D͏i͏-s͏p͏e͏n͏s͏a͏

Divino

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I vitigni fondamentali

Vitigno è la varietà di vite coltivata: questa definizione individua la stirpe delle uve, la loro più o meno lontana provenienza.

Esistono vitigni comuni e vitigni nobili, capaci di trasmettere al vino le caratteristiche originarie per un periodo di tempo che facilmente varca i secoli.

Trapiantati da una terra all’altra, i vitigni possono mutare le loro caratteristiche, anche se non di molto in quanto portano sempre appresso i caratteri fondamentali della loro origine. Ci sembra opportuno dare al lettore una panoramica dei principali vitigni esistenti, conoscenza utile per la successiva individuazione dei vini. Ricordiamo che la composizione del grappolo varia, col variare del vitigno, in lunghezza e peso, così come variano i graspi, la buccia e i vinaccioli. Variano, naturalmente, anche le sostanze contenute nelle varie parti e la loro funzione al momento della vinificazione.

Aglianico

Antichissimo vitigno diffuso in Campania e in Basilicata, chiamato anche Gesualdo, Ellenico, Uva nera. Presenta un grappolo di compattezza media e acino regolare di colore blu. Dall’Aglianico deriva il vino omonimo, un rosso tipico dell’Italia meridionale. Con termine vezzeggiativo, specie nei Campi Flegrei, questo vino è detto anche Aglianichello

Albana

Tipico della fascia romagnola, in provincia di Ravenna, Forlì e Bologna (in parte). Presenta un grappolo di colore dorato e di forma allungata.

Aleatico

Diffuso in varie regioni, specie in Puglia, è originario della Toscana. Presenta un grappolo medio come formato, acino rotondo di colore blu scuro; sapore caratteristico di moscato dolce. Vitigno molto resistente alle avversità atmosferiche, di produzione costante. Dà origine ad alcuni fra i migliori vini liquorosi italiani, tra i quali l’Aleatico dell’Elba (Portoferraio) e l’Aleatico di Gradoli (Viterbo).

Ansonica

Presenta un grappolo dal colore dorato, con formato piuttosto grosso. Sicuramente di origine preromana, di probabile provenienza siciliana, con parecchi sinonimi, come Inzolia, Zolia bianca, Ansolica, dà origine ai vini bianchi prodotti in Toscana, nel Grossetano.

Barbera

Uno fra i vitigni più noti in Italia, molto diffuso in Piemonte. Presenta generalmente un grappolo piramidale di colore blu intenso, con buccia pruinosa, dalle sfumature grigie. Le principali suddivisioni dell’uva Barbera sono: Barbera grossa, Barbera fine, Barbera dolce. Ne esce un vino da pasto superiore dal colore rosso scuro e dall’accentuato odore vinoso, con sapore asciutto e austero.

Bianco d’Alessano

Tipico delle Murge pugliesi, produce un’uva di colore giallo tendente al verdognolo. Entra nella composizione di vari vini, tra cui il pregiato Castel del Monte bianco.

Biancolella

Detto anche Jancolella, è caratteristico dei terreni vulcanici dell’isola d’Ischia. ln Corsica viene chiamato Petit Blanche. Il grappolo è allungato, gli acini tendono al verdognolo, La produzione non è molto abbondante, ma il vino è considerato uno dei migliori da pesce da antipasto. È vinificato a sé oppure entra nella composizione dell’Ischia bianco.

Bombino bianco

Molto diffuso nelle Puglie, assomiglia in parte al Trebbiano. Dalle sue uve si ricavano vini adatti per la produzione del vermut. Presenta un grappolo piuttosto grande, di colore dorato, tendente al giallastro. È detto anche Calpolese e Trebbiano di Teramo.

Bombino nero

Di antichissima origine, ha grappolo grosso e piuttosto compatto, acino a sfera di colore blu. Il Bombino entra nell’uvaggio di alcuni vini rossi pugliesi.

Bonarda piemontese

Già noto nel Settecento sui colli torinesi, ha grappolo piuttosto grande, acino medio rotondo con buccia nero-violacea. L’uva è detta anche Balsamina, Bonarda di Chieri e Bonarda di Gattinara. In alcuni luoghi dell’Oltrepò (specie a Casteggio) la Bonarda vinificata da sola offre ottimi risultati.

Brachetto

Detto anche Bracchetto, è tipico delle province di Alessandria e Asti. Presenta un grappolo non molto grande, con acino medio, di sapore succoso, aromatico e colore violaceo scuro. I l più noto dei vini che ne derivano è il Brachetto d’Acqui, da dessert, in versione naturale e spumante. Ha un colore rosso rubino tendente al rosato.

Brunello di Montalcino

Di origine toscana, è coltivato a Montalcino (Siena), ha grappolo di grandezza media, di forma cilindrica, compatto. L’acino regolare e rotondo è rivestito da una buccia di colore nero violaceo, piuttosto consistente e pruinosa. La produzione non è abbondante, ma costante. Il Brunello di Montalcino entra nella cerchia dei più prestigiosi vini italiani: è detto anche Sangiovese grosso.

Cabernet Franc

Importato dalla Francia nel secolo scorso dal conte Manfredo di Sambuy, viene chiamato non solo «franc» (francese) ma anche Gros Cabernet, Grosse Vidure e Cabonet. Presenta un grappolo a piramide, alato, e acino di colore blu-nero, a polpa dolce e carnosa. È ambientato molto bene in alcune zone del Friuli e del Trentino-Alto Adige, ma lo ritroviamo anche nel Veneto. Spesso le uve vengono mescolate con il Cabernet Sauvignon.

Cabernet Sauvignon

Imparentato strettamente con il Franc, si distingue per l’acino più piccolo e per una minore produttività. La buccia dell’acino è molto pruinosa, la polpa carnosa e il sapore leggermente erbaceo. È originario del Médoc, vicino a Bordeaux; sono pochi i produttori italiani che vinificano il Cabernet Sauvignon separatamente. I vitigni Cabernet hanno dato origine ai migliori vini rossi americani, quelli delle coste settentrionali della California.

Canaiolo nero

Concorre in buona misura (dal 10 anche fino al 30 per cento) alla composizione dell’uvaggio da cui si ricava il Chianti, insieme al Sangiovese, al Trebbiano e alla Malvasia del Chianti, più altre uve minori. Il grappolo è di formato medio, la foglia piuttosto piccola. L’acino è regolare con colore violaceo, polpa carnosa. La produzione è abbondante.

Cannonau

Tipico della Sardegna, la sua uva è detta anche Canonau o Cannonadu, Se ne ricava un vino rosso, anche da dessert, di gradazione alcolica elevata, di colore carico e profumo caratteristico. Il grappolo è turgido e serrato, il colore dell’acino nero-violaceo, la polpa sciolta senza sapore particolare. Quasi simile al Cannonau (l’uva è la stessa) è l’Anghelo Rujo; inoltre l’uva Cannonau concorre alla produzione di altri vini di Sardegna, come l’Oliena e l’Ogliastra.

Catarratto bianco comune

Tipico della Sicilia, diffuso anche in altre regioni al Sud, è pure detto Catarratto bianco latino, C. Bertolaro, C. Carteddaro. Il grappolo ha forma classica, armoniosa, piuttosto conica. Il colore della buccia è giallo dorato, la polpa piuttosto succosa. Il Catarratto entra per il 40 per cento nella produzione del vino Etna bianco e per 1'80 per cento nell’Alcamo o Bianco d’Alcamo.

Cesanese comune

È il nome di due vitigni per uve nere diffusi in alcune zone del Lazio, da cui derivano i vini Cesanese d’Affile, Cesanese di Olevano Romano e Cesanese del Piglio. L’uva è detta anche Sanguinella o Nero Ferrigno. Il grappolo è cilindrico-conico, l’acino tende all’ovale con colore azzurrino scuro. I vini che se ne ricavano sono fini da pasto; se invecchiati di almeno un anno accompagnano egregiamente gli arrosti.

Ciliegiolo

Detto anche Ciliegino, fa parte dei vitigni minori della Toscana. Il grappolo è grosso, con forma cilindrica allungata. L’acino ben arrotondato ha colore violaceo e polpa piuttosto succosa. Il Ciliegiolo entra, ma non sempre, tra i vitigni raccomandati per la produzione del Chianti, fino ad un massimo del 5 per cento, ma gli è preferito il Colorino. Viene impiegato anche per il Rosso delle Colline Lucchesi.

Colorino

Tipico della Toscana, ha il grappolo a una o due ali, acino piccolo color violaceo e polpa succosa. Il Colorino è il vitigno complementare maggiormente raccomandato per la produzione del Chianti (entra per un massimo del 5 per cento). L’uva Colorino viene messa ad appassire su graticci di canne e unita in un secondo tempo al vino già fermentato, dopo essere stata a sua volta fatta fermentare a parte.

Cortese

Questo vitigno è tipico dell’Alto Monferrato (Alessandria), nonché di alcune zone delle province di Asti, Cuneo e dell’Oltrepò Pavese. Il grappolo, di magnifico aspetto, ha l’acino di colore giallo dorato. La buccia è di media consistenza, il sapore della polpa piuttosto neutro. Dall’uva di questo vitigno derivano il Cortese di Gavi e il Cortese dell’Oltrepò. Un tipo simile è il Bianco di Castel Tagliolo.

Corvina veronese

Quest’uva nera è molto diffusa nelle plaghe viticole del Veronese. Ha grappolo di media grandezza, piuttosto compatto, acino blu-violetto, polpa sciolta di sapore dolce. Il vitigno della Corvina veronese concorre in gran parte all’uvaggio per la produzione del Bardolino (fino al 65 per cento). Lo stesso dicasi per il Valpolicella e il Recioto della Valpolicella.

Croatina

Vitigno caratteristico dell’Oltrepò Pavese, dove prende anche il nome di Bonarda, Crosta o Crovattina. Presenta un grappolo di formato notevole, conico, con le ali. La polpa è succosa con sapore non troppo accentuato. L’uva matura ai primi di ottobre ed offre produzione di solito abbondante. La Croatina entra nell’uvaggio del Rosso dell’Oltrepò Pavese.

Dolcetto

L’origine del suo nome non ha probabilmente nulla a che fare con il dolce, ma deriverebbe da dosset, che significa dosso collinare. Si caratterizza per il suo grappolo di formato medio, piuttosto allungato, non molto compatto. L’acino ha un colore nero bluastro, con buccia sottile e polpa succosa. Dalle sue uve vengono i vari Dolcetto: d’Acqui, di Ovada, d’Alba, di Diano d’Alba, delle Langhe Monregalesi, d’Asti, di Dogliani.

Erbaluce

Coltivato in Piemonte, in provincia di Torino e di Vercelli, nella zona dove si produce il vino Erbaluce di Caluso. Il grappolo, di colore giallo ambrato carico, è di media grandezza, allungato, non troppo compatto. La buccia è sottile, mentre il sapore della polpa è piuttosto neutro.

Forastera

Questo vitigno è stato introdotto con successo nell’isola d’Ischia verso la metà del secolo scorso. Il grappolo è di grandezza media, cilindrico o piramidale, qualche volta alato. La buccia dell’acino presenta colore paglierino con riflessi verdognoli. L’uva Forastera concorre in misura del 65 per cento alla composizione dell’Ischia bianco; la percentuale scende al 50 per cento nell’Ischia bianco superiore.

Freisa

Questo vitigno è diffuso in alcune zone del Piemonte, tra Torino, Asti e Casale Monferrato, chiamato anche Spannina, Monferrina, Freisa di Chieri. II grappolo è di grandezza media, quasi cilindrico, poco alato. L’acino è molto scuro, quasi bluastro. Particolare importanza sono tornati ad assumere i vini Freisa d’Asti e Freisa di Chieri che sono stati riconosciuti come vini Doc. Sono prodotti nei tipi secco, amabile e frizzante spumante naturale.

Gaglioppo

Si coltiva principalmente in Calabria, per lo più nel Catanzarese, la zona di produzione del vino Cirò, dove predomina su tutti gli altri vitigni. Si può trovare il Gaglioppo anche nelle Marche, Umbria e Abruzzi. Il grappolo è grande, allungato; l’acino a buccia pruinosa, con riflessi rossastri su fondo nero.

Garganega

Questo vitigno costituisce la base per la produzione di Soave, Gambellara, Bianco di Custoza e Colli Berici. Il grappolo è grande e lungo, facilmente riconoscibile; l’acino di formato medio, la buccia sottile e pruinosa; la polpa è sciolta, dal succo saporito.

Girò

È un tipico vitigno della Sardegna, chiamato anche Girone di Spagna per la sua origine, mentre in provincia di Sassari è chiamato Girone comune. Ha un grappolo piuttosto massiccio e pesante, acino nero violaceo, polpa di sapore zuccherino. Dalle uve di questo vitigno si ricava il vino Girò di Cagliari nei tipi dolce naturale, secco, liquoroso secco e liquoroso dry. Si tratta di un vino prevalentemente da dessert, dal colore rosso rubino tenue.

Grechetto

Diffuso prevalentemente in Umbria e in altre zone dell’Italia centro-meridionale, viene anche chiamato Grechetto nostrale, Greco spoletino, Greco bianco di Perugia, Stropoa Volpe e Pulce. Ha infatti un grappolo piuttosto piccolo e acino ovale giallo chiaro. Il Grechetto entra nella produzione di vini assai noti, come l’Orvieto (circa un 10 per cento di media) e il Torgiano bianco (15–35 per cento).

Greco

La principale area di diffusione si trova in provincia di Avellino e di Napoli; è detto anche Greco di Tufo, Greco del Vesuvio e Greco della Torre. Presenta un grappolo armonioso, piuttosto piccolo; acino un po’ irregolare di colore grigio ambrato (nella parte rivolta verso il sole è ricoperto da punteggiature brunastre), polpa succosa e saporita. Il vino di maggior spicco che deriva da questo vitigno è il Greco di Tufo, un bianco di classe, la cui produzione è molto limitata. Con le a li o orecchie dei grappoli è prodotto anche un vino dolce da dessert, usato spesso per la preparazione degli spumanti.

Grignolino

Questo eccellente e delicato vitigno produce un’uva tipica dell’Astigiano e dell’Alessandrino, dov’è chiamato Barbesino, Verbesino, Balestra e Arlandino. Il grappolo è serrato l’acino piuttosto piccolo, con colore violaceo riflessi rossicci scuri. Dalle uve di questo viti gno, con piccole aggiunte di Freisa, deriva i Grignolino d’Asti, di colore rosso rubino e sapore asciutto, leggermente frizzante.

Grillo

Questo vitigno da uva bianca, probabilmente originario delle Puglie e successivamente importato a Marsala, ha trovato il suo habitat ideale in provincia di Trapani. Il grappolo è di formato medio, con acini un po’ radi. Ha un colore giallo dorato, polpa carnosa e succo incolore. L’uva Grillo entra nella composizione del Marsala e anche di altri vini siciliani.

Lagrein

Chiamato anche Lagrain o Lagarino, è un vitigno tipico dell’Alto Adige, diffuso anche nel Trentino, originario della Valle Lagarina. Ha grappolo corto a piramide e acino rotondo con buccia consistente e colore blu-nero. Il vino Lagrein può essere del tipo Lagrein Kretzer (rosato) o Lagrein Dunkel (scuro). Particolarmente pregiato quello prodotto a Gries di Bolzano. Lo scuro ha colore rosso rubino intenso, sapore asciutto un po’ amarognolo, leggermente frizzante.

Lambrusco di Sorbara

Il Lambrusco è uno storico vitigno diffuso in varie zone dell’Emilia. A seconda dei Suoi cloni e delle varie località prende il diversi nomi che vanno distinti. Il Lambrusco di Sorbara (vitigno e vino che ne discende) è tipico del centro rurale omonimo, in provincia di Modena. il grappolo è di grandezza media, piramidale con un’ala; l’acino rotondetto, la buccia pruinosa di colore blu-nero. fra i Lambruschi, quello di Sorbara, detto anche di Modena, è il più noto. Ha colore rosso rubino o granata di varia intensità, spesso frizzante con spuma rosso vivace più o meno evanescente.

Lambrusco Grasparossa

Prende il suo nome dal graspo di colore vinoso, detto anche Lambrusco di Castelvetro, sua zona di origine. È diffuso in altre località come Castelfranco Emilia e Castelnuovo Rangone. Presenta un grappolo piramidale, con foglia tondeggiante. L’acino è pruinoso, di colore blu-nero, un po’ rado. Il vino che ne deriva ha un colore tendente al rosso scuro ed un profumo vinoso intenso.

Lambrusco Maestri

Quest’altro vitigno della famiglia dei Lambruschi è particolarmente diffuso in provincia di Parma e viene anche chiamato Lambrusco di Spagna. Il grappolo è di formato medio, piuttosto allungato, l’acino piccolo, serrato, la buccia di colore blu-nero. Il vino che ne deriva è rosso rubino più o meno vivace, con profumo che ricorda la viola mammola, sapore gradevole, caratteristico nel suo genere, e spumeggiante.

Lambrusco Salamino

Detto anche Lambrusco di Santa Croce, deve il suo nome alla forma del grappolo che è piccolo e serrato e ricorda appunto un salamino. È tipico di Santa Croce, una frazione del comune di Carpi. Il vino che ne deriva ha un colore rosso rubino più o meno intenso, odore vinoso intenso, con profumo caratteristico, spuma vivace ed evanescente. Malvasia bianca di Candia Per la particolare colorazione che assume il giovane germoglio, è chiamato anche Malvasia rossa o semplicemente Malvasia. Diffuso in varie regioni, dall’Emilia al Sud, ha grappolo grande di forma conica e acino rotondo, con buccia di colore giallo dorato. Quest’uva bianca entra negli uvaggi di diversi vini: dal Monterosso Val d’Arda (Piacenza) al Torgiano, al Bianco Capena del Lazio.

