cronache dalla scuola

Ieri ero in corridoio che parlavo con una collega, citavo gli hackathon, si parlava di didattica. Parlavo con lei e intanto controllavamo la classe in cui stavamo facendo lezione: un terzo della classe era chiusa dentro, si stava registrando mentre creavano un video in cui commentavano – a gruppi – le mappe dell'ultimo Limes. Un altro terzo della classe era in aula di fisica, espropriata, e stavano discutendo di quello che avevano ascoltato durante la manifestazione di Limes a Genova, e intanto si riprendevano con il cellulare. L'ultimo terzo era nell'aula di cooperative learning che organizzava altri materiali per questo blog che stiamo preparando in cui mettere i nostri lavori di riflessione sulla geopolitica contemporanea

e vedevo i ragazzi uscire e entrare dalle diverse classi, allestire materiali, venire a chiedere delucidazioni e – vabbè – ogni tanto distrarsi e dicevo, vedi, così dovrebbe essere più spesso la scuola, un cantiere per fare qualcosa, come gli hackathon e – niente – viene fuori che nessuno tra i colleghi con cui parlo anche dopo ne avesse mai visto uno di hackathon.

Poi dopo, durante un banale tradizionale compito in classe per prepararsi alla maturità, tipologia b & c, nel silenzio che c'è in classe, sento un collega nella classe a fianco che fa una lezione frontale su Napoleone e ne sento dei pezzi e penso che non è male, ci sono cose che nemmeno io sapevo, e penso – di nuovo – allo spreco di avere in una scuola docenti che in classi a fianco le une alle altre spesso spiegano esattamente le stesse cose, ognuno a suo modo, quando ogni tanto sarebbe così utile a tutti vedersi in una bella aula di storia o di letteratura dove due o tre docenti spiegano a due o tre classi, girano, si ascoltano fra di loro, si criticano e si aiutano.

Alla fine ricordo ai ragazzi il compito per lunedì: ognuno deve registrare venti secondi di suoni ambientali che ricordino l'inferno dantesco, intermezzati dalla loro voce che per pochi secondi legge un verso di Dante. Poi creino una playlist con i due file mp3 e li faremo andare in loop, spargiamo tutti e trenta i cellulari in giro in un ambiente e poi ci giriamo dentro, camminiamo in un ambiente sonoro dantesco e vediamo se ci viene qualche idea. Un gioco. Una trasposizione dal mondo reale a quello virtuale. Una denuncia al Mim. Qualche idea ci verrà in mente.

[cronache dalla scuola]

Io se fossi a capo di un mondo distopico, privo di principi e scrupoli, farei la scuola con due sezioni principali: la sezione “la buona e vecchia scuola come una volta” e la sezione “la scuola che manco i finlandesi”.

Nella prima tutto il meglio del magico quadrilattero del conservatorismo, tra Gramellini, la Mastrocola, Crepet, Galli della Loggia con una spruzzata di Galimberti e compagnia cantante: pedagogia dell'umiliazione, distanziamento sociale e umano tra docente e studente, cattedra messa sul rialzo di legno, scrittura in corsivo, scuola fortemente incentrata sui contenuti disciplinari, lezioni prevalentemente frontali, forte meritocrazia e valutazione solo in cifre per verifiche e interrogazioni misurative. Niente smartphone, uso essenziale del digitale e studio delle radici cristiane, eurocentriche e romane della Nazione. I docenti preparano con cura lo studente per l'esame di maturità.

Nella seconda classi aperte, scuola pomeridiana, niente voti, valutazioni formative e descrittive, lavori di realtà, sviluppo delle competenze, meglio se trasversali, byod, inclusione e valorizzazione del sostegno, rapporto “umano” tra docenti e studenti, aule per lavori prevalentemente collaborativi e dove si può fare casino, forte componente di didattica e conoscenza del digitale. Visione cosmopolita del mondo e studio trasversale costante della contemporaneità. A nessuno, docenti, studenti e genitori, importa un fico secco del voto con cui il ragazzo uscirà dalla maturità.

Poi uno sceglie.

Un'altra riforma della scuola che farei se fossi padrone del mondo è quella della secondaria superiore dove – dopo il biennio – ogni studente può presentare durante l'estate un “piano di studi” dove segnala il peso maggiore o minore che vuole dare alle materie del suo indirizzo, con un effettivo carico/scarico progressivo man mano che si procede verso la fine della secondaria.

