristo che idiozia, ma vanno in basso, verso le profondità marine, perché non sono stupidi

e il primo delfino che scende, scende, scende va un basso e poi inizia a sudare, sente la pressione addosso e pensa che sia il lavoro o la famiglia o il fatto che tutti gli altri dipendono da lui che ha scelto di essere il maschio leader oppure il fatto che ne viene da una grossa delusione affettiva e sente questo senso di oppressione e continua a scendere e poi crack, implode

lui pensava fosse l'anima invece era la pressione oceanica, l'opposto di Freud se ci pensate, tutti credevano che le malattie nervose fossero pezzi di carne che non funzionano e Freud dice eh no, guardate che è l'anima, cioè l'io, il super io, l'irrazionale, l'inconscio, tutta roba software non hardware, comunque gli altri delfini quando vedono il delfino alfa che implode si fermano, tornano verso l'alto e dicono eh cazzo, finiamo come quei miliardari che andavano a vedere le navi relitto con mezzi inadeguati, dobbiamo fare qualcosa, dobbiamo imparare dai loro sbagli, dobbiamo farci crescere le ossa

perché i delfini dentro non sono fatti di lische di pesce, ma di ossa e quindi iniziano a lavorare per indurire le loro ossa e il loro esoscheletro in modo da sopportare le pressioni delle profondità oceaniche ed è un lavoro millenario, sto proprio male stasera, come un mal di testa, forse ho dormito poco, alle cinque ero lì sveglio e stanco, stanco e sveglio, mi sono alzato al buio ho bevuto un po' d'acqua, ho aperto il portatile, ho cambiato il pubblico predefinito di un post da “tutti” a “solo io” e un altro da “solo io” a “tutti” ho chiuso il portatile, sono tornato a letto e sono sprofondato lentamente nel materasso, sempre più in basso, finché la pressione del letto materasso memory ha schiacciato i miei organi, gli arti, il corpo e l'anima in seconda battuta

FIGLI CHE NON RIESCONO A STACCARSI DAI LIBRI. COSA DEVONO FARE I GENITORI?

Negli ultimi anni, sono sempre più numerosi i bambini e i ragazzi che si appassionano ai libri e che vengono calamitati dalle pagine, trascorrendo moltissime ore anche consecutive a leggere. I libri si sono enormemente evoluti dal punto di vista narratologico, hanno ambientazioni realistiche ed è oggi possibile leggere e condividere l'esperienza di lettura con amici o sconosciuti anche dall’altra parte del mondo.

I genitori solitamente si preoccupano nel vedere i figli che, libro in mano, trascorrono tantissime ore davanti ai romanzi. Non sanno come comportarsi e sono spaventati dal loro comportamento e a volte, anche dalle reazioni esagerate che hanno davanti ai tentativi di chiudere il libro. Hanno timore possano sviluppare una dipendenza, che possano essere condizionati dalle storie di violenza della maggior parte dei libri di avventura o horror che appassionano i ragazzi e che, alcuni libri, possano alterare l’umore e il comportamento dei ragazzi.

È necessario puntualizzare che, qualora ci fosse un abuso dei libri, è spesso la punta dell’iceberg di una difficoltà più profonda, non è la “causa” del problema. Per questa ragione bisogna comprendere cosa si nasconde dietro tali atteggiamenti, quali sono i bisogni che i figli cercano di compensare leggendo, dallo svago, alla condivisione, alle relazioni, alla ricerca di sensazioni, allo scarico di tensione, fino all’evasione dalla realtà e al bisogno di sperimentarsi e di sentirsi efficaci.

L’uso dei libri NON è nocivo, come troppo spesso si crede, anzi, quello che poco si sa, è che favorisce tutta una serie di abilità cognitive importanti come il problem solving o la risoluzione dei problemi, l’attenzione prolungata, la capacità di concentrazione e la reattività. Un uso adeguato dei libri può fare tranquillamente parte della crescita di un figlio. Se lui riesce a portare a termine tutti i compiti e le attività extrascolastiche in programma, alterna anche con attività concrete e ha delle relazioni amicali, non ci si deve eccessivamente preoccupare del tempo che un figlio trascorre davanti ai libri.

E’ una passione, per altri un piacere, uno scarico e, se non lo fanno con le attività che un genitore crede siano giuste per loro, non significa che sia nocivo per la salute. Anche perché è veramente importante sottolineare che NON si diventa violenti e assassini per colpa di un libro. Può andare ad interferire sulla condotta aggressiva quando c’è un forte abuso, delle condizioni di vulnerabilità e fragilità pregresse, quando il libro diventa compensatorio e aliena completamente dalla realtà, cioè quando ci sono già altri problemi psicologici o siamo davanti ad una psicopatologia.

E’ come le serie in streaming che spesso vengono accusate di essere la causa dei comportamenti violenti dei ragazzi. Se davvero così fosse, ossia, se fosse così lineare la relazione tra libro e comportamento violento, calcolando i milioni di ragazzi che leggono, avremo milioni di criminali in circolazione. Questo per dire che ci sono altre variabili che interferiscono e che vanno a condizionare la condotta.

Il disagio si manifesta quando il libro arriva a sostituire i momenti dedicati alle attività quotidiane, annullando le relazioni e favorendo l’isolamento, quando c’è un condizionamento da un punto di vista emotivo e comportamentale. La realtà romanzesca può così rappresentare, soprattutto nei momenti di fatica e fragilità, una via d’uscita per evadere dalla quotidianità, poiché offre la possibilità di sperimentare emozioni e sensazioni nuove, identificarsi con i personaggi, evitare vissuti di noia, incapacità o inutilità.