Malvasia del Chianti

Questo vitigno è coltivato nel Chianti da molti secoli; è chiamato anche Malvasia toscana o Malvasia bianca lunga: il grappolo è di forma molto allungata, piuttosto grande e compatto. Ha acino medio o piccolo, sferico, di colore tra il verdognolo e il paglierino dorato. L’uva di questo vitigno entra fra quelle fondamentali per l’uvaggio del Chianti. La sua percentuale può variare fra il 10 e il 30 per cento; attualmente si tende a diminuire l’apporto di Malvasia per ottenere dei Chianti più tipici.

Malvasia del Lazio

Vien detta anche Malvasia puntinata per l’acino cosparso di punteggiature e macchie grigie e marrone. Il grappolo, di forma conica, e l’acino sono di media grandezza. Altri sinonimi di questo vitigno: Malvasia gentile o Malvasia nostrale, ln molti vini bianchi laziali (Frascati, Marino, Colli Albani e altri) troviamo impiegata questa tipica Malvasia.

Malvasia di Sardegna

L’uva è chiamata sul posto anche Malvagia o Malmazia. I l grappolo è di grandezza media, la foglia quintolobata. L’acino, di media grandezza, ha colore giallo dorato e polpa sciolta. Dal vitigno Malvasia di Sardegna si ottiene il Malvasia di Cagliari, che è un bianco con due versioni: dolce naturale o secco, oppure in versione dolce liquoroso.

Malvasia istriana

Tutte le Malvasie sono originarie della omonima località greca, così come questa istriana coltivata sui Colli Orientali del Friuli e nel Collio Goriziano. Viene chiamata anche Malvasia bianca. Il grappolo, abbastanza compatto, è lungo circa 15 centimetri. L’acino normale presenta una buccia di colore verde giallastro. Da questo vitigno pregiato si ricava un vino assai fine da antipasti e da pesce denominato Collio Goriziano Malvasia o Collio Malvasia. Un vino simile, un po’ meno pregiato, porta la denominazione Isonzo Malvasia istriana.

Marzemino

Detto anche Marzamino dal nome del villaggio della Carniola iugoslava, Marzimin, questo vitigno ha trovato l’ambiente idoneo nel Trentino, specie a Isera, vicino a Rovereto. È chiamato anche Marzemino gentile o di Isera. Viene coltivato inoltre in Lombardia, nei dintorni dei laghi di Garda e Iseo, così come in provincia di Treviso. Il grappolo è di forma allungata, l’acino di colore blu-nero, piuttosto turgido e serrato. Da questo vitigno si ricava il Marzemino Trentino, dal colore rosso rubino intenso, dal caratteristico profumo erbaceo. È un vino gradevolissimo con pollame, formaggi, arrosti.

Merlot

Questo vitigno è stato importato in Italia dalla Francia e più propriamente dal Bordolese, sua zona di origine. L’uva si è diffusa in varie zone dell’Italia settentrionale: Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli, Collio Goriziano. Ha dato buoni risultati di ambientamento anche nell’Italia centro-meridionale. Il grappolo del Merlot è di formato medio, con acino rotondo di colore blu-nero, polpa tenera e sapore tendente al dolce. Fra i vini ricordiamo: il Merlot del Trentino, i l Merlot dell’Alto Adige. Entrambi hanno caratteristiche simili, e cioè colore rosso rubino, profumo caratteristico, sapore secco, pieno e gradevole, lievemente erbaceo. Inoltre ricordiamo il Merlot del Piave, di Pramaggiore, delle Grave del Friuli, dei Colli Orientali Friula ni, del Collio, dell’Isonzo, di Aquileia e di Latisana. Nel Lazio si produce il Merlot di Aprilia.

Molinara

Da questo vitigno scaturisce un’uva rossa così chiamata per la pruina che sembra infarinare gli acini, come uscissero da un mulino. È chiamata anche Rossara, Rossanella, Solà. È un’uva tipica veronese che concorre (in mag. gior misura) all’uvaggio del vino Bardolino, del Valpolicella e del Recioto della Valpolicella. Il grappolo ha forma piramidale o anche cilindrica, di media grandezza. L’acino rotondo presenta una buccia di color rosso violaceo chiaro.

Monica

Questo vitigno è coltivato in Sardegna, soprattutto nel Cagliaritano. Viene chiamato anche Monaca o Passale. I l grappolo è grande e irregolare, gli acini sono serrati. La buccia è di colore nero o nero violaceo, la polpa piuttosto tenera. L’uva è adatta per la vinificazione, ma può essere usata anche come uva da tavola.

Montepulciano

I l vitigno è coltivato nell’Italia centro-meridionale, soprattutto nelle Marche e nell’Abruzzo. Prende il nome dall’omonima cittadina in provincia di Siena. Pur avendo punti di somiglianza con il Sangiovese o Sangioveto, ne differisce. Il grappolo è di media grandezza, serrato. L’uva ha acini ovali, con buccia nera violacea e polpa rosea. La produzione è diseguale da annata ad annata, anche a parità di condizioni climatiche. Il vino marchigiano Rosso Conero deriva dal vitigno Montepulciano, con il concorso (non superiore al 15 per cento) di Sangiovese. Anche il Rosso Piceno si avvale, per il 40 per cento, dell’apporto di Montepulciano. Il vitigno entra in misura preponderante nella composizione del Montepulciano d’Abruzzo e del Cerasuolo d’Abruzzo, ottenuto con una vinificazione in bianco di uve Montepulciano. Il vino che si ricava da queste uve in genere presenta colore rosso granata con riflessi violacei. Ha sapore pieno, vinoso e sapido.

Moscato bianco

Sotto il nome di moscato sono raccolti un gran numero di vitigni con uve di vario colore, da vino o da tavola, dotate di un caratteristico aroma muschiato che si trasmette ai relativi vini. Fra le qualità più pregiate di moscato va classificato il Moscato bianco o d’Asti, molto coltivato in varie zone del Piemonte e particolarmente nel Monferrato. Pregio elevato raggiunge il Moscato di Canelli, con uva bianco ambrata, dolcissima, usata per la vinificazione, ma anche a tavola. Il grappolo del Moscato bianco è compatto, di grandezza media; l’acino rotondo presenta un colore giallo dorato e anche ambrato nella parte esposta al sole. Fra i moscati, che sono molto numerosi e quasi tutti pregiati, ricordiamo: il Moscato dell’Oltrepò Pavese che viene in gran parte spumantizzato, come l’Asti Spumante; il Moscato del Trentino; il Moscato dei Colli Euganei; il Moscato di Trani; il Moscato dell’Elba; il Moscato di Calabria; il Moscato di Siracusa; il Moscato di Noto; il Moscato di Pantelleria; il Moscato di Cagliari. Sono tutti vini di colore giallo più o meno dorato, naturalmente spumeggianti, di sapore in genere dolce e profumo più o meno intensamente aromatico.

Müller-Thurgau

Questo particolare vitigno, presente in alcune zone dell’Italia settentrionale (Trentino-Alto Adige, Oltrepò Pavese, Colli Orientali Friulani), è stato ottenuto con incroci di Riesling e di Sylvaner. Ha un grappölo di formato piccolo, acini radi di colore giallo verdognolo con riflessi rosati. La polpa è succosa, di sapore leggermente aromatico. Il vino bianco che se ne ricava per alcune caratteristiche assomiglia al Riesling, per altre al Sylvaner. È un vino fine e raro, da antipasti e da pesce. I maggiori quantitativi di Müller-Thurgau in Italia si ottengono nel Trentino, specie nella Val di Cembra.

Nasco

Questo vitigno è fra i più antichi della Sardegna, dove è chiamato anche Nasca. Ha grappolo di media grandezza, semiserrato e acini rotondi, di colore giallo dorato, screziati di marrone. I l vino Nasco è di colore giallo dorato, con profumo muschiato e aranciato, di sapore delicato con retrogusto amarognolo. Di gradazione alcolica piuttosto alta (14,5–150) è vino da frutta o da dessert.

Nebbiolo

Questo pregiato vitigno piemontese di uva rossa da vino è coltivato in numerose località, ma su limitate estensioni per le particolari esigenze di clima e di terreno e per il fatto di essere piuttosto sensibile all’azione dei parassiti. Chiamato Nebbieu nell’Albese, nel Vercellese e nel Novarese è detto Spanna. Ha trovato un favorevole habitat in Valtellina dove è indicato come Uva Chiavennasca (da Chiavenna) o Ciuvenasca. Il grappolo ha grandezza media, talvolta con forma allungata, e acino rotondo con buccia sottile, pruinosa, di colore violaceo scuro. Tra le zone di coltivazione la più importante è quella compresa nel circondario di Alba, dove si producono i grandi vini piemontesi: Barolo, Barbaresco, Nebbiolo. Anche il Gattinara, il Ghemme, il Sizzano, il Fara, il Boca derivano in tutto o in gran parte dal Nebbiolo. ln Valle d’Aosta dal Nebbiolo derivano il Carema e il Donnaz; in Valtellina il Sassella, il Grumello, l’Inferno, lo Sfurzat.

Negrara trentina

Questo vitigno di uva nera è diffuso nel Trentino e nel Veronese, dove trova impiego nell’uvaggio per i vini della Valpolicella e per il Bardolino. Il grappolo è di formato piuttosto grande, allungato. L’acino è pure grande, sferico, di colore blu-violetto.

Negro amaro

Questo vitigno è diffuso particolarmente nel Leccese, dove viene chiamato anche Uva cane. Il grappolo è di media grandezza, con forma corta e serrata. La buccia dell’acino è pruinosa, di colore violaceo. Dal vitigno Negro amaro si ricavano i vini Matino rosso, dal colore rosso rubino con sapore asciutto, e Matino rosato, rosa intenso con sapore asciutto e caratteristico.

Nerello Mascalese

Con il nome di Nerello sono conosciuti diversi vitigni siciliani, tra cui il Mascalese, il Cappuccio, il Frappato. Il Mascalese è bene ambientato nella zona di Catania. Il grappolo è allungato, di aspetto medio, compatto; l’acino normale con buccia blu chiaro. Dal Nerello Mascalese, con aggiunta di un massimo del 20 per cento di Nerello Mantellato (o CappucCio) si ricavano i vini Etna rosso ed Etna rosato. Il Frappato concorre in buona parte per la produzione del Cerasuolo di Vittoria.

Nosiola

È un’antica varietà di uva esclusivamente trentina, a frutto bianco, già studiata nell’Ottocento. Molto rustica e resistente, predilige i terreni collinari ciottolosi e sassosi. Il grappolo è di media grandezza, lungo da 10 a 20 centimetri, piuttosto allungato, di forma cilindrica. Gli acini sono regolari, intensamente pruinosi e presentano un colore giallo verdastro dorato. La Nosiola prospera nella parte alta della Valle di Cembra, a Lavis e Pressano. Presente in alta Val Lagarina, a Rovereto, Nomi e Pomarolo. Oltre a un bianco caratteristico, riconosciuto vino Doc, dalla Nosiola dei vigneti posti intorno al lago di Toblino si ricava il Vino Santo.

Picolit

Con questa definizione friulana che deriva da piccolo (usato anche Piccolit) si usa indicare un vitigno da uva bianca un tempo molto coltivato nella zona dei Colli Orientali Friulani. La sua maggiore caratteristica esteriore è rappresentata dagli acini piccoli e radi su un grappolo di formato medio, piramidale. La produzione è molto scarsa ed incostante perché va soggetto all’aborto floreale, cosa che ha sempre fatto discutere i tecnici. ln questi ultimi anni si stanno conducendo a Savorgnano del Torre degli esperimenti per migliorare la produttività del Picolit, senza intaccarne la qualità. Dal Picolit si ricava un vino pregiato, di colore paglierino chiaro o giallo dorato, delicatamente profumato, dal sapore amabile o dolce, caldo, armonico. La gradazione minima è di 15 gradi.

Pignola valtellinese

Con il nome di Pignolo (o Pignola) sono conosciuti diversi vitigni, molti dei quali danno prevalentemente uva da tavola. Il Pignola valtellinese entra nella composizione degli uvaggi per il Valtellina Superiore (Inferno, Grumello, Sassella, Valgella). Il grappolo è piccolo, serrato, l’acino regolare di colore blu scuro.

Pinot Bianco

L’importante gruppo di vitigni (Pinot bianco, Pinot Grigio e Pinot nero) è originario della Francia, dove è stato alla base delle fortune vinicolo di regioni come la Bourgogne e la Champagne. Si è però bene ambientato in Italia trovando condizioni ideali in Alto Adige o in Friuli, nell’Oltrepò Pavese e in Franciacorta, È chiamato anche Borgogna bianco o Woissburgunder in Alto Adige. Il grappolo è piccolo, armonioso, piuttosto compatto. L’acino ha una buccia poco pruinosa, di colore giallo dorato, cosparsa di puntini. Il Pinot bianco entra nella composizione di vari Pinot, tra cui il Pinot dell’Oltrepò Pavese, del Trentino, dell’Alto Adige, della Franciacorta. ln alcuni casi, come per l’Alto Adige, si tratta solo di Pinot bianco. Così dicasi per il Pinot bianco del Collio, dei Colli Orientali Friulani e dell’Isonzo, tutti ottimi vini da antipasto e da pesce.

Pinot grigio

È una derivazione del Pinot bianco e l’uva è stata ottenuta con particolari avanzate maturazioni. ln Germania e nell’Alto Adige viene chiamato Ruländer. L’origine è però sempre francese: infatti viene anche chiamato Borgogna grigio. I l grappolo è corto, di forma cilindrica, l’acino piccolo, leggermente ellittico. La buccia presenta un colore grigio violetto, ma talvolta anche grigio rosa. Tra i Pinot grigi sono da citare quello dell’Alto Adige, il Pinot grigio Valle Isarco, il Pinot grigio del Collio, delle Grave del Friuli, dei Colli Orientali Friulani, dell’Isonzo.

Pinot nero

Con il Pinot nero si completa la triade dei Pinot, naturalmente di origine francese, ben acclimatato anche questo in diverse zone, non solo dell’Italia settentrionale. ln Alto Adige viene chiamato Blauburgunder. Il grappolo è di piccolo formato, compatto, di colore tendente al nero. Oltre al Pinot nero dell’Alto Adige, sono da segnalare quello del Trentino, il Pinot nero del Collio e dei Colli Orientali Friulani. Il vino presenta, con le varianti da zona a zona, queste principali caratteristiche: colore rosso rubino più o meno intenso, profumo delicato, sapore un po’ aromatico, leggermente amarognolo. Gradazione sui 12°.

Prosecco

Originario di Prosecco, frazione di Trieste, sull’altopiano carsico, questo vitigno da uva bianca è coltivato soprattutto nel Veneto e specialmente nel Trevigiano. Il grappolo è di forma allungata e raggiunge i 25 centimetri, con acini rotondi a buccia gialla e polpa dolce. Nel Trevigiano è chiamato Prosecco Balbi, Glera o Serpina nel Friuli. Ricordiamo il Prosecco di Conegliano (in versione naturale), il Prosecco di Conegliano spumante, il Prosecco superiore di Cartizze e il Prosecco di Valdobbiadene, tutti in versione spumante o naturale.

Raboso veronese

Questo vitigno, diffuso principalmente nel Veneto, prende il nome dall’omonimo torrente nei pressi di Conegliano. Prende anche il nome di Raboso di Verona o Terrano d’Istria. È un’uva rossa a grappoli piuttosto grandi, resistenti ad ogni malattia. Nella zona del Piave viene prodotto un Raboso di eccellenti qualità, molto adatto all’invecchiamento.

Refosco dal pécol rosso

Questo vitigno di uva rossa è coltivato nel Friuli-Venezia Giulia e nell’Istria, ora sotto la ex-Iugoslavia. Di antichissima origine, citato da Plinio il Vecchio, si riconosce per il peduncolo (pécol). È detto anche Terrano del Carso o Terrano d’Istria. Presenta un grappolo di formato piuttosto grande; il colore degli acini è blu intenso, la polpa sciolta e di buon sapore. Se ne ricavano vini di colore intenso, assai tannici, ma profumati e piacevoli. Il Refosco dei Colli Orientali Friulani ha un colore rosso violaceo intenso, profumo caratteristico, sapore asciutto e pieno, un po’ amarognolo. Piccola, ma significativa la produzione del Terrano del Carso.

Ribolla gialla

È un vitigno diffuso soprattutto nell’Udinese e nel Goriziano, mentre la Ribolla nera si trova in piccole quantità nei dintorni di Trieste. Viene chiamato anche Rebulla o Raibola, gli Slavi dicono «Rebula ». Presenta un grappolo piuttosto piccolo e raccolto, l’acino ha una buccia pruinosa di colore giallo alabastro. Dalla Ribolla gialla si ottiene un vino bianco leggero, fresco, sottilmente ammandorlato. La gradazione minima è di 12°.

Riesling Italico

Il Riesling è un vitigno pregiato da uva bianca originario delle province renane, dove produce i celebri vini del Reno. Coltivato anche nella bassa Austria, in Stiria e in Alsazia, è stato importato in Italia a metà del secolo scorso. Si distingue in due varietà, il Renano e l’Italico di cui stiamo trattando. Presenta un grappolo piccolo, tozzo, compatto. L’acino è piuttosto piccolo, la buccia pruinosa di colore giallo dorato. Simile al Riesling Italico è il Riesling Trentino. Nel Collio Goriziano fa spicco un Riesling Italico, vino di colore giallo dorato chiaro, con profumo caratteristico, sapore asciutto e armonico.

Riesling Renano

Come suggerisce il nome, proviene dalla zona del Reno, in Germania, e ha trovato ottimo ambientamento in certe nostre fasce vinicole non solo in Alto Adige e Friuli, ma anche nell’ Oltrepò Pavese. Il grappolo è piccolo e compatto, la buccia dell’acino di colore dorato carico, la polpa succosa, di sapore aromatico. Tipici vini da Riesling Renano troviamo nell’Alto Adige, tra cui il Terlano-Riesling Renano. Il Riesling Renano dei Colli Orientali Friulani ha queste caratteristiche di base: colore giallo dorato chiaro, profumo caratteristico, sapore asciutto. È un vino da antipasti e da pesce.

