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from Cooperazione Internazionale di Polizia

I carabinieri tengono un Corso addestrativo all' OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) basato sulla simulazione della lotta alla tratta di esseri umani nei flussi migratori nella regione del Mediterraneo

Si è recentemente concluso presso il CoESPU dell' #Armadeicarabinieri di Vicenza il 1° Corso addestrativo dell' OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazion in Europa, la più grande organizzazione di sicurezza regionale al mondo) basato sulla simulazione della lotta alla tratta di esseri umani nei flussi migratori misti nella regione del Mediterraneo. Durante un'intensa settimana, oltre 50 operatori anti-tratta provenienti da Stati @OSCE (membri e Partner per la cooperazione) hanno praticato la risoluzione di casi complessi, il coordinamento multi-agenzia ed approcci incentrati sulla vittima.

Leggi tutto qui https://poliverso.org/display/0477a01e-1867-0aa3-1e0a-a19318480093

 
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from kafeneio

🎧 Una canzone da ascoltare mentre leggi il post: Major Tom (Coming home) di Peter Schilling.

Cosmic radiation

Eravamo dei grandissimi è un romanzo che dipinge una generazione dimenticata: quella dei ragazzi diventati grandi negli anni della dissoluzione della DDR. La narrazione segue le vicende di Daniel, Mark, Paul e Rico, alternando i ricordi dei dolci tempi dei pionieri ai frammenti delle folli e inconcludenti notti passate tra droga e microcriminalità, nell'incessante attesa di quei tempi migliori che tutti bramavano dopo “l'unificazione”.

Me lo sogno ancora adesso l'Eastside, e tutto quel periodo. Mi sembra quasi che l'anno dell'Eastside, anche se non è durato nemmeno un anno e prima erano già successe un mucchio di cose e tante ancora ne sono successe dopo, ecco, mi sembra che sia stato il periodo più lungo di quando eravamo ragazzi... o eravamo ancora bambini? E quando sogno di quell'anno, o ci ripenso, capisco che noi, allora, eravamo dei grandissimi.

Il punto forte del libro? A mio parere il titolo, di una potenza disarmante. Il titolo italiano, sia chiaro. Perché nell'edizione originale, Als wir träumten viene tradotto più o meno come Quando sognavamo. Bello ma forse non potente come quello dell'edizione italiana, che non è “eravamo grandissimi” ma “eravamo dei grandissimi”, e quel “dei” fa tutta la differenza del mondo. Dirlo ad alta voce fa quasi venire il magone, ripensando a qualcosa di struggente e mai vissuto.

Un libro monumentale e commovente. Non una passeggiata, ma un tuffo nella Storia.

Scopri la copertina e tutto il resto sul sito di Keller Editore.

 
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from radure

Diversi esperti sostengono che tenere un diario offre immensi benefici: accresce l'autoconsapevolezza, riduce lo stress, migliora la scrittura e aiuta a mantenere ordinati i propri pensieri. Molto probabilmente, il beneficio più importante della scrittura diaristica è quello di fissare i nostri pensieri, creare una memoria, e la memoria è probabilmente quanto di più umano possa esistere.

Cosa ci distingue dagli altri animali? L'anima, come affermano alcune religioni? L'intelligenza, come suggeriscono certe teorie scientifiche? Come se l'essere umano fosse l'unico capace di contare, risolvere problemi o provare emozioni. Chiunque conviva con un cane o un gatto sa bene che non è così. Piuttosto, è la nostra memoria e la capacità di trasmetterla attraverso il linguaggio e la cultura a renderci davvero unici, fornendoci un evidente vantaggio evolutivo. Senza memoria non esisterebbero né la religione né la scienza.

#memoria #diario #scienza #religione

 
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from Novità in libreria

Una corposa seconda rata per la settimana scorsa.

NARRATIVA:

  • PICCOLE COSE di Benoît Coquil (Ponte alle Grazie). Negli anni '50, in Messico, la curandera Maria Sabina usa per i suoi rituali dei piccoli funghi allucinogeni che lei chiama “le sue piccole cose”. A New York, due coniugi appassionati di micologia, scoprono le proprietà psichedeliche del fungo, e la scoperta fa il giro del mondo... Per saperne di più: scheda libro.
  • NOTTI INVISIBILI, GIORNI SCONOSCIUTI di Bae Suah (Add Editore). Un romanzo stranissimo (come la copertina della sempre lisergica Lucrezia Viperina): Ayami, che lavora in un teatro sonoro per non vedenti prossimo alla chiusura, parte in compagnia del suo ex capo alla ricerca di un'amica comune scomparsa. Il tempo si deforma come l'aria piegata dal calore di Seoul e il giorno si sovrappone alla notte, mentre la realtà si sfarina nell'onirico. Per saperne di più: scheda libro.

NOIR, GIALLI E THRILLER:

  • FINO A TOGLIERTI IL FIATO di Linwood Barkley (Nutrimenti). Il protagonista sprofonda nell'abisso dopo che la moglie è scomparsa senza lasciare traccia. La polizia non riesce a provare che c'è stato un omicidio, anche se lui è il primo sospettato. Dopo essersi rifatto una vita, anni dopo, ecco che compare al suo vecchio indirizzo una donna che assomiglia alla moglie scomparsa... Per saperne di più: scheda libro.

FUMETTI E GRAPHIC NOVEL:

  • LA DIVINA CONGREGA. CANTO V. IL MISTERO DEL BOCCACCIO di Marco Nucci, Giulio Antonio Gualtieri, Francesco Biagini e Paolo Gallina (Sergio Bonelli). La residenza della famiglia Boccaccio è avvolta da una strana atmosfera, e tutta la Divina Congrega deve scoprire cosa è successo a Dante Alighieri, scomparso mentre indagava sulla faccenda... Per saperne di più: scheda libro.
  • LE LANTERNE DI NEDZU di Rui Tenreiru (SaldaPress). Un fumetto molto strano, il cui protagonista è un grosso granchio combattente che stabilisce un legame morboso con il suo addestratore. Sul retro di copertina: “Questa è la storia di come un granchio geloso convinse il suo padrone a credere di essere l'amore della sua vita.” Volume unico, inserito in un elegantissimo cofanetto. Si tratta certamente una graphic novel “di nicchia”, che prende ispirazione dalle stampe giapponesi e dai manga “vecchia scuola”. Per saperne di più: scheda libro.

POESIA:

  • I CANTI DEL CUORE di Meister Eckhart von Hochheim (Il Pellegrino). Una raccolta di poesie che ha ben 700 anni, scritta da uno dei maggiori teologi e mistici del Medioevo. Per saperne di più: scheda libro.

SAGGISTICA:

  • RAZZA di Lino Leonardi (Il Mulino). Sottotitolo: Preistoria di una parola disumana. In questo piccolo libretto, l'autore ripercorre l'origine della parola “razza”, che rievoca ideologie e periodi bui della storia dell'uomo. Una curiosità: la parola nasce in Italia nel medioevo per identificare i vari tipi di cavalli. Una conferma in più della sua disumanità. Per saperne di più: scheda libro.
  • Sempre per Il Mulino, IL VIAGGIO PIÙ PERICOLOSO DELLA STORIA di Tommaso Braccini. Il viaggio a cui fa riferimento il titolo è il viaggio di Giasone e dei suoi Argonauti alla ricerca del vello d'oro. Questo testo ne ricostruisce la rotta ed esplora questo primo mitico contatto tra Occidente e Oriente. Per saperne di più: scheda libro.
  • BEVANDE BOTANICHE di Michael Isted (Guido Tommasi). Un raffinato e completo manuale, scritto da un esperto erborista, per realizzare bevande a base di erbe: infusi, decotti, elisir, tisane dalle proprietà depurative, rilassanti, rinfrescanti, eccetera. L'ideale per chi ama la natura e i doni che mette a nostra disposizione. Per saperne di più: scheda libro.
  • COOPERARE PER LA VITA di Jonathan Silvertown (Bollati Boringhieri). Un testo che analizza il contrasto tra la cooperazione e la competizione in natura, attraverso quattro livelli di organizzazione: gruppi, individui, cellule e geni. Per saperne di più: scheda libro.
  • RAGGI DI DESIGN di Paolo Carosini (Ediciclo). L'evoluzione della bicicletta: l'autore espone 50 modelli scelti dalla sua collezione, vere opere d'arte, con belle fotografie e dettagli, le storie dei marchi e dei successi sportivi e tecnologici. Per saperne di più: scheda libro.
  • IL DIAVOLO. STORIA ICONOGRAFICA DEL MALE di Laura Pasquini (Carocci). Il diavolo è così brutto come lo si dipinge? Con questo testo bellissimo, completo, corredato da fotografie e illustrazioni, vediamo come il male è stato raffigurato nel corso dei secoli, fin dalla Tarda Antichità alle moderne iconografie. Un volume interessantissimo, e credo resterà molto a lungo nel nostro catalogo. Per saperne di più: scheda libro.
  • PALEOESTETICA di Michele Cometa (Raffaello Cortina). A proposito di iconografia, ecco un volume sull'evoluzione del concetto stesso di “raffigurazione”, dalle piccole figurette paleolitiche sulle pareti delle caverne ai moderni ritratti. Un'analisi che indaga su tre elementi comuni a tutta la storia dell'iconografia: la superficie (su cui viene “impressa” l'immagine), la miniatura (come rappresentazione “in scala”) e l'ibrido (con la fusione fantastica degli esseri umani con gli animali, per creare i mostri mitologici e gli esseri divini). Per saperne di più: scheda libro.
  • MAGHE E STREGHE D'ITALIA di Pierluigi Serra (Newton Compton). Beatrice Mullano, Gentile Budrioli, donna Olimpia Maildachini Pamphili e le celeberrime streghe di Benevento sono solo alcune delle figure femminili che la tradizione indica come fattucchiere misteriose, spesso finite nella morsa dell'Inquisizione. Questo è un libro che racconta le loro vicende, tra leggenda e realtà storica. Per saperne di più: scheda libro.
  • L'ARTE QUANDO BRUCIA di Carlo Vanoni (Solferino). Ecco un libro che racconta l'arte moderna e contemporanea che ha sconvolto i canoni della bellezza e dell'espressione. Grandi artisti, critici e galleristi rivoluzionari che hanno avuto il coraggio di sfidare il senso comune del bello per esprimere la realtà con il loro originalissimo punto di vista. Per saperne di più: scheda libro.

INFANZIA E RAGAZZI:

  • TUMMY TIME. FATTORIA di Louise Lockhart (Valentina Edizioni). Un libro a fisarmonica da leggere a pancia in giù (in modo da rinforzare i muscoli e migliorare l'equilibrio del capo), con tutti gli animali della fattoria. Età di lettura: da 0 a 3 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • Due libri cartonati della Coccinella per i lettori dai 24 mesi: ANIMALI GRANDI E PICCOLI (scheda libro) e VEICOLI GRANDI E PICCOLI (scheda libro). Sono libri pieni di buchi per scoprire come si chiamano rispettivamente gli animali e i vari veicoli.
  • Per Gallucci, ecco tre libri della collana Libro-casa 3D, per i lettori dai 3 anni: NEL PALAZZO DEGLI UNICORNI (scheda libro), NEL CASTELLO (scheda libro) e È NATALE! (scheda libro). Sono libri che si possono aprire e mettere in piedi come un piccolo teatrino. Contengono i personaggini in cartone da poter staccare e con cui poter giocare.
  • IL FIORE DEL DRAGO di Chen Jiang Hong (Babalibri). Albo illustrato. La madre di Mae è gravemente malata e ciò che servirebbe per curarla è un magico fiore. Mae vuole prendere il fiore a tutti i costi, anche se il luogo segreto dove esso cresce è sorvegliato da terribili mostri... Età di lettura: dai 5 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • MADRINA MORTE di Clara Serretta, disegni di Júlia Sardà (Gallucci). Un albo illustrato che racconta una favola macabra (ottobre è il mese giusto): un umile pescatore sceglie la Morte stessa come madrina per suo figlio, ma scoprirà che la Morte non si può raggirare o corrompere... I disegni ricordano le miniature dei manoscritti medievali. Età di lettura: dai 5 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • L'ABITO NON FA IL LUPO di Sid Sharp (Edt-Giralangolo). Il punto di vista del modo di dire “lupo travestito da agnello” viene ribaltato completamente in questa favola, in cui un agnello a corto di more decide di inoltrarsi nel bosco. Per non correre pericoli, si traveste da lupo... Una decisione che gli porterà diversi guai e una sorpresa finale! Età di lettura: dai 6 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • LEONARDO E IL COLORE PERDUTO (24 Ore Cultura). Primo volume di una serie di fumetti in stile manga dedicati ai viaggi nel tempo e all'arte. In questo numero, i ragazzi protagonisti cercano di salvare i quadri del celeberrimo pittore della Gioconda da una malvagia confraternita che odia la creatività e ingrigisce i quadri più famosi. Età di lettura: dai 7 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • KEVIN E I MERLI di David Almond (Orecchio Acerbo). Bellissime illustrazioni in questo albo illustrato in cui Kevin, figlio di una famiglia povera, viene affidato a un monastero. Il giovane Kevin, un giorno, ospita il nido di una coppia di merli... molto delicato e poetico. Età di lettura: dai 7 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • SOLDATI ROMANI di Tegen Evans, illustrazioni di Tom Froese (Lapis). Una particolare enciclopedia illustrata sui soldati dell'antica Roma: le tattiche di battaglia, la vita quotidiana, gli accampamenti, le esercitazioni, insomma tutto quello che riguarda i legionari e il loro ordinamento militare. Età di lettura: dai 7 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • IL PRIMO GATTO NELLO SPAZIO MANGIA LA PIZZA! di Mac Barnett e Shawn Harris (Terre di Mezzo). Un fumettone tutto da ridere: il pianeta Terra è in pericolo e il primo gatto nello spazio, con la Regina della Luna e un robot tagliaunghie, è l'eroe su cui l'umanità ripone tutte le sue speranze... un disegno molto particolare, con colori pastosi e pieni. È strano, ma mi piace (e mi fa ridere)! Età di lettura: dagli 8 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • IL LUNGO VIAGGIO DI EINAR di Alberto Manzi (Gallucci). Sì, è proprio quell'Alberto Manzi, il maestro che ha insegnato l'italiano attraverso una celeberrima trasmissione televisiva negli anni '60. Questo è un romanzo inedito che racconta l'avventuroso viaggio di un medico in Lapponia che cerca di salvare la vita a un suo anziano paziente. Età di lettura: dagli 8 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • MA CHE MUSICA! di Jack Pepper, illustrato da Michele Bruttomesso (Lapis). Le biografie di 20 musicisti classici e moderni, con il racconto di mille anni di storia della musica, delle formazioni orchestrali, e degli stili musicali, dai primi tamburi alla musica rock. Sono inclusi anche suggerimenti di ascolto, con l'indicazione delle principali piattaforme streaming dove cercare i brani. Età di lettura: dai 9 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • ADELE CRUDELE. VOL.15 – VACANZE INVERNALI, VACANZE INFERNALI! di Mr. Tan e Diane Le Feyer (Becco Giallo). Adele (sempre sobillata dal suo amico immaginario Magnus) va in vacanza in Canada da sua cugina Charlie... ovviamente saranno guai a non finire. È un fumetto per i lettori dagli 11 anni. Per saperne di più: scheda libro.
 
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from arcipelaghi

Quando calava la sera, ci avvicinavamo alla finestra a scrutare il buio oltre il quale sapevamo esserci il mare. Boom… Ogni esplosione era seguita da un gorgogliare d’acqua, lontano.

Il pescivendolo del paese era un uomo stortillato dall'artrite e dalle ore trascorse a tirare le reti. La camicia sempre aperta lasciava intravedere il petto, glabro. La capigliatura ispida e argentea ne esaltava gli occhi azzurri, ancora giovanili. Arrivava in paese ogni giorno, guidando un furgoncino bianco stracolmo di pesci di ogni tipo. «Pesce fresco! Pesce! Pesce! Pesce fresco!». Urlava agitando in aria la mano a cui mancavano tre dita.

Boom… E ancora un gorgogliare d’acqua lontano.

«Dinamite», diceva mia madre, e noi bambini immaginavamo migliaia di pesci affiorare nel buio. 

Accadeva nelle notti di luna nuova, quando nessun riflesso sull’acqua poteva svelarne la posizione. I pescatori di frodo uscivano a luci spente, navigando nell’ombra per non farsi beccare.

Per chi non è un marinaio, la costa di notte è un’indefinito coacervo di luci tra le quali, di tanto in tanto, si distingue il lampeggiare di un faro. Ma i pescatori di frodo sapevano decifrare ciascuno di quei bagliori, senza esitare. Le luci della stazione, il bar sulla spiaggia, la strada che porta in paese. E quando il campanile della chiesa e l’insegna “Ristorante Rotonda” formavano un angolo di trenta gradi… Ecco, quello era il punto esatto dove piazzare i candelotti di dinamite.

Boom… E poi il suono dell’acqua che si agitava sotto il colpo dell’esplosione. Il mare si trasformava in un grande campo di battaglia senza fazioni opposte a scontrarsi, senza nemici. Ma qualche volta, per imprudenza o imperizia, i pescatori nel buio ci lasciavano la vita, chi era più fortunato una mano, o soltanto tre dita.

«Boom!» gridava ridendo il pescivendolo del paese. «Pesce fresco! Pesce! Pesce! Pesce fresco!».

