[cronache dalla scuola]
Aggiungo solo due cose a margine dell'affaire Raimo (docente sospeso per tre mesi dall'insegnamento e con stipendi dimezzato per aver criticato pubblicamente il ministro Valditara), ed è quello legato all'informazione giornalistica. La quasi totalità dei giornali riporta che Raimo avrebbe definito Valditara come “cialtrone, lurido, repressivo e pericoloso”. Le virgolette non sono mie, sono dei giornali che ho preso online. E – aggiungono – Raimo avrebbe detto che “Valditara va colpito come si colpisce la morte nera”. Più o meno tutti i giornali riportano così la notizia.
Ora, entrambe le citazioni sono false.
Gli aggettivi citati sono simili a quelli usati da Raimo, vero, ma mai riferiti alla persona di Valditara quanto alla sua ideologia politica, alle sue esternazioni e al suo linguaggio. Raimo non dice mai che Valditara sia un “cialtrone, lurido, repressivo e pericoloso”. Dice che la sua ideologia politica è repressiva e che quello che dice è arrogante, cialtrone e lurido. Quando parla di colpire Valditara come la morte nera, dice che va colpito politicamente, e poi spiega anche come: con una manifestazione di piazza dei partiti di sinistra.
La parola politicamente sparisce dai citati dei giornali, l'idea della manifestazione non è riportata da nessuno e nemmeno le motivazioni dell'impianto di Raimo: dalle “patriottiche” linee guida per l'educazione civica di Valditara alla sua “didattica dell'umiliazione”. Tutto è stato sbianchettato tranne cinque termini che sono stati copincollati e ridistribuiti ad hoc.
Insomma, si può essere o non essere d'accordo su quello che Raimo ha detto, sul linguaggio usato, ma i virgolettati che girano e su cui sono costruiti poi molti post o molti commenti in rete, sono palemente adulterati dai media per attirare click rapidi.
E questo imho è un altro problema tossico della comunicazione in rete: anche i media tradizionali vivono di copia e incolla con scarsissimo controllo delle fonti e contribuiscono a creare un clima divisivo, superficiale e che lavora sullo stomaco e non sul cervello.
Altra cosa, ultima giuro, sul fatto che sia aberrante che esista una regolamentazione che impedisca ai docenti di poter raccontare la scuola e criticare la gestione della stessa.
Diverse persone in rete, ho letto, commentavano che in una normale azienda privata se critichi la dirigenza vieni licenziato in tronco. Perché invece nel pubblico un dipendente dovrebbe poter criticare la propria dirigenza?
La ragione non è tanto che l'azienda privata ha come scopo il profitto, mentre il pubblico – ad esempio la scuola – no. Ma piuttosto perché – banalmente – il pubblico è pubblico.
Gli americani non hanno eletto Steve Jobs come CEO Apple. Nessun dipendente di una azienda privata elegge il proprio datore di lavoro.
Io – come docente – sì.
Ogni cinque anni voto, assieme al resto degli italiani, una serie di persone che andranno direttamente a governare il ministero della pubblica istruzione, o che sceglieranno una persona per farlo, una persona che agirà coerentemente con l'ideologia, gli interessi e i programmi dello schieramento che avrà vinto le elezioni.
In quest'ottica è essenziale che io – che lavoro nella scuola – abbia la possibilità di comunicare quello che la scuola è a chi nella scuola non ci entra. Raccontare quello che succede, indicare le buone prassi ma anche le manomissioni, gli errori e i pericoli di queste o quelle norme, linee guida, circolari.
Impedire ai docenti di poter fare questa opera di comunicazione, anche critica, è fare un danno alla scuola stessa. Significa anche che il docente non viene considerato come un intellettuale, ma come un semplice dipendente statale che non può esprimere il proprio “uso pubblico della ragione”, nemmeno al di fuori della scuola, ragionando e condividendo il suo giudizio su quello che fa.
Se chi lavora nella scuola non può parlare della scuola, il dibattito sulla scuola del futuro, quella dei nostri figli, sarà in mano a gente che non sa di cosa si sta parlando, che non ha mai messo piede in una classe e che agiterà una comunicazione sporca e superficiale, magari sfruttando qualche episodio di cronaca, per i propri interessi personali.