Rondinella

Vitigno del Veronese che entra in consistente percentuale (fino al 40 per cento) nell’ uvaggio che determina il vino Bardolino, insieme con la Corvina, la Molinara e la Negrara. ln egual misura concorre all’ uvaggio del Valpolicella e del Recioto della Valpolicella. Il grappolo è di formato medio, piramidale; l’acino ha una buccia pruinosa, di colore nero violaceo.

Sangiovese

È il vitigno cui spetta il principale merito delle fortune del vino Chianti, in Italia e nel mondo. ln realtà, i Sangiovese sono due: il Sangiovese «grosso», maggiormente coltivato e di maggior pregio, e il Sangiovese «piccolo», meno coltivato perché meno produttivo, ma anche perché fornisce un vino di qualità meno pregiata. Si usa chiamarlo anche Sangiovese montanino. Quest’ultimo presenta un grappolo di media grossezza, con acino piccolo. Il Sangiovese «grosso» presenta grappoli di media grandezza, con acini piuttosto grossi a buccia consistente, pruinosa, di colore viola cupo, polpa succosa e zuccherina. Il tipo più noto di vino che porta il nome di sangiovese (il vitigno è diffuso in tutta Italia, in 44 varietà) è quello della Romagna, di cui si conoscono partite particolarmente pregiate, come quelle delle Rocche. Ha colore rosso rubino, talvolta con riflessi violacei, profumo delicato che ricorda la viola, sapore asciutto e armonico, con retrogusto amarognolo. Nei vari tipi di Chianti, il Sangiovese entra in proporzioni che variano tra il 50 e 1'80 per cento.

Sauvignon

Questo interessante vitigno, importato dalla Francia nel secolo scorso, si è ambientato ottimamente in varie zone. L’uva è detta anche Spergolina o Pellegrina (in Emilia). Il grappolo è di formato medio, alato e cilindrico. La buccia dell’acino ha un colore giallo dorato. Fra i vini Sauvignon prodotti in Italia possiamo ricordare il Terlano Sauvignon dell’Alto Adige, di colore giallo verdognolo, profumo caratteristico, sapore pieno. Più o meno sullo stesso piano il Sauvignon del Collio Goriziano e il Sauvignon dei Colli Orientali Friulani. Fra le piccole produzioni, va citato il Sauvignon di Monte San Pietro (Colli Bolognesi).

Schiava

Questo vitigno è noto fin dal Medioevo e dà origine al gruppo delle Schiave, interessanti uve nere da vino, molto diffuse in Alto Adige e in buona quantità nel Trentino, nonchè in alcuni tratti costieri del Lago di Garda. La migliore, con la resa più bassa e gli acini più piccoli, è la Schiava gentile (Kleinvernatch nel dialetto locale). Viene poi la Schiava grossa o Schiavona o Schiava meranese, più abbondante come resa, e infine la Schiava grigia. Tutte e tre sono spesso coltivate nello stesso vigneto. È questo il caso del noto vino Santa Maddalena, forse il più pregiato dell’Alto Adige: è un rosso dal colore rubino o granata, con profumi che ricordano la viola e la mandorla e gusto vellutato che pure ricorda la mandorla. La Schiava (o le Schiave) entra nella composizione del Lago di Caldaro, del Meranese di Collina, dei Colli di Bolzano e delle Schiave dell’Alto Adige, nonché del Valdadige rosso. Il grappolo della Schiava gentile, di grandezza media, è inconfondibile per il colore degli acini, tendenti al viola chiaro, con buccia tenera e polpa succosa e dolce. La Schiava grigia presenta un grappolo piramidale e acino di grossezza media. Il colore è blu, con velatura grigia. La Schiava grossa ha acino di grossa dimensione, buccia blu-nero, polpa succosa.

Teroldego

Questo vitigno è esclusivo del Trentino e predomina in una particolare zona, chiamata Campo Rotaliano, comprendente i comuni di Mezzocorona e Mezzolombardo, con San Michele all’Adige, in parte. Vari i sinonimi: Tiraldega, Tiraldola, Tiroldola. Il grappolo è di forma allungata, piramidale, l’acino ha una buccia molto spessa, di colore blu-nero. Il Teroldego è un vino rosso di ottima qualità, dal colore rosso rubino piuttosto intenso, con riflessi violacei; ha profumo gradevolmente fruttato, sapore asciutto e sapido, legger. mente amarognolo, che sa di mandorla. È proposto anche nella versione “rosato”.

Tocai friulano

Quest’ uva originaria del Friuli, diffusa anche in altre province venete, è diversa dalle uve del Tokaj ungherese, da cui probabilmente ha tratto origine (o viceversa, stando a quanto asseriscono ricercatori friulani di quell’aggrovigliata materia che è l’emigrazione dei vitigni da un Paese all’altro e da una zona all’altra). Il grappolo del Tocai friulano è piuttosto lungo, alato, non molto compatto, con acino di grandezza media ovoidale e buccia di un bel giallo dorato. Il Tocai dei Colli Orientali Friulani ha un colore paglierino dorato chiaro tendente al citrino, profumo caratteristico, sapore caldo e asciutto. Con caratteristiche simili e su un piano competitivo si presentano il Tocai del Collio Goriziano, il Tocai delle Grave del Friuli e il Tocai dell’Isonzo. Altri Tocai: del Piave, di Lison, di Aquileia.

Traminer aromatico

Questo vitigno da uve bianche (detto anche Gewürztraminer o Aromatica) proviene quasi sicuramente da Tramin (o Termeno) in provincia di Bolzano. Ha acquistato maggiore notorietà in Alsazia e nella valle del Reno, raggiungendo anche vigneti lontani come in California e nel Sudafrica. Per il suo Colore grigio-rosso, a maturazione, è noto anche come Traminer rosa. Ha inoltre, come uva e come vino, un suo aroma speciale e pronunciato. La polpa dell’acino assume essa pure un sapore speciale, decisamente aromatico. Il Traminer aromatico del Trentino e quello dell’Alto Adige sono vini molto apprezzati, con queste caratteristiche di base: colore giallo dorato, profumo intenso e caratteristico, sapore pieno e lievemente amarognolo, gradevolmente aromatico. Gradazione minima: 11,50 . Nella Venezia Giulia si produce il Traminer del Collio, un po’ meno aromatico rispetto a quelli dell’Alto Adige e del Trentino; da segnalare anche il Traminer aromatico dell’Isonzo.

Trebbiano di Soave

Con il nome di Trebbiano sono indicate diverse varietà di uva bianca da vino. Il Trebbiano di Soave, facoltativo per la produzione del Soave e del Recioto di Soave, è detto anche Trebbiano Veronese o Turbiano. Il grappolo è di formato medio allungato, piuttosto compatto, con un’ ala sul fianco, foglia pentagonale, trilobata; buccia dell’acino colore giallo verdastro, punteggiata.

Trebbiano toscano

È il vitigno che fornisce le uve bianche che intervengono nella preparazione del Chianti. Molto usato in Italia, un po’ meno in Francia, dove fu portato all’epoca dell’esilio dei papi ad Avignone, dove prese il nome di Ugni Blanc. Il grappolo è piuttosto grande, allungato con una o due ali. L’acino ha una buccia di colore giallo-verde o giallo-rossastro. Dal Trebbiano si ricavano alcuni vini bianchi toscani, come l’Arbia bianco, il Bianco di Pitigliano, l’Elba bianco, il Parrina, il Bianco vergine della Valdichiana. Caratteristiche consimili presentano il Trebbiano di Romagna, il Trebbiano d’Aprilia e il Trebbiano d’Abruzzo.

Uva di Troia

Probabilmente questo vitigno è stato importato in Puglia dai Greci, dopo la conquista di Troia. Viene chiamato anche Uva di Barletta. Il grappolo è di consistenza media, l’acino color violetto scuro. L’Uva di Troia viene impiegata per la produzione del Castel del Monte rosso e del Castel del Monte rosato. Possono concorrere anche uve di Bombino nero o di Sangiovese, però fino a un massimo del 30 per cento. L’Uva di Troia entra negli uvaggi di altri vini pugliesi, come ad esempio il Rosso di Cerignola.

Verdeca

Coltivato in Puglia, particolarmente nella provincia di Taranto, è chiamato anche Verdicchio femmina. Presenta un grappolo conico e un acino di colore verde biancastro. L’uva Verdeca concorre nella misura dal 50 al 65 per cento alla composizione del vino bianco Martinafranca, insieme con il Bianco d’Alessano. La stessa posizione occupa per il Locorotondo, bianco che molti considerano fra i migliori dell’Italia meridionale. La preparazione del Locorotondo è fatta nelle province di Bari, Brindisi e Taranto.

Verdicchio bianco

Questo vitigno produce un’uva bianca da vino di qualità superiore. Viene chiamato anche con altri nomi come Verdone, Verdicchio dolce, Verzello. Il grappolo è di media grossezza, piuttosto raccolto. L’acino presenta una buccia sottile ma consistente, color verde giallastro; la polpa ha sapore zuccherino. II vino Verdicchio dei Castelli di Jesi, zona classica, presenta colore paglierino tenue con riflessi verdolini, profumo caratteristico accentuato, sapore asciutto e leggermente abboccato, con fondo gradevolmente amarognolo, sapido e armonico. Da ricordare anche il Verdicchio di Matelica, che si produce in provincia di Macerata.

Verduzzo friulano

Da questo vitigno nasce un’uva bianca di qualità, diffusa specialmente nella Venezia Giulia, nel Friuli, nelle province di Venezia e di Treviso. Presenta un grappolo di piccolo formato, piramidale, alato. L’acino, medio e regolare, ha un colore giallo verdastro più o meno accentuato e polpa succosa, con sapore aromatico. Fra i vini maggiormente conosciuti sono da citare il Verduzzo delle Grave del Friuli e il Verduzzo dei Colli Orientali Friulani. Queste le caratteristiche medie: colore giallo dorato, profumo vinoso caratteristico di fruttato, che si accentua nel tipo «dolce» (Verduzzo di Ramandolo), sapore asciutto oppure amabile-dolce. Quest’ultimo tipo di vino si ottiene facendo leggermente appassire le uve. Diventa in questo caso da dessert. Altri vini da ricordare: il Verduzzo del Piave, il Verduzzo dell’ Isonzo, il Verduzzo di Latisana.

Vermentino

Questo vitigno è diffuso in provincia di Sassari, in Sardegna, in Liguria e nella parte settentrionale della Toscana. Si ritiene originario della Spagna. È chiamato anche Malvasia grossa, Carbesso o Carbes. Il grappolo di bella uva bianca, allungato nella forma, pesa intorno ai 250 grammi. L’acino è piuttosto grosso, di forma regolare; colore della buccia giallo ambrato; polpa succosa. Il Vermentino di Alghero, simile al Vermentino di Gallura, ha queste sostanziali caratteristiche: colore paglierino o verdolino chiaro, profumo delicato, sapore asciutto, sapido, fresco, armonico, spesso frizzante. Simile è il Vermentino ligure, la cui produzione è molto scarsa.

Vernaccia di Oristano

Con il nome di Vernaccia sono conosciute uve diverse che, anche a seconda delle zone dove sono coltivate, producono vini diversi. La Vernaccia di Oristano o Vernaccia bianca è fra le più conosciute. Il vitigno è caratteristico di una pittoresca zona della Sardegna, nella bassa vallata del Tirso. Il grappolo è piccolo, di forma serrata; l’acino, con buccia di media consistenza, ha un colore verde giallastro con sfumature dorate; la polpa è sciolta con, sapore neutro. La Vernaccia di Oristano presenta le seguenti caratteristiche: colore giallo dorato ambrato, profumo delicato con sfumature di mandorla; sapore fine e sottile, con gradevole retrogusto. Gradazione alcolica 14° Del Vernaccia di Oristano esiste anche la versione liquorosa, però non molto pregiata.

Vernaccia di San Gimignano

La Vernaccia di San Gimignano è conosciuta anche come Vernaccia di Pietrafitta. Il grapè di formato superiore alla media, alato talvolta e allungato; acino regolare, di colore verde giallastro, ambrato nelle posizioni meglio esposte al sole; ha polpa succosa. Questo il breve profilo del vino che ne deriva: colore giallo dorato chiaro; sapore asciutto e fresco, piuttosto armonico; profumo penetrante, gradazione minima 12°.

Principali vitigni stranieri

Alicante

E’ una delle uve nere più comuni nel sud della Francia, che ritroviamo anche in Sardegna. Una varietà di quest’uva, l’Alicante Bouschet, è stata portata in Algeria e in California. È adatta per conferire colore ad altri vini.

Cabernet

È una delle uve nere da vino più nota, dalla quale si ricavano quasi tutti i grandi vini rossi di Bordeaux, parecchi pregevoli vini italiani e altri in terre lontane, come la California, l’Australia, il Sudafrica. I due tipi fondamentali sono: il Cabernet Sauvignon che fornisce un’uva più piccola e meno produttiva, ma da cui si ottiene un vino più resistente, più lento di maturazione e più ricco di tannino. L’altro tipo è il Cabernet franc, dal quale esce un tipo di vino più morbido ed è la varietà più diffusa a Saint-Émilion, nel Bordolese.

Carignan

Uva nera assai produttiva, largamente coltivata in Francia meridionale, in Spagna e in Algeria. Pur non essendo di prima qualità, fornisce vini piuttosto gradevoli.

Chardonnay

È una delle migliori uve da vino bianco: rivaleggia con il miglior Riesling e spesso lo supera. Da essa derivano grandi vini bianchi della Bourgogne, come il Montrachet, il Pouilly-Fuissé, lo Chablis. Si adopera, in parte, per lo Champagne. Spesso si usa chiamarla Pinot Chardonnay, ma la definizione è impropria: non ha alcun legame diretto con il Pinot nero e con il Pinot bianco. Prende il nome da un piccolo villaggio nella zona del Mâconnais. ln considerazione delle doti dell’aristocratico vitigno, sono state iniziate con successo varie coltivazioni di Chardonnay in Italia. Il nucleo più ragguardevole e relativamente più antico riguarda il Trentino, dove si produce una rinomata uva Chardonnay, base per vini tranquilli e spumanti. Altri vigneti, anche estesi, si trovano in Friuli-Venezia Giulia, nel Veneto, in Toscana, anche in Puglia e, recentemente, in Piemonte.

Chasselas

È un vitigno che fornisce un’uva bianca da vino da cui esce un prodotto di poca acidità, usato per la mescolanza con altre uve, diffuso in Svizzera, nella Loira, nel Baden, nell’Alsazia. ln Svizzera lo chiamano Fendant ed è apprezzato per l’alta resa quantitativa.

Cinsault

È una delle uve nere che concorrono alla composizione di un famoso vino: lo Châteauneuf du Pape. Viene raramente usata da sola ma è di qualità superiore.

Gamay

È una delle uve da vino rosso caratteristiche della zona del Beaujolais che ritroviamo in altre regioni, come in Savoia. Se impiantato su terreni adatti è in grado di fornire risultati fra i più lusinghieri e anche sorprendenti.

Grenache

Uva di buona qualità e di abbondante rendimento che predomina nei vigneti della Francia meridionale e nella zona di Rioja nella Spagna settentrionale. Particolarmente indicata per la produzione dei vini rosés, come il Tavel.

Malvoisie o Malvasia

È una delle più antiche e famose uve bianche (ne esiste anche una variante rossa, ma di minore importanza) originaria delle Isole Egee e della Grecia e poi diffusa in tutti i Paesi del Mediterraneo e anche in Africa e America. Accanto alla Malvasia delle Lipari va posta la Malvasia di Madera e parecchie altre. Il vino, che gli Inglesi chiamano Malmsey, è molto dolce, di tinta ambrata. Ci sono però anche uve Malvasia che danno vini secchi da pesce, come la Malvasia del Collio Goriziano.

Merlot

Tra le uve rosse da vino è una delle più importanti e, insieme al Cabernet, costituisce motivo di orgoglio per i vignaioli di Bordeaux, essendo originaria di quella celebre regione vinicola. Conferisce gusto e morbidezza a molti grandi vini francesi. E coltivata in Italia con ottimi risultati, specie nel Trentino, in Alto Adige, nel Veneto, in Friuli-Venezia Giulia.

Meunier

Una sottovarietà del Pinot nero; si chiama così perché il rovescio della foglia è biancastro, come fosse cosparso di farina. Largamente diffuso nello Champagne e in Alsazia.

Muscat

Vitigno corrispondente al nostro Moscato, chiamato anche con altri nomi, come Moscatel o Muscadelle. L’uva Muscat è largamente coltivata nella Francia meridionale, in Spagna, in Portogallo, nelle isole mediterranee e in Grecia. L’elenco dei moscati di qualità è molto vasto. Unica e inconfondibile caratteristica, l’aromatico odore e il sapore di Moscato.

Pedro Ximenes

Nome di una varietà di uva bianca spagnola, largamente coltivata nelle zone di Málaga e di Xeres de la Frontera, patria dello Sherry. È però originaria di Montilla, dove sarebbe stata portata nel XVI secolo da un soldato tedesco che si chiamava Peter Siemens. Dà un vino secco, molto robusto, base di molti Sherries, come l’Amontillado.

Pinot

Famiglia di vitigni che nel Gotha vinicolo occupa una posizione assolutamente di primo piano: si distingue principalmente fra Pinot blanc e Pinot noir. È l’uva di maggior importanza nello Champagne: difatti dal Pinot blanc e dallo Chardonnay (praticamente un clone del Pinot blanc) deriva la parte maggiormente selezionata della produzione di Champagne, cioè il Blanc de Blancs, mentre la restante parte si ricava dal Pinot nero o da mescolanze di Pinot bianchi e neri. Queste uve sono largamente coltivate anche in Borgogna. Introdotte in Italia, hanno dato eccellenti risultati in molte regioni, specie nel Trentino, nella Franciacorta e nell’Oltrepò Pavese, attualmente le zone più rinomate per la produzione dello spumante italiano vinificato con il metodo classico.