È necessario fare attenzione all’emergere di CAMPANELLI D’ALLARME che possono indicare una dipendenza, determinati NON SOLO dalla quantità di ore trascorse davanti al libro, ma da una serie di cambiamenti che sconvolgono la quotidianità dei figli, l’umore e il comportamento. I ragazzi possono diventare apatici, irrequieti e irritabili, modificare le proprie abitudini (alimentari, di igiene personale), non dormire ed essere sempre stanchi, leggere di nascosto, litigare spesso con i genitori e avere esplosioni di rabbia quando non si vuole smettere una lettura coinvolgente, trascurare la scuola, lo sport e le relazioni, presentare sintomi fisici (mal di testa, mal di schiena, disturbi della vista). Per cui, ci sono tantissimi ragazzi che leggono per tante ore anche consecutive e non sviluppano una dipendenza dai libri.

Come devono comportarsi i genitori?

La vera sfida per un genitore non sta nel vietare assolutamente i libri, ma nell’aiutare il figlio a bilanciare le proprie attività di svago e ad essere consapevole del valore del tempo che ha a disposizione.

– Non demonizzare i libri. Molti genitori tendono a mantenere le distanze e a criticare questo tipo di strumenti, senza sapere che i libri hanno anche effetti positivi per l’apprendimento, lo sviluppo di abilità cognitive, di ragionamento, la presa di decisioni e la gestione degli obiettivi. Non tutti i libri sono uguali e non è tanto lo strumento in sé ad essere nocivo, ma un suo utilizzo incondizionato e compulsivo.

– Conoscere e avvicinarsi al loro mondo. Bisogna cercare di cogliere, nel rapporto con la letteratura, il loro punto di vista e avvicinarsi a questo mondo che rappresenta comunque una parte della loro vita. Il genitore deve dialogare con il figlio e condividere con lui i suoi interessi, a volte standogli vicino, proponendo di leggere insieme o parlare semplicemente del libro che sta leggendo, non solo per indagare ma per fargli venire voglia di parlarne, creando un momento di dialogo.

– Dare maggiore presenza. Bisogna evitare di cadere nell’errore di usare, sin da quando sono piccoli, i libri come “babysitter”, visto che i figli stanno lì buoni e lasciarli soli a leggere ore davanti allo libro, senza interessarsi minimamente di quello che stanno facendo. È necessario inoltre NON comprare o permettere l’utilizzo di certi libri ai figli, senza conoscere di cosa i libri trattino e senza fornirgli quegli strumenti che possono fungere da filtro a certi contenuti.

– Concordare insieme il tempo. I figli devono sapere che il tempo per i libri c’è, ma ha un limite. E’ importante stabilire insieme un tempo massimo da trascorrere a leggere, magari utilizzando anche un orologio in modo che si rendano conto del tempo che hanno passato davanti alle pagine del libro e mantengano un filo con la realtà. Si dovrebbe vietare l’uso notturno perché va ad interferire con la qualità e la quantità del sonno e quindi va a ledere le capacità attentive e di concentrazione, intacca l’umore, il ritmo sonno-veglia e grava sul sistema immunitario. Se proprio non ci si dovesse riuscire si può anche pensare di togliere le fonti di luce dalla stanza durante la notte perché a volte fanno finta di andare a dormire e poi si rialzano e continuano a leggere o leggono di nascosto sotto le coperte. Deve essere una delle condizioni che dovete definire in una sorta di “contratto” che andrete a stipulare con loro.

– Proporre delle alternative valide per loro. È necessario suggerire attività di svago e divertimento che i figli potrebbero fare con i loro amici o con voi, tenendo conto della loro età e dei loro interessi. Aiutateli a creare delle occasioni per farli uscire e interagire con i coetanei fuori dal mondo letterario. Loro diranno che parlano con gli amici dei libri che hanno letto e sono in contatto con loro, magari online. E’ vero perché sono sempre relazioni tecno-mediate ma non devono mai sostituire quelle fisiche. Attenzione anche al fatto che attraverso i libri sono comunque collegati ai circoli di lettura, hanno possibilità di scambiarsi romanzi, poesie e di condividere opinioni con gli amici, anche quelli che non conoscono. Spiegategli i rischi legati all’interagire con sconosciuti, a non dare mai informazioni personali, indicazioni specifiche, non inviare nessun tipo di materiale poetico o narrativo personale perché si aggirano anche molte truffe e molti adulti che, attraverso i libri, adescano i ragazzini.

– NON interrompere la lettura bruscamente. Molti genitori disperati arrivano a strappare di mano il libro ai figli pur di interrompere la lettura che il figlio altrimenti non riesce a fermare. Questo però attiva spesso reazioni di rabbia, frustrazione e conflitto che non porta a nulla. Si rischia così di far saltare la fiducia e portare il figlio a leggere di nascosto e trovare espedienti pur di arginare gli ostacoli. Bisogna valutare la situazione con obiettività. E’ vero che avete concordato il limite di tempo, è vero che tanti ragazzi tendono a non avere confini ma è anche vero che c’è situazione e situazione, a volte stanno concludendo un capitolo, magari stanno raggiungendo lo spannung della narrazione e chiudere il libro significa rovinare tutto il climax narrativo dell'episodio. Prima di prendere una decisione così drastica che va a violarli e a ledere il rapporto con voi, chiedete e valutate. Oltretutto ci possono essere dei giorni in cui possono leggere di più, magari sono stati bravi a scuola e possono essere premiati, altri hanno meno cose da fare o hanno creato una situazione con gli amici di condivisione. Dovete essere in grado e si vede dal loro atteggiamento quando la lettura è una compulsione o quando è solo una foga. E’ altrettanto vero che quando hanno un nuovo romanzo è normale che trascorrano più ore attaccati alle pagine del libro perché lo vogliono scoprire, perché c’è la novità, l’adrenalina e la curiosità. In questi casi è anche normale che si “abbuffino” di pagine. Il tempo trascorso a leggere, però, deve diminuire man mano che passano i primi giorni e rientrare nella norma. Se sono in vacanza o nel weekend possono anche leggere un po’ di più, se sono giorni in cui non escono per via del tempo o per via degli amici che non ci sono, anche, ma devono essere tutte condizioni monitorate insieme a voi e concordate volta per volta, in modo tale che capiscano che c’è sempre chi è pronto a mettere un paletto ed un limite perché se aspettate che lo facciano loro in autonomia si farà sicuramente notte.

