📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

Preghiera ecclesiale, preghiera universale 1Raccomando dunque, prima di tutto, che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, 2per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio. 3Questa è cosa bella e gradita al cospetto di Dio, nostro salvatore, 4il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità. 5Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, 6che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l’ha data nei tempi stabiliti, 7e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo – dico la verità, non mentisco –, maestro dei pagani nella fede e nella verità.

Uomini e donne nella preghiera comunitaria 8Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza polemiche. 9Allo stesso modo le donne, vestite decorosamente, si adornino con pudore e riservatezza, non con trecce e ornamenti d’oro, perle o vesti sontuose, 10ma, come conviene a donne che onorano Dio, con opere buone. 11La donna impari in silenzio, in piena sottomissione. 12Non permetto alla donna di insegnare né di dominare sull’uomo; rimanga piuttosto in atteggiamento tranquillo. 13Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; 14e non Adamo fu ingannato, ma chi si rese colpevole di trasgressione fu la donna, che si lasciò sedurre. 15Ora lei sarà salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con saggezza.

Approfondimenti

(cf LETTERE A TIMOTEO – Introduzione, traduzione e commento a cura di CARMELO PELLEGRINO © EDIZIONI SAN PAOLO, 2011)

Preghiera ecclesiale, preghiera universale Si raccomanda la preghiera per tut­ti, motivandola con l’universale volontà salvifica di Dio che si è resa manifesta nell’auto-donazione di Cristo e ha raggiunto i pagani grazie all’annuncio di Paolo, primo fruitore di tale benevolenza (cfr. 1,16). Secondo l'autore della lettera il primo mezzo per combattere l’eresia è la preghiera della Chiesa.

Il brano è segnato fin dall’inizio da un’evidente nota di totalità e universalismo. I quattro termini che descrivono la preghiera in questo brano vogliono significare ogni possibile forma di petizione e hanno come beneficiari «tutti gli uomini». Con questa precisazione si compie un passo in avanti straordinario ri­spetto al giudaismo, in cui la preghiera per altri era intesa per lo più a favore dei correligionari (ma cfr. la preghiera per le autorità pagane: Esd 6,10). Il concetto viene ribadito nei vv. 1-6 attraverso la quadruplice ripetizione del termine «tutti»; tale insistenza induce a ravvisare un intento polemico nei confronti dei falsi mae­stri, le cui eresie dovevano annoverare anche forme di esclusivismo giudaizzante: solo coloro che seguivano le loro dottrine avrebbero potuto conoscere la verità ed essere salvati! Tale atteggiamento sarebbe dilagato in seno alla Chiesa più tardi attraverso le sette gnostiche.

Dopo il v. 1 la linea logica del discorso continua con il v. 3. Il v. 2 appare piuttosto come una digressione, in cui l’autore specifica una particolare categoria di persone per le quali pregare: i re e tutti coloro che sono costituiti in autorità. Nel tono generalizzante del brano, questa precisazione sorprende. La preghiera per chi governa compariva già nel giudaismo della dia­spora, poiché assicurava al popolo prosperità sotto la dominazione pagana, a cui garantiva una certa lealtà; ciò, inoltre, evitava di dover tributare culto divino al governante. Nel NT la preghiera per le autorità è ben attestata (Rm 13,1-7; 1Pt 2,13-17; cfr. anche Tt 3,1) ed è connessa con la convinzione che il governo civile della società sia voluto da Dio. Il messaggio apostolico non mirava a destabi­lizzare l’ordine sociale, così come la cittadinanza dei cristiani non escludeva la dimensione civile e la novità evangelica non proponeva un modello specifico di organizzazione statale. La supplica per i governanti è pertanto finalizzata a pro­piziare l’adempimento della naturale funzione del governo, cioè l’assicurazione del bene comune, qui significato dai due sinonimi che descrivono una vita «calma e tranquilla» (v. 2). Bisogna pregare perché i responsabili della cosa pubblica garantiscano le condizioni che permettono a «tutti» di usufruire della salvezza e della conoscenza della verità (v. 4). In una società ove siano tutelate la giustizia e l’ordine sociale (Rm 13,1-7), i cristiani possono testimoniare in modo aperto e visibile, offrendo l’accesso ai beni salvifici; viceversa, nei conflitti viene seminato l’odio, che è nemico della propagazione della verità. Questi elementi indicano che, nel contesto storico dell’autore, la persecuzione da parte dello Stato restava un rischio concreto (2Tm 1,8; 2,3; 3,12).

È giusto pregare così – cioè a beneficio di tutti, delle autorità in particolare – perché piace a Dio! D’altron­de, Egli è il «salvatore nostro» (v. 3), cioè colui che libera e preserva dalla distruzione: non può che avere a cuore la salvezza di tutti (v. 4). I cristiani, con l’offerta sacrificale della loro preghiera, hanno la responsabilità di offrire l’occasione perché tale piano salvifico divino a favore dell’intera umanità si dispieghi.

L’affermazione di un solo Dio per Giudei e Gentili dimostra che i pagani hanno uguale accesso a Dio (cfr. anche 1Cor 8,6; Gal 3,20; Ef 4,5-6); il senso polemico potrebbe avere come bersaglio l’esclusivismo giudaizzante. Ciò è confermato anche dal carattere generalissimo della mediazione di Cristo, posta tra Dio e «gli uomini». Cioè, l’argomento dell’unicità come con­ ferma dell’universalità viene reiterato dalla menzione dell’unico mediatore, realtà che affonda le sue radici nell’unico Dio. In forza della sua morte, Cristo stabilisce una nuova relazione tra Dio e l’umanità. Almeno implicitamente, egli deve essere correlato con le due parti in causa. L’enfasi sull’umanità di Cristo («l’uomo Cristo Gesù») esprime chiaramente la sua appartenenza a una delle due parti in questione ma, soprattutto, introduce il v. 6, cioè il rimando alla redenzione guadagnata da Gesù con il dono di sé sulla croce. La sua umanità, quindi, significa la sua sofferenza salvifica. L’apostolato di Paolo, presentando fedel­mente la verità di Dio, può condurre a salvezza i suoi ascoltatori provenienti dal paganesimo.

Uomini e donne nella preghiera comunitaria L’annuncio della volontà salvifica universale di Dio, anticipato in 1,16 e pre­ sentato nella sezione 2,1-7, introduce all’applicazione generale delle prescrizioni di 2,8-15 che riguardano esplicitamente tutti, uomini e donne. È possibile suddivi­dere questa sezione in due brani:

  • v. 8, in cui si presentano indicazioni agli uomini relative alla condotta da assumere nell’assemblea cultuale (ma che arrivano a coinvolgere tutta la vita),
  • vv. 9-15, in cui l’autore rivolge indicazioni alle donne, tra cui la proibizione dell’insegnamento, supportandola con un riferimento alla precedenza della creazione di Adamo e con una menzione del peccato di Eva.

Nei vv. 11-12 l’autore si sofferma sull’atteggiamento che la donna deve assumere nei confronti dell’uomo nell’assemblea cultuale: in breve, essa deve imparare (v. 11) e non può insegnare (v. 12). La cornice storica e il contesto delle Pastorali permettono di comprendere tali prescrizioni, agevolando anche l’interpretazione di certe espressioni distanti dalla nostra sensibilità.

Alcune donne delle prime comunità si erano dimostrate ozio­ se, pettegole e curiose (5,13-14), facendosi facilmente circuire dai falsi dottori (2Tm 3,6). Anche il divieto del matrimonio imposto dagli eretici (1Tm 4,3) aiuta a spiegare l’enfasi paolina sulla generazione dei figli, quale privilegiata via alla salvezza per la donna, peraltro strettamente collegata alla santificazione (1Tm 2,15).

Vi erano dunque delle tendenze di emancipazione femminile arbitraria – forse incoraggiate dal culto pagano della dea Artemide che proprio a Efeso aveva il suo cuore pulsante – che avevano indotto alcune donne delle comunità a ripudiare il matrimonio e la generazione dei figli. Fondamento pretestuoso per tale atteggiamento poteva essere una lettura distorta dei primi capitoli della Genesi.

Ciò che l’autore intende reprimere non è quindi il mondo femminile ma l’eresia, che qui è vista attecchire tra le donne, mentre prima e dopo viene notificata tra gli uomini. Sia la perturbazione di origine maschile sia quella di matrice femminile danneggiano la comunione dell’assemblea liturgica. Pertanto, la proibizione di insegnare rivolta alle donne non va intesa in senso assoluto, ma è relativa alle particolari circostanze dei destinatari; infatti, altrove l’autore esorta le donne anziane ad avviare le giovani all’amore familiare da «maestre di bontà» (Tt 2,3) e riconosce alle vedove uno specifico ruolo (1Tm 5,9-16).

Oltre alla dialettica imparare/insegnare, anche il ri­chiamo al «silenzio» aggancia la prescrizione positiva del v. 11 a quella negativa del v. 12, dove la proibizione dell’insegnamento alle donne è rinforzata dall’espressione «in piena sottomissione». Non si tratta di una sottomissione ai mariti bensì ai mae­stri: si descrive, infatti, l’atteggiamento o la postura appropriata all’apprendimento, implicante l’accettazione dell’insegnamento e dell’autorità del catecheta, che è un maschio.

L’autore aggiunge al precedente divieto di insegnare anche la proibizione a «dominare» sull’uomo che, quindi, riguarda la natura dell’insegnamento. Ciò induce a ritenere che vi fosse qualche forma di insegnamento femminile, probabil­mente propagato con arroganza; contro questa pratica reagisce 1 Timoteo.

Per suffragare le sue ingiunzioni, l’autore di 1Timoteo ricorre a un argomento rabbinico: il primo prevale sul successivo. Ora, l’uomo è stato creato per primo rispetto alla donna; dunque, l’uomo prevale sulla donna. Poteva trattarsi di una risposta a un argomento di parte femminile, che rimarcava l’espressione di Gen 3,20 dove Eva è definita «la madre di tutti i viventi». Alcune donne potevano così affermare la loro superiorità rispetto agli uomini. Paolo conosce bene questi ragionamenti. In 1Cor 11,12 egli rileva la pari dignità tra i sessi e la loro subor­dinazione a Dio proprio su questa scia: «Se infatti la donna deriva dall’uomo, anche l’uomo ha vita dalla donna, e tutto proviene da Dio». In 2Cor 11,3, inoltre, aveva fatto riferimento proprio al peccato di Eva: «E temo che, come il serpente nella sua malizia ha ingannato Eva, così i vostri pensieri vengano traviati dalla semplicità e dalla purezza che c’è in Cristo». D’altronde, in 1Tm 1,4 l’autore aveva già contrastato «miti e genealogie» che potevano coinvolgere un uso strumentale della Genesi nelle contese dottrinali tra uomini. Analogamente, è assai probabile che l’argomento di 2,13-14 miri a confutare argomentazioni artificiose sui primi capitoli biblici, questa volta di matrice femminile.


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Indirizzo e saluto 1Paolo, apostolo di Cristo Gesù per comando di Dio nostro salvatore e di Cristo Gesù nostra speranza, 2a Timòteo, vero figlio mio nella fede: grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro.