Pinot gris

Quest’uva è stata ottenuta da una mutazione del Pinot blanc e si trova in alcune zone della Francia, della Germania e dell’Italia. Viene chiamata anche Ruländer. Negli ultimi decenni quest’uva ha molto accresciuto la sua notorietà in Italia. La si coltiva principalmente nel Veneto, in Friuli-Venezia Giulia e nell’Oltrepò Pavese.

Riesling

Una delle uve più pregiate per la produzione del vino bianco, originaria, pare, dalla vallata del Reno. Coltivata nei migliori vigneti della Mosella e del Rheingau, in Alsazia e in Austria. Ha bisogno di zone fresche, di suolo sassoso e di basse produzioni.

Roussanne o Rossette

Molto diffusa nella zona del Rodano, fra Lione e Ginevra e nella Savoia, quest’uva bianca dà vini freschi, fragranti, assai gradevoli, alcuni dei quali spumanti.

Sémillon

Quest’uva bianca è molto diffusa nel sudovest della Francia e si distingue come componente dei vini di Sauternes e di Graves. Dà dei vini piuttosto dolci, se vinificata da sola. Di solito fa parte di uvaggi insieme con altri vitigni di uve bianche.

Sylvaner

Altra uva bianca molto produttiva, probabilmente di origine austriaca o tedesca e coltivata anche in Francia, Italia, Svizzera e anche nel Cile. Dà un vino più morbido, ma meno consistente del Riesling. ln Austria viene chiamata Österreicher. Insieme con il Riesling ha dato origine al Müller-Thurgau.

Ugni Blanc

Uva bianca che è coltivata in Francia nella meridionale dove dà origine al vino Cassis, mentre nella zona di Cognac è chiamata Saint-Émilion. Deriva dal Trebbiano toscano. Può fornire un vino genuino e gradevole, ma non di grande classe. Tokaj

Vedi Tocai friulano o Furmint, per il vitigno ungherese da cui deriva il vino Tokaj. #Divino

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L’uva e il vino

L’uva, ossia il frutto della vite, formato da bacche (acini) riunite in un’infruttescenza (o grappolo), fornisce la materia prima per la preparazione del vino. Il grappolo è costituito da un raspo e da vari peduncoli con pedicelli sui quali si inseriscono gli acini. Questi si compongono di buccia (epicarpo), polpa (mesocarpo) e semi o vinaccioli (endocarpo). L’insieme della polpa è costituito da acqua, zuccheri, acidi, mucillaggini, sali e altre sostanze minerali, azotate, pertiche, vitamine; infine dai vinaccioli o semi.

La buccia dell’acino contiene essenzialmente materie coloranti (da cui deriva il colore dei vari vini), inoltre aromi, tannino e sostanze minerali. Ha una funzione protettiva e reca esternamente la pruina, una specie di cera che ha il compito di proteggere l’acino dall’umidità, dall’evaporazione eccessiva e dal permanere in superficie di gocce d’acqua.

Una prolungata e insistente umidità favorisce l’attacco di un fungo microscopico che apre nella buccia delle fessure, mettendo allo scoperto la polpa dell’uva e asportandone le sostanze nutritive. La Botrytis o, come dicono comunemente i vignaioli, “botrite”, può avere conseguenze disastrose per il raccolto. In alcuni casi particolari e per certi tipi di vini speciali si lascia sviluppare apposta la botrite perché conferisce pregio alle uve, insieme al d altri fattori connessi con la ritardata maturazione. Le sostanze che avvolgono la buccia sono chiamate in questi casi “muffe nobili”. Vini che si avvalgono dell’apporto della “pourriture noble” sono il Tokaj ungherese e lo Chàteau d’Yquem, ma ne abbiamo parecchi anche in Italia, tra cui il Picolit.

Va anche ricordato che le sostanze minerali contenute nella polpa sono date dai sali che la vite ha assorbito dal terreno e che costituiscono le ceneri del mosto e del vino.

Elementi temibili per la stabilità del futuro vino sono il ferro e il calcio. Il primo, se presente in notevoli proporzioni, provoca dannosi intorbidamenti. L’uva e il mosto contengono vitamina A, B, C ed altre in quantità variabile. I vinaccioli cedono al mosto soprattutto tannino, in quantità tanto maggiore quanto più lungo è il tempo di contatto.

Influenza dell’ambiente

La vite ha una grande capacità di adattamento all’ambiente, tollera anche estremi termici notevoli, ma occorrono determinate temperature minime per i suoi principali fenomeni vitali. Per esempio, perché avvenga la fioritura, la temperatura deve raggiungere almeno i 16 °C. Per la maturazione occorrono da 18 a 23 °C. Talvolta può essere la luce a supplire a qualche difetto di temperatura. Un eccesso di precipitazioni, inoltre, in tutte le fasi vegetative, favorisce lo sviluppo delle malattie crittogamiche. Più che la siccità, la vite teme l’umidità, le brine primaverili, le nebbie troppo frequenti, le rugiade troppo abbondanti, i venti impetuosi. Salvo alcuni tratti della pianura padana, non c’è praticamente regione italiana dove la vite non sia coltivata. In Valle d’Aosta, in Valtellina, nel Trentino-Alto Adige, la vite si spinge a limiti decisamente notevoli, non tanto come latitudine, ma come altitudine. I vigneti da cui si ricava il Blanc de Morgex sorgono su fasce di terreno che superano i 1000 metri di quota. Va segnalato che, di regola, il limite è di 600 metri, ma in Valtellina e nel Trentino-Alto Adige molti vigneti si spingono fino a 800–900 metri sul livello del mare. Come dice Guyot, la vite chiede “quel po’ di acqua, di nutrimento e di sole che le sono strettamente necessari”. Però dal punto di vista enologIco ed agro-economico il problema si fa più complicato. A seconda delle varie zone vinicole, per le quali va accertata la vocazione», occorre innanzitutto scegliere le varietà di vitigni di sicuro successo, anche per quanto concerne l’accrescimento e la maturazione dell’uva. Con la sua lunga estensione in latitudine, la Penisola comporta differenze notevoli di clima e di temperatura. Abbiamo a disposizibne una varietà di vitigni eccezionale, gran parte dei quali collaudati per esperienza secolare, ma per la scelta è di norma preferibile attenersi alle varietà locali.

Infatti ogni vitigno è adatto specialmente all’ambiente in cui è sorto o nel quale è coltivato da secoli. Il ricorrere a varietà proprie di altre regioni costituisce sempre un rischio: in alcune zone dove sono stati introdotti vitigni impropri per la ricerca di una maggiore produttività non sempre si sono ottenuti risultati validi. I fattori che influenzano maggiormente la qualità dell’uva sono: il vitigno, il clima e il terreno. Per un’uva di buona qualità viene richiesto di norma un clima mite, di media collina, ventilato, senza ristagno di umidità primaverile o estiva, con giusto grado di insolazione e di piovosità.

I terreni migliori per i vigneti — dicono i tecnici — sono quelli di medio impasto, fertili, di composizione equilibrata, ricchi di potassio, bene esposti, possibilmente in leggero declivio. Riassumendo, si può dire che il vino buono deriva dall’uva sana e adatta a quel tipo di vino (o da una mescolanza di uve, sempre sane). Quest’uva ideale, ripetiamo, è in funzione di un trinomio: vitigno, clima e terreno.

La coltivazione

La vite può moltiplicarsi per via gamica — il seme — o per via agamica, cioè con talee e propaggini. Non si usa la moltiplicazione per semi se non per produrre nuove varietà e nuovi ibridi. In tutti gli altri casi si utilizzano le talee o barbatelle, che sono piante giovanissime fornite di radici fittizie a forma di barba. Si chiamano anche margotte di vite e ci sono appositi vivai specializzati per i rifornimenti. Questi appezzamenti di terra si chiamano barbatellai ed esercitano una funzione importante nel campo vitivinicolo.

Generalmente come talea viene utilizzato un pezzo di tralcio di un anno, con almeno due gemme. A uno o due anni dall’innesto, le barbatelle o pianticine vengono trapiantate nel vigneto, preferibilmente in autunno, a una distanza che varia secondo la forma di allevamento. Le colture più diffuse sono a spalliera, cioè sorrette da un’intelaiatura, e a pergolato. In questo caso, l’impalcatura a sostegno delle viti è costituita da due file di pali, o colonnette di cemento, congiunti al vertice da elementi orizzontali ad un’altezza dal suolo tale da consentire il passaggio di addetti alla lavorazione o all’immutabile rito della vendemmia. La coltura ad alberello, così tradizionale nell’Italia centro-meridionale, cioè con piante singole potate a forma di albero, sempre di bassa statura, va gradatamente scomparendo anche in Puglia, per far posto a sistemi più aggiornati.

Nei vigneti specializzati le viti variano come numero da 2000 a 10000. Per i sistemi si tiene conto dei terreni, dei climi e delle pendenze. Si cerca di rendere stabili più che si può le attrezzature perché i costi sono elevati e il materiale facilmente deteriorabile. Anche i pittoreschi vigneti con le viti maritate agli alberi (aceri o olmi), tradizionali nella zona di produzione del Lambrusco e in Campania, vanno gradatamente scomparendo e ne prendono il posto i sistemi tipo Guyot, Sylvoz e altri, sempre di impronta specialistica.

II terreno, nel caso di nuovi impianti, va preparato a volte con profondi scassi, o sbancamenti di rocce. Occorre una concimazione frequente ed anche l’irrigazione. Annualmente la vite richiede almeno tre lavorazioni del terreno: una più profonda nel periodo di riposo, una media in primavera, una superficiale nel mese di agosto. Tralasciando le altre operazioni secondarie relative al terreno, sono invece di grande importanza i trattamenti antiparassitari contro le principali malattie crittogamiche quali l’oidio e la peronospora.

La vendemmia

La conclusione delle fatiche che durano ininterrottamente tutto l’anno si ha con la vendemmia. Questa pittoresca operazione di raccolta dell’uva che ha stimolato tante fantasie descrittive e pittoriche, ma per la quale è difficile reclutare operatori volonterosi e capaci (anche in considerazione del fatto che si conclude in brevi termini), può essere fatta in un arco di tempo che varia tra i mesi di luglio e ottobre, più raramente novembre. In genere si raccolgono prima le uve bianche, per gran parte delle quali viene consigliato ai vignaioli di non oltrepassare il limite di giusta maturazione, caso mai di anticiparlo.

Le uve nere si vendemmiano quasi sempre nel mese di ottobre. Le prime uve si ottengono di solito nell’Italia meridionale, ma certi Pinot vengono vendemmiati in agosto anche in settentrione. Uve tardive possono essere considerate quelle dei vitigni Sangiovese e Montepulciano delle Marche e degli Abruzzi; con l’Aglianico della Basilicata si va a novembre. Diverse volte si vendemmia in novembre anche nella zona dei Nebbioli piemontesi e dei Barbaresco, in provincia di Cuneo. Può essere considerato un vantaggio cogliere le prime nebbie, a patto che l’umidità non sia troppo elevata e segua subito dopo il sole.

Con la specializzazione e il progressivo abbandono delle colture miste, tipo vite e olivo, la produzione di uva per ettaro é generalmente, aumentata. I disciplinari che regolano la produzione dei vini Doc (denominazione di origine controllata) però stabiliscono delle limitazioni precise. Per il Barbaresco e per il Barolo, ad esempio, sono ammesse produzioni non superiori, in ogni caso, a 80 quintali per ettaro. Per il Chianti 125 quintali per ettaro, per il Chianti Classico 115 quintali, per il Frascati 130 quintali, per l’Ischia bianco o rosso 100 quintali. Alcune rese sono state criticate perché ritenute troppo abbondanti, ma in genere i risultati delle vendemmie sono sempre inferiori al massimo, che si ottiene solo nelle annate estremamente favorevoli. Come abbiamo detto, la conclusione annuale delle lunghe fatiche nella vigna é costituita dalla vendemmia. Valutare il momento di cogliere l’uva non è facile, anche perché possono incombere sfavorevoli e imprevisti eventi meteorologici. Ogni volta sorgono dubbi e paure, il vignaiolo scruta sovente il cielo con molta trepidazione. Talvolta si pente di avere anticipato l’operazione di raccolta.

L’uva va vendemmiata nel momento della sua giusta maturazione fisiologica. L’epoca può essere leggermente spostata a seconda delle condizioni atmosferiche o del tipo di vino che si vuole ottenere. Occorre seguire scrupolosamente la maturazione fino al momento in cui l’acino da verde diventa giallognolo o giallo per le uve bianche e violaceo per le rosse; contemporaneamente l’acino aumenta anche di volume. Si verifica, in questa fase, il fenomeno più importante, la formazione di zuccheri; il «tenore zuccherino» viene misurato con appositi strumenti.

Per rendersi conto del grado di maturazione è preferibile non affidarsi al metodo empirico dell’assaggio, ma attendere il responso dei mostimetri e refrattometri dei laboratori gestiti dai consorzi o da altri enti.

La vitivinicoltura moderna non si affida più ai proverbi di stampo contadino, ma agli enotecnici e agli specialisti degli ispettorati agrari. Per i vini bianchi, che necessitano di alta percentuale di acidità, é sempre bene anticipare il raccolto. Specie per le uve Pinot, dalle quali si ricavano gli spumanti, la raccolta anticipata costituisce un fattore determinante. Quando, a causa di piogge persistenti, esiste il timore di uve malsane dalle quali discenderanno vini altrettanto imperfetti, soggetti alla “fioretta” (Mycoderma vini), si raccoglie l’uva anticipatamente per evitare danni maggiori.

Esistono delle regole per la raccolta dell’uva che è bene seguire. Intanto è sconsigliabile staccare i grappoli nelle primissime ore del mattino o subito dopo la pioggia. In questi casi si verifica una diminuzione del tenore zuccherino.

Inoltre, il grappolo a causa dell’umidità risulta più facilmente attaccabile dalle muffe. Molto importante è la «cernita» delle uve che va fatta subito al momento del raccolto. Di solito vengono separate da una parte le uve per il vino «scelto», dall’altra le uve per vini meno pregiati. Vanno scartati decisamente i grappoli intaccati dal marciume perché guastano anche quelli sani e conferiscono, come minimo, cattivi sapori al vino.

Il raccolto più razionale si ottiene impiegando ceste o cassette di legno o di plastica e maneggiando l’uva con molta accuratezza. Specie in colline dai pendii aspri, vengono adoperati bigonci che possono contenere anche 50 chili o più. Non è però conveniente ammassare troppo l’uva.

La raccolta dell’uva fatta con apposite macchine, come si usa comunemente nei vigneti della California, trova molte difficoltà ad essere applicata in Italia. Siamo ancora nella fase sperimentale, tenendo conto che questo sistema non può essere usato nei vigneti impiantati su terreni in notevole pendenza o addirittura scoscesi, come accade ad esempio in Valtellina.

Per le uve di grande pregio, la raccolta meccanizzata risulta totalmente inadatta, trattandosi di un prodotto particolarmente delicato che richiede cure amorose e molte precauzioni nel maneggiarlo.

Come si fa il vino

La prima operazione conseguente alla vendemmia è la pigiatura dell’uva, ossia la riduzione dell’uva in mosto. La pigiatura ha lo scopo di provocare la rottura della buccia e la fuoruscita della polpa dell’acino. Solo alcune piccole aziende di carattere familiare pigiano l’uva con i piedi nudi in vasche rettangolari di legno a un solo fondo o su doppi fondi. Se si pigia su un fondo solo, il mosto va asportato subito affinché non crei ostacoli per l’altra uva. Logicamente, la pigiatura meccanica è considerata il miglior sistema e anche il più economico per una vinificazione razionale. Con i metodi più aggiornati si ottiene subito la separazione del mosto dalle scorie che sono rappresentate dai graspi, dai vinaccioli e dalle bucce, quell’insieme che forma le cosiddette vinacce.

Queste vinacce vengono fatte macerare, per un periodo più o meno lungo, in alcuni tipi di vinificazione unite al mosto nella fase di fermentazione, ma la pratica della separazione delle scorie principali, e cioè i graspi, è ormai entrata nell’uso corrente.

Le pigiatrici sono macchine dotate di una tramoggia nella quale viene immessa l’uva da pigiare. Dalla tramoggia l’uva passa tra due cilindri scanalati i quali, ruotando in senso opposto tra di loro, eseguono un lavoro di schiacciamento degli acini. Il pigiato cade in un cilindro metallico forato che mediante un sistema rotante riesce ad eliminare i graspi che non andranno a fermentare nei tini. La buccia, i vinaccioli e il mosto liquido cadono in un tino sottostante.

Senza addentrarci in spiegazioni troppo particolareggiate, diciamo che i sistemi di diraspatura (senza i graspi) e non diraspatura (con i graspi) presentano i loro vantaggi e svantaggi. La presenza dei graspi, ad esempio, é utile per i vini che si vogliono particolarmente tannici, colorati o aromatici, in quanto essi facilitano la solubilizzazione del tannino; ne viene anche accelerata la fermentazione stessa.

La fermentazione

Questa complessa operazione per trasformare il mosto in vino si conosceva fino dal tempo degli Assiri, ma furono i Romani a perfezionarla. Fermentazione viene dal latino fervére e significa bollire. Infatti assomiglia molto al sobbollimento di un liquido. Quello ottenuto dalla pigiatura si presenta torbido, denso, appiccicaticcio, di sapore dolce e nello stesso tempo acido. Viene posto a fermentare negli appositi tini, dove viene lasciato per un certo periodo di tempo. Non bisogna abbandonare il mosto in fermentazione in balia di se stesso: si potrebbero ottenere risultati disastrosi.

Il mosto è composto da una parte liquida e da una parte solida (le bucce e i vinaccioli). Queste parti solide, avendo peso specifico inferiore al liquido, tendono a salire in superficie e quindi a separarsi dal liquido. La loro risalita é facilitata dall’anidride carbonica che rigonfia le parti solide. La vinaccia che risale in superficie e che si separa dal liquido prende il nome di «cappello». A contatto con l’aria il cappello si ossida e non bisogna permettere che questo si verifichi. Ecco perché si dice che la vinificazione, di solito, avviene a «cappello sommerso». Per affondare questo cappello ci si serve di bastoni muniti di pioli che si chiamano “follatori” oppure si dispone sulla parte superiore del tino un graticcio di listelli di legno. Nelle grandi vasche di fermentazione si usa il sistema del cappello emerso perché il recipiente ha un soffitto, quindi non è scoperto.