– Cogliere la presenza di difficoltà e disagi. Il libro è il deterrente perfetto per evitare di pensare ai problemi, è qualcosa che attrae, che distrae facilmente, per cui può essere utilizzato per evadere dalle difficoltà, che si possono avere a scuola, con i compagni, dai conflitti familiari, dalla quotidianità che può essere vissuta con un certo malessere. Bisogna capire se ci sono dei problemi che fanno desiderare al figlio di fuggire nel mondo virtuale e affrontarli insieme, prima che diventi dipendete.

– Il sequestro non è il metodo più efficace per non farli leggere. Sequestrare un romanzo ad un figlio che legge abitualmente, è una punizione emotivamente molto pesante. Si vanno ad intaccare nelle loro abitudini profonde e in ciò che gli permette di scaricare le tensioni emotive, di non pensare, di passare il tempo e di, paradossalmente, socializzare. E’ visto dai figli come una violazione del loro spazio. Con il sequestro e con le minacce non si ottengono buoni risultati, non si recupera il ruolo e l’autorevolezza genitoriale, non si ottiene il rispetto, anzi, l’obbedienza è data solo dalla paura, non dalla comprensione di ciò che è stato fatto. Il dialogo e il tiro alla fine costante, cioè, i compromessi, sono il metodo più efficace per ottenere che il senso delle regole e dei paletti possa essere ascoltato ed accettato. Oltretutto, non si deve mai dimenticare che se anche gli sequestrate un romanzo, basta che vadano a casa di qualche amico e leggano con loro oppure vadano in biblioteca o si mettano a prendere le etichette dei prodotti del supermercato (ingredienti, modalità d'uso) per continuare a leggere.

L'estate arriva e trasforma la materia, il modo con cui la guardiamo. Ogni posto è buono per le larve di insetti, tutta la natura inizia a macerare e divorarsi. La frutta marcisce, mostra crateri gialli di muffe, la carne diventa violacea, bruna.

Piccoli moschini e zanzare tigre si attaccano alla pelle sudata e infilano canule impercettibili all'interno della pelle. Anche i sessi si aprono come frutta matura, i corpi inanimati sul letto per il caldo e le fenditure del corpo che si spaccano. L'odore dei corpi prende spazio, agguanta i vestiti, i lenzuoli. I temporali arrivano inesorabili, rapidi e violenti, come stupratori.

Le formiche silenziose tracciano percorsi chilometrici che percorrono in fila indiana in un pellegrinaggio senza senso verso i lavandini, le dispense. Fragili farfalle volano impazzite dentro ai pacchi del riso. Lasciano una sostanza incorporea sulle pareti di plastica trasparente.

Nei romanzi i colori sono accesi, i personaggi sudano, dicono frasi brevi, raggiungono un loro stato di animalità. Uccidono facilmente, rilasciano endorfina. Le correnti sotterranee di energia appaiono e scompaiono con le loro serpi luminescenti. Tutto è occidente. Del resto qua non c' è traccia.

Diverso invece a Bisanzio, vedremo i coni di luce concentrici. Ma ora è estate, è occidente. Tutto è occidente, la comunicazione è occidente. In ogni abitazione vengono conservati manici di bachelite. La luce elettrica scalda gli ambienti. Non è nemmeno possibile leggere o scrivere: tutto si attacca alla pelle.

[Nuovo incipit da “La fotografia dell'animale” aka “Bisanzio”, work in progress]

[Silvio Berlusconi è morto – notizia in aggiornamento]

fa brutto dirlo ma tutti hanno un coccodrillo nascosto dentro al cuore, in aggiornamento non c'è più nessun pudore, nessuna rima cuore-fica, ei fu siccome immobile, un grande protagonista della politica e della cultura italiana, è morto come è nato nessun gemito registrato, la culovisone, la merdavisione, l'omino con la mano nel retto di Five, di Four, di One, l'apriscatole

dell'intrattenimento privato, i sacchetti neri ad avvolgerlo come si avvolgeva il suo palinsesto trash, ok che è il mio compleanno ma mi sembra eccessivo come regalo, non è un regalo, è un residuo della mia storia, è un meme, è l'imbarazzo è il nuovo che cammina anche se è invecchiato e morto, cammina ancora passo dopo passo, tira la pelle, stira le palle, sorride con gli impianti, una mandibola lacerata dal titanio ha preso tutto quello che poteva prendere, ma il vuoto non era a rendere, rendiamo noi allora grazie, si levò l'orologio placcato piangendo e donandolo, strappò la sua veste in più parti, figlio del suo tempo non distinse le minorenni dalle maggiorate, un pezzo di veste in bocca, una nei ventricoli degli ex-operai

facile con il senno di poi sedersi sul fiume e vederlo tracimare, siamo stati esondati dai nemici, anche quando il mare ritirerà le sue dita, l'acqua il suo respiro, la vallata sarà piena dei cadaveri dei nostri nemici, che si rialzeranno, in aggiornamento, abbiamo progettato un cambio del logo, come cavalieri del lavoro torneranno sui loro scheletrici cavalli con le lancie viagrate e via