Giravo due giorni fa per l'Università di Pavia, vedevo i manifestini dei corsi, laboratori e mi sarei messo lì e avrei ricominciato tutto. Perché, mi sono chiesto, perché l'Università – pur dura – è un posto in cui gli studenti si sbattono in maniera attiva, mentre la secondaria superiore sempre l'inferno della noia.

Non è solo questione di valutazione (che pure c'entra, e molto) ma anche perché all'Università studi cose che ti interessano. Alle secondarie no. Quanti studenti di quinta vedo a pochi mesi dalla maturità essere già con la testa nella facoltà, per dire, di psicologia, morire sotto esami di matematica o disegno tecnico che si caricano sulle spalle con tutto l'odio possibile per scaricare via tutto appena finita la maturità.

È uno spreco. Per il docente che si trova a cercare di spiegare cose a studenti a cui non frega di meno, e allo studente che è costretto a studiare approfonditamente discipline per cui – dopo cinque anni – ha capito non essere portato.

E la risposta non può essere il “reindirizzamento”, perché il reindirizzamento è in realtà un 'allontanamento'. La risposta dovrebbe essere un “ribilanciamento” delle discipline. Uno studente non è proprio portato per matematica ma è bravissimo in italiano? Non lo “reindirizzo”, ma calo il numero di ore di matematica e aumento il numero di ore di italiano (o l'opposto), senza allontanarlo, ma bilanciando il suo “piano di studi” a inizio anno.

Cose che – in altre nazioni – si fanno già da anni e che permettono agli studenti di approfondire le discipline nelle quali – anno dopo anno – si rendono conto di essere più portati. Ma la scuola italiana ha un sistema rigido, dove gli indirizzi sono impermeabili gli uni con gli altri e dove è lo studente che deve adattarsi ad una struttura disciplinare e didattica del tutto irrazionale, basata su “indirizzi” che sono il più delle volte improbabili nella loro struttura, decisi a livello ministeriale da gente che non vede cosa succede all'interno delle aule.

[cronache dalla scuola]

Antefatto: secondogenito mi racconta di questo gioco che fanno in rete di prendere Wikipedia, aprire due pagine a caso, e poi da una pagina devi arrivare alla seconda usando solo i link. “Ah” faccio io e il mio cervellino inizia a girare e fare rumore.

Venerdì ho due ore in quarta informatico, prima ora interrogo di letteratura, interrogazione classica sangue e affanno, seconda ora due gruppi fanno il telegiornale sugli sviluppi in medio oriente e sulla tecnologia, finiscono presto, ho ancora mezz'ora libera.

Sullo schermo touch che abbiamo in classe apro Wikipedia, in una pagina metto Shakespeare, nella seconda Galileo e dico, ok ragazzi, prendete il cellulare. Andate su Wikipedia e cercate Shakespeare.

Loro, un po' sospettosi, lo fanno.

Ok, – spiego – ora al mio via dovete passare da Shakespeare a Galileo, usando solo i link. Mi raccomando: solo usando i link. Ovviamente, non barate, altrimenti si perde il gusto del gioco. I primi tre che ci riescono gli do un più sul registro.

I ragazzi si animano, alcuni conoscono già il gioco, si preparano e poi silenzio in classe per diversi minuti, tutti sul cellulare. A un certo punto, nel silenzio che si è creato, uno dice: “ho vinto”. Mormorii di disappunto. Poco dopo il secondo, e poi il terzo.

Chiedo a tutti e tre le tecniche usate, mi congratulo e poi dico, ok ora potete rilassarvi finché non suona. A quel punto la classe dice no, prof, facciamo un altra sfida! Vogliono continuare a giocare.

Nelle partite successive facciamo da Ellon Musk a Hitler (facile) e da Robespierre a Steve Jobs. Avrebbero continuato, ma è suonata la campanella.

Adesso ho un modulino carino da usare con la byod per i momenti in cui c'è un cambio programmazione improvviso che è meno stupido e inutile di quel che sembri: ci sono competenze trasversali, conoscere i personaggi storici, confrontare timeline diverse, trovare strategie di “movimento” all'interno di un database esteso come quello di Wikipedia.

La settimana prossima se riesco lo propongo anche alle altre classi, declinato alla programmazione fatta con loro.

