Sulla strada abbagliati dal torpore,
lanciati verso immobili fanali,
due occhi incontrano il destino,
mentre la seducente notte,
affascinata da un cielo arabescato,
non si decide ad andarsene.
Stelle scintillanti guidano
il taciturno volo di un pensiero,
confuso da aspre essenze,
sopra un corpo disteso a terra,
scomposto e dal sorriso digrignante,
che attende una squallida morte,
rivivendo angosce antiche e amori fugaci.
Gli fanno compagnia indolenti cani randagi
ed un tremolante gatto bianco
che brancola tra avanzi e lische,
leccandosi le ruvide consumate unghie.
Nell’ultimo oscuro vicolo della città,
una fragile torre si china su un cappello
nascosto vicino ad un grigio palazzo.
Intorno solo qualche insegna sdegnata
e il profumo di un futuro spaventato
che non vuole riprendere la strada di casa.
Due scarpe logore sul ciglio del marciapiede
suonano ai pochi distratti passanti
una melodia stonata e fuori tempo,
consolazione per quattro stracci
che sospirano sotto un inquieto ponte,
riscaldati dal fruscio di una pesante coperta,
in attesa di un pezzo di pane secco
da una pietosa mano che non verrà.
Il rimbombo dell'acqua leggera e indifferente
si spande nella soffice brezza invernale,
mescolandosi alla voce dell’orologio stanco
di un antico isolato campanile
che osserva un piattino con tre monete:
poche per la vita
inutili per la morte.
Andavi per le vie e i sentieri di Casarsa,
osservando il cielo grigio e la terra nuda,
la terra dei tuoi contadini rassegnati,
arsi dal sole e dalla fatica della falce,
aggrappati ad un destino immobile.
Nei campi il profumo della primavera
si mescolava al fieno appena tagliato,
mentre intorno al focolare le donne,
consumate dalla miseria e dalla fatica,
rimestavano la polenta nel paiolo.
Sotto le travi nere trasfigurate dal fumo,
un lucido tavolo unto dal tempo attendeva
le chiacchiere condite da roboanti bestemmie
che non erano insulti al cielo,
ma lamenti rivolti al Dio dei poveri,
protettore delle schiene curve
di madri coraggiose
e uomini silenti.
Era il tuo Friuli cupo e ruvido,
dipinto in bianco e nero in una lingua
in cui trovava rifugio la malinconia
di un mondo senza pace né speranza.
Sei morto in una notte scura e tormentata,
lontano dal dolore della tua gente,
tra cani randagi e anime perse.
Un pallido cielo costellato di nubi
scruta da lontano l’inquietudine remota
di un sogno infranto in una notte d’inverno.
Nell’aria dolente una voce brilla
frastornata dalla quiete di una croce
e dalle poche fiammelle del silente cimitero.
Immagini di corpi che non esistono più,
battute dal vento della materna terra
e contornate da fiori secchi e lacrimanti,
narrano ai campi eterni parole
che volteggiano nella bruma dell’abbandono
e scricchiolano tra i grigi sassi
sotto il peso della dimenticanza.
Mentre le lapidi si aggrappano alla nostalgia
dei pochi crepuscolari riflessi di vita,
mani sospiranti si avvicinano lentamente
in attesa di qualcuno che non ritornerà.
Tra il nero fogliame dei cipressi
qualche gocciola si insinua,
la falce si posa sull’agonia di un sorriso,
un’altra vita scivola nel nulla senza tempo
e si ferma dove abitano tutte le storie
custodite dal malinconico vento dell’oblio.
Una cicala rompe il silenzio,
mentre il sole brucia il profumo dell’erba.
Tutti diversi e tutti uguali,
volti sospesi e dimenticati
incedono lentamente.
Un parco dipinto da strane varietà
si oppone al doloroso impeto di morte
che esce dalle grigia soglia.
Nelle camere e negli androni
la felicità sembra volteggiare
in uno strano universo
e parlare a mondi lontani.