dalle alpi ai pirenei non siamo sopravvissuti, questi padri con il fiore in bocca, queste serpi si sono moltiplicate negli oggetti negli schermi negli specchi, bisogna proprio dirvelo, in aggiornamento, dentro ogni telespettatore c'è un horcrux di berlusconi, in aggiornamento, finché non li spezzeremo tutti, in aggiornamento, la morte non esiste, in aggiornamento, in aggiornamento

in aggiornamento

{trittico per berlusconi redivivo}

[I]

un tempo eri così grande silvio berlusconi cosa ti è successo dove è il gusto pieno

della vita ti ho visto sudare sotto la pelle ti ho visto circondato dalla morte e dai foto

grafi con un sorriso che non si chiudeva tutti mostravano gli impianti avvitati nella mandibola

un tempo sul tuo regno non calava mai il sole piatti dove c'eri tu non potevo resistere dovevo

masticare dove è finito tutto l'odio che michele serra che linus che zelig preparava per la tua

venuta dove sono le armate anticomuniste che dovevano abbeverare i loro cavalli nell'aranciata

amara san pellegrino dove è ora benny hill per ché non è qua a metterti una mano sul culo

ridendo a favore della telecamera? tutto, amore, passa tutto il tuo corpo è trapassato tutto è

infinito passivo come un san sebastiano resisti tieni il seme aspettando i consigli degli acquisti

[II]

nel mezzo del cammin del tracking che ti trakko ecco brodi la bestia sublime myazaikeska grossa il cinghiale che apre la testa dai denti t'azzanna e feca fecale il suo sterco animale pastoso il suo sborroso sugo pestoso la bestia fetosa che dentro tiene carne e peste – malattia e furore e la sua carne sopraffina si fa pesta suina e fa carcassa marcia fa odore di morte e crolla la suina zannosa e si sfalda la pelle a testoni si sfondano le coste e ne esce piena di liquami la testa crania di silvio berlusconi che manda un ringhio anche lui nervoso un sorriso suppuroso e secerne dai denti formaldeide e cloruro di sodio: son io – urla la bestia – lo re delle due italie delle tre sicilie degli sfinteri mortali – grida – sono io delle fiche lo dito altero che separa le acque saline per portar le genti oltre il mar rosso delle comuniste denti son io l'impresario col grasso degli insaccati fin dentro la fessa molla delle dipendenti son io il rosso sangue delle mestruazioni di milanello delle molle tette della maggiorata della forza italia necro tizzata – urla e intanto la carne del volto putrella tral cemento armato di faivlandia e si gonfia e sgonfia come una verga che dice e non dice e maledice il suino sfondato e esonda ancora da dietro i succhi interni del padreterno e crita il busto del milanese e morde la carne del maiale che lo compone e si strappa a brani i pezzi di photo shop che lo compone la pelle lobotomizzata s'insacca di grumi e ingoia la sperma lacrimale del suo stesso occhio e si commuove e sbocca via pezzi interni dei figli e delle figlie intere cosce pezzi di labbri rifatti interni scapezzoli strappi di capelli glandi scuri e tristi filetti interrotti bocche sagomate pezzi di mani di voci della carne della sua carne e di quella delle suine impazzite delle moglie e – sono il figlio dell'italia defiscalizzata – crita e dalla bocca – orrore – escono arti dell'italica stirpe – dei ganesh grani del rosario vibratori in madreperla felafel con la coca il cappello sfiatato di masaniello lingue di silvio stesso che si limonano da ere distanti – vedi la lingua del settantenne ke s'arrapa alla se stessa ventenne e saliva su saliva ascende e discende il cero disneyano e s'invulva nel foro della bocca del cinghiale che ormai rota li occhi al cielo da cui cade una broda nera una pioggite ambulacrale che tira via la pelle del maiale ne mostra la necrosi gengivale scava le ossa vuote tutto tira via sotto terra fino ai fori del corpo della forma finale della bestia il coro dolente del silvio presidente lo spazio per i consumatori che – mesti – aggiungono i loro resti a quelli dei gesti vuoti della merdevisione lo scrollo del grande scazzo a benedizione della landa italica che – vedi – soffre geme e preka sotto la crema salata della peste bubbonica ingoiata – generazione dopo generazione – la grande finzione dell'iperminzione che dall'alto – aprite le bocche – crolla come un basamento l'ennesima opera pubica martoriata – pelo su pelo – cinghiale su cinghiale – per fare un grande pennello ci voleva una falce e un martello ci voleva la faccia ci voleva un tema astrale ci voleva stare tutti assieme molto molto male – dice la bestia e poi pape satan et abraxas crita e con lo dito scrolla al dio il green pass

[III]

Io quando berlusconi muore prendo un secchio. Di metallo. Non gioisco non dico niente, prendo il secchio e esco di casa, vado fino a un giardino e riempio il secchio di terra. Poi, lentamente vado fino alla stazione e prendo il treno. Il secchio di metallo pieno di terra pesa, non ho fretta, vado piano. Avvicinandomi alla stazione, lo so, incontrerò altre persone con un secchio di metallo pieno di terra, tutti che vanno verso la stazione, alcuni in auto con più secchi. In stazione vado alla cassa e chiedo un biglietto del treno per Arcore. Se non c’è la stazione chiedo quale è il posto più vicino che posso raggiungere ad Arcore e poi pago il mio biglietto, lo timbro e aspetto il mio treno tenendo sulle ginocchia il mio secchio. Ogni tanto butterò uno sguardo agli altri seduti sulle panchine con il loro secchio, o a quelli in piedi che scambiano due parole tenendo ai loro piedi il secchio. Poi saliamo tutti sul treno per Arcore.