#memorie #tracce #mare #persone #racconti

 
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from Bit & Byte

Podcast è bello Negli ultimi anni, il podcasting è esploso come uno dei mezzi di comunicazione più influenti e popolari del panorama digitale. Con la crescita continua della connettività e la diffusione dei dispositivi mobili, i podcast sono diventati una fonte primaria di intrattenimento, informazione e cultura per milioni di persone in tutto il mondo. Ma cosa rende il podcasting così importante oggi, e perché sempre più persone e aziende stanno investendo tempo ed energie in questo formato? Il podcast è un contenuto audio, simile a una trasmissione radiofonica, che può essere ascoltato in qualsiasi momento attraverso piattaforme digitali. Si tratta di episodi registrati e distribuiti su piattaforme come Spotify, Apple Podcasts, Google Podcasts e altre, a cui gli utenti possono accedere on-demand. Il termine stesso è una combinazione di “iPod” e “broadcast”, a dimostrazione della sua origine come contenuto fruibile su dispositivi portatili. I podcast coprono una vastissima gamma di argomenti: dall’intrattenimento alla politica, dalla scienza alla tecnologia, dal business alla crescita personale. Qualunque sia il tuo interesse, esiste probabilmente un podcast che ne parla. Una delle ragioni principali per cui il podcasting è diventato così popolare è la sua incredibile flessibilità. Gli ascoltatori possono fruire dei contenuti mentre svolgono altre attività, come guidare, fare sport, cucinare o durante i momenti di relax. A differenza dei video o degli articoli scritti, i podcast non richiedono uno schermo o una completa attenzione visiva, rendendoli facilmente integrabili nella vita quotidiana. Il formato audio del podcast permette una connessione più personale e diretta con il pubblico. La voce, con le sue sfumature e tonalità, crea una sensazione di intimità che altri media difficilmente riescono a trasmettere. Ascoltare una conversazione, un’intervista o una narrazione porta l’ascoltatore a sentirsi più coinvolto, quasi come se stesse partecipando attivamente. Questa autenticità fa sì che molti ascoltatori sviluppino un legame emotivo con i loro podcaster preferiti. A differenza di molti formati digitali, come i post sui social media o i video brevi, i podcast offrono la possibilità di approfondire i temi trattati. I podcast possono durare da pochi minuti a diverse ore, permettendo una maggiore riflessione, analisi e narrazione. Questo formato è ideale per chi vuole esplorare temi complessi o argomenti di nicchia in maniera più approfondita, senza le limitazioni di tempo o di formato che affliggono altri media. Secondo le statistiche, il numero di ascoltatori di podcast è in costante aumento. Solo nel 2023, si è stimato che ci siano più di 500 milioni di ascoltatori di podcast in tutto il mondo. Questo trend è destinato a crescere, con un numero sempre maggiore di persone che scoprono il formato e ne apprezzano la versatilità. Questa crescita ha spinto anche le aziende a investire di più nel podcasting, sia come forma di pubblicità sia come canale per costruire un rapporto diretto con i propri clienti. Il podcasting non è solo un potente strumento di comunicazione, ma sta diventando anche una fonte significativa di guadagno per molte persone e aziende. I podcaster possono monetizzare il loro lavoro attraverso sponsorizzazioni, pubblicità, donazioni o vendendo prodotti correlati. Inoltre, le aziende utilizzano sempre più i podcast come parte della loro strategia di marketing, creando contenuti branded per rafforzare il legame con il proprio pubblico o per raccontare la propria storia in modo coinvolgente. Un altro aspetto cruciale del podcasting è la sua capacità di dare voce a persone e comunità che, in altri media, potrebbero non avere la stessa visibilità. Chiunque, con strumenti relativamente semplici, può creare un podcast e condividere la propria visione del mondo. Questo ha portato alla nascita di una moltitudine di voci, con un’ampia varietà di prospettive e argomenti. La democratizzazione della creazione di contenuti audio ha permesso di amplificare storie che spesso non trovano spazio nei canali tradizionali. Il podcasting rappresenta un’opportunità unica non solo per chi vuole fare carriera nel mondo dei media, ma anche per chi desidera costruire un brand, condividere le proprie passioni o semplicemente entrare in contatto con una community. Ecco alcune ragioni per cui fare podcasting è oggi così importante: Costruzione di Autorità e Reputazione: Creare contenuti di valore e condividerli tramite podcast consente di posizionarsi come esperti in un determinato settore. Le persone si rivolgono ai podcast per apprendere e ascoltare opinioni informate, e chi fornisce contenuti di qualità può rapidamente guadagnare autorità e reputazione. Comunicazione Diretta: Il podcasting permette un contatto più personale con il pubblico. A differenza di altri mezzi di comunicazione, il formato audio crea un dialogo più intimo, e i podcast a lungo termine costruiscono una fiducia profonda tra l’emittente e l’ascoltatore. Facilità di Produzione: Con l’avvento di strumenti economici e accessibili, come microfoni di qualità e software di editing gratuito, avviare un podcast non è mai stato così semplice. Anche senza grandi risorse, chiunque può avviare un proprio programma e distribuire i propri episodi su piattaforme globali. Integrazione con le Strategie di Marketing: Il podcasting può essere uno strumento potentissimo nelle strategie di content marketing aziendale. Può essere utilizzato per raccontare storie, presentare casi di studio o fornire informazioni utili al pubblico, aiutando a creare engagement e a rafforzare il brand. Il podcasting è molto più di una tendenza: è diventato un pilastro della comunicazione digitale moderna. La sua capacità di coinvolgere il pubblico, di creare un legame emotivo e di fornire contenuti approfonditi lo rende uno strumento essenziale sia per gli individui che per le aziende. In un mondo in cui l’attenzione è sempre più frammentata e le piattaforme si moltiplicano, il podcasting offre un’opportunità unica di connettersi con il proprio pubblico in modo autentico, duraturo e significativo.

 
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from cronache dalla scuola

[cronache dalla scuola] In pratica ieri e oggi c'erano state tensioni in una quinta, scazzi, studenti che trattavano in maniera tossica altri studenti, esplosioni di nervosismo e alla fine delle mie due ore non me la sono sentita di fare il solito mazzo generale o di andarmene facendo finta di niente con qualche nota disciplinare o andando dalla coordinatrice per dirle “che la classe non va bene”, o – ancora peggio – di parlare con loro in corridoio, tra un'ora e l'altra, in piedi senza nessuna privacy, così ho chiesto alla docente successiva se mi prestava quattro studenti, quelli che avevano avuto i momenti di scontro più forte, e me li sono presi.

Sono andato nella classe dove avrei dovuto far lezione, c'era una docente di sostegno a cui non ho avuto nemmeno il tempo di spiegare niente e ho detto ai ragazzi che avrebbero potuto cazzeggiare con il telefonino finché non tornavo perché dovevo avere un momento con i loro compagni.

Sono andato in una aula vuota, mi sono seduto con i quattro ragazzi che mi guardavano meravigliati e un po' preoccupati e abbiamo parlato per venti minuti. Gli ho detto quello che mi sembrava che non stesse funzionando, le cose di cui ero rimasto deluso e le mie preoccupazioni, e loro mi hanno risposto, mi hanno raccontato il loro punto di vista, alcuni hanno chiesto scusa, altri hanno puntualizzato, altri mi hanno detto cose che non sapevo e che mi saranno utili in futuro per capire meglio. Niente di incredibile, un confronto in cui è emerso qualcosa, anche piccolo, che in classe, nei corridoio, nella fretta non sarebbe uscito.

Torno a casa e vedo che uno dei quattro ragazzi mi ha scritto una mail lunghissima, mi racconta altre cose che dal vivo non era riuscito a dire, ammette alcuni errori, promette alcune cose, ringrazia ma su altre resta sulle sue posizioni e racconta ancora di sé e del rapporto con i compagni.

Ecco, è una cosa che ripeto da tanto tempo: è stato liberatorio. Per venti minuti mi sono sentito di aver fatto il mio lavoro. Oltre a quello che già faccio, in maniera più completa e – per alcuni aspetti – più utile. Poi domani verrò deluso, poi mi ricrederò, poi emergeranno certamente i limiti di questa cosa, ma è chiaro che questo dovrebbe esser lo standard di una docenza.

Non dico il mio “fare qualcosa in più”, dico lo standard: il docente dovrebbe avere in maniera formale ore in cui fare “ricevimento studenti”, in cui potere parlare davvero a gruppi minimi della didattica, dei loro problemi, delle loro prospettive future. Il docente dovrebbe vivere la scuola per fare tante cose di cui una, importante eh, è l'insegnamento. Invece oggi il docente a scuola entra per chiudersi in classe e spiegare, verificare, uscire – esausto, distrutto, spompato – il più velocemente possibile. E quando non fa questo è impelagato in qualche attività burocratica fine a se stessa.

So di essere un illuso ma penso che sia importante continuare a immaginare una scuola impossibile e provare a farne qualche pezzetto, sapendo che tutto, tutto, tutto attorno è costruito perché il sistema di questa scuola continui a sopravvivere con modalità e riti a cui molti intimamente non credono più.

 
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from Cooperazione Internazionale di Polizia

Interessi economici di “Cosa Nostra” in Brasile, arrestati in Italia quattro e sequestrate nove aziende

Quattro arresti (tre in carcere e uno ai domiciliari) eseguiti dai finanzieri del Comando Provinciale di #Palermo su ordine emesso dal GIP del locale Tribunale. A questi si affianca il sequestro preventivo di nove società attive nel settore immobiliare ed in quello ristorativo tra Italia, Svizzera, Hong Kong nonché in #Brasile, nonché denaro per oltre 350.000 euro.

L’attività diretta dalla Procura della Repubblica palermitana – Direzione Distrettuale Antimafia (#DDA), ha riguardato soggetti indagati dei reati di concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, riciclaggio e autoriciclaggio, trasferimento fraudolento di valori, aggravati dall’aver agevolato famiglie di “Cosa Nostra”.

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from From Balvano to the Plain of Jars

[EN] (Translation from the Italian was possible thanks to ChatGpt “free” services and my personal revisions.)

[ES] (para el texto en español, desplácese hacia abajo. La traducción desde el italiano fue posible gracias a los servicios “gratuitos” de ChatGpt y mi revisiones personales.)

[EN]

Balvano

Balvano is a small town in the province of Potenza. Like many towns in Lucania, its population doesn't reach 2,000 inhabitants. Its recent history has been deeply marked by the earthquake of November 23, 1980, mistakenly remembered solely as the Irpinia earthquake, which almost completely destroyed it. A particular event is indelibly etched into the memory of its inhabitants. During the strongest tremor, 77 people were in the Church of Santa Maria Assunta. Among them, 66 were children and adolescents. The collapse of the main wall of the church was immediate, leaving no time for anyone to seek refuge. They all perished. Only the priest celebrating mass survived. This is what he told RAI cameras that came to document the event: “It is indescribable, unimaginable, we did not expect it. We were there, perhaps waiting for this tragedy. Who knows. We don't know. But the fact is this. Harsh. Tremendous.”

These sparse words, documenting the apocalypse experienced by the people of Balvano, unfortunately, have historical precedents. Vito Teti recalls that in the second half of the 18th century, in Calabria, on the Sila plateau, something similar occurred. Men busy in the fields were saved from a violent earthquake while women and children engaged in liturgical functions or domestic chores died in collapsed churches and homes. This was followed by an era of banditry and migration that led many of these villages to become depopulated and eventually turn into ruins. The periodicity of earthquakes has indeed marked cycles of destruction and reconstruction with a certain regularity in these lands. However, despite the well-known seismic risks, the populations of the Calabro-Lucanian Apennines and Irpinia preferred for centuries to live on mountain peaks rather than in the valleys. Their villages were not built near the coast or rivers, more easily connected to other commercial centers, but on steep, hard-to-reach heights with medieval means of transportation.

The urban maps show a certain regularity. They are dominated by fortifications, mostly towers, which were gradually abandoned, where there were barracks and military encampments rather than noble residences or large landowners' homes. These villages were easily defensible but life was full of hardships, with extremely local economic cycles. Today, observing these relatively isolated and hidden inhabited centers evokes a kind of ancestral fear but also a desire for preservation. Their “retreat from the world,” however, was not due to earthquakes but to structural weaknesses in healthcare and military defense. The valleys were mostly swampy and malaria-ridden areas, and for this reason, people preferred to stay away. They were also marked by the passage of the Via Appia, one of Italy's main communication routes since the Roman Empire. We find ourselves in a land in between, traversed by armies and caravans of merchants traveling from Rome and Naples to Brindisi and Taranto and vice versa, along communication routes that connected the great cities of the Roman Empire first and later southern Italy to the ports that led to the Middle East and the “Holy Land.” Some Lucanian villages even had Arabic names and were independently mapped in Ottoman cartography. Though to a lesser extent than the coastal routes, these lands were shaped by the dual Christian influence, both papal and monarchical, and by the commercial pragmatism of Islamic worlds. But for over a thousand years, the South also lived in a state of “colony,” a province of distant kingdoms that ruled through the sons of kings and friends of friends—from the Normans to the Svevi, the Angevins to the Bourbons, and finally the Savoy family. However, while cities like Naples and Palermo, but also Bari or Lecce, emerged as cosmopolitan centers of 'Mediterranean people,' the system of villages to which Balvano belonged existed primarily as a military outpost and as a dispersed frontier. Its purpose was to ensure the peaceful passage of people and goods between the two Mediterranean coasts of the Ionian-Adriatic and the Tyrrhenian.

The era of the Italian Risorgimento and the “unification of Italy” from 1860 to 1868, was instead marked by a long armed conflict, lasting nearly 10 years, that produced thousands of deaths and the near-total disappearance, once again, of many villages. After the “Garibaldian liberation,” Cavour betrayed promises of widespread land redistribution to the peasants, and gradually, scattered rebellions erupted throughout the villages. At the height of its power, the peasant guerrilla warfare of the Irpinian and Calabro-Lucanian Apennines reached almost 3,000 members, a remarkable number given the area's population. They were also decently armed and prepared for war. After participating in Garibaldi's expedition, many brigands refined their military skills through English and Spanish emissaries interested in maintaining high levels of conflict in southern Italy, still for Mediterranean control reasons. They didn't mind southern Italy passing under Savoy rule but wanted to ensure it couldn't fall under strict French influence. The response from the 'Italian State' was extremely strong. Several waves of violent militarization arrived from Naples, employing methods used by the British to defeat Irish independence, with special military operations aimed at systematically annihilating the brigands' support bases and collaborators. To do this, they penetrated every village, killing those who didn't provide information about hideouts, including women and children, and burning everything in sight. Countless massacres were committed, and deep demographic upheavals ensued, with scars that marked these lands for decades.

In fact, an entire generation of peasants “took to the mountains,” meaning they took up arms to contest the legitimacy of local power and the House of Savoy. In larger centers like Melfi and Lagopesole, the conflict became extremely bloody and localized, to the point that some historians cannot fully give it a unified dimension, and in some areas, they consider it more akin to a 'civil war' than a peasant armed movement or an independence movement. In general, the history of “Brigantaggio,” as it was later termed, with a capital B, for a long time constituted the 'Other' of the “Nation” that, after being suppressed, was forgotten. Only recently, in the last 30 years at least, has it begun to be studied in greater detail in schools. However, it remains associated with banditry and criminality, and it is not always recognized for its historical and political significance as one of the largest peasant revolts in Italian history.

This marginal positioning of the areas around Balvano in national historiography, in my opinion, reflects a more general narrative of forgetfulness, a notion that does not fully belong to the macro category of the “Questione Meridionale (Southern Question)” that has instead dominated debates about Southern Italy for decades. For example, it is truly surprising to discover that the inhabitants of Balvano remember another tragic event. The “Balvano disaster” is the deadliest train accident in Italian history. More than 500 people lost their lives on March 3, 1944, when train 8017, a coal-fired steam convoy departing from Salerno, got stuck in the Armi tunnel, a tunnel nearly 2 kilometers long that runs alongside the Platano River. Trapped inside the tunnel, the engine fumes quickly spread through the carriages, killing everyone. The newspaper La Stampa Sera headlined the next day: “500 dead in their sleep.” It was hard to believe that in the midst of the war, amidst Allied bombings and Nazi-Fascist violence, one could die in such a way. In fact, the case was soon forgotten. That, too. The Italian government imposed military secrecy on the event and censored or erased several archives. Today, the only military documents available are English ones, consulted by a lawyer in contact with the families of the victims and with the inhabitants of Balvano, who are among the few to preserve a historical memory of the event. In the minutes of the Council of Ministers concerning the incident, General Badoglio stated that there were “600 smugglers and fare evaders” on the train, a hasty and stigmatizing statement that nonetheless once again underscored the dominant narrative that existed about these lands.

The freight trains traveling the new Salerno-Metaponto railway line were often loaded with provisions from the Lucanian, Apulian, and Calabrian fields. They were frequently attacked by groups of hungry “bandits,” but were also used by families and smugglers to go directly to producers to buy food at lower prices or to compete with military logistics, which dominated the supply chains. Many literally clung to the train or jumped onto it. There were always empty carriages, and all it took was knowing where to find them. Descriptions of these desperate journeys, in general, paint a picture of a population at the limit, periodically abandoning Campania in search of food in neighboring Lucania. They reveal the many shades of daily life during the war. In these interactions, the smuggling of items stolen from the Allied army allowed entire families to survive without supporting the fascist regime. However, on train 8017, the passengers had almost all boarded regularly at the stations of Naples and Salerno; many had even bought tickets to be able to travel. This suggests there was also some sort of emergency and likely illegal organization managing the movement of people along the route used by freight trains to supply the Allied armies. This fact was considered unacceptable by the Italian government, which at the time, by the way, had its provisional headquarters right in Salerno.

The accident was quickly explained by the poor quality of the coal used for combustion. It came from Yugoslavia and did not generate the necessary heat to overcome the ascent. An error by the driver then trapped the train in the tunnel, and the fumes did the rest in a matter of seconds. Poverty and human error are two other narrative threads that have always been employed to explain the stories of these lands. Was it, for example, not possible that freight trains like 8017 were military targets and subject to sabotage? Looking more closely at the events, their oblivion represents another great strangeness of the “nation” and closely concerns a small town like Balvano. These certainly disconnected and non-unified stories form one of those nodes of Absence that Mantas sought to untangle in his documentary works. Balvano is certainly a territory crossed by the historical repetition of collective deaths. From natural disasters to rebellions to the tragedy of wars, Balvano's history is marked by moments of shared tragedy that have sedimented and inscribed themselves somewhere in its social body. In the last 40 years, Balvano has been rebuilt, and the apocalypse witnessed by the Priest has transformed. But how has it been ritualized, neutralized, contaminated, disseminated?