Qui l’effimero abita ogni sorriso
e ogni incontro cosparge intorno
il suono amaro
del pianto sommesso e discreto
per un incerto futuro,
per un mancato appuntamento.
Luminescenti corridoi tracciano la strada
ed è il tormento di un sospetto,
il gelo di un pensiero
attento ad ogni piccolo battito di ciglia.
E’ il naufragio perpetuo delle nostre debolezze,
la rivolta dei nostri sensi,
la ricerca di un’accogliente carezza.
Le porte alfine si aprono.
Dietro l’angolo una frettolosa umanità
ignara del paziente oleandro
che racconta storie senza fine.
Sotto un cielo ruvido ed increspato,
con le spalle piegate da una antica solitudine,
una vita scorre senza tregua,
frantumata in tante briciole amare
ingoiate giorno dopo giorno,
all’ombra di un calendario bianco
dimentico del tempo della gioia.
Dorme su un divano logoro un uomo,
incurante di quel corpo femminile tumefatto
che striscia a fatica nel dolore
lasciando uno stanco fruscio sul pavimento.
La carta da parati osserva il grigiore
della tetra paura che si aggrappa ad un rosario
abbandonato tra le pagine di una guerra
combattuta con la viltà del silenzio,
accettata con il ricatto della violenza.
Le strade contese tra auto e passanti
si chiudono nel cerchio dell’indifferenza.
Ai bordi di quel niente si posa un vento ostinato,
ignaro della forza dirompente del suo alito
avvolge chiome mormoranti pietà,
ma non salva dallo sgomento della fine.
Solo un gatto accovacciato sul davanzale
scorge la morte in quella casa sospesa nel buio,
dove una donna vacilla sotto i colpi del destino
scivolando nel pozzo profondo delle anime.
Erra per la città il suo disperato pianto,
trascinato da un dolce canto funebre
intonato davanti ad una modesta lapide.
Un’altra Croce si perderà nell’oblio
di un titolo strillato in piazza.
Con gli occhi spenti e sospesi nel nulla
coperti da anonimi scuri occhiali,
abbandonato su un’antica sedia,
osservi dal tuo spoglio terrazzo
un giardino incastonato nel cielo.
A fatica ricordi le acerbe mani
che un tempo ti accarezzavano
condividendo la gioia del tuo essere.
I tuoi piedi stanchi sono immobili,
sotto il peso del tuo volto canuto
ascolti il dolore sordo della vecchiaia
e la paura di attraversare la notte.
Intorno sorrisi pazienti accompagnano
la tua anima in cammino nella vita,
mentre vaghi lontano con i tuoi pensieri
immaginando solitarie camerate
svuotate dalla crudeltà dell’uomo
e da un infausto tetro destino.
I monti annunciano la sera beffarda
l’ultima pena prima del sonno,
le palpebre si abbassano lentamente
aspettando supplici il nuovo giorno
Tre per due è il tuo numero,
con gravità assoluta
guardi la massa di due pianeti
e l'entropia del mondo.
In fibrazione sospettosa
un tensore attende una matrice
per incontri vettoriali.
I seducenti immemori frattali,
un po' per inerzia,
un po' per funzioni,
un po' per reciproco gradiente,
ti strizzano l'occhio.
Ma i quaternioni con formule piccanti
ti porgono l'anello fotonico,
un corpo celeste esulta
e brinda con un rotore,
mentre nel cielo una bella elissoide
balla con una strana topologia.
I campi abeliani infine
ti convincono a temporeggiare,
tutto diventa relativo
moltiplicando due per tre
...all'infinito.
Frizzanti bollicine guardano ammaliate
i profumi dei sinuosi colli arabescati
che si mostrano alla maliziosa notte.
Avanzando fermi e fruttati,
due calici si incrociano,
toccandosi con sensuale piacere.
Dalle botti ardenti di desiderio
si spande per l'aria leggera
un intenso seducente richiamo.
Il mosto risponde con garbo
decantando le antiche note
del ribollir negli irrequieti tini,
pronti a riversar petali divini.