La fermentazione alcolica viene divisa in due periodi: fermentazione tumultuosa e fermentazione lenta. La prima fa seguito alla pigiatura dell’uva e va fino alla svinatura; la «lenta» prosegue poi fino alla completa trasformazione degli zuccheri in alcol.

La svinatura è l’operazione che permette di separare le vinacce dal mosto fermentato che si avvia a diventare vino; il prodotto che se ne i ottiene viene chiamato «vino fiore».

I classici sistemi di vinificazione

In bianco 

— Questo sistema è generalmente usato per i bianchi, per i quali si richiede un leggero colore, gusto liscio, delicato, senza tannicità. Principalmente consiste nella separazione immediata, dopo la pigiatura, delle vinacce dal mosto, il quale comincia a fermentare soltanto dopo tale separazione.

In rosso 

— Questo sistema consiste nel far fermentare il mosto di uve nere a contatto delle vinacce per alcuni giorni, durante i quali una certa percentuale di zucchero subisce la trasformazione in alcol. La durata del contatto dipende dalla qualità dell’uva e dal tipo di vino da produrre, nonché da fattori ambientali.

In rosato 

— Consiste nella fermentazione in bianco-rosato di mosti ricavati da uve nere. Questo sta a significare che il vino rosato non deriva dal semplice taglio fra vini bianchi e rossi, sistema troppo semplicistico, ma da una scrupolosa e appropriata tecnica di lavorazione di determinate uve. Il «cerasuolo, ad esempio, è un vino con qualità intermedie fra il rosato e il rosso.

Cure al vino nuovo

Sono molto importanti e consistono nelle colmature, nei travasi e nei controlli analitici. Come ho già accennato, la presenza di aria sulla superficie del vino è dannosa, per cui va ripristinato il massimo livello con aggiunta di altro vino sicuramente sano e di buona qualità. Talvolta è necessario ricorrere ad uno strato di vaselina pura per preservare il vino dal contatto con l’aria.

Travasi 

— Questi passaggi del vino da un recipiente all’altro vanno eseguiti con molta cura. ll primo avviene a fermentazione ultimata: il vino viene «svisato» e posto nelle botti. E’ ancora molto torbido, però grazie all’abbassamento della temperatura ambiente (d’inverno) e alla quiete, deposita le sostanze che ha ancora in sospensione e che provengono dalle parti solide dell’uva.

I vini rossi di buona costituzione, ricchi tannino, diventano presto limpidissimi. Si rende allora necessario il travaso in altre botti da effettuarsi a dicembre; un altro segue a marzo; poi un altro ancora a settembre quando si approssima o è già in corso un’altra vendemmia.

Per i vini da invecchiamento, negli anni successivi, é sufficiente un solo travaso all’anno. Al termine di queste operazioni di chiarificazione e precipitazione spontanee, il vino risulta più stabile e brillante, a meno che non siano nel frattempo intervenute azioni batteriche nocive. Va tenuto presente che il miglior vino é quello che presenta un minor numero di scorie o di residui superflui.

Va seguita con attenzione l’evaporazione che si verifica nelle botti, attraverso i pori del legno. Occorre procedere alla colmatura delle botti, almeno una volta alla settimana, con vino sano. Per questa operazione si segue il calo di appositi bicchieri posti sulla sommità della botte, o con altri sistemi, che segnalano i mutamenti avvenuti.

Intorbidamento 

— Un inconveniente cui quasi tutti i vini vanno più o meno soggetti è l’intorbidamento, causato dall’insolubilità del cremortartaro.

Un rimedio naturale é rappresentato dall’abbassarsi della temperatura, tramite il freddo invernale.

Ma esistono anche altri sistemi maggiormente tecnici perché gli sbalzi termici troppo bruschi possono danneggiare il vino.

Una filtrazione accurata si ottiene con il passaggio del vino attraverso strati filtranti, composti con tela, cellulosa, amianto in fibre. Logicamente con i travasi la chiarificazione avviene spontaneamente tramite la forza di gravità. Tuttavia vari agenti esterni possono favorirla, oppure ostacolarla, provocando delle coagulazioni e degli intorbidamenti che formeranno egualmente dei depositi, sempre fastidiosi. I bianchi e i vini provenienti da uve immature presentano maggiori difficoltà. In tal caso si procede alla chiarificazione dei vini con varie sostanze, come il bianco d’uovo e le gelatine.

I componenti del vino

Per chi si occupa di vitivinicoltura ed enologia, anche a livello di semplice appassionato, è importante dare almeno uno sguardo alla composizione del vino, per cercare di penetrare i segreti della sua intima struttura. Intanto, poiché il vino deriva dal mosto (che si ricava dall’uva fresca mediante pigiatura, sgrondatura o torchiatura), è evidente che molte sostanze dal mosto passano al vino e qualcuna di esse diminuisce percentualmente mentre altre aumentano.

Che cos’è il vino? Domanda semplice, ma vediamo cosa dice in proposito la legislazione italiana: Il vino è il prodotto della fermentazione alcolica totale o parziale dell’uva fresca ammostata con gradazione alcolica di almeno tre quinti della gradazione complessiva. L’enotecnico potrebbe aggiungere che questa bevanda è una soluzione idroalcolica (vale a dire un composto di acqua e alcol) nella quale si trovano disciolti numerosi componenti acidi, salini, organici, aromatici che a tale soluzione conferiscono particolari proprietà organolettiche e sapori variatissimi.

Sotto l’aspetto più compiutamente chimico, la soluzione idroalcolica é molto complessa ed è formata da numerose specie molecolari, aventi un andamento evolutivo promosso dagli enzimi e portato a compimento dai microrganismi presenti nella sostanza in cui hanno il loro ambiente naturale, che varia a seconda dei rapporti in cui si trovano i suoi componenti e con reazioni diverse a seconda dei trattamenti che il vino ha subito ad opera di coloro che lo producono e lo portano a maturazione.

Probabilmente non esiste un altro alimento tanto complesso per tutte quelle sostanze che si formano durante la fermentazione alcolica, la fermentazione malolattica, le fermentazioni secondarie e durante il periodo di invecchiamento.

Nella sua costituzione sono stati ravvisati oltre duecento elementi, ma si parla di un numero ben superiore, anche se non ancora totalmente definito.

Vediamo di analizzare brevemente la composizione del vino.

Acqua 

— Considerazioni scherzose a parte, è la principale componente del vino. Si trova nella stessa quantità presente nel mosto, con una percentuale che varia dal 70 all’85 per cento.

Alcol etilico 

— In ordine di importanza viene subito dopo l’acqua ed è presente in quantitativi che variano dal 4,5 al 19 per cento per i vini fortemente alcolici. Esso deriva dalla fermentazione degli zuccheri presenti nel mosto (glucosio e fruttosio) ad opera dei lieviti. La gradazione alcolica può essere “svolta”: è l’alcol effettivamente contenuto nel vino. La gradazione potenziale fa riferimento all’alcol che si svilupperà se si farà fermentare lo zucchero indecomposto ancora contenuto nel vino. La gradazione complessiva infine altro non è che la somma di quella svolta e di quella potenziale.

L’alcol etilico ha grande importanza nel vino perché, oltre al “carattere”, conferisce al prodotto un margine di sicurezza contro l’attacco di microbi patogeni che diminuirebbero la sua conservabilità.

Altri alcoli 

— Sia pure presenti in modesta quantità, hanno la loro importanza in quanto concorrono durante l’invecchiamento alla formazione degli esteri, sostanze che influiscono sullo sviluppo degli aromi. Citiamo — oltre all’alcol metilico — il propilico, il butilico e l’amilico, nonché la glicerina, alcol trivalen-te: questa conferisce al vino morbidezza.

Acidi 

— L’insieme degli acidi organici e inorganici costituisce l’acidità, molto importante dal punto di vista della degustazione (viene subito dopo gli alcoli).

L’acido tartarico é quantitativamente il più importante, poi vengono l’acido malico e l’acido citrico, già presenti. nel mosto. L’acido succinico e il lattico derivano invece dal processo fermentativo.

Tra gli acidi volatili il più importante é l’acido acetico, che però deve essere moderatamente presente nei vini provenienti da uve sane. L’insieme dell’acido acetico e dell’acido lattico, nonché degli esteri volatili e dell’aldeide, compongono la cosiddetta «acidità volatile», a volatile (perché si separa mediante distillazione) insieme all’acidità fissa (che è l’insieme degli acidi organici contenuti nell’uva) forma l’acidità totale, da cui dipendono la salute, la freschezza e la buona conservazione del vino.

Secondo la legislazione italiana, i vini per il consumo diretto non debbono avere un contenuto in acidi volatili che superi un decimo della gradazione alcolica.

Minerali 

— Oltre agli acidi organici, il vino contiene gli anioni degli acidi minerali (come il solforico, il cloridrico, il fosforico, il salicilico e altri) che sono totalmente combinati, ovvero salificati, dai cationi (potassio, calcio, magnesio, sodio, alluminio, ferro, manganese, rame, arsenico), tutti elementi che la vite assorbe dal terreno e che ritroviamo nel vino. Tali componenti possono variare da poche decine di milligrammi a 300 o 400 milligrammi per litro.

Zuccheri 

— Nei vini secchi rimangono pochissime tracce di zuccheri dopo la fermentazione alcolica. Comunque essi non mancano mai e contribuiscono a rendere il gusto più o meno morbido. Si parla di vini amabili quando gli zuccheri presenti nel vino sono nell’ordine dall’1 al 3 per cento. Quantità maggiori danno luogo ai vini dolci. I filtrati dolci possono arrivare anche a 70 grammi di zucchero per litro. Oltre al glucosio e fruttosio, sono presenti anche altri zuccheri speciali.

Sostanze coloranti 

— Possono essere più o me-’ no presenti nel vino non solo in dipendenza di ciò che è contenuto nella buccia dell’uva, ma anche del sistema di vinificazione.

Le uve bianche sono colorate dai flavoni che conferiscono ai vini quel colore giallo più meno accentuato. Nelle uve nere o rosse oltre ai flavoni sono presenti gli antociani, sostanze di colore che variano tra il rosso, il violaceo e l’azzurro. Tra queste sostanze si distingue l’enina, che si trova nella buccia dell’acino.

Dalla quantità dei pigmenti presenti nell’uva e nel vino deriva l’intensità colorante degli stessi e la gamma di tonalità dei vini bianchi e rossi. In taluni vini bianchi, la clorofilla dona tonalità verdoline.

Molto vicine alle sostanze coloranti sono le tanniche, il cui principale componente é il tannino; la sua presenza, a seconda della quantità, fa giudicare il vino aspro, astringente, allappante e ruvido. Le bucce contengono parecchio tannino, in proporzione da l a 5 in confronto alle bianche. Poiché questo composto sarebbe un calmante del sistema nervoso, si dice che i vini rossi sono più adatti dei bianchi per le persone che hanno un sistema nervoso scosso.

Composti organici 

— Nel vino sono contenuti parecchi composti organici di natura complessa, che influenzano i caratteri organolettici accrescendone il valore nutritivo: sostanze azotate, mucillagginose, gommose e pectiche. Queste ultime sono degli idrati di carbonio che si trovano nel mosto allo stato colloidale e vengono anche chiamati colloidi protettori, in quanto ostacolano altre precipitazioni nocive. I protidi o sostanze azotate si trovano nel mosto in quantità minime, tuttavia la loro presenza é necessaria in quanto sono gli alimenti perì lieviti della fermentazione alcolica. Queste sostanze allo stato colloidale contribuiscono poi, in seguito a fermentazioni secondarie, a conferire il caratteristico bouquet al vino.

Costante è la presenza dei gas: di essi l’anidride carbonica è uno dei più importanti fra quelli che si sviluppano durante la fermentazione alcolica. Ogni successiva rifermentazione, possibile nei vini aventi dello zucchero residuo, porta alla creazione di nuova anidride carbonica; lo stesso avviene nel corso della fermentazione malolattica.

L’ossigeno è indispensabile per la moltiplicazione dei lieviti nella prima fase della fermentazione alcolica ed è necessario all’affinamento dei vini pregiati.

E’ con questo mezzo che avviene la conservazione per lunghi anni nei recipienti di legno. Un gas che si manifesta sovente nei vini e che può conferire un cattivo odore di uova fradice è l’idrogeno solforato. II difetto viene elimina to mediante l’aerazione. E’ infine presente l’azoto, che però resta inerte e non avvertibile alla degustazione.

I processi enzimatici, quali l’invertasi, entrano nei processi di scomposizione del saccarosio in glucosio e fruttosio. Infine, parte delle vitamine contenute nell’uva si ritrovano nel vino. La vitamina C ha tra l’altro un effetto antiossidante. Siccome le vitamine sono sensibili ai troppo bruschi sbalzi di temperatura, quando i mette in opera la pastorizzazione del vino i solito eseguita per rendere più stabili vini i consumo corrente restano distrutte.

Analisi chimica

Ha lo scopo di determinare la quantità dei vari componenti del vino. Ciò può dare utili indicazioni, sia per giudicare il suo stato di evoluzione che per stabilire i trattamenti e le cure eventuali cui sottoporlo. Le analisi compiute di solito (a parte altre indagini più complesse) riguardano la determinazione dell’alcol, degli acidi fissi e volatili, degli zuccheri e infine delle sostanze estrattive.

La determinazione dell’alcol si effettua per mezzo di apparecchi chiamati ebulliometri.

L’acidità totale viene espressa in acido tartarico (tot grammi per litro) anche se a determinarla concorrono gli innumerevoli acidi presenti nel vino, sia in forma libera sia salificati. Servendosi della stessa reazione chimica svolta per determinare l’acidità totale, con gli esami di laboratorio si può stabilire il quantitativo di acidi volatili, che vengono separati l dagli acidi fissi mediante un flusso di vapore acqueo. Sempre attraverso l’analisi chimica si può determinare la quantità di zuccheri, ancora espressa in grammi per litro.

Per estratto secco si intende l’insieme di quelle sostanze non volatili che restano dopo che il vino è stato fatto evaporare. Esso comprende quindi gli acidi fissi, le sostanze minerali assorbite dalla vite attraverso il terreno, quali gli acidi inorganici salificati con potassio, magnesio, calcio e sodio; la glicerina, gli zuccheri, gli amidi, le pectine, le gomme, mucillaggini, sostanze azotate e coloranti.

Questo complesso che costituisce il «corpo del vino» varia da un minimo di 15 a un massimo di 30 grammi per litro, eccezion fatta per lo zucchero. Sono due i sistemi di determinazione: diretto e indiretto. Il primo mediante evaporazione e pesatura dei residui, il secondo tramite un rapporto tra la densità del vino e quella del suo distillato alcolico.

Grado alcolico

Il tenore di alcol svolto nei vini asciutti (completamente fermentati) e il tenore dell’alcol complessivo nei vini amabili servono come base nelle contrattazioni per stabilire il prezzo, in quanto si suppone che ad alte percentuali alcoliche corrispondano vini più sani e più buoni. La gradazione legale minima per i vini immessi ai consumo è fissata dalla legge in 10 gradi. Per i vini Doc la gradazione legale è stabilita dal disciplinare di produzione. Per determinare i pregi dei grandi vini, oltre al fattore alcolico, intervengono valori assai più importanti. Per ottenere il prezzo di un ettolitro di vino si moltiplica il prezzo per grado per il numero dei gradi riscontrati nel vino. Esempio: vino da 11 gradi, moltiplicati per lire al grado uguale a lire 44 000 all’ettolitro.

Malattie del vino

I progressi tecnologici compiuti in ogni campo, e naturalmente anche nell’enologia, escludono praticamente la presenza sul mercato di vini malati, come invece accadeva un tempo, quando il vino era commerciato sfuso, in damigiane e bottiglioni, non sempre ben tappati. Vale comunque la pena di conoscere malattie e difetti principali dei vini onde premunirsi in certi casi, per fortuna non frequenti. Quando si manifestano, le alterazioni sono per lo più di origine microbica, poiché taluni microrganismi trovano condizioni favorevoli per il loro sviluppo.

«Fioretta» 

— E una delle malattie più comuni, causata dalla trasformazione dell’alcol etilico. Il vino colpito presenta sulla superficie un velo biancastro molto fragile, che poi assume un colore grigiastro che tende a salire lungo le pareti del recipiente, sia esso botte, fiasco o bottiglia. A livello familiare può capitare quando si infiasca in proprio e appare questo strato sul collo della damigiana, o si notano puntini biancastri affioranti sulla superficie. Non è un difetto grave, si può eliminare con filtrazioni. In gergo tecnico per far scomparire la fioretta si procede ad una scolmatura.

Acescenza o spunto 

— L’alterazione può essere più o meno grave e in questo caso il vino sa decisamente di aceto, per cui bisogna evitare di berlo: lo stesso palato mette in allarme il consumatore. Lo «spunto corrisponde alla fase iniziale, in uno stadio più avanzato si determina l’acescenza cioè si sviluppa quel Mycoderma aceti che fu già isolato dal grande Pasteur. Il difetto è praticamente ineliminabile. Si verifica, in genere, quando i vini sono di gradazione alcolica troppo bassa e mancano di stabilità.

Agrodolce o fermentazione mannitica 

— Si sviluppa in certi casi nei vini giovani, specie in quelli di tipo amabile, con basso valore di acidità: il vino presenta delle particelle in sospensione e tende ad intorbidarsi.

Presenta inoltre un sapore dolciastro, come un frutto che abbia superato i limiti di maturazione, con aggiunta di una punta fastidiosamente acida. Il fenomeno è provocato da microbi che trasformano gli zuccheri del vino in mannite. I vini scrupolosamente lavorati non presentano mai questo inconveniente; in fase di produzione il difetto viene eliminato con aggiunta di anidride solforosa. Tale ag-giunta va calibrata scrupolosamente; altrimenti quando il consumatore beve il vino può andare incontro a cefalee.

