I “Tribunali per i Minorenni”

Facciamo un discorso generico, ok? un discorso che abbraccia non solo l'Italia, ma tutti i paesi che dovrebbero definirsi “civili” oltre che “moderni”. E facciamo un discorso generico anche sui minori.

Teniamo presente, innanzitutto, che con il termine “minori” in Italia si intendono persone che vanno da zero a 17 anni. Il termine, quindi, abbraccia tutto un universo di persone completamente eterogenee. Non possiamo paragonare un bambino di un anno con uno di 17, né uno di 12 con uno di 16. Nelle varie fasi dell'infanzia, adolescenza e pubertà, le persone cambiano continuamente, e spesso si trasformano in tutt'altra persona rispetto ai primi anni di vita, o solo rispetto all'anno prima. Questo non lo dico io, lo dice tutta la letteratura che riguarda l'argomento. Assodato questo, un paese “civile” dovrebbe avere delle strutture adeguate, differenziate e attagliate alla fascia di età che si vuole andare ad “aiutare”, “assistere”, “proteggere”.

Per quelli di voi che non sono mai stati in un “Tribunale per i minorenni” faccio una breve descrizione.

Definizione da giustizia.it:

Il Tribunale per i Minorenni è l'ufficio che ha competenza in primo grado per tutti gli affari penali, civili e amministrativi riguardanti i minori degli anni 18. Competenze civile/amministrativo ed adozione.

Già dalla definizione, si evince che le fasce d'età non sono significative. Si fa, come si dice correntemente “Di tutta l'erba un fascio”. Non solo si considerano tutti i minori di 18 anni come una sola categoria, ma si associano affari penali, civili ed amministrativi con le adozioni.

E qui veniamo al primo controsenso: il Tribunale tratta le pratiche per togliere la patria potestà e le pratiche di adozione. In parole povere, nello stesso Tribunale si incontrano madri a cui tolgono i figli e madri che fanno domanda per avere figli.

Mi riferisco alle madri, senza avere nulla contro i padri, sono anch'io un padre, adottivo per giunta, ma semplicemente perché sono le persone più fragili e più sentimentalmente coinvolte in tutte queste faccende.

Ma veniamo al secondo controsenso: un eventuale reato commesso da un bambino di 9 anni, viene considerato uguale a quello commesso da un ragazzo di 16 anni. L'età del “criminale” non viene assolutamente considerata. Si prende di mira la famiglia. Più il minore è “minore”, più si mette sotto esame la famiglia. Entrando nel giro di queste “indagini”, più o meno invasive a seconda dell'assistente sociale che segue il caso, la famiglia inizia a vivere in funzione del controllo. Perde la propria identità, per iniziare una recita di teatro in cui si mette in scena la pantomima della famiglia felice, della famiglia del “Mulino Bianco”, assumendo atteggiamenti forzati che distruggono la sincerità, la spontaneità dei rapporti. Dalle mie parti, le nonne insegnavano alle novelle spose a tenere sempre la casa pulita e a posto, perchè “se poi viene qualcuno ?”. In questo caso si tengono le case, gli atteggiamenti, le parole, il proprio lavoro sempre a posto perché... “in caso venga l'assistente sociale”.

Il terzo controsenso è il tempo che la Giustizia ci impiega a chiudere un procedimento. Un piccolo reato commesso da un bambino all'età di 10 anni, viene portato avanti per anni e anni, per arrivare alla fase finale magari quando quel bambino è ormai un ragazzo di 15 anni. A 15 anni si è una persona completamente diversa rispetto ai 10 anni. Come si crede possibile che un quindicenne possa rispondere, assumersi responsabilità, o anche solo ricordare perché quella persona di 10 anni, a cui è completamente estraneo, ha commesso quell'errore, considerato come reato dalla legislatura italiana ?.

Quarto controsenso: il Tribunale per i Minorenni è appunto un “Tribunale”. Ci sono giudici, avvocati, assistenti sociali, carte su carte, burocrazia. C'è del personale di sorveglianza armato agli ingressi, dotato di metal detector, che fanno percepire subito l'ingresso in un mondo più adatto ad un carcere che ad un posto studiato per accogliere famiglie con bambini. Si prova subito la sensazione di essere schiacciati, di stare sotto una montagna che ci sovrasta e che non possiamo controllare in alcun modo.

