📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA: Regole; a Diogneto ● PROFETI ● Concilio Vaticano II ● NUOVO TESTAMENTO

Invito alla conversione 1Se un uomo ripudia la moglie ed ella si allontana da lui per appartenere a un altro, tornerà il primo ancora da lei? Quella terra non sarebbe tutta contaminata? E tu, che ti sei prostituita con molti amanti, osi tornare da me? Oracolo del Signore. 2Alza gli occhi sui colli e osserva: dove non sei stata disonorata? Tu sedevi sulle vie aspettandoli, come fa l’Arabo nel deserto. Così hai contaminato la terra con la tua impudicizia e perversità. 3Per questo sono state fermate le piogge e gli acquazzoni di primavera non sono venuti. Sfrontatezza di prostituta è la tua, non vuoi arrossire. 4E ora gridi verso di me: “Padre mio, amico della mia giovinezza tu sei! 5Manterrà egli il rancore per sempre? Conserverà in eterno la sua ira?”. Così parli, ma intanto commetti tutto il male che puoi». 6Il Signore mi disse al tempo del re Giosia: «Hai visto ciò che ha fatto Israele, la ribelle? Si è recata su ogni luogo elevato e sotto ogni albero verde per prostituirsi. 7E io pensavo: “Dopo che avrà fatto tutto questo tornerà a me”; ma ella non è ritornata. La sua perfida sorella Giuda ha visto ciò, 8ha visto che ho ripudiato la ribelle Israele proprio per tutti i suoi adultèri, consegnandole il documento del divorzio, ma la sua perfida sorella Giuda non ha avuto alcun timore. Anzi, anche lei è andata a prostituirsi, 9e con il clamore delle sue prostituzioni ha contaminato la terra; ha commesso adulterio davanti alla pietra e al legno. 10E nonostante questo, la sua perfida sorella Giuda non è ritornata a me con tutto il cuore, ma soltanto con menzogna». Oracolo del Signore. 11Allora il Signore mi disse: «Israele ribelle si è dimostrata più giusta della perfida Giuda. 12Va’ e grida queste cose verso il settentrione: Ritorna, Israele ribelle, dice il Signore. Non ti mostrerò la faccia sdegnata, perché io sono pietoso. Oracolo del Signore. Non conserverò l’ira per sempre. 13Su, riconosci la tua colpa, perché sei stata infedele al Signore, tuo Dio; hai concesso il tuo amore agli stranieri sotto ogni albero verde, e non hai ascoltato la mia voce. Oracolo del Signore. 14Ritornate, figli traviati – oracolo del Signore – perché io sono il vostro padrone. Vi prenderò uno da ogni città e due da ciascuna famiglia e vi condurrò a Sion. 15Vi darò pastori secondo il mio cuore, che vi guideranno con scienza e intelligenza. 16Quando poi vi sarete moltiplicati e sarete stati fecondi nel paese, in quei giorni – oracolo del Signore – non si parlerà più dell’arca dell’alleanza del Signore: non verrà più in mente a nessuno e nessuno se ne ricorderà, non sarà rimpianta né rifatta. 17In quel tempo chiameranno Gerusalemme “Trono del Signore”, e a Gerusalemme tutte le genti si raduneranno nel nome del Signore e non seguiranno più caparbiamente il loro cuore malvagio. 18In quei giorni la casa di Giuda andrà verso la casa d’Israele e verranno insieme dalla regione settentrionale nella terra che io avevo dato in eredità ai loro padri. 19Io pensavo: “Come vorrei considerarti tra i miei figli e darti una terra invidiabile, un’eredità che sia l’ornamento più prezioso delle genti!”. Io pensavo: “Voi mi chiamerete: Padre mio, e non tralascerete di seguirmi”. 20Ma come una moglie è infedele a suo marito, così voi, casa di Israele, siete stati infedeli a me». Oracolo del Signore. 21Sui colli si ode una voce, pianto e gemiti degli Israeliti, perché hanno reso tortuose le loro vie, hanno dimenticato il Signore, loro Dio. 22«Ritornate, figli traviati, io risanerò le vostre ribellioni». «Ecco, noi veniamo a te, perché tu sei il Signore, nostro Dio. 23In realtà, menzogna sono le colline, e le grida sui monti; davvero nel Signore, nostro Dio, è la salvezza d’Israele. 24L’infamia ha divorato fin dalla nostra giovinezza il frutto delle fatiche dei nostri padri, le loro greggi e i loro armenti, i loro figli e le loro figlie. 25Corichiamoci nella nostra vergogna, la nostra confusione ci ricopra, perché abbiamo peccato contro il Signore, nostro Dio, noi e i nostri padri, dalla nostra giovinezza fino ad oggi; non abbiamo ascoltato la voce del Signore, nostro Dio».

[4,1«Se vuoi davvero ritornare, Israele, a me dovrai ritornare. Se vuoi rigettare i tuoi abomini, non dovrai più vagare lontano da me. 2Se giurerai per la vita del Signore, con verità, rettitudine e giustizia, allora le nazioni si diranno benedette in te e in te si glorieranno. 3Infatti così dice il Signore agli uomini di Giuda e a Gerusalemme: Dissodatevi un terreno e non seminate fra le spine. 4Circoncidetevi per il Signore, circoncidete il vostro cuore, uomini di Giuda e abitanti di Gerusalemme, perché la mia ira non divampi come fuoco e non bruci senza che alcuno la possa spegnere, a causa delle vostre azioni perverse.]

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Approfondimenti

Invito alla conversione 3,1-4,4 Abbiamo qui intrecciate due composizioni che il tema comune della conversione del popolo, sollecitata con insistenza e prospettata per il futuro, spingeva ad accostare. Solo che i due componimenti sono stati innestati l'uno nell'altro e propriamente il poema più ampio è stato posto come cornice (3,1-5 e 3,19-4,4) entro cui sono stati inseriti due poemi più brevi (3,6-13 e 3,14-18). Il risultato è una vivace sequenza che parte dalla constatazione della totale contaminazione di Israele 3,1-5) per giungere all'invito pressante a convertirsi (4,1-4), passando per la promessa che Dio accoglierà sia Israele che Giuda (3,6-13.14-18) e per l'umile confessione da parte del popolo che la scelta idolatrica è fallimentare e solo nella fedeltà a Dio si può avere benessere (3,21-25). Al primo periodo dell'attività profetica di Geremia quasi certamente appartengono i brani di cornice: la forte carica di fiducia nella conversione del popolo è tipica di quel periodo, e l'invito al regno del Nord (3,6-13) ha senso solo al tempo di Giosia. Il terzo brano, invece (3, 4-18), sembra posteriore, quanto meno nella redazione attuale, e pare supporre la distruzione di Gerusalemme, dunque il 587.

3,1-5. Una norma di diritto matrimoniale, propria della legislazione deuteronomica (cfr. Dt 24,1-4), proibisce di riprendere come moglie una donna da cui si è divorziato. Israele, che ha tradito Dio suo sposo con l'idolatria insistente e pertinace, non può pensare di rientrare nella condizione di prima. Ma al di là dello spunto legale, che sembrerebbe escludere ogni possibilità di redenzione, s'intravede la disponibilità di Dio a riammettere la sposa infedele se non si ostinasse (v. 5) nella sua condotta perversa. Tranne il v. 1, questa breve unità riprende le tematiche di 2,5-37. Giuda si è comportato da prostituta nei confronti di JHWH suo sposo e lo ha fatto con tale intensità che la terra stessa è tutta contaminata. L'immagine della donna infedele che aspetta lungo la via i suoi amanti richiama le alleanze politiche condannate in 2,36, anche se l'accenno alla terra contaminata fa forse riferimento ai culti cananei della fertilità. Il linguaggio è in parte ambiguo, poiché le metafore erotiche e sponsali servono a descrivere sia il legame tra JHWH e il suo popolo, sia le alleanze politiche con altri stati, sia talune pratiche religiose. Non sempre si può decidere con chiarezza a quale di questi tre fatti il testo faccia riferimento (e qui si può escludere che sovente il riferimento sia a tutti).

6-13. Segue ora una sezione in prosa che si presenta quasi come un commento al tema del “divorzio” del v. 1 e all'Israele ribelle del v. 12. Diversi commentatori la attribuiscono a un editore deuteronomista. Il peccato di Giuda fa sembrare Samaria “giusta” (cfr. Ez 16,51) e meno colpevole. Ciò che rende Giuda più colpevole di Israele è il fatto che esso aveva di fronte a sé la sorte penosa toccata a Israele come monito, ma non se ne è curato. La risposta di Giuda al ripudio divino d'Israele (cioè la distruzione del regno del Nord e la deportazione della sua popolazione da parte degli Assiri) è stato un comportamento simile a quello nel regno del Nord (cioè si è prostituito agli dei falsi). La condotta di Giuda è talmente perversa che persino il suo ritorno a JHWH è puramente espressione di falsità (v. 10). Nel v. 12 il profeta si volge verso le popolazioni del settentrione e le incita a «ritornare»: non è chiaro però se con tale verbo (šwb), che è un vocabolo chiave di Geremia, l'oracolo intenda invitare al pentimento (questo è uno dei significati possibili del verbo stesso), o a ritornare dall'esilio. Il tema del poema sembra suggerire il primo significato.

14-18. Mentre nei vv. 12-13 la comunità cui il profeta si rivolge è esortata a convertirsi (šwb), ora invece il profeta esorta gli esiliati a ritornare (šwb) a Sion. Questo non elimina l'esigenza di conversione (si noti l'espressione «figli traviati»); l'attenzione tuttavia si sposta: il tema del ritorno a Sion è centrale negli oracoli contenuti nei cc. 30-31 (intitolati da alcuni interpreti «libro della conversione») e suppone gli eventi del 587 a.C. Il ritorno a Sion prevede anzitutto un rinnovamento della classe dirigente (i «pastori», v. 15): non più una classe di corrotti reggerà le sorti del popolo, ma dirigenti che si preoccupano del benessere della popolazione. Un ulteriore segno del rinnovamento è dato dall'assenza dell'arca dell'alleanza nel futuro assetto della città. Il passo suppone ormai scomparso questo elemento del tempio salomonico che si faceva risalire a Mosè. Probabilmente l'arca scomparve con la distruzione di Gerusalemme provocata da Nabucodonosor nel 587 a.C., ma la Bibbia non specifica questo fatto (i resoconti degli avvenimenti affermano soltanto che il re babilonese ha portato via i vasi sacri). Secondo 2Cr 35,3 l'arca era ancora nel tempio all'epoca di Giosia, ma il versetto in questione non è di chiara interpretazione; qualche interprete ha ipotizzato che l'arca sia stata distrutta all'epoca del re Manasse, che l'avrebbe sostituita con un'immagine di Asera. Il profeta annuncia che nella nuova condizione in cui saranno posti i rimpatriati, non si farà più alcun riferimento all'arca: e come talvolta si è pensato all'arca come trono di JHWH, allora il riferimento sarà all'intera città (cfr. 17,12 dove il trono è il tempio), alla quale confluiranno tutti i popoli nel nome del Signore. Il pellegrinaggio delle nazioni a Gerusalemme è l'espressione di una speranza rivolta al futuro, l'attesa che le nazioni vengano a Gerusalemme per imparare la legge e per servire JHWH (cfr. Is 2,2-4; Mic 4,1-3; Zc 14,16-19).

3,19-4,4. Il brano riprende il tema della conversione di Giuda, dichiarata impossibile in 3,1-5: l'impossibilità legale viene superata dall'amore di Dio, che è insieme padre e sposo, ma è necessaria una risposta d'amore da parte del suo popolo. Il v. 19 ripropone in prospettiva mutata i temi di 2,2.7: la sequela fedele della sposa, caratteristica del tempo del deserto (cfr. 2,2), si fa speranza per l'avvenire (v. 19c), così come il dono della terra, fatto nel passato (cfr. 2,7), si fa ora auspicio per il futuro (v. 19b). In effetti, un grido di pentimento si leva da Israele (vv. 21-25): il popolo confessa la sua colpa, condanna le scelte precedenti come fallaci, di nuovo si rivolge a Dio: solo lui è salvatore. Questa idea è cara a Geremia: gli idoli sono impotenti, vani, incapaci di operare la salvezza (cfr. 2,28; 14,22...). Anzi, portano a rovina (v. 24): la distruzione dei raccolti è opera dell'«infamia» (ebr. boset, termine con cui a un certo momento si cominciò a designare Baal: cfr. 11,13) e allora non resta che «avvolgersi» in quella «infamia» (boset) come in un drappo mortuario. Questa però non è la conversione che salva: è chiusura in se stessi e non apertura a Dio. Ora, è a Dio che bisogna guardare per riprendere ad andargli dietro (cfr. 2,2), cessando di «vagare lontano». Al dono di Dio deve corrispondere l'impegno dell'uomo (v. 3-4): arare per una nuova semina, preparare un novale; passare dalla religione esteriore a quella interiore. La “circoncisione del cuore” infatti, è l'attenzione a orientare per Dio le scelte di fondo, non accontentandosi dell'adesione formale. In forza della circoncisione esterna l'Ebreo entrava a far parte del popolo dell'alleanza. Per Geremia tuttavia l'alleanza si iscrive nel «cuore» e lì deve collocarsi la circoncisione. L'espressione «circoncidete il vostro cuore» (cfr. anche Dt 10,16; 30,6; Lv 26,41) è evidentemente una metafora, del resto non unica nell'AT in riferimento alla circoncisione (Ger 6,10: «orecchio incirconciso»; Lv 19,23-25:«frutti incirconcisi»). Per comprenderne il significato occorre anzitutto tener presente che il vocabolo ebraico leb, da noi tradotto in genere con cuore, indica nell'AT l'interiorità dell'uomo, da dove sgorgano i pensieri e dove si prendono le decisioni fondamentali. A questo livello si colloca l'espressione e la metafora usata anche dal profeta investe soprattutto il piano morale e, senza contrapporsi al rito concreto della circoncisione, sottolinea la disposizione interiore quale elemento determinante della relazione Dio-popolo. In tal senso va compreso il v. 4 che conclude l'oracolo sulla conversione d'Israele: «Circoncidetevi per il Signore ed eliminate il prepuzio (lett. «i prepuzi») del vostro cuore». L'oracolo divino insiste sulla necessità di un cambiamento radicale, che culmina in due metafore: la prima che dice di arare «un terreno incolto e di non seminare tra le spine», la seconda di «circoncidersi per il Signore», ma non il prepuzio fisico, bensì quello del cuore. Il profeta mostra quindi che l'esigenza di conversione richiede di attuare qualcosa di assolutamente nuovo: non si tratta di rifare ciò che si è fatto male (il terreno finora seminato è pieno di spine, v. 3; la circoncisione finora praticata non ha dato i risultati attesi, v. 4), ma di ricominciare con nuove premesse, cioè lasciando che l'opera di Dio (quindi la sua parola, con le sue esigenze di verità, rettitudine e giustizia, v. 2) si innesti su un terreno totalmente nuovo, il cuore, l'interiorità dell'uomo che sta alla radice delle decisioni buone o malvagie di ciascuno.

