Il diario di Erik

Grazie mille per aver dato un'occhiata alla mia pagina! se hai apprezzato i miei contenuti, lascia un suggerimento. Imparo sempre e cerco di fare del mio meglio

Sliding Doors #12

Un dolore lancinante alla testa accompagnò la ripresa dei sensi di Anna, come se mille aghi le trafiggessero il cranio senza pietà. Le sembrava di essere intrappolata in fondo ad un gorgo fangoso e oscuro, completamente disorientata e senza alcun appiglio per riemergere alla superficie. Con le mani tremanti e un ultimo disperato sforzo dettato dal puro istinto di sopravvivenza, compose un numero sul telefono – che solo più tardi avrebbe scoperto appartenere a un amico in comune. Il suo corpo venne scosso da tremiti incontrollabili prima di prorompere in un pianto straziante e disperato, tanto violento da impedirle di articolare anche una sola parola comprensibile, lasciando che dall'altra parte della linea si sentissero solo singhiozzi angoscianti.

“Stai calma, calmati, lo so che sei Anna, dimmi almeno dove ti trovi che arrivo subito!” implorava Leòn con voce concitata, urlando nel cellulare mentre cercava di comprendere la situazione. Anna, con uno sforzo sovrumano, riuscì a sputare una singola sillaba tra i singhiozzi: “Bar!” “Arrivo subito!” rispose Leòn. Nel precipitarsi verso la sua macchina, con il cuore che gli martellava nel petto, telefonò immediatamente a Brigitte, così che almeno un familiare fosse informato e potesse aiutare a gestire quella che sembrava una terribile crisi di Anna. Arrivarono entrambi nel parcheggio con il fiato corto, divorati dall'ansia e dal nervosismo di essere completamente all'oscuro di quanto fosse accaduto.

“Guarda Brigitte, Anna non riusciva nemmeno a parlare, un pianto disperato,” Leòn la mise al corrente dell'unica informazione che possedeva, mentre il mistero della situazione veniva drammaticamente amplificato dal pianto straziante e dalle urla che echeggiavano distintamente già nel cortile sul retro dell'edificio. Si precipitarono attraverso la porta e corsero su per le scale, prendendo due gradini alla volta, finché non trovarono Anna accasciata sul pavimento, scossa da singhiozzi incontrollabili, con la testa stretta disperatamente tra le mani tremanti.

“Sei caduta? Ti sei fatta male?” chiese Brigitte alla sorella con voce preoccupata, cercando di aiutarla a sorreggersi e valutando rapidamente le sue condizioni. Leòn, con passi cauti, si sporse verso l'interno del bagno e, in un silenzio carico di tensione, afferrò lentamente la mano di Brigitte e la guidò sulla soglia del locale. Entrambi, con gli occhi sbarrati dall'orrore di fronte alla scena che si presentava loro, proruppero all'unisono in un'esclamazione sgomenta: “Oh cazzo!”...

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Sliding Doors #6

Nei paesini un altro momento di vitalità è più o meno verso l’ora di cena. Dai negozi che chiudono, ai bar che si svuotano, c’è movimento. Nessuno però, fa caso al bar dell’angolo perchè il lunedì è chiuso per turno. Le luci spente non impensieriscono nessuno.

Nemmeno Guido, che è quel tipo che cammina a passo spedito almeno un centinaio di volte al giorno su e giù per la via fa caso alle vetrine spente.

Nota però il gatto del bar appollaiato sul davanzale della finestra che miagola.

” Ciao Simba! Ti hanno chiuso fuori?” chiede come se potesse ricevere risposta.

Ma il gatto che lo conosce comincia a fare le fusa e dare colpi con la testa contro la mano.

Come per aiutarlo? Guido fa spaziare gli occhi in lungo e in largo ma purtroppo non scorge nessuno, nessuna luce nessun rumore dentro la casa adiacente al bar.

Sta sopraggiungendo la sera, la sera d’estate, con brevi folate di vento per un effimero refrigerio dall’afa che caratterizza le estati in pianura.

La gente ancora circola in bicicletta o a piedi per respirare più agevolmente e non sudare eccessivamente. Il tempo passa lentamente , solamente cinque minuti dopo il gatto è sparito, ritirato nella sua tana.

Come Anna è ancora ritirata nella sua tana, al caldo ma sembra non importarle, senza cena ma non ha fame. E’ ancora preda della rabbia per non avere sue notizie.

“ Non chiama! E figurati domani avrà tutto il giorno dedicato a se stesso, mangiare da solo, fumare da solo, STARE DA SOLO! Ecco quello che vuole, non me he gli ho dato tutto! vuole stare da solo! Basta prendo 40 gocce e resto immobile a letto.”

Sliding Doors #7

I paesi, specialmente quelli rurali, sono ancora l’ultimo anello che collega una comunità ai loro avi, alle società arcaiche. Ad uno stile di vita semplice e senza fronzoli, dove l’importante è stare bene assieme. Nonostante tutto queste caratteristiche stanno lentamente scemando: le storie personali diventano sempre più personali e isolate.         
Ogni comunità ha tante storie quanti sono gli abitanti, ma oggi non si intrecciano più come una volta, o meglio si intrecciano tramite i social. Allora sì che in quei luoghi ognuno dà il meglio di sé, specialmente i giovani.

Quelli più anziani ancora ti avvisano quando passando vicino a casa tua avvertono un forte odore di gas, così tu possa provvedere chiamando l’assistenza.

Il giorno dopo un sole estivo cocente fino al tardo pomeriggio illuminava e riscaldava anche un avventore del bar che trovò di nuovo Simba appollaiato sul davanzale della finestra. Due carezze affettuose e il gatto cominciò a fare le fusa e a dare capocciate alla mano.

Saltò giù dalla finestra e guardò dal basso verso l’alto quell’omone gentile.