Quinto controsenso: come nei Tribunali classici, anche nei Tribunali per i Minorenni ti devi presentare con un avvocato. E un bravo avvocato. Nessuna possibilità di potersi difendere da soli, nessuna possibilità di poter parlare al Giudice senza l'intercessione di una terza persona.

“Signor Giudice, mio figlio ha sbagliato, è vero, ma è profondamente pentito e vorrebbe chiedere scusa, se possibile. Ha imparato che quello che ha fatto è un reato e potrebbe succedere anche a lui un giorno”.

Che bella frase. Magari si potrebbe fare una cosa del genere. E non mi riferisco a reati gravi. Mi rendo conto che ci sono minori che a 9 anni già hanno il coltello in tasca, o addirittura una pistola. In quei casi è giusto capire il contesto familiare ed eventualmente allontanare la famiglia (e non solo il minore) da un contesto sociale criminoso, controllato dalla malavita.

Sesto controsenso: il Tribunale pretende di capire l'ambito familiare ed il contesto sociale nel quale la stessa vive, con incontri sporadici che vanno dai 5 ai 15 minuti. Per non parlare dei bambini. A volte neanche i genitori riescono a comprendere il loro figli, specialmente nel periodo dell'adolescenza, anche vivendo 24 ore su 24 assieme a loro.

Come bisognerebbe fare allora, qual'è la soluzione. Se esiste una soluzione.

Innanzitutto bisognerebbe istituire strutture che non siano Tribunali. Strutture adeguate ed attagliate alle varie fasce di età, centri di accoglienza nei quali una famiglia possa trovarsi a proprio agio, possa fidarsi delle persone che la seguono e possa iniziare un percorso di amore, per cercare di superare le proprie difficolta. In parole povere, la famiglia deve sentirsi accolta, aiutata come famiglia e non criminalizzata.

Sarebbe auspicabile anche separare le strutture nelle quali i minori vengono “tolti” alle madri per preservare la loro incolumità. Perché l'unico, vero e giusto motivo per togliere un figlio alla propria madre è l'incolumità fisica o mentale del bambino. Se c'è un alto rischio che la madre possa fare del male al proprio figlio, è giusto che quel bambino venga tutelato, allontanadolo temporaneamente dalla propria madre, anche a rischio di provocare un trauma emotivo, che succederà comunque, anche se quella donna fosse la peggiore delle madri. Ma questo periodo, transitorio, dovrebbe servire per aiutare la madre ad essere “madre”, senza abbandonare una donna alla propria disperazione ed ai propri sensi di colpa.

Sarebbe giusto e degno di un paese “civile” avere strutture che trattano solo di adozioni. La scelta dell'adozione è una scelta difficile. Durante il percorso di idoneità, la coppia viene esaminata, scrutata, studiata. Vengono chiesti certificati che attestino il buono stato di salute (doveroso) e vengono proposti percorsi di preparazione. L'adozione è una scelta d'amore. La coppia dovrebbe sentirsi seguita nelle proprie paure e incertezze, che ci sono e ci saranno durante tutto il percorso. Sfido qualunque famiglia adottiva ad affermare che il proprio percorso è stato facile. L'adozione ha mille interrogativi. Mentre un figlio naturale “arriva” e viene naturalmente accolto perché è l'istinto materno e paterno che aiutano nel donare amore ad una piccola creatura, nell'adozione la coppia accoglie dei perfetti estranei, e il bambino o i bambini adottati si trovano scaraventati a casa di perfetti estranei. Va da sé, a questo punto, che un “Tribunale” sia il posto meno idoneo per delle coppie adottive.

Concludo questa riflessione, o “pippone” come volete definirlo, con una amara constatazione: in Italia, come anche in altri paesi, intorno ai bambini gira tutta un'economia, e quando ci sono soldi in ballo è difficile che cambi qualcosa.

Buona serata