I falsi insegnamenti 3Partendo per la Macedonia, ti raccomandai di rimanere a Èfeso perché tu ordinassi a taluni di non insegnare dottrine diverse 4e di non aderire a favole e a genealogie interminabili, le quali sono più adatte a vane discussioni che non al disegno di Dio, che si attua nella fede. 5Lo scopo del comando è però la carità, che nasce da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera. 6Deviando da questa linea, alcuni si sono perduti in discorsi senza senso, 7pretendendo di essere dottori della Legge, mentre non capiscono né quello che dicono né ciò di cui sono tanto sicuri.

Il vero ruolo della Legge 8Noi sappiamo che la Legge è buona, purché se ne faccia un uso legittimo, 9nella convinzione che la Legge non è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per i sacrìleghi e i profanatori, per i parricidi e i matricidi, per gli assassini, 10i fornicatori, i sodomiti, i mercanti di uomini, i bugiardi, gli spergiuri e per ogni altra cosa contraria alla sana dottrina, 11secondo il vangelo della gloria del beato Dio, che mi è stato affidato.

La vicenda personale di Paolo 12Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, 13che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, 14e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù. 15Questa parola è degna di fede e di essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. 16Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna. 17Al Re dei secoli, incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

Il rinnovamento del ministero di Timoteo 18Questo è l’ordine che ti do, figlio mio Timòteo, in accordo con le profezie già fatte su di te, perché, fondato su di esse, tu combatta la buona battaglia, 19conservando la fede e una buona coscienza. Alcuni, infatti, avendola rinnegata, hanno fatto naufragio nella fede; 20tra questi Imeneo e Alessandro, che ho consegnato a Satana, perché imparino a non bestemmiare.

Approfondimenti

(cf LETTERE A TIMOTEO – Introduzione, traduzione e commento a cura di CARMELO PELLEGRINO © EDIZIONI SAN PAOLO, 2011)

Le lettere “Pastorali” Le due lettere a Timoteo e la lettera a Tito sono definite «Pasto­rali» perché comunicano direttive per l’organizzazione e la con­ dotta delle comunità cristiane. Dal XVIII secolo è invalso l’uso di nominarle così e di considerarle insieme, soprattutto in forza delle profonde analogie di stile, dottrina, condizioni di tempo e di luogo, nonché di linguaggio e teologia.

Timoteo Le tre lettere Pastorali hanno un destinatario individuale; a ecce­zione di Filemone e 3 Giovanni, tutte le altre lettere del Nuovo Te­stamento presentano un destinatario collettivo. Il nome «Timoteo» significa «colui che onora Dio». Dalle pagine del Nuovo Testamento è possibile tracciare un profilo biografico di questo prezioso colla­boratore di Paolo. Nasce a Listra, a circa 200 km a nord-ovest di Tarso, città d’origine dell’Apostolo, da padre pagano e madre ebrea (At 16,1); di essa, in 2Tm 1,5 si dà il nome, Eunice, unitamente a quello di Loide, nonna di Timoteo, donne di cui l’autore loda la «fe­de sincera». Benché ebrea, la madre di Timoteo non doveva essere osservante: infatti, non aveva fatto circoncidere il figlio alla nascita. Doveva però aver aderito alla fede cristiana, dal momento che At 16,1 la definisce «credente», mentre attribuisce al figlio la qualifica di «discepolo». Timoteo, quindi, non apprende il cristianesimo da Paolo ma nell’alveo della propria famiglia. Il fatto che l’Apostolo lo definisca spesso «figlio», sia nelle lettere indiscusse che nelle altre, non dovrebbe coinvolgere la sua paternità nella fede, ma ve­rosimilmente riguarda la sua generazione al ministero. Secondo gli Atti, Paolo, passando da Listra insieme a Sila all’inizio del secondo viaggio missionario (intorno al 49 d.C.), fa circoncidere questo gio­vane «a causa dei Giudei che si trovavano in quelle regioni», dal momento che «tutti sapevano che suo padre era greco» (At 16,3). In quella circostanza, lo aggrega a sé come collaboratore, avviando le imprese missionarie durante le quali vengono raggiunte Troade, Filippi, Berea, Tessalonica, Atene, Corinto, Efeso. L’Apostolo gli assegna praticamente il ruolo di suo vicario in importanti missioni: da Corinto lo invia a Tessalonica (1Ts 3,1-2); da Efeso lo manda in Macedonia (At 19,22) e a Corinto ( 1Cor 4,17); da Corinto, Timoteo parte verso Troade per attendere Paolo che vi sarebbe passato al termine del terzo viaggio missionario, diretto a Gerusalemme (At 20,24). In Eb 13,23 si riferisce una carcerazione di Timoteo e il successivo rilascio. Egli è anche co-mittente di ben sei epistole pao­line (2 Corinzi, Filippesi, Colossesi, 1-2 Tessalonicesi, Filemone); il fatto poi che la tradizione abbia conservato due lettere indirizzate personalmente a lui dall’Apostolo indica che questi lo teneva in grandissima considerazione anche come pastore. Eusebio di Cesarea lo citerà come primo episcopo di Efeso (Storia della Chiesa 3,4), dove sarebbe morto martire intorno al 97, sotto l’imperatore Nerva. Le sue reliquie sono venerate nella cattedrale di Termoli.

I falsi insegnamenti Con il v. 3 si entra nel corpo della lettera. Diversamente dagli scritti paolini indiscussi, non troviamo a questo punto il tipico ringraziamento ma una rapida evocazione dell’incarico affidato a Timoteo a Efeso, finalizzato a impedire inse­gnamenti diversi e, in ultima analisi, a ristabilire la carità. Il fatto di rimanere a Efeso, per Timoteo, è legato alla respon­sabilità di guida della comunità, espletata anzitutto attraverso l’opposizione alle insorgenti eresie. Il primo compito di Timoteo è quello negativo di impedire i falsi insegnamenti: non dovranno essere proferiti e non si dovrà dare loro retta. Il contesto polemico sembra richiamare le intrusioni dei giudaizzanti combattute nella lettera ai Galati, pur senza espliciti riferimenti alla questione centrale di quella lettera (la circoncisione). Gli insegnamenti diversi sono infatti caratterizzati da un approccio speculativo ai libri sacri d’Israele sfruttati come fonti di «miti e genealogie»: questi plurali dispregiativi indicano la natura fallace delle dottrine trasmesse (v. 4). L’ordine che Timoteo deve rivolgere ai falsi maestri ha come unico «fine» la carità. Esso viene specificato attraverso le diverse qualità elen­cate nel v. 5. Dopo aver illustrato positivamente le qualità della carità cristiana, l’autore passa al negativo, descrivendo l’apostasia di coloro che le hanno rigettate. La motivazione che anima il comportamento degli eretici è quella di ritenersi «dottori della Legge». La loro pretesa, cioè quella di insegnare le prescrizioni dell’AT, è buona, ma è seccamente contraddetta dalla condotta incoe­rente e dalla loro totale ignoranza, espressa in modo enfatico dal doppio negativo che dà luogo a una sorta di progressione: essi non capiscono «né quello che dicono né ciò di cui sono tanto sicuri».

Il vero ruolo della Legge Nel v. 8 l’autore fornisce la sua comprensione della Legge dell’AT. Per farlo, evoca affermazioni paoline (Rm 7,12.16), precedute da due formule che introdu­cono tradizioni didattiche ormai note. L’insegnamento di Paolo è quindi già considerato patrimonio comune. Implicitamente, l’autore sta dichiarando che la distanza dalla tradizione apostolica paolina discredita di fatto i falsi insegnamenti degli eretici. La Legge è considerata «buona» perché è capace di condurre a risultati positivi dal punto di vista etico; il problema è piuttosto l’applicazione che se ne fa. Infatti, la Legge, avendo come finalità la condanna dell’ingiusto, toma utile se la si usa in modo appropriato, cioè se viene utilizzata per regolare la vita dei malvagi e non, come fanno gli eretici, per ricavarne dottrine fantasiose (1,4) e produrre regole ascetiche fuorvianti (4,3). La lista di vizi (vv. 9-10), oltre che richiamare le trasgressioni legali dell’AT, sembra presentare un vero e proprio codice criminale. I dieci peccati della lista presentano una generica correlazione con le trasgressioni del Decalogo (Es 20): i primi quattro vizi rispecchiano le violazioni dell’onore da rendere a Dio, condannate dai primi comandamenti del Decalogo. Gli altri sei vizi corrispondono in maniera quasi pun­tuale alle restanti prescrizioni del Decalogo, a partire dal confronto con il quarto comandamento: il disonore procurato ai genitori, la soppressione della vita altrui, la fornicazione e il peccato di sodomia, il furto di esseri umani che si perpetra nel traffico di schiavi, la menzogna. Non compare il riferimento conclusivo al peccato di cupidigia, ma sono attestati i disordini sessuali, rappresentati nei primi due termini del v. 10, peraltro piuttosto frequenti nella cultura classica. Nell’antichità greca la pederastia era praticata con fini non primariamente sessuali ma pedagogici, tuttavia, soprattutto nel mondo romano, la si giudicava spesso come l’inizio dell’immoralità. In ambito giudaico questa pratica era invece inesorabilmente bollata come «abominio» (Lv 18,22), al punto da far meritare persino la condanna a morte (Lv 20,13; cfr. anche Gen 19; Gdc 19,23).

Come avviene praticamente sempre nelle lettere Pastorali, si precisa che quello annunciato dall'apostolo, oltre a essere il Vangelo di Dio, è anche il Vangelo di Paolo perché gli è stato affidato, secondo quanto notificato già in 1Cor 1,17; 9,17; Gal 2,7. Nel nostro contesto, l’accento non poggia sull’incarico missionario di Paolo, bensì sulla responsabilità a lui assegnata di custodire fedelmente il Vangelo a fronte dei dilaganti errori. L’espressione introduce così un riferimento personale alla vicenda dell’Apostolo che fa da ponte per la successiva sezione.