Fece lo slalom tra i suoi piedi e fece capire l’intenzione di volere andare verso il cortile. Un animo nobile che ama gli animali non rimane insensibile verso un così chiaro messaggio fatto da un gatto, notoriamente animale scontroso, così lo seguì e si trovò davanti ad un cancello in apparenza chiuso.

Simba, infatti, come d’abitudine si allungò con tutto il corpo e le zampe contro il cancello cercando di spingerne una parte.

“Ma cosa pensi di fare?”, e istintivamente allungò la mano e con enorme sorpresa il cancello con una leggera pressione, cigolando si aprì.

Simba sgattaiolò come un fulmine all’interno seguito dal buon samaritano.

C’era un silenzio strano per essere il retro di un bar, ma proprio mentre stava per andarsene ecco che arrivò. Come un soffio, caldo, afoso, denso e dolciastro passò per un istante sotto il suo naso, talmente veloce che ne rimase solo il ricordo nella mente, ma mentre più cercava aggettivi per descriverlo, solo uno ne rimaneva: sgradevole.

Sliding Doors #8

“ Thomas, senti anche tu questa puzza?” chiese Andreas al collega mentre stava chiudendo il cancello.

I due amici avevano una agenzia di assicurazioni che confinava con il bar, erano amici che poi sono diventati colleghi e conoscevano tutte le abitudini di quella parte di paese, se non tutto.

“Sembra che ci sia un animale morto in cortile!” rispose Thomas alzandosi sulle punte per poter sbirciare al di là del cancello che separava il cortile dalla strada.

“Non vedo niente”- aggiunse ma così facendo si appoggiò al cancello e si accorse che era aperto.

Entrarono e diedero un’occhiata intorno. Non c’era niente di diverso dal solito: la macchina di Jerome, i bidoni della spazzatura del bar vuoti [era il giorno di chiusura] i vasi dei sapori interrati e gli scatoloni vuoti accatastati sotto la finestra.

“Viene dalla casa, secondo me si è spento un freezer e tutto è andato a puttane!”- osservò Thomas.

“Sai cosa possiamo fare? Chiamare Jerome e avvisarlo!” suggerì Andreas già con il cellulare in mano.

Con somma sorpresa sentì squillare il cellulare di Thomas attraverso la finestra del bagno al piano di sopra.

E lo sentì per parecchio, finché non cadde il collegamento.

Provò ancora un paio di volte , ancora nessuna risposta.

“L’avrà dimenticato?” si domandò Thomas.

Fecero il giro dell’abitato, guardando dentro le finestre, in giardino e dietro le tende del bar. Non videro nessuno.

“Facciamo un ultimo tentativo, poi me ne vado a casa che ho fame.” Andreas tirò fuori il cellulare e compose un numero.

“Chiamo Anna, di sicuro avrà le chiavi ed entrerà per risolvere il problema! Ciò detto con un cenno salutò l’amico e si mise al volante.

Driiiiinnnnn! Driiiiiiinnnnn!

Da sotto le lenzuola emerse Anna strizzando gli occhi. [Per quanto ho dormito? Ho esagerato con le gocce? Che ora è? Ho udito un telefono? Sarà lui? Impossibile! Vediamo chi ha telefonato] Sara vide il numero di Andreas sul display, una cascata di pensieri iniziò a scorrere nella sua mente, ma nessuno che spiegasse il suo dubbio: “Perché cazzo mi avrà chiamato?” Premette il tasto di richiamata e attese.

“Ciao Andreas, sono Anna, mi hai cercato?”

“Sì, senti dal cortile si sente una forte puzza, quasi di marcio, temo si sia spento un freezer, sarà tutto scongelato, ho provato a chiamare Jerome ma non risponde, anzi ho sentito il suo cellulare suonare mentre ero in cortile ma non mi ha risposto. Sai dov’è? Ci pensi tu?”

Immediatamente sveglia non salutò neppure Andreas e si mise a sedere di scatto sul letto.

Sliding Doors #9

“ Giuro che se lo trovo sballato e tutto il contenuto del freezer da buttare gli spacco la faccia!– Anna quasi urlò mentre pensava.

“ Il pesce, gamberi e vongole appena comprati. Le tartine per gli aperitivi! Madonna!! Più ci penso e più mi incazzo! – Ormai era salita in macchina e dopo aver sfiorato lo spigolo del muro di casa partì sgommando verso il bar.

Appena arrivata nel retro, guardò tutt’intorno come se potesse vedere l’odore che le aveva anticipato Andreas. E’ sempre stata chiamata dai suoi amici “Segugio”, grazie all’incredibile senso dell’olfatto che dimostrava ogni volta che ce n’era bisogno. Come quella volta che se fosse stato per Jerome con il suo olfatto addormentato dalla nicotina sarebbero ancora seduti a raccogliere le briciole del locale dopo l’esplosione causata da una fuga di gas.

Invece, appena uscì in cortile, Anna sentì quell’odore acuto e pungente del gas e avvisò immediatamente il pronto intervento.

Anche questa volta lo sentì subito.

Entrò come una furia in magazzino sbattendo come Tatarella quella portina di legno contro lo stipite.

Senti solo il classico ronzio di tutti i freezer che funzionavano perfettamente.

Li guardò uno dopo l’altro come se potessero dirle qualcosa e sentì i suoi capelli rizzarsi dietro la nuca.

“ E’ entrato un animale! C’è un animale morto!”

Urlò sconfitta dal disgusto di dover fare i conti con qualcosa di vomitevole nascosta in qualche angolo della cantina.

Prese il telefono e compose il numero di Jerome.

“Dov’è quello stronzo!” – aveva appena finito di comporre il numero e il pensiero minaccioso che sentì uno squillo provenire dal piano di sopra.

Spalancò gli occhi e le si seccò la gola. C’è il telefono e non c’è Jerome che praticamente viveva con il cellulare attaccato alla mano.