Il girato 

è una malattia che si sviluppa di solito nei mesi estivi, con il gran caldo, e l’insorgere del fenomeno è caratterizzato dallo sviluppo di bollicine di anidride carbonica. Il vino si intorbida e si scolora e prende un odore poco gradevole, come se fosse invecchiato precocemente. L’inconveniente é fra i più gravi: se affrontato dal produttore di vino all’inizio, può essere rimediato con la pastorizzazione del vino e con una filtrazione molto accurata; se si verifica nella cantina del privato, il vino è da buttare.

Il filante o grassume 

si verifica particolarmente a carico dei vini dolci che diventano, in questa circostanza, torbidi ed oleosi.

L'amaro 

è una malattia che colpisce i vini rossi nella fase di invecchiamento. Si verificano i seguenti sintomi: intorbidazione, attenuazione del colore, sapore decisamente amaro. I produttori curano questi inconvenienti con carboni vegetali attivi.

I carboni

— diciamolo per inciso — sono permessi dalla legge. Riescono quasi sempre ad eliminare gli odori estranei.

Gli oli enologici (meglio dell’olio d’oliva che si usava un tempo) sono parimenti utili per proteggere la superficie del vino dal contatto con l’aria in botti, damigiane e fiaschi. Va precisato che sia i carboni sia gli oli sono insolubili nel vino e quindi non possono produrre alterazioni di sorta, né del gusto, né dell’aroma. Questo discorso vale per tutti gli altri additivi e coadiuvanti, tipo colle, gelatine o minerali silicei, tutti prodotti pure innocui e insolubili. Se ben impiegati, giovano al vino e ne perfezionano le caratteristiche. #Divino

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Lessico

Abboccato — Si dice di un vino che contiene una percentuale di zucchero naturale (non fermentato) modesta ma avvertibile nel corso della degustazione.

Acerbo — Sgradevole caratteristica di un vino proveniente da uve immature, e quindi molto ricco di acidi organici, che gli conferiscono un gusto come di mela acerba.

Acescenza — Detta anche «spunto» o « fortore ». Malattia del vino originata dal Bacterium aceti che (specie nei vini deboli d’alcol e di struttura) scompone l’alcol etilico in acido acetico e acqua: il vino, prima infiacchito e insipido, diviene acescente.

Acidità — Si distingue in fissa, volatile e totale, e forma la struttura portante degli acidi organici contenuti nell’uva, trasmessi, elaborati, al vino. La volatile è data dagli acidi detti «volatili» (specie quello acetico) perché si separano mediante distillazione. L’invecchiamento ne accentua la quantità ma esalta il profumo del vino. L’insieme di queste due forme costituisce l’acidità totale, da cui dipendono la salute e la buona conservazione” di un vino, la sua freschezza e il suo «tono nervoso».

Acidulo — Vino con acidità spiccata, dovuta ad acidi tartarico e malico liberi o a sali acidi che determinano un’acidità non piacevole quando è troppo accentuata.

Affumicato — Sensazione olfattiva nettamente avvertibile in vini provenienti da determinati vigneti, come le «schiave» dell’Alto Adige o il Pouilly-Fumé ottenuto dal Sauvignon sulla Loira.

Aggressivo — Vino che attacca decisamente le papille gustative con spiacevole sensazione. Il difetto deriva da eccessiva acidità, insufficiente maturazione dell’uva, eccesso di tannino oppure lunga permanenza del vino sulle vinacce.

Alcolico — Quando l’alcol predomina nettamente sugli altri componenti, sia che derivi naturalmente da uve ad alto contenuto zuccherino, sia per aggiunta diretta di alcol etilico (alcolizzazione) nei casi in cui la pratica é consentita. L’alcol provoca una sensazione gustativa pseudocalorica ben avvertibile, specie a livello del retrobocca e dell’esofago.

Allappante — Sensazione sgradevole di asprezza e ruvidità che si rileva sul dorso della lingua degustando. E dovuta soprattutto ad eccesso di tannino ed è tipica dei vini giovani ben strutturati (Barbera, Gattinara, Barolo) da destinare a lungo invecchiamento.

Amabile — Si dice di un vino che contiene una sensibile percentuale di zucchero residuo — o aggiunto — nettamente avvertibile nel corso della degustazione. E più che «abboccato.

Amaro — Malattia che attacca i vini, anche di buona struttura, rendendoli insipidi inizialmente e poi decisamente amari: è dovuta a degenerazione di alcoli superiori (glicerina) e dell’acido tartarico. Si può prevenire con la pastorizzazione». Da non confondere col termine «amarognolo.

Ammaccato — Caratteristico gusto di secco ed ammuffito presente in vini che derivano da uve colpite dalla grandine: denuncia in genere una cattiva conservabilità.

Ampio — Termine che designa sensazioni gustative ampie e complete all’assaggio: è proprio di vini molto ricchi e ben strutturati dotati di perfetto equilibrio ed ottima armonia.

Angoloso — Sgradevole sensazione di ruvidità tipica di vini immaturi e disarmonici.

Aristocratico — Si dice di un vino dotato di eccezionali doti di finezza, in genere conferitegli dalla nobiltà del vitigno di provenienza.

Armonico — Termine che designa l’insieme delle sensazioni gradevoli che suscita un vino di distinta ed equilibrata composizione.

Aroma — Sensazione olfattiva e gustativa, in genere di carattere positivo, derivante dal vitigno di provenienza, che costituisce specifica caratteristica distintiva e si percepisce per via retronasale. E generato da una serie di sostanze poste appena al disotto della buccia dell’acino e tende a diminuire nel corso della fermentazione tumultuosa; ecco perché i vini dolci sono più aromatici di quelli secchi. Tipici i moscati, le malvasie, gli aleatici eccetera.

Aromatizzazione — Pratica enologica consistente nell’aggiunta di sostanze aromatizzanti (china, salvia sclarea, arancio amaro, vaniglia eccetera) in vini di norma ad elevato tenore alcolico — secchi o amabili — quando la legge lo consente. Tipico il caso del vermut italiano.

Asciutto — Termine che sembra in contrasto in un elemento liquido: si dice di un vino il cui sapore finisce in bocca con una gradevole sensazione di «asciutto» e di pulito.

Aspro — Sensazione di ruvidità che sembra raschiare la lingua e le mucose della bocca. E dovuto ad eccesso di tannino o di acidi organici che, col tempo, precipitano per salificazione rendendo il vino più gradevole. “Aspro” é più che “angoloso”.

Astringente — In genere é sinonimo di “allapante”, ed é dovuto all’eccesso di tannino nei vini giovani, ma si può intendere anche in senso diverso: alcuni vini vecchi danno le medesime sensazioni — sia pure in forme più attenuate — dovute però alla presenza di altri composti polifenolici.

Austero — Caratteristica molto apprezzabile di alcuni grandi vini rossi italiani invecchiati. E’ dovuta alla presenza di tannini residui che tendono a soverchiare gli altri componenti impedendo loro di emergere nel corso dell’assaggio. La sensazione varia o relazione alla temperatura a cui il vino viene degustato.

Bouquet — Espressione tipica dei Francesi, traducibile in italiano con “mazzo di fiori”. Designa l’insieme delle sensazioni olfattive che procura un vino di buona provenienza dopo un giusto periodo d’invecchiamento.

Brillante — E’ il termine più elevato nella scala del valori attribuiti alla limpidezza di un vino. Di norma si riferisce a champagnes e spumanti.

Caldo — Sensazione pseudocalorica che si rileva nei vini ad elevata gradazione e ricchi di glicerina: è dovuta alla rapida ossidazione degli alcoli.

Camicia — Pellicola che riveste le pareti interne delle bottiglie di vini rossi, intensamente colorati, sottoposti a lungo invecchiamento: è costituita, in prevalenza, dalle materie coloranti — naturali componenti del vino — che tendono a separarsi col tempo. Il processo si accelera se il vetro è chiaro.

Carattere — Si dice che un vino «ha carattere» quando afferma decisamente, attraverso i suoi componenti, la sua tipicità.

Caratteristico — Termine che si attribuiste a vini facilmente riconoscibili per uno o più elementi specifici di particolare tipicità: colore, odore o sapore.

Carezzevole — Gradevole impressione di fluidità che si riporta nell’assaggio di vini ricchi di glicerina, armoniosi e ben equilibrati.

Completo — Vino di ottima costituzione che riunisce in sé tutte le qualità positive: profumo, eleganza, finezza, razza ed armonia; si riscontra solo nelle grandi annate.

Consistente — Designa un vino dotato di struttura molto robusta, i cui componenti siano presenti in misura rilevante, indipendentemente da considerazioni qualitative.

Corpo o Corposo — Insieme degli elementi che compongono la struttura di un vino, con particolare riferimento alle materie estrattive. Il secondo termine indica ricchezza di alcol, di estratto secco, di colore e di sapore.

Corroborante — Si dice di un vino molto ricco di alcol e di estratto, con deciso sapore amaro gradevole, che agisce come un tonico e viene quindi consigliato negli stati di deperimento organico.

Cultivar — Termine botanico che distingue le diverse sottospecie di uno stesso vitigno.

Debole — Vino scarsamente dotato per carenza qualitativa e quantitativa di componenti, in particolare alcol ed estratto.

Deciso — Si dice di un sapore franco e marcato che si rivela con immediatezza.

Decrepito — Vino sottoposto a un invecchiamento troppo prolungato, nel corso del quale i suoi componenti hanno subito un intenso processo di degenerazione che rende impossibile qualsiasi valutazione degustativa.

Delicato — Attributo di un sapore o di un profumo scarsamente rilevati ma dotati di finezza ed armonia.

Deposito — Vedi “Sedimento”.

Distinto — Vedi “Elegante”.

Dolce — Termine che sta ad indicare unicamente la presenza di zucchero, in misura variabile ma rilevante — naturale o aggiunto — nettamente percepibile alla degustazione. In generale definisce un sapore gradevole, ma in modo vago e impreciso, e assume significati diversi secondo i vini cui si riferisce.

Dolciastro — Vino in cui il dolce appare quasi isolato dagli altri componenti, come se tosse stato aggiunto. Ciò si verifica quando vengono impiegati zuccheri di scarto, dosi di saccarina ed altri metodi proibiti dalla legge.

Duro — Si dice di un vino rosso giovane o disarmonico troppo ricco di acidità e di tannino in rapporto alla gradazione alcolica. Si attenua di norma con l’invecchiamento.

Elegante — Questa proprietà si attribuisce ad un vino — solitamente di buona razza — in cui siano fuse armonicamente le caratteristiche più pregevoli.

Equilibrato — Si riferisce ad un vino i cui elementi costitutivi siano presenti in giuste porzioni, in modo che nessuno prova sugli altri, ma che tutti siano armoniosamente fusi. Se anche uno solo dei componenti eccede o difetta, si avrà un prodotto squilibrato.

Erbaceo — Particolare sapore conferito a determinati vini (Merlot trentino, Freisa piemontese) dal vitigno di provenienza. Può anche essere dovuto alla permanenza del vino sui graspi nel corso della fermentazione.

Estratto — L’insieme delle sostanze rimaste dopo che il vino è stato sottoposto a ebollizione prolungata. Se il liquido evapora del tutto, si ha “l’estratto secco”. La ricchezza di estratto determina il “corpo” del vino.

Fiacco — Vino che manca di nerbo e che tende a perdere facilmente il proprio equilibrio dopo qualsiasi normale pratica di cantina.

Finezza — Caratteristica distintiva della provenienza da un vitigno nobile. Si può riferire anche a vini che abbiano un gusto delicato ed un profumo sottile.

Finisce bene — Si dice di un vino i cui elementi costitutivi sono in perfetta sintonia. Dopo aver favorevolmente impressionato l’olfatto e il palato, la buona sensazione è avvertita anche dallo stomaco.

Fluidità — Si rileva visivamente mentre si versa il vino nel bicchiere e se ne osserva il comportamento. La fluidità è in rapporto con il contenuto alcolico e la glicerina. Se scorrevole, iI vino è “fluido” ma può anche essere denso, oleoso e vischioso.

Fondo — Vedi “Sedimento”.

Fragranza — Sensazione olfattiva e gustativa che ricorda fiori o frutti maturi, o anche le due cose insieme, ed è dovuta all’attività dei lieviti (microorganismi unicellulari presenti sulla buccia dell’uva, dove sono trattenuti da una sostanza cerosa detta “pruina”.)

Franco — E un vino che da sensazioni nette e ben precise sia all’olfatto che al gusto.

Fresco — Caratteristica tipica di certi vini giovani nei quali si assommano felicemente vivacità, fruttato e gradevole acidità.

Frizzante — Caratteristico sviluppo di gas acido carbonico dovuto a naturali fermentazioni secondarie in bottiglia a spese dello zucchero residuo. Varia di intensità a seconda del contenuto zuccherino. Es.: Moscato naturale, lambrusco, Brachetto eccetera.

Fusto (gusto di) — Sgradevole sapore conferito al vino da recipienti di legno non perfettamente puliti, o lasciati a lungo inutilizzati, o attaccati da muffe.

Gagliardo — Vino molto robusto e ricco di alcol che sale in fretta alla testa e risulta inebriante.

Generoso — Vino caldo e vigoroso che dà una gradevole sensazione di benessere producendo un effetto tonico senza inebriare.

Giovane — Termine che assume significati diversi a seconda dei vini cui sl riferisce. Si applica sia ai vini giovani di età sia a vini che — pur invecchiati per qualche tempo — abbiano mantenuto caratteristiche giovanili.

Goudron — Tradotto letteralmente “catrame”. Caratteristico profumo di vini vecchi ben strutturati che ricorda — in forma nobilitata — gli oli essenziali del catrame.

Gradevole — Vino che all’assaggio sia equilibrato e armonico e finisca bene in bocca.

Grasso — Si attribuisce a un vino molto ricco di glicerina, in genere ancora con residuo zuccherino. Si rivela all’assaggio per la tipica sensazione di untuosità, ed è osservabile anche sulle pareti del bicchiere perché si formano le cosiddette “lacrime” dovute alla maggior tensione superficiale della glicerina rispetto a quella degli altri componenti.

Gusto — Insieme delle sensazioni olfattive e gustative del senso chimico comune dovute alle proprietà del prodotto in esame. In senso stretto, in fisiologia, é sinonimo di sapore.

Immaturo — Si dice di un vino che non abbia ancora raggiunto la pienezza e la completezza del sapore e del profumo. In alcuni casi, quando il vino è conservato in ambienti troppo freddi ed in vasche di cemento, stenta a raggiungere la maturazione anche dopo parecchio tempo.

Inebriante — Sono i vini che si ossidano molto rapidamente nell’organismo umano sottraendo ossigeno dal sangue e causando così uno stato di ebbrezza. A digiuno questo effetto viene raggiunto facilmente.

Leggero — Vino dotato di modesta gradazione alcolica ma di buon equilibrio: è caratteristica apprezzabile in certi vini (Lambrusco, Bardolino, Erbaluce) che si possono bere in quantità senza conseguenze inebrianti.

Limpido — Dopo «brillante» e «limpidissimo», questo termine designa una qualità molto apprezzata dai consumatori, specie nei vini bianchi. Se non raggiunta naturalmente, si ricorre a semplici pratiche enologiche (travasi, filtrazioni, chiarificazione) badando a non sminuire il profumo e l’aroma del vino.

Maderizzato — Vino — per solito bianco o rosato di modesta struttura — che abbia subito un processo di ossidazione naturale mutando gli alcoli in aldeidi. II sapore si infiacchisce e ricorda, degenerato, il Madera o il Marsala invecchiati, e il colore si incupisce.

Magro — Attributo di vini deboli di estratto che Però hanno buon nerbo e sapidità dovuti a ricchezza di sali minerali. In certi vini è caratteristica molto apprezzabile.

Marsalato — Vedi “Maderizzato”.

Millesimo — Termine di derivazione francese, attribuito in particolare agli champagnes, che sta ad indicare un’annata di produzione particolarmente felice.

Morbido — Si intende con lo stesso significato di «carezzevole», ma in senso meno nobile.

Muffa — Gusto sgradevole conferito al vino da uve attaccate da funghi unicellulari (Botrytis) in annate particolarmente umide. Si può intendere in senso positivo solo nel caso della «muffa nobile» che fa aumentare. il tenore zuccherino dell’uva e dà al vino un sapore gradevolissimo assolutamente eccezionale: Moscato trentino, Sauternes, Picolit, passiti.

Muschio o Muschiato — Gradevole aroma specifico del vitigno «Moscato» che tende ad attenuarsi nel corso della fermentazione alcolica. Nei tipi dolci è molto più marcato che in quelli secchi.

Nerbo — Qualità positiva legata ad una struttura acida ben equilibrata. Conferisce sempre tono e mette in risalto tutte le buone caratteristiche di un vino che viene anche definito «nervoso».

Netto — Si intende nello stesso senso di «franco» ma può significare la sensazione data da un vino che «chiude bene» in bocca senza ripercussioni di retrogusto.

Neutro — E’ un vino correttamente impostato che non ha particolare «marca» derivante dai vitigno di provenienza o dal terreno. Ha sempre acidità totale piuttosto modesta.

Odore — Sensazione percepita dall’organo dell’olfatto nell’aspirare composti volatili. Può designare sia i composti volatili in se stessi sia la qualità delle sensazioni particolari che essi provocano.

Oleoso — E’ un vino malato attaccato da particolari batteri anaerobici che ne alterano la struttura rendendolo filante: versandolo non produce rumore. E’ tipico di vini bianchi già imbottigliati poveri di alcol e di tannino: diventano opalescenti e insipidi.

Opalescenza — Alterazione del colore e della limpidezza dovuta a cause varie e non sempre ben identificabili, principalmente ad eccesso di sostanze azotate in sospensione o per rapide escursioni termiche.

Ossidazione — Malattia del vino, dovuta a prolungato contatto con l’ossigeno dell’aria, che attacca soprattutto i vini bianchi, alterandone il colore e il sapore.