La vicenda personale di Paolo Paolo si riferisce alla sua fase pre-cristiana con termini nettamente negativi: oltre che un persecutore, egli è stato anche un bestemmiatore, un violento, il primo dei peccatori. Tutto ciò al fine di evidenziare, ben due volte, la misericordia ottenuta. Scegliendo Paolo, Cristo aveva proletticamente visto che quest’uomo avrebbe potuto rispondere in maniera fedele; il contesto induce a riferire questa fedeltà al «sano» insegnamento avversato dai falsi maestri. L’efficacia della sua missione era pre-vista dal Signore Gesù, per cui egli può conoscere qualcuno come potenzialmente affidabile e destinarlo per il ministero. Questa capacità di scrutare l’avvenire appartiene a Dio e conferma la tendenza delle Pastorali a riconoscere a Cristo attributi divini. Alla condotta disdicevole del Paolo pre-cristiano, Dio ha risposto usandogli «misericordia»: per motivare tale sconcertante iniziativa, poco congruente rispetto a una logica rigidamente retributiva, l’autore ricorre al tema del peccato involontario, commesso per ignoranza della volontà di Dio; in tal modo, riesce ad accentuare ancora una volta il contrasto con i falsi maestri, i quali, invece, dovrebbero conoscere bene il volere di Dio, eppure deviano deli­beratamente rigettando la fede (1,19; 2Tm 2,17-18). Nel v. 14 il soggetto diventa la «grazia del Signore nostro». L’autore può de­scrivere nel dettaglio l’esperienza della misericordia, a partire dal verbo in forma superlativa, inusuale nella lingua standard ma tipica nell’incedere di Paolo, so­vente incline a forzare il linguaggio pur di esprimere la straordinarietà dell’azione di Dio in Cristo. L’espressione: «questa parola è degna di fede» toma ripetutamente nelle Pastorali. Si tratta di una formula tradizionale che introduce con solennità un insegnamento ufficiale. In 1,15 e in 4,9 essa è raffor­zata da una qualifica di alto credito: «(è degna) di essere accolta da tutti», cioè pienamente e universalmente. La verità che merita tale accoglienza è l’annuncio della salvezza realizzata da Cristo. L’azione salvifica di Cristo reca beneficio ai peccatori, tra i quali l’autore dichiara di essere «il primo». Questa attribuzione è in linea con la personalità auto-affermativa di Paolo. Se nel v. 13 il riferimento alla «misericordia» evocava il passato peccami­ noso dell’Apostolo, nel v. 16 lo sguardo è proiettato verso il futuro, allo scopo ultimo di questa iniziativa di benevolenza espressa dal passivo divino: offrire un esempio a coloro che d’ora innanzi si sarebbero accostati a Cristo con fede al fine di avere la vita eterna. Sia la «misericordia» che la «magnanimità» sono declinazioni dell’amore di Cristo e ricorrono nell’epistolario paolino con aggettivi che ne evidenziano la straordinaria grandezza e la sua dimostrazione compiuta da Dio. Il passaggio si chiude con una dossologia che svela Dio come ultimo artefice di quanto avvenuto nella storia della salvezza e nell’espe­rienza personale di Paolo. La connotazione fortemente cristocentrica dell’intero brano viene così bilanciata in senso teologico.

Il rinnovamento del ministero di Timoteo Questi versetti conclusivi del c. 1 si agganciano all’incarico già evocato in 1,3- 5, prima che l’autore si soffermasse sulle devianze eretiche e l’uso della Legge (1,6-11) oltre che sulla sua personale esperienza (1,12-17). Si tratta di una rac­comandazione al discepolo; analoghe esortazioni, spesso conclusive di sezioni dottrinali, sono frequenti nelle Pastorali.

Diversamente dalle altre lettere paoline, nel v. 20 si citano nomi di oppositori. Le altre lettere però sono destinate a intere comunità; la lettura assembleare poteva suggerire il silenzio sull’identità dei rivali, mentre il carattere privato delle Pastorali, destinate a singoli collaboratori, ben si combina con la men­zione confidenziale degli avversari. L’autore si è già riferito a loro mantenendo il riserbo: si tratta di «alcuni» (1,3.6.19) che hanno deviato dalla sana dottrina. Ora, pescandoli dal mucchio, ne nomina due: Imeneo e Alessandro. Non c’è motivo valido per ritenere che siano nomi fittizi: l’autore li cita come esempi di apostasia, il suo avvertimento ha maggior effetto se si tratta di casi ben conosciuti. Pertanto, tale riferimento non è una mera digressione: il naufragio dottrinale di personaggi noti e forse ancora influenti sta a significare proprio la pertinenza della raccomandazione apostolica. Nel contesto del c. 1, pieno di riferimenti agli errori dei «dottori della Legge» (1,6-7), la loro menzione induce a ritenere che si tratti di due ministri. Il verdetto che viene comunicato su di loro è molto severo: Paolo li ha conse­gnati a Satana, come è avvenuto con l’incestuoso di 1Cor 5,5. Per entrambi i brani, l’enfasi dell’autore poggia sull’autorità apostolica, ma, mentre in 1 Corinzi si tratta di un procedimento ecclesiale che vede la partecipazione a distanza dell’Apostolo («assente nel corpo ma presente nello spirito», 1Cor 5,3), in 1Tm 1,20 è il solo Paolo a infliggere la pena. Tuttavia, anche nel nostro versetto il verbo «consegna­re» al passato evoca un fatto storico in cui tutta la comunità può essere stata coinvolta. L’uso di questo verbo richiama la vicenda di Giobbe che Dio consegna a Satana (Gb 2,6). Ma mentre lì si trattava di un giusto messo alla prova dal Signore attraverso una concessione a Satana, qui abbiamo a che fare con una misura disciplinare su due colpevoli. Lo scopo è pedagogico: «perché imparino a non bestemmiare più»; nelle altre due occorrenze delle Pastorali (2Tm 2,25; Tt 2,12-13) questo verbo ha sempre a che fare con la conversione di chi deve imparare e con la sua salvezza. Anche nel v. 20, quindi, lo scopo è la purificazione dal peccato in vista della salvezza. Ciò che colpisce è che qui, come anche in 1Cor 5,5, Satana, cioè il nemico di Dio, viene visto addirittura come agente dell’azione correttiva del Signore, il quale mantiene il controllo assoluto della situazione. La rivelazione biblica non è di indole dualistica: le forze del male non sono divinità contrapposte al Dio d’Israele; anzi, egli se ne può persino servire per i suoi fini di giustizia e salvezza.


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Richiesta di preghiere 1Per il resto, fratelli, pregate per noi, perché la parola del Signore corra e sia glorificata, come lo è anche tra voi, 2e veniamo liberati dagli uomini corrotti e malvagi. La fede infatti non è di tutti. 3Ma il Signore è fedele: egli vi confermerà e vi custodirà dal Maligno.

Dichiarazione di fiducia 4Riguardo a voi, abbiamo questa fiducia nel Signore: che quanto noi vi ordiniamo già lo facciate e continuerete a farlo. 5Il Signore guidi i vostri cuori all’amore di Dio e alla pazienza di Cristo.

Una comunità ordinata e solidale 6Fratelli, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, vi raccomandiamo di tenervi lontani da ogni fratello che conduce una vita disordinata, non secondo l’insegnamento che vi è stato trasmesso da noi. 7Sapete in che modo dovete prenderci a modello: noi infatti non siamo rimasti oziosi in mezzo a voi, 8né abbiamo mangiato gratuitamente il pane di alcuno, ma abbiamo lavorato duramente, notte e giorno, per non essere di peso ad alcuno di voi. 9Non che non ne avessimo diritto, ma per darci a voi come modello da imitare. 10E infatti quando eravamo presso di voi, vi abbiamo sempre dato questa regola: chi non vuole lavorare, neppure mangi. 11Sentiamo infatti che alcuni fra voi vivono una vita disordinata, senza fare nulla e sempre in agitazione. 12A questi tali, esortandoli nel Signore Gesù Cristo, ordiniamo di guadagnarsi il pane lavorando con tranquillità. 13Ma voi, fratelli, non stancatevi di fare il bene. 14Se qualcuno non obbedisce a quanto diciamo in questa lettera, prendete nota di lui e interrompete i rapporti, perché si vergogni; 15non trattatelo però come un nemico, ma ammonitelo come un fratello.

Epilogo 16Il Signore della pace vi dia la pace sempre e in ogni modo. Il Signore sia con tutti voi. 17Il saluto è di mia mano, di Paolo. Questo è il segno autografo di ogni mia lettera; io scrivo così. 18La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi.

Approfondimenti

(cf 1-2 TESSALONICESI – nuova versione, introduzione e commento di RINALDO FABRIS © FIGLIE DI SAN PAOLO, 2014)

Richiesta di preghiere Dalla preghiera-auspicio per i tessalonicesi si passa alla richiesta di pregare per i mittenti della lettera, perché la loro missione di proclamatori della parola del Signore abbia successo, superando gli ostacoli degli avversari della fe­de (2Ts 3,1-2). Con una breve dichiarazione si riprende il tema della fedeltà del Signore, che confermerà i credenti sottraendoli all'azione del maligno (2Ts 3,3). Al Signore Gesù Cristo è attribuito il ruolo di confermare e proteggere la co­munità dei fedeli dagli assalti del «maligno».

Dichiarazione di fiducia L'appello alla preghiera per la diffusione e l'accoglienza della parola del Signore si chiude con una dichiarazione di fiducia nei confronti dei destinatari e una preghiera-auspicio per la loro fede e perseveranza. La dichiarazione di fiducia è anche un tacito invito a perseverare nell'impegno che giustifica la fiducia di chi detta la lettera. Il fondamento ultimo della fiducia nei rapporti fra i credenti è la relazione vitale con il Signore, espressa con una formula paolina: «nel Signore».

Rispetto al brano precedente dagli accenti tipici del genere apocalittico, l'unità letteraria di 2Ts 2,13-3,5 è percorsa dai toni caldi della preghiera e dell'esortazio­ne. Il tema dell'amore è presente in tutto il brano e il motivo del rendimento di grazie è l'amore del Signore verso i fratelli. Il fondamento della consolazione eterna e dell'attesa di una buona speranza è l'amore di Dio Padre. Nella preghiera conclusiva si chiede che il Signore guidi i cuori dei credenti all'amore di Dio. Al­ l'amore che viene da Dio e si attua nell'elezione e nella chiamata, quelli che hanno accolto il vangelo rispondono con l'amore verso Dio. L'elezione da parte di Dio avviene nella santificazione dello Spirito, che sigilla l'adesione di fede alla verità del vangelo. In tal modo, la preghiera di ringraziamento assume un ritmo trinitario. Nel clima di preghiera riconoscente e fiduciosa si traccia l'intero percorso dell'esperienza di fede: dall'elezione al possesso della gloria. Il punto di partenza è la chiamata mediante l'annunzio del vangelo da parte dei predicatori della parola del Signore. Tra la chiamata iniziale, nella quale si manifesta l'elezione del Signore, e la salvezza finale o gloria si attua l'impegno dei fedeli in ogni opera e parola buona. Il loro stile di vita è caratterizzato dalla perseveranza che ha in Cristo il suo punto di riferimento. Quelli che hanno accolto il vangelo tengono saldamente le tradizioni date, sia a voce sia per iscritto, dai predicatori. Essi possono contare sulla fedeltà del Signore, che li conferma e li custodisce dal maligno. Con la loro pre­ghiera, i fedeli che hanno accolto la parola del Signore partecipano alla sua corsa trionfale, chiedendo che i predicatori del vangelo siano liberati dagli uomini corrot­ti e malvagi. In questo brano di transizione si intravedono lo statuto teologico di una comunità credente e il suo stile di vita contraddistinto dalla perseveranza.