Partì di corsa verso le scale e nemmeno si accorse di averne fatte due rampe che si trovò davanti alla porta d’ingresso dell’appartamento al piano superiore.

Mentre stava per appoggiare la mano sulla maniglia cominciò a percepire un odore tremendo aleggiare nell'aria.

Sliding Doors #10

Una ridda di domande scaturirono nella testa di Anna come un Big Bang.

Fu assalita da un vortice di domande, ogni domanda immediatamente dava origine ad un’altra. Bisognosa di risposte, ma non c’era risposta alcuna che potesse soddisfare la sua smania. Ogni cosa precipitava in un caos mentale e dopo qualche istante sospeso nel vuoto trascorso con lo sguardo ebete perso a fissare una porta di legno si sentì un groppo in gola.

Paralizzata in piedi davanti ad una porta chiusa evitava di prendere qualsiasi decisione.

Quegli istanti in cui il cervello è una tabula rasa, ma il tuo istinto primordiale ti avverte che aprire quella porta cambierà per sempre la tua vita.

Non sai quello che fai, non sai quello che dovresti fare ma sei sola, in una casa enorme, silenziosa. Sentì un clacson lontano e un rimbrotto di un ciclista nella strada sottostante.

Si decise ad appoggiare la mano alla maniglia e tentò di aprire. Era chiusa.

“ Perchè? Perchè? Perchè hai chiuso la porta? Chiudi solo l’ingresso! Non mi volevi ?” la domanda scaturita nella mente si stava trasformando in un urlo di terrore.

Sliding Doors #11

Anna sentiva il panico montare dentro di sé come un'onda oscura e travolgente. I suoi muscoli, dapprima rigidi, iniziarono a tradirla: un tremito sottile, quasi impercettibile, che ben presto divenne una tempesta incontrollabile. Le mani, prima ferme, ora danzavano in un movimento frenetico e ingovernabile. Il tremore si propagava come un veleno, serpeggiando attraverso le sue braccia, invadendo ogni fibra del suo corpo con una furia primitiva e incontrollata.

Un mantra ossessivo rimbombava nella sua mente frantumata: “Bisogna entrare. Devo entrare.” Le parole rimbombavano come un tamburo impazzito, cancellando ogni altro pensiero razionale, ogni tentativo di controllarsi.

Con una determinazione disperata, corse sul terrazzo adiacente, i suoi passi ritmati da un'urgenza selvaggia. Un tubo di metallo, un tempo destinato a sostenere orgogliosamente una bandiera, ora era diventato la sua unica arma contro la barriera che la separava dalla verità. Lo afferrò con mani tremanti ma volontà di acciaio.

Come una furia scatenata, si lanciò contro la porta. Il primo colpo risuonò con un tonfo secco: il metallo penetrò nel legno con una violenza quasi carnale. Ma non era abbastanza. Ancora e ancora si scagliò, ogni colpo scandito dal suo respiro affannoso, dai suoi singhiozzi trattenuti.

Quando finalmente cedette, letteralmente scivolò dentro come un'ombra. L'odore la colpì immediatamente: acre, putrescente, carico di un presagio di morte che le assalì le narici e minacciò di soffocarla.

Le gambe tremolanti la sostennero a malapena. Si aggrappò al tavolino nel corridoio, un ultimo baluardo contro il collasso totale. Un istante di esitazione: aveva il coraggio di procedere? L'odore, sempre più intenso, proveniva dal bagno, un richiamo macabro che non poteva ignorare.

Con movimenti da sonnambula, raggiunse lo stipite del bagno. Dapprima tutto sembrava normale: piastrelle lucide, la doccia nell'angolo, la vasca maestosa. Ma poi lo specchio la tradì, rivelando l'orrore: Jerome, immobile, con una carnagione bluastra, giaceva esanime tra la vasca e il bidet.

Il mondo intorno a lei si dissolse in un vortice nero. Cadde, pesante e inerte, come un corpo privo di vita, inghiottita dall'abisso del suo stesso terrore.

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Diciassette luglio duemilaventitre Sliding Doors #1 3.30 di mattina, fa caldo anche dopo una doccia.

Penso che dovrei cercare di alzar...

Buio.

9.00 di mattina, sole ed una bella freschezza soffia attraverso le strade e le case.     Il centro del paese è come al solito popolato dai quotidiani avventori abituati a passeggiare in centro mossi dalle più disparate esigenze.  Chi deve andare in farmacia, “sai mio marito ha terminato le aspirine”,                             chi deve andare dal macellaio, “ ho finito le bistecche, ma già che ci sono prendo anche il formaggio”                                                                                                                               chi deve prendere le sigarette ma anche il giornale,                                                       chi esce per fare quattro chiacchiere, “ perchè in casa non so che fare”. Quasi tutti hanno come abitudine di fermarsi al bar dell'angolo per un intermezzo con un caffè, un succo, una bibita fresca. 9.30 qualcuno lancia delle occhiate verso la piazza , qualcosa non quadra ma non riesce a capire immediatamente. “   Non hanno ancora aperto” osserva quello che è parcheggiato sulla bicicletta di fianco alla panetteria dalle otto del mattino, accennando con un gesto del mento all'indirizzo del bar. “ Avranno fatto tardi ieri sera” suggerisce una signora appena uscita con un sacchetto di pane. “Ho sentito che ieri sera hanno litigato un'altra volta e se n'è andata a casa”. “Ah quindi deve aprire lui? ” aggiunge un ragazzotto appena arrivato e conclude: “ adesso dove andiamo a bere il caffè?” Sliding Doors #2 Il via vai continua con lo schema classico dei paesi, momenti deserti subito sostituiti da momenti di intenso traffico. Un uomo ben vestito si ferma davanti all’ingresso del bar, compone un numero sul cellulare e attende guardandosi intorno.

