sottocutaneo

[uno]

Esco con grinta, vivo come uno spillo sottopelle, era così che mi piaceva usarli al di sotto di una certa età, cosa ero? un bambino forse ragazzino, mi infilavo gli spilli sotto la pelle, sterili cunei bianchi e con gli occhi del mio stesso corpo mi osservavo compiere le mutazioni – sbuco ora sulla soglia dei cinquantacinque come la punta di uno spillo che è stato sottopelle per tutto questo tempo e con la parte finale guarda sgomenta il mondo, per quel che vede, grosso calo di diottrie nel frattempo, e scopre che fuori pelle c'era un friabile strato atmosferico e sopra quello l'universo e tanto che stava sotto nessuno ha capito bene dove finisce, solo l'auto lontana di un imprenditore va nello spazio come la parodia del progresso, le sacche seminali rese capitale e monoformate in una piccola atomica cavallo su cui – l'immagine cinematografica è chiara – un cowboy texano dà colpi con il cappello alla carcassa e intanto l'altro, l'intellettuale, gira e dà anche lui il suo ciak, la barbetta, andiamo avanti, cinquantacinque passate a non vedere – guardando la mia tastiera posso capire quali lettere uso più delle altre, alcune sono più consumate, so che dito uso per fare gli spazi, il destro, il pollice destro, so che mia figlia mi ama di quell'amore effervescente che prima o poi si dissiperà in altro e mi ama per motivi animali, so che uno dei miei figli mi guarda e prova la mia consistenza – si stupisce che io esista – e l'altro figlio sta per uscire del tutto dal liquido amniotico che è stata la nostra famiglia, butta fuori le gambe, gli escono dalla bocca vagiti universitari e le prime lallazioni reddituali – erano già tutti adulti dall'inizio – bastava lasciargli il tempo, stasera sono andato con mia figlia in alto sopra al Biscione, lei mi ha chiesto dove andiamo e io le ho detto a vedere le nuvole sopra la città – ci siamo trovati al buio a guardare la città sotto di noi, un freddo – l'inconsistenza della materia tra noi e il cielo e lei – mia figlia – aveva uno sguardo elettrico – le ho chiesto se voleva tornare a casa – cosa? – mi ha detto lei, dico, se vuoi tornare a casa – nel vento gelido – lei ha detto no con la testa – sorrideva – si toglieva i capelli dalla faccia – si è poi mossa verso un sentiero che andava nel niente – basta uscire dall'inquinamento luminoso e fare qualche passo in un sentiero senza illuminaizione per sentire l'odore animale della nostra preistoria – hai visto? mi ha detto indicando qualcosa lontano, una macchia – no, ho risposto – Craxi ho pensato, ho vissuto lo stesso tempo di Craxi di Cuore di Andreotti, ho vissuto con Forlani, mai visto uno, con Occhetto con Natta, Capanna, mai incontrati, Linus leggevo mi lasciavo andare – fingevo che avrei avuto tutto il tempo per vedere prima o poi tutte le cose come stavano – che non fosse importante farlo – che avrei avuto tutto il tempo – ora so che non riuscirei a maneggiare la verità – ora sono sicuro che – anche se cominciassi oggi – non riuscirei a maneggiare la verità – avrò preso le mie pastiglie? aumentare la melanina – cercare di non avere brividi – scogiurare le cadute (ero in Francia martedì – sono caduto – mi sono salvato – ho detto – nel fango le mani, i polsi – ho usato la neve per pulirle mentre colava tutta la terra sulle maniche della camicia – finché la pelle non è diventata rossa e non mi sentivo più niente dal dolore) non capirò mai più il mondo ma un cruciverba semplificato – la o, la i la u la t la r la e la a la s la d la c la n la m forse queste le più consumate, la q la z e la y quasi intonse, la w e la x anche, che spreco, la f anche lei poca roba, potrei comunicare con una forma ridotta dei lettere come i font a cui strappano via le lettere non utilizzare per evitare furti alla fonderia – furti, furti, alla fonderia, oggi ero in classe, ultima ora dell'ultimo giorno della settimana e rileggo ancora le prime righe della Vita Nova, il libro della memoria nel punto in cui c'è l'incipit della vita nova, dove prima non c'è niente, il primo ricordo è quel giorno in cui appare lei, la bambina di nove anni che ci ha rapito il cuore, prima di quello è materia informe della memoria, un magma indistinto che siamo noi e di cui non c'è rimasto nulla, pensate – dico – cercate la prima cosa che vi ricordate della vostra vita, la cosa più lontana da oggi, l'inizio di quella trascrizione della vostra memoria dati di quello che siete, il primo momento in cui avete cominciato a memorizzare e scrivetelo, sul quaderno, ora, iniziate la vostra vita nova, dico e poi giro – ma tipo – chiede uno – cosa intende per prima cosa – allora io gli racconto la mia —> ci sono io in un box per bambini, sono nella stanza dove c'è il letto di mia nonna, avrò uno o due anni sono in questo box e mi sono abbassato i pantaloni, ho le mani piene di questa sostanza che sono stato io, le dita piene di merda – dico – e me le porto alla bocca e continuo e assaggio la mia merda finché non vedo una luce, una porta che si apre e sono i miei genitori che mi vedono e dicono cose che non capisco tranne “ecce merda filie mee” – questo il mio inizio e vedo la fine con i pannoloni per adulti, le piccole perdite urinarie, finirò così con gli esami per la prostata in mano senza avere capito il mondo, senza avere assassinato nella culla l'imprenditore Berlusconi, Sbirulino, il gruppo di incartatori del cofanetto Sperlari, finirò così come una cosa che esce dal budello dopo una lunga inesorabile digestione.

