norise

Canto per Nkosi

(In memoriam)

– A Nkosi Johnson, morto a 12 anni, il I° giugno 2001, a Johannesburg. Nato sieropositivo, fu scelto come testimonial contro il morbo dell'AIDS.-

colei che ti diede vita

la sai madre di cielo

bambino che hai corteggiato la morte –

tu messo in un angolo come vergogna

(lo sguardo orfano rapito

in vastità di cieli) presto non più

che mucchietto d'ossa – Nkosi

sei la nostra Coscienza:

e violentaci dunque nel profondo – tu

con la purezza di un breve mattino

mentre questa morte – vedi –

già s'ingemma di sole

Felice Serino

Da Fuoco dipinto, 2002 –

Commento di Luca Rossi

Pensare che quella di Felice Serino sia un'opera che mira solamente all'esaltazione isolata e semplicistica di un sentimento è cosa da poco; il poeta infatti cerca di attrarre il lettore verso il nucleo del dramma e della sua autenticità, mettendo in risalto la sofferenza che deriva da una presa di coscienza non tanto del vuoto lasciato da chi ora non c'è più, ma di chi ha fatto da spettatore a quanto andava accadendo.

Nella poesia il vero morto non è Nkosi, ma colui che rimane indifferente davanti alla denuncia di chi scrive, nel proprio “non-voler-fare” perché ciò possa “non-accadere”. A quali persone si rivolga in particolare il poeta non è dato saperlo. Forse ai potenti della terra che manipolano i commerci, in unione con le grosse multinazionali, come quelle farmaceutiche, per evitare morti precoci, o forse più semplicemente, a tutti noi (lo dice lui stesso: “Nkosi, sei la nostra Coscienza…”).

E' la coscienza di chi non ha mai visitato, almeno una volta nella sua vita, le piazze delle grandi città, nelle quali ogni anno vengono distese al suolo le coperte con incisi i nomi dei figli, degli amici, dei compagni e delle compagne morti a causa dell'AIDS. E' la coscienza di chi non ha mai stretto tra le mani, nelle stesse piazze, una candela accesa per ricordare gli uomini e le donne scomparse mentre viene letto il loro nome; persone magari sconosciute, verso la cui morte però non ci si può dimostrare non solidali. E' la coscienza di quelli che non hanno mai voluto possedere un simbolo (come il fiocco di stoffa rossa a forma di “A”) il cui significato testimonia quella solidarietà umana verso coloro che saranno o sono già stati falciati dalla malattia. E' anche la coscienza di colui che pensa di ritenersi immune per sempre da essa, o di chi addita le ragioni di quest'inferno terreno riconoscendone nella devianza una delle cause.

La morte di Nkosi per il poeta resta quindi un pretesto per indicare i veri morti, perché chi vive la malattia è colui che riscopre nella sua predestinazione a scomparire il senso vero ed estremo del vivere.

Così il poeta confonde il tutto facendoci notare quella “purezza di un breve mattino” al quale dobbiamo volgere lo sguardo per ritrovare l'innocenza e la verità perdute o dimenticate: quelle certe di Nkosi che non sono venute mai meno, ma anche, come nel primo caso, le nostre. Lui (Nkosi) ci fa da guida.

Apposta il poeta confonde, perché desidera lasciarci scoprire se continuare ad essere dei morti tra coloro che continuano a vivere o persone vive che prendono coscienza di quella morte che ci renderà tutti uguali.

E' un monito duro ma schietto, che non bada a mediazioni di sorta, perché deve risvegliare la voglia di comprendere il dolore ed il perdono verso chi sta all'origine di tale dramma, come in questo caso lo furono i genitori che, da datori di vita, hanno implicitamente segnato la condanna del proprio figlio.

Anche noi così forse riusciremo un giorno a vedere, se saremo in grado di farlo, quel sole che, nei versi con i quali si chiude l'opera, risplende sulle tenebre della morte che presto o tardi ci raggiungerà, rivolgendo i nostri occhi alla resurrezione di Johnson: l'unico vero sole che resterà anche quando l'astro che ci illumina estinguerà per sempre la sua luce.

.