“ Ehi, Bistèk ! Come va? “ domanda una signora con i capelli corti biondi che sembra uscita da un centro profughi.

“ Non c’è male, e tu, sempre sbarazzare cantine? “

“ Sì ma adesso non interessa più a nessuno! “ risponde sconfortata la donna e aggiunge “ cosa fai qui impalato? “

“ E’ il mio giro settimanale per raccogliere ordini ma a quanto vedo oggi qui non concludo niente“ risponde sconsolato il rappresentante

“ Succede ogni tanto ma quasi sempre in tarda mattinata aprono, altrimenti di solito mettono un biglietto di avviso per la chiusura momentanea “

“ Va bè, ho un altro appuntamento, devo scappare, ci vediamo! “ conclude l’uomo avvicinandosi alla sua macchina. La donna saluta con un cenno della mano e prosegue immersa nei suoi pensieri. Dall’altra parte del paese, una casa sta vivendo la stessa situazione. Finestre chiuse, persiane chiuse, porte chiuse, nessun segno di vita. Del resto nelle piccole realtà  è una situazione molto frequente negli ultimi tempi.

Sliding Doors #3

“ Hai telefonato al papà? “ chiese Alice mentre si schermava gli occhi dal sole e cercava di guardare quella figura che troneggiava ai suoi piedi, era sdraiata a prendere il sole.

Théo si sfregò le mani tra i capelli bagnati scuotendo la testa.

“ Non ancora, adesso starà lavorando e io devo andare in barca con Lucas ! Lo chiamo stasera che sarà a casa, promesso! “ rispose e subito si girò scattando di corsa verso il mare.

“ Ehi ricordati di fargli concludere la faccenda con l’avvocato, non voglio alti pensieri! gli urlò contro Alice e poi si rivolse verso la nonna sotto l’ombrellone:

“ Potrebbe costarci altri soldi oltre a quelli spesi per il divorzio! “

La nonna guardò il mare e rimase indifferente, come faceva con tutto da quando era rimasta vedova. Si accontentava che quel nipote bellissimo fosse rimasto in famiglia, per il resto chi se ne frega. Infatti non aveva neppure compreso cosa avessero combinato Théo e suo padre per farla arrabbiare così tanto. Sembrano tutti e due calmi e tranquilli che dover chiamare persino un avvocato ! E sentire parlare di tribunali , mai successo nella sua vita.

Era l’inizio primavera quando Alice con gli occhi fuori dalle orbite entrò in casa e disse che Théo e suo padre, UFF ! Suo padre ! Il suo papi, aggiunse con fare lagnoso, loro due, che ultimamente sembrava avessero trovato una vera intesa, erano stati citati in giudizio da una non meglio conosciuta società ed erano stati accusati di diffamazione verso uno dei loro prodotti. Come se non bastasse erano stati chiamati a comparire in aula del tribunale davanti a un giudice, ovviamente accompagnati da un avvocato.

Avvocato che costa! E la sentenza? Chi può dirlo. Ah ma io non spenderò un centesimo! Che imparino a vivere.

“ Mamma ti serve qualcosa? ma senza aspettare una risposta si alzò

“ Vado a fare una passeggiata” concluse e se ne andò sotto il sole”.

Sliding Doors #4

“ Mamma, è a casa la zia?” chiese Thérèse sbirciando dalla finestra spostando la tendina con le sue dita affusolate.

Guardava indagatrice quelle finestre sbarrate al di là del cortile e si chiedeva come mai non erano ancora aperte e la zia Anna in cortile a pulire e incerare qualche mobile. L’aveva sempre ammirata quella zia che si spaccava in quattro per gli altri e non era abbastanza per se stessa. Ricordava di quando andava a scuola e la zia Anna tutti quegli anni le faceva da autista portandola e riprendendola tutti i giorni e concludeva il viaggio sempre con la stessa frase “ come sei bella!”. E comunque aveva cominciato a chiedersi, d’accordo la zia è un pò particolare, ma anche il suo Jerome è parecchio strano però.

“ Mi sembra d’averla vista rientrare presto ieri sera, questo vuol dire che avevano litigato e che quindi se ne starà rintanata in casa per un paio di giorni.

Mi chiedo come Jerome la possa sopportare!” rispose con un velo di ironia la madre.

“ D’altra parte stasera e domani il bar rimane chiuso e avranno tutto il tempo per schiarirsi le idee”. concluse Brigitte mentre finiva di interrare l’ultima piantina di Fucsia, nel pomeriggio sarebbe arrivato il giardiniere e avrebbe fatto appendere i vasi vicino al porticato dove avrebbero fatto un disegno colorato con il Glicine di fianco alle colonne.

Sliding Doors #5

Driiiiinnnn Driiiinnnn 

Lo schermo del telefonino illumina con la sua luce fioca il comodino di Anna, proiettando ombre inquietanti sulle pareti della stanza buia. 

Driiiiinnnn Driiiinnnn 

“Adesso chi è?” si chiede Anna mettendo il naso fuori dalle coperte con estrema riluttanza, facendo una smorfia di fastidio mentre cerca di sopportare il trillo insistente del telefono che come un picchio impazzito perforava la sua testa dolorante. 

“Uff, mia sorella! La chiamo dopo” 

e si rintana di nuovo sotto le coperte, cercando rifugio nel calore familiare.

“Mia sorella! Cazzo vuole a quest'ora! E quello là figurarsi se si degna di chiamare, non l'ha mai fatto, aspetta sempre che sia io ad andare là a riverirlo come una serva! LUI deve venire qui altrimenti non muovo un dito, questa volta basta!“ 

Era attraversata da un fiume impetuoso di rabbia incontrollabile, al punto tale che certe volte si trasformava in tremori violenti e pianti disperati che sembravano non avere fine.

