DALLA MIA CORNUCOPIA.
“Dalla mia cornucopia vorrei uscissero coriandoli, inni di pace contro le guerre di tutto il mondo, contro l'odio e l'ingiustizia. Vorrei uscissero rose rosse, gialle, bianche e rosa. Vorrei uscissero persone giuste che facciano ragionare i capi del mondo. Vorrei uscissero parole dolci, persone che si amano e che si vogliono bene in un mondo migliore. Vorrei uscissero politici consapevoli di quello che fanno, capaci di rendere il loro stato, regione, città o qualunque altra cosa sia un luogo accogliente e sano. Vorrei uscissero libri per tutti, non da leggere per forza, ma perché leggere rende liberi sia nel mondo reale sia nella nostra fantasia. Vorrei uscissero nuove coppie di animali in via d'estinzione, perché la natura è il bene più importante che abbiamo: ci ha dato la vita, ci dà quello per cui viviamo, abbiamo vissuto e vivremo.”
Poesia composta da C., 12 anni.
È passato moltissimo tempo da quando C., una mia amica/cliente (in ordine di importanza: prima amica, poi cliente) mi ha portato una sua poesia che ha scritto per la scuola. Ed è moltissimo tempo che ho in mente di scrivere qualcosa a riguardo, ma ho sempre rimandato, parandomi con l'alibi delle mille cose da fare, la mancanza di concentrazione, la vita febbrile. Ora, però, voglio rimediare.
Una “cornucopia”. Mi vengono in mente le antiche, ingiallite incisioni neoclassiche in cui belle e floride dee dell'abbondanza riversano da un cono ritorto ogni genere di frutti e ricchezze. Non ho idea dell'ultima volta che ho sentito o letto questa parola. E adesso mi ritrovo una “cornucopia” in una poesiola di una ragazza di 12 anni, un richiamo a una ricchezza immateriale di desideri giocosi, nonviolenti: “Coriandoli, inni di pace contro le guerre di tutto il mondo...” Povera C.: nel tempo che è trascorso da quando mi ha consegnato la poesia, le guerre nel mondo si sono moltiplicate. Eppure, la sua ingenua speranza e la sua voce semplice di innocenza, una voce che scrive e pronuncia parole di miele, sono un balsamo che mi si diffonde dentro, come se potesse sbiadire, almeno un po', il nerume freddo della cattiveria che ci accerchia. C., nonostante la sua giovanissima età, è attenta alla politica e ai suoi valori più alti, e sa che questi vengono troppo spesso calpestati e traditi per gli scopi più bassi. C. pensa alla natura, culla della vita, come un'arca piena di animali, e capisce che il loro destino di salvezza è anche il nostro destino. C. ama leggere, e legge tantissimo (io lo so bene), perché crede nel potere liberatorio universale della lettura e dell'immaginazione, nella magia e nella bellezza delle parole scritte, nei cambiamenti positivi che la cultura porta con sé. Mi domando come sia possibile non farsi ammorbidire l'animo dalla luce della piccola, ingenua poesia di C., così piena di un biancore caldo e confortante. A C. non voglio dire nulla che possa disilluderla o amareggiarla – sarebbe un crimine dei peggiori – dissipando i suoi aerei castelli di utopie lievi e forse impossibili. Crescendo, ci proverà la vita stessa in tutti i modi a confonderla e a buttarla in un nero, crudele campo di battaglia dove il furbo vince, il sentimento è squalificato, la semplicità è derisa come banalità, la pietà e l'empatia sono considerate segni di debolezza, quindi dannose. Vorrei dire però a C. di conservare fra le sue cose più care quella poesia scritta a 12 anni, e, specialmente nei momenti più bui della sua storia, di rileggerla e farla di nuovo sua.