La serenità nel lavoro: una condizione indispensabile

(Sottotitolo: la favola del leone solitario)

Cari amici, oggi vi voglio annoiare con un post serio, che tratta di ambiente di lavoro e, in particolare, della serenità sul posto di lavoro.

Questa condizione ricercata ma raramente raggiunta, non è un lusso riservato a pochi. In un ambiente di lavoro, la serenità permette di superare problemi che all'apparenza possono sembrare insormontabili. Soprattutto in un lavoro come il mio, molto legato alla tecnologia, dove le regole e le procedure cambiano continuamente, è necessaria la giusta calma per consentire al sistema di funzionare nonostante le nuove regole imposte, nonostante i divieti improvvisi e l'annullamento di procedure che erano ormai cristallizzate da tempo.

La serenità aumenta la produttività, è ormai noto, ma purtroppo queste sono nozioni di base che pochi dirigenti (nel settore pubblico e privato) conoscono. Fine della parte seria....

... mò veniamo a noi ...

La favola del leone solitario (Sottotitolo: storia del regno di “meza capa” dal 2019 al 2023).

C'era una volta, molti ma molti mesi fa, un universo. Nell'universo c'era una galassia e nella galassia c'era un pianeta. Su quel pianeta c'era una città e nella città c'era uno zoo safari. In quello zoo c'era un leone. “Ma dai, sempre sti animali, ma che palle !”, diranno i miei saggi lettori. Ebbene sì, c'era un leone, non ci posso fare nulla. Ma non era un leone normale, di quelli che stanno tutto il giorno a dormire e aspettano con le fauci aperte la leonessa che gli procuri il cibo direttamente. No, affatto. Il nostro era un leone di quelli sempre con la luna storta, di quelli che borbottano di continuo, che nulla gli va bene, che non si fidano di nessuno, sempre solo, senza amicizie, evitato dagli altri leoni. Il nostro leone era sempre incazzato, rabbuiato e depresso. Con gli occhi rossi da pazzo si aggirava sotto l'albero, osservando con sguardo torvo gli animali sui quali dominava incontrastato. Non rideva mai, e quando rideva la sua risata era piuttosto una smorfia beffarda, una deformazione della mascella che durava pochi secondi. Insomma, in poche parole era un leone della razza “facciastuort”.

Detto questo, nello zoo il leone non stava senza far nulla, ma aveva il compito di sbrigare le pratiche che arrivavano allo zoo.

“Come ?” direte voi “un leone che sbriga le pratiche ? hai inguaiato una favola!”

Lasciatemi raccontare, la favola è mia e nella mia favola il mio leone disbriga le pratiche. E vi dirò di più. Il mio leone usava un computer.

“Ehhhhh..., mò i leoni usano pure il computer” direte voi.

Si, il mio leone usava un computer ed aspettava con terrore ma con desiderio che arrivasse una pratica da sbrigare. Dopo le pratiche, il suo terrore più grande era il fuoco. Infatti era solito sentenziare: “Nu rimmanit mai cu 'o cerin mman !”, che tradotto in una lingua comprensibile all'umanità significa: “Non restate mai con il cerino acceso in mano”.

Appena una lettera arrivava sul suo schermo, lui la studiava accuratamente e poi chiamava la giraffa, o il cammello, o lo struzzo, o la pecora (a cui era particolarmente affezionato).

Insomma, il leone chiamava il povero animale di turno, ad esempio lo Gnu, e sbottava: “Vien accà, vien! vien a vrè che è arrvat” che in italiano significa “Vieni, vieni qua! Vieni a vedere cosa è arrivato”, con aria torva ed accusatrice, come se tutto l'universo ce l'avesse con lui e gli mandasse le pratiche sul computer, e faceva segno con la zampa di mettersi dietro di lui a leggere. Tempo due secondi e mormorava, tentennando la testa crinita di qua e di là: “E vist chist che vonn?” che tradotto significa: “Hai visto questi che vogliono?”. Il povero Gnu, fermo in piedi dietro di lui, che aveva letto a malapena la prima riga, non sapendo cosa dire, taceva per paura di essere sbranato, preferendo fare la figura del fesso piuttosto che dire qualcosa che apparisse sbagliato alle grandi orecchie del leone.