(cf. EMILIANO VALLAURI e FLAVIO DELLA VECCHIA, Geremia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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ORACOLI CONTRO GIUDA

Oracoli al tempo di Giosia

Infedeltà d'Israele 1Mi fu rivolta questa parola del Signore: 2«Va’ e grida agli orecchi di Gerusalemme: Così dice il Signore: Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in terra non seminata. 3Israele era sacro al Signore, la primizia del suo raccolto; quanti osavano mangiarne, si rendevano colpevoli, la sventura si abbatteva su di loro. Oracolo del Signore. 4Udite la parola del Signore, casa di Giacobbe, voi, famiglie tutte d’Israele! 5Così dice il Signore: Quale ingiustizia trovarono in me i vostri padri per allontanarsi da me e correre dietro al nulla, diventando loro stessi nullità? 6E non si domandarono: “Dov’è il Signore che ci fece uscire dall’Egitto, e ci guidò nel deserto, terra di steppe e di frane, terra arida e tenebrosa, terra che nessuno attraversa e dove nessuno dimora?”. 7Io vi ho condotti in una terra che è un giardino, perché ne mangiaste i frutti e i prodotti, ma voi, appena entrati, avete contaminato la mia terra e avete reso una vergogna la mia eredità. 8Neppure i sacerdoti si domandarono: “Dov’è il Signore?”. Gli esperti nella legge non mi hanno conosciuto, i pastori si sono ribellati contro di me, i profeti hanno profetato in nome di Baal e hanno seguito idoli che non aiutano. 9Per questo intenterò ancora un processo contro di voi – oracolo del Signore – e farò causa ai figli dei vostri figli. 10Recatevi nelle isole dei Chittìm e osservate, mandate gente a Kedar e considerate bene, vedete se è mai accaduta una cosa simile. 11Un popolo ha cambiato i suoi dèi? Eppure quelli non sono dèi! Ma il mio popolo ha cambiato me, sua gloria, con un idolo inutile. 12O cieli, siatene esterrefatti, inorriditi e spaventati. Oracolo del Signore. 13Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua. 14Israele è forse uno schiavo, o è nato servo in casa? Perché è diventato una preda? 15Contro di lui ruggiscono leoni con ruggiti minacciosi. Hanno ridotto la sua terra a deserto, le sue città sono state bruciate e nessuno vi abita. 16Persino le genti di Menfi e di Tafni ti hanno umiliata radendoti il capo. 17Non ti accade forse tutto questo perché hai abbandonato il Signore, tuo Dio, al tempo in cui era tua guida nel cammino? 18E ora, perché corri verso l’Egitto a bere l’acqua del Nilo? Perché corri verso l’Assiria a bere l’acqua dell’Eufrate? 19La tua stessa malvagità ti castiga e le tue ribellioni ti puniscono. Renditi conto e prova quanto è triste e amaro abbandonare il Signore, tuo Dio, e non avere più timore di me. Oracolo del Signore degli eserciti. 20Già da tempo hai infranto il giogo, hai spezzato i legami e hai detto: “Non voglio essere serva!”. Su ogni colle elevato e sotto ogni albero verde ti sei prostituita. 21Io ti avevo piantato come vigna pregiata, tutta di vitigni genuini; come mai ti sei mutata in tralci degeneri di vigna bastarda? 22Anche se tu ti lavassi con soda e molta potassa, resterebbe davanti a me la macchia della tua iniquità. Oracolo del Signore. 23Come osi dire: “Non mi sono contaminata, non ho seguito i Baal”? Guarda nella valle le tracce dei tuoi passi, riconosci quello che hai fatto, giovane cammella leggera e vagabonda! 24Asina selvatica, abituata al deserto: quando ansima nell’ardore del suo desiderio, chi può frenare la sua brama? Quanti la cercano non fanno fatica: la troveranno sempre disponibile. 25Férmati prima che il tuo piede resti scalzo e la tua gola inaridisca! Ma tu rispondi: “No, è inutile, perché io amo gli stranieri, voglio andare con loro”. 26Come viene svergognato un ladro sorpreso in flagrante, così restano svergognati quelli della casa d’Israele, con i loro re, i loro capi, i loro sacerdoti e i loro profeti. 27Dicono a un pezzo di legno: “Sei tu mio padre”, e a una pietra: “Tu mi hai generato”. A me rivolgono le spalle, non la faccia; ma al tempo della sventura invocano: “Àlzati, salvaci!”. 28Dove sono gli dèi che ti sei costruito? Si alzino, se sono capaci di salvarti nel tempo della sventura; poiché numerosi come le tue città sono i tuoi dèi, o Giuda! 29Perché contendete con me? Tutti vi siete ribellati contro di me. Oracolo del Signore. 30Invano ho colpito i vostri figli: non hanno imparato la lezione. La vostra spada ha divorato i vostri profeti come un leone distruttore. 31Voi di questa generazione, fate attenzione alla parola del Signore! Sono forse divenuto un deserto per Israele o una terra dov’è sempre notte? Perché il mio popolo dice: “Siamo liberi, non verremo più da te”? 32Dimentica forse una vergine i suoi ornamenti, una sposa la sua cintura? Eppure il mio popolo mi ha dimenticato da giorni innumerevoli. 33Come sai scegliere bene la tua via in cerca di amore! Anche alle donne peggiori hai insegnato le tue strade. 34Sull’orlo delle tue vesti si trova persino il sangue di poveri innocenti, da te non sorpresi a scassinare! Eppure per tutto questo 35tu protesti: “Io sono innocente, perciò la sua ira si è allontanata da me”. Ecco, io ti chiamo in giudizio, perché hai detto: “Non ho peccato!”. 36Con quale leggerezza cambi strada? Anche dall’Egitto sarai delusa, come fosti delusa dall’Assiria. 37Anche di là tornerai con le mani sul capo, perché il Signore ha respinto coloro nei quali confidi; da loro non avrai alcun vantaggio.

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Approfondimenti

Oracoli al tempo di Giosia 2,1-6,30 Tutta la sezione rappresentata dai cc. 2-6 va probabilmente ricondotta, nel suo complesso, alla prima attività profetica di Geremia sotto Giosia. Soprattutto il c. 2 costituisce un bell'esempio della sua predicazione in tale periodo, allorché, giovane sacerdote di Anatot, si trova ad affrontare il pubblico della capitale per contestare vizi e inadempienze nei confronti della legge di Dio. Lo schema del capitolo è quello tradizionale della denuncia, a partire dal richiamo dei benefici divini per mostrare l'ingratitudine del popolo che si abbandona all'idolatria e all'immoralità più sfacciate, e ricordare che le sventure e i malanni sono la punizione di Dio per tali infedeltà all'alleanza. Ma entro lo schema il profeta si muove con sufficiente libertà di riflessione e di stile, lasciando già emergere le caratteristiche della sua predicazione fatta di tenerezza e di rudezza insieme, di speranza di ravvedimento e di acuta percezione del male, di accorati richiami e di minacce non velate. Letterariamente il brano mostra una certa dipendenza tematica e stilistica da scrittori precedenti (ad es. il presentare Israele come fidanzata di Dio proviene da Osea e l'immagine della vigna, v. 21, da Isaia) ma il profeta sta già trovando il suo mondo concettuale e poetico con riflessioni, temi e moduli espositivi (girandola di immagini spesso felici e incisive: la cisterna, la cammella selvatica) che diventeranno poi caratteristici. Alla base di tutto, il senso profondo di Dio e delle sue esigenze. Più che una successione logica e organica di pensieri possiamo cercare nel comportamento una scansione di temi, che però possono essere accennati, sospesi e ripresi a distanza.

Infedeltà d'Israele 2,1-37 Il testo può essere così suddiviso:

  • vv. 1-3: l'amore di un tempo;
  • vv. 4-9: riepilogo storico e accusa di infedeltà;
  • vv. 10-13: l'accusa è ulteriormente accentuata;
  • vv. 14-19: il contrasto tra la situazione attuale d'Israele (schiavo) e la sua identità originaria;
  • vv. 20-28: nuove accuse di infedeltà per l'idolatria dilagante;
  • vv. 29-32: Dio non è stato a guardare;
  • vv. 33-37: Israele ha cambiato strada.

1-3. Il primo momento è una rievocazione commossa e partecipe degli esordi di Israele come popolo, a partire dall'esperienza del deserto. Geremia non ricorda subito l'esodo dall'Egitto (cfr. v. 6) perché ora non gi preme tanto richiamare l'intervento di Dio quanto sottolineare la mancata corrispondenza del popolo, o meglio, contrapporre la risposta generosa degli inizi alla situazione che fece seguito all'ingresso in Canaan. L'epoca del deserto è presentata come il periodo del fidanzamento, quando la fedeltà non era solo osservata ma vissuta con «affetto».

4-9. L'entrata in Canaan ha rovesciato la situazione: secondo Geremia la civiltà cananea è la responsabile dell'apostasia del popolo di Dio. In questa valutazione il profeta non è mosso da un ideale nomadico che lo spinge a demonizzare la sedentarizzazione e auspicare l'abbandono dei campi. Riconosce che la terra fertile è dono di JHWH (V. 7), tanto più apprezzabile per chi ha sperimentato il deserto (v. 6). Ma ha presente la realtà storica dell impatto deviante con la cultura cananea e di riflesso è portato a colorire del tutto positivamente l'esperienza precedente che altre tradizioni (ad es Esodo e Numeri) presentano invece come ricca di tradimenti e defezioni (si pensi al “vitello d'oro”). Al dono nuziale della terra, Israele ha risposto con la profanazione. È probabile che proprio così si siano svolti i fatti, tenuto conto del fascino esercitato dalla religione naturistica cananea sugli immigrati, proprio allora convertiti all'agricoltura in quella zona. Ma nella prospettiva geremiana del matrimonio fra Dio e Israele questa scelta ha il sapore di una profanazione del talamo, tanto più che i riti cananei avevano una forte connotazione sessuale, cui il profeta potrebbe alludere con il verbo «avete contaminato» (v. 7) che talvolta è usato per indicare comportamenti devianti in proposito (cfr. Gn 34,5.13.27; Es 16,6.11.15; 22,11; 33,26; 23,17). Più insistentemente è richiamata la rottura del vincolo, evidenziata dall'allontanamento (v. 5): mentre prima, nel deserto, Israele «seguiva» il marito, come sposa devota (v. 2) partecipando così della sua santità, sacralità (v. 3) e potenza di vittoria, ora «segue» gli idoli, esseri «vani», inconsistenti, incapaci di sostenere nella vita, diventando così partecipe della loro vacuità esistenziale.

10-13. Non s'è mai visto nulla di simile, neppure tra i pagani, per quanto uno esamini i popoli dall'Occidente (Kittim corrisponde propriamente a Cipro, ma qui sta a indicare le terre al di là del mare) all'Oriente (Kedar è zona al di là del Giordano) e il profeta stigmatizza la stoltezza di un comportamento che cambia un bene prezioso, qual è Dio, con una sua contraffazione inconsistente, con un idolo. L'immagine dell'acqua, che segue, particolarmente felice e destinata a diventare classica, è tanto più efficace se riferita alla Palestina così povera di acqua sorgiva.

14-19. Un atteggiamento simile non poteva non essere disastroso: i castighi già se li è procurati il popolo con le sue azioni: Israele si è ridotto alla condizione di schiavo, alla mercé di padroni spietati che ne succhiano le risorse riducendolo al lastrico. Comunque si spieghi l'accenno agli Egiziani («figli di Menfi e di Tafni»), fuori luogo agli inizi della carriera profetica di Geremia e forse aggiunto nel 605, si richiama con ciò la metafora precedente dell'acqua: le «cisterne» screpolate sono i grandi imperi, egiziano e mesopotamico, indicati dai rispettivi fiumi (Nilo, Eufrate) ai quali Giuda fa alternativamente riferimento per avere salvezza, ottenendone invece rovina.

