Qual è il “valore” di un libro? Dipende dal suo contenuto oppure i libri hanno “valore” in quanto tali? E cosa intendiamo per “valore”? Spesso siamo portati ad attribuire a un libro un valore che va al di là del suo prezzo di copertina: ci sono libri che abbiamo amato tantissimo (magari acquistati per quattro soldi), altri che ci dispiace aver prestato a qualcuno (dice il saggio: “chi presta un libro a un amico, perderà il libro e l'amico”), altri ancora sono lì su quello scaffale in attesa del loro momento.
Ci sono diverse categorie di persone che, in modi diversi, apprezzano il “valore” di un libro.
Il lettore compra i libri (o se li fa prestare dalla biblioteca) e li legge: il “valore” del libro è nelle sue parole, nelle sue frasi e nelle sue immagini (siano esse immagini letterarie o vere e proprie illustrazioni). Spesso il lettore è legato a uno o più scrittori preferiti, magari divora i libri di un particolare genere, li confronta tra loro e stabilisce anche personali gerarchie di qualità tra le varie “categorie” letterarie.
Il collezionista (che a sua volta può essere anche un lettore, ma non è detto) apprezza il “valore” del libro nella sua essenza di oggetto: ama l'edizione rara, apprezza la fattura di una rilegatura fatta a mano, oppure gode nel vedere tutta la collana ben allineata sullo scaffale, con le coste dal colore uniforme, eccetera. Mentre il lettore ama leggere, il collezionista ama possedere.
E poi c'è il libraio.
Quella del libraio è una vita di contraddizioni: ama i libri, trae piacere dalla lettura (come un lettore), apprezza l'oggetto in quanto tale (come un collezionista), ma deve venderli; se non li amasse, non potrebbe venderli con successo.
Il libraio quindi esercita il possesso sui (suoi) libri in modo temporaneo, effimero: deve essere pronto, in ogni momento, a separarsene. Solo così la sua attività potrà proseguire e prosperare: più libri vende, più libri potrà procurarsi per accontentare ancora più lettori e collezionisti.
Mi sono reso conto che a casa mia ci sono pochi volumi, molto pochi rispetto a quanti ci si potrebbe aspettare da una casa di un amante di libri. A malapena quelli che mi hanno regalato, quelli che qualche autore mi ha dedicato e quelli che fortemente ho voluto.
Tra me e me penso che nella libreria in cui lavoro, la mia libreria, ci sono tutti i libri che voglio o di cui ho bisogno, ma non faccio altro che ingannare me stesso. Quei libri non sono miei: sono della libreria, sono a disposizione dei clienti che vorrebbero comprarli, quindi sono destinati ad altri scaffali, ad altri comodini, ad altre mani e ad altri occhi. Io, che li amo così tanto, in realtà non li posseggo e forse non li possiederò mai.
Non posso negarlo: subisco forte il fascino del sogno di risiedere in una mia biblioteca privata, un'immensa biblioteca da collezionista bibliofilo, un labirinto di scaffali, nel cui cuore è immerso un piccolo studio con la scrivania ingombra e disordinata di volumi aperti, matite, penne, appunti e carte sparse, con una comoda sedia girevole, e poi libri vecchi, libri nuovi, saggi, romanzi, manuali, tutti catalogati a puntino, e poi prime edizioni ingiallite, incunaboli eccezionalmente conservati, cinquecentine, manoscritti medievali, e poi altri libri, libri, libri ovunque, a portata di mano, ma anche negli irraggiungibili angoli, inaccessibili senza la pericolante scaletta scorrevole.
Accarezzo, devoto, la loro carta, amici che non tradiscono, silenziosi e saggi, divertenti e leggeri, a volte stupidi, a volte noiosi, a volte sbagliati, scritti male, oppure capolavori della letteratura, delicati e turpi, folli e mistici.
Tutti miei.
Mi distraggo per un momento e il sogno svanisce. Forse è meglio così: è un sogno egoista.
L'essenza del mio lavoro sta nel diffondere i libri, farli viaggiare dalla mia libreria verso altri lidi, in modo tale che le case dei miei clienti, siano essi lettori o collezionisti, si arricchiscano di nuovi, amati volumi.
In fin dei conti, è come se la mia immensa biblioteca dei sogni fosse sparsa sugli scaffali di innumerevoli case.