Passante — Caratteristica di vini leggeri con tenore alcolico e struttura modesti, tali da potersi bere con facilità.

Perlage — In italiano “fontanella”. Bollicine di gas carbonico tipiche dei vini spumanti, che si liberano partendo dalle depressioni del vetro del bicchiere — in genere dal fondo — per salire continuamente verso la superficie, espandendosi.

Persistenza — Tempo durante il quale persiste — apparentemente in bocca — una sensazione di aroma dopo che il prodotto degustato è stato espulso dalla bocca, ed è dovuta in prevalenza non ai costituenti volatili del vino, ma a quelli estrattivi. Si distingue dal retrogusto per il fatto che le sensazioni aromatiche che comporta sono identiche o molto vicine a quelle che erano state percepite mentre il vino era ancora nella cavità orale.

Personalità — Vedi “Carattere”.

Pieno — Si applica ad un vino di buon tenore alcolico; corposo ed equilibrato.

Profumo — Insieme delle sensazioni olfattive di un vino. Risulta dalla combinazione dell’aroma dovuto al vitigno e dal profumo vero e proprio, dovuto sia all’attività dei lieviti (fermenti) sia alla progressiva ossidazione che avviene nel corso dell’invecchiamento.

“Pronta beva” — Espressione del vernacolo toscano per designare quei vini che giungono molto presto a maturazione e che quindi vanno bevuti giovani.

Retrogusto — Sensazione gustativa e olfattiva che appare permanendo anche a lungo dopo che il vino è stato espulso dalla bocca a seguito della degustazione. In genere, ha senso positivo e differisce dalle sensazioni percepite inizialmente in bocca.

Retronasale — Designa le sensazioni olfattive i cui stimoli vengono condotti sulle mucose olfattive mediante l’espirazione, partendo dal vino messo in bocca per la degustazione.

Robusto — Vedi “Consistente”.

Rotondo — Vino cui la glicerina (alcol superiore), gli zuccheri residui e la moderata acidità totale danno piacevole morbidezza.

Ruvido — Vedi “Angoloso” e “Aspro”.

Salmastro — Vino in cui si ravvisa il sapore del sale da cucina, il che accade in certi vini ottenuti da uve coltivate in terreni salati di bonifica e presso il mare. In alcuni casi il vino è anche «resinato» (prende la resina) quando rimane per un certo tempo in fusti di abete, di larice o di altre piante resinose.

Sapido — Gradevole sensazione gustativa che si rileva in vini di buona razza, nati su terreni particolarmente ricchi di sali minerali. Si impiega anche il termine «salato».

Sapore — Designa le quattro sensazioni fondamentali (acido, amaro, salato, dolce), e il loro insieme, derivate dallo stimolo dei recettori gustativi della lingua e dovute alle proprietà dei corpi che inducono questo stimolo.

Sbattuto — Si dice di un vino, sia sfuso che in bottiglia, che abbia subito un “trauma” dovuto al trasporto o a particolari pratiche di cantina, come travasi o pompaggi. E uno stato transitorio, più o meno lungo, al termine del quale il vino ritrova il suo equilibrio.

Sbollito — Sensazione di fiacchezza che si rileva in un vino che non ha seguito un processo d’invecchiamento favorevole e che ha perso nerbo e personalità.

«Scappa in bocca» — Vino che può dare sensazioni anche gradevoli ma troppo sfuggenti, così da riuscire deludente.

Scarno — Qualifica un vino di scarsa gradazione alcolica, relativamente corretto, ma con sapore e odore insufficienti.

Schiuma — Si forma alla sommità di un recipiente versando il vino. Può essere fuggevole, in vini nervosi, o persistente, in vini grassi o colpiti da malattie. Dal suo colore si possono anche giudicare la salute e l’età del vino.

Scolorito — Vino che rivela macroscopicamente una decolorazione netta rispetto al suo standard ordinario. E normale nei vini rossi invecchiati per la naturale precipitazione delle materie coloranti.

Scorrevole — Designa semplicemente un vino fresco e leggero che scivola facilmente e gradevolmente in gola.

Secco — Si dice di un vino in cui lo zucchero si sia trasformato completamente in alcoli primari nel corso della fermentazione, o sia presente in minime tracce non avvertibili alla degustazione. Se questo vino é ricco di glicerina, può apparire morbido anche se non ha zucchero residuo.

Sedimento — Naturale deposito di sostanze insolubili che si forma a causa della salificazione degli acidi organici presenti nel vino (particolarmente acido tartarico) e della precipitazione delle materie coloranti combinate. Si separa mediante travaso.

Selvatico — Sensazione olfattiva o gustativa, anche molto marcata, tipica dei vini derivanti da vitigni ibridi produttori diretti. Può provenire anche da particolari malattie, come si rileva negli champagnes molto invecchiati.

Sfumato — Si dice di un vino che non dia sensazioni nette e precise, ma solo accennate e sfuggenti, nel colore, nell’odore e nel sapore.

Smaccato — Designa, in senso negativo, un odore o un sapore che si rivelano pesantemente ai nostri sensi. Si riferisce, in particolare, a sapori dolci o fruttati piuttosto ordinari e sgradevolmente persistenti.

Sottile — Vino di buona composizione ed armonia, con tutti i componenti in misura modesta che diano sensazioni apprezzabili ed eleganti, ma flebili.

Sottofondo — Sensazioni sottili che vanno intercettate quasi fra le pieghe di quelle principali — più appariscenti — e che completano piacevolmente l’armonia dell’insieme.

Spogliato — Si dice di un vino in via di maturazione in cui, per cause varie, sia avvenuta una sedimentazione eccessiva, tale da impoverirlo in alcuni componenti, lasciando una sensazione di squilibrio e di vuoto.

Spumanti — Vini sottoposti ad una particolare rifermentazione in grandi recipienti (metodo Charmat) o direttamente in bottiglia (metodo classico o Champenois) in modo che assumano la «presa di spuma» dovuta allo sviluppo dell’anidride carbonica in misura non inferiore alle cinque atmosfere, per legge. Sono di solito bianchi, più raramente rosati o rossi, con sapore amabile, mezzo secco o totalmente secco (demi-sec, brut, extra brut).

Spumeggiante — Si attribuisce a vini contenenti una certa percentuale di zucchero residuo che rifermenta naturalmente in bottiglia conferendo il tipico frizzante. A volte lasciano un leggero sedimento.

Spunto — Vedi «Acescenza ».

Stabile — Si dice di un vino ben strutturato e di sicura conservabilità, indipendentemente da considerazioni qualitative.

Stoffa — Designa l’insieme dei componenti, la personalità e il carattere del vino. Può essere distinta, consistente, elegante, oppure tenue, ruvida eccetera.

Tannico — Vino molto ricco di tannini, sostanze organiche complesse presenti nella buccia, nel graspo e nei semi dell’uva. Si trovano soprattutto nei vini giovani rossi e sono destinati a combinarsi formando sostanze insolubili che precipitano. Dal tannino, durante l’invecchiamento, vengono generati i profumi.

Tappo (gusto di) — Il “gusto di tappo” viene conferito al vino dal sughero non stagionato o attaccato dalle muffe ed è molto sgradevole. Se si tratta di un sentore leggero, può scomparire quasi totalmente lasciando la bottiglia aperta per qualche minuto.

Tenue — Vedi «Sfumato».

Terroso — Si attribuisce a vini nati da uve poste su terreni di particolare composizione che conferiscono loro un sapore sgradevole e marcato, specifico della zona di provenienza.

Torbido — Si dice di un vino la cui limpidezza sia alterata in maniera molto notevole da materie in sospensione destinate a decantare successivamente (alla svinatura). Può anche dipendere da malattie causate da microrganismi che portano alla distruzione del prodotto.

Vecchio — Vino che ha raggiunto o superato lo stadio della «maturazione», assumendo caratteri ben affermati di colore, profumo e sapore. L’accezione del termine è molto relativa perché varia secondo i vini cui viene applicato: in genere si intende un periodo di tempo compreso fra i 5 e i 15 anni.

Velato — Si dice di un vino la cui limpidezza è alterata da piccole particelle in sospensione. E’ tipico nei vini giovani negli stadi successivi alla fermentazione principale: scompare per sedimentazione dopo un certo tempo. In qualche caso può essere dovuto a malattie.

Vellutato — Si attribuisce a carezzevoli impressioni gustative che richiamano quelle tattili del velluto. Si tratta sempre di vini invecchiati di buona armonia, con acidità totale moderata e ricchi di glicerina.

Vena — Leggero sentore amabile che si avverte in vini bianchi o rossi contenenti residui zuccherini indecomposti. A volte devia dal sapore principale.

Verde — Vino ottenuto da uve non perfettamente mature che gli hanno trasmesso torme acide anomale. Se l’acidità non è troppo elevata, l’equilibrio può anche essere raggiunto successivamente ed il vino assumerà un durevole tono di freschezza.

Vigoroso — Vedi «Consistente » e «Generoso ».

Vinoso — Si dice di un vino giovane dotato di buona struttura, equilibrio e gradazione alcolica, con carattere ben affermato nelle impressioni olfattive e gustative.

Vivace — Vedi “Fresco”

Vuoto — Ha un significato analogo a quello di «debole», ma in senso peggiorativo.

(continua) #Divino

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Un po’ di storia

Autorevoli studiosi sostengono che i vocaboli woin e wain, dai quali sarebbe derivato il greco oinos, siano forme della stessa antichissima parola, anteriore alla suddivisione dei popoli indoeuropei e semitici.

Non si sa però esattamente quale sia la patria d’origine della pianta sacra a Bacco (Vitis vinifera sativa) e nemmeno si sa se discenda dalla vite silvestre, che era selvatica e cresceva in forma selvaggia a dismisura, con tronchi molto robusti e selve di tralci che avevano le dimensioni di veri e propri rami. Solo in un secondo tempo — impossibile fare il calcolo degli anni, se centinaia o millenni — la vite selvatica fu “addomesticata”.

Sicuramente la vite ebbe molta importanza per le abitudini e il ritmo lavorativo dell’uomo e sicuramente costituì un incentivo, come altre colture agricole, per fargli abbandonare la vita nomade, inducendolo a stabilirsi in luoghi collinari ameni per seguire il ciclo che dura tutto l’anno prima che l’uva giunga a maturazione e sia poi pronta ad essere trasformata prima in mosto e poi in bevanda, secondo pratiche enologiche millenarie. Queste operazioni non hanno subito, rispetto all’antichità, grandi trasformazioni o radicali mutamenti.

La leggenda attribuisce l’invenzione del vino a Noè, che sarebbe anche stato il protagonista della prima ubriacatura, suscitando le apprensioni di Sem, Cam e Jafet, suoi figli. Pur non potendosi sostenere a fondo questa tesi, resta a suo favore il fatto che il vino si produce ancora, se non proprio sulle pendici del monte Ararat, almeno in quel grande centro semitico che era allora la Transcaucasia.

Dalla Transcaucasia la vite sarebbe passata nella Tracia settentrionale, trasmigrando poi ancora, pare per opera dei navigatori fenici, dalla Siria alla Grecia, dalla Grecia all’Italia e infine nella Gallia e nell’Europa centrale, fino ai limiti climatici di coltivazione, dopo esservi stata portata dai legionari romani.

Né una parte determinante in questa diffusione della vite domestica può essere negata all’Egitto, dove, nei documenti di scambi commerciali, il vino figura ai primissimi posti. La bevanda era un simbolo di vita e di forza e veniva prodotta in cantine che utilizzavano l’uva raccolta nei giardini del Nilo, disseminati lungo il delta. Gli Egizi — che avevano tra l’altro dimestichezza con la birra — erano già dei maestri in materia.

Pratiche enologiche comuni erano la pigiatura, eseguita con i piedi, come dimostrano numerose tavolette egizie, e le filtrazioni che dovevano essere accurate, conoscendo la precisione di quel popolo nell’eseguire i lavori agricoli e artigianali. A fermentazione conclusa, il vino veniva immesso in giare di varie dimensioni, anche molto capaci, sia per l’incantinamento sia per il trasporto sulle navi vinarie. Il vino, a causa del suo prezzo elevato, era una bevanda riservata ai ricchi.

In Mesopotamia ci sono riferimenti al vino che risalgono a circa 2500 anni prima di Cristo e alcuni documenti scritti testimoniano la presenza di vigneti intorno ai palazzi dei nobili. Il vino più pregiato era riservato alle genti di nobile censo, mentre gli schiavi dovevano accontentarsi di un vino più ordinario.

Più o meno, le stesse usanze le avevano i Greci che, occupando un posto fondamentale nello sviluppo della civiltà mediterranea, erano in primo piano nella produzione vinicola, dopo essersi fatti insegnare un’arte che conoscevano poco, dal momento che erano prevalentemente pastori. Troviamo così il vino al posto d’onore nelle opere di Omero, accanto agli elmi, alle lance, alle spade. Nell’Odissea il Mare Egeo viene paragonato al «vino scuro». In documenti scoperti a Plios e all’isola di Creta, risalenti a quattordici secoli prima di Cristo, il vino viene ampiamente menzionato. Veniamo così a sapere che anche allora si usavano i bottiglioni; le coppe d’oro e d’argento venivano usate non solo dai re, ma anche dai maggiori dignitari.

Il vino veniva sempre miscelato con l’acqua, mentre per il trasporto si adoperavano otri di cuoio. Le grandi giare per la conservazione erano chiamate pìthoi e si procedeva alla loro solenne apertura in occasione delle maggiori feste. Molta importanza era attribuita all’età del vino, che veniva considerato vecchio solo dopo quattro anni. Le donne di alto censo non potevano bere il vino e se erano scoperte subivano severe condanne; ciò non toglie che ricorressero ad artifizi per nascondere il loro vizietto segreto. Oggi le donne possono degustare in pace un buon bicchiere di vino, ma allora correvano persino il rischio di una condanna a morte.

Seguendo usanze provenienti dall’Oriente, si aggiungevano al vino anche mirra ed altre sostanze aromatiche.

La vigna era chiamata oinàs e, pur non ricevendo eccessive cure, dava i suoi frutti con generosità ed abbondanza.

Durante i banchetti spettava al «cerimoniere, di determinare il quantitativo di vino da bere, di miscelarlo correttamente con l’acqua e di dare disposizioni per il brindisi.

II “cin cin o cincin”, allora non si usava, perché questa tradizionale formula è stata presa a prestito piuttosto recentemente dai Cinesi, presso i quali rappresenta un’espressione di saluto interpretata in italiano come voce onomatopeica riproducente il suono di due bicchieri che si urtano.

Per quanto riguarda l’Italia, va ricordato che ancor oggi si usa chiamarla Enotria o Enotria tellus, cioè terra del vino, e questo vuol dire che il complimento era davvero meritato già a quei tempi. Gli Enotri occupavano la parte meridionale della Penisola, pressappoco quella che oggi corrisponde alle regioni della Basilicata e della Calabria.

E fu proprio un pioniere greco, di nome Enotro, a colonizzare quelle terre, impiantandovi le prime barbatelle che provenivano dall’Egeo. Poi, pian piano, la vite si diffuse in Sicilia, in Puglia e in Campania, indi in Toscana e nel Lazio, fino ad arrivare al territorio dell’antica Rezia, una vasta regione che abbracciava il Trentino-Alto Adige, la Valtellina, il Friuli, arrivando al basso Veneto e spingendosi fino alla Valle d’Aosta.

Secondo altre fonti, la vite avrebbe cominciato ad espandersi dalla Sicilia con i colonizzatori di Micene. Poi, con la civiltà villanoviana (mille anni prima di Cristo), sarebbe lentamente risalita a nord, ricevendo un forte impulso dagli Etruschi, colonizzatori dell’entroterra toscano e probabili primi abitatori della zona del Chianti.

Un insigne studioso del vino, Giovanni Dalmasso, ha fornito interessanti notizie sulle origini dei vino in Italia. Per quanto riguarda la Toscana, egli formulò delle ipotesi che proverebbero l’esistenza della vite in queste contrade prima dell’avvento dell’era umana. Quindi non sarebbero stati i navigatori fenici a portare la pianta, che in quelle contrade esisteva già. Ciò sarebbe provato dai reperti di travertino affioranti nella zona di San Vivaldo dove furono ritrovate impronte fossili della Vitis vinifera, cioè l’antenata delle varietà coltivate attualmente che, come già detto, cresceva spontanea.

Addentrarsi nei misteri della preistoria è quasi impossibile, ma non meno incerti sono gli albori della storia. Di certo si sa, ad esempio, che gli Etruschi furono gli antenati di quei vignaioli toscani che fecero conoscere il Chianti in ogni parte del mondo.

Il vino “miele del cuore”, come lo definisce con caratteristica ed efficace immagine il poeta Omero, era bevuto dagli Etruschi nella “patera”, un recipiente di mescita entrato in uso ben sette secoli prima di Cristo. Aveva la forma di una coppa un po’ ovoidale, con due manici allungati a nastro per poterla più agevolmente portare alle labbra, standosene comodamente sul triclinio.

Molto importante è il fatto che furono gli antichi abitatori etruschi ad introdurre l’uso del vino «pretto», cioè naturale, mentre Greci e Romani lo pasticciavano con aggiunta non solo di acqua, ma di infusi vari di erbe, con miele ed altre sostanze dolcificanti. Non dimentichiamo che allora non esisteva lo zucchero e quindi si ricorreva ad assumerlo non solo con le sostanze alcolico-zuccherine contenute nel vino, ma anche con l’aggiunta di sostanze ricche di zuccheri, come il miele. Una terapia inconscia, se vogliamo, ma efficace, poiché l’organismo ha bisogno di una certa quantità di zuccheri per la sua perfetta funzionalità.