20-29. Giuda con caparbietà ha fatto la sua scelta: non JHWH, ma gli idoli sono il suo giogo. Ebbene; vengano gli idoli a salvarlo ora che è allo sfascio. Entro questa cornice (cfr. vv. 20 e 28), il tema degli idoli è sviluppato con diverse connotazioni, tra cui predomina, in confronto al brano precedente, l'impostazione oseana dell'idolatria come prostituzione. Geremia la sfrutta con insistenza persino, si direbbe, esagerata. La «valle» (v. 23) – è forse quella della Geenna, in cui si trovava il Tofet – è percorsa da Israele come da una «cammella» imbizzita, le alture sacre come da un'«asina» sempre in calore. Il profeta ha un accenno di ironia: tanto scalmanarsi non finirà per consumare le sue calzature, per farla restare a gola secca (v. 25)? Ma ecco riemergere l'amara realtà di un Dio messo da parte per «un pezzo di legno» e «una pietra» (v. 27). Il Tofet (cfr. Is 30,33; Ger 7,31-32; 19,6) era un luogo situato nella valle di Innom (Geenna). La derivazione del nome è incerta, ma è chiaro che la pronuncia attuale è una deformazione intenzionale dei masoreti per assimilarne il suono al vocabolo bôšet («vergogna»). La Bibbia indica che in questo luogo gli Israeliti idolatri facevano passare per il fuoco i loro figli e le loro figlie. Il rito è menzionato inoltre dai Padri della Chiesa che commentando e traducendo l'AT danno il nome di Moloch alla divinità destinataria di questo tipo di sacrificio. Gli scavi effettuati in molte città fenicie hanno portato alla luce numerosi santuari a cielo aperto con migliaia di urne di terracotta contenenti ceneri e ossa bruciate di bambini in tenera età. Le stele ivi ritrovate ricordano un rito chiamato molk e offerto a Tanit e Baal Ammon da parte di privati cittadini, uomini e donne, per ringraziare, o con l'auspicio di un esaudimento alla richiesta fatta alle divinità. Non è tuttavia certo, allo stato attuale degli studi, che ci si trovi in presenza di una diffusa pratica del sacrificio dei fanciulli (questo soprattutto in ambito fenicio), sia perché le fonti classiche che citano questo rito lo menzionano come eccezionale, sia perché talvolta le fonti stesse riflettono una intenzionale propaganda denigratoria anticartaginese. L'oriente fenicio è muto al riguardo e gli stessi dati biblici potrebbero far riferimento a riti di carattere “iniziatico”, dove il passaggio attraverso il fuoco potrebbe avere un significato purificatore, non necessariamente sacrificale.

30-32. Questo Dio tradito insiste però nel richiamare la nazione fedifraga con castighi, anche se inutili. Dio stesso infatti si presenta come all'origine delle sventure del popolo (v. 30): lo ha fatto per dare una «lezione» nel senso pieno del termine, che è di aiutare ad apprendere. Ma il popolo è cocciuto nel suo rifiuto, e Dio se ne lamenta con parole appassionate, che risentono del linguaggio amoroso (cfr. vv. 31-32).

33-37. Anche se ripetitiva, la denuncia del peccato di Israele tende a inchiodare alle sue responsabilità il popolo che si dichiara spudoratamente «innocente» (v. 35), mentre lo accusano le sue stesse «vesti» (v. 34) che recano evidenti le tracce dei delitti. Nel TM gli innocenti sono i poveri (cfr. Is 3, 14-15), tuttavia l'oppressione dei poveri non è un tema centrale in Geremia e forse abbiamo qui un argomento introdotto nel testo in un secondo tempo. In ogni caso, la conclusione è il preannuncio del fallimento che questa scelta di vita porta necessariamente con sé (v. 37).

(cf. EMILIANO VALLAURI e FLAVIO DELLA VECCHIA, Geremia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Introduzione 1Parole di Geremia, figlio di Chelkia, uno dei sacerdoti che risiedevano ad Anatòt, nel territorio di Beniamino. 2A lui fu rivolta la parola del Signore al tempo di Giosia, figlio di Amon, re di Giuda, l’anno tredicesimo del suo regno, 3e successivamente anche al tempo di Ioiakìm, figlio di Giosia, re di Giuda, fino alla fine dell’anno undicesimo di Sedecìa, figlio di Giosia, re di Giuda, cioè fino alla deportazione di Gerusalemme, avvenuta nel quinto mese di quell’anno.

Vocazione del profeta 4Mi fu rivolta questa parola del Signore: 5«Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni». 6Risposi: «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». 7Ma il Signore mi disse: «Non dire: “Sono giovane”. Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò e dirai tutto quello che io ti ordinerò. 8Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti». Oracolo del Signore. 9Il Signore stese la mano e mi toccò la bocca, e il Signore mi disse: «Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca. 10Vedi, oggi ti do autorità sopra le nazioni e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare». 11Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Che cosa vedi, Geremia?». Risposi: «Vedo un ramo di mandorlo». 12Il Signore soggiunse: «Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla». 13Mi fu rivolta di nuovo questa parola del Signore: «Che cosa vedi?». Risposi: «Vedo una pentola bollente, la cui bocca è inclinata da settentrione». 14Il Signore mi disse: «Dal settentrione dilagherà la sventura su tutti gli abitanti della terra. 15Poiché, ecco, io sto per chiamare tutti i regni del settentrione. Oracolo del Signore. Essi verranno e ognuno porrà il proprio trono alle porte di Gerusalemme, contro le sue mura, tutt’intorno, e contro tutte le città di Giuda. 16Allora pronuncerò i miei giudizi contro di loro, per tutta la loro malvagità, poiché hanno abbandonato me e hanno sacrificato ad altri dèi e adorato idoli fatti con le proprie mani. 17Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi, àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti di fronte a loro, altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro. 18Ed ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. 19Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti». Oracolo del Signore.

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Approfondimenti

Introduzione 1,1-3 L'intestazione del libro ci fornisce i dati sull'origine del profeta e sui re sotto i quali ha svolto il suo ministero. Geremia è associato ai «sacerdoti che dimoravano in Anatot», villaggio a 6 km a nord di Gerusalemme. Questi sacerdoti sono in relazione con la cacciata di Ebiatar da Gerusalemme per opera di Salomone (cfr. 1Re 2,26-27). Ebiatar, come mostra la sua genealogia (cfr. 1Sam 14,3; 22,20), discendeva da Eli, il sacerdote del tempio di Silo: in Ebiatar intatti giunse a compimento la maledizione pronunciata sulla casa di Eli (cfr. 1Sam 2,30-36). Nella sua persona, Geremia porta la storia di questa famiglia e in effetti il suo apparire al tempio costituirà la memoria viva di una sventura abbattutasi su un altro santuario (cfr. 7,14) e su un altro sacerdozio. Proprio dal luogo in cui Ebiatar tu cacciato nel giorni precedenti la costruzione del tempio viene un uomo che pronuncerà parole funeste contro il tempio di Salomone e assisterà alla distruzione di Gerusalemme.

Vocazione del profeta 1,4-19 Il racconto della chiamata del profeta si segmenta chiaramente in tre parti, a motivo dell'incipit che le caratterizza e che è stereotipato: «Mi fu rivolta la parola di JHWH» (v. 4.11.13). Una quarta parte si può identificare per il fatto che si introduce un nuovo soggetto in posizione enfatica («Tu, dunque,.., v. 17) e vi è un mutamento di contenuto. Discusse sono l'unità compositiva del brano, e il genere letterario: per taluni sarebbe un racconto profetico di vocazione, per altri ci troviamo di fronte all'affidamento di una commissione, in genere riferito ai capi politici, perciò a un racconto che avrebbe la funzione di legittimare teologicamente il potere del capo contestato.

4-10. La visione di vocazione, se confrontata con quella di Is 6 o di Ez 1-2, è molto sobria, spoglia di ogni apparato esterno per cui l'unico elemento visivo è la mano del Signore che tocca la bocca del profeta (v. 9). Se è vero che il modo di vivere l'incontro con il divino è relativo alla personalità del soggetto, fin da questo primo presentarsi Geremia appare riservato, ma anche attento all'essenzialità delle cose, e in tale familiarità con l'altro da permettersi un colloquio non solo privo di timore (cfr. invece Es 6,5; Ez 2,28), ma schietto e audace tanto da fargli opporre alla palese volontà di Dio le proprie preferenze. Siamo di fronte al genere letterario del dialogo di vocazione che poteva comportare un'obiezione per mettere in luce la progressiva presa di coscienza della propria missione, come è attestato per altri casi (cfr. Mosè) in cui, per il chiamato, il contrasto tra aspirazione e missione è stato più acuto fin dagli esordi. Geremia vede gli esiti della sua missione già nel suo concepimento: tutta la sua esistenza è stata sotto il segno della chiamata alla missione profetica, nonostante sembrasse umanamente non predisposto. Nella riflessione il profeta si è reso conto che Dio lo ha destinato, «consacrato», a tale missione orientandone («ti conoscevo») tutta la vita («prima di formarti»): il Dio che gli ha plasmato il corpo ha segnato così la sua vicenda umana. Geremia ha lottato per esserne liberato (cfr. le “confessioni”), ma, consapevole della volontà di Dio che gli urgeva dentro come fuoco (cfr. 20,9), ha accettato. Non valgono di fronte a Dio le ragioni di inettitudine umana («sono giovane») perché di contro sta quella forza che tutto fa superare, anche la poca esperienza e la mancanza di autorità morale, connesse con la giovane età. La bocca del profeta ormai è piena della parola di Dio e non potrà che proclamarla, a proprio rischio, a tutti. Ne è coinvolto fino alle midolla. Nel v. 10 troviamo sei verbi che intendono illustrare il compito affidato al profeta. Questi sei verbi ritornano spesso nel libro di Geremia (12, 14.17; 18,7-9; 24,6; 31,28.38.40; 42,10; 4,4), ma soltanto in questo passo hanno come soggetto un essere umano, mentre negli altri casi è sempre JHWH il soggetto di tali azioni. In un certo senso si può affermare che questi verbi sono qui impiegati per riassumere l'opera di Geremia come un'attività che guida i destini delle nazioni (cfr. v. 4: «profeta delle nazioni»).

11-16. Le due visioni, con il commento che le esplicita (v. 14-16), precisano il contenuto della missione di Geremia: annunciare la rovina di Gerusalemme ad opera di un nemico che si affaccia minaccioso dal nord. Dio usa questo nemico come strumento di punizione per l'idolatria del popolo. Un Dio che «vigila» come il «mandorlo» in vista della primavera. Il «mandorlo» in ebraico è indicato con un termine che suona come il verbo «vigilare», sicché il profeta gioca sulle parole: vedo un ramo di “vigilante”... poiché Io sono vigilante...». Un Dio esigente, che non lascia correre; ha una parola che urge verso la realizzazione. La parola è minaccia per chi è infedele e per Israele la minaccia sta per diventare castigo, come una pentola in procinto di rovesciarsi. La minaccia è ancora confusa: il nord è la regione tradizionale da cui provengono le invasioni in Palestina. Comunque, Geremia si avvale di alcuni segnali per annunciare agli Israeliti il castigo che punirà la nazione ribelle.

17-19. Questi versetti riallacciano al racconto di vocazione, riprendendo il tema del compito da svolgere con coraggio, in forza dell'aiuto divino.

(cf. EMILIANO VALLAURI e FLAVIO DELLA VECCHIA, Geremia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Su chi volgerò lo sguardo? 1Così dice il Signore: «Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei miei piedi. Quale casa mi potreste costruire? In quale luogo potrei fissare la dimora? 2Tutte queste cose ha fatto la mia mano ed esse sono mie – oracolo del Signore. Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi trema alla mia parola. 3Uno sacrifica un giovenco e poi uccide un uomo, uno immola una pecora e poi strozza un cane, uno presenta un’offerta e poi sangue di porco, uno brucia incenso e poi venera l’iniquità. Costoro hanno scelto le loro vie, essi si dilettano dei loro abomini; 4anch’io sceglierò la loro sventura e farò piombare su di loro ciò che temono, perché io avevo chiamato e nessuno ha risposto, avevo parlato e nessuno ha udito. Hanno fatto ciò che è male ai miei occhi, ciò che non gradisco hanno scelto».

Prosperità di Gerusalemme e venuta del Signore 5Ascoltate la parola del Signore, voi che tremate alla sua parola. Hanno detto i vostri fratelli che vi odiano, che vi respingono a causa del mio nome: «Mostri il Signore la sua gloria, perché possiamo vedere la vostra gioia!». Ma essi saranno confusi. 6Giunge un rumore, un frastuono dalla città, un rumore dal tempio: è la voce del Signore, che dà la ricompensa ai suoi nemici. 7Prima di provare i dolori, ha partorito; prima che le venissero i dolori, ha dato alla luce un maschio. 8Chi ha mai udito una cosa simile, chi ha visto cose come queste? Nasce forse una terra in un giorno, una nazione è generata forse in un istante? Eppure Sion, appena sentiti i dolori, ha partorito i figli. 9«Io che apro il grembo materno, non farò partorire?», dice il Signore. «Io che faccio generare, chiuderei il seno?», dice il tuo Dio. 10Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa tutti voi che l’amate. Sfavillate con essa di gioia tutti voi che per essa eravate in lutto. 11Così sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni; succhierete e vi delizierete al petto della sua gloria. 12Perché così dice il Signore: «Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace; come un torrente in piena, la gloria delle genti. Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati. 13Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati. 14Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi, ma la sua collera contro i nemici. 15Poiché, ecco, il Signore viene con il fuoco, i suoi carri sono come un turbine, per riversare con ardore l’ira, la sua minaccia con fiamme di fuoco. 16Con il fuoco infatti il Signore farà giustizia e con la spada su ogni uomo; molti saranno i colpiti dal Signore. 17Coloro che si consacrano e purificano nei giardini, seguendo uno che sta in mezzo, che mangiano carne suina, cose obbrobriose e topi, insieme finiranno – oracolo del Signore – 18con le loro opere e i loro propositi.