[cronache dalla scuola]

Terminato ieri il laboratorio di Visual Novel del venerdì pomeriggio. Avremmo dovuto condividere i lavori fatti fino a quel punto ma i ragazzi hanno invece programmato fino alla fine delle due ore e – hanno poi scritto nel questionario di valutazione che gli ho dato alla fine – avrebbero continuato ancora.

Cinque incontri di dieci ore totali dove ho provato a fare alcune cose che in classe si fanno raramente: non dargli tempi, non dare scadenze, non fare lezioni frontali ma solo alcune pillole di game design di pochi minuti, cinque/dieci minuti al massimo, lasciarli scherzare, ridere, cazzeggiare mentre progettavano la loro storia anche se poi non usciva niente di concreto, girare tra di loro non per controllare ma per sapere se avevano bisogno di qualcosa, lasciarli liberi di partire da zero per il loro progetto di videogame, senza vincoli. Nessuna misurazione, ovviamente, nessun voto, solo consigli e suggerimenti per migliorare.

Il risultato è che – alla fine – stavano ancora lavorando al loro videogame, ma in un clima non tossico, creativo e collaborativo.

Siamo partiti in quindici, ieri erano sei. Quattro o cinque di loro mi avevano avvertito di problemi di salute o impegni familiari, ma due o tre è possibile che si siano persi durante le vacanze di natale e di loro soprattutto aspetto il questionario di valutazione per capire se e dove si è rotto l'elastico e come aggiustare meglio il tiro in futuro.

Ora aspetto che arrivino tutti i videogame che hanno fatto per giocarci, ne ho solo visti alcuni, ma sono contento di questa esperienza. Era da tempo che sognavo di fare un laboratorio di programmazione di videogame a scuola, fatto sostanzialmente come l'ho fatto, offrendo ai ragazzi un'idea di scuola alternativa a quella del mattino: lavorare su progetti personali, senza il fiato sul collo, per un compito che alla fine porta ad un risultato reale: un pacchetto da distribuire. Vedere la parte divertente e creativa del loro lavoro di programmatori, magari quella che collima con la loro natura ed estetica più nerd.

Un ringraziamento particolare al tecnico di laboratorio che non mi ha ucciso per l'orario criminale, agli ATA tutti, e soprattutto a Mario Draghi e ai suoi fondi PNRR (ah-ha!).

[cronache dalla scuola]

Oggi i ragazzi di quarta informatico hanno presentato in classe il loro tentativo di rifare la scena di Don Chisciotte che combatte contro i mulini a vento, usando l'intelligenza artificiale.

Alcuni hanno usato l'AI generativa video creando un frammento di pochi secondi, altri si sono spinti fino al montaggio audio-video di qualche minuto, altri hanno sperimentato cambi narrativi più radicali, mettendo Berlusconi al posto di Cervantes come narratore, altri ancora hanno invece usato i motori che usano le immagini e video stock facendo creare il testo del racconto direttamente alla IA.

È stato interessante vedere i diversi modi di approccio, la diversa passione e tempo speso nel lavoro ma anche i limiti delle AI con prompt generici che creavano – talvolta – video usando le stesse immagini stock, o che generavano narrazioni standardizzate con figure retoriche prevedibili.

In mezzo, il lavoro di Alessandro che – quando un mese fa circa avevo dato la consegna del lavoro – mi aveva chiesto se poteva fare il compito senza usare l'AI, perché lui era contro. L'AI, mi aveva spiegato, è stata addestrata sul lavoro di disegnatori e artisti che erano all'oscuro di quello che stava avvenendo. Al posto dell'avventura di Don Chisciotte con l'AI, avrebbe provato a fare una piccola animazione.

Ecco, oggi abbiamo visto la piccola animazione, e alla fine la classe ha fatto un applauso sentito, spontaneo. Al momento della votazione non c'è stata storia, il premio per il miglior video fatto con l'AI è stato vinto da una animazione fatta a mano.

La cosa mi è stata utile per parlare – appunto – del pericolo della standardizzazione dei prodotti di AI, specie quella di basso profilo e dell'importanza che avrà, nei prossimi anni, la creazione di prodotti di qualità che sappiano andare oltre gli standard.

E – niente – anche questa volta gli studenti salgono in cattedra e si insegnano qualcosa da soli, emozionando anche un po' il sottoscritto.