Quando arriviamo ad Arcore entro nella villa. Non sarà immediato, immagino un qualche tipo di resistenza, ma se lui è riuscito ad entrare in parlamento, noi riusciremo ad entrare ad Arcore, immagino. Entro ad Arcore e sarò molto urbano, chiederò dove è il bagno. Uno qualsiasi, immagino che ne avrà molti nella villa. Uno qualsiasi. Io entro nel bagno e rovescio il mio secchio di terra. Poi riprendo il secchio di metallo vuoto ed esco, passerò tra i cumuli che si staranno formando nei corridoi, per la scale, nei saloni della villa, saluterò con un cenno le centinaia di persone che svuotano il loro secchio di terra dentro le stanze, sopra ai mobili e si dirigono poi come me verso l’uscita. Poi esco dalla villa e faccio un po’ di strada e cerco un posto dove si possa vedere bene la villa, magari un posto un po’ rialzato, non so se ci sia. E resterò lì a guardare la gente che entra ininterrotta nella villa e svuota il suo secchio ed esce, fino a vedere tutti gli spazi, ogni minuscolo anfratto d’aria, riempito con la terra. La villa di Arcore che trabocca terra dalle finestre, dalle porte e gente che continua ad arrivare e allora inizia a coprire il tetto, le terrazze, accumula davanti alle uscite, le cancella con la terra.

Non dico che sarà veloce la cosa, magari una settimana, due, magari un mese. Un anno. Non importa. Mi porterò dei panini.

Alla fine di tutta la villa, di tutta l’elettronica che c’era dentro, l’elettricità, le visioni e l’odore resterà una collina di terra. Una piccola collina ad Arcore su cui ancora qualcuno arriverà in ritardo per lasciare il suo secchio di terra e altri – magari una coppietta – si sdraieranno su un plaid per abbracciarsi e guardare il cielo, pieno di nuvole orrende.

[l'arrivo dei robot giapponesi]

Nel frattempo, in contemporanea al Pac-Man ma dalla parte opposta del mondo, erano arrivati degli enormi golem nella mia vita, dei giganti di metallo placcati, dei soldati che camminavano sulla terra portando dietro una nuova mitologia. Io li guardavo come ipnotizzato, li vedevo uscire dal mare, emergere da parchi giochi che si dividevano in due, sfociare da piscine come Veneri nippo. Si ergevano contro il cielo azzurro, mi fissavano e mi dicevano questo portento potrebbe essere tuo, sei tu che potresti muovere questo colosso d'acciaio.

Allora io correvo fuori di casa, scendevo gli scalini di casa mia, saltavo per la strada, l'unica strada che – come un intestino – univa il capoluogo con il paese dove abitavo. Correvo in discesa fino alla Bruna che era – di fatto – il ferramenta di tutto il paese, per chilometri e chilometri.

Non era propriamente un negozio, era piuttosto un antro, e la Bruna era una donna dagli occhi furbi, i capelli neri, capace di dispensare oggetti di ferramenta indispensabili per un ragazzino della mia età, soprattutto i chiodi che erano alla base delle baracche che noi del C.D.A. andavamo a costruire di nascosto in mezzo alle sterpaglie. Per quanto tu abbia pochi soldi, anche duecento lire, ci esce sempre una dignitosa manciata di chiodi. Una manciata di chiodi e una pietra sono sufficienti per costruire una baracca.

La pietra serve per piantare i chiodi. Era il Minecraft del mondo reale, costruivamo spazi che prima non esistevano, modificavamo lo spazio. Entravo dalla Bruna, la salutavo e lei mi chiedeva se volevo dei chiodi e io – quella volta – dicevo di no, le spiegavo che mi serviva dello stucco per vetri. “Ti si è rotto un vetro?” mi chiedeva lei, e io le rispondevo che no, mi serviva per una cosa mia. “Ah” faceva lei, prendeva un pacco, lo apriva e dentro c'era lo stucco, grigiastro/marroncino, umido. La Bruna me lo vendeva a fette, come il gorgonzola. “Quanto ne vuoi?” mi chiedeva e io le rispondevo che me ne serviva un po' perché dovevo farci i robot cattivi.

La meraviglia dello stucco per vetri è scoprire che esiste un composto che costa molto meno del Pongo, è meno rassicurante, puzza, ogni tanto ci trovo dentro come dei capelli un po' sospetti, ma è malleabile quanto il Pongo e che posso averne tanto.

Pagavo il dovuto e tornavo felice a casa con il mio panino di stucco per vetri, andavo nella mia camera, mi sedevo nella mia piccola scrivania, spostavo il binocolo e i libri sulle esplorazioni spaziali, e sfasciavo tutto lo stucco. Restavo davanti al pacchetto aperto e poi ci finilavo dentro le mani, iniziavo a costruire i robot cattivi.

I robot cattivi sono gli antagonisti dei robot veri, quelli di plastica e metallo che mi sono comprato, visti in TV™, come Gundam o Trider G7 o altri robot imitazione giapponese. Quelli cattivi che mi costruivo io non avevano le forme di quelli della TV, erano robot che mi inventavo io, con le braccia, le armi, il coraggio. Tagliavo lo stucco a pezzettini e poi li sfregavo contro il banchetti per fare dei cilindri oblunghi, delle specie di vermi, che poi diventavano le braccia e le gambe dei robot cattivi. Poi con un pezzo più piccolo facevo una sfera, che era la testa, e poi il torso, tozzo.

Quando avevo fatto il mio piccolo esercito di robot cattivi di stucco per vetri, tiravo fuori i robot ™, quelli comprati nei negozi, quelli visti alla tv. Li mettevo vicino a quelli di stucco per vetri e iniziavo la battaglia.

Era, in genere, un massacro.