Segno tra i popoli e pellegrinaggio a Gerusalemme Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria. 19Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle popolazioni di Tarsis, Put, Lud, Mesec, Ros, Tubal e Iavan, alle isole lontane che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunceranno la mia gloria alle genti. 20Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le genti come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari, al mio santo monte di Gerusalemme – dice il Signore –, come i figli d’Israele portano l’offerta in vasi puri nel tempio del Signore. 21Anche tra loro mi prenderò sacerdoti leviti, dice il Signore. 22Sì, come i nuovi cieli e la nuova terra, che io farò, dureranno per sempre davanti a me – oracolo del Signore –, così dureranno la vostra discendenza e il vostro nome. 23In ogni mese al novilunio, e al sabato di ogni settimana, verrà ognuno a prostrarsi davanti a me, dice il Signore. 24Uscendo, vedranno i cadaveri degli uomini che si sono ribellati contro di me; poiché il loro verme non morirà, il loro fuoco non si spegnerà e saranno un abominio per tutti».

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Approfondimenti

Su chi volgerò lo sguardo? 66,1-4 L'ultimo capitolo della «Visione» forma, insieme al c. 65, un'inclusione con il c. 1 offrendo così la prospettiva della composizione finale della «Visione di Isaia». La frequente ripetizione delle formule «così dice il Signore», «dice il Signore», o di altre espressioni affini, mostra che siamo alla presenza non di un brano unitario, ma di diverse pericopi riunite insieme solo a livello redazionale. Anche i vv. 1-4 costituiscono un'unità redazionale, nella quale si incontrano due detti: il primo è una dichiarazione polemica contro una concezione che assolutizza il valore del tempio (vv. 1-2); il secondo, invece, sviluppa una forte condanna del sincretismo (vv. 3-4).

1-2. Si può scorgere nel testo il messaggio di un gruppo che, senza opporsi radicalmente alla costruzione del tempio, intendeva riallacciarsi alla grande profezia preesilica per sottolineare l'esigenza vitale del rinnovamento interiore.

3-4. Nel nostro passo si accostano espressioni autentiche del culto di Israele a deviazioni proprie dei culti idolatrici per condannare, nella linea di 65,3b-5.7, ogni forma di sincretismo. La condanna è sanzionata in modo da mettere in evidenza la piena corrispondenza tra la colpa e il castigo (vv. 3b-4a) e sottolineare che, lungi dall'essere sorgente di liberazione, il culto degli idoli attira sull'uomo i mali dei quali ha paura. La frase del v. 4bc, praticamente uguale a 65,12b, mostra che la gravità della colpa risiede nell'intimo dell'uomo dove questi compie la scelta di ascoltare il Signore o di chiudersi alla sua parola e alla sua chiamata.

Prosperità di Gerusalemme e venuta del Signore 66,5-18a Questa sezione, il cui carattere unitario è solo redazionale, è il frutto di una “composizione” particolarmente articolata. Il nucleo centrale è rappresentato dall'annuncio salvifico dei vv. 7-14a, che, a sua volta, si trova incorniciato dai vv. 6.14b-16 i quali pongono la promessa della nuova Gerusalemme nel contesto dell'intervento del Signore per compiere il giudizio dei suoi nemici. Infine è stato inserito il v. 5 in modo da unire redazionalmente i vv. 1-4 con 6-16.

5. È un detto di giudizio contro coloro che «odiano» e «respingono» quanti, con sollecita premura, orientano la propria vita secondo la «parola del Signore». Quelli che «odiano» e «respingono» sono chiamati «fratelli». Ne segue che il nostro detto costituisce una testimonianza esplicita della divisione tra due gruppi all'interno del giudaismo postesilico. Non è improbabile che il detto rifletta una situazione creatasi dopo l'inaugurazione della torah ad opera di Esdra.

6. Il termine «frastuono» (cfr. Is 13,4) e l'espressione «che paga il contraccambio» (cfr. Ger 51,6) mostrano che il testo si riferisce al «giorno del Signore» quando si realizzerà il giudizio divino contro tutti i nemici di Israele (cfr. Gl 3,9-17). A livello redazionale questo detto non solo pone la promessa della nuova Gerusalemme nel contesto del giudizio, ma risponde alla sfida sarcastica dei «fratelli» che odiano la comunità di coloro che impegnano la propria esistenza sulla parola del Signore.

7-14a. L'immagine di Sion madre si ispira alle promesse di 49,18-23 e 54,1-3, dove si annuncia il ritorno del Giudei dispersi e la futura prosperità della loro città, nuovamente popolata. Il detto sviluppa l'immagine rilevando il carattere prodigioso e immediato di questa nascita (vv. 7-9). Il paese di Giuda si riempie in un istante di coloro che vivevano nella diaspora. Espresso simbolicamente, Sion genera il proprio popolo, tanto desiderato e capace di perpetuarsi (figlio «maschio»), prima ancora di sentire le doglie (v. 7). L'annuncio di salvezza ha come conseguenza un'esplosione di gioia (vv. 10-11) che, nell'attuale contesto, ha anche la funzione di rispondere alla sfida di coloro che avversano quanti aderiscono con impegno solerte e zelante alla parola del Signore (cfr. v. 5). Nel contesto della tristezza che si trasforma in «gioia», l'immagine di Sion madre è presentata nell'atteggiamento di nutrire al proprio petto le sue creature (v. 11). Da Sion, colma di «consolazioni» e abbondante di ricchezza, il popolo attinge, come indica il vocabolario della gioia, la pienezza della propria vita. I vv. 12-14a, che si presentano come un “mosaico di citazioni”, hanno la funzione di commentare le promesse dei v. 7-11 e, in particolare, l'invito alla gioia del v. 10.

14b-17. Il v. 14b, che parla di JHWH in terza persona, non appartiene più al discorso divino dei vv. 7-14a, ma segna il passaggio ai vv. 15-16 che costituiscono, insieme ai v. 5-6, la cornice all'annuncio salvifico della nuova Gerusalemme. La pace e la gloria appena annunciate sono ora riservate esclusivamente ai «servi» del Signore (cfr. 65,8.13-15). Invece i nemici, che sono da identificare con il gruppo che odia i giusti (cfr. v. 5), si troveranno sotto l'ira divina (v. 14b). La metafora, da un lato, sottolinea che la colpa non è intesa solo come violazione di una legge astratta, ma è compresa come un venir meno a un rapporto interpersonale d'amore che unisce Israele al Signore; dall'altro, afferma che la forza del male non infirma la potenza e santità di Dio, ma si ritorce sul peccatore stesso con il suo dinamismo di disgregazione e di rovina. I vv. 15-16 sono una “teofania di giudizio” che narra la venuta del Signore nella pienezza della sua potenza per liberare il popolo dall'oppressione del nemico (cfr. 13,3-16; 29,6 30,27-28; 34). L'antica teofania per la salvezza d'Israele dal nemico che ne minacciava l'esistenza, appare qui, come nel v. 6, trasformata nel giudizio contro le nazioni della terra e quindi contro tutte le forze del male coalizzate insieme. Non è improbabile che la prospettiva dei vv. 15-16 rifletta l'influsso di un'apocalittica che si trova al primi passi del suo grandioso cammino. Il v. 17, di difficile interpretazione, in origine probabilmente veniva dopo il v. 14b, dal quale lo ha separato l'aggiunta dei vv. 15-16. La descrizione dei riti idolatrici, che attirano il giudizio divino sui Giudei che hanno rinnegato la propria fede, è affine a quella di 65,3b-5.7b. Gli elementi nuovi sono dati dalla descrizione ironica dei Giudei che «si consacrano e purificano» per compiere i riti idolatrici e dalla locuzione «seguendo uno (o una) che sta in mezzo». L'espressione sembra supporre la guida di un sacerdote o di una sacerdotessa che inizia i membri alle conoscenze segrete inerenti ai culti praticati.

Segno tra i popoli e pellegrinaggio a Gerusalemme 66,18b-24 È un brano con una evidente caratterizzazione escatologica, che però non forma un blocco unitario. I vv. 18-21, in prosa, se si eccettua il v. 20, presentano l'intervento del Signore che raduna «tutti i popoli» tra i quali alcuni saranno presi come «sacerdoti e leviti». I vv. 22-24 descrivono l'effetto del raduno dei popoli: il pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme e la fine di quanti si sono ribellati a JHWH.

18b-21. Richiamandosi all'annuncio della venuta di JHWH per giudicare il mondo (v. 15), il testo sottolinea che la condanna dei popoli non costituisce l'unico scopo dell'intervento divino. Il Signore viene anzitutto per «radunare tutti i popoli e tutte le lingue». La promessa del «segno» posto tra i popoli (v. 19a) allude probabilmente alla diaspora dei Giudei che, in linea con la visione universalistica del nostro brano, è interpretata come uno strumento per portare nel mondo la conoscenza di JHWH. La lista dei popoli, tratta da Ez 27,10-13; 38,2, e forse secondaria, situa la promessa in un grandioso scenario geografico che rievoca l'universalità delle genti con nomi che risvegliano l'immaginazione di terre lontane e lingue diverse: Tarsis (in Sardegna o nella Spagna meridionale), Put (in Egitto), Lud (in Asia Minore), Mesech (la Muski delle iscrizioni cuneiformi assire, a sud del Mar Nero), Ros (menzionata con Mesech e Tubal in Ez 38,2), Tubal (la Tabal delle iscrizioni assire, vicino al Mar Nero) e infine Iavan (la Grecia e in particolare le colonie ionie sulla costa occidentale dell'Asia Minore e nelle isole). La venuta dei popoli nel tempio di Gerusalemme è accompagnata dal ritorno dei «fratelli» giudei della diaspora. Questa prospettiva è delineata dal v. 20 con l'immagine suggestiva dei popoli che, con gesto sacerdotale, portano i Giudei come offerta «nel tempio del Signore». In questo contesto si situa il v. 21 con l'annuncio che il Signore prenderà «anche tra essi... sacerdoti e leviti». E poco probabile che il testo si riferisca ai reduci dalla diaspora dato che essi erano già suddivisi in laici, sacerdoti e leviti (nulla nel contesto porta a pensare all'estensione del sacerdozio a Giudei non appartenenti alla tribù di Levi). L'accento del discorso cade sui popoli che hanno accolto la fede in JHWH, sono divenuti suoi messaggeri e si recano nel tempio accompagnando gli stessi Giudei che vivono nei loro paesi. Il nostro testo quindi, sviluppando e superando l'apertura di 56,6-7, annuncia che anche dai popoli JHWH prenderà alcuni come sacerdoti e leviti. Il carattere inaudito di questa affermazione manifesta l'incommensurabile virtualità della promessa della nuova Sion «riscattata con la giustizia» (1,27) e costituita, come luogo del tempio e della torah, meta di tutti i popoli (2,1-4).