[due]

Cambiamo registro, mentre ero sottopelle. La cosa di cui non parlo molto è che leggo, leggo moltissimo, rovino le cose che ho. Non do cura alle cosa che ho attorno perché si rovinano, appena le metto in casa. Copertine prestigiose, edizioni brossurate, oggetti hi-tecno. Le copertine si sfaldano il gatto ci vomita dentro gli zaini prendono colpi i vetri si spaccano la plastica si spappola l'umidità attacca le pagine e le strappa i vinili si graffiano le auto fanno le fiancate, la narrativa mi salva, ma non troverete libri carini sul comodino. Li uso per accendere il caminetto per dire. Non mi interessa nemmeno lo stile. Sto lontano. Se uno guarda le mie collezioni di musica trova gli autori che seguo e in mezzo ci sono dei buchi, mancano i capolavori. Cerco di ascoltare solo le mezze produzioni, i tentativi non riusciti. Gli album brutti sono in perpetua rotazione. I capolavori dopo qualche minuto li tolgo e li do via. Mi spaventano. Non ha senso fare un capolavoro, ascoltarlo ti fai solo del male. Ho preso coraggio qualche settimana fa e sto ascoltando Music for 18 musicians di Steve Reich. Lo tolgo. Tutta quella perfezione è spaventosa. Forse per questo ho sempre ascoltato Prince, ininterrottamente da quarant'anni. Non ha mai fatto un capolavoro, forse ne aveva paura anche lui. Infilava sempre in mezzo un frammento sbagliato, una rarità accanto a un elemento pacchiano, una produzione elegante rovinata da un arrangiamento dozzinale. Ma vedi come tutto diventa ridicolo. Di cosa stiamo parlando. Per fortuna insegno e quindi devo leggere molto, per mestiere e poi scrivo, come adesso e quindi ancora leggere. Ho fatto anche l'editore, ho letto famelicamente materiali che erano ancora magmatici, segnavo tutto e li ridavo agli scrittori. Ora ho questo stato di grazia che insegno a ragazzi che della letteratura non gliene frega niente. Periti informatici. Scienze applicate. Passo a masturbarmi le cervella con Dante combo Contini e poi in classe cerco di passare la bellezza pornografica della letteratura e quelli – giustamente – mi mandano affanculo. Devo conquistare ogni singolo lemma, masticarlo e rimasticarlo come una vacca, da uno stomaco a quello successivo, ruminarlo fino a renderlo qualcosa di appetibile no, digeribile. Niente pornografia. Vedete – dico – qua Dante dice che racconterà questo sogno agli altri poeti con una poesia e lo fa davvero. E quelli gli rispondono, ma non nella fiction. Nel mondo reale. Dante scrive che un poeta amico suo gli ha risposto e quell'amico è Cavalcanti. E Dante scrive anche il titolo di questa poesia che Cavalcanti avrebbe scritto rispondendo al suo sonetto. E questa poesia di Cavalcanti esiste davvero. L'ha scritta davvero e nella sua poesia Cavalcanti parla del sogno di Dante, quello che abbiamo appena letto, dico. Ora, dico, io non voglio sempre attualizzare tutto ma, dico e uno studente mi precede e mi dice alla faccia di Whatsapp, dice. Ecco, dico. Continuamente leggo ma non faccio l'elogio del libro, quello della scrittura. Lo stile non mi interessa più di tanto. Quello che mi ha fermato nella programmazione è che più di tanto non riesco ad astrarre. Ci sono limiti oltre ai quali mi fermo. La matematica e la poesia, da questo punto di vista, non cambia molto. Prendi Miller. Henry. Cosa serve essere così perfetti, periodi così oscenamente perfetti. Anche quello l'ho chiuso. La letteratura è un anestetico non una cura, ma a volte bisogna cercare di non farsi male. Non troppo. Prendersi cura di sé, fare una lista dei medicinali. Alla fine, prendersi cura di sé è anche attaccarsi a un libro. Tengo delle liste di letture da fare finché non finisco quello che sto leggendo, a quel punto prendo a leggere qualcosa che non sia in lista. Ci deve essere un elemento random. Come la temperatura nelle intelligenze artificiali. Ci deve essere uno scarto come trovare o non trovare la preda. Poi qualcosa invece lo leggo. Ma i libri sono una frazione della mia dieta culturale. Briciole. Leggo articoli, estratti, post, leggo messaggi chat lunghissime, ascolto vocali musiche notizie dei radiogiornali suoni che il mondo fa, la mia calderina ora il frigorifero, l'elettricità statica, ascolto relazioni pubbliche, quattro lì seduti davanti al pubblico che ammiccano e io sono dentro di loro e penso cosa pensano quando sentono gli altri parlare, ci sono anche io, penso ogni tanto davanti al pubblico che mi guarda – ma perché siete qua – cosa siete venuti a sentire – guardo immagini- videoriprese montaggi, piani sequenza scorsoi tocchi del demonio, ambienti interattivi & vg, tutta questa intelligenza che cerco di scansare, tutta questa ininterrotta produzione di intelligenza e di creatività e di genialità a cui cerco di sopravvivere perché è come un blob alieno impazzito che entra da ogni foro che ho nel corpo, come la creatina mi si infila nei pori della pelle nelle orecchie negli occhi soffoca gli spiritelli, tutta l'intelligenza e la creatività che l'umanità disperatamente, disperatamente ma con il lusso forbito della cultura, continua a fare uscire infilandosi le due leggendarie dita in gola per essere sicura che il calore a cui la conservano dentro, sbocchi fuori e ci avvolga tutti come una copertina affettuosa e rassicurante.

