Management educativo in territori fragili
Sono un Educational Program Manager — lo sono diventato nel tempo, via via che ho scoperto strumenti educativi e approcci manageriali capaci di contribuire a un
Educational Program Manager
Sono un Educational Program Manager — lo sono diventato nel tempo, via via che ho scoperto strumenti educativi e approcci manageriali capaci di contribuire a un
La pedagogia riduce la distanza tra i limiti soggettivi e le possibilità reali. La sua materia è l’educazione, il suo strumento l’apprendimento e la sua natura è sintesi.
trascrizione parziale intervento Montecitorio
Noi partiamo da una posizione che abbiamo imparato a scuola, che ci ha accompagnato nelle università, che è la divisione delle discipline
Si dice spesso che le organizzazioni devono essere flessibili. Che l’adattabilità è tutto, che bisogna muoversi leggeri, con ruoli fluidi. Ma cosa significa essere flessibili?
Quando ci si ferma un momento, ci si accorge che le scelte digitali sono scelte culturali. Ogni strumento che usiamo riflette un’idea di relazione, un sistema di valori
Nel panorama europeo, cresce il numero di realtà che stanno rivedendo le proprie infrastrutture digitali per allinearle a principi di eticità, sicurezza, sostenibilità
In ambito sociale, il Project Manager ha un ruolo chiave: connette territorio e progetto per facilitare l’emersione di risorse latenti.
Il PM è un mediatore sistemico, capace di muoversi tra le micro-dinamiche quotidiane e i macro-obiettivi organizzativi. Agisce come un vettore di senso, poiché traduce i bisogni in strategie e le strategie in azioni concrete.
Se supportato dalla governance, riesce a integrare le attività a breve termine con una visione di lungo periodo.
Ma nel suo lavoro vive anche un’altra dimensione: la capacità di leggere dinamiche interpersonali, governare tensioni e bilanciare aspettative. Si tratta di competenze emotive che si sviluppano nel tempo e si consolidano con l’esperienza. Il PM opera infatti all’interno di sistemi relazionali, ricchi di sfumature, la cui decodifica richiede abilità sociali e sensibilità emotiva.
Come quando, di fronte a un conflitto o a una resistenza, il PM si assume la responsabilità di fare un passo avanti, provare a sciogliere i nodi relazionali e restituire senso condiviso all’azione.
Eppure, troppo spesso il PM è percepito come un soggetto tecnico preposto a raccogliere problemi e restituire soluzioni.
Un paradosso, appunto.
Gli si chiede visione, flessibilità e leadership, ma è confinato ai margini dei processi decisionali. Deve gestire la complessità, ma è trattato come un esecutore lineare. È centrale per il tessuto relazionale, eppure gli indicatori di performance faticano a cogliere il suo operato.
Questo scollamento tra funzioni e posizione genera costi invisibili: cortocircuiti relazionali, rallentamenti nei processi, bassa coerenza progettuale e una sottovalutazione dell’impatto delle azioni del PM. Si tratta di un problema di cultura organizzativa – non di ruoli individuali – che si traduce in confusione operativa e affaticamento emotivo.
Allora il PM, probabilmente, non è solo un ingranaggio tecnico da ottimizzare, ma una chiave di lettura per trasformare l’architettura organizzativa. Perché il paradosso non riguarda più solo lui, ma il modo in cui le organizzazioni concepiscono il potere, la complessità e il cambiamento.
D'altra parte le leadership che riescono a valorizzare il PM promuovono una forma significativa di intelligenza collettiva (Lévy, 1994), riconoscibile – ad esempio – nei piccoli gesti con cui un’équipe riesce a ricomporsi dopo una crisi, ad accogliere un cambiamento improvviso o a ricucire una frattura relazionale.
Così si formano organizzazioni speciali, capaci di gestire il presente e di immaginare un futuro nuovo.