I visitatori dei musei etruschi, come quello bellissimo di Volterra, o delle necropoli con le pareti affrescate di Tarquinia e di Cerveteri, per esempio, non mancheranno di notare scene che hanno attinenza con la mescita del vino o con altre cerimonie enoiche. Quasi per dare ragione in anticipo a quanto affermava, lo scrittore latino di agricoltura Lucio Columella, in uno stile chiaro e comprensibile a tutti, asseriva: “Ciò che può piacere per i suoi pregi naturali è certamente superiore a tutto” (e intendeva riferirsi al vino schietto, prodotto con i manipolatori di vini trattati non solo con sostanze vegetali, ma anche minerali.

Dal porto di Rosellae, ancor prima che fosse attivato il porto romano alle foci del Tevere, alle spalle di Grosseto (che allora non esisteva), partivano le barche per il trasporto del vino etrusco verso lidi anche assai lontani. Le anfore venivano ingegnosamente sigillate con stucco e con tamponi imbevuti d’olio. Fatta salva la leggenda di Noè, si può ben dire che il vino etrusco è stato, in realtà, uno dei più antichi del mondo. Una delle prove più certe della familiarità del popolo etrusco con il vino è il coperchio di un’urna volterriana in cui è scolpita la rappresentazione di un banchetto: una mensa riccamente imbandita e da un lato un ampio cyathus (cratere) che può essere considerato un antenato del fiasco toscano.

Durante i banchetti, come riferiscono gli studiosi della materia, gli Etruschi avevano l’usanza di spargere il vino sul pavimento come segno augurale e, per ingraziarsi gli dei, lo versavano sul fuoco delle are.

Tale usanza era definita «libagione», nome rimasto col significato di abbondante bevuta. In quanto al nome Chianti, che venne alcuni secoli dopo, esso deriverebbe dal latino clangor, ossia squillo di tromba o grido festoso di uccelli, cioè relativo ad una contrada che era ricoperta di selve e molto spesso percorsa da bande in arme. Però il primo documento che menziona esplicitamente il vino Chianti è del 1398 e consiste in una registrazione contabile comparsa nei libri della «Compagnia del Banco» di Francesco Datini (l’inventore della cambiale): accanto alla partita di vino Chianti compare il relativo prezzo in fiorini.

All’ epoca dei re di Roma e durante la Repubblica, i Romani non furono estimatori del vino. Essendo di abitudini sobrie, spartane o anche più, conoscevano poco i vini e solo qualcuno li beveva, importandoli dalla Grecia. I pochi vini che si producevano erano decisamente rustici rispetto ai nettari raffinati che volevano rivaleggiare con l’ambrosia bevuta dagli dei dell’Olimpo.

Plinio il Vecchio, il più insigne naturalista dell’antichità, non può non essere citato in una storia del vino, non solo perché se ne occupò a fondo, ma anche perché lo fece in modo critico. Infatti considerava il Falerno, ritenuto il vino con il maggior blasone, troppo aspro e forte prima di dieci anni di invecchiamento. Egli classificò minuziosamente ben 195 vini, citando quelli che avevano raggiunto autentica notorietà, comprendendo non solo i vini italiani, ma anche quelli sparsi in tutti i Paesi dell’impero. Di questi vini, 80 erano considerati di alta qualità e i restanti di tipo meno pregiato. Al commercio romano del vino, non meno importante della produzione, attendevano i mercatores vinarii. All’antico Portus Vinarius, costruito da Traiano alle foci del Tevere, in un vasto bacino interno collegato con il mare, esisteva un apposito scalo, con annesse cantine di smistamento e sale per le contrattazioni. Le navi arrivavano e partivano colme di anfore e orci di tutti i tipi. I Romani, prima ancora della conquista della Gallia, esportavano molto vino nei porti che si affacciavano sul Mediterraneo, valendosi di velieri tondi e piatti, detti corbitae. Molti di questi battelli, anche recentemente, sono stati ritrovati in perfette condizioni sul fondo del mare. Uno di essi, affondato presso la costa della Gallia nel 240 a. C., era, come si è potuto stabilire, di proprietà di un certo Marcus Sextus e trasportava vini greci imbarcati a Delo, ma aveva poi fatto scalo all’attuale Fiumicino per caricare una seconda partita di vini laziali. La nave conteneva un migliaio di anfore e alcune di esse, dopo il recupero del relitto, conservavano ancora un liquido giallastro, ossia i residui di un vino di oltre 2000 anni fa: erano state tappate con somma cura con blocchi di creta e sigillate ancor meglio.

E’ curioso ricordare che anche allora, fra gli scandali dell’Urbe, c’era di mezzo il vino. Gli annali hanno ricordato il clamore suscitato da un’azione di incetta del vino su vasta scala operata da una lega che agiva con metodi scorretti, per non dire brutali, ossia un trust vero e proprio del vino che danneggiava i produttori e i consumatori. Con speciali norme si provvide a tutelarne e a liberalizzarne sia la produzione che il commercio. Per ogni competenza attinente a questa sempre delicata materia c’era il Forum Vinarium, o centro internazionale degli scambi per il vino, come si direbbe adesso.

E comunque attraverso le conquiste dell’Impero che la vite si espande maggiormente e passa nelle Gallie, risale il Rodano fino a Lione, supera la Borgogna e costeggia il Reno, dando la possibilità ai Teutoni di esercitarsi nell’arte appassionante della vinificazione. Ad un certo punto i vini provenienti dal settentrione dettero così fastidio ai produttori ed ai mercanti romani che fu promulgata la Lex Domitiana che proibiva drasticamente la coltivazione della vite nelle province. Fu allora che molti vini dell’Italia settentrionale, in particolare quelli veneti e della Rezia, trovarono facile sbocco a nord, cioè nelle terre colpite dal divieto di produzione. Quando circa 200 anni più tardi, ed esattamente nel 276 d. C., la legge restrittiva venne revocata dall’imperatore Probo (diventato proverbiale anche per la sua equità nel trattare i problemi del vino), la viticoltura riprese nelle valli del Danubio, della Morella e del Reno, così come in Borgogna e nella attuale zona dello Champagne. Quasi tutti i più famosi vini francesi hanno avuto fra i loro lontani “padrini” dei vignaiuoli romani al seguito delle legioni di Cesare.

Non dobbiamo dimenticare che, quando le genti romane erano già molto civilizzate, i Galli erano ancora un popolo di nomadi e non possedevano né la volontà, né il temperamento, né le cognizioni tecniche per dedicarsi alla coltivazione della vite.

In breve, già al III secolo d. C. la vite occupava Io spazio che detiene attualmente, forse anche di più, poiché si estese anche sulle coste meridionali dell’Inghilterra, verso la Cornovaglia e l’isola di Wight, dove ancora adesso esistono alcuni vigneti, sia pure con produzioni minime.

Dopo la caduta dell’Impero romano, la viticoltura non risentì troppo di questo evento così traumatico per tutte le manifestazioni della capacità e dell’ingegno umano e per le libere attività pacifiche. Ad assicurarne la continuazione pensò la Chiesa. Intatti, accanto alle abbazie ed ai principali conventi — basti pensare all’Abbazia di Cluny e a Clos Vougeot in Francia, alla Certosa di Pavia — sorgevano non solo centri di produzione del vino, ma vere e proprie scuole come quella fondata sotto l’egida di Carlo Magno a Rùdesheim sulla riva sinistra del Reno. Come asserisce giustamente Pier Giovanni Garoglio nella sua esauriente Enciclopedia vitivinicola mondiale, la necessità di disporre « per la celebrazione della messa di vino “schietto” oppure “pretto” (come dicevano i Toscani) contribuì largamente all’espansione della viticoltura. Lo dimostra, tra l’altro, anche il fatto che al seguito di missionari che conquistavano nuovi territori alla religione cristiana c’erano degli specialisti per l’impianto di nuovi vigneti che si moltiplicavano per poter avere il vino sul posto».

Parlando di storia del Chianti, mi sembra interessante ricordare al corsista le origini del fiasco: ancor oggi, malgrado sia in crisi, è il contenitore più popolare, specie per quanto riguarda il vino rosso.

La prima documentazione di recipienti di vetro simili al fiasco risale al XII secolo. Il comune di San Gimignano, famoso per le sue torri ma anche per il vino, nel 1275 conferiva ad un artigiano di nome Cheronimo il permesso di aprire una fornace per «l’arte del vetro». Era anche, Cheronimo, uno di quei maestri chiamati «bicchierai» che costruivano non solo bicchieri, ma fiaschi e bottiglie. E il fiasco era destinato a soppiantare assai presto i contenitori di creta smaltata e di terracotta.

Sembra che il rivestimento in paglia del fiasco sia stato inventato nientemeno che da Leonardo da Vinci, per espressa richiesta di un gruppo di vetrai. ll fiasco odierno è lo stesso che si vede accanto al Bacco fanciullo di Guido Reni, nel bellissimo dipinto degli Uffizi di Firenze.

Per evitare le «furbizie» sulle dimensioni e capacità dei fiaschi, che avevano il difetto di essere presentati dai mercanti sempre più piccoli del dovuto, fu emanato a Firenze un decreto che stabiliva la capacità del fiasco in «mezzo quarto», ossia il corrispondente di litri 2,280. Successivamente, le vetrerie ricevettero la disposizione di stampare il bollo, cioè lo stemma del giglio di Firenze, sul collo a garanzia della misura esatta.

Fu con un fiaschetto di Chianti, offerto dal dottor Winger, che il 2 dicembre 1942 si brindò alla scoperta della pila atomica. L’umile contenitore ha assunto l’importanza di un oggetto storico: adesso è conservato al museo dell’energia nucleare di New York. L’inizio dell’epoca atomica è stato siglato dall “umor che dalla vite cola”, come dice Dante Alighieri. Tra le firme degli scienziati presenti, apposte sull’etichetta di quel fiaschetto, c’è anche quella dell’italiano Enrico Fermi.

E’ un peccato che per difficoltà di reperire la manodopera e per i costi elevati dell’operazione di impagliatura (fatta con la «sala», un’erba palustre) il fiasco tenda ad essere sostituito da altri recipienti, più o meno caratteristici, come le «chiantigiane». Per fortuna ci sono ancora diversi artigiani in Toscana che fabbricano fiaschi e «pulcianelle», fiaschetti tipici per il vino umbro. (continua) #Divino

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Presentazione

Bere è una delle necessità essenziali e insopprimibili dell’uomo: si può restare anche più giorni senza cibo, ma non privandosi completamente di bevande. Da ciò, come sempre accade per i momenti fondamentali della vita, la formazione, nel tempo, di quella che si potrebbe definire la «liturgia del bere», che si esprime sia con la scelta delle bevande sia nelle modalità di consumo, individuali e collettive: una serie di norme, più semplici di quelle relative al cibo, ma ugualmente osservate con attenzione e rispetto per certi comportamenti tradizionali, spesso convalidati dalle leggi religiose. La bevanda fondamentale, l’unica in grado di dissetare veramente, è, da sempre, l’acqua. E’ infatti essenziale per le nostre necessità fisiologiche e, se talvolta non viene bevuta allo stato puro, come è consigliabile, la sua percentuale nel vino, nella birra, nella frutta eccetera, è tale da compensare il mancato consumo diretto.

Per il vino, comunque, si può parlare di tradizioni e norme di comportamento che vanno ben oltre il consumo a scopo alimentare o il desiderio di annullare, per breve tempo, le sensazioni e i pensieri sgradevoli, ricorrendo all’alcol (il “bere per dimenticare”). Già presente nella Bibbia come elemento di contatti umani, il vino diviene, con il cristianesimo, simbolo e transustanziazione della divinità, che lo accoglie trionfalmente nell’Eucaristia. Per contro, le altre due maggiori religioni, la musulmana e l’indù, lo mettono al bando, assieme a tutte le altre bevande contenenti alcol.

Lo scopo di questo “Corso…” è quello di far conoscere il vino per poterlo apprezzare pienamente al momento del consumo. Farlo conoscere a fondo in tutti i suoi aspetti, a cominciare dal frutto da cui deriva, ecco perché all’inizio — dopo un indispensabile cenno storico — si prende subito in considerazione l’uva con le sue numerose varietà, cioè i vitigni. La produzione del vino, infatti, incomincia con la coltivazione della vite, nelle sue varie fasi che culminano nella vendemmia.

Le operazioni successive alla raccolta dell’uva, che riguardano la vera e propria lavorazione e produzione del vino, costituiscono anch’esse un argomento trattato nel “Corso…”, che contribuisce a rendere l’informazione il più completa possibile.

Un capitolo a cui si dedicherà un’attenzione particolare é quello riguardante la cantina di casa, quella che ogni appassionato di vini sogna di potersi allestire: il lettore troverà tutte le informazioni pratiche al riguardo, dalle costruzione della cantina ideale alla disposizione dall’interno (scaffalature e attrezzature varie), dall’imbottigliamento casalingo ai consigli per conservare il vino, e via di seguito.

Non potrà mancare poi una guida pratica all’acquisto del vino, fase delicata che richiede oculatezza e una certa conoscenza delle norme legislative di base che regolano la produzione e il commercio vinicolo: in tal modo l’appassionato “Astemio” non correrà il rischio di scelte sbagliate e non sarà bersaglio di qualche rivenditore non troppo onesto…

Molte altre notizie utili costituiscono poi oggetto di successivi capitoli, come quelli che prendono in esame i vari tipi di bottiglie e di bicchieri, la degustazione, il modo di servire il vino.

Il servizio dei vini, al ristorante o in famiglia, é un test per valutare il grado di cultura enogastronomica sia del sommelier sia del padrone di casa.

Vi sono regole di selezione e di comportamento cui ci si affida quasi alla cieca e che, per sfortuna di quanti debbono conoscerle e applicarle, sono tutt’altro che immutabili. Le più rispettate e prese sul serio, oggi, sono quelle dei cosiddetti abbinamenti, di cui si parla ampiamente nel “Corso…”. Derivano da una sorta di «progressiva», parzialmente enunciata da Brillat-Savarin, nella sua Fisiologia del gusto, e impongono di cominciare vini più giovani, freschi e meno alcolici (generalmente bianchi) per passare poi ai rossi di annata, più robusti e ricchi di stoffa e di aromi (per comprendere questo linguaggio «da iniziati» sarà di aiuto al lettore il lessico inserito nel “Corso…”).

Questa «scala» non consente marce indietro: una volta passati dai bianchi ai rossi, un ritorno ai primi é considerato blasfemo. Sono regole, ripeto, recenti (all’inizio del nostro secolo era corretto servire champagne, esclusivamente doux o demi-sec e quindi prevalentemente dolce, anche con il roast beef e i grandi arrosti). Tali norme possono variare (i maitres francesi hanno ‘scoperto’ i vini rossi leggeri per accompagnare le ostriche) con il mutare dei gusti, ma in linea di massima bisogna rispettarle.

Quando si attendono ospiti, spetta al padrone di casa predisporre in anticipo la scelta dei vini idonei ad accompagnare la lista delle vivande. Tale scelta può essere agevolata quando si segua una norma considerata fondamentale: i piatti regionali si abbinano, di solito, con i vini della stessa zona. Norma facile da seguire quando si tratta di regioni essenzialmente vinicole (Piemonte, Veneto. Trentino, Puglia, Sicilia), ma che può proporre quesiti interessanti anche per le zone meno ricche sotto il profilo enologico: certe ricette napoletane di spaghetti trovano il loro vino giusto nell’Asprino, raro ma non introvabile vinello leggero e ‘divertente”.

A proposito di gastronomia, non poteva mancare nel “Corso…” una nutrita esemplificazione di ricette in cui il vino entra come componente vera e propria; infine, qualche nota dietetica esamina il vino anche da un punto di vista medico.

Per agevolare l’appassionato enologo “corsista” nella scelta e nella ricerca viene data inoltre un’ampia panoramica dei principali vini prodotti nel mondo: ci si può così orientare non solo fra i vini italiani e francesi — quelli cui si darà spazio maggiore — ma anche fra la produzione vinicola dei vari Paesi, in modo da essere in grado di conoscere le caratteristiche di un Tokaji ungherese o di un Mantinìa greco.

Capitolo a sé meritano i vini fuori tavola, spesso messi da parte in favore dei distillati: per secoli il vino è stato anche aperitivo e bibita nelle ore più disparate (se ne trova valida testimonianza nelle “ombre”, ossia i bicchieri isolati che si servono nelle osterie venete dal mattino in poi) e nulla vieta di ritornare anche anche in casa a questa usanza, rispettata del resto nell’ambiente rurale, dove stappare la bottiglia in onore dell’ospite è considerato più corretto che aprire la credenza per trarne la bottiglia di amaro o di liquore, un tempo fatto in casa. Una volta queste offerte prescrivevano un piccolo cerimoniale: vassoio, “centrini” ricamati sotto ai bicchieri, biscotti o altro per accompagnamento, specie se si proponevano marsala o vini dolci e liquorosi. Oggi è tutto più sbrigativo: bastano bottiglia e bicchieri. Naturalmente il vino dovrà avere caratteristiche particolari: di massima sarà più aromatico e di grado alcolico superiore a quello dei vini da pasto; oppure — offerta sempre ben accetta — si tratterà di uno spumante, brut o demi-sec.

Accanto ai due elementi fondamentali, il vino e la birra, vi sono poi i distillati, puri o rielaborati come liquori, e per i quali vigono norme ancora diverse, sia per quanto concerne la preparazione “nel bicchiere” (che dà origine, fra l’altro, alle bevande allungate con acqua o miscelate — i diversi cocktails, long drinks e simili) sia per il significato che l’offerta può assumere. Presentare un whisky e soda alle 19 é, anche dal punto di vista delle relazioni umane, ben diverso dall’offerta di un cognac molto vecchio, servito nel bicchiere ballon, due o tre ore più tardi. Si passa da una bibita da bere alla svelta a un piacere che va prolungato nel tempo e sempre rinnovato da ogni piccolo sorso di alcol. Anche a questo argomento sarà dedicato un ampio capitolo in cui, fra l’altro, si possono trovare le ricetta di molti fra i più noti cocktails e long drinks. Infine va sottolineata l’iconografia di questo “Corso…”: improntata a un fine essenzialmente pratico e didascalico, contribuisce a rendere ancora più esauriente la trattazione dell’argomento. (continua) #Divino

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