Arriving in Balvano from the provincial road that connects it to Picerno, you are greeted by the Lucanian showpiece of state-subsidized industrial investments. And this time, it's not about the “FIAT of Melfi.” It's the Piedmontese Ferrero. “In the morning, we wake up, and instead of truck fumes, we smell bread baking,” said a young man who sat with us at the table. “Here, they give away pies for free after lunch,” joked a man who listened to us from the bar entrance. The landscape around Balvano and up to Picerno, skirting the “historic Potenza-Sicignano highway,” indeed seems like a Lucanian representation of the “Mulino Bianco” dream, for many years the archetype of the perfect bourgeois happiness of the white Caucasian, based on the trinity of home-family-food. This narrative was popularized by advertising campaigns lasting several years, from 1977 to 2019, by a well-known brand of the Barilla group, another Basilicata's major “investor and landowner” (the other, if we exclude oil companies and the Church, is the Cesena-based Orogel). The scattered villas, equipped with garages and gardens, and vehicles with breathtaking views of the Platano gorges or the Baragiano plain and other villages on the Lucanian mountains, from San Gregorio Magno to Vietri, seem like the practical realization of that consumerist utopia of progress. Here, it feels like being in a kind of exceptionality of Basilicata, a virtuous example of a process that, since the 1980 earthquake, has seen the region enter a long and slow phase of reconstruction, restoration, and in some cases, even beautification of its artistic and landscape heritage.

spopolamento Territorialization of Italian population growth rates over the past 20 years

Despite this, we still find ourselves in one of the areas of Italy with the highest depopulation rates. “Those who can, leave, because there's nothing to do in the village.” A local inhabitant told us. Leaving is a foundational theme in these areas of Lucania, and that young man emphasized it to deepen the sense of Absence that seemed to dominate Balvano in his stories. However, the Absence caused by migration has a different nature from that of the earthquake and is quite typical of the entire Calabrian-Lucanian Apennine region. It is precisely through the patriotic valorization of “restanza” (staying) and its confusion with a nationalist value of protecting the territories from non-whites that the far-right has gathered significant electoral support even in these areas. On closer inspection, however, “leaving” Balvano is not about a journey of discovery and work in the world, nor about the “journey to another world” that led many Lucanians to migrate to northern Italy, Germany, the Americas, or Australia after World War II. Instead, it speaks of a very concrete and local process of internal migration that leads the so-called “village people” (as they are referred to in Potenza) to move to the larger, closer towns, such as Potenza.

Once there, it’s highly likely that “village people” end up living in new earthquake-resistant buildings, designed to convince parents to break the piggy bank, fattened by subsidies from the EU's Common Agricultural Policy, and buy an apartment for their children. The new reinforced concrete guarantees “being there until the end” for at least the next 20 years. For “village people,” it's an investment; for others, it’s real estate speculation. This creates urbanization projects that turn Potenza into a “vertical city,” filled with buildings that rise upwards, among mountains that touch 1000 meters. This happens because the business model that leads to their construction creates a chain of debt between banks-construction companies-banks-village people that cannot be broken, or the entire economy of these lands would collapse. In other words, “village people” become the precise target market of a city development modality that in turn models itself around the dispersed nature of the savings of its potential buyers. In the absence of “great landlords” who usually live elsewhere, architecture “adapts” to the market. The result is classic public housing, much like the Zen neighborhood in Palermo, Scampia in Naples, or Potenza’s own “Serpentone.” However, this time the buildings are constructed by private companies that exploit state subsidies to produce “ecological and earthquake-resistant” constructions, and the apartments are sold at non-controlled prices, often paid through long-term mortgages with variable interest rates.

To be more concrete, those who leave Balvano to move to Potenza most likely end up living in Macchia Romana. According to not fully verified data, the buildings shown in the photo below house about 10,000 people, 15% of Potenza's population, of whom 60-70% come from the province. If Balvano is “the white mill,” Macchia Romana represents the materialization of the specters of the past and future of migration that dance around the Absence produced by the earthquake. Those buildings are a product of “modernity,” just like the villas of Balvano. They represent a prospective reconstruction of the destroyed village that finds a home in a forgetful, anonymous elsewhere, where Balvano exists as a node of Absence. In Macchia Romana, reinforced concrete emerges as the idol of the post-1980 earthquake world. It dominates landscapes and spaces as a bulwark of non-repeatability and non-perishability, as a guarantee of future resale or, at the very least, of maintaining value. Menawhile the parents' inheritance bacame capital that pays the construction companies and their political allies, as well as the banks through the salaries of their children.

Macchia Romana

The urbanization of forests and agricultural fields, which until a few years ago were public or had diffuse ownership forms, has produced tall and majestic buildings; faded images of past fortifications. However, once, those places were reserved for landowners and the military; now, “progress” has spread and materialized thanks to reinforced concrete. According to real estate agency data in Potenza, the new and earthquake-resistant apartment is the preferred investment mode for “village people.” We then find ourselves at a central crossroads in Balvano's reconstruction. Everything suggests that Naomi Klein’s “shock doctrine” has worked perfectly here. Moreover, Balvano seems to live within a criminal and oil peace that has left it out of the economic interests of both the Caserta Camorra and the emerging one from Foggia. Rosaria Capacchione has explained much too well how the reconstruction of Irpinia marked the turning point from the Camorra of cigarette and drug smuggling to the Camorra of construction, creating a functional alliance with northern Italian construction companies, especially from Veneto and Lombardy. Their increased negotiating power, however, did not derive from the use of arms or territorial control, or rather, not directly. The Camorra’s “reinforced concrete” simply cost half as much as the others. This was possible by all the money-laundering schemes and systematic circumvention of local regulations. So there was enough to eat for everyone, but only if one allied with the Camorra clans. The climax of this long process of normalizing mafia systems was reached when Nicola Cosentino and the mafia-petroleum alliance he represented became Deputy Finance Minister in one of Berlusconi’s governments.

Macchia Romana and this piece of Lucania seem to follow different dynamics, linked on the one hand to a nepotistic and clientelistic occupation of bureaucracies, and on the other to the presence of large multinational contractors like ENI, Total, Stellantis, Barilla, and even Ferrero. The economy is more in the hands of bureaucracy, which manages it for or with these large contractors from whom they receive financial resources, such as oil royalties. The ultimate goal, historically speaking, remains the same: to allow the peaceful exploitation of the territory. But the result is that competition does not follow the law of nature, where the big fish eats the small fish. On the contrary, almost like a Dantean contrapasso, it lives within a series of legal hysterias and commercial wars fought through lawsuits that slow down, to the point of halting, any real productive mechanism. It is not the strongest, nor even the “best,” but certainly the “most adapted” — meaning the best connected and the most “presentable” to anti-mafia authorities — who prevail. Instead of unscrupulous managers driven by a profit obsession, these pieces of the South are governed by engineers and surveyors capable of rebuilding Balvano, and by lawyers and notaries who skillfully navigate the obscure labyrinth of Italy's infinite laws. The result is essentially an extractive economy, with little innovative local entrepreneurship, mostly concentrated in the construction or service sectors, but with low productivity levels and structural stagnation of profits. Local debt cycles are thus sustained mainly by the management of public funds that, in one way or another, come to these areas.

It is in this context that Balvano can be described as a node of Absence. Its reconstruction was empty because, after 45 years, the inhabitants are still disoriented. They have converted their inheritance into capital and replaced the old houses with the reinforced concrete of Macchia Romana. Meanwhile, its rural architecture has transformed into a beautiful container, waiting for something to change its destiny. The houses are perfectly legal and up to code; they are “registered” and mapped in the municipal offices. They are products ready for the real estate and tourism markets. They are waiting for capital and investors that, however, do not arrive. A long-term process is then outlined. The devices that, after the traumatic event, froze Balvano in a “Zone” have since managed its disappearance/absorption/assimilation. After the monetization of reconstruction, now its transformation into “the buildings of Macchia Romana” tells the only way Balvano can continue to exist, but still as a collective end. Its becoming “reinforced concrete” is also its becoming “ruin,” depopulated, abandoned capital of Absence, waiting for funds and capitals. In other words, we are close to what De Martino called a cultural apocalypse: a slow and irreversible assimilation and subjugation to capital of those small and depopulated rural in-between lands. But to explain this better, I have to write about Laos, its borders and two populations, the Phunoy and the Hmong.

[ES]

Balvano

Balvano es un pequeño pueblo en la provincia de Potenza. Como muchos pueblos de Lucania, su población no llega a los 2.000 habitantes. Su historia reciente ha sido profundamente marcada por el terremoto del 23 de noviembre de 1980, erróneamente recordado únicamente como el terremoto de Irpinia, que casi lo destruyó por completo. Un evento en particular está grabado de manera indeleble en la memoria de sus habitantes. Durante el temblor más fuerte, 77 personas se encontraban en la Iglesia de Santa María Assunta. Entre ellos, 66 eran niños y adolescentes. El colapso de la pared principal de la iglesia fue inmediato, sin dar tiempo a nadie para buscar refugio. Todos murieron. Solo sobrevivió el sacerdote que celebraba la misa. Esto es lo que dijo a las cámaras de la RAI que acudieron a documentar el evento: “No se puede describir, es inimaginable, no lo esperábamos. Estábamos allí quizás esperando este desastre. ¿Quién sabe? No lo sabemos. Mientras tanto, este es el hecho. Duro. Tremendo”.

Estas pocas palabras, documentando el apocalipsis que experimentaron los habitantes de Balvano, desafortunadamente tienen precedentes históricos. Vito Teti recuerda que, en la segunda mitad del siglo XVIII, en Calabria, en la meseta de Sila, ocurrió algo similar. Los hombres ocupados en los campos se salvaron de un violento terremoto, mientras que las mujeres y los niños que participaban en funciones litúrgicas o tareas domésticas murieron en las iglesias y casas colapsadas. A esto siguió una era de bandolerismo y migración que llevó a muchos de estos pueblos a despoblarse y, eventualmente, convertirse en ruinas. La periodicidad de los terremotos ha marcado ciclos de destrucción y reconstrucción con cierta regularidad en estas tierras. Sin embargo, a pesar de los bien conocidos riesgos sísmicos, las poblaciones de los Apeninos calabro-lucanos y de Irpinia prefirieron durante siglos vivir en las cumbres de las montañas en lugar de en los valles. Sus pueblos no fueron construidos cerca de la costa o los ríos, que eran más fácilmente conectados con otros centros comerciales, sino en alturas escarpadas y difíciles de alcanzar con los medios de transporte medievales.

Los mapas urbanos muestran una cierta regularidad. Están dominados por fortificaciones, principalmente torres, que fueron gradualmente abandonadas, donde había cuarteles y campamentos militares en lugar de residencias nobles o grandes haciendas de terratenientes. Estos pueblos eran fácilmente defendibles, pero la vida estaba llena de dificultades, con ciclos económicos extremadamente locales. Hoy en día, observar estos centros habitados relativamente aislados y escondidos evoca una especie de temor ancestral, pero también un deseo de preservación. Sin embargo, su “retiro del mundo” no se debió a los terremotos, sino a las debilidades estructurales en la atención sanitaria y la defensa militar. Los valles eran principalmente áreas pantanosas y plagadas de malaria, y por esta razón, la gente prefería mantenerse alejada. También estaban marcados por el paso de la Vía Apia, una de las principales rutas de comunicación de Italia desde el Imperio Romano. Nos encontramos en una tierra intermedia, atravesada por ejércitos y caravanas de comerciantes que viajaban de Roma y Nápoles a Brindisi y Taranto y viceversa, a lo largo de rutas de comunicación que conectaban las grandes ciudades del Imperio Romano primero y luego el sur de Italia con los puertos que conducían al Medio Oriente y la “Tierra Santa”. Algunos pueblos de Lucania incluso tenían nombres árabes y fueron cartografiados independientemente en la cartografía otomana. Aunque en menor medida que las rutas costeras, estas tierras fueron moldeadas por la doble influencia cristiana, tanto papal como monárquica, y por el comercio pragmático de los mundos islámicos. Pero durante más de mil años, el Sur también vivió en estado de “colonia”, una provincia de reinos distantes que gobernaron a través de los hijos de reyes y amigos de amigos, desde los normandos hasta los suabos, los angevinos hasta los borbones, y finalmente la casa de Saboya. Sin embargo, mientras ciudades como Nápoles y Palermo, pero también Bari o Lecce, surgieron como centros cosmopolitas de 'habitantes mediterráneos', el sistema de aldeas al que pertenecía Balvano existía principalmente como un puesto militar avanzado y como una frontera extendida. Su propósito era garantizar el paso pacífico de personas y bienes entre las dos costas mediterráneas del Jónico-Adriático y el Tirreno.

La era del Risorgimento italiano y la “unificación de Italia” estuvo marcada, en cambio, por un largo conflicto armado, que duró casi 10 años, y produjo miles de muertos y la desaparición casi total, una vez más, de muchos pueblos. Después de la “liberación garibaldina”, Cavour traicionó las promesas de redistribución de tierras a los campesinos, y gradualmente, estallaron rebeliones dispersas en las aldeas. En su apogeo, la guerra de guerrillas campesina de los Apeninos Irpinianos y Calabro-lucanos alcanzó casi 3.000 miembros, un número notable dado la población de la zona. También estaban decentemente armados y preparados para la guerra. Después de participar en la expedición de Garibaldi, muchos bandidos refinaron sus habilidades militares a través de emisarios ingleses y españoles interesados en mantener altos niveles de conflicto en el sur de Italia, todavía por razones de control del Mediterráneo. No les importaba que el sur de Italia pasara bajo el dominio de Saboya, pero querían asegurarse de que no pudiera caer bajo una estricta influencia francesa. La respuesta del 'Estado italiano' fue extremadamente fuerte. Varias oleadas de militarización violenta llegaron desde Nápoles, empleando métodos utilizados por los británicos para derrotar la independencia irlandesa, con operaciones militares especiales destinadas a aniquilar sistemáticamente las bases de apoyo de los bandidos y sus colaboradores. Para lograrlo, penetraron en cada aldea, matando a aquellos que no proporcionaban información sobre los escondites, incluidas mujeres y niños, y quemando todo a la vista. Se cometieron innumerables masacres, y surgieron profundos trastornos demográficos, con cicatrices que marcaron estas tierras durante décadas.

De hecho, toda una generación de campesinos “se fue a la montaña”, es decir, tomó las armas para cuestionar la legitimidad del poder local y la Casa de Saboya. En centros más grandes como Melfi y Lagopesole, el conflicto se volvió extremadamente sangriento y localizado, hasta el punto de que algunos historiadores no pueden darle completamente una dimensión unificada, y en algunas áreas lo consideran más parecido a una 'guerra civil' que a un movimiento armado campesino o un movimiento independentista. En general, la historia del “brigantaje”, como se denominó más tarde con B mayúscula, durante mucho tiempo constituyó “otra” nación que, después de ser suprimida, fue condenada al olvido. Solo recientemente, en los últimos 30 años al menos, se ha comenzado a estudiar con mayor detalle en las escuelas. Sin embargo, todavía está asociada con el bandolerismo y la criminalidad, y no siempre se le reconoce su significado histórico y político como una de las mayores revueltas campesinas en la historia de Italia.

Este posicionamiento marginal de las áreas alrededor de Balvano en la historiografía nacional, en mi opinión, refleja una narrativa más general del olvido, una noción que no pertenece a la macro categoría de la “Cuestión Meridional” que, en cambio, ha dominado los debates sobre el sur de Italia durante décadas. Por ejemplo, es realmente sorprendente descubrir que los habitantes de Balvano recuerden otro evento trágico. El “desastre de Balvano” es el mayor accidente ferroviario en la historia de Italia. Más de 500 personas perdieron la vida el 3 de marzo de 1944, cuando el tren 8017, un convoy de vapor alimentado con carbón que partió de Salerno, se atascó en el túnel de Armi, un túnel de casi 2 km que pasa junto al río Platano. Atrapados dentro del túnel, los humos del motor se difundieron rápidamente por los vagones, matando a todos. El periódico La Stampa Sera tituló al día siguiente: “500 muertos mientras dormían”. Era difícil creer que, en medio de la guerra, entre los bombardeos aliados y la violencia nazi-fascista, se pudiera morir también de esta manera. De hecho, el caso fue rápidamente olvidado. También aquel. El gobierno italiano impuso el secreto militar sobre el evento y censuró o borró varios archivos. Hoy en día, los únicos documentos militares disponibles son los ingleses, consultados por un abogado en contacto con las familias de las víctimas y con los habitantes de Balvano, que están entre los pocos que conservan una memoria histórica del suceso. En las actas del Consejo de Ministros relativas al incidente, el General Badoglio afirmó que en el tren había “600 contrabandistas y viajeros ilegales”, una declaración apresurada y estigmatizante que, sin embargo, volvía a subrayar una vez más la narrativa dominante que existía sobre estas tierras.

Los trenes de carga que recorrían la nueva línea ferroviaria Salerno-Metaponto a menudo iban cargados de víveres de los campos de Lucania, Apulia y Calabria. Con frecuencia eran asaltados por grupos de “bandidos” hambrientos, pero también eran utilizados por familias y contrabandistas para ir directamente a los productores, para comprar alimentos a precios más bajos o para competir con la logística militar, que dominaba las cadenas de suministro. Muchos literalmente se aferraban al tren o saltaban sobre él. Siempre había vagones vacíos, y solo se necesitaba saber dónde encontrarlos. Las descripciones de estos desesperados viajes, en general, pintan un cuadro de una población al límite, que abandonaba periódicamente Campania en busca de alimentos en la vecina Lucania. Y muestran las múltiples facetas de la vida cotidiana durante la guerra. En estos entrelazamientos, el contrabando de artículos robados al ejército aliado permitía a familias enteras sobrevivir sin apoyar al régimen fascista. Sin embargo, en el tren 8017, los pasajeros casi todos habían subido regularmente en las estaciones de Nápoles y Salerno; muchos incluso habían pagado un billete para poder viajar. Es decir, también existía una especie de organización de emergencia y probablemente ilegal que gestionaba el movimiento de personas a lo largo de la ruta utilizada por los trenes de carga para abastecer a los ejércitos aliados. Este hecho era considerado inaceptable por el gobierno italiano, que en ese momento, por cierto, tenía su sede provisional precisamente en Salerno.