22-24. La «Visione di Isaia» si conclude con tre pro-messe. L'accoglienza delle genti in Gerusalemme e nel suo tempio significa che il popolo del Signore rimarrà sempre alla presenza del suo Dio come i «nuovi cieli» e la «nuova terra» annunciati in 65,17 (v. 22). La locuzione «stare (BC: durare) davanti al Signore» (v. 22) non solo indica stabilità, ma connota anche l'autenticità del popolo. Alla discendenza infedele (1,4) subentra la discendenza che rimane fedele alla propria vocazione e missione nella storia. La seconda promessa (v. 23) riguarda il pellegrinaggio di tutti i popoli («ogni carne» cfr. v. 16; 40,5; Sal 65,7) al tempio («davanti a me»). Questo pellegrinaggio si compirà non solo ogni anno nella festa delle Capanne, come in Zc 14,16, ma al principio di ogni mese (cfr. Nm 28,11-15) e ogni settimana in giorno di sabato (cfr. Nm 28,9-10). Come la creazione del cielo e della terra culminava nell'istituzione del sabato (Gn 2,2-3), così anche la creazione del mondo rinnovato ha il suo apogeo nel culto del sabato. La «Visione di Isaia», che iniziava con una comunità il cui culto non era gradito al Signore (cfr. 1, 11-15), si conclude significativamente con la rappresentazione di un mondo rinnovato nel quale JHWH accoglie non solo il culto del suo popolo, ma quello dell'umanità intera, di «ogni carne» (cfr. 56, 7). Nonostante l'orrore suscitato dalla scena descritta nel v. 24, anche l'ultimo versetto della «Visione» contiene una promessa. Non solo il popolo rinnovato non sarà più costituito da “figli ribelli” (cfr. 1,2), ma la stessa umanità, che si reca pellegrina al tempio di Gerusalemme, uscendo, vedrà nella valle di Ben-Innom (Geenna) i cadaveri di tutti gli «uomini» che si sono ribellati contro JHWH. In questo modo, nella nuova Gerusalemme la ribellione contro il Signore si manifesterà a tutti nella sua realtà funesta di scelta che chiude l'uomo alla salvezza e lo conduce inesorabilmente alla morte. Perciò scomparirà l'infedeltà (cfr. vv. 15-16; 48,22; 57,21) e l'umanità potrà sperimentare nella propria storia la gloria del Signore e celebrare, nel culto del tempio, il dono divino della liberazione e della vita per sempre.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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I servi del Signore e i ribelli 1Mi feci ricercare da chi non mi consultava, mi feci trovare da chi non mi cercava. Dissi: «Eccomi, eccomi» a una nazione che non invocava il mio nome. 2Ho teso la mano ogni giorno a un popolo ribelle; essi andavano per una strada non buona, seguendo i loro propositi, 3un popolo che mi provocava sempre, con sfacciataggine. Essi sacrificavano nei giardini, offrivano incenso sui mattoni, 4abitavano nei sepolcri, passavano la notte in nascondigli, mangiavano carne suina e cibi immondi nei loro piatti. 5Essi dicono: «Sta’ lontano! Non accostarti a me, che per te sono sacro». Tali cose sono un fumo al mio naso, un fuoco acceso tutto il giorno. 6Ecco, tutto questo sta scritto davanti a me; io non tacerò finché non avrò ripagato abbondantemente 7le vostre iniquità e le iniquità dei vostri padri, tutte insieme, dice il Signore. Costoro hanno bruciato incenso sui monti e sui colli mi hanno insultato; così io misurerò loro in grembo la ricompensa delle loro azioni passate. 8Dice il Signore: «Come quando si trova succo in un grappolo, si dice: “Non distruggetelo, perché qui c’è una benedizione”, così io farò per amore dei miei servi, per non distruggere ogni cosa. 9Io farò uscire una discendenza da Giacobbe, da Giuda un erede dei miei monti. I miei eletti ne saranno i padroni e i miei servi vi abiteranno. 10Saron diventerà un pascolo di greggi, la valle di Acor un recinto per armenti, per il mio popolo che mi ricercherà. 11Ma voi, che avete abbandonato il Signore, dimentichi del mio santo monte, che preparate una tavola per Gad e riempite per Menì la coppa di vino, 12io vi destino alla spada; tutti vi curverete alla strage, perché ho chiamato e non avete risposto, ho parlato e non avete udito. Avete fatto ciò che è male ai miei occhi, ciò che non gradisco, l’avete scelto». 13Pertanto, così dice il Signore Dio: «Ecco, i miei servi mangeranno e voi avrete fame; ecco, i miei servi berranno e voi avrete sete; ecco, i miei servi gioiranno e voi resterete delusi; 14ecco, i miei servi giubileranno per la gioia del cuore, voi griderete per il dolore del cuore, urlerete per lo spirito affranto. 15Lascerete il vostro nome come imprecazione fra i miei eletti: “Così ti faccia morire il Signore Dio”. Ma i miei servi saranno chiamati con un altro nome. 16Chi vorrà essere benedetto nella terra, vorrà esserlo per il Dio fedele; chi vorrà giurare nella terra, giurerà per il Dio fedele, perché saranno dimenticate le tribolazioni antiche, saranno occultate ai miei occhi. 17Ecco, infatti, io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, 18poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, poiché creo Gerusalemme per la gioia, e il suo popolo per il gaudio. 19Io esulterò di Gerusalemme, godrò del mio popolo. Non si udranno più in essa voci di pianto, grida di angoscia. 20Non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni, né un vecchio che dei suoi giorni non giunga alla pienezza, poiché il più giovane morirà a cento anni e chi non raggiunge i cento anni sarà considerato maledetto. 21Fabbricheranno case e le abiteranno, pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto. 22Non fabbricheranno perché un altro vi abiti, né pianteranno perché un altro mangi, poiché, quali i giorni dell’albero, tali i giorni del mio popolo. I miei eletti useranno a lungo quanto è prodotto dalle loro mani. 23Non faticheranno invano, né genereranno per una morte precoce, perché prole di benedetti dal Signore essi saranno, e insieme con essi anche la loro discendenza. 24Prima che mi invochino, io risponderò; mentre ancora stanno parlando, io già li avrò ascoltati. 25Il lupo e l’agnello pascoleranno insieme, il leone mangerà la paglia come un bue, e il serpente mangerà la polvere, non faranno né male né danno in tutto il mio santo monte», dice il Signore.

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Approfondimenti

I servi del Signore e i ribelli 65,1-25 Nella sua forma attuale il capitolo si presenta come una composizione strutturata in due sezioni a loro volta suddivise in due parti.

La prima sezione (vv. 1-12) tratta del destino dei ribelli (vv. 1-7) e stabilisce un confronto tra la sorte dei servi di JHwH e quella di coloro che hanno abbandonato JHWH (vv. 8-12).

La seconda sezione (vv. 13-25) prospetta ancora la sorte dei giusti e dei ribelli (vv. 13-16a) per culminare nella descrizione del destino dei giusti (v. 16b-25).

La netta divisione della comunità in due gruppi, completamente assente nella supplica di 63,7-64,11, mostra che il capitolo nella sua forma attuale non costituisce la risposta del Signore alla preghiera riportata nella pericope precedente, anche se il redattore ha cercato di sviluppare numerose connessioni tra i due testi (cfr. 65,1b.24 con 64,6; 65,2c con 63,17a e 64,4b; 65,6 con 64,11b; 65,7 con 64,5b.6d; 65,8-9 con 63,17c). In realtà Is 65 è stato posto, insieme al c. 66, nella redazione finale della «Visione di Isaia» in modo da formare una grandiosa inclusione con il c. 1. Da vari indizi risulta che il brano è costituito dall'aggregazione di diverse pericopi e perciò non forma una unità originaria, ma solo redazionale.

1-7. Un detto di giudizio che riflette la polemica antidolatrica, inserito successivamente tra la conclusione della supplica di 63,7-64,11 e i vv. 8-16a. La pericope, a quanto sembra, risente l'influsso dell'opera del Cronista nella quale la formulazione specifica del comandamento fondamentale è rappresentata dai verbi «cercare» e «ricercare» il Signore. I vocaboli «gente» e «popolo», come si evince dal contesto, non indicano qui l'intera nazione, ma solo un suo gruppo, caratterizzato come «ribelle». La raffigurazione del Signore, che si rivolge a questo gruppo con lo stesso gesto che l'orante assume verso 1l suo Dio (cfr. Sal 143,6; Is 1,15), appartiene alle immagini più efficaci e suggestive della fede biblica. Purtroppo, però, i «ribelli» non hanno accolto il dono incommensurabile dell'amore divino. Una serie di participi offre un quadro realistico delle azioni compiute dai «ribelli». I sacrifici nei boschetti sacri (cfr. 66,17 e 1,29) erano particolarmente connessi con i riti di fertilità (cfr. 57,5). L'offerta dell'incenso, invece, svolgeva un ruolo importante nel culto di JHWH (cfr. Es 30,1-10), perciò il suo uso in altre azioni cultuali ricevette sempre una decisa condanna. L'espressione «sui mattoni» è di incerto significato potendo indicare sia altari costruiti in mattoni, sia mattoni appositamente riscaldati, sia i mattoni dei terrazzi delle case dove si sacrificava per «la milizia del cielo» (cfr. Ger 19,13). L'ultimo significato sembra più probabile in quanto rispecchia una prassi che, sotto l'influsso della religione astrale assiro-babilonese, era largamente diffusa nel mondo semitico. Nei vv. 4-5a JHWH denuncia altre deviazioni cultuali: la negromanzia «abitare nei sepolcri»), il passare la notte in «nascondigli», o “caverne” per avere un oracolo da un demone o un morto (anziché trovare nella parola del Signore la luce del proprio cammino). Il consumare la carne suina (cfr. 66, 3.17) era proibito nella torah, perché connesso con pratiche cultuali idolatriche (come nel culto cananeo di Ugarit). L'ultimo emistichio del v. 4 si riferisce agli alimenti impuri proibiti in Lv 11 e Dt 14.

8-12. Questa pericope, chiaramente delimitata dalla formula iniziale del messaggero (v. 8) e dalla stessa formula che nel v. 13 introduce una nuova unità, pone direttamente a confronto la sorte di coloro che JHWH chiama «miei servi», miei eletti (vv. 8-10) e coloro che hanno «abbandonato il Signore» (vv. 11-12). La caratterizzazione dei servi ed eletti come popolo che «ricerca» il Signore rinvia alla formulazione del comandamento fondamentale vigente al tempo del Cronista (cfr. Sal 105,4-6 // 1Cr 16,11-13). Anche la locuzione «abbandonare il Signore» (v. 11), di stampo deuteronomistico, assume nel Cronista un valore antitetico alla ricerca del Signore e per questo denota coloro che sono venuti meno all'esigenza, propria del comandamento fondamentale, di un'adesione totale, esclusiva e perenne al Signore (cfr. 2Cr 7,11-22, in particolare i vv. 14.22, con il brano parallelo di 1Re 9,1-9). La pericope, quindi, nella sua redazione attuale presuppone l'opera del Cronista e la sua concezione teologica.

11. «Gad»... «Meni»: Gad è un dio siriano, personificazione della fortuna; Meni è una divinità forse simile alla dea Manat dell'arabia preislamica personificazione del destino.

13-16a. Nella linea dei vv. 8-12, la sorte dei fedeli e dei ribelli è presentata con una serie di quattro antitesi (vv. 13-14), cui segue una sentenza che fissa il carattere definitivo dei rispettivi destini (vv. 15-16a). Le quattro antitesi, ognuna delle quali inizia con l'espressione «Ecco, i miei servi», creano un quadro grandioso che accosta alla benedizione, riservata ai servi del Signore, la corrispondente maledizione riguardante coloro che non si sono aperti alla parola divina. Il carattere definitivo della diversa sorte dei giusti e dei ribelli si trova espresso nel v. 15. Il destino dei secondi sarà tale che il loro nome diventerà per gli eletti una formula di maledizione. L'espressione «Così ti faccia morire il Signore Dio» (come fece morire il tale) è probabilmente una glossa marginale che annotava una formula concreta di maledizione (cfr. Ger 29,22). Ai servi del Signore è invece promesso un nome diverso con il quale si esprimerà l'inizio della nuova era caratterizzata dalla salvezza divina (cfr. 62,2). In tale contesto il v. 16b sottolinea che nell'Israele futuro non ci saranno più riti idolatrici, perché si invocherà la benedizione e si giurerà nel nome del «Dio fedele» (propriamente «Dio dell'Amen»), in altri termini si riconoscerà nel Signore l'unica sorgente della benedizione e l'unico fondamento dell'esistenza in tutte le sue manifestazioni.

16b-25. È un detto di salvezza che prospetta il futuro gioioso della nuova Gerusalemme. La struttura del brano è tripartita: annuncio che la tribolazione passata sarà dimenticata (vv. 16b.17b); promessa della salvezza futura vv. 18-19a); caratteristiche della salvezza annunciata (vv. 19b-24). I vv. 17a e 25 sono stati aggiunti in una fase successiva in modo da situare questo detto salvifico per Gerusalemme e Giuda nel contesto di una trasformazione cosmica che rappresenta una tappa molto vicina alla concezione propria dell'apocalittica.

17. E una inserzione successiva che prospetta, in modo iperbolico, un mondo trasformato e rinnovato dall'opera salvifica del Signore. L'attesa esplicita del «nuovo», iniziata con Geremia (Ger 31,31-34), proseguita successivamente con Ezechiele (Ez 36,24-28) e il Deuteroisaia (Is 43,16-21), raggiunge qui una prospettiva teologica di dimensione cosmica. A tale visione si richiamerà la stessa apocalittica per annunciare la fine di questo mondo quale premessa per l'irruzione del “mondo che deve venire”

19b-23. Nella nuova Gerusalemme la gioia avrà come conseguenza la fine di ogni forma di tristezza e dolore (v. 19b; cfr. 35,10; 51,11); cesserà la mortalità infantile, che nell'antichità aveva un tasso molto alto, e gli anziani giungeranno tutti alla «pienezza dei loro giorni» (v. 20a). Il v. 20b è probabilmente una glossa per la quale la longevità non solo sarà accresciuta, ma rivestirà anche un carattere prodigioso. Insieme alla vita nella nuova Gerusalemme ci sarà la piena libertà come indicano i vv. 21-22a, dove è ancora possibile percepire l'amarezza di chi viveva sotto il dominio straniero ed era costretto a lavorare per gli interessi economici e strategici dell'impero e della sua capitale.

24-25. Il v. 24, forse redazionale, forma una grande inclusione con il v. 1. Il Signore, che si lascia trovare da chi non lo cercava, nella nuova situazione salvifica ascolterà ed esaudirà i suoi eletti prima ancora che gli rivolgano la preghiera. Il tempo del silenzio “insensibile” del Signore, che il popolo sperimentava nell'angustia della sua esistenza (cfr. 64, 11), è finito per sempre. Il v. 25 è un'aggiunta che riflette l'intento armonizzatore della redazione finale. La condizione salvifica descritta nei vv. 16-23 (+24) è delineata con l'immagine paradisiaca di Is 11 6-9. La nuova Gerusalemme ha il suo fulcro nel «santo monte» (v. 25) del Signore, che sarà liberato per sempre da chi opera il male e causa lo sterminio (il verbo ha la stessa radice dello «sterminatore» al quale, in Es 12,23b, JHWH non permette di colpire il suo popolo).