[cronache dalla scuola]

Oggi abbiamo quasi terminato il laboratorio “a stazioni” sulla rivoluzione russa (in realtà, un laboratorio su come lavorare su fonti diverse che parlano dello stesso argomento) di cui avevo parlato qualche giorno fa.

Alla fine somministro ai ragazzi un questionario di autovalutazione e di valutazione dell'attività già svolta. Anonimo. Molti sono i commenti positivi, diversi i distinguo e le segnalazioni di criticità, alcuni giudizi apertamente nagativi.

Un commento, tra i negativi, mi colpisce e penso che sia esemplare per chiarezza, forse inconsapevole, nel descrivere l'aberrazione del sistema scuola che forma studenti addestrati solo per accontentare il sistema scuola. Per privacy parafraso il testo originale:

“Il laboratorio che abbiamo terminato ha fatto crescere le nostre competenze trasversali, essenziali per la vita e per il lavoro, ma meno essenziali per superare l'esame di stato”.

Direi che è una frase che fa da pietra tombale a qualunque sforzo fatto all'interno di una struttura che gli stessi studenti introiettano come fine a se stessa. E che vogliono così.

[cronache dalla scuola]

Oggi ho provato a fare questa attività in quinta, per non spiegare frontalmente la rivoluzione russa e provare una modalità didattica che mi aveva incuriosito mentre leggevo il libro di Arte che racconta l'esperienza del “liceo senza voti” di Roma.

In pratica ho creato cinque stazioni, due nell'aula della quinta e tre nell'aula di cooperative learning che era lì vicino. Le cinque stazioni offrivano contenuti differenziati sulla rivoluzione russa: un video di venti minuti dell'Università della Virginia, un estratto da “I 10 giorni che sconvolsero il mondo”, una pagina del Il materiale e l'immaginario, un capitolo del loro libro di storia con la sintesi fatta online dai loro compagni dell'anno passato e un videogioco in inglese ambientato negli anni della rivoluzione.

I ragazzi sono stati divisi in cinque gruppi. Il gioco era questo: avevano un foglio con ventuno domande sulla rivoluzione russa, di cui ovviamente loro non conoscevano la risposta, e le risposte erano “nascoste” nelle cinque stazioni. Nessuna stazione poteva rispondere a tutte e ventuno le domande.

Oggi abbiamo cominciato, due ore molto impegnative per loro che hanno giocato con attenzione, bloccando il video per analizzare meglio la spiegazione del docente, leggendo ad alta voce il testo di Reed, traducendo il testo del videogioco per trovare le risposte e così via.

La parte che mi è sembrata funzionare è la dinamica: si lavora sulle relazioni di gruppo, sulla gestione del tempo, sulla capacità di trovare informazioni e di confrontarle fra loro, in maniera tutto sommato rilassata (anche se impegnativa) e con momenti di riposo quando un gruppo doveva aspettare che si sbloccasse una stazione.

Quello che avevo progettato meno bene è la parte dei tempi: dopo due ore siamo a poco più di metà del “gioco”. Lo riprenderemo domani e forse anche venerdì. Non è un grosso problema, ma ovviamente in quattro ore, con una normale lezione frontale, avremmo affrontato molti più argomenti. Ma questo è un problema mio, non del modulo che mi pare molto interessante.

Personalmente questo è il tipo di scuola che mi piace e che vorrei fare diventare uno standard in tutto quello che faccio, liberandomi progressivamente dei tanti moduli che ho pronti, ma che presuppongono un ruolo centrale del docente e un atteggiamento di ascolto passivo degli studenti.

(Poi, le ultime due ore di lezione, mi sono seduto tra i banchi a vedere gli studenti che provavano l'Otello di Shakespeare, ma questa è un'altra storia)

Con i ragazzi al cinema a vedere il ragazzo dai pantaloni rosa, classi di seconda e terza, sala piena, appena si spengono le luci e partono i primi fotogrammi inizia il casino: sfottò, sento qua e là la parola “frocio”, allora mi alzo, mi giro verso l'intera sala e – illuminato dai raggi del proiettore – faccio un cazziatone che quando mi risiedo per un po' non si sente una mosca volare e io penso, pure il maschio alfa mi hanno costretto a fare, pure il maschio alfa.