El accidente fue rápidamente explicado por la mala calidad del carbón utilizado para la combustión. Provenía de Yugoslavia y no generó el calor necesario para superar la subida. Un error del conductor atrapó luego el tren en el túnel, y los humos hicieron el resto en cuestión de segundos. La pobreza y el error humano son otras dos líneas narrativas que siempre se han utilizado, junto con el olvido, para explicar las historias de estas tierras. ¿No era posible, por ejemplo, que trenes de carga como el 8017 fueran objetivos militares y víctimas de sabotajes? Al observar mejor los eventos, su olvido representa otra gran extrañeza de la “nación” y concierne muy de cerca a un pequeño pueblo como Balvano. Estas historias, ciertamente desconectadas y no unitarias, forman entonces uno de esos nudos de Ausencia que Mantas intentaba desentrañar en sus obras documentales. Balvano es, sin duda, un territorio atravesado por la repetición histórica de muertes colectivas. Desde desastres naturales, rebeliones y tragedias de guerra, la historia de Balvano está marcada por momentos de tragedia compartida que se han sedimentado e inscrito en alguna parte de su cuerpo social. En los últimos 40 años, Balvano ha sido reconstruida, y el apocalipsis presenciado por el párroco ha cambiado. Pero, ¿cómo ha sido ritualizado, neutralizado, contaminado, diseminado?

Al llegar a Balvano por la carretera provincial que la conecta con Picerno, te recibe la joya de la inversión industrial estatal subvencionada en Lucania. Y esta vez no se trata de la “FIAT de Melfi”. Es la Ferrero de Piamonte. “Por la mañana nos despertamos, y en lugar de los gases de los camiones, se siente el olor del pan en el horno”, dijo un joven que se sentó con nosotros en la mesa. “Aquí reparten tartas gratis después del almuerzo”, nos tomó el pelo un hombre que nos escuchaba desde la entrada del bar. El paisaje alrededor de Balvano y hasta Picerno, bordeando la “histórica autopista Potenza-Sicignano,” parece, de hecho, una representación lucana del sueño del “Mulino Bianco”, durante muchos años arquetipo de la felicidad perfecta de la pequeña burguesía blanca caucásica, basada en la trinidad hogar-familia-comida. Se trata de una narrativa popularizada por campañas publicitarias que duraron varios años, desde 1977 hasta 2019, de una conocida marca del grupo Barilla, otro gran “inversor y terrateniente” de Lucania (el otro, si excluimos a las compañías petroleras y la Iglesia, es la cesenate Orogel). Las casas dispersas, con garajes y jardines, y vehículos con vistas impresionantes de la garganta del Platano o de la llanura de Baragiano y otros pueblos en las montañas lucanas, desde San Gregorio Magno hasta Vietri, parecen la realización práctica de esa utopía consumista de progreso. Aquí parece encontrarse en una especie de excepcionalidad de Basilicata, un ejemplo virtuoso de un proceso que, desde el terremoto de 1980, ha visto a la región entrar en una larga y lenta fase de reconstrucción, restauración, y en algunos casos, incluso embellecimiento de su patrimonio artístico y paisajístico.

spopolamento Territorialización de las tasas de crecimiento de la población italiana en los últimos 20 años

A pesar de esto, todavía nos encontramos en una de las zonas de Italia con los índices más altos de despoblación. “Quien puede, se va, porque en el pueblo no hay nada que hacer.” Nos dijo nuestro “Virgilio”. El irse es un tema fundamental en estas áreas de Lucania, y ese joven nos lo decía para profundizar en el estado de Ausencia que parecía dominar Balvano en sus relatos. Sin embargo, la Ausencia provocada por la migración tiene un carácter diferente al del terremoto y es una condición bastante típica de toda la región del Apennino calabrés-lucano. Es precisamente en la valorización patriótica de la “restanza” (el quedarse) y su confusión con un valor nacionalista de protección de los territorios frente a los no-blancos, donde la extrema derecha ha obtenido un gran número de preferencias electorales incluso en estas partes. Sin embargo, a un examen más detenido, “irse” de Balvano no se trata de un viaje de conocimiento y trabajo en el mundo, ni del “viaje a otro mundo” que llevó a muchos lucanos a migrar al norte de Italia, a Alemania, a las Américas o a Australia después de la Segunda Guerra Mundial. En cambio, se refiere a un proceso de migración interna muy concreto y muy local que lleva a la llamada “gente de pueblo” (como se les llama en Potenza) a trasladarse a los centros habitados más grandes y cercanos, entre los cuales está, por supuesto, Potenza.

Una vez en la capital, es muy probable que “la gente de pueblo” termine viviendo en nuevos edificios antisísmicos, diseñados para convencer a los padres de romper la hucha, engordada por los subsidios de la Política Agrícola Común de la UE, y comprar un apartamento donde vivirán sus hijos. El nuevo hormigón armado garantiza “estar allí hasta el final” durante al menos los próximos 20 años. Para “la gente de pueblo”, es una inversión; para los demás, es especulación inmobiliaria. Esto da lugar a proyectos de urbanización que convierten a Potenza en una “ciudad vertical”, llena de edificios que se desarrollan en altura, entre montañas que rozan los 1000 metros. Esto ocurre también porque el modelo de negocio que lleva a su realización crea una cadena de deuda entre bancos-empresas de construcción-bancos-gente de pueblo que no puede ser interrumpida; de lo contrario, toda la economía de estas tierras se detendría. En otras palabras, “la gente de pueblo” se convierte en el objetivo de un mercado de desarrollo de la ciudad que a su vez se modela en torno a la naturaleza difusa del ahorro de los potenciales compradores. En ausencia de “grandes propietarios” que suelen vivir en otro lugar, la arquitectura se “ajusta” al mercado. El resultado es una vivienda pública clásica, como lo fueron el barrio Zen de Palermo, Scampia en Nápoles y el mismo “Serpentone” de Potenza. Sin embargo, esta vez, los edificios son realizados por empresas privadas que aprovechan las subvenciones estatales para producir construcciones “ecológicas y antisísmicas”, y los apartamentos se venden a precios no regulados, a menudo pagados con hipotecas a largo plazo y tasas de interés variables.

Para ser más concretos, quienes dejan Balvano para trasladarse a Potenza, con una alta probabilidad, van a vivir en Macchia Romana. Según datos no completamente verificados, en los edificios de la foto de abajo viven aproximadamente 10,000 personas, el 15% de la población de Potenza, de las cuales el 60-70% proviene de la provincia. Si Balvano es “el molino blanco”, Macchia Romana representa la materialización de los espectros del pasado y del futuro de la migración que bailan alrededor de la Ausencia producida por el terremoto. Esos edificios son un producto de la “modernidad”, exactamente como las villas de Balvano. Representan una reconstrucción prospectiva del pueblo destruido que encuentra patria en un otro lugar olvidado y anónimo, en el que Balvano está presente como un nodo de la Ausencia. En Macchia Romana, el hormigón armado surge como ídolo del nuevo mundo posterior al terremoto de 1980. Mientras la herencia de los padres se capitaliza, paga a la empresaria de la construcción y sus aliados políticos y paga a los bancos con trabajo asalariado. El hormigón armado domina los paisajes y los espacios como baluarte de no repetibilidad y de no deperibilidad, como garantía de futura reventa o, al menos, de mantenimiento del valor.

Macchia Romana

La urbanización de bosques y campos agrícolas que hasta hace unos años eran públicos o tenían formas de propiedad difusa ha producido edificios altos y majestuosos; imágenes desvanecidas de las fortificaciones del pasado. Sin embargo, una vez, esos lugares estaban reservados para terratenientes y militares, pero ahora el “progreso” se ha extendido y materializado gracias al hormigón armado. Según los datos de las agencias inmobiliarias de Potenza, el nuevo apartamento a prueba de terremotos es el método de inversión preferido por la “gente del campo”. Estamos, por tanto, en un punto crucial en la reconstrucción de Balvano. Todo sugiere que la “doctrina del shock”, como la llamaba Naomi Klein, ha funcionado aquí a la perfección. Además, Balvano parece vivir dentro de una paz petrolera criminal que lo ha mantenido al margen de los intereses económicos tanto de la Camorra de Caserta como de la emergente de Foggia. Rosaria Capacchione explica muy bien cómo la reconstrucción de Irpinia marcó el punto de inflexión entre el contrabando de cigarrillos y drogas de la Camorra y su entrada en el negocio de la construcción, creando una alianza funcional con las empresas constructoras del norte de Italia, especialmente de Veneto y Lombardía. Sin embargo, el aumento del poder de negociación no provenía directamente del uso de armas o del control territorial. El “hormigón armado” de la Camorra simplemente costaba la mitad que los demás, gracias a esquemas de lavado de dinero y eludir sistemáticamente las regulaciones locales. Había para todos, pero solo si se aliaban con los clanes. El clímax de este largo proceso de normalización de los sistemas mafiosos se alcanzó cuando Nicola Cosentino y la alianza petrolera-mafiosa que representaba se convirtieron en Viceministro de Finanzas en uno de los gobiernos de Berlusconi.

Macchia Romana y esta parte de Lucania, sin embargo, parecen seguir dinámicas diferentes, vinculadas por un lado a un control nepotista y clientelista de las burocracias, y por otro lado a la presencia de grandes contratistas multinacionales como ENI, Total, Stellantis, Barilla e incluso Ferrero. La economía, más que estar en manos de los clanes, está en manos de la burocracia que la gestiona en nombre o junto con estos grandes contratistas, de quienes recibe los recursos financieros necesarios, como las regalías del petróleo. El objetivo final sigue siendo históricamente el mismo: permitir la explotación tranquila del territorio. Pero el resultado es que la competencia no sigue la ley natural, en la que el pez grande se come al pez pequeño. En cambio, casi como un contrappaso dantesco, vive dentro de una serie de histerias legales y guerras comerciales de demandas que ralentizan o incluso bloquean todos los mecanismos productivos reales. No es el más fuerte o el “mejor” el que prevalece, sino ciertamente el más “adaptado”, generalmente el más conectado y “presentable” a las autoridades antimafia. En lugar de gerentes sin escrúpulos dominados por la ansiedad de obtener beneficios, estas partes del sur están dirigidas por ingenieros y agrimensores capaces de reconstruir Balvano, y por abogados y notarios que navegan con astucia por los oscuros laberintos de las infinitas leyes italianas. De este modo, surge una economía real esencialmente extractiva, con escasa iniciativa empresarial local innovadora, concentrada sobre todo en los sectores de la construcción o los servicios, pero con bajos niveles de productividad y un estancamiento estructural de las ganancias. Asì que los ciclos de endeudamiento local se sostienen principalmente gracias a la gestión de los fondos públicos que, de una forma u otra, llegan a estas areas.

En este contexto, Balvano puede describirse como un nodo de Ausencia. Su reconstrucción quedó vacía porque sus habitantes, después de 45 años, siguen desorientados, habiendo convertido su herencia en capital y reemplazado las viejas casas con el hormigón armado en Macchia Romana. Mientras tanto, su arquitectura rural se ha transformado en un hermoso contenedor que espera que ocurra algo que cambie su destino. Las casas están perfectamente legalizadas y en regla, “registradas” y mapeadas en las oficinas municipales. Son productos listos para el mercado inmobiliario y turístico. Esperan capital e inversores que nunca llegan. Siguiendo una trayectoria de más de 40 años, aquellos dispositivos que, después del evento traumático, congelaron Balvano en una “Zona” han gestionado su desaparición/absorción/asimilación. Después de monetizar la reconstrucción, ahora su “traslado” a los edificios de Macchia Romana cuenta la historia de cómo Balvano puede seguir existiendo, aunque aún en un final colectivo. Su transformación en “hormigón armado” es también su transformación en “ruina”, despoblada, abandonada, a la espera de fondos y capital. Quizás a esto se refería De Martino cuando hablaba de apocalipsis culturales. Indirectamente, ya estaba observando la lenta e irreversible asimilación y subyugación al capital de los territorios conectivos cercanos a áreas de gran urbanización. Sin embargo, es solo el fin de un mundo. Pero para explicarme mejor, necesito escribir sobre Laos, sus fronteras y dos poblaciónes, los Phunoy y los Hmong.

 
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from From Balvano to the Plain of Jars

[EN] (Translation from the Italian was possible thanks to ChatGpt “free” services and my personal revisions.)

[ES] (para el texto en español, desplácese hacia abajo. La traducción desde el italiano fue posible gracias a los servicios “gratuitos” de ChatGpt y mi revisiones personales.)

[EN]

La Galleria di Balvano

There was a simple idea: to kayak down the Platano river, more or less from Balvano to Romagnano al Monte. Then, deflate the kayak and walk along the old provincial road to return to the motorbike and head back towards Potenza. We had planned a micro-exploration on the weekend in “packrafting” mode, which is an everyday thing in Alaska but still rare in Basilicata. We were actually staging an escape from the everyday life as former classmates from our university days in Milan. We were two followers of Guido Tabellini, of electoral economic cycles and models that, if they don't reach an equilibrium, at least have a solution. But while my friend had dedicated a few years to business consulting before returning “home,” I, as I got older, preferred to delve into the qualitative and irrational aspects of political economy until I became an amateur anthropologist. I live with the burden of having studied in the best Social Anthropology Departments in the UK, with cosmopolitan, progressive students from the global elite and professors who, in the truest sense of the word, founded Social Anthropology. The burden, meaning not knowing how to handle this genealogy, stems from the fact that each of these studies ended with reckless acts, sudden escapes, some addiction, a lot of money spent, including that from the Basilicata Region, and few official qualifications obtained. While my friend followed a linear path and, after consulting, became an entrepreneur in the South, only to later seek refuge in the public sector, I, for now, am an informal tour guide in Laos after a life of odd jobs and so-called “side gigs.” But I am also a property owner, a “small landlord,” a condition that provides me with some minimal resources for studies—amateur and part-time, of course—but over the long, if not the very long term. Despite the lack of essential interaction with colleagues and students, in today's accelerationist phases dominated by cognitive marketing, “having time” is probably a privilege, even in intellectual and academic circles.

For about 7 years, I’ve dedicated myself to much of the material produced around Deleuze and Guattari's “Capitalism and Schizophrenia” studies, which have become my personal Bible. To give a meaning to this passion “outside of me”, I’ve made a habit of publicly sharing some progress in my “continuous education.” During my most creative periods, when obsession materializes on a piece of paper that may also be a virtual space on my laptop, I need to find ways to reset my mind and write without taking myself too seriously. So far, packrafting has always been an excellent solution.

That Saturday in April 2023, we decided to explore the surroundings of the city because I didn’t know them very well, and my friend had offered to accompany me. I come from a small middle-class family from southern Italy, raised on the exoticism of the “far away,” and the “family trip during August national holidays” was always done strictly by car, with the trunk filled with every kind of good imaginable and abroad—to Austria, Germany, Belgium, France, etc. Moreover, with a mother from Ravenna, I spent my free time mainly in Romagna. As a child, it was in the Riviera, from Cesenatico to Lido di Classe, passing through Milano Marittima and Cervia, that I discovered the world. I found Basilicata at university, also thanks to my friend, and it was a passionate discovery that still accompanies me to this day. Besides, we were in the middle of a rainy and cold spring, the year of the first flood in Romagna, to be precise, and even on the Lucanian mountains, we could feel the effects of climate change. However, that Saturday, a sudden ray of light from the clouds gave us hope of finding everything together: a flooded river, that is, very different from its usual existential status as a lazy stream, tributary of the much more famous Sele, and a mild day that would allow us to dive into the cold waters of early spring. I shall also add that I had been hoping to explore those places for at least 25 years.

The old “fascist” railway that connects Basilicata to Campania passes through gorges of bright white limestone rocks carved by the Platano river. Some locals call them the “White River Gorges” because sometimes the water takes on a surprising whitish color, showing the wonder of its colorless rocky bed. I saw them for the first time when, at 18, I had to board a train to Salerno for the military draft visit: the absolutely useless three days where I ended up with a psychologist because I answered affirmatively to the question “Do you like flowers?” And I also got a slap from the train conductor because the other conscripts were wrecking the carriage that was taking them back to Potenza. Maybe he was mad at me because I was the only one looking out the window and asked him, “Are you mad at me?” or maybe because I was the scrawniest one. I never knew. But that day I was dazzled by the Platano. In April 2023, the stars finally aligned, leading me to those roads.

The kayaking adventure turned out to be more challenging than expected right from the start. We hadn't set out in “expedition” mode but just with a sandwich, a motorbike, and a spliff. The Platano's white waters surprised us practically after the first bend. We did not panic but the river dictated every step, every pirouette, every grounding. After a few hours, we were still quite far from the white river gorges and Romagnano, so we decided to stop at the Hannibal bridge, where it's said elephants passed during the Punic Wars between the Romans and Cartago. Cold but filled with adrenaline, we started the climb back up the valley to find the old provincial road. Amid meadows and breathtaking views, lonely roads, and old brigand hideouts, we returned to Balvano to celebrate the adventure in a small bar in the town’s central square and chat with the locals. That's when Balvano entered my life, and more or less, that's where this new literary effort begins.

[ES]

La Galleria di Balvano

Había una idea sencilla: hacer kayak por el río Platano, más o menos desde Balvano hasta Romagnano al Monte. Luego desinflar el kayak y caminar por la antigua carretera provincial para regresar a la moto y regresar hacia Potenza. Habíamos inventado una micro-exploración para el fin de semana en modo “packrafting”, algo cotidiano en Alaska pero aún raro en Basilicata. Estábamos escenificando una escapada de la vida cotidiana como ex compañeros de universidad en Milán. Éramos dos seguidores de Guido Tabellini, de los ciclos economicos electorales y de modelos que, si no alcanzan un equilibrio, al menos tienen soluciòn. Pero mientras mi amigo se había dedicado durante algunos años a la consultoría empresarial para luego regresar “a casa”, yo, al envejecer, preferí profundizar en los aspectos cualitativos e irracionales de la economía política hasta convertirme en un antropólogo aficionado. Vivo con el peso de haber estudiado en los mejores departamentos de Antropología Social del Reino Unido, con estudiantes cosmopolitas y progresistas de la élite mundial y con profesores que, en el verdadero sentido de la palabra, han fundado la Antropología Social. El peso, es decir, no saber cómo manejar esta genealogía, proviene del hecho de que cada uno de estos estudios terminó con actos impulsivos, huidas repentinas, alguna adicción, mucho dinero gastado, incluidos los de la Región de Basilicata, y pocos títulos oficiales obtenidos. Mientras mi amigo siguió un camino lineal y, después de la consultoría, se convirtió en empresario en el sur, aunque luego buscó refugio en el sector público, yo, por el momento, soy guía turístico informal en Laos después de una vida de trabajos ocasionales, los llamados “chapuzas”. Pero también soy propietario y “rentista”, condiciones estas últimas que me proporcionan algunos recursos mínimos para estudios, por supuesto amateur y a tiempo parcial, pero a largo, si no a larguísimo plazo. A pesar de la falta del imprescindible diálogo con colegas y estudiantes, en estas fases actuales de aceleracionismo, dominadas por el marketing cognitivo, “tener tiempo” es probablemente un privilegio, incluso en los entornos intelectuales y académicos. Durante aproximadamente 7 años me he dedicado con dedicación a gran parte del material producido en torno a los estudios sobre “Capitalismo y Esquizofrenia” de Deleuze y Guattari, mi Biblia personal. Para dar un sentido “fuera de mí” a esta pasión, he tomado la costumbre de compartir públicamente algunos avances de mi “educación continua”. En los períodos más creativos, cuando la obsesión se materializa en un trozo de papel que tal vez sea un lugar virtual en mi portátil, también debo encontrar métodos para reiniciar la cabeza y lograr escribir sin tomarme demasiado en serio. Hasta ahora, el packrafting siempre ha sido una excelente solución.