Le armi a molla dei robot ™ si infilavano nella carne/stucco di quelli cattivi, creavano fori disumani, si staccavano le membra, i relitti si agitavano ancora mutilati e combattevano fino allo stremo la loro inutile battaglia, senza testa, tronconi poggiati per terra che subiscono il sadico attacco degli eroi tv. Niente rimane vivo. I miei robot di stucco per vetri erano votati al martirio e alla morte, il loro unico scopo era far risaltare ancora di più il coraggio omologato dei robottoni nippo.

Alla fine raccoglievo tutti i cadaveri, le carogne aliene rimaste sulla mia scrivania e le impastavo, facevo una grossa palla appiccicaticcia da cui poi iniziavo di nuovo a staccare e creare membra, sta nascendo una nuova legione, altri orrori stanno per attaccare la terra, una nuova armata di guerrieri di stucco per vetri sepolta assieme al suo imperatore sta per invadere il nostro pianeta difeso ancora dai marchi registrati delle tv locali. E continuaVO ancora, nuove battaglie seguono, nuove sconfitte finché mia madre non mi dice che è l'ora, che tra poco alla TV inizia Danguard, inizia Daitarn III, inizia Atlas Ufo Robot, inizia Mazinga. E io scattavo, come una molla, verso questi automi vuoti che mi attendevano nell'ombra del tinello.

Erano arrivati all'improvviso, tutti quelli della mia età avevano iniziato a parlarne. Un cartone animato che era diverso da tutti gli altri cartoni animati per bambini, un cartone animato che fa a pezzi Barbapapà, che distrugge gatto Silvestro, che divora quel coglione di Scooby Doo. È la storia di un ragazzo che guida un robot alto metri, difende il mondo da alieni verdi, ambigui e deformi: è Actarus, è Goldrake, è Trider G7, Starzinger, Mazinga Z, il Grande Mazinga, Daitarn III, Jeeg robot d'acciaio e ancora una truppa di irresistibili ragazzine complessate ma coraggiose Candy Candy, Anna dai capelli rossi, Charlotte, Ransie la strega. Mimì Ayuhara.

Era arrivato tutto un immaginario estraneo, una nuova forma di mitologia, di sofferenza, di speranza. Una nuova iconografia che prende spazio nei miei giochi, che entrava in casa mia in forma di robot, giornalini, mitologie. Una estetica che in quel piccolo paesino di provincia era lontana anni luce, lontana dai campi coltivati, dalla tradizione, dalla mentalità contadina del dopoguerra. Io aveva la tessera “amici di Goldrake”. Io ero amico di Goldrake, lo sognavo mentre camminavo nei campi.

La mia armata di cattivi fatti con lo stucco per vetri era la versione non commerciale di questo mondo, quello che ogni ragazzino creava di suo. Sporcavo me stesso con quello che sognavo, con le mie ansie e le mie fragili gioie senza nome, modificavo e sporcavo quel prodotto di mercato così perfetto e dopo un po' ne creavo uno mio. Un mio universo, una mia confederazione, una mia patria da difendere, i miei eroi. Disegnavo astronavi, robot che combattevano.

Il mio robot si chiama Velocikid. Non so perché, lo ho creato un giorno e poi ho continuato a farlo per mesi, anni, riga dopo riga lo disegno su un foglio e poi metto vicino a lui i cattivi. Poi Velocikid entra in azione e fa partire delle righe dal suo corpo che colpiscono i nemici e io con la penna disegno tutte le esplosioni, tutto il dolore inflitto. Anche Velocikid soffre, perde gambe, arti ma non muore mai, la testa si salva sempre. La testa è un astronave.

Disegnai Velocikid centinaia di volte, durante tutte le elementari e buona parte delle scuola medie, lo disegnavo a casa, di nascosto sotto al banco, lo facevo vedere a Marco piccolo, ai pochi che potevano capire. Ancora adesso che sono qua che trascrivo tutto quello che ho inciso dentro di me, ancora ora posso prendere un foglio e tracciare la sagoma di Velocikid su un foglio, l'ho appena fatto mentre scrivevo. È ancora lì, goffo, sgraziato, sembra uscito dagli schizzi che faccio con determinazione alla fine degli anni settanta, ora, in questo momento che ti sto raccontando.

In questo momento sono sul banchetto in camera mia, ho messo via la mia palla di stucco per vetri e preso il foglio e disegnata la testa di Velocikid, l'antenna che gli spunta tra le due punte che ha in testa, il corpo ellittico, le armi sul petto e quella specie di foro-vagina altezza pube da cui lancia un raggio mortale. Velocikid è la mia versione del Giappone, è una cosa vergognosa che avrei dovuto dimenticare e che invece mi è entrata dentro ed è restata lì nella stanza vuota enorme che ho dentro e che non si riempie mai e non si riempirà mai più a questo punto.

[da PÈCMÉN, Blonk Editore, 2020]