A questi eventi era quasi sempre presente anche la pecora, zerbino e vittima preferita del leone, che annuiva continuamente come a dire: “Il leone ha ragione, ha ragione il leone, se non avesse ragione ha ragione lo stesso perché lui è il leone”.

A questo punto il leone iniziava a scrivere una email... “Ehhhhh, mo scrive pure le email..., ma che razza di animali ci stanno in questo zoo” direte voi.

Shhhhh.... lo zoo è mio e nel mio zoo i leoni scrivono le email. Cioè questo leone scriveva email.

Ma fatemi andare avanti, basta interruzioni. Il leone iniziava a scrivere, battendo a tutta forza le zampe sui tasti, che quasi sfondava la tastiera “TIC... TOC... TAC... TUMM”, scriveva e cancellava, scriveva e cancellava, ed il povero Gnu fermo dietro di lui, come un caciocavallo affumicato, che cercava di capire cosa stesse scrivendo e cosa stesse partorendo dalla sua testa ormai fumante. Erano email chilometriche, che duravano secoli, e sempre sto povero Gnu là dietro di lui, in piedi, che si chiedeva: “Ma che ci sto a fare io qui, qua dietro ? mah”.

“TIC... TOC... TAC... TUMM... TIC... TOC... TAC... TUMM”. Il leone scriveva e cancellava, scriveva e cancellava.

Una caratteristica molto importante del leone razza “facciastuort” e “scrivi-mail” era che durante la scrittura tutta la foresta doveva fare silenzio. Ma che dico la foresta, tutta la terra doveva fare silenzio. Ma che dico la terra... insomma, avete capito. L'elefante col raffreddore infilava la proboscite in acqua per non starnutire, le iene si tappavano la bocca a vicenda per non ridere, e gli insetti si posavano sulle foglie cercando di non muoversi.

Intanto il leone scriveva e cancellava, scriveva e cancellava, scriveva e cancellava. Il sole sorgeva e tramontava, sorgeva e tramontava, sorgeva e tramontava. Finalmente il leone si fermava a guardare il capolavoro che aveva scritto. Un capitolo dei Promessi Sposi sarebbe stato più moderno di quella email. Un Tomo di Guerra e Pace sarebbe impallidito davanti alla sua lunghezza. Soddisfatto del suo lavoro, sempre con lo Gnu in piedi dietro di lui che ormai aveva detto “ciao ciao” alla sua schiena e alle sue gambe, finalmente sbottava: “Bò !”.

Miei cari lettori, l'espressione “Bò !” significava la fine della carcerazione dello Gnu, la fine delle pene e finalmente la libertà.

Un bel giorno tutti gli animali, stufi di essere trattati alla stregua di “pezze da piedi”, fecero consiglio e decisero che bisognava andare dall'elefante anziano, per vedere se si poteva prendere in considerazione la possibilità, a guadagno di tempo, con ogni consentita urgenza ehm... scusate sto scrivendo come il leone... insomma per vedere se si poteva spostare il leone sotto un altro albero, così da condividere il suo carattere un poco per ciascuno.

Si decise che i due ippopotami dal petto rosso, sarebbero andati a parlare con l'elefante anziano. Che dite? non esistono gli ippopotami dal petto rosso? Se esiste un leone che scrive email, possono benissimo esistere gli ippopotami dal petto rosso. Shhh.... fatemi proseguire.

I due pachidermi, armatosi di santa pazienza, andarono dall'elefante anziano e spiegarono la situazione.