[tre]

Caro diario. Trascrivere tutto. Questa mattina mi sono seduto sul divano, la casa piena di sconosciuti, non ne voglio parlare. Ho preso due libri che ho in casa, libri che ogni tanto sfoglio, sono gli unici due libri di arte che mi sia mai comprato. No, non è vero. Ma non ne ho comunque molti. Questi due in un certo senso sono collegati, sfogliandoli resto sempre affascinato. Uno è di Helnwein, l'altro è di Ray Caesar. Sono entrambi due cataloghi, antologici, tecniche di computer graphic per il secondo, fotografia, teatro e arti figurative per il primo. Mutazioni del corpo, una sessualità lesionata, a volte in maniera violenta, ascessi pop, iperrealismo fotografico e surrealismo al digitale. Ironia, ogni tanto con Ray Caesar sbotto a ridere da solo. Li guardo e giro le pagine. Il fastidio di quelle pagine così piccole. La primitiva voglia di zoomare con pagine che mostrano dettagli e particolari. Lo sforzo della carta di avere dimensioni diverse da quelle che ha. Ad un certo punto prendo il cellulare e imposto un filtro particolare che smorza tutto in bianco e nero, tagliando le tonalità di grigio e rendendole con del dithering, ma ogni tanto, non so perché, alcuni elementi diventano rossi, si creano delle foto in bianco, nero e rosso. Una foto che è naturalmente artefatta, postprodotta all'origine. Fotografo un po' di pagine, così. Le condivido, chiudo tutto. Ci vedo così poco. Sono costretto a prendere gli occhiali. Della grafica non sai se l'hai davvero vista, le frasi lasciano i segni elemen,tari dei loro concetti, ma la grafica ti passa sotto gli occhi. Ho sempre paura, girando pagina, di essermi perso qualcosa di essenziale, una sensazione che avrei dovuto provare e non l'ho fatto. Metto via tutto. Più tardi sono solo in cucina. Ho registrato dei suoni di me che cammino sulla neve, sono quattro registrazioni differenti. Una vicino a un corso d'acqua, l'altra a passi lenti, la terza con dei suoni lontani di automobili, l'ultima a passi più veloci. Il suono della neve schiacciata dai miei passi. Copio i quattro suoni sul secondo cellulare, quello che uso per parlare. Poi li copio sul portatile e alla fine sull'ebook reader. Spengo le luci della sala. Vado in un angolo della sala e poso un cellulare, nascondendolo. Faccio partire la prima registrazione, la metto in loop. Vado dalla parte opposta della sala e faccio partire la seconda, con il secondo cellulare. In loop. Poi la terza ad un ipotetico terzo angolo e quella finale con l'ebook reader. Tutte e quattro, creano un tappeto sonoro. Mi metto nel mezzo della sala, nella penombra della sera e sento tutto attorno a me passi nella neve. Mi giro, cammino, cerco di capire cosa possa cambiare nella percezione del suono rispetto ad un normale suono sterofonico. Chiamo mia figlia. Lei scende, satellando, la metto in mezzo alla stanza, le dico di chiudere gli occhi e di cercare di capire quante fonti sonore ci sono e dove sono. Lei sta un po' ferma, gira, inizia a indicare – nel buio – zone della sala. Dopo un po' individua tutte le quattro fonti, mi guarda, credo. La cosa le è piaciuta, quel tanto che basta. Dice che lo dobbiamo fare con qualcun'altro, va a chiamare suo fratello. Anche lui scende. Ascolta le regole del gioco. Si mette nel mezzo della stanza. Gira, indica anche lui zone della sala. Nel buio, è comunque una cosa diversa. La realtà virtuale fatta con le povere cose. A rovescio, passeremo a fare la tecnologia con l'elettronica amputata. Più il sistema ci inonda della sua faticosa perfezione, più prenderemo a romperla. Più l'informatica diventa plasticamente armonica, più gli attaccheremo delle ridicole protesi per ridurla, per renderla umana. Intanto mio figlio mi guarda, ridacchia, se na va via saltellando al piano di sopra. Helnwein infilava le forchette negli occhi alla figlia, non mi lamenterei.