I FUOCHI DELLA LUNA

(a cura di Luca Rossi)

coi fuochi della luna bivaccanti nel sangue

baluginare d'albe e notti che s'inseguono

dentro il mio perduto nome

per le ancestrali stanze un aleggiare di

creatura celeste che a lato mi vive

nella luce pugnalata

[da Fuoco dipinto – 2002, edizione dell'Autore]

*

Dire se i fuochi della luna siano cosa reale o meno, non possiamo affermarlo con certezza.

Ma se per un momento, come fa il poeta, cerchiamo rifugio nella notte, allora potremmo vedere anche noi questi fuochi prima di oltrepassare la sottile linea che ci divide dal razionale, per inseguire un delirio che ci faccia sentire diversi da ciò che eravamo, fino al mezzogiorno di un incubo che prende il nome dalla vita di tutti i giorni dalla quale fuggire per un istante.

Ordinaria follia di un giorno che si vorrebbe esorcizzare, per superare il confine in cui la mente si libera da opprimenti istanze, dove fiumi di sangue scorrono davanti ai nostri occhi per avere accoltellato la luce tra un inseguirsi rapido di albe e di notti (come dice il poeta) in cui vivere o lasciarsi morire.

Già, perché non c'è modo di liberarsi del giorno che uguale ritorna ogni volta per vederci protagonisti di un tempo che ci tiene prigionieri.

Notte senza maschere quella in cui viviamo per scendere dal palcoscenico e restituire i soldi del biglietto allo spettatore seduto, ora che le parti si invertono, adesso che la vita ha cambiato il suo gioco.

Vaghiamo da una stanza all'altra aprendo porte chiuse alla luce e spalanchiamo finestre che danno ancora sulla notte dell'Io, dove il calcolo dei giorni scaduti è di gran lunga superiore a quello dei traguardi che si sarebbero voluti raggiungere.

Una figura mi è sempre accanto. Conosce il mio nome: ultimo tentativo tra coscienza e oblio di recuperare ciò che restava del mio corpo ucciso, lasciato nel sangue tra gli ultimi fuochi di una luna ancora malata.

CIELO INDACO

confondersi del sangue con l'indaco

cielo della memoria dove l'altrodi-

me preesiste – sogno

infinito di un atto d'amore

*

Commento critico di Luca Rossi

Ottobre 1999

E' l'attesa l'elemento fondamentale che si evidenzia in questo scritto.

Un'attesa-sogno che va a rivelarsi in ciò che già comunque in un certo modo sussiste: “. . .di me preesistente”.

Si chiude con la poesia l'inizio della vita, quell'atto d'amore che ci ha generati per essere attesi là dove già era collocato il nostro posto.

E non c'è dubbio sulla nostra nascita perché la memoria è un cielo color indaco che aspetta solo il confondersi del nostro sangue con esso, perché tutto si possa realizzare come predestinato, come preesistente.

E oltre l'attesa, anche il desiderio.

E' un sogno potere credere che un giorno qualcuno verrà, farà parte di questo cielo dove memoria è uguale a realtà vissuta ma allo stesso tempo che deve ancora venire (l'altro di me ed io futuro).

Quattro versi per descrivere un'attesa così lunga.

Quattro versi per descrivere un desiderio che sembra non avere mai fine. Quattro semplici versi per ricordarci che non più lunga deve essere l'intensità che si prova riflettendo su di essi.

.

Canto per Nkosi

(In memoriam)

– A Nkosi Johnson, morto a 12 anni, il I° giugno 2001, a Johannesburg. Nato sieropositivo, fu scelto come testimonial contro il morbo dell'AIDS.-

colei che ti diede vita

la sai madre di cielo

bambino che hai corteggiato la morte –

tu messo in un angolo come vergogna

(lo sguardo orfano rapito

in vastità di cieli) presto non più

che mucchietto d'ossa – Nkosi

sei la nostra Coscienza:

e violentaci dunque nel profondo – tu

con la purezza di un breve mattino

mentre questa morte – vedi –

già s'ingemma di sole

Felice Serino

Da Fuoco dipinto, 2002 –

Commento di Luca Rossi

Pensare che quella di Felice Serino sia un'opera che mira solamente all'esaltazione isolata e semplicistica di un sentimento è cosa da poco; il poeta infatti cerca di attrarre il lettore verso il nucleo del dramma e della sua autenticità, mettendo in risalto la sofferenza che deriva da una presa di coscienza non tanto del vuoto lasciato da chi ora non c'è più, ma di chi ha fatto da spettatore a quanto andava accadendo.