Ese sábado de abril de 2023, decidimos explorar los alrededores de la ciudad porque no los conocía mucho y mi amigo se había ofrecido a acompañarme. Provengo de una familia de clase media del sur de Italia, en Colombia nos podriamos posicionar como extracto 3 o 4, educada en lo exótico de lo “lejano”, y el “viaje familiar en las vacaciones de agosto” lo hacíamos estrictamente en coche, con el maletero lleno de cualquier bien del mundo y al extranjero, a Austria, Alemania, Bélgica, Francia, etc. Además, con madre de Rávena, pasaba mi tiempo libre sobre todo en Romaña. De niño era en la Riviera, de Cesenatico a Lido di Classe, pasando por Milano Marittima y Cervia, donde descubrí el mundo. Encontrè la Basilicata en la universidad, también gracias a mi amigo, y fue un descubrimiento apasionante que aún me acompaña. Además, estábamos en medio de una primavera lluviosa y fría, el año de la primera inundación en Romaña, y también entre las montañas lucanas se sentían los efectos del mal tiempo global. Sin embargo, ese sábado, un rayo de sol nos dio la esperanza de encontrar todo a la vez: un río crecido en comparación con su existencia habitual como arroyo perezoso y afluente del mucho más conocido Sele, y un día templado para bañarse en las frías aguas de principios de primavera. Vale la pena decir que llevaba al menos 25 años esperando conocer esos lugares.

El viejo ferrocarril “fascista” que conecta Basilicata con Campania pasa por desfiladeros de rocas de piedra caliza de un blanco brillante, esculpidas precisamente por el río Platano. Algunos lugareños las llaman las “Gargantas del Río Blanco” porque a veces el agua adquiere un sorprendente color blanquecino, mostrando la maravilla de su lecho rocoso incoloro. Las vi por primera vez cuando, a los 18, tuve que subirme a un tren hacia Salerno para la visita del servicio militar: los fatídicos tres días en los que terminé con un psicólogo porque respondí afirmativamente a la pregunta “¿Te gustan las flores?” También recibí una bofetada del conductor del tren porque los demás reclutas estaban destrozando el vagón que los llevava de vuelta a Potenza. Quizá estaba enojado conmigo porque yo era el único que miraba por la ventana y le pregunté: “¿Estás enojado conmigo?” o quizá porque era el más enclenque. Nunca lo supe. Pero ese día quedé deslumbrado por el Platano. En abril de 2023, las estrellas finalmente se alinearon, llevándome a esos caminos.

La aventura en kayak resultó ser más desafiante de lo esperado desde el principio. No habíamos salido en modo “expedición” sino solo con un sándwich, una moto y un “porrito”. Los rápidos del Platano nos sorprendieron prácticamente tras la primera curva. Sin volcar ni causar pánico, el río dictaba cada paso, cada pirueta, cada varada. Tras unas horas, aún estábamos bastante lejos de las gargantas del río blanco y Romagnano, por lo que decidimos detenernos en el puente de Annibale, donde se dice que pasaron los elefantes durante las Guerras Púnicas. Fríos pero llenos de adrenalina, comenzamos el ascenso de regreso por el valle para encontrar la antigua carretera provincial. Entre praderas y vistas impresionantes, caminos solitarios y antiguos escondites de bandidos, regresamos a Balvano para celebrar la aventura en un pequeño bar en la plaza central del pueblo y charlar con los lugareños. Fue entonces cuando Balvano entró en mi vida, y más o menos, ahí es donde comienza este nuevo esfuerzo literario.

 
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from From Balvano to the Plain of Jars

[EN] (Translation from the Italian was possible thanks to ChatGpt “free” services and my personal revisions.)

[ES] (para el texto en español, desplácese hacia abajo. La traducción desde el italiano fue posible gracias a los servicios “gratuitos” de ChatGpt y mi revisiones personales.)

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PhouPhati Coded name – Lima Site 85 – on Phou Phathi: former CIA outpost in Huaphan district, Laos

My latest literary effort is called “From Balvano to the Plain of Jars.” It’s a reflection on Laos and the history of colonialism in Southeast Asia, starting from Basilicata and Balvano. The broader aim is to reconnect with a discussion I started with my unpublished text on Colombia, which you can download in Italian here, and a brief summary of which you can read here (also in Italian).

In the concluding pages of that work, I wondered whether Absence could be thought of as a power relation.

The absence of the State is indeed a political category in its own right, around which “colonial” cartographies have been built practically forever. In Colombia, there are “red zones,” “empty territories,” and “war zones,” areas that belong to a space outside of the State, recognizable by their dis-identification, and because they are subject to special operations of some kind. Around these “Zones,” various legal, bureaucratic, and military mechanisms are put in place, materializing governmentality, i.e., planning and implementing, wherever possible, ad hoc interventions to incorporate, annex, absorb, and make the zones part of the totality that defines them.

A dear anthropologist friend of mine, sadly killed in Mariupol in 2022, went so far as to want to write and film “special anti-terrorism operation zones,” the most special of all because they involve processes of fabricating legal realities to regulate a specific enmity relationship. In these zones, according to Mantas, my friend’s name, a peculiar condition is produced, which he called “bespredel” meaning “limitlessness”. Mantas described life in the excess of power, where reality could literally be fabricated at will by authority, creating testimonies and material evidence of events that leave lasting impressions on memory, even though they have no real connection to the military operations from which they originate. In other words, we find ourselves in the midst of a systematic production of fake news that, however, become (H)istory.

“The Zone,” as Mantas defined it, with a capital Z (a Z that so closely recalls the letter painted on the tanks and helmets of the Russian army invading Ukraine), was precisely Mariupol, but also Chechnya, where he worked for many years producing a documentary film in which he told of a dreamlike place, Barzakh, a refuge suspended between life and non-life, between death and non-death, where people’s desires waiting for their missing loved ones meet. For a long time, he accompanied a mother with his camera as she awaited information about her missing son. She paid thousands of dollars to an agent of the FSB, Russia's secret service (formerly the KGB), to find out whether her son was still alive, imprisoned somewhere, or dead. She discovered improbable archives, ranging from fortune-tellers reading pebbles to fabricated documents from the bureaucracy, which, though widely useless, somehow satisfied her need for information. On this melancholic journey that Mantas accompanied her on, he discovered Barzakh while telling us a story of the absence of a place—Chechnya—that today could help us much to know more about Russia and the leadership that governs the world.

In Chechnya, there was a gradual Islamist radicalization of the indipendentist movement born in the aftermath of the collapse of the Soviet Union: from moderate and mystical Sufism to Wahhabi jihadism, as if only a “god” could give the strength to resist the absolute power manifesting there. But their acts of rebellion met a subsequent annihilation. This occurred, according to Mantas, within a great legal fiction that was the “special anti-terrorism operations zone,” where old Stalinist practices of domination and control over rebellious populations found a space of legal legitimacy, allowing the systematic erasure of any form of resistance and any narrative about the horrors committed: all amid the silent approval of the international community and their Anglo-Saxon emperors, who, at that time, were doing all kinds of business with Putin's oligarchs and producing their own cancellations.

Fate wanted Mantas to spend his last days of life directly experiencing bespredel on his own body, executed “with honor,” according to Russian criminal codes, by special Chechen troops who had come to reinforce Moscow's battered army (*). Discovering that Mantas was the only foreigner left in Mariupol, along with his partner, they realized they could finally settle an old score. Mantas filmed Barzakh before their very eyes, without them realizing it, helped by the Chechen resistance. An unacceptable affront that even earned him a prize at the Berlinale. About 10 years later, after ritual torture, Kadyrov personally took the trouble to shoot him twice with fatal blows: one to the heart and the other between the eyes. To top off the bespredel, his body was found by his partner, who was even allowed to take it to Lithuania, passing through Russia, while in Mariupol—razed to the ground—the rubble covered the mass graves.

Today, Chechnya is a sovereign entity where independence movements are only a forgotten memory of the past. It is commanded by Kadyrov on behalf of Tsar Putin, and its longevity will determine its name. It is, however, already defined as a “State,” and indeed, one refers to the State when discussing events like those that rebuilt Russian power in Chechnya, that made that boy disappear and killed Mantas. But they also tell us similarly about what is happening in Palestine and many other parts of the world. From Hobbes to Schmitt, the State seems to be founded around an intimate relationship with an essentially atrocious and horrific original act, perceived as “outside” and exceptional compared to the places where it takes shape.

To “make this primordial absence forgotten,” the Zone seems to be an excellent tool, and in my text on Colombia, I describe some of its liquid elements, as they emerged in Buenaventura.

Recounting recurring peak events, such as sudden waves of militarization in the “Barrio” where I lived, or eruptions of armed violence in the streets around us, but also more or less spontaneous revolts, I tried to observe it from spaces that generated conviviality and an “oblivion” of horror. I observed, in other words, its mechanisms of suppression. I thus found ritual moments in the most anthropological sense of the term (spaces of initiation, closed, repeatable but with a duration), which freed people from authority and war. This happened in an ephemeral but decidedly important way for the psychosocial balance of the community. They replaced the militarist tradition of the places with life-celebrating practices that reaffirmed the superiority of social bonds over death without resorting to the institutions of the “funeral” or “commemoration.” I did not find Barzakh but spaces of resistance in a very Foucauldian sense to the powerful psychic flows that passed through places and people.

I called these ritual moments “interregna,” borrowing the notion from Gramsci. I described them as suspended spaces, in which the ontological understanding that the material order of things does not change with the change of the “higher” organization that deals with the logistics of the “Zone” produces an ideal split between the rulers and the ruled. There is, in fact, a shared understanding that everyone knows that those in power will never solve everyday life problems. However, without them, everything could become worse than it is, at least from a personal and family perspective. This peculiar way of understanding socio-economic dynamics is due to the intermediary nature of power and its articulation through the dual rule of “Know How” and “Know Who.” Anthropologically, therefore, we witness the continuous end of the “old order” without the “new” ever producing any concrete effect on the exchange relations and moral economies of the community and the neighborhood. However, the transition from one organization to another remains a real fact, and in the transition, escape routes are produced, which I described as potentialities that some knew how to seize or saw better than others.

In this perspective, I recounted, for example, the stories of the “muchachos” and their connective function between the Barrio and the rest of the city,—both materially, by providing motorcycle taxi and freight services, and symbolically, representing a “power” that inscribed the Barrio on urban maps, making its inhabitants capable of claiming a share of the city's wealth. There were real grassroots organizations in the Zone that maintained relationships with each other, imitating each other in the management of businesses and simultaneously arming themselves if the conditions required it to delimit the various zones of influence. In the relationships between the “inside” of the barrio and the “outside” of the city that these organizations produced, I saw a very important element of the factuality of power as brokerage and horror that I described in the Zone. I saw elements of extremely complex political systems, too often forgotten in political science analyses of Colombia and countries affected by the “war on drugs” or found only in very specific criminology or investigative journalism works that recounted the same stories for decades, and no one read them anymore.

What I observed instead during my fieldwork was that in the “change of order” from Rastrojos to Urabeños, some people lived a here-and-now expressed through phrases like “callejear” (to hang out on the street) and “jugar vivos” (to play smart), which defined a need to understand the “Zone.” The barrio's stories demonstrated, in my opinion, that power, which could certainly be “without limits,” was also daily “staged” in its precariousness and instability by emerging subjectivities who mirrored that “power,” symbolically becoming but also incorporating the limitlessness of the Zone. From this perspective, I interpreted the rise of leaders who then became bosses, and of bosses who seemed like kings for a night or a month, or gang members who, for some, became local Robin Hoods and for others, executioners. In some way, therefore, the creation of these micro personalistic orders represented the repetitive and partial solution to the problem of Absence.

What interested me most in these entanglements of authoritarianism and anti-authoritarianism was that the leaders, sometimes even extremely unlikely ones, emerged not just through the practicality of their actions and their presence on the streets. They were “leaders” also because they manifested a mythical world made up of both street stories and moments of ritual sharing. In some cases, I found echoes of Jean Rouch's “Les maîtres fous.” In other instances, I seemed to glimpse elements of African “shadow states” as described by several African anthropologists (check for example here and here), existing in a mystical and symbolic form, if not as spirits possessing certain individuals. What I observed in Buenaventura was the emergence of radically multipolar and certainly unstable political organizations that existed as a ritual celebration of multiplicity, not as a reduction to unity and normalization of power. The implications of these conclusions are certainly vast; they concern practices of governmentality based on civil war that force the legitimization of partial domination over another (such us the transition from Rastrojos to Urabeños) but also the creation of secret societies, sects, and various types of mutual aid societies as well as more durable local autonomy experiments (the “cimarrones” and “quilombos” in the Afro-American tradition).

This final point directly connects to my new work and to an aspect of power as brokerage and horror that I want to investigate in greater detail: “making people forget” and “forgetting” in a broader sense. In recent months of reading about the 19th-century rebellions that accompanied colonial encounters in Asia, I’ve stumbled upon processes I paid less attention to during my time in Colombia. The pervasive trauma from armed violence had obscured another equally significant issue. The foundation of a state, kingdom, or political entity is not only rooted in an original atrocity but in its forgetting. It’s not just about “making people believe,” but about “making them forget” that is foundational. The case of Chechnya and the historical erasures produced by the Kadyrov regime demonstrate this quite clearly. The current Western double moral standard on the war in Palestine is further proof. However, this is not about building a deception that becomes reality as happens in the film Donbass by Sergei Loznitsa. Instead, it is about epistemologies that use the suppression of horror almost as a system of linguistic and neural programming. That is, suppression becomes an aesthetic paradigm that fills memory with images, saturating it to the point of preventing critique of the here and now, but also of a controversial and unshared past.

LuangPrabang

The place that made me reflect most on the relevance of forgetting was Luang Prabang, a city with a decidedly interesting history that, in recent years, has transformed, as a local anthropologist said, into a “Special Zone for Tourism.” There’s an aspect of Luang Prabang’s commercialization that makes the daily experience of time—how past and present exist in the present—peculiar. The crux of the matter is that the city’s history revolves around its old royal family, who managed and owned the entire area that became an UNESCO World Heritage Site in 1995. Moreover, the area was deeply transformed by the colonial encounter, and except for the temples, nearly all the current architecture, with very few exceptions, was built during the 50 years of French colonial rule between the late 1800s and the start of World War II. So, we are talking about an urbanization process that, in just a few decades, radically altered or erased much of the cityscape. Other significant events complicate the city’s pathways of remembrance. The first was the near-total sacking and destruction of the city center in 1887. The second was the two Indochina wars, during which Laos, under the more or less imposed leadership of Luang Prabang’s royal family, became a war zone. From 1959 until 1975, Laos endured a long and bloody civil war, leading to the near-total annihilation of several provinces and kingdoms that, at different historical times, contested power with Luang Prabang’s royal family or enjoyed large autonomy from it.

In historical texts, the civil war typically overlaps and blends with the “Secret War,” which “officially” began with a press conference by President John F. Kennedy on March 22, 1961, where he unequivocally stated that northern Laos had been invaded by North Vietnamese communist forces. The fear of the “invasion” is a recurring theme in local narrations and indeed invasions of these lands happened in various historical moments. However, in 1961, the “communist invasion” belonged to those fabrications Mantas used to encounter in his fieldwork and resembled “the Iraqui arms of mass destructions” of the UN General Assembly meetings in 2002. Moreover, the “Secret War” in Laos, which ended with the 1973 Geneva peace accords, was officially recognized by the U.S. only in 2016, and even then, with a long series of limitations regarding its actual course, the recognition of victims and civilian massacres, and the numerous testimonies of direct involvement of the CIA and the U.S. (and French) military in developing the international heroin trade from Lao opium production. We are therefore in the presence of a large scale historical suppression of the memory of a war.

The interesting aspect is that against the backdrop of the “Secret War,” the Lao civil war saw Luang Prabang at the center of various political machinations involving members of its royal family, army officers, and high-ranking bureaucrats. Although some of the major political leaders of the time came from this city, today, in Luang Prabang, for example, there is no museum tracing the various phases of this conflict or delving, with some detail, into the dynamics that led the city’s leadership to accept, if not actually desire, both the carpet bombing of nearby valleys and the heroin trade itself. We are therefore witnessing a conscious historical omission that could be interesting to analyze in greater detail, both historically and ethnographically.

In place of a contested past, we find an identity and nationalist discourse that constructs the “Lao-ness” of the city through its “mythical” past, both as an ethnic-popular brand sold by the tourism industry and as a symbol of unity of a territory otherwise crisscrossed by wide-ranging financial, economic, cultural, and ethnic flows. For this reason, in the notion of “heritage” created by UNESCO, which I will analyze later, a rather peculiar historicizing experience of daily life is produced, in which the monarchic era is re-enacted in its most welcoming and “enlightened” form; that is, the one that “united” and created economy. Old colonial buildings, rooms of kings and queens, or gardens of princes and princesses overlooking one of the most scenic rivers in Asia are now available for the leisure of its visitors. It is as if all its inhabitants participate in a true imaginary construction of Luang Prabang in which (H)istory re-emerges as a daydream about its past, and in doing so, produces a legal-moral order that, by erasing a still important part of that same past, reproduces images of a form of government that some, undoubtedly, would like to reconstruct. This perspective is the one that interests me the most because it relates to an aspect of cultural heritage that makes it both “an order” and a mode of enjoyment. To quote Zizek, these intersections “teach [the subject] to desire,” and thus to forget as well as to dream of a new political order.