“Ogni singola volta la stessa maledetta storia. Dice che sono io quella che va via e invece è lui che mi caccia via con i suoi comportamenti! Con i suoi modi cafoni da persona incivile, la sua arroganza insopportabile, la sua prepotenza che non conosce limiti!! Perché continuo ostinatamente a mettermi sempre con uomini del genere? Cosa avrò mai fatto di male nella vita per meritarmi questo?”

Nel buio più totale della stanza allungò la mano tremante per cercare a tentoni un fazzoletto di carta, asciugarsi gli occhi gonfi di pianto e poi buttarlo con rabbia a terra, ad unirsi agli altri a formare un tappeto bianco intriso di dolore e delusione. 

“Ogni dannata volta mi promette solennemente che non succederà più ma invece eccomi qui di nuovo, a piangere da sola nel letto come una stupida ad aspettare un minimo segno che dimostri che non sono completamente invisibile ai suoi occhi! Poi io, come al solito, lo implorerò disperatamente e lui si degnerà di venire qui, sempre dopo estenuanti preghiere, e io, come una perfetta idiota, accetterò ancora una volta le sue scuse vuote! MI ODIO PROFONDAMENTE PER QUESTO!”

Proruppe in una nuova serie di singhiozzi incontrollati e si rintanò completamente in lacrime sotto le coperte serrando gli occhi con forza, cercando di sfuggire alla realtà che la circondava.

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Anche quest’anno l’anno prossimo cambio vita. Dico a me stesso mentre guardo il riflesso nel vetro appannato della finestra. Le stesse promesse, le stesse illusioni che mi rincorrono da anni. Eppure, ogni volta sembra che ci sia una qualche forza invisibile che mi frena, come se avessi paura di quel “nuovo” che tanto desidero.

Inizio a scrivere la lista delle cose da fare: nuovi hobby, viaggi, magari un lavoro che mi faccia veramente sentire vivo. Ma poi, come sempre, arriva il lunedì mattina, il suono della sveglia e la routine che mi risucchia in un vortice di impegni e doveri.

E allora mi ritrovo di nuovo qui, a sognare ad occhi aperti, ripetendo il mantra del “l’anno prossimo” mentre prendo un caffè, dimenticando il senso di avventura che una volta pulsava dentro di me.

Forse questa volta, però, voglio provare a cambiare qualcosa realmente. Non solo parole, non solo sogni, ma atti concreti. Magari iniziare con piccole cose: un libro che non avrei mai pensato di leggere, una passeggiata lungo il fiume, nuovi amici da incontrare.

Mi dico che questo sarà l’anno della svolta, che basterà un passo per cominciare. Eppure, c’è sempre quel timore di fallire, quella voce che sussurra che è più facile rimanere nella zona di comfort.

Ma poi ripenso a tutti i momenti persi, a quante avventure non ho vissuto. E sotto questa luce, un po' di coraggio inizia a farsi spazio. L’anno prossimo voglio cambiare vita: non solo per me, ma anche per gli altri. Perché, chissà, magari ispirando qualcuno, potrei trovare la mia strada.

E così, mentre osservo il cielo che si tinge di colori, decido che quest’anno sarà diverso. Inizio a muovere i primi passi, per quanto imperfetti possano essere, con la speranza nel cuore e un sorriso sulle labbra. Perché il cambiamento, alla fine, comincia sempre da una piccola scelta.

Le parole che utilizziamo spesso sembrano perdere significato quando le ripetiamo in contesti diversi. Il desiderio continuo di successi e traguardi sui social può creare un’enorme pressione per mantenere un’apparenza di perfezione, mentre in realtà dietro questa facciata si nasconde spesso disagio, inadeguatezza e insoddisfazione. Cerca di essere autentico con te stesso e con gli altri. Accetta i tuoi sentimenti, compresi quelli di disagio e insicurezza, senza giudicarli.

Non credo che gli anni a venire saranno gentili con noi. Credo infatti che saranno sempre più complessi e ci porranno davanti a prove sempre più difficili da superare. Quindi, riconsidera il concetto di successo e traguardi, ponendo maggiore enfasi sul benessere emotivo e sulle relazioni invece che solo sugli obiettivi esterni.

È importante riconoscere che la complessità e le sfide della vita non possono essere ridotte a semplici successi individuali o a una serie di traguardi raggiunti. Anche di fronte alle prove più dure che ci attendono, temo che spesso ci difendiamo con strategie inadeguate, erigendo muri protettivi o gonfiando il nostro ego, anziché affrontare apertamente il disagio e l’incertezza che proviamo. Ho sempre cercato di dimostrare il mio impegno e la mia bravura in quello che credevo ma arrivi ad un certo punto che capisci che non hai più bisogno di dimostrare alcunché.

I tempi in cui viviamo ci costringono ad avere una capacità di adattamento all’umanità senza precedenti. Ogni 10 anni, per sopravvivere in maniera almeno dignitosa, siamo costretti a riorganizzare gran parte dei nostri comportamenti. Fino a 30 anni fa questo era un compito che si verificava una sola volta nella vita di una persona. E posso dirlo in prima persona!

Anni fa riuscivo, studiando, a capire le tendenze del mio settore, cambiare rotta e adeguarmici. Oggi questa cosa mi riesce impossibile da capire.

Le abitudini, le mode, le tendenze, anche le più consolidate, possono mostrare segni di cedimento, e questa rottura inevitabile però può essere vista come un’opportunità per la crescita e la trasformazione personale ma non sono più prevedibile a lungo termine. In questo modo pur vivendo nel presente, unico punto di certezza, è importante riconoscere le sfide, le contraddizioni e i disagi che inevitabilmente emergono nel percorso della vita. I social sono un immenso pozzo di informazioni da usare, non dico bene, ma da usare per uno scopo. Come insegna la mia fisioterapia neurocognitiva, il cervello smette di funzionare se non ha uno scopo. Se uso i social ore e ore per nulla, anche il mio cervello si sintonizza sul nulla.

