- Dedicazione a Cosimo II de' Medici e Scoperta dei Pianeti Medicei
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Presentazione e dedica delle stelle scoperte al Serenissimo Cosimo II
de' Medici.
Il testo si apre con una riflessione sui metodi per assicurare
l'immortalità ai grandi uomini, passando dalle statue e le città fino ai
“monumenti incorrotti delle lettere”. L'autore prosegue
ricordando come l'ingegno umano, non pago, abbia pensato di
“segnare i loro nomi sugli Orbi celesti” con “note
sempiterme”, poiché la fama di questi eroi non si offuscherà
“prima che lo splendore delle stesse stelle si spenga”.
Viene quindi introdotta la scoperta di “quattro stelle”
riservate al nome di Cosimo, non del comune gruppo delle fisse ma
“dell'illustre schiera dei vaganti”, che ruotano attorno a
Giove “con moti mirabili”. L'autore spiega le ragioni della
dedica, legando le virtù del dedicatario all'influsso di Giove, pianeta
che “occupava il cardine del cielo” alla sua nascita.
Rivendica infine il diritto, in quanto primo scopritore, di battezzarle
“STELLE MEDICEE”, augurandosi che acquisiscano “tanta
dignità da questo nome, quanta ne hanno avuta le altre dagli altri
Eroi”.
Caratteristiche topografiche e proprietà ottiche della Luna, con particolare riferimento alla distinzione tra regioni chiare e grandi macchie.
Il testo descrive le caratteristiche osservabili della superficie
lunare, concentrandosi sulle differenze tra le regioni chiare e le
grandi macchie. Nelle regioni chiare, si osserva una notevole
“asperitatum inæqualitatumque” attraverso la “Lunæ
clariorem plagam”, dove le macchie più scure appaiono vicino al
confine tra luce e ombra. Queste aree presentano un aspetto mutevole,
poiché le ombre si spostano con l'illuminazione variabile del Sole, al
punto che “cum Luna in oppositione totum impleverit orbem, modico
admodumque tenui discrimine cavitatum opacitas ab eminentiarum candore
discrepet”. Al contrario, le grandi macchie mostrano una
sostanziale immutabilità, con areole che “eundem semper faciunt
aspectum, neque intenditur earum opacitas aut remittitur”,
suggerendo una “veram partium dissimilaritatem” e non
semplicemente un effetto d'ombra.
Viene poi affrontata e risolta una potenziale obiezione: se la
superficie è così irregolare, perché il bordo della Luna, il suo
“limbus”, appare “exacte rotunda et circinata
nullisque tumoribus aut cavitatibus corrosa”? La spiegazione
fornita è duplice. In primo luogo, non esiste una singola fila di
montagne sul bordo, ma “permulti montium ordines cum suis lacunis
et anfractibus circa extremum Lunæ ambitum coordinati”. In
secondo luogo, la prospettiva dall'osservatore terrestre, il cui
“oculus in eodem fere plano cum verticibus illarum
locatur”, fa sì che queste irregolarità multiple si compongano in
una linea apparentemente liscia, proprio come “in terra multorum
ac frequentium montium iuga secundum planam superficiem disposita
apparent, si prospiciens procul fuerit”.
Una spiegazione fisica della luminosità e delle asperità della superficie lunare.
Il testo propone una teoria sulla natura di un orbo di sostanza densa
che circonda la Luna, ritenuto responsabile della diffusione e della
riflessione della luce solare. Questo strato, più profondo ai margini,
“ac præsertim luminosus existens, Lunæque peripheriam Soli
expositam obtegere” e impedisce alla vista di percepire le
irregolarità superficiali più estreme, come suggerito dal fatto che
“maiores Lunæ maculæ nulla ex parte ad extremum usque ambitum
protendi conspiciantur”. Successivamente, la trattazione si
sposta sulla topografia lunare, affermando che “clariorem Lunæ
superficiem tumoribus atque lacunis undiquaque conspersam” sia.
Attraverso un calcolo geometrico basato sull'osservazione che alcuni
vertici montuosi nella parte in ombra appaiono illuminati anche a grande
distanza dal terminatore, l'autore dimostra che “sublimitas igitur
AD in Luna... eminentior est milliaribus Italicis 4”, stabilendo
così l'altezza di un picco lunare.
Sulla luce secondaria della Luna e le apparenze delle stelle fisse attraverso il cannocchiale.