There is clearly no single way to recount the ways in which the past can be relived in the present. In the following pages, I will propose different perspectives and trajectories in which traumatic events of the past seem to manifest themselves in the present in various geographical contexts. I will then propose a historiographical review of the region in which Laos is located, to better characterize the context in which these omissions occur. Finally, if possible, I will gather some ethnographic archives in which this contested past re-emerges with greater clarity.

For this journey and this exercise in writing to be possible, however, I must begin with a kayaking expedition on a Lucanian river where these ideas first began to take shape.

(*) This is my personal reconstruction of Mantas’ murder, based on testimonies from people informed about the facts and by cross-referencing data on the war in Mariupol during the time of his death. In particular, the presence of Kadyrov and Chechen special forces was crucial during the capture of the Azovstal steel plant in Mariupol's port, which took place shortly after Mantas was killed. In his work, Mariupolis, he documented, among other things, the growing military presence of the Azov battalion, along with criticism from both sides, Russian and Ukrainian, for its clear association with the far-right neo-fascist movement. In his posthumous work, Mariupolis 2, presented at Cannes in 2022, Mantas was documenting the lives of some refugees who didn’t want to leave the city under bombardment and had remained inside an evangelical church. His death might have been accidental. Indeed, being in Ukraine without official documents, it’s possible that he wasn’t recognized by those who found him. The possibility that the military possessed facial recognition technology is remote, although a simple photo taken with a cellphone and sent to the right people could have been enough. Without a doubt, Mantas had long been on a blacklist of the Russian regime. After Anna Politkovskaya, another collaborator of the Russian journalist and a personal friend of Mantas, Natalia Estemirova, was also killed in Chechnya. Mantas was probably somewhere on that same list of names. The tortures he endured and the two point-blank shots he received led me to lean toward the idea of a “mafia-style” settling of scores. Moreover, I have no evidence that Kadyrov materially shots Mantas, but I believe it is not so relevant as he was personally there in those days. Anyway, I want to clarify that the reconstruction I propose is personal and not shared with Mantas' family nor his ex-partner, who at the time of our meeting did not find it fully credible.

[ES]

PhouPhati Nombre en código: Lima Site 85 en Phou (monte) Phathi. Ex puesto de la CIA en el distrito de Huaphan, norte del Laos

Mi último esfuerzo literario se titula “De Balvano a la Llanura de las Jarras.” Es una reflexión sobre Laos y la historia del colonialismo en el sudeste asiático, que parte de Basilicata y Balvano. El objetivo más general es retomar un discurso iniciado con mi texto inédito sobre Colombia, que puedes descargar aquí en italiano y del cual puedes leer un breve resumen aquí también en italiano.

En las páginas finales de ese trabajo, me preguntaba si la Ausencia podía pensarse como una relación de poder.

La ausencia del Estado es, de hecho, una categoría política en sí misma en torno a la cual se han construido cartografías “coloniales” prácticamente desde siempre. En Colombia existen las “zonas rojas”, “los territorios baldiòs” y “las zonas de guerra”, áreas que pertenecen a un fuera del Estado, reconocibles por su desidentificación y porque son objeto de operaciones especiales de algún tipo. En torno a las “Zonas” se disponen varios dispositivos jurídico-legales y militar-burocráticos que materializan gobernamentalidades, es decir, planifican y realizan, donde es posible, intervenciones ad hoc para incorporar, anexar, absorber, hacer que las zonas se conviertan en partes de la totalidad que las define.

Un querido amigo antropólogo, tristemente asesinado en Mariúpol en 2022, llegó tan lejos como para querer escribir y filmar zonas “de operaciones especiales antiterroristas”, las más especiales de todas, porque tratan de procesos reales de fabricación de la realidad jurídico-legal con la que se regula una relación bélica y de enemistad específica. En estas zonas, según Mantas, el nombre de mi amigo, se produce una condición peculiar que definía como bespredel, es decir, “ausencia de límites”. Mantas relataba la vida en el exceso de poder donde la realidad puede ser literalmente fabricada a voluntad por la autoridad, creando testimonios y pruebas materiales de eventos que se imprimen en la memoria sin tener ningún vínculo real con las operaciones bélicas de las que nacen. Estamos, en otras palabras, en medio de una producción sistemática de noticias falsas que, sin embargo, se convierten en (H)istoria.

“La Zona”, como la define Mantas, con la Z mayúscula (una Z que recuerda tanto a la letra pintada en los tanques y cascos del ejército ruso que invade Ucrania), era precisamente Mariúpol, pero también Chechenia, donde trabajó muchos años produciendo un documental en el que relataba un lugar onírico, Barzaj, un refugio suspendido entre la vida y la no-vida, entre la muerte y la no-muerte, donde se encontraban los deseos de las personas en espera de sus seres queridos desaparecidos. Acompaña durante mucho tiempo con su cámara a una madre que espera información sobre su hijo desaparecido. Ha pagado varios miles de dólares a un agente del FSB, el servicio secreto ruso, ex-KGB, para saber si todavía está vivo, si está detenido en alguna prisión o si ha muerto. Así encuentra archivos improbables, entre adivinas que leen piedritas y documentos fabricados por la burocracia, ampliamente inútiles, pero que, sin embargo, de alguna manera, satisfacen su solicitud de información. En este triste viaje que él acompaña, Mantas descubre Barzaj y narra otra Ausencia, la de un lugar, Chechenia, que hoy podría decirnos tanto sobre Rusia y el liderazgo que gobierna el mundo. En Chechenia, se ha presenciado progresivamente la radicalización islamista de la resistencia al poder central ruso; del sufismo moderado y místico se ha llegado al yihadismo wahabita, como si solo un “dios” pudiera dar la fuerza para oponerse al poder absoluto que allí se manifestaba. Pero también se ha presenciado su posterior aniquilación. Esto sucedió, según Mantas, dentro de una gran ficción jurídico-legal que era la “Zona de operaciones especiales antiterroristas”, donde las viejas prácticas estalinistas de dominio y control de las poblaciones rebeldes encontraron un espacio de legitimación legal que permitió la sistemática eliminación de cualquier forma de resistencia y de cualquier relato sobre los horrores que se iban cometiendo, en el silencio cómplice de la comunidad internacional y de sus emperadores anglosajones que en esa época hacían negocios de todo tipo con los oligarcas de Putin, y andaban en sus proprias cancelaciones.

El destino quiso que Mantas pasara sus últimos días de vida conociendo directamente, en su propio cuerpo, el “bespredel”, ejecutado “con honor”, según los códigos criminales rusos, por las tropas especiales chechenas, llegadas para apoyar al desmoronado ejército de Moscú (*). Al descubrir que Mantas era el único extranjero que quedaba en Mariúpol junto a su compañera, comprendieron que podían finalmente ajustar cuentas pendientes. Mantas filmó Barzaj ante sus ojos, sin que ellos lo notaran, ayudado por la resistencia chechena. Un desafío inaceptable que le valió también un premio en la Berlinale. Alrededor de 10 años más tarde, tras las torturas rituales, Kadyrov se encargó personalmente de dispararle los dos últimos tiros letales: uno en el corazón y otro entre los ojos. Siempre en el “bespredel”, su cuerpo fue hallado por su compañera, a quien se le permitió llevarlo a Lituania, pasando por Rusia, mientras en Mariúpol, arrasada, los escombros cubrían las fosas comunes.

Chechenia es hoy una entidad soberana en la que los movimientos de independencia son solo un recuerdo borrado del pasado. Está comandada por Kadyrov en nombre del Zar Putin y su duración determinará su nombre. Sin embargo, ya se la llama “Estado” y, de hecho, se refiere al Estado cuando se habla de eventos como los que reconstruyeron el poder ruso en Chechenia, que hicieron desaparecer a aquel joven y mataron a Mantas. Pero nos cuentan de manera similar lo que está ocurriendo en Palestina y en muchos otros lugares del mundo. Desde Hobbes hasta Schmitt, el Estado parece estar fundado en torno a una relación íntima con un acto originario esencialmente atroz y horrífico percibido como “externo” y excepcional en relación con los lugares donde toma forma.

Para “hacer olvidar” esta ausencia primordial, la “Zona” parece ser una excelente herramienta, y en mi texto sobre Colombia describo algunos de sus elementos de liquidez, tal como emergían en Buenaventura.

Contando la recurrencia de eventos como oleadas repentinas de militarización en el “Barrio” donde vivía o erupciones de violencia armada en las calles a nuestro alrededor, así como revueltas más o menos espontáneas, intenté observarla desde espacios que generaban convivialidad y “olvido” del horror. Observé sus mecanismos de supresión. Así redescubrí algunos momentos rituales en el sentido más antropológico del término (espacios de iniciación, cerrados, repetibles pero con duración), que liberaban a las personas de la autoridad y la guerra, de manera fugaz pero significativamente importante para el equilibrio psicosocial de la comunidad. Reemplazaban la tradición militarista de los lugares con prácticas celebrativas de la vida que reafirmaban la superioridad de los vínculos sociales sobre la muerte. Sin embargo, para hacerlo no recurrían a la institución del “funeral” o de la “conmemoración”. No había encontrado Barzaj, pero sí espacios de resistencia en el sentido Foucaultiano a los poderosos flujos psíquicos que atravesaban lugares y personas.

Llamé a estos momentos rituales interregnos, tomando prestada la noción de Gramsci. Los describí como espacios suspendidos en los cuales la comprensión ontológica de que el orden material de las cosas no cambia con el cambio de la organización “superior” que se ocupa de la logística de la “Zona” produce una escisión ideal entre dominantes y dominados. Hay, de hecho, un entendimiento compartido de que todos saben que los que están en el poder nunca resolverán los problemas de la vida, pero sin ellos, todo podría volverse peor de lo que es, al menos desde una perspectiva personal y familiar. Esta forma peculiar de entender las dinámicas socioeconómicas se debe a la naturaleza intermediaria del poder y su articulación a través del doble dominio del “Know How” y el “Know Who”. Antropológicamente, por lo tanto, asistíamos, a mi parecer, a un continuo fin del “viejo orden” sin que el “nuevo” produjera jamás ningún efecto concreto en las relaciones de intercambio y economías morales de la comuna y el barrio. Sin embargo, el paso de una organización a otra era un hecho real, y en la transición, se produciàn viàs de escape, que he descrito como potencialidades, que algunos sabían aprovechar o veían mejor que otros.

Desde esta perspectiva, relaté, por ejemplo, las historias de los “muchachos” y su función conectiva entre el Barrio y el resto de la ciudad, tanto materialmente, produciendo servicios de mototaxi y transporte de mercancías, como simbólicamente, representando un “poder” que inscribía el Barrio en los mapas urbanos, haciéndolo así capaz de reclamar cuotas de la riqueza de la ciudad. Existían verdaderas organizaciones de base en la “Zona” que mantenían relaciones entre sí, imitándose en la gestión del comercio y armándose al mismo tiempo si las condiciones lo requerían para delimitar las distintas zonas de influencia. En sus relaciones entre el “adentro” del barrio y el “afuera” de la ciudad que estas organizaciones producían, vi un elemento muy importante de la factualidad del poder como intermediación y horror, que describía en la “Zona”. Veía, de hecho, elementos de sistemas políticos extremadamente complejos, demasiado a menudo olvidados en los análisis politológicos sobre Colombia y los países afectados por la “guerra contra las drogas” o de los que solo se leía en textos muy específicos, pero de criminología local o de periodistas de investigación que contaban las mismas historias desde hacía décadas y que ya nadie leía.

Lo que observé en cambio durante mi trabajo de campo fue que en el “cambio de orden” de Rastrojos a Urabeños, se generó un “aquí y ahora”, expresado a través de locuciones como “callejear” y “jugar vivos”, que definían una necesidad de comprensión de la “Zona”. Los relatos del Barrio demostraban, a mi parecer, que el poder, que podía ser “sin límites”, también se “escenificaba” a diario en su precariedad e inestabilidad, por subjetividades en devenir que incorporaban la ausencia de límites de la Zona. Siguiendo estas líneas interpretativas, describía el surgimiento de líderes que luego se convertían en jefes y de jefes que parecían reyes por una noche o por un mes, o de miembros de pandillas que para algunos se convertían en los Robin Hood locales y para otros en verdugos. Cada uno de estos micro órdenes personalistas representaba, por lo tanto, una posible solución, aunque repetitiva y parcial, al problema de la Ausencia.

Lo que más me interesaba en estos entrelazados entre autoritarismo y anti-autoritarismo era que los jefes, a veces incluso extremadamente improbables, emergían casi a diario no solo en la práctica de sus acciones y su presencia en las calles. Eran “jefes” también porque manifestaban un mundo mítico hecho tanto de relatos de calle como de momentos de compartición ritual. En algunos casos, encontré, por ejemplo, al Jean Rouch de “Les maîtres fous”. En otros, me pareció ver elementos de verdaderos “Estados sombra” africanos de los que han escrito varios antropólogos (vean por ejemplo aquì y aqui) y que existen solo en forma mística y simbólica, si no como espíritus que poseen a ciertas personas. Lo que noté en Buenaventura, entonces, fue la emergencia de organizaciones políticas radicalmente multipolares y ciertamente inestables, pero que existían como una celebración ritual de la multiplicidad y no como una reducción a la unidad y normalización de la dominación. Las implicaciones de estas conclusiones son ciertamente vastas; conciernen a prácticas de gobernabilidad basadas en la guerra civil que fuerzan la legitimación de una dominación parcial sobre otra (como la transición de Rastrojos a Urabeños), pero también a la creación de sociedades secretas, sectas y diversos tipos de sociedades de ayuda mutua, así como a experimentos de autonomía local más duraderos (los “cimarrones” y “quilombos” en la tradición afroamericana).

Este último punto nos lleva directamente al nuevo trabajo y a un aspecto del poder entendido como intermediación y horror que me gustaría investigar en mayor detalle: “el hacer olvidar” y “el olvidar” en un sentido más general. En estos meses de lectura sobre las rebeliones del siglo XIX que acompañaron el encuentro colonial en Asia, me he topado con procesos que había considerado menos durante mi permanencia en Colombia. La pervasividad de traumas debido a la violencia armada no me había permitido vislumbrar una cuestión igualmente importante. Fundar el Estado o un reino o una entidad política de algún tipo no es solo la atrocidad originaria, sino su olvido. No es, o no es solo, “el hacer creer”, sino el “hacer olvidar” lo que resulta “instituyente”. El caso de Chechenia y las cancelaciones históricas producidas por el régimen de Kadirov lo demuestran con bastante claridad. El actual relato occidental de la guerra en Palestina es otra prueba de ello. No se trata, sin embargo, de construir un engaño que se convierte en realidad, como ocurre en la película “Donbass” de Sergei Loznitsa. Se trata en cambio de verdaderas epistemologías que utilizan la remoción del horror casi como un sistema de programación lingüística y neuronal. La remoción se convierte, es decir, en un paradigma estético que llena de imágenes la memoria, saturándola de manera que impide la crítica del aquí-y-ahora, pero también de un pasado controvertido y no compartido.

LuangPrabang

El lugar que más me ha llevado a reflexionar sobre la relevancia del olvido ha sido Luang Prabang, una ciudad con una historia decididamente interesante que en los últimos años se ha convertido, como dijo una antropóloga local, en una “Zona Especial para el Turismo”. Hay un aspecto de Luang Prabang que tiene que ver con su turistificación/mercantilización que hace peculiar la experiencia cotidiana del tiempo, es decir, cómo el pasado y el presente existen en el presente. El punto crucial es que la historia de la ciudad gira en torno a la antigua familia real que vivía, gestionaba y poseía toda el área que se convirtió en Patrimonio de la Humanidad por la UNESCO en 1995. Además, esa misma área fue profundamente modificada por el encuentro colonial, y, con la excepción de los templos, toda la arquitectura presente hoy en día, con muy pocas excepciones, fue construida durante los 50 años de la colonia francesa, entre finales del siglo XIX y el comienzo de la Segunda Guerra Mundial. Por lo tanto, estamos hablando de un proceso de urbanización que en pocas décadas ha borrado o modificado radicalmente el paisaje urbano. A complicar los caminos de la rememoración hay otros elementos de cierta importancia para la historia local. El primero fue un saqueo de la ciudad que ocurrió en 1887, en el que el centro de la ciudad fue prácticamente arrasado. El segundo son las dos guerras de Indochina en las que Laos, bajo el liderazgo más o menos impuesto de la familia real de Luang Prabang, se convirtió en zona de guerra. En particular, desde 1959 hasta 1975, Laos entró en una larga y sangrienta guerra civil que llevó a la casi total aniquilación de varias provincias y reinos del país que, en diferentes periodos históricos, disputaron el poder a la familia real de Luang Prabang o gozaron de muchod poderes autonomos.

En los libros de historia, la guerra civil normalmente se superpone y se confunde con la “Guerra Secreta”, que comenzó “oficialmente” con una conferencia de prensa del presidente J.F. Kennedy el 22 de marzo de 1961, donde afirmó, sin ninguna duda, que el norte de Laos había sido invadido por fuerzas comunistas norvietnamitas. El miedo a la «invasión» es un tema recurrente en los relatos locales y, de hecho, estas tierras fueron invadidas para saqueos en diversos momentos de la historia. Sin embargo, en 1961, la «invasión comunista» pertenecía a esas fabricaciones sobre las que escribió Mantas en su obra sobre Chechenia y se parecía mucho a las «armas iraquíes de destrucción masiva» fabricadas para las reuniones de la Asamblea General de la ONU de 2002. Ademàs, la “Guerra Secreta”, que terminó con los acuerdos de paz de Ginebra en 1973, fue reconocida oficialmente por Estados Unidos solo en 2016, y con una larga serie de limitaciones respecto a su curso real, el reconocimiento de las víctimas y las masacres de civiles, y los innumerables testimonios sobre la participación directa de la CIA y el ejército estadounidense (y francés) en el desarrollo del tráfico internacional de heroína a partir de la producción de opio laosiano. Nos encontramos entonces en un largo proceso de “borrado historico”.