Una comunità ordinata e solidale L'ultima parte della 2Tessalonicesi è costituita da una serie di esortazioni e disposizioni data dal­l'autore, che scrive a nome di Paolo, per far fronte al rischio di disordine e confu­sione provocati da alcuni cristiani della comunità locale, che rifiutano di mante­nersi con il proprio lavoro (2Ts 3,6-15). Questa sezione conclusiva della lettera è contrassegnata dalle disposizioni ed esortazioni riguardanti il caso di chi si comporta in modo disordinato, rifiutan­do di lavorare per guadagnarsi da vivere. I mittenti intervengono in modo autorevole e deciso, dando disposizioni di carattere pratico e disciplinare. Questi tali devono essere isolati, perché non si attengono alla «tradizione» ricevuta dai predicatori del vangelo, che, con il loro esempio, hanno dato loro questa norma: «Chi non vuole lavorare, neppure man­gi» (2Ts 3,10b). Mentre tutta la comunità non deve desistere dal fare il bene, nei confronti del gruppo degli «irregolari» si stabilisce che se un membro della co­munità non accetta le disposizioni riguardanti il lavoro per guadagnarsi da vivere, va segnalato, messo al bando, interrompendo con lui ogni rapporto; tuttavia deve essere trattato come un «fratello», membro della comunità, non come un estra­neo o nemico (2Ts 3,13-15). Nella ricostruzione di carattere socioculturale si cerca di spiegare il fenome­no del rifiuto di lavorare da parte di alcuni cristiani di Tessalonica e il conseguente parassitismo comunitario, facendoli risalire sia alla disistima per il lavoro manuale diffusa nell'ambiente greco-romano, sia allo sfruttamento, da parte di alcuni cri­stiani poveri, del sistema di patronato-clientela presente nella società romana. Nelle disposizioni e norme date per disciplinare il caso dei cristiani «irregolari» a Tessalonica non vi sono elementi decisivi e sicuri per ricostruire il fenomeno nelle sue motivazioni socioculturali e nel suo sviluppo storico. Nell'ipotesi della pseu­depigrafia non si può escludere che si tratti di una situazione fittizia, che serve all'autore per presentare e attualizzare il messaggio di Paolo sul tema del lavoro ordinato e responsabile nella comunità cristiana. In conclusione, nell'ultima parte della lettera l'autore, sia con gli interventi autoritativi sia con le istruzioni e le esortazioni, vuole promuovere e consolidare la scelta di lavorare in modo responsabile, in un clima di comunità fraterna, ordinata e solidale.

Epilogo Dopo una serie di istruzioni e disposizioni sugli «irregolari», la lettera si avvia alla conclusione con un'invocazione al «Signore della pace», con il saluto autografo di Paolo e la formula di congedo: «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con tutti voi» (2Ts 3,16-18). L'espressione «di mia mano» è una specie di firma, con la quale si autentica e si dà legittimità allo scritto epistolare (cfr. Fm v. 19). All'autore della 2Tessalonicesi l'uso del formulario tradizionale paolino non basta. Egli richiama l'attenzione su questo marchio di autenticità, che contrassegna ogni lettera scritta da Paolo. Questa riven­dicazione troppo insistente sull'autenticità della 2Tessalonicesi la rende sospetta!

Le istruzioni e disposizioni autorevoli della parte finale della 2Tessalonicesi sono riassunte in modo icastico nella regola attribuita a Paolo: «Chi non vuole lavorare, neppure mangi». Non si tratta di un principio astratto, ma di una norma ben precisa, data dai predicatori del vangelo a Tessalonica, per contrastare il grup­po degli sfaccendati, che si rifiutano di lavorare per mantenersi. Non si dice qual è la ragione di questo comportamento che crea disordine e confusione nella comuni­tà. Invece, si richiama la tradizione autorevole trasmessa non a parole, ma con l'esempio. Infatti. Paolo e i suoi collaboratori, durante la loro permanenza a Tessa­lonica per annunziare il vangelo, hanno lavorato duramente per non farsi man­ tenere dalla comunità cristiana locale. Con la regola del lavoro si raccomanda un modello di comunità cristiana ordi­nata e solidale. Il disordine non deriva solo dal parassitismo di quelli che non vo­gliono lavorare, pretendendo di farsi mantenere dalla comunità. Questi sfaccendati creano confusione e contrasti nella comunità perché sono dei ficcanaso, che si in­tromettono nelle faccende altrui. L'autore della lettera, che scrive a nome di Paolo, propone uno stile di vita apprezzato anche negli ambienti profani: vivere in modo tranquillo, guadagnandosi da vivere con il proprio lavoro. Su questo sfondo si com­prende la norma disciplinare, che prevede l'esclusione dalla comunità di chi si ri­fiuta di mantenersi con il proprio lavoro. Si tratta di un'esclusione temporanea con lo scopo di favorire il ravvedimento del fratello che vive in modo disordinato.

Nell'epilogo della 2Tessalonicesi, a parte la preoccupazione di affermarne l'autenticità paolina, il messaggio si concentra attorno a due termini, che rimanda­no all'intestazione iniziale: la pace e la grazia. La pace, piena e permanente, è un dono invocato dal Signore nella preghiera. Anche la grazia proviene dal Signore, riconosciuto e invocato con un formulario di matrice liturgica: «Il Signore nostro Gesù Cristo». La lettera si chiude con una formula di benedizione-congedo, che riecheggia quella dell'assemblea cristiana.


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La venuta del Signore 1Riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e al nostro radunarci con lui, vi preghiamo, fratelli, 2di non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia già presente. 3Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti verrà l’apostasia e si rivelerà l’uomo dell’iniquità, il figlio della perdizione, 4l’avversario, colui che s’innalza sopra ogni essere chiamato e adorato come Dio, fino a insediarsi nel tempio di Dio, pretendendo di essere Dio. 5Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, io vi dicevo queste cose? 6E ora voi sapete che cosa lo trattiene perché non si manifesti se non nel suo tempo. 7Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo colui che finora lo trattiene. 8Allora l’empio sarà rivelato e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà con lo splendore della sua venuta. 9La venuta dell’empio avverrà nella potenza di Satana, con ogni specie di miracoli e segni e prodigi menzogneri 10e con tutte le seduzioni dell’iniquità, a danno di quelli che vanno in rovina perché non accolsero l’amore della verità per essere salvati. 11Dio perciò manda loro una forza di seduzione, perché essi credano alla menzogna 12e siano condannati tutti quelli che, invece di credere alla verità, si sono compiaciuti nell’iniquità.

Pre­ghiera di ringraziamento e invito alla perseveranza 13Noi però dobbiamo sempre rendere grazie a Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza, per mezzo dello Spirito santificatore e della fede nella verità. 14A questo egli vi ha chiamati mediante il nostro Vangelo, per entrare in possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo. 15Perciò, fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete appreso sia dalla nostra parola sia dalla nostra lettera. 16E lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio, Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, 17conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene

Approfondimenti

(cf 1-2 TESSALONICESI – nuova versione, introduzione e commento di RINALDO FABRIS © FIGLIE DI SAN PAOLO, 2014)

La venuta del Signore Il secondo capitolo della lettera si apre con una messa in guardia nei confronti di quelli che turbano la comunità cristiana, dicendo che il giorno del Signore è già arrivato. Contro questi fautori di allarmismi apocalittici, l'autore – che s'identifica con Paolo – ricorda le istruzioni già date ai tessalonicesi nella sua permanenza in mezzo a loro. Si tratta delle condizioni che precedono la «rivelazione» dell'iniqui­tà e la parousía del Signore Gesù: l'apostasia e la rivelazione dell'uomo iniquo. Per incoraggiare i fedeli e per sostenere la loro perseveranza presenta il destino degli infedeli, di quelli che non amano la verità. Invece, nella preghiera di ringraziamen­to e d'invocazione per i fedeli traccia il destino positivo dei fedeli che Dio ha scelto come primizia per la salvezza.

L'unità di 2Ts 2,1-12 si presenta come una «piccola apocalisse», prendendo lo spunto dall'intervento dell'autore, che intende precisare tempi, modi e segni del «giorno del Signore», connesso con la parousía del Signore Gesù Cristo e la «riu­nione dei fedeli» presso di lui.

La disposizione antitetica dei protagonisti e quella delle rispettive azioni per­ corrono l'intera composizione apocalittica. Al «Signore Gesù Cristo» e a «Dio» si contrappone l'uomo dell'iniquità o l'iniquo, «la cui venuta è secondo la forza del satana, con ogni potenza, e segni e prodigi di menzogna e con ogni sedu­zione d'ingiustizia, per quelli che si perdono» (2Ts 2,9-10). «Quelli che si perdo­no», associati al destino del «figlio della perdizione», non han­no accolto «l'amore della verità per salvarsi» (2Ts 2,10). Dio conferma e sigilla la loro scelta, mandando loro una forza d'inganno. Perciò, invece di credere alla verità credono alla menzogna, e al posto della verità aderiscono all'in­giustizia. L'esito finale è il giudizio di condanna, antitetico alla salvezza (2Ts 2,1 1).

Il tema, affrontato dai mittenti della lettera, è indicato con la duplice espressione: la parousía del Signore nostro Gesù Cristo e la nostra riunione presso di lui (2Ts 2,1). Il motivo imme­diato dell'intervento è la situazione critica dei «fratelli», definita mediante due verbi che indicano sconvolgimento nel modo di pensare e agitazione. Si suppone che i destinatari siano sconvolti e agitati, perché si è sparsa la voce, accreditata da qualche personaggio carismatico o predicatore, o da una lettera di origine paolina, che il «giorno del Signore» è già arrivato. La presa di posizione sui «tempi» della venuta del giorno del Signore è preceduta da un invito perentorio che mette fuori gioco ogni allarmismo: «Nessuno v'inganni in alcun modo!» (2Ts 2,3). L'autore, che si presenta come Paolo, in prima persona riprende il dialogo epistolare subito dopo la prima precisazione circa i segni che devono precedere la venuta del Signore. Egli invita a ricordare le istruzioni date a viva voce, durante la sua permanenza a Tessalonica (2Ts 2,5). La seconda istruzione sui tempi della venuta del Signore agisce proprio su quello che i destinatari già sanno circa lo svolgimento del dram­ma apocalittico.

L'aspetto nuovo e originale di 2Ts 2,1-12 è la preminenza data al qua­dro apocalittico, con lo scopo di riportare la calma in una comunità sconvolta e agitata da una falsa interpretazione o da comunicazioni distorte circa il tempo della parousía, della venuta o del giorno del Signore. Chi scrive non intende dare informazioni chiare e precise sul «tempo» e sui «segni» della venuta del Signore. Il suo discorso sull'apostasia e sulla rivelazione dell'uomo dell'iniquità o iniquo è molto vago e criptico, per non parlare dell'enigmatica entità di «ciò che trattie­ne» o di «colui che trattiene» la sua rivelazione. Lo stile è appesantito dall'accu­mulo di sinonimi ed espressioni simmetriche, dai periodi sospesi – due anacoluti (2Ts 2,4.7) – e dalla sintassi contorta e imprevedibile.

L'organizzazione del testo obbedisce al criterio di una comunicazione efficace, più che all'intenzione di tracciare una cronologia del dramma apocalittico. L'autore ricorre alla figura retorica del confronto tra rivelazione-parousía del­l'uomo d'iniquità o dell'iniquo (dietro il quale si profila l'azione del satana) e quella del Signore, per mettere in guardia i lettori in crisi a motivo del loro stato di persecuzione e dell'allarmismo diffuso da alcuni sul giorno del Signore che sa­rebbe già venuto. Si può concludere che l'autore di 2Tessalonicesi intende confortare e sostenere l'impegno dei fedeli, facendo ricorso al linguaggio e alle immagini della tradizione apocalittica, già presenti nella 1Tes­salonicesi (1Ts 4,13 – 5,1 1).

Pre­ghiera di ringraziamento e invito alla perseveranza Dopo la «piccola apocalisse» di 2Ts 2,1-12, il dialogo epistolario riprende con un nuovo ringraziamento a Dio per l'elezione e la chiamata alla salvezza me­diante il vangelo e prosegue con l'esortazione a tenere saldamente le istruzioni ricevute . A questo invito segue la preghiera perché il Signore doni una consolazione eterna e una buona speranza a quelli che egli confermerà nel loro impegno attivo.