Il film onestamente temevo potesse essere una di quelle cose inguardabili didascaliche italiane invece, non è un capolavoro, ci sono alcuni attori che proprio non mi piacciono, ma è dignitoso in diverse delle sue parti. Visto lo scopo per cui è stato scritto, efficace. Ci sono anche alcune scene interessanti come anche l'uso della messa a fuoco.

Durante la visione i ragazzi poi hanno seguito, un po' di casino ogni tanto, ma il grosso ha seguito. Hanno anche partecipato, due momenti chiave: quando il ragazzino bacia la ragazzina, tutta la sala scoppia in un applauso. Quando invece, precedentemente, il ragazzo aveva baciato sul petto un altro ragazzo la sala era scoppiata in un mormorio di chiaro disagio.

Alla fine si accendono le luci, c'è pure qualcuno che ha pianto, anche tra i docenti e noi docenti proviamo ad accendere un po' di discussione, ci siamo presi mezz'ora la sala per discutere un po' e – devo dire – ci sono una cinque o sei ragazzi che si mettono in gioco, io e altri docenti lanciamo un po' di domande, e loro rispondono sul pezzo, dicono cose personali, non hanno vergogna.

C'è chi ha subito bullismo e ha vissuto in prima persona la separazione dei genitori, come il protagonista, e lo racconta; c'è chi è apertamente omofobo e non solo non è omosessuale – ma è contro. E si vede come lì in mezzo ci siano i futuri omofobi anche tossici dell'età adulta. C'è un grosso lavoro da fare. Costante.

Quando andavo verso il cinema mi ero preparato un discorso, che poi non ho fatto perché non è servito, di come io alle medie, a Manesseno, in una scuola un po' borderline, sentissi spesso espressioni come “oh, ma sei frocio?”, usate per indicare qualsiasi cosa. Essere frocio era una sorta di handicap, generale, ma che andava a danneggiare un gruppo che – nella mia vita scolastica – è sempre stato invisibile. Per tutte le medie e le superiori non ho mai conosciuto un compagno che si dichiarasse pubblicamente o privatamente omosessuale. Anni ottanta e esseri fantastici, ma usati frequentemente nelle schermaglie di classe.

Quando poi avevo avuto dei figli, con l'arrivo del digitale, avevo visto nascere sensibilità lgbt molto più consapevoli, identità di genere, rispetto, tanto che avevo ingenuamente pensato che parole come “frocio” fossero ormai da boomer, da sfigati. Invece negli ultimi anni le ho viste riemergere in classe, nei momenti informali, intervallo, fuori da scuola.

In auto, mentre vado al cinema, chiedo aiuto anche a terzogenita, le racconto la trama del film e le chiedo se nella sua classe ci sono ragazzi omofobi. Lei ci pensa, mi dice che alle elementari no, alle medie sì. “E come te ne sei accorta?” le chiedo. Lei dice tipo con i meme. “Ce ne è uno che è chiedere “english or spanish?” e poi devi dire “chi si muove è gay!”, e quando me lo hanno fatto io ho fermato il gioco e ho detto, beh, scusate, ma se anche fosse? che c'è di male a essere gay?“. Terzogenita ha una bella testolina.

Al cinema poi, davanti ai duecento studenti racconto l'aneddoto di mia figlia e loro ridono, conoscono tutti il meme però dicono che quello non è essere omofobi. È uno scherzo. È assorbito socialmente tanto che non si rendono nemmeno conto del significato. “Però – dico io – non sono d'accordo”. Rido. Penso che a dire 'chi si muove è gay', o 'ma sei frocio?' si faccia comunque una violenza e si normalizzi un certo modo di vedere il mondo. Lo si giustifichi. Il solito “ma fattela una risata!” che imperversa su Facebook tra gente che ha frainteso cosa sia il senso dell'umorismo. Anche qua, ci sarà molto lavoro da fare.

Alla fine di tutto comunque, esco, e la differenza vera non l'abbiamo fatta noi docenti, ma quei cinque o sei ragazzi che si sono messi in gioco, anche quelli che hanno dichiarato la loro omofobia. La scuola riesce a dire qualcosa di sensato quando riesce ad ascoltare i ragazzi che si raccontano e riesce ad accordare il suo linguaggio con il loro.

Credo.