Otro aspecto igualmente interesante es que, en el trasfondo de la “Guerra Secreta”, la guerra civil laosiana vio a Luang Prabang en el centro de diversas maquinaciones políticas que involucraron a miembros de su familia real, oficiales del ejército y burócratas de alto rango. Aunque algunos de los principales líderes políticos de la época provenían de esta ciudad, hoy, en Luang Prabang, por ejemplo, no hay un museo que recorra las diversas fases de este conflicto o que se adentre, con cierto detalle, en las dinámicas que llevaron al liderazgo de la ciudad a aceptar, si no a desear, tanto los bombardeos de alfombra de los valles cercanos como el tráfico de heroína en sí. Por lo tanto, estamos ante una omisión histórica consciente que podría ser interesante analizar con mayor detalle.

En lugar de un pasado disputado, encontramos un discurso identitario y nacionalista que construye la “laosianidad” de la ciudad a través de su pasado “mítico”, tanto como una marca étnico-popular vendida por la industria del turismo, como un símbolo de unidad para un territorio que de otro modo estaría atravesado por flujos financieros, económicos, culturales y étnicos de gran magnitud. Por esta razón, en la noción de “patrimonio” creada por la UNESCO, que analizaré más adelante, se produce una experiencia historicizadora de la vida cotidiana bastante peculiar, en la que la época monárquica se reinterpreta en su forma más acogedora e “iluminada”; es decir, la que “unía” y producía economía. Los antiguos edificios coloniales, las habitaciones de reyes y reinas o los jardines de príncipes y princesas que dan a uno de los ríos más pintorescos de Asia están hoy disponibles para el ocio de sus visitantes. Es como si todos sus habitantes participaran en una verdadera construcción imaginaria de Luang Prabang, en la que la Historia reaparece como una ensoñación sobre su pasado y, al hacerlo, produce un orden jurídico-moral que, al borrar una parte aún importante de ese mismo pasado, reproduce imágenes de una forma de gobierno que algunos, sin duda, quisieran reconstruir. Esta perspectiva es la que más me interesa, porque se relaciona con un aspecto del patrimonio cultural que lo convierte tanto en un “orden” como en un modo de disfrute. Para citar a Zizek, estos cruces “enseñan [al sujeto] a desear”, y por lo tanto a olvidar, además de soñar con un nuevo orden político.

Claramente no existe una única manera de relatar las formas en que se puede revivir el pasado en el presente. En las páginas que seguirán, propondré diferentes perspectivas y trayectorias en las que los eventos traumáticos del pasado parecen manifestarse en el presente en diversos contextos geográficos. Luego propondré una revisión historiográfica de la región en la que se inserta Laos, para proporcionar una mejor caracterización del contexto en el que ocurren las omisiones. Finalmente, si es posible, reuniré algunos archivos etnográficos en los que este pasado disputado reaparece con mayor claridad.

Para que este viaje y este ejercicio de escritura sean posibles, sin embargo, debo comenzar con una expedición en kayak por un río lucano donde estas ideas comenzaron a tomar forma.

(*) Esta es mi reconstrucción personal del asesinato de Mantas, basada en los testimonios de personas informadas sobre los hechos y cruzando datos sobre la guerra en Mariúpol durante su muerte. En particular, la presencia de Kadirov y las fuerzas especiales chechenas fue crucial durante la captura de la planta siderúrgica de Azovstal en el puerto de Mariúpol, que ocurrió poco después del asesinato de Mantas. En su obra Mariupolis, relató, entre otras cosas, el crecimiento militar progresivo del batallón Azov, junto con las críticas que provenían de ambos lados, tanto rusos como ucranianos, por su clara pertenencia a la extrema derecha neofascista. En su trabajo póstumo Mariupolis 2, presentado en Cannes en 2022, Mantas estaba documentando la vida de algunos refugiados que no querían abandonar la ciudad bajo los bombardeos y se habían quedado dentro de una iglesia evangélica. Su muerte podría haber sido casual. De hecho, estando en Ucrania sin documentos oficiales, es posible que no haya sido reconocido por quienes lo encontraron. La posibilidad de que los militares dispusieran de tecnología de reconocimiento facial es realmente remota, aunque bastaba con tomar una foto con un móvil y enviarla a quien correspondiera. Sin duda, Mantas había sido inscrito desde hacía tiempo en una lista negra del régimen ruso. Después de Anna Politkóvskaya, también fue asesinada en Chechenia una colaboradora de la periodista rusa y amiga personal de Mantas, Natalia Estemírova. Es probable que Mantas estuviera en esa misma lista de nombres. Las torturas sufridas y los dos disparos a sangre fría que recibió me han hecho inclinarme hacia la idea de un ajuste de cuentas “mafioso”. Sin embargo no tengo pruebas che fue Kadyrov a dispar materilamente los golpes aunque sabemos que el estaba en Mariupol cuando Mantas muriò. Quiero aclarar que la reconstrucción que propongo es personal y no es una versión compartida por la familia de Mantas ni por su excompañera, quien, en el momento de nuestro encuentro, no la consideraba del todo creíble.

 
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from arcipelaghi

La prima volta che arrivi, il porto è come un bar in cui non sei mai entrato. Gli avventori abituali ti guardano di traverso, come si fa con un ospite che nessuno ha invitato. Poi basta un cenno, un saluto; basta tornare una, due, tre, quattro volte. Una parola, anche una a caso, ed ecco che tutti ti parlano senza pretendere che tu faccia altrettanto. Perché di cosa hanno bisogno i frequentatori di un bar, se non di qualcuno che ascolti le loro storie? Così anche i marinai in un porto.

Quando ormai sei diventato uno di loro, li riconosci e loro ti riconoscono. «Ciao Natalino!», dici, salutando con un cenno del capo, come si usa tra la gente del porto. «Da quanto tempo non si vede Martino?» «E Maruzzella? Mi avevano detto che aveva qualche problema». Maruzzella è la barca, naturalmente. Al porto è come una seconda moglie di cui la prima spesso è gelosa, proprio come lo sarebbe di un’amante in carne e ossa. Ricordo il livore di mia madre quando, dopo pranzo, mio padre usciva di soppiatto per andarsene al porto. «Cosa andrà a farci oggi, con il mare in tempesta?» si chiedeva, guardandolo indispettita. Ma conosceva già la risposta: andava a trovare la sua “seconda famiglia”.

Al porto, queste seconde famiglie s’incontrano, si raccontano della loro giornata; e non ci sono soltanto coppie ma anche bizzarri triangoli amorosi. C’è la “vera moglie”, innamorata della barca anche lei. Ci sono le imbarcazioni a noleggio, la cui esistenza è scandita da sfruttamenti fugaci e abbandoni. Le si paga, le si usa per il proprio piacere, per andare a pesca o a fare una gita.

Quando diventi uno del porto, la gente ti confida segreti che non racconterebbe a nessuno. Ma sono sempre i segreti di qualcun altro. Così vieni a sapere che Mario, il custode, prima di fare questo lavoro, trafficava in armi. Che Antonia e Luigi hanno tre figli ma si mormora che lui non sia il padre di uno di loro. Maurizio, quello che prende il largo di notte e che tutti invidiano quando torna carico di sogliole e triglie, non è benedetto dal Signore ma pesca illegalmente, con le bombe, e parte delle sue tante cassette di pesce finiranno sulla tavola di qualche ufficiale corrotto della Guardia Costiera.

Ascolti anche storie che fanno sorridere, o che ti toccano il cuore. Andrea e Mariassunta sognavano un figlio avvocato. Si è laureato, si, ma oggi fa il salumiere. È felice così, e lo sono anche loro. Mario e Michele sono eterni rivali. Non confrontano mai apertamente il loro pescato per non litigare, ma sbirciano l’uno nella barca dell’altro. Si avvicinano con una scusa, magari per attaccare una canna di gomma al rubinetto dell’acqua, e se uno dei due fa un sorriso sornione, sai già chi ha avuto la giornata più fortunata. Poi c’è Ahmed, che prima di venire qui a fare l’ormeggiatore, voleva sbarcare a Malta ma non l’hanno voluto. È arrivato per mare, senza un passaporto, come tanti che un passaporto non ce l’hanno mai avuto. E c’è il signor Ernesto, che ormai non ha più la barca, ma in mare ci ha trascorso una vita. Ha lavorato sui mercantili, al Pireo, a Barcellona a Genova, a Tangeri, nei mari dell’Asia, e per lui i pirati non sono storie da raccontare ma momenti da dimenticare.

Per la gente comune, le barche che si vedono in mare sono tutte uguali. Ma per la gente del porto, quella laggiù è la Squaletto II, con Romualdo a pesca di tonni. Nessuno osa avvicinarsi alla sua zona, almeno finché lui è nei dintorni. Quell’altro è Santuccio che arriva lì, spegne il motore, accende la radio e si lascia cullare. E poi c’è Tonino, da cui tutti stanno lontani, perché si dice che vada al largo a prendere il sole come soltanto sua madre l’ha visto. Ci sono anche quelli che in mare proprio non ci vanno. Sistemano la barca ogni giorno, come fossero pronti a partire per un lunghissimo viaggio, ma non si sono mai mossi da lì. E poi ci sono quelli di passaggio. Alcuni ritornano più volte. Li si riconosce e li si saluta come vecchi amici. Altri si fermano soltanto per una notte, raccontano una storia, poi spiegano le vele e si allontanano per non rivedersi mai più.

#memorie #tracce #mare #persone #racconti

 
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from Novità in libreria

Si ricomincia la corsa verso il periodo natalizio, una corsa che riempie le vetrine di nuovi libri.

NARRATIVA:

  • LE FIGLIE DI SHANDONG di Eve J. Chung (Corbaccio). La storia delle donne di una famiglia cinese e delle loro peripezie, che prende avvia nel '48, in una società che considera le figlie femmine come inutili bocche da sfamare. Per saperne di più: scheda libro.
  • IL PIANO INCLINATO di Roberto Alajmo (Sellerio). Ousma, un giovane che emigra dal Mali verso una speranza di vita migliore, attraversa tutte le difficoltà dell'odissea verso l'Europa e l'Italia, fino a finire nel labirintico sistema dell'accoglienza. Per saperne di più: scheda libro.
  • LUI, LEI E IL PARADISO di Sveva Casati Modignani (Sperling & Kupfer). Ci siamo: ogni anno, sotto Natale, Sveva Casati Modignani sforna il suo romanzo bestseller, apprezzatissimo soprattutto dalle signore lettrici. Un anziano imprenditore si ritrova, in paradiso, a dialogare con una scrittrice di romanzi a caccia di storie. Così ha la possibilità di rievocare la sua avventurosa vita, piena di intrighi e passioni. Per saperne di più: scheda libro.
  • LA MAGIA DEI MOMENTI NO di Alison Espach (Bollati Boringhieri). Rhode Island: una signora elegantissima fa il suo ingresso nel grand hotel Cornwall: tutti credono che sia una degli invitati al matrimonio che si sta celebrando proprio in quel momento, ma l'intenzione di Pheobe è assolutamente estranea all'atmosfera della festa nuziale... Per saperne di più: scheda libro.
  • IL GIARDINO DELLE BUONE INTENZIONI di Sara Nisha Adams (Garzanti). Gli inquilini di due case vicine, Winston e Bernice, si detestano. Fra di loro cresce un giardino abbandonato e incolto, pieno di erbacce. Un giorno, entrambi ricevono da un mittente misterioso le foto del giardino così com'era anni prima. Colpiti dalla bellezza di quel giardino, Winston e Bernice decidono di deporre l'ascia di guerra, e di collaborare per farlo rifiorire. Per saperne di più: scheda libro.
  • BAMBINO di Marco Balzano (Einaudi). Ambientato a Trieste, un nuovo romanzo storico dall'autore di RESTO QUI. Stavolta il protagonista è un appartenente alle camicie nere, feroce e irrequieto, che subisce (e trasforma in spietatezza) le conseguenze dell'abbandono della sua vera madre. Per saperne di più: scheda libro.
  • Sempre per la collana Supercoralli Einaudi, ecco I MOSTRI DI EINSTEIN di Martin Amis. Cinque racconti “preapocalittici”, scritti a metà degli anni '80, su un mondo pericolosamente in bilico, minacciato dalla bomba atomica. Per saperne di più: scheda libro.
  • IL TALENTO DEGLI SCOMPARSI di Claudio Bisio (Feltrinelli). Il noto comico televisivo scrive un romanzo composta da due vite parallele: la storia di Marco, vecchio attore in declino che ormai vive di ricordi, e la storia di Mirko, giovani di belle speranze che per puro caso si ritrova sulla cresta dell'onda senza saper gestire l'improvvisa notorietà. Un libro che unisce comicità e situazioni paradossali con un pizzico di amarezza e introspezione. Per saperne di più: scheda libro.
  • SETTEMBRE NERO di Sandro Veronesi (La nave di Teseo). Romanzo di formazione ambientato in un'estate in Versilia nel 1972. Il giovane Gigio scopre la letteratura, la musica e anche l'amore e il desiderio. Dalla sinossi sembra un romanzo corale, pieno di personaggi che influiranno sullo “sbocciare” di Gigio. Per saperne di più: scheda libro.
  • IO E KIRA di Noel Fitzpatrick (Salani). Inserisco in questa sezione questo libro illustrato perché mi sembra adatto a tutte le età: è la storia dell'amicizia tra un uomo e una cagnolina, un'amicizia capace di salvare entrambi. Commovente e delicato. Per saperne di più: scheda libro.
  • LA GATTA E IL GENERALE di Nino Haratischwili (Marsilio). Torna l'autrice del bestseller L'OTTAVA VITA con una storia (ambientata come di consueto nel Caucaso) di guerra, di violenza e di redenzione, alla periferia di un impero sovietico in frantumi. Per saperne di più: scheda libro.
  • IL NOSTRO REGNO di Linda Ferri (Feltrinelli Gramma). Un romanzo che tratta la storia familiare dell'autrice, ovvero la storia dei nonni emigrati in America, i genitori e i fratelli, con tutte le loro peripezie, i loro drammi, passioni e vicende. Per saperne di più: scheda libro.

NOIR, GIALLI E THRILLER:

  • LE VERITÀ SPEZZATE di Alessandro Robecchi (Rizzoli). Un grande regista torna a girare un film, dopo aver abbandonato il cinema per anni. Oggetto della nuova pellicola, un giallo del passato. Giallo che però si intreccia a un delitto del presente, quando l'anziana vedova della villa accanto alla sua viene assassinata... Per saperne di più: scheda libro.
  • MORTE IN ALABAMA di James Patterson (Longanesi). Alex Cross è alle prese con un caso spinoso di duplice omicidio: un rispettabile preside di una scuola, ucciso con quella che pare fosse la sua amante, ovvero l'ex moglie del vicepresidente degli Stati Uniti... Per saperne di più: scheda libro.
  • IL NONNO KILLER di Benoît Philippon (Ponte alle Grazie). Un noir pieno di humor (come il precedente LA CENTENARIA CON LA PISTOLA). Un anziano sicario, malato di Alzheimer, fugge dalla casa di riposo, cercando di compiere un'ultima missione (di cui però non si ricorda nulla) e intreccia la sua esistenza con una ragazza, vittima di revenge porn. Un'avventura rocambolesca ambientata tra Parigi, la Normandia e la Bretagna. Per saperne di più: scheda libro.
  • DODICI INDIZI PER MORIRE di Andreina Cordani (Newton Compton). Un gruppo di amici è invitato a una festa con delitto in una casa di campagna in Scozia: l'innocente gioco di investigazione si trasforma però in una corsa contro il tempo, quando appare chiaro che per uscirne vivi, i partecipanti dovranno affrontare segreti e verità del passato. Per saperne di più: scheda libro.
  • LORO di Maxime Chattam (Salani). Due serial killer agiscono in modi diversi e in zone diverse della Francia, ma lasciano la stessa firma: una e preceduta da un asterisco. La polizia dunque decide di avvalersi dell'aiuto di un noto criminologo, cacciatore di cacciatori, che riesce a ragionare come Loro. Per saperne di più: scheda libro.
  • BUONVINO E IL CIRCO INSANGUINATO di Walter Veltroni (Marsilio). Il commissario Buonvino assiste alla morte di una trapezista del circo ma intuisce che potrebbe non trattarsi di un incidente... Per saperne di più: scheda libro.