[quattro]

In centro evito la polizia, ci sono camioncine posteggiate in mezzo alla strada – attorno una città vuota – una pioggia svuotata fatta di lacrime scavate, agglomerati di gocce spente che cadono sull'asfalto grigio sul cemento grigio sulle colonne del viadotto grigio, anche il greto del fiume è grigio oggi, anche l'acqua che scorre è grigia – solo io ho un frammento di luce che mi esce dal corpo, un raggio come quello dell'annunciazione che illumina piccole porzioni di materia davanti a me, e questa luce interna è la mia sventatezza e la mia vergogna, comunque, l'importante è tenere dentro di sé le cose, schiacciarle sul fondo per poi vederle emergere per conto loro senza la tua partecipazione attiva, chiedo poi al supermercato – nel momento della cassa – ma perché c'è la polizia, perché le strade bloccate – una voce dice che è una manifestazione degli operatori ecologici, dice, hanno anche, dice, sigillato i bidoni della spazzatura no, no, dice una seconda voce, è per le foibe, guarda il carrello davanti a sé, è per le foibe – ripete – questo supermercato oggi è pieno di vecchi occidentali, la domenica si radunano al supermercato i vecchi occidentali mentre tutto attorno a noi crolla – l'occidente, il suo potere, l'ombra lunga degli statunitesi e del loro odore intenso nel momento dell'abbraccio, anche quello crolla con un conato a rovescio, verso l'interno a proteggere il loro fragile sistema di privilegi – cosa non è fragile rispetto al tempo e ai mercati azionari – tutto prima o poi muta, inizialmente in maniera impercettibile e poi ti rendi conto che quella cosa impercettibile era anche irrimediabile, come una lacerazione, per quanto sia infinitesimale la natura dello strappo, alla fine quella sensazione che prova il vuoto è il precipitare dello spazio in due elementi separati e divergenti, così noi dentro le fauci, le luci e i faretti disperati dell'Esselunga o del Carefour o della Coop o della Conad, dell'Ekom, dell'IN's, siamo qua a sentire il frastuono lontano dell'occidente che frana, a invecchiare mentre nuove tribu e nuove idee emergono fameliche e divoreranno tutto sulla lunga distanza, divoreranno i nostri dei, le nostre pietanze, divoreranno gli appunti che abbiamo preso sull'illuminismo, divoreranno i diritti umani e gli orientamenti sessuali, e mentre sentiamo questo collasso scendiamo in piazza per le foibe, passiamo la nostra tessera sconto, raccogliamo i nostri punti risparmio, piombiamo i tombini, sigilliamo i bidoni della spazzatura per tenere in sicurezza i residui del capitalismo, le carte, le plastiche, lo sporco di cibo attaccato al tetrapack, alle latte di conserva, alle aperture facilitate, i sacchetti fiacchi di estrusi del mais, fingiamo ancora di essere come me – bestie sottocutanee – acari sociali che scavano il loro tunnel nella sottotraccia della storia e ci vivono dentro masticando e vomitando dal retro, aspettando la fine e pensando che sarà l'ultima cosa a cui dovremo pensare e intanto studio il reticolo del mondo, le strade che posso percorrere per tornare a casa evitando i posti di blocco delle sacre festività.