Nella poesia il vero morto non è Nkosi, ma colui che rimane indifferente davanti alla denuncia di chi scrive, nel proprio “non-voler-fare” perché ciò possa “non-accadere”. A quali persone si rivolga in particolare il poeta non è dato saperlo. Forse ai potenti della terra che manipolano i commerci, in unione con le grosse multinazionali, come quelle farmaceutiche, per evitare morti precoci, o forse più semplicemente, a tutti noi (lo dice lui stesso: “Nkosi, sei la nostra Coscienza…”).

E' la coscienza di chi non ha mai visitato, almeno una volta nella sua vita, le piazze delle grandi città, nelle quali ogni anno vengono distese al suolo le coperte con incisi i nomi dei figli, degli amici, dei compagni e delle compagne morti a causa dell'AIDS. E' la coscienza di chi non ha mai stretto tra le mani, nelle stesse piazze, una candela accesa per ricordare gli uomini e le donne scomparse mentre viene letto il loro nome; persone magari sconosciute, verso la cui morte però non ci si può dimostrare non solidali. E' la coscienza di quelli che non hanno mai voluto possedere un simbolo (come il fiocco di stoffa rossa a forma di “A”) il cui significato testimonia quella solidarietà umana verso coloro che saranno o sono già stati falciati dalla malattia. E' anche la coscienza di colui che pensa di ritenersi immune per sempre da essa, o di chi addita le ragioni di quest'inferno terreno riconoscendone nella devianza una delle cause.

La morte di Nkosi per il poeta resta quindi un pretesto per indicare i veri morti, perché chi vive la malattia è colui che riscopre nella sua predestinazione a scomparire il senso vero ed estremo del vivere.

Così il poeta confonde il tutto facendoci notare quella “purezza di un breve mattino” al quale dobbiamo volgere lo sguardo per ritrovare l'innocenza e la verità perdute o dimenticate: quelle certe di Nkosi che non sono venute mai meno, ma anche, come nel primo caso, le nostre. Lui (Nkosi) ci fa da guida.

Apposta il poeta confonde, perché desidera lasciarci scoprire se continuare ad essere dei morti tra coloro che continuano a vivere o persone vive che prendono coscienza di quella morte che ci renderà tutti uguali.

E' un monito duro ma schietto, che non bada a mediazioni di sorta, perché deve risvegliare la voglia di comprendere il dolore ed il perdono verso chi sta all'origine di tale dramma, come in questo caso lo furono i genitori che, da datori di vita, hanno implicitamente segnato la condanna del proprio figlio.

Anche noi così forse riusciremo un giorno a vedere, se saremo in grado di farlo, quel sole che, nei versi con i quali si chiude l'opera, risplende sulle tenebre della morte che presto o tardi ci raggiungerà, rivolgendo i nostri occhi alla resurrezione di Johnson: l'unico vero sole che resterà anche quando l'astro che ci illumina estinguerà per sempre la sua luce.

I FUOCHI DELLA LUNA

(a cura di Luca Rossi)

coi fuochi della luna bivaccanti nel sangue

baluginare d'albe e notti che s'inseguono

dentro il mio perduto nome

per le ancestrali stanze un aleggiare di

creatura celeste che a lato mi vive

nella luce pugnalata

[da Fuoco dipinto – 2002, edizione dell'Autore]

*

Dire se i fuochi della luna siano cosa reale o meno, non possiamo affermarlo con certezza.

Ma se per un momento, come fa il poeta, cerchiamo rifugio nella notte, allora potremmo vedere anche noi questi fuochi prima di oltrepassare la sottile linea che ci divide dal razionale, per inseguire un delirio che ci faccia sentire diversi da ciò che eravamo, fino al mezzogiorno di un incubo che prende il nome dalla vita di tutti i giorni dalla quale fuggire per un istante.

Ordinaria follia di un giorno che si vorrebbe esorcizzare, per superare il confine in cui la mente si libera da opprimenti istanze, dove fiumi di sangue scorrono davanti ai nostri occhi per avere accoltellato la luce tra un inseguirsi rapido di albe e di notti (come dice il poeta) in cui vivere o lasciarsi morire.

Già, perché non c'è modo di liberarsi del giorno che uguale ritorna ogni volta per vederci protagonisti di un tempo che ci tiene prigionieri.