Quindi, usiamo i social per imparare, per comunicare, per esprimerci, ma non lasciamoci assorbire dal nulla.

Penso che dovremo bandire dal vocabolario la frase “non ne ho voglia” perchè la velocità dei cambiamenti ti farà sembrare di essere sempre in corsa per rincorrere un treno che è ormai inevitabilmente passato.

Questo perchè dovrò necessariamente cambiare vita e in fondo la fatica e la lotta per sopravvivere mai come in questo frangente mi farà sentire VIVO.

In conclusione, è fondamentale cercare un equilibrio tra l’apparenza di successo e la realtà delle sfide umane, riconoscendo la complessità delle emozioni e la necessità di trovare uno sbocco per il disagio interiore, in modo da affrontare le prove future con autenticità e coraggio.

Consigli Consigli pratici in fondo sono sempre i classici ma vale la pena ricordarli: stabilisci limiti di tempo per l’uso dei social media e cerca di rispettarli. L’eccesso di tempo trascorso online può contribuire a sentimenti di inadeguatezza e insoddisfazione.

Segui account e pagine che promuovono un’immagine positiva e autentica, evitando contenuti che possano generare sensazioni di confronto o insicurezza.

Dedica del tempo ogni giorno a riflettere su ciò per cui sei grato. La gratitudine può aiutare a contrastare i sentimenti di inadeguatezza e insoddisfazione.

Dedica del tempo a attività al di fuori dei social media che ti portano gioia e soddisfazione, come passeggiate all’aperto, hobby o incontri con amici, frequenta “il bar” oggi è passato di moda.

Ricorda che ciò che viene condiviso sui social media spesso rappresenta solo una parte della realtà. Cerca di mantenere una prospettiva realistica su ciò che vedi online.

Sii consapevole di come interagisci con gli altri sui social media. Promuovi la gentilezza e l’empatia nelle tue interazioni online.

Cerca di bilanciare il tempo trascorso a consumare contenuti sui social media con quello dedicato alla creazione di contenuti o attività che ti appassionano.

Con uno sguardo al passato e uno al futuro come un Giano bifronte, una migliore gestione dei social potrà fornire degli ottimi spunti di appoggio e di aiuto nei prossimi anni.

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La dura realtà🧑🏻‍🦽‍➡️ Fino a quel fatidico diciassette luglio duemilaventitrè la mia vita era votata a quei sogni che in gergo lavorativo si chiamano “progetti”. I miei avevano cominciato a prendere forma un anno prima con il rinnovamento di tutte le macchine produttrici: il forno, lavastoviglie, lavabicchieri, la macchina del ghiaccio e altro, per concludersi nella primavera con il rifacimento del giardino e il bancone del bar. Un investimento non indifferente che sarebbe stato coronato con dei nuovi menù più intriganti per i clienti.

Non avevo fatto i conti con la dura realtà . I miei sogni erano solo momentaneamente accantonati ? Forse in attesa di un tempo più propizio per realizzarsi. Per ora mi nutro di piccoli successi coltivando la mia forza interiore. Le mie azioni, anche quelle più piccole, diventano la prova tangibile della mia perseveranza. In silenzio, senza clamori, costruisco la mia personale rivincita contro la dura realtà.

Le parole risuonano nella mia mente, come un mantra che scandisce il ritmo di un nuovo inizio. Non è una fuga dalla realtà, ma un viaggio verso una versione migliore di me stesso. Un percorso che richiede coraggio, determinazione e la consapevolezza che il cambiamento non avverrà in un batter d’occhio. I primi passi sono incerti, come quelli di un bambino. Ti frenano le vecchie abitudini e la paura dell’ignoto incombe.“Chi non vorrebbe cambiare vita almeno una volta?”

A me è stata data questa possibilità. Da un lato mi piacerebbe cambiare aria, scoprire nuovi posti ed incontrare nuove persone. Dall’altro mi sento legato alla mia casa, ai miei ricordi e alle mie abitudini.

Riuscirò ad essere felice altrove o mi pentirò della mia scelta ?

Per questo ho deciso di pianificare tutto del mio possibile trasloco, anche se solo a livello teorico. Così, mi sembra di avere più controllo sulla situazione e di evitare di perdere tempo in discussioni infinite con me stesso o con gli altri.

Ormai è vicino il momento di fare il grande passo. La mia situazione economica è un altro fattore che spinge verso questa soluzione. La pensione che ho ricevuto mi basta appena per vivere. Se non vendo qualcosa non so come posso permettermi di continuare a stare qui. Mi sento in trappola, senza via d’uscita, ma sono certo che andandomene non sarei più costretto a vedere ogni giorno ricordi che vorrei dimenticare.

Ho deciso di godermi quest’anno come un anno sabbatico, in cui mi concedo il tempo di riflettere, di sognare, di viaggiare e pensare più a me stesso. Un anno in cui mi apro a nuove esperienze, amicizie e a nuove opportunità. Un anno che segna la fine di una vita e l’inizio di un’altra. Avrò le idee più chiare e saprò cosa fare, se cambiare la mia vita o accettarla così com’è.

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Oggi inizia il terzo mese di malattia insieme al terzo mese di degenza.

Posso fare un ulteriore riassunto basato su un arco temporale più lungo.

Tenendo conto della mia ignoranza in materia diciamo che sono partito da zero, cioè paralizzato, vale a dire immobile.

In poco meno di due mesi mi hanno tirato in piedi, per la gran parte autonomo:

nel lavaggio quotidiano, nel vestirsi, nel mangiare…. Insomma nel quotidiano.

Nell’avvicinarsi della fine del ricovero posso permettermi di dire che questo era l’obiettivo principale, anche perché non ce ne saranno altri.