[cinque]

Comunque mi sposto, basta un colpo e il baricentro si squaderna, come avere dei lag nella realtà virtuale, l'immagine del reale non corrisponde più alla nostra posizione dello spazio, si crolla, si ricostruiscono cose che non sono avvenute, in questo caso abbiamo di fronte a noi Andreotti, Elon Musk e Batman, il nostro progetto, dice Musk è quello di una grande riqualificazione della zona costiera con l'eliminazione dei parassiti che hanno flagellato le produzioni olearie e la reintroduzione progressiva di danze tradizionali equestri, inizialmente attraverso l'inseminazione artificiale di modelli di IA autoctona, ma successivamente con un piano di collettivizzazione capitalista dei beni primari quali l'aria, il liquido seminale, l'acqua della noce di cocco, ti ucciderò – dice Batman – non puoi farla franca, aggiunge e non si capisce esattamente a chi stia parlando, ha lo sguardo nel vuoto, sembra respirare con il naso, a fatica, per via della maschera, io una volta sono morto – questo è Andreotti – sono morto, pensate, in diretta, durante una trasmissione tv della domenica pomeriggio, muove le mani davanti a se, come uno scoiattolo tassidermizzato, ma poi – prosegue – sono tornato in vita, con difficoltà, non dico di no, ma in vita, sorride; Musk accanto a lui fa una smorfia con il viso grosso come dire “e 'sti cazzi?” ma non dice niente, puoi sperare che quesi personaggi muoiano o rivivano o siano ricaricati, ma non cambia niente, bisogna, dice Musk, tagliare gli sprechi, scuoiare alla radice il problema della povertà, radicalizzarlo, bastardo – è di nuovo Batman – tu parli della povertà dei ricchi – dice, sempre con il suo tono nasale, è immobile, sembra incapace di muovere un muscolo, la tuta è a gradienti di grigio, Musk fa un'espressione che potremmo definire di sarcasmo, indica Batman, si gira verso Andreotti di cui non si vedono gli occhi, le lenti degli occhiali sono come appannate e non si riesce a vedere attraverso, io credo, inizia Andreotti, che qua sia necessario non un patto, ma una visione comune tra generazioni diverse perché c'è soprattutto un problema culturale e sociale che mina alle radici molte delle nostre tradizioni italiane, prendete una salsa di base tra le più versatili in cucina, sto parlando, aggiunge, della besciamella; la besciamella è facile e veloce da realizzare, è perfetta per dare una marcia in più a tanti piatti diversi, ora – dice – e si ferma, resta a guardare il vuoto, anche Musk si è bloccato, anche Batman: sta di nuovo laggando tutto; il mondo reale prende spazio, le mie dita sulla tastiera, il rumore della calderina, le cose che ho innestate nella testa e escono trasversalmente dall'alto verso il basso, io sono qua, in questo momento e non sono più, vedo le mie parti finire mentre ne faccio la catalogazione, la mappa catastale della geometria non ecuclidea del mio organismo, il segreto però – riprende Musk – è la frusta, l'uso della frusta nella cottura girando con delicatezza ma anche con determinazione in senso sempre orario evitando il formarsi di grumi, Andreotti annuisce, sembra in realtà non aver capito nulla del discorso di Musk – la noce moscata – dice all'improvviso Batman, Musk si volta verso di lui facendo un gesto con le mani incomprensibile – la noce moscata – ripete Batman – certo, annuisce Musk, e il sale, q.b. dice, e Andreotti si riattiva, fa un sorriso animale, sornione, ecco, chiosa, q.b. or not q.b.? e dalla sala il pubblico preregistrato, senza audio, parte in un applauso inintelleggibile, sembra non accorgersi della morte che cola dai punti di incontro, gli svapo, i condizionatori, il rumore dell'elettricità che permea tutta la struttura delle cose.