Con l'annuncio della preghiera di ringraziamento a Dio se ne espli­cita anche la motivazione: l'elezione dei tessalonicesi per la salvezza e la loro chia­mata al possesso della gloria del Signore Gesù Cristo. Lo scopo ed esito della chiamata è indicato con un formulario di matrice biblico-liturgica: «Per il possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo» (2Ts 2,14b). La «gloria», qualità che appartiene a Dio, è attribuita a Gesù Cristo «nostro Signore». Con questa professione di fede litur­gica, la «gloria» viene assicurata a quelli che sono chiamati assume una connotazione cristologica.

Come conseguenza di ciò che si è appena detto sull'elezione e sulla chiamata di Dio, si invitano i tessalonicesi a tenere saldamente le tradizioni trasmes­se loro sia a viva voce sia per iscritto. In una preghiera-auspicio, con implicita funzione esortativa, si mette in risalto l'iniziativa di Dio, il Padre, che si rivela e attua per mezzo di Gesù Cristo Signore. Dall'esperienza dei doni di Dio Padre, che stanno alla base della speranza, lo sguardo si volge alla vita presente dei fedeli, impegnati nella perseve­ranza attiva. Lo stile della preghiera risente della tradizione liturgica.

La preghiera, rivolta al «Signore nostro Gesù Cristo» e a «Dio, Padre no­stro» si chiude con la formulazione della richiesta: «Conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene» (2Ts 2,17). Il verbo “consolare”, tradotto con «confortare», si riaggancia al sostantivo “consolazione”, dono di Dio Padre (2Ts 2,16b). L'obiettivo della preghiera rivolta al Signore Gesù Cristo e a Dio Padre, perché consoli i fedeli nel loro intimo «i vostri cuo­ri», è di confermarli nell'impegno che abbraccia ogni ambito della loro vita: «In ogni opera e parola di bene».


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Intestazione 1Paolo e Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre nostro e nel Signore Gesù Cristo: 2a voi, grazia e pace da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo.

Ringraziamento e preghiera 3Dobbiamo sempre rendere grazie a Dio per voi, fratelli, come è giusto, perché la vostra fede fa grandi progressi e l’amore di ciascuno di voi verso gli altri va crescendo. 4Così noi possiamo gloriarci di voi nelle Chiese di Dio, per la vostra perseveranza e la vostra fede in tutte le vostre persecuzioni e tribolazioni che sopportate. 5È questo un segno del giusto giudizio di Dio, perché siate fatti degni del regno di Dio, per il quale appunto soffrite. 6È proprio della giustizia di Dio ricambiare con afflizioni coloro che vi affliggono 7e a voi, che siete afflitti, dare sollievo insieme a noi, quando si manifesterà il Signore Gesù dal cielo, insieme agli angeli della sua potenza, con 8fuoco ardente, per punire quelli che non riconoscono Dio e quelli che non obbediscono al vangelo del Signore nostro Gesù. 9Essi saranno castigati con una rovina eterna, lontano dal volto del Signore e dalla sua gloriosa potenza. 10In quel giorno, egli verrà per essere glorificato nei suoi santi ed essere riconosciuto mirabile da tutti quelli che avranno creduto, perché è stata accolta la nostra testimonianza in mezzo a voi. 11Per questo preghiamo continuamente per voi, perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e, con la sua potenza, porti a compimento ogni proposito di bene e l’opera della vostra fede, 12perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi, e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo.

Approfondimenti

(cf 1-2 TESSALONICESI – nuova versione, introduzione e commento di RINALDO FABRIS © FIGLIE DI SAN PAOLO, 2014)

Dopo l'intestazione, ricalcata su quella della 1Tessalonicesi, in un ampio esordio, che comprende il rendimento di grazie e una preghiera per i destinatari si presenta la situazione critica della comunità cristiana di Tessalonica, esposta a persecuzioni e tribolazioni. Tuttavia l'autore non solo rende grazie a Dio per la fede rigogliosa e l'amore reciproco dei fratelli, ma è fiero della loro perseveranza e fedeltà in mezzo a tutte le prove che subiscono. Egli prende lo spunto da questo stato di cose per annunziare il giusto giudizio di Dio che cambierà la sorte dei perseguitati e dei per­secutori. Quelli che sono giudicati degni del regno di Dio, per il quale ora soffrono, troveranno sollievo quando il Signore Gesù si rivelerà dal cielo nella sua gloria co­ me protagonista del giudizio di Dio . Invece i persecutori , che non conoscono Dio e hanno rigettato il vangelo del Signore Gesù, saranno condannati alla rovina eterna. In un quadro antitetico, i ribelli a Dio e refrattari del vangelo sono contrapposti a quanti hanno accolto la testimonianza dei predicatori del vangelo. Alla fine i mit­tenti della lettera pregano perché Dio li renda degni della chiamata, portando a compimento ogni loro progetto di bene, a gloria del Signore Gesù Cristo. Con l'an­titesi tra il diverso destino dei due gruppi – salvezza per i fedeli e rovina per gli in­ fedeli – s'intende esortare e incoraggiare i destinatari della lettera a perseverare nel loro cammino di fede.

Nel testo originale greco la sezione 2Ts 1,3-10 è formata da un solo lungo periodo, senza interpunzioni. Si può tracciare quest'articolazione del testo dell'esordio:

Preghiera di ringraziamento

  • motivazione: crescita della fede e abbondanza dell'amore reciproco (1,3);
  • conseguenza: elogio nelle chiese di Dio della perseveranza e fe­deltà dei tessalonicesi che subiscono persecuzioni e tribolazioni (1,4).

Dio retribuisce secondo giustizia i fedeli tribolati e gli oppres­sori increduli:

  • annunzio del giusto giudizio di Dio, che rende degni del suo regno quanti ne affrontano le sofferenze (1,5);
  • Dio ripaga quelli che provocano la tribolazione e dà sollievo ai tribolati nella rivelazione potente del Signore Gesù dal cie­lo, con i suoi angeli (1,6-8a);
  • il Signore Gesù fa scontare la pena a tutti gli empi e ai ribelli al suo vangelo, condannati alla rovina eterna, esclusi dalla sua gloria e potenza (1,8b-9);
  • «in quel giorno» egli verrà per essere glorificato nei suoi con­ sacrati e accolto con ammirazione da quanti hanno creduto all'annunzio del vangelo (1,10).

Preghiera per i tessalonicesi:

  • perché Dio li renda degni della chiamata (1,11a);
  • porti a compimento ogni desiderio di bene e l'opera di fede (1,11b);
  • perché siano reciprocamente glorificati Gesù Cristo il Signore e i credenti (1,12).

Per la prima volta nella nostra lettera compare il sostantivo apokálypsis (rive­lazione), che richiama la tradizione apocalittica, dove predomina il tema del «giu­dizio di Dio», come risposta ai giusti sottoposti a prove e tribolazioni (2Ts 1,7).


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Figli della luce e del giorno 1Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; 2infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte. 3E quando la gente dirà: «C’è pace e sicurezza!», allora d’improvviso la rovina li colpirà, come le doglie una donna incinta; e non potranno sfuggire. 4Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro. 5Infatti siete tutti figli della luce e figli del giorno; noi non apparteniamo alla notte, né alle tenebre. 6Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri. 7Quelli che dormono, infatti, dormono di notte; e quelli che si ubriacano, di notte si ubriacano. 8Noi invece, che apparteniamo al giorno, siamo sobri, vestiti con la corazza della fede e della carità, e avendo come elmo la speranza della salvezza. 9Dio infatti non ci ha destinati alla sua ira, ma ad ottenere la salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. 10Egli è morto per noi perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui. 11Perciò confortatevi a vicenda e siate di aiuto gli uni agli altri, come già fate.

Vivete in pace fra voi 12Vi preghiamo, fratelli, di avere riguardo per quelli che faticano tra voi, che vi fanno da guida nel Signore e vi ammoniscono; 13trattateli con molto rispetto e amore, a motivo del loro lavoro. Vivete in pace tra voi. 14Vi esortiamo, fratelli: ammonite chi è indisciplinato, fate coraggio a chi è scoraggiato, sostenete chi è debole, siate magnanimi con tutti. 15Badate che nessuno renda male per male ad alcuno, ma cercate sempre il bene tra voi e con tutti. 16Siate sempre lieti, 17pregate ininterrottamente, 18in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. 19Non spegnete lo Spirito, 20non disprezzate le profezie. 21Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. 22Astenetevi da ogni specie di male.

Conclusione 23Il Dio della pace vi santifichi interamente, e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. 24Degno di fede è colui che vi chiama: egli farà tutto questo! 25Fratelli, pregate anche per noi. 26Salutate tutti i fratelli con il bacio santo. 27Vi scongiuro, per il Signore, che questa lettera sia letta a tutti i fratelli. 28La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con voi.

Approfondimenti

(cf 1-2 TESSALONICESI – nuova versione, introduzione e commento di RINALDO FABRIS © FIGLIE DI SAN PAOLO, 2014)

Figli della luce e del giorno Il tema della sezione è annunziato nella frase di apertura: «Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva» (1Ts 5,1). La questione del «tempo» è ripresa con l'espressione «giorno del Signore», la cui venuta è paragonata a quella del ladro notturno (1Ts 5,2). L'im­magine del ladro che viene «nella notte», in contrasto con la luce del giorno, ri­compare nel discorso con il quale si applica questo lessico metaforico alla condi­zione dei destinatari: «Ma voi, fratelli, non siete nelle tenebre, cosicché quel giorno possa sorprendervi come un ladro» (1Ts 5,4). La ripresa dell'appellativo «fratelli» segna il passaggio a una nuova fase del discorso, dopo le dichiarazioni iniziali. I destinatari della lettera, interpellati come «fratelli», sono contrapposti a quelli che dicono: «Pace e sicurezza!», sui quali irrompe all'improvviso la ro­vina – come una donna incinta che è presa dalle doglie – senza possibilità di scam­po (1Ts 5,3). All'immagine della «notte» sono associati sia il «dormire» sia il disordine notturno, caratterizzato dall'abuso del vino (ubriacatura). Su questa simbolica del notturno negativo fa leva l'invito a vegliare e a essere sobri, rivolto a quelli che sono «del giorno». L'invito alla sobrietà sfocia in un'ultima esortazione, ispirata all'equipaggiamento militare – corazza ed elmo –, ed è riferito alle tre dimensioni dell'esistenza cristiana: fede, carità, speranza. Sul tema della speranza, specificata come «speranza di salvezza», si innesta la motivazione, in cui si pone in risalto l'iniziativa di Dio nel processo di salvezza, realizzato «per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo» (1Ts 5,9). Il ruolo mediatore di Gesù Cristo è esplicitato con un riferimento alla sua morte, rimarcandone l'efficacia soteriologica: morto «per noi». Al pronome di prima persona plurale «noi» si salda una dichia­razione nella quale si condensa l'intero discorso di consolazione rivolto ai tessalo­nicesi: «Perché, sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui» (1Ts 5,10). Le due situazioni evocate con il lessico metaforico del «vegliare» e «dormi­re» corrispondono ai due gruppi della sezione precedente: «viventi» e «dormienti» (1Ts 4,15.17). Nella dichiarazione finale si concentrano lo scopo e l'esito dell'inte­ro processo salvifico. Il «vivere insieme con lui» – Gesù Cristo Signore – si con­trappone all'esperienza della morte, come la luce alle tenebre, il giorno alla notte.