La mia gamba continuerà a sbattere, andrò a piedi solo in casa, non userò la mano destra, un poco il braccio e metà della mia giornata sarà dedicata al prepararmi per poter stare seduto.

Nessuno dei medici ha pensato a un finale diverso, ma io sì . Mi ero illuso che durante la fisioterapia gli esercizi facessero risvegliare dei muscoli immobili, che con gli esercizi si riattivassero le sinapsi.

Invece è solo la forza di volontà che mi fa muovere. Le sinapsi sono sempre morte e io cammino usando degli altri muscoli, faccio cose usando solo la mano sinistra e più di tanto il fisico non può fare.

Infatti al mio livello le dimissioni sono imminenti, questione di giorni, cosa che conferma il mio raggiunto limite al progresso.

Così sto cercando in tutti i modi di incastrare questo mio nuovo modo limitato di essere nel lavoro che mi attende a casa.

Lavoro nel senso di imparare a muovermi dentro nuovi spazi con le incognite nascoste in luoghi che conosco da quando sono nato e capire come potrei lavorare in queste condizioni.

Mezza idea ce l’avrei ma adesso voglio tornare al locale e vedere con i miei occhi prima di prendere qualsiasi decisione.

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Più gente viene a trovarmi e più ho l’impressione di avere una zavorra.

Chiarisco subito che questo non vale per le persone più vicine, con le quali non cambierei niente della mia vita ma parlo di quelli che conosco da tanti anni e che per diversi motivi li sento al telefono perché sono al bar, perché si sentono in dovere di venire a trovarti, quelli che alla fine ti ricordano chi eri.

Non sono più quello di prima, non potrei più esserlo, invece voi siete sempre quelli, con le stesse storie, le stesse battute, la stessa vita.

Tutto questo purtroppo, lo dico con dispiacere perché so che pensate alla vicinanza come una cosa positiva ma non mi aiuta.

Avrei bisogno di ricominciare daccapo, visto che devo imparare di nuovo a vivere in una maniera la più adeguata possibile alla mia condizione .

Però neanche devo dimenticare che non posso obbligare gli altri a tutto questo….. o sì? Mercoledì tredici settembre Come dicevano i detective nei romanzi gialli? Che due indizi fanno una prova.

Giovedì quattordici settembre Ecco che proseguo quello scritto due righe sopra: stamattina valutato da un consiglio di medici e il responso è che venerdì prossimo tornerò a casa.

I medici hanno detto che essendo ormai autosufficiente nella maggioranza delle operazioni quotidiane devo cominciare a misurarmi con la realtà domestica.

Potrò continuare la fisioterapia in ospedale venendo qui tre volte a settimana.

Non è stata proprio una novità perché sapevo che il termine dettato dall’Asl per i casi come il mio era di un paio di mesi di ricovero in fisioterapia, il traguardo l’ho raggiunto poi si può discutere su tante cose tipo “hanno bisogno di letti” ma sul fatto che da un fisico per metà paralizzato torni a casa in piedi non si discute.

Non nascondo che da una parte sono elettrizzato solo al pensiero, mentre dall’altra c’è un po’ di paura a misurarsi con una realtà completamente diversa.

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Scelte

Stamattina in fisioterapia ho affrontato un esercizio che mi ha ricordato i momenti in ospedale. È arrivato il momento di un vero e proprio confronto tra i metodi di prima e quelli di adesso.

Oggi ho cominciato a lavorare sull’alternanza del ginocchio destro e sinistro. Qui è riemerso il mio problema, lo “schema “ , che compromette un utilizzo libero e naturale non solo del ginocchio ma anche del piede.

Praticamente in ospedale hanno risolto il problema facendomi indossare un tutore al piede. Devo dire che ti dà la possibilità di camminare molto meglio, non striscio più il piede e sono molto più sicuro nella camminata. Quello che sto facendo a Crema è di raggiungere lo stesso risultato senza il tutore, il quale nonostante i suoi vantaggi ha il lato negativo che una volta che togli il tutore ricominci a camminare male come prima.

Così tutto questo si traduce nel fatto che dovrò decidere come continuare la fisioterapia. Cioè non è abbastanza avere i molteplici disagi che comporta un ictus ma nella mia beata ignoranza dovrei decidere se per me è meglio la terapia dell’ospedale o quella privata a Crema. Ancora decidere se abbandonare una terapia pagata dall’ ASL per passare a una pagata da me. Non ci si immagina neanche la mole di lavoro burocratico che comporta un evento come il mio, penso che l’opzione migliore è assumere un impiegato. Un breve elenco di impegni extra quasi quotidiani:

Operazione con prima banca per mutuo-casa

Operazione con ascomfidi per prestito

Operazione con seconda banca per mutuo statale post COVID

Operazione con seconda banca per chirografario con polizza infortuni

Operazione con l’ Assicurazione del prestito per apertura di sinistro

Circa una decina di visite mediche che vanno da ECG, TAC, alla visita dal medico monocratico per tagliando del parcheggio per disabili

Gestione degli appuntamenti di fisioterapia tra Crema e Cremona

Se dimentico qualcosa… peggio per me.

Io che immaginavo una malattia dove mi curavo, mi prendevo cura di me, riposavo tra una terapia e l’altra, pensavo di potere coltivare qualche hobby durante la convalescenza, impiegare la mia metà sana in qualche attività ricreativa che servisse a migliorare la mia condizione sia fisica che psicologica,

Tutti a dirti che devi stare tranquillo , non affaticare il cervello, sembra che siano tutti a prenderti in giro…. e devo anche ascoltarli!

Nessuno si rende conto che non è possibile?

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Casa dolce casa

A casa, tante cose, troppe. Non c’è tempo per fare tutto, vuol dire essere continuamente in attività, cosa improponibile.