[sei]

Tenere nota di tutto, non perdere niente per strada, infilare la testa sotto la pelle come se fosse una coperta o l'addome, ma prima di tutto tenere traccia dello strumento, di fronte al flusso continuo dei dati rendersi conto che questo flusso continuo non è una comunicazione ma un'interfaccia: quando negli anni ottanta sognavamo di potere accedere ad ogni informazione non credevamo che questo sogno fosse il sogno di un'interfaccia: non pensavamo ai paywall, non pensavamo all'annichilimento, non pensavamo allo streaming, non pensavamo ai drm, non pensavamo al fatto che questa massa oceanica di cultura, arte, suono e immagine in movimento, questa barriera corallina interattiva ci avrebbe sovrastato con i cavi elettrici infilati dentro all'acqua, che saremmo stati presi dalle scosse, viviamo in una elettroterapia che ci attraversa la mente e il corpo quando siamo svegli e quando dormiamo, quando la proliferazione dei nostri sitmoli nervosi continua a fare scrittura dati nella rete, a prendere i suoi like le sue condivisioni e ogni interazione è una scossa nel sonno al nostro corpo che si tende e rilascia, contrae i muscoli e li fa andare, per questo siamo qua ad aspettare il prossimo aggiornamento di sistema, a vivere la prossima festa a condividere il nuovo modo di pensare, di consumare, di nascondere i propri materiali fakeali, non pensarsi nel momento della connessione, quando scompariamo dal mondo esistente per dare propagazione a quello interconnesso – ricordi quando gli avatar rimanevano bloccati spenti nel momento della disconnessione? oggi è il corpo di carne, il suo odore, la sua consistenza che resta come spenta nel momento della connessione, sulla sedia, sul divano, in coda al semaforo rosso, tutti corpi abbandonati che stanno vivendo vite infinite che non potranno possedere mai completamente, la mia narrativa è la presentazione del mio cadavere al mercato, la selezione degli organi migliori, la bancarella con lo spezzatino di quello che sarei stato, di quello che sarei anche, delle forme di me comunicabili, iperallestite per la masticazione collettiva – l'unica volta che essere masticati fa godere la carogna (il corsivo è mio) – non c'è corsivo – dicevo essere sotto questa massa oceanica di cultura e alzare gli occhi e vedere attraverso il traslucido i segni della struttura e vederne le falle, gli enormi boccaporti da cui fuoriescono sbocchi di informazione, conati di storia che riversano i loro liquidi fino a rivelare che – no, dài, era tutto qua? lol – l'umanità e la sua carneficina erano una dizione così rozza, una paratia così fragile e sottile? tutto questo millenario arricchirci di segni e significati serviva solo come base dati per addestrare una macchina che mi scimmiottasse e mi mostrasse il culo mentre sale sull'albero della conoscenza? quello che qua vuole dire – ho detto ieri in classe – è che io, che ho cinquantacinque anni, che sono stato ragazzo come voi, poi mi sono innamorato, ho fatto uno, due, tre figli, sono qua di fronte a voi come una persona adulta che sente già i dolori di quello che sarà dopo, ecco io, qua, quello che c'è dall'altra parte del muro ancora non lo so, questo muro con i cocci di vetro in cima, a fianco al quale ho camminato per cinquantacinque anni e che mi impedisce la vista, io non lo so cosa c'è dall'altra parte e morirò senza saperlo, questo vuole dire, ci sono altre domande, è chiaro a tutti? ricordatevi che alla maturità questo ve lo trovate, ma cosa ci sia di là io non lo so e finirò così, all'improvviso, come una falena qualunque, come un insetto, come una lucertola che perde la coda e poi non ricresce e finisce sul fondo della vasca da bagno e cerca di uscirne, di notte, per ore e ore e la mattina non c'è nessun rumore nell'appartamento e quella continua, per giorni, settimane, ma scivola sulle pareti, muove le sue zampettine, vede da sotto il limite entremo della vasca da bagno, ma scivola, cade e si trova sempre nella comfort zone della normalità, nella piana standard della sopravvivenza