Il problema amico è che io non so chi sono e non sto parlando della mia vita, discorsi tipo esistenziale, il mio futuro eccetera, io proprio non so chi sono nel gioco di Cave Story, il gioco inizia che c’è un uomo dai capelli verdi che sta scrivendo a un terminale e cerca Sue, sta cercando Sue e le racconta che è in questa stanza con solo un terminale e che la sta cercando e può solo scrivere a questo terminale e nessuno gli risponde, Sue non c’è e tu questo tipo lo vedi di spalle, non vedi neppure che faccia ha, leggi solo quello che scrive e subito dopo ci sei tu, cioè io, in questa caverna piena di pipistrelli e strani mostri a forma tondica, e io all’inizio pensavo di essere Sue, cioè che la mia missione fosse di riunirmi a quel tipo che stavo cercando e allora giocavo tranquillo e poi trovavo una pistola spaziale e iniziavo a fare una carneficina e poi cambia tutto, la scena si apre in un villaggio di coniglietti antropomorfi, non sono proprio coniglietti, sono cose tipo coniglietti, roba nippo, e tra due coniglietti c’è una storia pesa perché King, che è il coniglietto capo, vuole una chiave che ha un coniglietto tenero tenero che si chiama Totoko, o tonoro una cosa di questo tipo, roba nippo, e Tonoko o Totono o come si chiama non vuole dargliela questa chiave che permetterebbe a King di andare nella casa dove c’è Sue, perché King non ama Sue, dice che non è come loro, Sue è diversa, e in quel momento io, cioè tu, cadi dal cielo e finisci nel mezzo di questi due che fuggono perché credono che tu sia uno mandato dal ‘dottore’, hanno tutti questa para del ‘dottore’ che ogni tanto viene e se ne prende uno e lo ammazza, e – amico – io ti sto scrivendo tutte queste cose perché Elettra ha lasciato le luci della macchina accese e se ne è andata e quindi sono bloccato con l’auto con la batteria scarica di fronte al D'Oria, non posso fare un cazzo, mio figlio numero due sta sfogliando dei cd, probabilmente li sta distruggendo, tanto sono copie e io non posso fare nulla, non posso neppure collegarmi a internet e vedere se quelli di Devonthink mi hanno risposto, o se qualcuno ha commentato da qualche parte le cose che ho scritto, sono fuori dalla rete globale e sono troppo solo per stare nella rete locale, dove per locale intendo il mio stomaco, il pancreas, sai cosa mi ha detto ieri Gregorio, eh mi ha detto che sta aspettando il turno per l’operazione e io gli ho detto che operazione vetz?, e lui mi ha detto che in pratica gli aprono la pancia e gli tolgono un pezzo di intestino o stomaco non ricordo, una parte del corpo lunga che serve a prendere vitamine e energie dagli zuccheri composti e loro gliela tagliano e in pratica gli collegano la bocca più vicina al culo, in modo che quello che mangia, la roba unta e piena di grassi e di zuccheri del cazzo che Gregorio mangia, questa roba non venga assimilata e finisca veloce nella parte di corpo destinata a creare merda, e io l’ho guardato e gli ho detto ma Grega che cazzo stai facendo e lui ha detto, ma scherzi, dopo potrò mangiare quello che cazzo voglio che non ingrasso, e io gli dico sì ma cazzo il corpo non ti assimila più un cazzo e infatti lui si è fatto serio e ha detto eh lo so devo stare attento perché poi rischio di avere danni anche gravi al fisico e io gli ho detto e ci credo cazzo ti fai tagliare via un pezzo di pancia e lui ha riposto, oh, ma guarda che io mica lo faccio per la linea, e io ho detto eh, e lui mi ha detto, eh io lo faccio per il diabete, e io ho detto ma Grega ne vale la pena e lui ha alzato le spalle e non ha detto niente e io ho pensato vabbé sono un po’ cazzi suoi, però in quel momento mi è sembrato anche un po’ più simpatico credo la sofferenza ci renda tutti un po' più simpatici, più vicini e quindi mi metto a scrivere questa cosa, tu sai che io scrivo tutto, se hai in mano questa cosa ch stai leggendo vuol dire che lo sai, io scrivo tutto e lo scrivo per te, pensando a te ma anche a me, per togliemi tutte le cose che ho in testa e penso che se quando vado in giro non pensassi così tanto a io che divento un grande scrittore eccetera, che scrivo cose incomprensibili come il mio Rekiem e poi tra anni la gente lo ipervaluta e dicono che sono un genio, cose così del tutto irrealizzabili e campate in aria, ecco se non pensassi queste cose mentre porto fuori il cane la sera penso che dovrei pensare ad altre cose tipo a io che scopo, un altro pensiero che mi viene spesso infatti è io che scopo e mi chiedo se anche tutti gli altri maschi quando portano fuori il cane pensano a loro stessi che diventano grandi scrittori o che scopano un numero spropositato di donne senza volto costante nelle maniere più strane tipo stasera pensavo a io che mostro gli appartamenti per venderli e viene questa donna che in realtà guarda un po' l'appartamento e poi si mette a guardare il panorama dalla finestra e si piega e io sono dietro e andrei anche avanti ma in fondo è un mio fottuto sogno erotico fatto mentre porto fuori il cane quindi sono un po' cazzi miei, comunque questi miei sogni sono rotti dal fatto che non riesco a togliere dai sogni erotici delle cose di cui parler più tardi, prima di andare avanti volevo scrivere questa altra cosa che mi rompe i coglioni quando porto fuori il cane, io esco con Tobbia, e mi prendo una mela così – mi dico – mentre porto fuori il cane mi mangio una mela, non credo che ci sia niente di male e usciamo e io tiro due morsi alla mela e Tobbia annusa per terra e si ferma e gira vorticosamente e caga, così io guardo la mela morsicata che tengo in mano, poi guardo la cacca di Tobbia che lascia il suo fumo serale e – ora – io non sono il tipo di persona che abbandona le merde del cane in giro, le prendo mettendo la mia mano dentro i sacchettini verdi per la cacca dei cani e poi con la mano prendo la cacca e con un gesto che ormai potrei insegnarlo di fronte ad ampio uditorio, rivolto il sacchetto e lo chiudo