Dalla mattina, circa sette sette e mezza, vai in bagno, ti lavi, ti vesti, quando esci sono circa le otto. Prepari la colazione, fai colazione, pulisci e hai già fatto le otto e mezza. qualche email, qualche telefonata, oggi per esempio ho telefonato in banca, all’ospedale per le terapie, messaggi di saluti da parenti o amici per finire. poi misuri la pressione , prendi le pastiglie del mattino, oggi un paio di visite da amici venuti a trovarti e sono già le 11. Sono arrivati due rappresentanti e si è fatto mezzogiorno. A questo punto prepari da mangiare, mangi e pulisci, vai in bagno lavi i denti e poi mi devo riposare un’oretta. Alle tre mezza circa visita parenti, poi cyclette aerobica e arriva l’ora di cena. questo tutti i giorni e c’è ancora altrettanta roba da fare. Giorni fasi sperava di partire con il piede giusto. Un ragazzo in cucina e uno in sala, nuovi di zecca, ci speravo molto. Ci avevo sperato ma è andata male. La situazione non è affatto rosea. Le soluzioni a parole ci sono e oltremodo facili ma tra il dire e il fare come si dice c’è un abisso. Mi sento impotente. Già dagli intervalli di tempo tra un pensiero e l’altro si capisce la disponibilità che ho di poter scrivere. Che poi si traduca in momenti di impegno o in momenti di ozio, il fatto è che come raccontavo poco tempo fa, non riesco a dedicarmi a pensare. Però cominciano a delinearsi le prime, chiamiamole, “regioni “ della mia giornata tipo: igiene e vestizione, nutrimento, esercizi fisioterapici, riposini e da quando sono a casa non manca mai un pianto a dirotto. L’obiettivo è di poter mettere in fila tutto questo per poi poter trovare spazio per altro. Altro che arriverà con la forza di un ciclone non appena si riaprirà il locale. In fondo si tratta di essere positivi e ottimisti, per essere tristi c’è sempre tempo, tanto basta un attimo. Mi capita di ridere o di intravedere una speranza che subito dopo un irrefrenabile pianto ti spegne il sorriso.

Ecco perché scrivo, un pensiero è volatile e leggero come una nuvola, si dimentica in fretta e visto che il mio tempo a disposizione è al 90% di pensieri….non voglio che venga sprecato.

Mattina con cielo bigio, freschetto, siamo pronti per partire alla volta di Crema dove comincerò un’altra ora di fisioterapia. Tutto tranquillo, soliti esercizi tranne uno. Non era molto diverso da altri che avevo fatto con la mano ,mentre sono con gli occhi chiusi mi mette un oggetto nella mano destra e con l’altra devo trovare in un insieme caotico, l’oggetto corrispondente. Di solito finisce quando trovi l’oggetto, bravo bravo va bene ecc ecc. oggi invece si trattava di una mezza sfera, dopo aver trovato la coppia mi aiuta ad avvicinare le mani con le mezze sfere al centro del corpo e quindi di unirle.

Appena dopo mi dice di aprire gli occhi.

Quando ho realizzato che le mie mani stavano stringendo una sfera senza le sue solite mani che reggevano il mio braccio malato, mi sono talmente emozionato che sono scoppiato in un pianto liberatorio.

Domani lo faremo ancora e ancora….

Per questo oggi non ho voglia di dormire ma di ripensare a quel momento che nella sua semplicità è stato magico. Nel frattempo ha finalmente chiamato la casa di cura per cominciare la fisioterapia in ospedale. Mentre in ospedale vieni guidato dal medico di turno e gli esercizi li fai perché ti dicono di farli, a Crema invece, sta tutto sulla tua forza di volontà. Il che è molto simile alla vita reale, quello che ti aspetta lo dovrai affrontare e superare con le tue forze.

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Conto alla rovescia

Ogni tanto, senza nessun motivo apparente, mi scopro a invidiare qualcuno che sta semplicemente camminando. Questo mi ha fatto venire in mente che una volta a casa ne vedrò a centinaia, un numero talmente alto che non potrò invidiare tutti ma dovrò difendermi , come? Semplicemente dicendo che se il destino ha voluto che restassi in vita è per vedere ancora quanto sei ignorante. Nuovo compagno di stanza. Nella mia degenza ne ho cambiati ben quattro. Ho capito che solo io svuoto il bagno dopo averlo usato, questo ha messo le cose come fosse a casa sua. Si è piazzato con la sedia in mezzo alla stanza a guardare la tv. Eh no caro mio, devo muovermi con la sedia a rotelle, pensa che ho dovuto diglielo dopo che mi ero piazzato davanti cercando di raggiungere il mio letto. Intanto è arrivato lunedì pomeriggio, finito la palestra e sarà un’altra sera in meno da fare qua dentro. Sembra che oggi non debba mettere più le calze antitrombo. Invece la battaglia delle calze continuerà! Gli OSS sono sul piede di guerra ma intanto oggi non le ho indossate. Sta cominciando ad arrivare la misura dello stress che dovrò affrontare a casa. Tutti i giorni fisioterapia, di cui tre volte in struttura a Cremona e due a casa mi permetteranno di coprire, come qui in struttura, cinque giorni di terapia su sette. Più o meno sarà una routine che dovrà andare avanti fino all’anno prossimo, alla fine dell’estate. All’incirca un’ora e mezza forse due di ginnastica ogni giorno, per tutt’e quattro le stagioni, un impegno minimo per tre/quattro ore al giorno. Sembra facile? Avessi solo questo forse sì, invece bisogna aggiungere il lavoro. Lavoro che prima dell’evento riempiva tutta la giornata, tutti i giorni, tutto l’anno. Insieme a questo devo aggiungere il tempo per l’igiene personale e quello per l’alimentazione. Penso che qui nessuno si rende conto a cosa si andrà incontro.

ko-fi.com/enricofulvio

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