Transit

opinion

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(X)

“X” non è più un #socialmedia. Ci sono voluti molti mesi dopo la fine di “Twitter” e l’acquisizione da parte di #Musk. Per arrivarci è stato necessario sopportare una campagna elettorale americana (di cui ci si potrebbe tranquillamente fregare) e la rielezione di uno come #Trump. Vedere il “paron del vapore” scodinzolare affettuoso con il nuovo Presidente, in compagnia di tutti gli altri miliardari della ex “Silicon Valley”, è stato il terzo ed ultimo atto della parabola discendente di questa piattaforma. Durante i mesi che hanno preceduto le urne, Musk ha donato soldi e fango a piene mani: tutto pur di compiacere un anziano “tycoon”, pregiudicato, scapestrato, ignorante e razzista. Non deve essere parso vero al fabbricante d’auto quando un tale soggetto, eletto da milioni di fenomeni uguali a lui, lo ha chiamato addirittura a far parte del governo. Sembra un film di quelli per la TV, sciatto e con una sceneggiatura ridicola.

(X1)

Eppure è così. Trump vuole ridare il diritto di parola, che nessuno ha mai tolto, all’America e un megafono come il social di Musk è lì, pronto e praticamente gratis. Via i controlli sulle fake news, via le restrizioni al linguaggio volgare, sessista e offensivo, via le moderazioni sulle vagonate di scemenze che scrive la gente: avanti con la libertà totale di insulto, con i contenuti pornografici e con un algoritmo talmente invasivo da diventare il vero gestore del tutto.

Quando “#Twitter” cambiò nome e dirigenza, molti se ne andarono perché non vedevano più quel social che avevano imparato ad usare (e amare?), quello vero, quello iniziale. Ancora più utenti resistettero, eroici, alle prime avvisaglie di disfacimento, arrivate con la personalità strabordante e cafona di Musk. Ma dopo il Novembre del 2024 tantissime persone hanno veramente raggiunto il limite di sopportazione ed hanno abbandonato la nave, che da allora batte decisamente la bandiera del “Non c’è nessun controllo.”

Dapprima gente famosa, poi moltissimi giornali, tanti attivisti e tante ONG hanno chiuso i loro account, seguiti dai profili della gente “comune”, stanca di continuare ad essere offesa, di non trovare più i post degli amici e di non uscire mai e poi mai sulla TL. Ormai conti, se l’algoritmo decide che sei utile allo sforzo propagandistico del vate o se, al contrario, sei talmente offensivo e razzista da veicolare un traffico importante. Il resto non serve a nulla: ci si illude per qualche giorno, magari con riscontri che appaiono gratificanti, per poi tornare a scrivere quasi solo per se stessi.

(X2)

Portiamo noi come esempio. Abbiamo perso più di trecento follower nel giro di tre mesi, ed eravamo a quota 7000: ogni giorno continua una lenta emorragia, che a volte si ferma e la rotta si inverte, ma non dura mai. I post sono visti al massimo 500 volte: le interazioni sono praticamente nulle e i commenti raramente raggiungono la decina. Questi sono gli aridi numeri, che, comunque, sono relativi. Non siamo su “X” per la fama e la gloria (magari i soldi…), ma per veicolare la nostra opinione su cose che riteniamo importanti. Anche per cazzeggiare, ovvio: è lo scopo esiziale di un social.

La cosa che fa propendere per la chiusura è che non si riesce ad interagire più. A parte fare decine di post al giorno per uscire, prerogativa di quegli sfigati degli influencer o di chi non ha altri impegni, dovresti commentare ogni tre secondi da qualche parte per avere un minimo di contraddittorio. Ma non era questo lo scopo dei social? Non era discutere, confrontarsi, anche incazzarsi? Se una formula matematica si mette contro questa cosa, il social non è più quello per cui è stato pensato: è solo un enorme frullatore di cose, alcune validissime, la maggior parte pessime, in cui si gira a vuoto senza alcun approdo. Ci ripetiamo: alcuni continuano bellamente a fare “numeri” enormi, ma sono sempre gli stessi e la maggior parte è schierata decisamente con Musk e il suo enorme conflitto di interessi.

Il tempo scorre sempre e solo in avanti (l'abbiamo già detto) e perderne troppo in rete è abbastanza stupido. Poi, per amor del cielo, ognuno è libero di fare e dire ciò che gli pare, ma davvero ha ancora senso stare su “X”? Non apriamo il capitolo delle alternative, perché resta nel campo delle scelte personali e proporre un social più di un altro è veramente assurdo. Però è arrivato il momento, anche per noi (Ale è silente da molti mesi, ma l’account è il suo), di dire “Stop.”