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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[63,19cSe tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti,] 1come il fuoco incendia le stoppie e fa bollire l’acqua, perché si conosca il tuo nome fra i tuoi nemici, e le genti tremino davanti a te. 2Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo, tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti. 3Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui. 4Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie. Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. 5Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. 6Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità. 7Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani. 8Signore, non adirarti fino all’estremo, non ricordarti per sempre dell’iniquità. Ecco, guarda: tutti siamo tuo popolo. 9Le tue città sante sono un deserto, un deserto è diventata Sion, Gerusalemme una desolazione. 10Il nostro tempio, santo e magnifico, dove i nostri padri ti hanno lodato, è divenuto preda del fuoco; tutte le nostre cose preziose sono distrutte. 11Dopo tutto questo, resterai ancora insensibile, o Signore, tacerai e ci umilierai fino all’estremo?

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Approfondimenti

Resterai ancora insensibile? 63,15-64,11

63,19c-64,3*. «Se tu squarciassi i cieli»: l'invocazione ricorre al linguaggio teofanico, simile a numerosi passi della Scrittura (cfr. Es 19,16-18; Gdc 5,4-5; Sal 18,8-16; Ab 3,3-6; Is 66,15-16), perché il popolo si attende che il Signore rinnovi, con un nuovo intervento, la sua potente vittoria sui nemici (64,1; cfr. Sal 82,14-16), vittoria che, per i suo carattere prodigioso, superò ogni attesa (v. 2). Il v. 3 evidenzia il carattere inaudito della salvezza del Signore con un linguaggio che si richiama alla teologia deuteronomistica dell'alleanza (cfr. Dt 4,32-34). Al tempo stesso, in piena aderenza con il contesto della supplica, si presuppone che la “discesa” del Signore, per coloro che lo “attendono” con fiducia, non è solo una realtà del passato, ma un evento che continua a realizzarsi nella storia.

64,4-6. Il Signore visita con la sua salvezza coloro che praticano la giustizia e si ricordano delle sue «vie» (v. 4a). Questa certezza sembra precludere ogni possibilità di salvezza della comunità che ha vagato lontano dalle vie del Signore (cfr. 63, 17) e ora è consapevole della propria colpa e la confessa (vv. 4b-6). Il v. 5 descrive la situazione della comunità con la categoria dell'impurità. La radice ebraica tm' denota l'impurità rituale che impedisce l'accesso al culto (cfr. Lv 12-15) e, in senso traslato, indica la condizione di chi è peccatore (cfr. Is 6,5; Gb 14,4), in particolare la situazione di chi abbandona la fede in JHWH e cade nell'idolatria. Nel nostro versetto il termine è preso nel primo senso, ma con una connotazione chiaramente simbolica. Il popolo non solo è in uno stato di impurità, che di sua natura è temporaneo, ma è diventato addirittura come «una cosa impura», che rimane tale sempre, fino alla sua totale eliminazione. La locuzione «come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia» manifesta la drammatica impossibilità del popolo di avvicinarsi al suo Dio.

7-8a. In netta antitesi a questa condizione di colpa e di morte si erge, vigorosa, la confessione della comunità: «Ma, Signore, tu sei nostro padre». Il tema del Signore padre, si sviluppa nell'immagine di Israele che come argilla è plasmato dal suo Dio (cfr. Ger 18,1-6; cfr. Is 29,16; 45,9) e culmina in una nuova confessione: «tutti noi siamo opera delle tue mani». La proclamazione della paternità del Signore, perciò, si traduce nel riconoscimento della potenza divina dalla quale il popolo è plasmato nella storia, al punto che la sua esistenza è solo il frutto dell'opera del suo Dio. Proprio per questo la confessione di JHWH padre rende possibile invocare l'evento di una nuova creazione. Quando il Signore non ricorda il peccato (e la supplica chiede questo), il popolo non è più sotto l'ira, ma si trova di nuovo nella vita e, quindi, nell'esperienza dell'amore del Signore (cfr. Ger 31,34).

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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L'anno della redenzione del Signore 1«Chi è costui che viene da Edom, da Bosra con le vesti tinte di rosso, splendido nella sua veste, che avanza nella pienezza della sua forza?». «Sono io, che parlo con giustizia, e sono grande nel salvare». 2«Perché rossa è la tua veste e i tuoi abiti come quelli di chi pigia nel torchio?». 3«Nel tino ho pigiato da solo e del mio popolo nessuno era con me. Li ho pigiati nella mia ira, li ho calpestati nella mia collera. Il loro sangue è sprizzato sulle mie vesti e mi sono macchiato tutti gli abiti, 4perché il giorno della vendetta era nel mio cuore ed è giunto l’anno del mio riscatto. 5Guardai: nessuno mi aiutava; osservai stupito: nessuno mi sosteneva. Allora mi salvò il mio braccio, mi sostenne la mia ira. 6Calpestai i popoli con sdegno, li ubriacai con ira, feci scorrere per terra il loro sangue».

Supplica comunitaria 7Voglio ricordare i benefici del Signore, le glorie del Signore, quanto egli ha fatto per noi. Egli è grande in bontà per la casa d’Israele. Egli ci trattò secondo la sua misericordia, secondo la grandezza della sua grazia. 8Disse: «Certo, essi sono il mio popolo, figli che non deluderanno», e fu per loro un salvatore 9in tutte le loro tribolazioni. Non un inviato né un angelo, ma egli stesso li ha salvati; con amore e compassione li ha riscattati, li ha sollevati e portati su di sé, tutti i giorni del passato. 10Ma essi si ribellarono e contristarono il suo santo spirito. Egli perciò divenne loro nemico e mosse loro guerra. 11Allora si ricordarono dei giorni antichi, di Mosè suo servo. Dov’è colui che lo fece salire dal mare con il pastore del suo gregge? Dov’è colui che gli pose nell’intimo il suo santo spirito, 12colui che fece camminare alla destra di Mosè il suo braccio glorioso, che divise le acque davanti a loro acquistandosi un nome eterno, 13colui che li fece avanzare tra i flutti come un cavallo nella steppa? Non inciamparono, 14come armento che scende per la valle: lo spirito del Signore li guidava al riposo. Così tu conducesti il tuo popolo, per acquistarti un nome glorioso.

15Guarda dal cielo e osserva dalla tua dimora santa e gloriosa. Dove sono il tuo zelo e la tua potenza, il fremito delle tue viscere e la tua misericordia? Non forzarti all’insensibilità, 16perché tu sei nostro padre, poiché Abramo non ci riconosce e Israele non si ricorda di noi. Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore. 17Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità. 18Perché gli empi hanno calpestato il tuo santuario, i nostri avversari hanno profanato il tuo luogo santo? 19Siamo diventati da tempo gente su cui non comandi più, su cui il tuo nome non è stato mai invocato. Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti,

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Approfondimenti

L'anno della redenzione del Signore 63,1-6 63, 1-6. Il brano costituisce un'unità in sé conchiusa. La sua forma letteraria è, probabilmente, quella della “domanda della sentinella” dato che le domande, rivolte al personaggio che giunge da Edom, rispecchiano quelle che comunemente sono indirizzate dalle sentinelle a chi si avvicina alla porta della città. Il testo si divide in due parti.

Nella prima (vv. 1-3) l'interpellato risponde manifestando la propria identità divina e proclamando la sua opera di giudizio dei popoli.

La seconda parte (vv. 4-6) è una rielaborazione della prima (cfr. 5a con 3a e 6a con 3b).

Esiste una stretta affinità tra 59,15b-20 e la presente pericope: i due brani, però, non provengono dalla stessa mano. Il nostro testo presuppone quello di 59,15b-20, dato che si muove in un ambito protoapocalittico ed è, perciò, da collocare verso la fine della dominazione persiana o all'inizio di quella greca.

1-3. La tensione creata dalla domanda trova la sua soluzione nella risposta. In essa risuona l'“Io” con il quale il Signore si presenta nei cc. 40-55 come il liberatore e salvatore del suo popolo. L'“Io” di JHWH annuncia la vittoria manifestando la potenza della sua salvezza (v. 1c; cfr. 45,19c). La domanda successiva (v. 2), nella quale la pigiatura nel tino è un'immagine che richiama il giudizio (cfr. Lam 1,15), mira a delineare la portata e il significato della vittoria divina. Con un realismo carico della disperazione degli oppressi il v. 3 descrive il giudizio di JHWH contro tutti popoli. È significativo che la vittoria contro le potenze dell'oppressione non scaturisce da un'azione bellica del popolo del Signore e nemmeno da una nuova potenza mondiale (come nel caso di Ciro per il Deuteroisaia). La speranza della salvezza futura, secondo il presente testo, non favorisce i sogni di una grandezza politica, ma illumina il cammino della storia con la luce della vittoria divina su ogni forma di ingiustizia e violenza.

4-6. Questi versetti specificano il messaggio dei vv. 1-3. Nella vittoria del Signore si realizza il «giorno della vendetta» e l'«anno della redenzione» annunciati in Is 61,2 (v. 4). L'intervento del Signore, che compie da solo l'opera della salvezza, è richiamato con un'espressione simile a 59,16 ed è compreso con le categorie teologiche dell'esodo (v. 5). Infine la descrizione del v. 6 riprende l'immagine del pigiatore, formando un'inclusione con il v. 1. La descrizione delinea un evento che trascende la storia. I popoli non sono qui entità sociopolitiche intramondane, ma espressione del “nemico” che ha macchiato «di rosso» (Edom!) la storia umana. La fine di questo nemico coincide con l'evento apocalittico del mondo nuovo, quando il cammino storico dell'umanità avrà raggiunto la sua meta: la vita nella giustizia e nell'amore. Solo allora la domanda «Chi è costui?» (v. 1) troverà la desiderata risposta.

Supplica comunitaria 63,7-64,11 Si tratta di un salmo di supplica comunitaria. L'allusione al tempio in rovina (cfr. 63,18; 64,10) e la prospettiva teologica qui presupposta, lontana dalla radiosa speranza del Deuteroisaia e più vicina alla concezione deuteronomistica, orientano a collocare il salmo nei primi anni dell'esilio. Il testo si articola in due parti. La prima (63,7-14) richiama gli interventi salvifici del passa-o. Si tratta di un elemento comune ai salmi di supplica; in questo caso, però, esso è particolarmente ampliato, come nel Sal 44 (vv. 2-9) e nel Sal 89 (vv. 2-38), al punto che alcuni lo considerano una unità a sé stante, affine ai salmi storici. La seconda parte (63,15-64,11) contiene la supplica con cui la comunità invoca l'intervento del suo Dio.

Manifestazioni dell'amore del Signore 63,7-14 63,7-9. La preghiera introduce la comunità orante nel pensiero intimo di JHWH che contempla il suo popolo ed è sicuro che i suoi figli non lo tradiranno (v. 8). Alla luce di questo versetto la parola del Signore, che fin dall'inizio della «Visione di Isaia» (1,2) denuncia la ribellione dei figli, assume una forte rilevanza teologica nella strutturazione dell'intero libro. Mosso da un amore che lo pone in un rapporto di totale fiducia con l'uomo, il Signore ha sempre condiviso la sorte del suo popolo. Egli è stato personalmente presente in ogni situazione che rinchiudeva il popolo in una morsa mortale, senza via di scampo («tribolazioni»), ed è stato presente come «salvatore». Nel suo «amore» e nella sua «compassione» il Signore si è fatto carico dei suoi figli innalzandoli con il proprio intervento nello spazio luminoso della vita e della libertà.

10. La locuzione «contristarono il suo santo spirito» sottolinea l'amarezza della delusione del Signore, che nella ribellione del popolo vede traditi il suo amore e la sua fiducia (cfr. l'immagine della donna abbandonata e con lo spirito afflitto di Is 54,67). L'immagine del Signore che diventa nemico e muove guerra costituisce un'interpretazione teologica delle sventure storiche di Israele, in particolare della caduta di Gerusalemme. L'infedeltà del popolo non è solo infrazione di una legge astratta, ma, essendo infedeltà all'alleanza, si configura come “ribellione” del figlio al Padre, come chiusura dell'uomo alla sorgente della vita, allo spirito santo del Signore.

11-14. La preghiera rievoca ora l'atteggiamento del popolo che, nella dura esperienza della schiavitù, ricorda il tempo della salvezza ed è spinto a ritornare al Signore. Il testo si muove nella prospettiva deuteronomistica per la quale ricordare l'esodo come opera del Signore diventa un orientamento fondamentale della fede (cfr. Dt 7,17-19; 8,2-6). Il ricordo della salvezza nel tempo della sventura suscita la domanda: «Dov'è il Signore?». Qui il termine «Signore» è sostituito da cinque participi che, con l'evocazione dei suoi prodigiosi interventi, lo caratterizzano come il Dio dell'esodo. Significativamente la descrizione delle caratteristiche del Signore si conclude nel momento in cui egli apre con la sua potenza una via sugli abissi. Il linguaggio contiene una ricchezza simbolica straordinaria. Il Dio dell'esodo spezza i dinamismi del caos e della morte e dischiude un cammino di liberazione e di vita. Là dove l'uomo sprofonda il Signore fa camminare senza «inciampare»! In tale contesto ricorre, per la terza volta, la menzione dello spirito di JHWH (v. 14). Mentre nelle tradizioni antiche lo spirito del Signore era riferito ai capi carismatici, per connotare la forza singolare di cui erano dotati da Dio (cfr. il caso di Mosè nel v. 11), ora, invece, si attribuisce allo spirito del Signore il fatto che il popolo giunga al «riposo», ossia alla meta del suo esodo, all'esperienza della salvezza. Il Signore guida il suo popolo e manifesta la sua potenza liberatrice («un nome glorioso») mediante il suo spirito che appare come la forza divina che opera la salvezza nella storia. Con queste affermazioni ci troviamo di fronte a una tappa decisiva nella tradizione che parla dello spirito per riflettere sull'essere e sull'agire del Signore. Perciò il testo è fondamentale sia per comprendere le affermazioni della tradizione sapienziale, sia per cogliere lo sviluppo e la specificità della pneumatologia neotestamentaria.