Vivete in pace fra voi La lettera si chiude con una serie di istruzioni ed esortazioni riguardanti la vita della comunità, incentrata sulla qualità delle relazioni. Il clima spirituale è caratterizzato dalla gioia, dalla preghiera incessante e dalla ricerca della pace, invocata, alla fine, come dono del «Dio della pace» , che santifica i credenti e li conserva per la parousía del Signore Gesù Cristo (1Ts 5,23). Lo stile di questo finale della lettera alla Chiesa dei tessalonicesi è marcato da una serie di brevi esortazioni e appelli, costruiti con una sequenza telegrafica di ben diciassette imperativi, a partire da 1Ts 5,13c fino a 1Ts 5,22. La serie di inviti, appelli e brevi istruzioni riguardanti i rapporti e lo stile di vita della comunità cristiana, solo due volte è interrotta dalla motivazione che ri­manda alla «volontà di Dio in Cristo Gesù» (1Ts 5 ,1 8b) e dalla preghiera al Dio della pace, che garantisce la completa santificazione e integrità dei fedeli « per la parous(a del Signore nostro Gesù Cristo» (lTs 5,23c). La professione di fede cristologica risuona anche nel saluto-benedizione finale, dove i mittenti auspica­no per i destinatari della lettera «la grazia del Signore nostro Gesù Cristo» (1Ts 5,28). La «grazia», assieme alla «pace», è il dono di Dio, che sta alla base dello stile di vita della comunità cristiana, chiamata a vivere in pace (1Ts 5,13c).

Conclusione La 1Tessa­lonicesi si conclude con una preghiera al «Dio della pace», perché porti a com­pimento e alla sua pienezza il processo di santificazione dei fedeli nella parousia «venuta-incontro» del Signore Gesù Cristo. La formulazione della preghiera finale ricalca quella con la quale si chiude la sezione del dialogo epistolare, prima della parenesi degli ultimi due capitoli.

La triade «spirito, anima e corpo», più che una citazione dell'antropologia filosofica greca, è un'espressione retorica ridondante per rimarcare la totalità e l'integrità dell'essere umano, destinatario dell'azione di Dio. Le tre componenti potrebbero essere conformate alla visione dicotomica «spirito» / «corpo» (car­ne), predominante nell'epistolario paolina.

  • Lo «spirito» si riferisce alla dimensio­ne interiore e profonda della persona, che è in rapporto con Dio, mentre il «corpo» è la persona nella sua realtà visibile e relazionale. Lo «spirito è distinto come una forza autonoma rispetto al corpo.
  • Il «corpo» invece è un termine che indica l'essere umano: si sente l'influs­so dell'antropologia greca, che considera il corpo come involucro o prigione del­ l'anima o dello spirito.
  • L'anima è l'elemento vitale, usato per indicare l'essere umano vivente (Rm 2,9; 13,1) o la «Vita» (Rm 16,4; 2Cor 1,23; Fil 2,30).

L'ultima sezione della 1Tessalonicesi è un concentrato di brevi esortazioni, direttive pratiche e appelli. Le motivazioni e le aperture di carattere teologico sono ridotte all'essenziale: «la volontà di Dio in Cristo Gesù». Solo nella preghiera e nella benedizione finale compaiono i protagonisti divini: il Dio della pace e il Signore nostro Gesù Cristo. In questa raccolta di disposizioni e inviti, s'intravede il progetto di una comunità e di uno stile di vita caratterizzato dall'impegno soli­dale e attivo, dalla gioia e dalla preghiera riconoscente, dall'entusiasmo spirituale e dalla ricerca del bene e dalla pratica della condivisione dei beni.

L'immagine di Chiesa, che traspare dall'insieme delle esortazioni e disposi­zioni finali, è quella di una comunità di relazioni, più che quella di un'organizza­zione ben strutturata ed efficiente. Non mancano i responsabili che si prendono cura degli altri, ma tutta la comunità è coinvolta nella cura e nell'accompagna­mento delle persone in difficoltà o più fragili. Anche la preghiera nella forma del rendimento di grazie o dell'invocazione non è organizzata in forme e tempi fissi e regolari, ma è come un clima che avvolge l'intera esistenza dei membri della comunità. Con una breve invocazione al Dio della pace, Paolo presenta un esem­pio di preghiera fiduciosa e aperta al compimento del disegno di salvezza con la «venuta del Signore nostro Gesù Cristo». L'appello finale alla preghiera recipro­ca, il saluto con il bacio e la lettura comunitaria della lettera, sono tutti indizi della qualità delle relazioni che formano il tessuto umano e spirituale della Chiesa dei tessalonicesi.


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Introduzione alla parte parenetica 1Per il resto, fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate –, possiate progredire ancora di più. 2Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù.

Prima serie di esortazioni-disposizioni riguardanti le scelte etiche 3Questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dall’impurità, 4che ciascuno di voi sappia trattare il proprio corpo con santità e rispetto, 5senza lasciarsi dominare dalla passione, come i pagani che non conoscono Dio; 6che nessuno in questo campo offenda o inganni il proprio fratello, perché il Signore punisce tutte queste cose, come vi abbiamo già detto e ribadito. 7Dio non ci ha chiamati all’impurità, ma alla santificazione. 8Perciò chi disprezza queste cose non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo santo Spirito.

Seconda serie di istruzioni ed esortazioni riguardanti i rappor­ti tra i fratelli e lo stile vita nella comunità 9Riguardo all’amore fraterno, non avete bisogno che ve ne scriva; voi stessi infatti avete imparato da Dio ad amarvi gli uni gli altri, 10e questo lo fate verso tutti i fratelli dell’intera Macedonia. Ma vi esortiamo, fratelli, a progredire ancora di più 11e a fare tutto il possibile per vivere in pace, occuparvi delle vostre cose e lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato, 12e così condurre una vita decorosa di fronte agli estranei e non avere bisogno di nessuno. 13Non vogliamo, fratelli, lasciarvi nell’ignoranza a proposito di quelli che sono morti, perché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. 14Se infatti crediamo che Gesù è morto e risorto, così anche Dio, per mezzo di Gesù, radunerà con lui coloro che sono morti. 15Sulla parola del Signore infatti vi diciamo questo: noi, che viviamo e che saremo ancora in vita alla venuta del Signore, non avremo alcuna precedenza su quelli che sono morti. 16Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba di Dio, discenderà dal cielo. E prima risorgeranno i morti in Cristo; 17quindi noi, che viviamo e che saremo ancora in vita, verremo rapiti insieme con loro nelle nubi, per andare incontro al Signore in alto, e così per sempre saremo con il Signore. 18Confortatevi dunque a vicenda con queste parole.

Decisione di inviare da Atene a Tessalonica Timoteo 1Per questo, non potendo più resistere, abbiamo deciso di restare soli ad Atene 2e abbiamo inviato Timòteo, nostro fratello e collaboratore di Dio nel vangelo di Cristo, per confermarvi ed esortarvi nella vostra fede, 3perché nessuno si lasci turbare in queste prove. Voi stessi, infatti, sapete che questa è la nostra sorte; 4infatti, quando eravamo tra voi, dicevamo già che avremmo subìto delle prove, come in realtà è accaduto e voi ben sapete. 5Per questo, non potendo più resistere, mandai a prendere notizie della vostra fede, temendo che il tentatore vi avesse messi alla prova e che la nostra fatica non fosse servita a nulla.

Ritorno di Timoteo 6Ma, ora che Timòteo è tornato, ci ha portato buone notizie della vostra fede, della vostra carità e del ricordo sempre vivo che conservate di noi, desiderosi di vederci, come noi lo siamo di vedere voi. 7E perciò, fratelli, in mezzo a tutte le nostre necessità e tribolazioni, ci sentiamo consolati a vostro riguardo, a motivo della vostra fede. 8Ora, sì, ci sentiamo rivivere, se rimanete saldi nel Signore.

Ringraziamento e invocazione 9Quale ringraziamento possiamo rendere a Dio riguardo a voi, per tutta la gioia che proviamo a causa vostra davanti al nostro Dio, 10noi che con viva insistenza, notte e giorno, chiediamo di poter vedere il vostro volto e completare ciò che manca alla vostra fede? 11Voglia Dio stesso, Padre nostro, e il Signore nostro Gesù guidare il nostro cammino verso di voi! 12Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, 13per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi.

Approfondimenti

(cf 1-2 TESSALONICESI – nuova versione, introduzione e commento di RINALDO FABRIS © FIGLIE DI SAN PAOLO, 2014)

Decisione di inviare da Atene a Tessalonica Timoteo L'invio di Timoteo a Tessalonica è la soluzione alternativa per rista­bilire i contatti con quella Chiesa. Paolo motiva la decisione di mandare Timoteo con il fatto che non riesce a sopportare la situazione di non poter comunicare con i tessalonicesi. Lo scopo della missione di Timoteo a Tessalonica è di fare quello che avreb­be fatto Paolo se avesse potuto rivedere i cristiani di quella Chiesa: «rafforzarli» ed «esortarli» nella loro fede. Il compito di Timoteo, inviato a Tessalonica come sostituto di Paolo, è tanto più urgente in quanto c'è il rischio che qualcuno sia scosso dalla situazione con­flittuale e dalla pressione dell'ambiente ostile. Si presuppone un insieme di cir­ costanze negative, che fanno pressione sui cristiani di Tessalonica. Nel richiamo al rischio di lasciarsi travolgere dalla crisi è implicito l'invito alla perseveranza. Paolo sa quali sono i rischi ai quali sono esposti i tessalonicesi. Per lui è importante avere notizie fresche sulla tenuta della loro fede. Egli teme che, come nel caso dei suoi progetti di viaggio, impediti da satana, anche nella comunità cristiana di Tessalonica sia all'opera il «tentatore». La «prova» delle tribolazioni può sfociare nella tentazione, che porta ad abbandonare la fede. Qui è in gioco tutto il lavoro dei predicatori del vangelo, che si sono impe­gnati non solo per far nascere la comunità ma anche per farla crescere e perseverare (cfr. Gal 4,11 ; Fil 2,16).

Ritorno di Timoteo Il ritorno di Timoteo, che riporta buone notizie da Tessalonica, se­gna una svolta nello stato d'animo dei mittenti della lettera. Il suo «lieto annunzio» è riferito con una certa ridondanza lessicale e stilistica. Il racconto della reazione positiva provocata dal ritorno di Timoteo si chiude con una breve frase, quasi una esclamazione: «Ora, sì, che ci sentiamo rivivere!» (1Ts 3,8). La dichiarazione si aggancia alle ultime parole del versetto precedente, dove si dice qual è la ragione profonda della consolazione dei missionari di Tessalonica: «A motivo della vostra fede» (1Ts 3,7c).