“X” è diventato politica e quella che a noi non piace, quella di una nazione che vediamo allo sbando, sempre più arrogante, cinica, spietata, esattamente come i suoi rappresentanti. E’ il covo di una informazione fatta di dichiarazioni rocambolesche, di gesti plateali, di offese continue a chi non si allinea, di razzismo evidente, di violenza verbale e non, di sdoganamento dell’inutile a sfavore della profondità.

Basterebbe questo a rendere la nostra decisione dovuta. Aggiungiamo anche che il fatto di non leggere mai le persone che abbiamo a cuore (ve lo ricordate, sì, l’algoritmo?), quelle a cui ci siamo affezionati e che stimiamo, rende tutto più frustrante. Ecco, è per loro che siamo rimasti finora: per quelle risposte, per le loro domande, per le nostre domande, per il sostenerci nei nostri ideali e nelle tante utopie. Mancheranno, tanto, ma proprio per la coerenza che dovrebbe sempre muovere le azioni di tutti, dobbiamo andarcene.

Le vie del web sono infinite. Magari percorrendone una meno battuta ci si ritroverà.

[Alessandra & Daniele]

#SocialMedia #X #Blog #Personal #Opinioni #Opinion

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Dieci righe 97

(Turné)

“Uno passa la vita a farsi dire che prima è troppo giovane, poi dopo diventa troppo vecchio... ci sarà una fase centrale in cui uno deve correre, no?” Così recitava il personaggio di Diego Abatantuono in un film di #GabrieleSalvatores, “Turnè” (si parla del 1993, un'era fa, praticamente.) Questa frase, con gli anni, non è più un dato da associare ad un'età anagrafica: è il nostro modo di vivere quotidiano. C'è un punto in cui, senza averne più coscienza, ogni giorno, ci affrettiamo e nel contempo ci giustifichiamo. Intendiamoci. Le nostre attività lavorative, la nostra vita sociale, quella familiare, qualsiasi esse siano, vanno affrontate come meglio crediamo. Non si pontifica sul tempo che ognuno vuole dedicare o perdere facendo quello che deve o vuole. E' il pensiero che quasi senza alternativa ci facciamo prendere dalla fretta, inconsciamente, in maniera obbligatoria e sovrappensiero. Volano ore, giorni, anni e ci si ritrova un po' spiazzati dalla montagna di cose che si “devono” fare, sentire, gustare. Tranne, poi, notare che quello è una sapore amaro. Dall'avvento dei #SocialMedia è anche peggio: una continua corsa a leggere, commentare, controbattere, pensare o non farlo, ma velocemente. Il tempo può fare tanto, ma non tornare. Ci dovremmo ragionare su la prossima volta che una giornata si riduce al solo impulso a compiere più azioni di quelle necessarie. “Dovremmo”, condizionale. Un tempo anche questo. (A&D)

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Dieci righe 28

La butto molto sul personale. Perchè mi va così. Sono abbastanza stufo di dover spiegare me stesso a chi crede di sapere come sto, se sono incazzato o meno, se questo o quello fa quello o questo, se ho un'opinione su stronzate di cui non voglio sapere niente. L'#Italia è un paese di santi, navigatori e gente che non ha capito che farsi i cazzi propri è sempre una qualità. Aperti sempre ad una discussione franca, leggera e al cazzeggio, ci mancherebbe altro, ma senza scadere del pettegolezzo ridicolo e cattivo. Quello è roba da dilettanti, da menti semplici. L' ironia, quella va bene. Dimostrare meno stupidità del dovuto è buono: comportarsi da bambini dell'asilo meno. E, quindi, facciamo un balletto, un caffè e iniziamo ad evitare le persone tossiche, o troppo piene di sè da scoppiare. C'è di meglio, magari senza saperlo. (D.)

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Dieci righe 3

Mi dicono spesso che sono troppo serio, sempre incazzato. Una cosa la accetto: la serietà, soprattutto sul lavoro. D'altro canto preferisco l'ironia alla facile battuta da trivio, quella che ancora va per la maggiore. “Per far ridere bisogna essere seri”, diceva Sordi. Anche perchè sorridere è impegnativo, per me, e ci vuole qualcosa che non sia proprio diretto e benché meno stupido. Quindi una certa politica ridanciana, il cui supremo esempio è Berlusconi, fa battute, ma non fa affatto ridere. Se ne accorgono anche nella UE. Quando la #Meloni fa “gnè gnè” non la invitano a giocare, come all'asilo. Peccato che quel che c'è intorno a queste scaramucce infantili sia serio, molto serio. Mi sa che per milioni di persone queste stupidaggini no, non fanno ridere per nulla.

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