Notte senza maschere quella in cui viviamo per scendere dal palcoscenico e restituire i soldi del biglietto allo spettatore seduto, ora che le parti si invertono, adesso che la vita ha cambiato il suo gioco.

Vaghiamo da una stanza all'altra aprendo porte chiuse alla luce e spalanchiamo finestre che danno ancora sulla notte dell'Io, dove il calcolo dei giorni scaduti è di gran lunga superiore a quello dei traguardi che si sarebbero voluti raggiungere.

Una figura mi è sempre accanto. Conosce il mio nome: ultimo tentativo tra coscienza e oblio di recuperare ciò che restava del mio corpo ucciso, lasciato nel sangue tra gli ultimi fuochi di una luna ancora malata.

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CIELO INDACO

confondersi del sangue con l'indaco

cielo della memoria dove l'altrodi-

me preesiste – sogno

infinito di un atto d'amore

*

Commento critico di Luca Rossi

Ottobre 1999

E' l'attesa l'elemento fondamentale che si evidenzia in questo scritto.

Un'attesa-sogno che va a rivelarsi in ciò che già comunque in un certo modo sussiste: “. . .di me preesistente”.

Si chiude con la poesia l'inizio della vita, quell'atto d'amore che ci ha generati per essere attesi là dove già era collocato il nostro posto.

E non c'è dubbio sulla nostra nascita perché la memoria è un cielo color indaco che aspetta solo il confondersi del nostro sangue con esso, perché tutto si possa realizzare come predestinato, come preesistente.

E oltre l'attesa, anche il desiderio.

E' un sogno potere credere che un giorno qualcuno verrà, farà parte di questo cielo dove memoria è uguale a realtà vissuta ma allo stesso tempo che deve ancora venire (l'altro di me ed io futuro).

Quattro versi per descrivere un'attesa così lunga.

Quattro versi per descrivere un desiderio che sembra non avere mai fine. Quattro semplici versi per ricordarci che non più lunga deve essere l'intensità che si prova riflettendo su di essi.

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Nel segreto del cuore

tenere in serbo scomparti

colore del vento che oblìa

memorie: rossi

come il sangue della passione

verdi come le prime primavere

azzurri come il manto di madonne

custodirvi gocce di poesia

cavalli di nuvole ed arco

baleni –

le coordinate dei sogni – e

l'insaziato stupirsi della vita

da respirare su mari aperti

– che tenga lontano la morte

Felice Serino

  • * *

Nota a cura di Andrea Crostelli

luglio 2008

“Nel segreto del cuore” enumera ogni attaccamento dell'anima alle cose che ritiene essenziali.

L'impronta che ci caratterizza che vorremmo avere sempre davanti agli occhi per non perdere gli stimoli, gli entusiasmi.

Chi siamo e da dove veniamo… domande alle quali c'è bisogno di avere sempre una risposta pronta per non smarrirsi.

La morte, infatti, è la motivazione che viene a mancare, è l'assenza fatta di vuoto (non l'assenza dello “stupirsi” che è contemplazione, estasi, massima presenza).

Il “respiro su mari aperti” è laddove riusciamo ad essere liberi. Ad essere spettatori, a volte, di noi stessi. In quei frangenti possiamo meravigliarci della nostra persona come se venissimo a conoscerla improvvisamente, come il bambino che fa esperimenti e si compiace delle sue capacità e allora parla ad alta voce, parla a se stesso.

Raccontarsi con la poesia, progredire nel presente dello spirito che muove le cose, le inventa, le materializza, le valorizza, le sublima.

.

Commento a Il mondo le cose del mondo, di Felice Serino

a Padre Pio

il mondo le cose del mondo

ci devono scivolare addosso

come acqua – dicevi

mentre era un sorriso

interiore a illuminarti –

guaglio':

la casa del Padre è in fondo al tuo cuore

ma è il cuore

un campo di battaglia: a ogni giorno basta

la sua pena –

Da Il sentire celeste, 2006

*

Padre Pio parlava con semplicità di cose spirituali, ma c'è da lavorare, da togliere squame per andare all'essenzialità, per trovare sotto la carne tenera del cuore.

Ed il cuore è un campo di battaglia che gioca suo malgrado con le nostre falsità (falsifica il male per poi trovargli posto la mente/volontà distorta).