Resterai ancora insensibile? 63,15-64,11 63,15-19b. Il richiamo antitetico alle figure “patriarcali” di Abramo e Isacco mette in luce che la confessione del Signore come «padre» non rinchiude la comunità nel passato, ma la spinge a guardare fiduciosa verso il suo futuro. Il Signore «riconosce» i suoi figli, «si ricorda» di loro e quindi interviene per liberarli (per la connessione tra «ricordare» e «liberare» cfr. il testo simbolico-rituale di Nm 10,9-10). Nel Signore non solo “l'essere sposo” (cfr. Is 54,5), ma anche “l'essere padre” si identifica con il suo essere redentore. Con grande coerenza, quindi, la confessione del Signore padre introduce la domanda: «Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie?» (v. 17a). Solo la potenza del Signore può liberare il popolo dal cuore «indurito» che gli impedisce di «temere» il suo Dio, ossia di aprirsi a lui con l'orientamento di tutta la vita nell'adorazione e nella fedeltà.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Gerusalemme delizia del Signore 11Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finché non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada. 2Allora le genti vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria; sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del Signore indicherà. 3Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. 4Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma sarai chiamata Mia Gioia e la tua terra Sposata, perché il Signore troverà in te la sua delizia e la tua terra avrà uno sposo. 5Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposeranno i tuoi figli; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te. 6Sulle tue mura, Gerusalemme, ho posto sentinelle; per tutto il giorno e tutta la notte non taceranno mai. Voi, che risvegliate il ricordo del Signore, non concedetevi riposo 7né a lui date riposo, finché non abbia ristabilito Gerusalemme e ne abbia fatto oggetto di lode sulla terra. 8Il Signore ha giurato con la sua destra e con il suo braccio potente: «Mai più darò il tuo grano in cibo ai tuoi nemici, mai più gli stranieri berranno il vino per il quale tu hai faticato. 9No! Coloro che avranno raccolto il grano, lo mangeranno e canteranno inni al Signore, coloro che avranno vendemmiato berranno il vino nei cortili del mio santuario. 10Passate, passate per le porte, sgombrate la via al popolo, spianate, spianate la strada, liberatela dalle pietre, innalzate un vessillo per i popoli». 11Ecco ciò che il Signore fa sentire all’estremità della terra: «Dite alla figlia di Sion: “Ecco, arriva il tuo salvatore; ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede”. 12Li chiameranno “Popolo santo”, “Redenti del Signore”. E tu sarai chiamata Ricercata, “Città non abbandonata”».

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Approfondimenti

Gerusalemme delizia del Signore 62,1-12 Il poema non è di facile interpretazione a causa delle molteplici prospettive che ne caratterizzano la composizione. La stretta affinità tematica e lessicale con i capitoli 60 e 61 orienta ad attribuire anche questo brano al nucleo centrale del messaggio tritoisaiano. La sua struttura è formata da tre unità costruite in modo omogeneo. La prima (vv. 1-5), costituita da una dichiarazione divina (v. 1) e da un commento profetico (vv. 2-5), annuncia Gerusalemme rinnovata dall'amore sponsale del Signore. La seconda unità (vv. 6-7), che inizia con una dichiarazione divina (v. 6a) e prosegue con un'esortazione profetica (vv. 6b-7), prospetta la funzione delle «sentinelle» poste da JHWH a difesa della città. Infine la terza unità, che si presenta con un'analoga articolazione (giuramento divino, vv. 8-9; esortazione profetica fondata sulla promessa divi-na, vv. 10-12), delinea la nuova Gerusalemme allietata e potenziata dal ritorno dei Giudei della diaspora.

1-5. Finisce il tempo del «silenzio» del Signore, secondo la promessa di Is 42, 14, ripresa in 65, 6. Un simile silenzio costituiva un enigma per il popolo (cfr. 57, 11), anzi un tormento che aveva il suo risvolto nella preghiera di supplica (64,11; cfr. Sal 28,1). L'intervento che ora JHWH realizza (cfr. 18,4-5; 65,6-7), ha come obiettivo la «giustizia» di Sion, ossia la sua condizione di salvezza, la sua stabile e sicura potenza («gloria»), nella quale si riflette la gloria del Signore (cfr. 60, 1). La nuova condizione di Sion e del suo territorio («terra»), è espressa con la ricchezza dell'immagine sponsale. La comunità non sarà più chiamata «Abbandonata» (cfr. 54,6; 60,15; per l'uso concreto di questo nome cfr. 1 Re 22,42) o «Devastata» perché priva di figli (ctr. 54,1), ma sarà indicata con i nomi «Mio compiacimento» (per l'uso effettivo di questo nome cfr. 2Re 21,1) e «Sposata» (v. 4a-b). Il valore simbolico di questi nomi appare esplicitato nella dichiarazione finale: il Signore si compiace di Sion, rinnovata dalla sua salvezza e resa sposa feconda di figli (v. 4c). L'immagine sponsale, la cui origine va probabilmente cercata nel culto è ripresa dai profeti per condannare Israele a causa della sua infedeltà, che si configura quindi come adulterio e prostituzione (ctr. Os 1; 3; Is 5,1-7; Ger 3,1-2; Ez 16; 23). Con una sorprendente e consapevole antitesi, la sposa è ora paragonata a una giovane «vergine» che, nel giorno delle nozze, costituisce la «gioia» del suo sposo (v. 5). La gioia “sponsale” del Signore per Sion, rinnovata dal suo stesso amore, e una delle categorie nelle quali si esprime con il massimo vigore la singolare grandezza e profondità della fede di Israele (cfr. Sof 3,17-18a). Il Signore è lo sposo che “costruisce” il suo popolo perché è colui che lo rinnova con la potenza creatrice della sua misericordia (cfr. v. 12 e 54,5-8). L'amore del Signore, in altri termini, dona la “verginità” alla sua sposa! L'infedeltà del passato è allontanata per sempre (cfr. Sal 103, 11-13) e la gioia di colei che non è più «Abbandonata» e «Desolata» (cfr. 54,1; 61,10-11) si fonde ineffabilmente con la gioia dello sposo che “crea” la bellezza della sua sposa (v. 5).

6-7. Il problema di questa unità riguarda l'interpretazione del termine «sentinelle», che hanno il compito di ricordare al Signore le sue promesse. Questa indicazione, che richiama il vocabolario dell'intercessione (cfr. Es 32,11-13), rende molto probabile che il termine «senti. nelle» sia una metafora per indicare i leviti suddivisi in turni per i servizio liturgico del tempio (cfr. 1Cr 24,19) e, in particolare, per la preghiera (cfr. Sal 134,1). Le «sentinelle» non devono mai prendersi riposo affinché la loro supplica salga senza tregua al Signore fino a quando egli ristabilirà Gerusalemme (cfr. 54,14).

8-12. Nella redazione attuale del testo i vv. 10-12 costituiscono un'esortazione profetica che segue alla promessa del Signore, come nelle due precedenti unità. Al tempo stesso essi segnano la conclusione dei capiyoli 60-62 e li connettono, redazionalmente, ai cc. 40-55. Gli abitanti di Sion sono invitati a uscire presto. Non si tratta dell'uscita precipitosa da Babilonia (cfr. 52,11), ma dell'appello a preparare l'arrivo del popolo che giunge dalla diaspora. L'esortazione ad «appianare la strada» (cfr. Is 11, 16; 35,8), quindi a renderla stabile selciandola e liberandola da ogni pietra superflua, ha un senso metaforico (cfr. 40, 3): la comunità è chiamata a rinnovarsi nell'esperienza dell'amore del Signore per essere capace di accogliere tutti coloro che giungeranno attratti dal suo splendore. Costoro, come afferma il v. 12, saranno chiamati «popolo santo» (cfr. Dt 7,6) e «redenti del Signore» (cfr. Sal 107,2; per «redenti» cfr. 35,9; 51,10). Se il primo termine è tecnico per indicare il vincolo familiare che unisce il popolo al Signore, rendendolo sua proprietà, e perciò «santo», la seconda espressione sottolinea l'azione prodigiosa con cui il Signore è intervenuto e interviene per liberare la sua famiglia. I nomi riservati a Sion («Ricerca-ta», «Città non abbandonata») richiamano il messaggio dei vv. 4-5 e pongono la vita del popolo «redento» nella prospettiva meravigliosa della fedeltà del Signore. che cerca sempre la sua sposa per rinnovarla con la potenza del suo amore.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Giubileo dell'amore del Signore 1Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, 2a promulgare l’anno di grazia del Signore, il giorno di vendetta del nostro Dio, per consolare tutti gli afflitti, 3per dare agli afflitti di Sion una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell’abito da lutto, veste di lode invece di uno spirito mesto. Essi si chiameranno querce di giustizia, piantagione del Signore, per manifestare la sua gloria. 4Riedificheranno le rovine antiche, ricostruiranno i vecchi ruderi, restaureranno le città desolate, i luoghi devastati dalle generazioni passate. 5Ci saranno estranei a pascere le vostre greggi e figli di stranieri saranno vostri contadini e vignaioli. 6Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti. Vi nutrirete delle ricchezze delle nazioni, vi vanterete dei loro beni. 7Invece della loro vergogna riceveranno il doppio, invece dell’insulto avranno in sorte grida di gioia; per questo erediteranno il doppio nella loro terra, avranno una gioia eterna. 8Perché io sono il Signore che amo il diritto e odio la rapina e l’ingiustizia: io darò loro fedelmente il salario, concluderò con loro un’alleanza eterna. 9Sarà famosa tra le genti la loro stirpe, la loro discendenza in mezzo ai popoli. Coloro che li vedranno riconosceranno che essi sono la stirpe benedetta dal Signore. 10Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il mantello della giustizia, come uno sposo si mette il diadema e come una sposa si adorna di gioielli. 11Poiché, come la terra produce i suoi germogli e come un giardino fa germogliare i suoi semi, così il Signore Dio farà germogliare la giustizia e la lode davanti a tutte le genti.

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Approfondimenti

Lode dei redenti 61,1-11 Il capitolo si presenta come una composizione redazionale nella quale sono confluite, in un processo di crescita analogo a quello del c. 60, diverse unità. La sua struttura appare così articolata:

  • i vv. 1-3b contengono il racconto di una vocazione profetica;
  • ad essa segue l'annuncio della ricostruzione della città (vv. 3c-4),
  • completato dall'aggiunta relativa agli stranieri posti al servizio della nuova comunità (vv. 5-6);
  • seguono, infine, due promesse di salvezza (vv. 7-8; 9.11),
  • l'ultima delle quali racchiude un canto di lode (v. 10).

1-3b. Questi versetti all'interno dei capitoli 56-66 funzionano come racconto di vocazione e missione. La profondità dell'esperienza che in essi si riflette orienta ad attribuirli a e da ricca personalità profetica, che, con ogni probabilità, è da identificare con il Tritoisaia. L'affinità di questa pagina con i canti del «servo» di JHWH ha indotto in passato alcuni studiosi a scorgervi un quinto canto. L'autore del presente testo si è ispirato ai canti autobiografici del servo, in particolare a Is 49,1-6.

Il profeta interpreta il dono dello spirito con la categoria «dell'unzione». Le persone consacrate mediante l'unzione erano il re, al tempo della monarchia, e il sommo sacerdote, il cui rituale assunse particolare rilevanza e significato nel periodo postesilico (cfr. Es 29,7; 30,22-33). A quest'ultimo allude metaforicamente il nostro profeta, come risulta dal suo richiamo alle tradizioni liturgiche, in particolare a quella del giubileo. Il riferimento all'unzione sacerdotale mostra che il Signore, con la potenza del suo spirito, orienta il profeta all'annuncio della parola (che era appunto uno dei compiti fondamentali del sacerdozio; cfr. Dt 33,10a). Questi è mandato a proclamare il lieto annuncio ai poveri ('ănāwîm), a coloro che hanno come unica sicurezza non il potere politico o le risorse economiche, ma l'abbandono confidente nel Signore (cfr. Sof 3,12-13a).

Il lieto annuncio (cfr. 40,9; 41,27; 52,7; 60,6; Sal 40,10; 96,2) raggiunge una comunità ferita nel proprio intimo, al punto che rischia di perdere la sua identità (per la metafora dei «cuori spezzati» cfr. 57,15; Sal 34,19; 21,19; 69,21; 147,3), e le prospetta «la libertà degli schiavi e la scarcerazione dei prigionieri» (v. 1). Il profeta comprende come elemento essenziale della sua missione l'annuncio della libertà a un popolo che rischia di perdere la propria autocoscienza e la propria fede sotto il peso della sua frustrazione (cfr. 58,6).