L'elefante anziano sentenziò: “State tranquilli. La grande scimmia, che domina tutta la foresta, sa già tutto. Lavorate che... capisce a me... e ho detto tutto”. “Ma che hai detto tutto che non dici mai niente” pensarono i due propotami. Ma non poterono replicare e quindi, carichi di speranze, tornarono indietro più sconfitti di prima.

Gli altri animali, che aspettavano ansiosi una risposta che li avrebbe salvati, chiesero: “E allora? cosa vi ha detto?”

“Ha detto che tutti sanno tutto e che dobbiamo aspettare” dissero gli ippopotami.

Delusi, gli animali tornarono alle loro faccende, aspettando con terrore la prossima chiamata del leone.

Ogni tanto il leone faceva finta di essere stanco di fare sempre “tutto da solo” e faceva sacro giuramento che sarebbe andato sotto un altro albero.

Questi momenti erano momenti di gioia per tutti gli animali, che si preparavano a fare festa, andando a comprare i fuochi artificiali da “Pepp senza mano”, un famoso venditore di fuochi pirotecnici, fumo da sballo dal ben noto “Giuann 'o libanese” e bottiglie di Champagne dal grande “Salvatore 'o cassusar”.

Purtroppo, dopo il solenne annuncio, seguiva di lì a breve la smentita ufficiale della notizia. Per cui, con grande amarezza, gli animali riponevano il materiale dei festeggiamenti aspettando con ansia il momento giusto per fare festa.

Ogni volta che cambiava il capo della foresta o che subentrava un altro elefante anziano, i due ippopotami andavano di nuovo alla carica per chiedere di spostare il leone sotto un altro albero. La risposta era sempre la stessa: “Tutti sanno tutto... state tranquilli... succederà a breve qualcosa...”. Ma intanto non succedeva niente.

Come nel libro “Notre Dame de Paris” di Victor Hugo, dove Quasimodo cerca di salvare la bella Esmeralda, portandola nella cattedrale e gridando “Asilo... ! asilo ... !”, gli animali cominciarono a pensare di chiedere asilo ad altri leoni. Ma non sembrava giusto abbandonare l'albero natìo a causa di un leone.

Intanto i nostri animali iniziarono ad avere incubi, e a desiderare l'arrivo di un novello Messia che li avrebbe salvati dall'oppressore. Di notte sognavano il leone che gli diceva: “Vien, vien accà, vien a veré che è arrvat”.

Alcuni animali erano andati sotto un altro albero, preferendo l'esilio ad una vita di sopraffazioni e umiliazioni.

Finalmente, un bel giorno, il nostro leone decise di andare in pensione, o meglio, fu costretto ad andare in pensione perché altri leoni erano in fila per prendere il suo posto.

Tutti gli animali iniziarono a mormorare tra di loro, non credevano alle loro orecchie, finalmente se ne sarebbe andato. Avevano quasi paura a dirlo, per timore che l'incantesimo svanisse.

Infine, sul computer del leone arrivò la sua pratica di pensione e tutti gli animali avrebbero voluto fare festa grande, ma i fuochi di “Pepp senza mani” e il fumo di “Giuann 'o libanese” erano ormai andati a male, lo Champagne si era “sfiatato” insieme con la voglia di festeggiare. Infatti erano ormai sfiniti, e riuscivano solo a dire: “Non ci credo... non ci credo... ma davero davero?...”.

Gli ippopotami piangevano, la giraffa piangeva, lo Gnu piangeva, gli elefanti piangevano, perfino la zebra piangeva, tanto che si formò una pozza d'acqua di circa tre moggi di terreno. Solo la pecora faceva finta di piangere, ma internamente era triste, perché non aveva più il suo carnefice da adorare.

Alla fine della storia, un altro leone venne a stare sotto l'albero, un leone normale, di quelli che stanno tutto il giorno a dormire aspettando con le fauci aperte qualcuno che gli metta il cibo in bocca.

E tutti gli animali tornarono a vivere felici e contenti.

To be continued ??? ...

(Ogni riferimento a fatti o persone veramente esistiti è puramente casuale).