A ogni giorno basterebbe la sua pena e credo sarebbe perfetta letizia, ma si aggiunge un fardello troppo pesante sopra al cuore (il nostro orgoglio-egoismo) che soffoca i suoi veri battiti con un riverbero non più chiaro. La difficoltà del Dottore è quella di non poterti dire come stai, avendo tu interrotto il sistema di comunicazione via cuore che arriva come un segnale telegrafico non decifrabile. Bisogna cogliere allora il “suono allarmante” che indica il pericolo, la strada senza sbocco. Bisogna cogliere il lamento e risalire all'incrocio in cui abbiamo preso la via sbagliata.

Il cuore, in realtà, lo dobbiamo sentire da noi stessi – l'eco scandito dal suo battito, il pulsare dolce, soave, leggiadro che è lo stato di grazia al quale dobbiamo tendere. Il sorriso che esce dal cuore.

Andrea Crostelli

ACCOSTAMENTI A “CREATURA” DI FELICE SERINO

(riflessioni, riferimenti personali ed altro)

CREATURA

mi godo la luce

come farfalla

sul palmo della tua mano

Signore non posso

che offrirti il mio niente –

fragile creatura

ti devo una morte

Da Il sentire celeste, 2006

Quante morti, per non pensare a quella ultima, abbiamo reso a Dio?!… e, quindi, quante resurrezioni!

C'è un'intuizione strabiliante in questa poesia. Ovvero la figura della farfalla abbinata alla morte.

Qualche anno fa ho avuto il privilegio di seguire da vicino un ragazzino dodicenne malato di tumore (uno dei cancri più rari e tremendi). L'ultima volta che l' ho potuto portare davanti casa, semi-seduto su una sdraio, ho assistito a questa scena. Aveva una piaga sul ginocchio sinistro e, mentre si stava meditando il rientro, un nuvolo di farfalle bianche (le cavolaie) andò a posarsi su di lui e a baciare quella ferita.

Era coperto di farfalle, stettero in quel posto sacro, su quell'altare umano per minuti che sembravano eterni, prima di allontanarsi come uno sciame d'api venuto dal nulla. Era il segno che stava per essere accolto, dopo la morte, da quella luce straripante che in quegli istanti particolari ci aveva invaso. I giorni seguenti videro Samuele (così si chiamava) in coma. Un pomeriggio pensai che era il caso di portargli la comunione e pregare un po' insieme. In effetti si svegliò dal coma e pregò profondamente insieme a tutti i presenti (familiari e amici). Il mattino dopo sullo stradello che porta a casa sua trovai una cavolaia morta. Piombò dentro me il dolore della perdita assieme alla certezza consolante di avere un santo, ora presente, “solo” in maniera spirituale.

Le morti interiori a causa del male commesso sono l'offerta del nostro niente a Dio. Offerta per il rifacimento totale del nostro essere che cerca la vita nuova nella grazia.

La morte può essere intesa pure come liberazione dai pesi terreni, la zavorra che si stacca dal nostro corpo che acquista leggerezza e sale nel cielo pari a una farfalla e, delicatamente, va a cercare la mano che l' ha generato e vi si posa [per sempre].

C'è un altro significato che mi preme venga messo in luce. Quello che sta a dire: la mano del Signore mi ha salvato ora gli devo la vita (o meglio, quella gliela dovevo anche prima, ora gli “devo una morte”.

Andrea Crostelli

Insostanziale la Luce

insostanziale la Luce

nella carne si oscura

(energia fatta densa)

luce verde della memoria

scuote la morte:

il nocciolo del tempo

nel buio delle vene è universo

presto deperibile

– da La bellezza dell'essere, 2007 –

Felice Serino

*

La luce ha bisogno di arrivare, come nel tunnel di una galleria ha sempre fame d'aria, di libertà, dispazi aperti, di correre fluentemente a gran velocità.

Non appartiene a nessuna sostanza (insostanziale) la luce: nella carne, nella materia, si oscura, perde di forza, di energia, si appesantisce… La sostanza del tempo / nel buio delle vene è universo /presto deperibile, ma la memoria salva dalla morte, riesce a rendere vivi avvenimenti passati (luci)di gioie irripetibili che sembravano perse. Si tratta di una memoria spirituale che non è cancellabile, bensì eterna.

La poesia di Felice Serino è di una brevità lessicale e concentrazione di significati unica. Se dovessimo catalogarla tra terra cielo e mare, diremmo senza dubbio che è una poesia di cielo.

Andrea Crostelli