SAGGISTICA:

  • IL SORPASSO di Italo Calvino (Mondadori). Un inedito intervento di Italo Calvino in occasione delle elezioni del 1976, scritto per la New York Times Review of Books, in cui il grande scrittore coglie l'occasione dell'affermarsi del Partito Comunista per scrivere un'analisi della situazione politica ed economica italiana (corredata da gustosi aneddoti e ritratti delle personalità dell'epoca). Sono curiosissimo di leggerlo! Per saperne di più: scheda libro.
  • RIMEMBRI ANCORA di Paolo Di Paolo (Il Mulino). Sottotitolo: Perché amare da grandi le poesie studiate a scuola. Un interessante saggio sulla riscoperta delle poesie della letteratura classica italiana (Manzoni, Pascoli, Ungaretti, eccetera) che a scuola vengono insegnate anche a memoria, ma da adulti restano un ricordo ricoperto di polvere e di stereotipi. Si tratta di una buona occasione per rientrare in contatto, con maggiore consapevolezza, con la scrittura e la poesia più bella della nostra letteratura. Per saperne di più: scheda libro.
  • BEBELPLATZ di Fabio Stassi (Sellerio). Si tratta di un libro-reportage che riparte dalle piazze in cui, nel 1933, i nazisti bruciarono i libri, un racconto per esaltare il potere della letteratura e per riscoprire l'atto rivoluzionario della lettura. Per saperne di più: scheda libro.
  • BULBOMANIA di Simonetta Chiarugi e Christian Shejbal (Gribaudo). Un manuale molto raffinato e completo riguardante le piante da bulbo, la loro coltivazione, come prendersi cura dei fiori, eccetera. Per saperne di più: scheda libro.
  • CHE COSA TEME ISRAELE DALLA PALESTINA? di Raja Shehadeh (Einaudi). Un piccolo libretto della collana Vele a firma di uno dei più importanti scrittori e attivisti per i diritti umani palestinesi, convinto che una pacifica coesistenza tra israeliani e palestinesi sia possibile, nonostante tutto. Per saperne di più: scheda libro.
  • LA FINE DELL'IMPERO AMERICANO di Alan Friedman (La nave di Teseo). Sottotitolo: Guida al nuovo disordine mondiale. Si tratta di una disamina (impietosa) sulla parabola del dominio statunitense, che comprende la storia della leadership americana (e del suo fallimento) da Franklin Delano Roosevelt, passando dai due Bush fino a Obama e Biden, con un'anticipazione di quello che ci aspetta dopo le elezioni di novembre. Per saperne di più: scheda libro.
  • CONOSCI TE STESSO di Chiara Amirante (Piemme). Un nuovo volume della fondatrice e presidente della comunità “Nuovi Orizzonti”: continua il percorso di Spiritherapy iniziato con i precedenti libri, per aiutare a rimuovere “le trappole e gli impedimenti all'amore”. Per saperne di più: scheda libro.
  • L'IRA DI ATENA di Nathalie Haynes (Sonzogno). Prosegue il filone della mitologia greca al femminile. A firmare questo saggio sulle dee, le loro storie e le loro caratteristiche, è l'autrice di romanzi come LO SGUARDO DI MEDUSA e IL CANTO DI CALLIOPE (che abbiamo molto apprezzato gli anni scorsi). Segnalo poi che le figure femminili della mitologia era stato oggetto del suo precedente saggio IL VASO DI PANDORA. Per saperne di più: scheda libro.
  • Cambiamo completamente argomento: SICILIA, ACQUA E FARINA di Giusi Battaglia (Cairo). Un libro di cucina dedicato ai lievitati (dolci e salati) della ricca tradizione siciliana. Per saperne di più: scheda libro.
  • RIVINCITA di Andrew Spannaus (Solferino). Abbiamo visto, anche fra le uscite di questa settimana, alcuni libri che si interrogano sulla crisi del dominio americano. Andrew Spannaus, analista noto per le trasmissioni radiofoniche e i podcast sugli USA, coglie invece come un'opportunità la crisi che in questo momento spinge l'America a politiche protezionistiche e industriali anziché affidarsi al modello globale seguito finora. Per saperne di più: scheda libro.
  • Sempre per Solferino: LA SOCIETÀ DEL PRESSAPPOCO di Vittorino Andreoli. Da studioso del comportamento umano, il noto psichiatra traccia un ritratto dell'uomo moderno e dei suoi tic, contro il “pressappoco” della mentalità attuale. Per saperne di più: scheda libro.

INFANZIA E RAGAZZI:

  • Due titoli per la Fabbri Editore, dedicati ai piccoli lettori dai 3 anni in su: IMPARA LE LETTERE CON GLI ANIMALETTI DEL BOSCO (scheda libro) e IMPARA I NUMERI CON GLI ANIMALETTI DEL BOSCO (scheda libro), entrambi di Teagan White. Come si può facilmente intuire, sono libretti prescolari con giochini divertenti illustrati, per imparare le lettere e i numeri insieme agli animaletti del bosco.
  • LA MANO CHE DISEGNA di Hervé Tullet (Franco Cosimo Panini). un autore molto amato dagli educatori e dai genitori: tutti i suoi libri sono rivolti alla creatività dei bambini a partire da puntini, linee, macchie di colore, eccetera. Anche questo libro rappresenta uno spunto per far partire l'inventiva dei bambini. Basta avere una mano che disegna. Età di lettura: dai 3 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • IL LADRO DI NEVE di Alice Hemming, illustrato da Nicola Slater (Emme Edizioni). Albo illustrato che prosegue la storia dello stralunato scoiattolo già comparso in IL LADRO DI VENTO e QUEL FIORE È MIO!. Stavolta lo scoiattolo è stupito di fronte al biancore e al freddo della neve. Ma chi gli ha rubato la scorta di nocciole? Età di lettura: dai 4 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • Per i lettori dai 5 anni, ecco 3 titoli di Feltrinelli Kids (collana I Bruchi).
    • IRMA LA STREGA di Marco Viale (scheda libro): Irma è stufa della vita da strega. Vorrebbe essere famosa come una star, e ci riesce, ma la vita da stella è difficile, tra impegni mondani, pubblicità da girare, navi da inaugurare... alla fine la vita da strega e i suoi amici mostri le mancano da morire...
    • IL MOSTRO MANGIAPANTOFOLE di Alberto Bellini e Alice Del Giudice (scheda libro): Marta incontra un mostro, ma questo mostro ha paura dei bambini ed è ghiotto di pantofole (specialmente quelle vecchie e spaiate).
    • COSA FANNO GLI ALBERI DI NATALE IL RESTO DELL'ANNO? di Cristina Marsi e Valeria Valensa (scheda libro): il titolo mi sembra esprima una domanda legittima. La risposta è semplice: gli alberi di Natale il resto dell'anno vanno in vacanza, giocano a carte, si fanno tagliare le fronde dal parrucchiere, eccetera, ma se non stanno attenti, rischiano di perdere le decorazioni...
  • ORECCHIE ROSSE di Diego Passoni (Il Battello a Vapore). Patty è in gita con la scuola, ma è triste, perché a causa del nuovo taglio di capelli, le sembra che le orecchie a sventola siano troppo in evidenza. Scoprirà che ognuno ha qualcosa che non gli piace e così imparerà ad accettarsi... Età di lettura: dai 5 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • ROCCE, MINERALI & GEMME DA SCOPRIRE di Giulia Bartalozzi e Diego Vaisberg (Gribaudo). Un manuale per scoprire il mondo dei minerali, delle rocce e delle pietre preziose, con aneddoti, curiosità e tutti i record. Età di lettura: dai 6 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • FRANKENSTINA. UNA SPAVENTOSA FESTA DA SALVARE di Valentina Sagnibene (De Agostini). A Eterno Sonno, il mondo dell'aldilà dove vive Frankenstina con la sua mostruosa famiglia, è successa una cosa veramente strana: una nevicata... e questo rischia di rovinare la festa che sta per arrivare. Ovviamente Frankestina, con i suoi due amici (vivissimi), ne combinerà di cotte e di crude. Età di lettura: dai 7 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • IL MOSTRO DI SLIME di R.L. Stine (Mondadori). Il leggendario autore dei Piccoli Brividi torna con una storia da farsi rizzare i capelli in testa: Amy è vessata dagli scherzi del fratellino, e per di più è perseguitata da mostri che solo lei riesce a vedere. La vendetta che decide di attuare, però, le sfugge di mano... Età di lettura: dai 9 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • Per Gribaudo escono tre titoli della serie di Scary Harry, destinati ai lettori dai 9 anni: BENVENUTI A SCARYLAND! (scheda libro), CHI NON MUORE SI RIVEDE (scheda libro) e GLI ACCHIAPPASPETTRI (scheda libro). In tutti e tre i libri, il protagonista è Harold, detto Scary Harry, ovvero un Tristo Mietitore che avrebbe bisogno di una bella vacanza. Insieme a Otto (un ragazzino che vive in una casa infestata) e alla sua migliore amica Emily, Scary Harry vive macabre avventure tutte da ridere.
  • MAPPE DEL CORPO UMANO di Martina Fanti e Giulia Ripa (Gribaudo). Un bell'atlante illustrato e riccamente colorato sul corpo umano: ogni pagina spiega con chiarezza tutti gli organi e gli apparati. Età di lettura: dai 10 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • Per Il Battello a Vapore, ecco due gialli destinati ai lettori dagli 11 anni, nella collana Giallo e Nero.
    • L'ENIGMA DI EINSTEIN di Paolo Roversi (scheda libro): a Milano, un investigatore tredicenne si dà da fare per risolvere un mistero legato al celeberrimo scienziato capelluto.
    • ASSASSINIO SULL'OCCIDENT EXPRESS di Pierdomenico Baccalario, Alessandro Gatti e Andrea Della Fontata (scheda libro): il primo movimentato caso per l'ispettore Lucius Asgren, che dovrà trovare il colpevole di un omicidio a bordo dell'Occident Express, ovvero il treno che passa da Gardoue, sperduto paese sulle Alpi. Un evidente omaggio ad Agatha Christie (come il precedente DIECI PICCOLI INQUILINI).
  • LA SCUOLA DI MEZZANOTTE di Maëlle Desard (Rizzoli). Un libro molto “harrypotteriano”: non so se esista questa parola, ma da ora in poi la userò per definire quei libri i cui protagonisti frequentano una scuola “speciale” per maghetti, streghette, creature magiche, soprannaturali, dotate di poteri eccezionali, eccetera. In particolare il protagonista di questo libro è il figlio di un umano e una vampira, quindi a metà tra il mondo di Mezzanotte e il mondo diurno. A scuola incontrerà amici, rivali e tanti guai. Età di lettura: dai 12 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • IL FIUME INCANTATO di Rebecca Ross (Fazi). Un antico segreto minaccia un'isola che ricorda molto, con le sue brughiere e le sue scogliere, la Scozia, in questo fantasy romantico pieno di magia, musica e leggende. I due protagonisti devono collaborare, nonostante la loro rivalità, per scoprire cosa si cela dietro al mistero della scomparsa di alcune bambine. P.S.: la prima tiratura contiene un art book con 15 illustrazioni originali. Età di lettura: dai 14 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • ARCADIA. STIGMA 2 di Erin Doom (Magazzini Salani). Sequel di STIGMA (uscito l'anno scorso). Continua la saga romantica di Mireya e Andras, anime tormentate, e del sentimento che li unisce nonostante le avversità delle loro vite. Età di lettura: dai 14 anni. Per saperne di più: scheda libro.
 
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Informatica. Quale futuro? Il futuro dell'informatica si prospetta come un viaggio verso nuove frontiere, dove la tecnologia diventa sempre più integrata, intelligente e rivoluzionaria. L’evoluzione nel settore dell’informatica influenzerà ogni aspetto della società, dalla nostra quotidianità all’economia globale. Ecco i settori trainanti dell'informatica in uno scenario futuro non cosi troppo distante dai nostri pensieri. Partiamo con l'informatica quantistica. L'informatica quantistica rappresenta una delle rivoluzioni più attese. I computer quantistici sfruttano le proprietà della meccanica quantistica, come la sovrapposizione e l'entanglement, per eseguire calcoli a velocità inimmaginabili rispetto ai computer tradizionali. In futuro, questi computer potrebbero risolvere problemi complessi, come la simulazione di molecole per la creazione di nuovi farmaci o l’ottimizzazione di sistemi finanziari, che attualmente richiedono anni di calcoli. Tuttavia, la sfida principale è rendere questa tecnologia stabile e accessibile su larga scala. INTELLIGENZA ARTIFICIALE (IA). L’IA continuerà a evolversi, diventando sempre più autonoma e adattiva. Modelli come GPT-4 sono solo l’inizio: nel futuro vedremo algoritmi di IA capaci di apprendere e adattarsi in tempo reale, interagendo in modo sempre più naturale con gli esseri umani. Le applicazioni saranno infinite: dalla medicina, dove le IA diagnosticheranno malattie con una precisione quasi umana, alla robotica, fino ai sistemi di automazione industriale. Inoltre, l’integrazione dell’IA in dispositivi quotidiani renderà le nostre città e case più intelligenti, con sistemi in grado di gestire in modo ottimale risorse come energia e mobilità. L’etica e la privacy resteranno però questioni cruciali da affrontare, poiché la raccolta di dati personali sarà sempre più estesa. EDGE COMPUTING. Con l’espansione dell’Internet delle Cose (IoT), l’informatica si sposterà sempre più verso i dispositivi periferici, un fenomeno noto come “Edge Computing”. Piuttosto che inviare tutti i dati a un server centrale per l’elaborazione, i dispositivi di rete come smartphone, sensori e automobili autonome saranno in grado di processare i dati direttamente sul posto, riducendo latenza e consumi energetici. L’informatica distribuita permetterà anche di creare sistemi più robusti e sicuri, sfruttando la decentralizzazione per prevenire punti di vulnerabilità unici, come gli attacchi ai server centralizzati. INFORMATICA NEUROMORFICA. I computer neuromorfici sono progettati per imitare la struttura e il funzionamento del cervello umano, utilizzando reti neurali artificiali e architetture ispirate alla neurobiologia. Questa tecnologia promette sistemi di calcolo estremamente efficienti, in grado di apprendere e adattarsi rapidamente a nuovi dati, come fa il cervello umano. I computer neuromorfici potrebbero essere alla base delle future IA avanzate e potrebbero permettere un salto di qualità nell'elaborazione di informazioni complesse, aprendo nuovi orizzonti nell’automazione e nella robotica. CYBERSECURITY. Con l’avvento dei computer quantistici, la sicurezza informatica tradizionale basata sulla crittografia a chiave pubblica potrebbe essere facilmente compromessa. Di conseguenza, la ricerca si sta orientando verso lo sviluppo della “crittografia post-quantistica,” in grado di resistere agli attacchi dei futuri computer quantistici. Inoltre, l'uso dell'IA nella cybersecurity consentirà di rilevare minacce e attacchi informatici in modo proattivo, adattandosi alle tattiche dei malintenzionati. REALTA' AUMENTATA E REALTA' VIRTUALE. La fusione tra mondo reale e virtuale sarà sempre più parte integrante della nostra esperienza quotidiana. Con l’evoluzione dell’hardware e delle interfacce, la Realtà Aumentata e la Realtà Virtuale consentiranno di esplorare nuovi modi di interagire con le informazioni, dal lavoro remoto alle esperienze di intrattenimento immersive. La formazione, la medicina, il turismo e molti altri settori trarranno benefici dalla possibilità di simulare ambienti complessi e di interagire con essi in modo naturale. SOSTENIBILITA' E INFORMATICA VERDE. La consapevolezza dell'impatto ambientale dell'informatica è in crescita, e il futuro vedrà lo sviluppo di tecnologie più sostenibili. L’uso di energie rinnovabili nei data center, l'ottimizzazione dei software per ridurre i consumi energetici e la progettazione di hardware a basso impatto ambientale saranno centrali. L'obiettivo sarà quello di rendere l'informatica non solo più potente e pervasiva, ma anche più rispettosa dell'ambiente. AUTOMAZIONE E ROBOTICA. I progressi nel campo della robotica porteranno a sistemi sempre più sofisticati e autonomi. I robot umanoidi saranno in grado di interagire con le persone in modo naturale, svolgendo compiti complessi in ambito domestico, medico e industriale. L'automazione avanzata rivoluzionerà i settori produttivi, richiedendo però una nuova riflessione sull'etica del lavoro e sulla formazione delle nuove generazioni per adattarsi a un mondo in cui le macchine svolgono un ruolo sempre più centrale. Il futuro dell'informatica è quindi un mix di innovazione, sfida e opportunità. L’integrazione delle nuove tecnologie nella società dovrà essere gestita con attenzione, tenendo in considerazione gli aspetti etici, sociali e ambientali. L’informatica sarà il pilastro portante su cui si fonderanno le prossime rivoluzioni, con il potenziale di risolvere problemi globali, migliorare la qualità della vita e aprire nuovi orizzonti di conoscenza.

 
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from Bymarty

Ad un passo dalla meta, mi perdo, cerco appigli, cado ,mi rialzo, aspetto, pronta forse, tra un po', domani, mai ...Una prova da superare, in solitaria, per amore di chi amo, mi ama, mi aspetta, di me ha bisogno!

 
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from Bit & Byte

Alla IA serve energia Le Intelligenze Artificiali (IA) come ChatGPT richiedono una notevole quantità di energia per funzionare. La potenza di calcolo necessaria per gestire il modello, addestrarlo, e renderlo disponibile per milioni di utenti comporta un elevato consumo energetico. Il consumo energetico di un modello come GPT-4 è legato a tre fasi principali: ADDESTRAMENTO: La fase di addestramento è la più intensiva dal punto di vista energetico. Durante questa fase, vengono utilizzate enormi quantità di dati e potenti hardware, come le GPU (unità di elaborazione grafica). Secondo alcune stime, l'addestramento di un modello di dimensioni simili a GPT-3 può consumare fino a centinaia di megawattora (MWh). Per fare un confronto, questo consumo è equivalente a quello di un piccolo paese per alcuni giorni. MEMORIZZAZIONE DEI DATI: Una volta addestrato, il modello richiede notevoli risorse per l'archiviazione dei dati. I data center che ospitano l'IA consumano una grande quantità di energia per mantenere la stabilità e il raffreddamento dei server. UTILIZZO E RISPOSTE IN TEMPO REALE: Ogni volta che viene posta una domanda, il modello esegue un’enorme quantità di calcoli per generare una risposta. Anche se il consumo per una singola interazione può sembrare insignificante, moltiplicato per milioni di richieste giornaliere diventa significativo. L'esecuzione quotidiana del modello richiede potenza di calcolo fornita da server che possono utilizzare diverse centinaia di kilowattora (kWh) al giorno. Il futuro delle IA come ChatGPT prevede miglioramenti in diverse aree, tra cui: EFFICIENZA ENERGETICA: Un obiettivo primario è ridurre l'impatto ambientale dei modelli di IA. I ricercatori stanno lavorando su tecniche per ottimizzare gli algoritmi e migliorare l'efficienza dei data center. Si prevede l'uso di hardware più avanzato come i chip ottici e i sistemi di raffreddamento ad acqua per ridurre ulteriormente il consumo energetico. MIGLIORAMENTI NEL MODELLO: Le future versioni di ChatGPT potrebbero essere più potenti, con capacità di comprendere e generare linguaggio in modo ancora più umano. Gli sviluppi potrebbero includere l'incorporazione di conoscenze più recenti in tempo reale, miglioramenti nella comprensione del contesto e una maggiore sicurezza per prevenire abusi o risposte inappropriate. PERSONALIZZAZIONE: Un altro sviluppo interessante riguarda la personalizzazione del modello. In futuro, ChatGPT potrebbe essere in grado di adattarsi maggiormente alle esigenze specifiche degli utenti, fornendo risposte più contestualizzate e personalizzate. INTEGRAZIONE MULTIMODALE: La combinazione di diverse forme di input, come testo, immagini e audio, potrebbe permettere a modelli come ChatGPT di comprendere e interagire con il mondo in modo più ricco e completo, offrendo esperienze di conversazione ancora più realistiche e intuitive. L'evoluzione dell'IA porta quindi sia sfide che opportunità, e uno degli aspetti chiave sarà trovare un equilibrio tra prestazioni avanzate e sostenibilità ambientale.

 
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