[cronache dalla scuola]

Attività in quarta, due ore per rifare gli Stati Generali. Un gioco di ruolo, la classe divisa in tre parti, clero, nobiltà, terzo stato, più il re e i suoi funzionari. Attività che avevo già fatto in passato con due altre classi.

Due ore di divertimento, in alcuni momenti avevo le lacrime agli occhi. Il re che aveva ricevuto via mail nei giorni precedenti i cahier de doleances di tutti i suoi compagni, si è preparato un discorso scritto di sette pagine.

Fa uscire i nobili dalla sala e poi fa un discorso a clero e terzo stato e propone loro un sistema per fare giustizia in Francia, senza però perdere il potere. Piccole riforme sociali, sgravi fiscali da una parte, ma poi altre incombenze dall'altra. Offre soldi a tutti (si è portato da casa delle monete di cioccolata) poi li fa uscire e fa entrare i nobili.

Ai nobili spiega che al terzo stato e al clero ha proposto un piano farlocco che dà pochissimi benefici e non toglie nessun privilegio reale alla nobilità. Solo, nella discussione che seguirà, dovranno stare zitti e supportarlo. Ai nobili dà il doppio di monete al cioccolato che aveva dato agli altri.

Poi fa rientrare tutti e inizia il dibattito, dove tutti interpretano il loro personaggio: un commerciante che tratta male il re viene sbattuto fuori dalla classe, i ragazzi si sfottono a seconda della classe sociale a cui appartengono. Fanno domande, contestano. Alla fine si vota: il terzo stato e il clero vengono fregati dal re che vede approvato il suo piano fiscale. Niente rivoluzione. Il tutto in clima di attenzione, libertà e interazione impensabile in una lezione tradizionale.

Fine gioco, il re rivela di aver fregato terzo stato e clero. Poi tutti autovalutano l'attività, loro stessi e i loro compagni con un modulo che andiamo a vedere subito e commentare.

Io, in tutto questo, non ho fatto letteralmente niente se non ascoltare e segnarmi i nomi di chi ha fatto gli interventi migliori.

La differenza – quando possono – la fanno gli studenti.

Venerdì il gruppo Medio Oriente del laboratorio Right Here Right Now fa il suo servizio in classe, aprono i titoli di testa con le notizie della Siria, i due studenti-anchorman lasciano la parola agli studenti-inviati, danno informazioni magari un po' essenziali, ma con alcune cose ben pensate. Ad esempio ad un certo punto uno degli anchorman fa domande all'inviato che risponde, così che le notizie arrivano ai compagni in maniera più dinamica. Usano immagini, video, hanno un linguaggio soprattutto più giornalistico ed efficace.

Ma la cosa che mi ha colpito è quando uno degli studenti, descrivendo l'andamento della guerra, dice che i ribelli si stanno spostando verso Damasco e che è possibile che nei prossimi giorni la conquistino.

Io lascio finire il telegiornale e poi do il mio feedback e tra le altre cose dico che – tutto bene – ma alcune notizie erano “vecchie”, tipo Damasco è già stata presa e Assad è fuggito.

Lo studente in questione dice “ah”, però subito spiega, “eh prof, ma io la lezione l'avevo preparata due giorni fa”. Due giorni fa – in effetti – Damasco non era stata ancora presa.

La cosa, dicevo, mi ha colpito per due motivi. Il primo l'ho detto a loro, ecco, vedete, nella sigla diciamo che “il mondo sta cambiando molto in fretta”, ed è vero. Sono bastati due giorni per rendere “vecchia” la tua ricerca. Il mondo ci cambia attorno e dobbiamo tenergli il passo.

La seconda cosa che mi ha colpito è stata questa farsa della scuola: le ricerche non sono quasi mai vere ricerche, sono simulazioni di ricerca. Le cose che gli studenti fanno servono quasi sempre solo per il voto, non perché davvero servano.

Così di fronte a una attività che deve dare informazioni reali e in tempo reale, in cui quello che fanno serve per informarsi e informare i compagni, prevale comunque il meccanismo della farsa. Perché comunque anche quello è un compito infilato in mezzo a decine di altri compiti che gravano sugli studenti in maniera un po' schizofrenica, talvolta solo per l'ansia della valutazione.

Così nel mondo reale Damasco è caduta e Assad è in fuga, ma nel mondo scuola la città è ancora sotto un governo dispotico e la libertà un miraggio da raggiungere.