e poi tengo la mano sempre come se fosse una cosa morta lontana dal mio corpo perché i sacchetti verdi sono sempre integri però chissà mai che non ci siano dei microfori della plastichetta verde? eh? chi lo sa? e quindi sulla mia mano ci potrebbero essere dei micron di cacca di tobbia e io magari mi passo una mano tra i capelli e i micron di cacca di tobbia restano tra capello e capello e poi vado a dormire e i micron finiscono sul cuscino e poi tutto può succedere, tutto. Ma prima volevo scriverti questa cosa che mi sono preso tutta la serie di “Zaffiro e Acciaio” in dvd e nella terza missione, “Zaffiro e Acciaio” era una serie inglese degli anni '60 o '70 non ricordo, che io quando ero piccolo avevo visto la prima e la seconda missione ero un bambinetto e ero presissimo da questo serie, una paura del cazzo, ero incollato di fronte al tv in bianco e nero a Sant'Olcese e ora l'ho visto da grande, a colori, in dvd e devo dire che con tre soldi e con effetti speciali da niente, tipo un effetto speciale è una luce fatta con la torcia sul muro, davvero, una luce che si muove sul muro, imbarazzante, ma la serie è stupenda e nella terza missione, nella quale peraltro Zaffiro sul tetto è meravigliosa, sembra un video alternativo di una band anni '00, comunque nella terza serie ci sono questi cuscini che si muovono da soli per soffocare le persone e i cuscini si trasformano in cigni, pensa cosa potrebbero fare con i micron di cacca di cane, ho capito perché scrivo certa roba, non è che sono un surrealista è che da piccolo ho visto “Zaffiro e Acciaio”, peraltro da piccolo leggevo anche Poe, Edgar Allan, e dopo averlo letto disegnavo delle cose tipo – parlo della seconda media – cadaveri smembrati e raggi di luce che superando la conoscenza arrivavano da un essere metà demone e metà angelo, il fatto che superasse la conoscenza era graficamente reso dalla scritta CONOSCENZA e da un raggio che partiva dal cadavere smembrato per salire in alto attraversando la scritta CONOSCENZA e le maestre all'epoca chiamarono i miei genitori per chiedermi se facevo parte di qualche setta, e mia madre disse alla maestra di sì, ma solo io, e in effetti avevo creato un club all'epoca il CDA ovvero Club degli aquilotti, giuro, e uno che viveva a Monza e veniva a Sant'Olcese d'estate, lo scopo del CDA era avere una baracca e una gerarchia e un linguaggio segreto, comunque questo ragazzo di Monza voleva entrare nel CDA e noi non lo volevamo allora lui disse che suo padre lavorava nella Fininvest e che la Fininvest avrebbe fatto da sponsor al CDA facendoci avere dei giubbotti con il simbolo di Canale 5 e questo in effetti dava ampie prospettive al CDA, anche se in cambio noi dovevamo cambiare il nome del CDA in CDA5 per motivi di sponsorizzazione, quello di Monza e altri due ragazzini una volta si erano messi in un prato con una ragazzina sdraiata e le dicevano che da quel giorno loro la avrebbero protetta e poi uno a uno salivano sopra la ragazzina e limonavano, a turno, e io guardavo da lontano perché ero escluso, ero anche più grande di loro e facevo il palo perché nessuno li vedesse e ricordo che quello di Monza cercava di alzarle la gonna ma lei la ritirava giù, solo quello di Monza ci aveva provato, gli altri due limonavano soltanto, non avevano grandi pretese, quello di Monza aveva anche la pelle più scura di noi, è venuto per qualche anno poi non l'ho più visto, i giubbotti di canale cinque non si sono mai visti a sant'olcese, ma di questo non parlo più perché l'ho già scritto in un altro mio romanzo chiamato PÈCMÉN, preferisco parlare di adesso, del mio corpo ora e del tuo, amico, dove mi stai leggendo, per strada, sul letto, su una sedia, dove cazzo sei amico, perché io sono qua, sarà che domani mi sposo ma questa sera ero nel letto di figlio numero due con figlio numero uno sulle gambe che faceva le fusa ed è arrivato di corsa figlio numero due con il suo sguardo da iena killer in allenamento e ci ha guardati e poi ha mandato uno dei suoi urli subumani e si è lanciato contro di noi e io mi sono trovato sommerso da queste due bestioline che un po’ somigliano a me e un po’ somigliano a Elettra, e che ridono e che mi cercano e che sono capaci di stare a piangere per ore urlando il mio nome e mi sono visto in questa dimensione dell’infanzia, in questo mondo parallelo di cui mi rimangono impressioni improvvise che non so neppure da che parte sopravvissuta del cervello mi arrivino, un mondo in cui ogni cosa appariva contemporaneamente semplice e complicatissima, una ragnatela di corridoi e di entrate e di passaggi, e io bambino ero in quella stanza a Sant’Olcese assieme a figlio numero uno bambino e figlio numero due bambino e fuori c’erano mostri che combattevano dentro ai muri, scene di combattimento infinito, finestre che non mostravano mondi ma reticoli luminosi che si intersecavano e parole che arrivavano dall’alto e che non avevano nessun significato particolare, è esistito un mondo in cui una casetta dal nastro rallentato mandava dal registratore suoni di voci del pianeta Nettuno, e io stavo ore ad ascoltarla e figlio numero due non esisteva, non era nulla di nulla come figlio numeri uno, figurati figlia numero tre, eppure erano lì vicino a me e io bambino diventavo un adolescente sudato e poi con cambiamenti di capelli e di unghie e cadute di denti e un circolo continuo di questo sangue che tra cuore, arterie, vene e di nuovo cuore e arterie e vene, non vede mai la luce del sole se non per feritoie improvvise e liberatorie, arrivavo a essere questo Fabrizio che sono adesso, questa roba che ti sta scrivendo, un integrato con gli occhi strani e i denti rotti e i miei figli uscivano fuori da quella meraviglia di Elettra e urlavano ciechi e si attaccavano ai capezzoli bevevano come dei matti e poi si giravano verso di me e mi riabbracciavano di nuovo dopo tanto tempo.

[da “19 merged documents”, work in progress]