Ringraziamento e invocazione Se i cristiani di Tessalonica restano saldi nella fede, la gioia di Paolo e dei suoi collaboratori è al colmo. Allora essi non possono non rendere grazie a Dio, chiedendo di poter rivederli per completarne la formazione. La riconoscenza gioiosa, condivisa in un clima di preghiera, è accompagnata dall'invocazione intensa e prolungata: «Pregando oltre ogni misura, notte e gior­no... » (1Ts 3,10). Ogni preghiera è caratterizzata dalla perseveranza. Si deve pre­gare sempre, senza sosta (cfr. 1Ts 5,17; cfr. Rm 12,12). Quello che colpisce nel testo di 1Ts 3,10 è la combinazione della durata «notte e giorno» con l'intensità, espressa con un vocabolo che indica abbondanza traboccante. La comunicazione epistolare sui rapporti tra i missionari e la comu­nità tessalonicese si chiude con due preghiere di invocazione. La prima, più breve, è rivolta a Dio Padre nostro e al Signore nostro Gesù, la seconda, più articolata, si rivolge al «Signore». La prima richiesta riprende e riassume il tema dominante dell'intera sezione: riprendere e ristabilire i contatti tra i predicatori del vangelo e la Chiesa dei tessalonicesi . Questo auspicio è formulato con la metafora del viaggio o della strada che Dio rende dritta e agevole. La seconda richiesta, rivolta al Signore, fa da transizione tra il discorso bio­grafico narrativo dei primi tre capitoli della lettera e le istruzioni ed esortazioni degli ultimi due. L'orizzonte in cui si colloca la preghiera di Paolo è quello dell'incontro definitivo con il Signore che egli attende assieme ai tessalonicesi. Per la prima volta nel dettato della lettera compare l'espressione parousía del Si­gnore, la sua venuta gloriosa, che porta a compimento la salvezza di quanti hanno accolto il vangelo di Dio. In questo brano epistolare il messaggio teologico è inse­parabile dai rapporti affettivi di Paolo con cristiani di Tessalonica.


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Missione e proclamazione del vangelo di Dio a Tessalonica 1Voi stessi infatti, fratelli, sapete bene che la nostra venuta in mezzo a voi non è stata inutile. 2Ma, dopo aver sofferto e subìto oltraggi a Filippi, come sapete, abbiamo trovato nel nostro Dio il coraggio di annunciarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte.

Lo stile e il metodo dei predicatori del vangelo di Dio 3E il nostro invito alla fede non nasce da menzogna, né da disoneste intenzioni e neppure da inganno; 4ma, come Dio ci ha trovato degni di affidarci il Vangelo così noi lo annunciamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori. 5Mai infatti abbiamo usato parole di adulazione, come sapete, né abbiamo avuto intenzioni di cupidigia: Dio ne è testimone. 6E neppure abbiamo cercato la gloria umana, né da voi né da altri, 7pur potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo.

I tratti distintivi dei predicatori del vangelo di Dio Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. 8Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari.

Lo stile e il metodo del loro impegno per la comunità dei credenti 9Voi ricordate infatti, fratelli, il nostro duro lavoro e la nostra fatica: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi, vi abbiamo annunciato il vangelo di Dio. 10Voi siete testimoni, e lo è anche Dio, che il nostro comportamento verso di voi, che credete, è stato santo, giusto e irreprensibile. 11Sapete pure che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, 12vi abbiamo incoraggiato e scongiurato di comportarvi in maniera degna di Dio, che vi chiama al suo regno e alla sua gloria.

Siete diventati imitatori delle chiese di Dio 13Proprio per questo anche noi rendiamo continuamente grazie a Dio perché, ricevendo la parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, l’avete accolta non come parola di uomini ma, qual è veramente, come parola di Dio, che opera in voi credenti. 14Voi infatti, fratelli, siete diventati imitatori delle Chiese di Dio in Cristo Gesù che sono in Giudea, perché anche voi avete sofferto le stesse cose da parte dei vostri connazionali, come loro da parte dei Giudei. 15Costoro hanno ucciso il Signore Gesù e i profeti, hanno perseguitato noi, non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini. 16Essi impediscono a noi di predicare ai pagani perché possano essere salvati. In tal modo essi colmano sempre di più la misura dei loro peccati! Ma su di loro l’ira è giunta al colmo.

Siete voi la nostra gloria e gioia! 17Quanto a noi, fratelli, per poco tempo privati della vostra presenza di persona ma non con il cuore, speravamo ardentemente, con vivo desiderio, di rivedere il vostro volto. 18Perciò io, Paolo, più di una volta ho desiderato venire da voi, ma Satana ce lo ha impedito. 19Infatti chi, se non proprio voi, è la nostra speranza, la nostra gioia e la corona di cui vantarci davanti al Signore nostro Gesù, nel momento della sua venuta? 20Siete voi la nostra gloria e la nostra gioia!

Approfondimenti

(cf 1-2 TESSALONICESI – nuova versione, introduzione e commento di RINALDO FABRIS © FIGLIE DI SAN PAOLO, 2014)

Missione e proclamazione del vangelo di Dio a Tessalonica Nel racconto della loro missione a Tessalonica i mittenti della lettera, che si presentano come «apostoli di Cristo», ne fanno un bilancio molto positivo. In questa cornice si collocano le due immagini della «ma­dre nutrice» e del «padre educatore», che esprimono le intense relazioni affetti­ve tra i predicatori del vangelo di Dio e i destinatari, i credenti, chiamati «figli» e «fratelli». Il contesto ideale per una trasmissione efficace del vangelo è quello stesso in cui si trasmette e si comunica la vita delle persone.

Lo stile e il metodo dei predicatori del vangelo di Dio In una duplice serie di antitesi si traccia il profilo etico dei predi­catori del vangelo, chiamati «apostoli di Cristo». La predicazione di Paolo e dei suoi collaboratori a Tessalonica è chiamata ”esortazione”. Sotto il profilo positivo lo stile e il metodo dei predicatori del vangelo sono caratterizzati dal loro rapporto con Dio. Approvati da Dio, essi hanno ricevuto da lui l'incarico di proclamare il vangelo. All'iniziativa di Dio essi hanno corrisposto cercando di piacere non agli uomini, ma a Dio, «che prova i nostri cuori». I predicatori del vangelo non ricercano la gloria umana, perché hanno come prospettiva la gloria di Dio.

I tratti distintivi dei predicatori del vangelo di Dio Sullo sfondo della serie di antitesi precedenti risalta la figura posi­tiva della madre-nutrice, che si prende cura dei propri figli. Questa immagine familiare si sviluppa nel lessico affettivo della dichiarazione successiva, dove la comunicazione del vangelo di Dio è posta in parallelismo progressivo con il dono della vita: «Così affezionati a voi eravamo disposti a darvi non solo il vangelo di Dio, ma perfino la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari». L'immagine della nutrice, che si prende cura teneramente dei propri figli, è rafforzata nella dichiarazione che segue immediatamente, dove si riprende e si in­tensifica il lessico affettivo: «Così affezionati a voi, eravamo disposti a darvi non solo il vangelo di Dio, ma perfino la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari».

Lo stile e il metodo del loro impegno per la comunità dei credenti A riprova della disponibilità dei predicatori non solo a comunicare ai tessalonicesi il vangelo di Dio, ma a dare la loro stessa vita, si ricordano lo stile e il metodo sia del primo annunzio sia della cura pastorale della comunità dei cre­denti. L'appellativo «fratelli», che fa parte dello stile epistolare, riattiva il contatto tra i mittenti e i destinatari della lettera. La memoria del primo annunzio si concen­tra sulla «fatica» e sul «travaglio» dei predicatori che hanno lavorato senza so­sta «notte e giorno», per non pesare su nessuno dei fedeli della comunità. I missionari si appellano ancora alla loro esperienza per presentare la propria azione pastorale a Tessalonica. Per caratterizzarne lo stile e il metodo fanno un confronto con la figura e il ruolo del «padre», simmetrica a quella della madre o «nutrice» (cfr. 1Ts 2,8). In questo caso si dà risalto al rapporto personalizzato del padre, che si dedica «singolarmente» ai propri figli. La figura del «padre», educatore o formatore dei suoi figli, è congeniale a Paolo (1Cor 4,15.17.21 ; 2Cor 6,13; Fil 2,22-25). Sullo sfondo di questa immagine e del lessico relativo sta la tradizione sapienziale biblica, dove la relazione maestro-discepolo si ispira al mo­dello delle relazioni padre-figlio (Pro 3,1; 4,1-4.10.20; 5,1; 6,1.20; 7,1; 8,32; Sir 7,3). Anche nell'ambiente greco-romano, dove predomina il modello del pater familias, padrone dispotico dei figli, non è del tutto assente la figura del «padre-educatore», che nell'educazione dei figli privilegia l'esortazione e l'incoraggiamento.

In uno sguardo d'insieme dell'unità letteraria 1Ts 2,1-12 si intuisce qual è il perno attorno al quale ruota la metodologia di un annunzio efficace del vange­lo di Dio. Certamente la coerenza etica e lo stile di vita dei predicatori del van­gelo servono a dissipare sospetti e insinuazioni malevoli nei loro confronti. Anche la dedizione costante al loro compito, senza la pretesa di ricavarne un vantaggio materiale immediato o semplicemente l'apprezzamento da parte degli ascoltatori, è un punto a favore della credibilità del loro annunzio. Pure l'autorevolezza di chi si presenta con la qualifica di «apostolo di Cristo», come suo delegato e plenipotenziario, non è sufficiente per dare credito alla proclamazio­ne del vangelo di Dio. Anche il discorso più sincero e appassionato, eticamente ineccepibile e, sotto il profilo logico, coerente, può essere scambiato per propa­ganda religiosa. Il centro e il cuore pulsante della metodologia efficace nell'annunzio è la qualità delle relazioni che s'intrecciano tra i predicatori del vangelo di Dio e i de­stinatari. Se la proclamazione del lieto messaggio cristiano riguarda l'amore in­comparabile di Dio, rivelato e reso presente nella vicenda umana di Gesù Cristo, il suo Figlio, allora non c'è altro percorso per arrivare alla sua accoglienza se non quello dell'amore, che sta all'origine della vita e la promuove. Paolo, che scrive a nome anche dei collaboratori Silvano e Timoteo, lo dichiara al culmine di un'ap­passionata argomentazione ispirata ai modelli della retorica del suo tempo. Non basta dire ai cristiani di Tessalonica che egli si è affezionato a loro come una nu­trice che si prende cura dei propri figli. Paolo è in grado di dimostrarlo, appellan­dosi alla testimonianza della giovane comunità cristiana sorta grazie alla sua pre­dicazione del vangelo. La lettera che sta scrivendo è prova e documento dell'intensità del suo amore per quelli che egli considera i suoi figli. Il riferimento al modello dei rapporti pa­rentali – come una madre e come un padre – non è solo espediente retorico della comunicazione epistolare. Realmente, Paolo e i suoi collaboratori possono richia­mare alla memoria dei tessalonicesi il loro impegno costante e disinteressato per accompagnarli singolarmente nei primi passi del loro cammino cristiano. Il brano, che fa da ponte tra l'esordio e il corpo della lettera, presenta un quadro esemplare di annunzio del vangelo di Dio e di metodologia pastorale.