La ricchezza di questa visione appare soprattutto nel v. 2 dove il profeta identifica, simbolicamente, l'obiettivo della sua missione con la proclamazione del giubileo (cfr. Lv 25,8-10). Egli, quindi, ha coscienza di essere inviato per inaugurare il tempo nel quale il Signore, nella pienezza del suo amore, guida il suo popolo a vivere i valori fondamentali dell'esodo: la fraternità e la libertà. Il carattere definitivo di questo tempo dell'amore del Signore è confermato dalla locuzione parallela «giorno di vendetta per il nostro Dio». Essa connota l'intervento con cui il Signore pone fine al tempo dell'ingiustizia e della violenza e introduce il suo popolo, liberato dagli oppressori, nella nuova condizione della salvezza (cfr. Prv 6,34; Is 34,8; 63,4; Ger 46,10). Il significato esistenziale del «lieto annunzio» è sintetizzato, con un linguaggio ricco di assonanze, nelle antitesi del v. 3ab.

L'inclusione tra lo «spirito mesto» dell'uomo (v. 3b) e lo «spirito del Signore» (v. 1) è molto significativa. La parola del profeta scaturisce dallo spirito di Dio; perciò essa sviluppa la potenza che libera lo spirito umano dall'oppressione e lo innalza alla gioia della lode divina. Nella lode lo spirito dell'uomo sperimenta il giubileo dell'amore fedele e misericordioso del Signore e quindi riscopre le grandi possibilità della sua libertà.

5-6.Questi versetti, probabilmente interpolati, presentano i Giudei aiutati dagli stranieri nella pastorizia e nelle loro attività agricole (i termini «contadini» e «vignaioli» ricorrono insieme anche in Gl 1,11 e 2Cr 26,10). Ad essi spetterà perciò il nome di «sacerdoti di JHWH» (v. 6). Questo titolo, come si evince dalla locuzione parallela («ministri del nostro Dio»), annuncia che il popolo vivrà autenticamente l'alleanza con il Signore e per questo sarà sempre nella sua benedizione, godendo delle ricchezze delle nazioni.

7-11. Riprende di nuovo il discorso che era stato interrotto al v. 4 dall'aggiunta dei vv. 5-6. Il testo conserva due annunci di salvezza che presentano la stessa struttura: promessa (v. 7 e v. 9) e motivazione (v. 8 e v. 11). Forse per enfatizzare la sicurezza della realizzazione dopo la seconda promessa e prima della sua motivazione è stato introdotto il canto di ringraziamento del v. 10. La motivazione del v. 11 si connette al v. 9, come risulta dallo stesso vocabolario. Tuttavia, nell'attuale disposizione del testo, essa suona anche come conferma del canto di ringraziamento. Con un paragone, molto vicino per efficacia e significato a 55,10-11, il profeta conferma che il Signore «farà germogliare» (cfr. 4,2; 42,9; 43,19; 45,8; 58,8) la giustizia. L'esperienza salvifica del popolo avrà la sua espressione specifica nella lode, con cui proclama «davanti a tutti i popoli» le opere meravigliose del suo Dio.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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LA GLORIA DELLA NUOVA GERUSALEMME

Sion rivestita di luce 1Àlzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. 2Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. 3Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. 4Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. 5Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te, verrà a te la ricchezza delle genti. 6Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madian e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore. 7Tutte le greggi di Kedar si raduneranno presso di te, i montoni di Nebaiòt saranno al tuo servizio, saliranno come offerta gradita sul mio altare; renderò splendido il tempio della mia gloria. 8Chi sono quelle che volano come nubi e come colombe verso le loro colombaie? 9Sono le isole che sperano in me, le navi di Tarsis sono in prima fila, per portare i tuoi figli da lontano, con argento e oro, per il nome del Signore, tuo Dio, per il Santo d’Israele, che ti onora. 10Stranieri ricostruiranno le tue mura, i loro re saranno al tuo servizio, perché nella mia ira ti ho colpito, ma nella mia benevolenza ho avuto pietà di te. 11Le tue porte saranno sempre aperte, non si chiuderanno né di giorno né di notte, per lasciare entrare in te la ricchezza delle genti e i loro re che faranno da guida. 12Perché la nazione e il regno che non vorranno servirti periranno, e le nazioni saranno tutte sterminate. 13La gloria del Libano verrà a te, con cipressi, olmi e abeti, per abbellire il luogo del mio santuario, per glorificare il luogo dove poggio i miei piedi. 14Verranno a te in atteggiamento umile i figli dei tuoi oppressori; ti si getteranno proni alle piante dei piedi quanti ti disprezzavano. Ti chiameranno «Città del Signore», «Sion del Santo d’Israele». 15Dopo essere stata derelitta, odiata, senza che alcuno passasse da te, io farò di te l’orgoglio dei secoli, la gioia di tutte le generazioni. 16Tu succhierai il latte delle genti, succhierai le ricchezze dei re. Saprai che io sono il Signore, il tuo salvatore e il tuo redentore, il Potente di Giacobbe. 17Farò venire oro anziché bronzo, farò venire argento anziché ferro, bronzo anziché legno, ferro anziché pietre. Costituirò tuo sovrano la pace, tuo governatore la giustizia. 18Non si sentirà più parlare di prepotenza nella tua terra, di devastazione e di distruzione entro i tuoi confini. Tu chiamerai salvezza le tue mura e gloria le tue porte. 19Il sole non sarà più la tua luce di giorno, né ti illuminerà più lo splendore della luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo splendore. 20Il tuo sole non tramonterà più né la tua luna si dileguerà, perché il Signore sarà per te luce eterna; saranno finiti i giorni del tuo lutto. 21Il tuo popolo sarà tutto di giusti, per sempre avranno in eredità la terra, germogli delle piantagioni del Signore, lavoro delle sue mani per mostrare la sua gloria. 22Il più piccolo diventerà un migliaio, il più insignificante un’immensa nazione; io sono il Signore: a suo tempo, lo farò rapidamente.

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Approfondimenti

LA GLORIA DELLA NUOVA GERUSALEMME 60,1-62,12 I capitoli 60-62 rappresentano il centro tematico, oltre che poetico, dell'ultima parte della «Visione di Isaia». In essi risuona dall'inizio alla fine un annuncio di salvezza che, se si eccettua l'aggiunta di 60,12, non è interrotto da nessun annuncio di giudizio.

Sion rivestita di luce 60,1-22 Il capitolo 60 è un'unità in sé conchiusa. Il motivo dell'assalto escatologico contro il monte del tempio, inteso come dimora divina e centro del mondo, viene ora superato dall'immagine del pellegrinaggio dei re e dei popoli che si dirigono a Sion per servire JHWH. Al timore di un mondo che rifluisce nel caos primordiale, sotto il peso della sua violenza, si contrappone, in questo capitolo, la gioiosa certezza di un universo che trova nel Signore la meta della propria storia e la sorgente della propria stabilità. Il clima esultante della città che si rinnova e il motivo della ricostruzione delle mura (cfr. vv. 10 e 18) orientano a situare il poema al tempo della riforma di Neemia o poco prima. Il suo contenuto si articola nelle seguenti parti:

  • Sion risplendente di luce (vv. 1-3);
  • pellegrinaggio dei popoli verso il monte del tempio (vv. 4-9);
  • ricostruzione e prosperità di Sion (v. 10-17);
  • JHWH luce del popolo (vv. 18-20);
  • Sion comunità di giusti (vv. 21-22).

1-3. Sion, personificata, è apostrofata direttamente (cfr. v. 14) come nei cc. 40-55. Con un linguaggio che richiama 51,17 e 52,1 essa è invitata a sorgere dallo stato di prostrazione in cui si trova e a rifulgere della «sua» luce. In base al parallelismo sinonimico, risulta che la «luce» di Sion si identifica con la «gloria di JHWH» (v. 1; cfr. 40,5), quindi con la potenza salvifica divina che sta per «brillare» sulla città. L'immagine di Sion, che non solo accoglie la luce, ma la riflette, sviluppa un netto contrasto con le tenebre che caratterizzano l'universo e, quindi, costituiscono l'orizzonte esistenziale delle «nazioni» (v. 2a). Il contrasto è ulteriormente accentuato dall'affermazione del v. 2b che identifica la luce con il Signore stesso e che, insieme al v. 1, forma un'inclusione ricca di espressività. La luce di Sion appare qui una grandezza che circonda le tenebre del mondo e le ingloba. I popoli e i re, dunque l'umanità socialmente e politicamente strutturata, trovano solo in Sion la luce che indica il cammino della salvezza e della vita (v. 3).

4-9. L'annuncio che i figli di Sion verranno «da lontano» (analoga espressione in 49,12) e le figlie saranno «portate in braccio» (v. 4b; cfr. anche 49,22) non si armonizza con la prospettiva universalistica del brano. Si tratta molto probabilmente di un'aggiunta che prospetta la fine della diaspora e il pellegrinaggio dei Giudei al tempio del Signore. Nella forma originale, il v. 5, che era direttamente connesso con il v. 4a, annuncia la gioia «raggiante» (cfr. v. 1) di Gerusalemme al vedere i re e i popoli mentre accorrono a lei offrendo i prodotti provenienti dal commercio marittimo (cfr. «le ricchezze del mare») e «i beni» dei popoli. La breve descrizione che segue (vv. 6-9a) indica i principali luoghi di provenienza delle carovane che si muovono con i loro doni verso il monte Sion.

60,10-18. L'inclusione formata dal motivo delle mura (cfr. v. 10 e v. 18) costituisce una chiara delimitazione della nostra pericope che ha, come tema, la nuova condizione salvifica di Sion. Questa ha il suo segno nelle mura ricostruite (v. 10), nelle porte aperte (anche il motivo delle porte forma un'inclusione, cfr. v. 11 e v. 18b), nel tempio abbellito (v. 13) e, infine, nella pace (vv. 17c-18). La ricostruzione delle mura, realizzata da Neemia, è presentata come il segno che il destino di Sion è mutato. Il Signore, fedele al suo disegno di amore, si manifesta ora come colui che nutre sempre tenerezza per il suo popolo (cfr. 54, 8). L'immagine delle porte «sempre» aperte è il segno evidente di questa sicurezza e delle «ricchezze» che i popoli, guidati dai loro re, porteranno a Sion (v. 11). In questa prospettiva di assidua cooperazione dei popoli in favore di Sion, il v. 12 appare una glossa in quanto si stacca nettamente dal contesto sia per la forma (in prosa) che per il contenuto. La cooperazione dei popoli è vista nel v. 13 in rapporto al luogo del santuario di JHWH. L'espressione «il luogo (o sgabello) dei miei piedi» in origine era riferita all'arca dell'alleanza (cfr. Sal 99,5; 132,7; 1Cr 28,2; Lam 2,1), intesa come simbolo della continua presenza salvifica di JHWH che, mediante l'esodo, libera il popolo e lo innalza fino a sé (cfr. Es 19,4). Questo ricco significato simbolico, dopo che l'arca andò perduta con la distruzione di Gerusalemme, fu trasferito al tempio e il nostro testo, insieme a Ez 43,7, ne è una suggestiva testimonianza. Se le mura ricostruite esprimono la sicurezza della città rinnovata, il tempio è il luogo nel quale la comunità sperimenta la sua appartenenza al Signore e quindi la salvezza divina. I vv. 14-17b continuano la descrizione della grande svolta salvifica. Sion vedrà venire i discendenti di coloro che la oppressero con gli atteggiamenti del vassallo che si prostra davanti al suo sovrano. Questo atteggiamento è indicato in ebraico con un vocabolo che deriva dal verbo «abbassare». Si tratta di un verbo che in 2,9.11.17 connota la vittoria divina sull'orgoglio umano. Anche nel nostro testo questo dato non si limita ad essere una indicazione folcloristica, ma si situa in una prospettiva teologica. I discendenti degli antichi oppressori riconoscono la presenza divina in Sion.

17c-18. Gerusalemme è retta da due valori essenziali (v. 17c): la «pace» (il benessere totale) e la «giustizia» (il contrassegno per eccellenza della salvezza divina; cfr. Is 9,6; 11,4-9; 29,19-21; 32,15-18; 54,14). L'immagine della pace e della giustizia che, personificate, prendono in mano il governo della città, orienta a un futuro nel quale la comunità sarà libera da ogni violenza e vivrà sicura avendo nelle mura la certezza della propria «salvezza» e nelle porte che accolgono i popoli pellegrini il segno della sicurezza e della prosperità («gloria»).

19-20. Sono un'aggiunta di un redattore influenzato dall'apocalittica. Nel pantheon cananeo il sole e la luna erano venerati come divinità (femminile la prima e maschile la seconda). Il nostro redattore reinterpreta il motivo della luce dei vv. 1-3, annunciando che Gerusalemme, rinnovata secondo la promessa, sarà completamente liberata dall'idolatria e perciò non porrà più la propria sicurezza negli astri divinizzati. Solo il Signore sarà luce eterna per Sion. La frase in ebraico presenta, significativamente, la stessa costruzione della formula dell'alleanza; al tema del'alleanza rinviano anche le locuzioni «tuo Dio» e «tuo splendore» (v. 19; cfr. Dt 26,17-19).

21-22. Il v. 21 originariamente proseguiva l'annuncio del v. 18. Il futuro popolo di Gerusalemme, guidato dalla «pace» e dalla «giustizia», sarà costituito nella sua totalità da «giusti» (cfr. 57,1). A questo popolo di giusti è riferito il titolo che in Is 11,1 era riservato al nuovo Davide suscitato dalla radice di Iesse. La comunità è il «germoglio» che si sviluppa come opera della potenza del Signore («delle sue mani») e riflesso del suo splendore. Lo sviluppo è delineato, nel v. 22, con il tema della crescita prodigiosa della popolazione secondo le promesse fatte ai patriarchi (cfr. Gn 17,6; 18,18; 26,4).

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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