Siete diventati imitatori delle chiese di Dio I predicatori umani sono mediatori di una parola che è da Dio e a lui appartiene. Il significato complessivo dell'espressione «parola di Dio» è confermato dall'affer­mazione circa la sua azione efficace in quelli che l'accolgono nella fede. Quello che è decisivo per l'efficacia della parola di Dio è la fede permanente di quelli che l'accolgono. L'unità letteraria di 1Ts 2,13-16 fa da ponte tra il racconto rievocativo della missione paolina a Tessalonica e quello dei suoi rapporti successivi con la Chiesa macedone. La ripresa del tema del ringraziamento dell'esordio offre lo spunto per fare una riflessione sul rapporto tra annunzio e accoglienza della parola di Dio. Quelli che proclamano la parola di Dio a Tessalonica sono «uomini» come gli ascoltatori stessi. Il superamento del paradosso dell'ascolto della parola di Dio, nella parola di uomini, avviene grazie alla fede, intesa come apertura all'iniziativa gratuita di Dio. La parola di Dio diventa efficace negli ascoltatori credenti. Il brano che segue, fortemente polemico, si salda al precedente mediante il riferimento alla proclamazione del vangelo di Paolo alle genti per la loro salvezza. Il tema dell'imitazione e delle sofferenze richiama l'esordio della lettera, dove i tessalonicesi sono elogiati perché hanno accolto la parola di Dio con gioia, in mezzo a una grande tribolazione, e sono diventati imitatori del Signore Gesù e di Paolo. La polemica antigiudaica non è motivata da ragioni etnico-religiose, come avverrà nella storia successiva dei rapporti tra cristiani ed ebrei, perché Paolo, non ha mai rinnegato la sua appartenenza al popolo ebraico. In questo caso egli utilizza alcuni elementi della storia di Israele – uccisione dei profeti – dell'ambiente gre­co-romano e della tradizione apocalittica, per incoraggiare i cristiani di Tessalonica esposti alle ostilità del loro ambiente.

Siete voi la nostra gloria e gioia! La prima parte del dialogo epistolare, incentrato sulla storia dei rappor­ti dei missionari Paolo, Silvano e Timoteo con la Chiesa dei tessalonicesi, si apre con una dichiarazione che ne annunzia il tema. Alla brusca e forzata separazione dalla giovane comunità cristiana di Tessalonica, i predicatori del vangelo hanno risposto con il loro costante impegno per riprendere i contatti, spinti dall'intenso desiderio di rivederli. In conseguenza di questo forte desiderio di riprendere i contatti con i tessalonicesi, Paolo, in prima persona, più volte ha preso l'iniziativa di andare da loro. Solo un antagonista sovrumano – satana – ha potuto troncare o manda­re a monte i suoi tentativi. L'introduzione della figura di satana nella storia dei rapporti con la Chiesa dei tessalonicesi fa capire che Paolo colloca la faccenda nel contesto di uno scontro «apocalittico» tra l'azione di Dio, che si manifesta e si realizza nell'annunzio del vangelo, e il fronte avversario, rappresentato da satana. Paolo chiude la ricostruzione dei suoi rapporti con i tessalonicesi con una domanda esclamativa spezzata – manca il verbo reggente –, dove il tono emotivo arriva all'acme. Ancora una volta egli vuole dire che il fallito incontro con la Chiesa di Tessalonica non può essere segno di mancanza di affetto o interesse da parte sua, «perché» essi, assieme agli altri gruppi cristiani – «anche voi» – sono la sua «speranza, gioia e corona di vanto davanti al Signore Gesù, alla sua venuta». Anche se la comunità cristiana di Tessalonica, nata grazie all'annunzio del vangelo di Dio da parte dei predicatori itineranti, fin d'ora è per essi motivo e fon­te di «speranza, gioia, vanto e gloria», l'aggiunta della frase «davanti al Signore nostro Gesù, alla sua venuta» dà un orientamento escatologico non solo alla «co­rona di vanto», ma a tutta la costellazione dei termini.


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Intestazione 1Paolo e Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo: a voi, grazia e pace.

Ringraziamento e preghiera 2Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere 3e tenendo continuamente presenti l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel Signore nostro Gesù Cristo, davanti a Dio e Padre nostro. 4Sappiamo bene, fratelli amati da Dio, che siete stati scelti da lui. 5Il nostro Vangelo, infatti, non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo e con profonda convinzione: ben sapete come ci siamo comportati in mezzo a voi per il vostro bene. 6E voi avete seguito il nostro esempio e quello del Signore, avendo accolto la Parola in mezzo a grandi prove, con la gioia dello Spirito Santo, 7così da diventare modello per tutti i credenti della Macedonia e dell’Acaia. 8Infatti per mezzo vostro la parola del Signore risuona non soltanto in Macedonia e in Acaia, ma la vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, tanto che non abbiamo bisogno di parlarne. 9Sono essi infatti a raccontare come noi siamo venuti in mezzo a voi e come vi siete convertiti dagli idoli a Dio, per servire il Dio vivo e vero 10e attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha risuscitato dai morti, Gesù, il quale ci libera dall’ira che viene.

Approfondimenti

(cf 1-2 TESSALONICESI – nuova versione, introduzione e commento di RINALDO FABRIS © FIGLIE DI SAN PAOLO, 2014)

Intestazione La prima Lettera ai Tessalonicesi è il primo scritto epistolare di Paolo, per cui essa rappresenta anche un modello letterario per tutte le altre sue lettere. Per comporne il testo dell'intestazione, Paolo si ispira allo schema delle lettere dell'ambiente greco-romano, dove esso assume una forma tripartita: mittente, destinatari e saluto. Dentro tale schema letterario profa­no, Paolo introduce la novità della fede cristiana, precisando che la «Chiesa dei Tessalonicesi» ha il fondamento del suo statuto e della sua identità nel rapporto con Dio Padre per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Da questa fonte divina promanano la grazia e la pace che Paolo e i suoi collaboratori, Silvano e Timoteo, augurano ai Tessalonicesi. La menzione dei due «co-mittenti» nell'intestazione della lettera implica che essi sono coinvolti nel dialogo epistolare di Paolo con i Tessalonicesi. L'uso prevalente della prima persona plurale « noi » nel corso dello scritto esprime la responsabilità collegiale dei tre mittenti, anche se, chi tiene le fila del discorso è Paolo. Questo è evidente nei casi in cui il primo mittente si presenta in prima persona, addirittura con il suo nome: « Perciò volevamo venire da voi, proprio io Paolo, una anzi due volte, ma satana ce l'ha impedito» (1Ts 2,18; cfr. 3,5; 5,27). I destinatari del primo scritto paolino sono i cristiani che formano la «Chie­sa dei Tessalonicesi». In modo inconsueto sono designati con il nome gentilizio – «Tessalonicesi» – che Paolo adopera rarissime volte nella sua corrispondenza (cfr. Fil 4,15: «Lo sapete anche voi, Filippesi...»). In genere, i destinatari sono in­ dicati con il nome della città o regione, dove essi risiedono (cfr. 1Cor 1,2; 2Cor 1,1 ; Gal 1,2; Fil 1,1). Per la prima volta ricorre il termine ekklēsía per parlare di un gruppo di cristiani. Nell'intestazione di 1Tessalonicesi questo termine richiama la versione greca della Bibbia, do­ve con questo vocabolo gli ebrei di Alessandria traducono l'ebraico qehāl JHWH. Tanto più che il verbo ebraico qāhāl (chiamare) è assonante con il verbo greco ka­leîn (chiamare), che sta alla base del sostantivo ek-klēsía (convocazione). La scelta di ek-klēsía, invece di synagoōgê, con il quale spesso la versione greca dei LXX ha qehāl e più spesso 'edâh (comunità), potrebbe essere intenzionale per distinguere il gruppo dei credenti cristiani dalle altre aggregazioni sociali o religiose, soprattutto da quelle ebraiche, normalmente denominate con il vocabolo synagōgê(ái).

Ringraziamento e preghiera Seguendo il model­lo letterario del discorso epistolare il dialogo con i Tessalonicesi si apre con una preghiera di ringraziamento a Dio. Tutte le lettere paoline, ad eccezione della Lettera ai Galati, si apro­no con una preghiera di ringraziamento con il verbo eucharisteîn (ringraziare). La motivazione o l'occasione del ringraziamento a Dio, sempre e per tutti i Tessalonicesi, è il ricordo «incessante» da parte del gruppo dei predicatori che si manifesta nelle loro preghiere. Il dialogo epistolare di Paolo e dei suoi collabo­ratori con i cristiani della metropoli macedone si colloca sullo sfondo della loro relazione vitale con Dio Padre e il Signore Gesù Cristo.

Per la prima volta in uno scritto cristiano compare il vocabolo euaggélion (Vangelo); si può ritenere che con la sua atti­vità missionaria Paolo abbia favorito l'uso cristiano di questo termine.

Al v. 6 i destinatari della proclamazione del vangelo diventano i protagonisti della sua diffusione. La sezione ruota attorno al tema della «imitazione» e del «mo­dello». Si dice che i Tessalonicesi sono diventati «imitatori» dei missionari e del «Signore» in quanto hanno accolto «la Parola in mezzo a una grande tribolazione, con gioia di Spirito Santo». Nelle sue lettere, sotto la terminologia della «tribolazione», Paolo elenca le sue prove apostoliche e quelle dei cristiani. Nel caso dei Tessalonicesi si può pensa­re ai contrasti e alle ritorsioni che la loro scelta di fede provoca nell'ambiente so­ciale e religioso della città macedone. Però i cristiani di Tessalonica sono diventati imitatori dei missionari e del Signore non solo per la «grande tribolazione» , che ha segnato la loro adesione al vangelo, ma perché questa è paradossalmente congiunta con «la gioia dello Spirito Santo».

In un crescendo a effetto, l'elogio dei Tessalonicesi tocca l'apice con la nuova considerazione: nella loro accoglienza del Vangelo, da «imitatori» dei missionari e del Signore, i cristiani di Tessalonica sono diventati «modello per tutti i credenti nella Macedonia e nell'Acaia». In uno stile ridondante di nuovo sono menzionate le due province ro­mane dell'impero – Macedonia e Acaia –, per rimarcare, con la figura retorica dell'intensificazione – «non solo... ma...» –, la diffusione dell'esperienza dei cri­stiani di Tessalonica.

La conversione dei Tessalonicesi è presentata in due risvolti: l'uno negativo, come abbandono degli idoli, e l'altro positivo, come adesione a Dio, che si concretizza nell'impegno al suo servizio. Dopo essersi rivolti a Dio, si sono impegnati a servire «Dio vivo e vero».

Per la prima volta, in un documento cristiano, si traccia il percorso che porta alla nascita di una Chiesa locale: annunzio e accoglienza del vangelo, passaggio dal culto idolatrico alla fede nel Dio unico e vero, che si rende presente e salva per mezzo del Figlio suo Gesù. Nel proemio della 1Tessalonicesi sono presenti le coor­dinate della missione cristiana, che si realizza sostanzialmente nella comunicazione del vangelo o della parola di Dio, che ha il suo nucleo nell'evento della morte e ri­surrezione di Gesù. Non solo i predicatori itineranti proclamano con efficacia il vangelo, ma ogni persona che ha accolto la parola di Dio ha la capacità e l'impegno di farla risuonare dappertutto. La diffusione della parola di Dio da parte dei cristiani di Tessalonica dà un contenuto più preciso al dinamismo della loro fede elogiato da Paolo assieme all'amore e alla speranza. Nelle ultime righe dell'esordio della lettera si prospetta l'orizzonte del compimento esca­tologico della salvezza, sicuro approdo della speranza cristiana anche di fronte all'esperienza della morte delle persone care.


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