Il testo tratta della reciprocità nell'illuminazione tra Terra e Luna,
spiegando come la “luce secondaria” lunare derivi dalla
riflessione della luce solare da parte dell'emisfero terrestre
illuminato. La luminosità di questo chiarore varia in base alla
posizione reciproca dei tre corpi: “vividisque radiis illustrati
integram respicit, reflexumque ab ipsa lumen concipit” e
“maius minusve a terrestri reflexione recipit lumen, prout maiorem
aut minorem terrestris hemisphærii illuminati partem
spectaverit”. Si afferma che “quibus temporibus maxime a
Luna illustratur Tellus, iisdem minus vice versa a Terra illuminetur
Luna, et e contra”. La seconda parte si concentra
sull'osservazione delle stelle fisse col cannocchiale, notando che non
appaiono ingrandite nella stessa proporzione degli altri oggetti. La
ragione è che, a occhio nudo, le stelle non si mostrano secondo la loro
“suam simplicem nudamque, ut ita dicam, magnitudinem”, ma
sono circondate da raggi scintillanti che ne amplificano l'apparenza:
“angulus enim visorius, non a primario Stellæ corpusculo, sed a
late circumfuso splendore, terminatur”. Questo alone luminoso,
visibile soprattutto di notte, può essere rimosso non solo dalla luce
diurna o da una “tenuis nubecula”, ma anche dal
cannocchiale stesso, che “prius enim adscititios accidentalesque a
Stellis fulgores adimit, illarum inde globulos simplices auget”.
Osservazioni celesti attraverso il perspicillum: stelle fisse, pianeti e la natura della Via Lattea.
Il testo descrive le osservazioni astronomiche condotte con l'ausilio
del “perspicillum”, evidenziando le differenze di aspetto
tra pianeti e stelle fisse. I pianeti si presentano come “globulos
suos exacte rotundos ac circinatos”, simili a piccole lune,
mentre le stelle fisse, anche se viste attraverso lo strumento, appaiono
come “fulgores quidam radios circumcirca vibrantes”. Viene
riportata la scoperta di un numero inaspettato di stelle precedentemente
invisibili, poiché “infra Stellas magnitudinis sextæ, adeo
numerosum gregem aliarum, naturalem intuitum fugientium, per
Perspicillum intueberis, ut vix credibile sit”. A supporto di
questa affermazione, vengono forniti due esempi specifici: la
costellazione di Orione, dove sono state annotate “plures
quingentis” stelle, e le Pleiadi, con l'aggiunta di “plures
quam quadraginta” stelle invisibili a occhio nudo. Un'ulteriore
scoperta fondamentale riguarda la natura della Via Lattea, definita come
“nihil aliud, quam innumerarum Stellarum coacervatim consitarum
congeries”. Questo si estende anche alle cosiddette nebulose,
rivelatesi “Stellularum mirum in modum consitarum greges”,
come dimostrato dall'esempio della Nebulosa nella Testa di Orione, che
contiene ventuno stelle.
Scoperta e osservazione dei satelliti di Giove
Osservazioni celesti e la scoperta di nuovi pianeti medicei.
Il testo tratta dell'osservazione di un ammasso stellare,
“Secundus NEBULOSAM PRÆSEPE figura 12 nuncupatam continet; quæ non
una tantum Stella est, sed congeries Stellularum plurium quam
quadraginta”, per poi annunciare l'intenzione di “quatuor
PLANETAS a primo mundi exordio ad nostra usque tempora nunquam
conspectos, occasionem reperiendi atque observandi, aperiamus”.
Viene sottolineata la necessità di uno strumento ottico di qualità:
“Perspicillo exactissimo opus esse”. La narrazione si
concentra quindi sulla scoperta, avvenuta “Die itaque septima
Ianuarii, instantis anni millesimi sexcentesimi decimi”, quando
“tres illi adstare Stellulas, exiguas quidem, veruntamen
clarissimas, cognovi”. Le osservazioni successive, “die
octava” e “die decima”, rivelano il mutare della
posizione di queste stelle, “longe aliam constitutionem
reperi”, portando l'autore a dubitare che fossero fisse e a
sospettare un “motu proprio” di Giove, finché non conclude
che una di esse era “sub Iove latitante”.
Resoconto delle osservazioni dei satelliti gioviani e delle loro posizioni relative.
Il testo descrive le osservazioni condotte tra il giorno non
specificato, il 18, il 19 e il 20, concentrandosi sulle posizioni, le
distanze e le magnitudini di corpi celesti in prossimità di Giove. Viene
annotata la comparsa di una nuova stella “che prima, come ritengo,
era unita alla precedente” e la sua successiva evoluzione in
posizione. Le misurazioni delle distanze angolari sono minuziose,
espresse in minuti primi e secondi d'arco, come nella configurazione del
giorno 19 dove le stelle erano disposte “secondo una linea retta
perfetta” con distanze specificate. Viene menzionata l'incertezza
dell'osservatore riguardo al numero esatto di stelle visibili, come
quando si dichiara “incerto se da occidente ci fossero due, o tre
stelline”. Il sommario accenna anche alla variabilità nella
luminosità percepita degli astri, notando che una stella inizialmente
“piccolissima” in seguito divenne “quasi uguale per
grandezza alle altre”.
Osservazioni astronomiche delle lune di Giove.
Il testo riporta osservazioni dettagliate delle posizioni e delle
caratteristiche di satelliti vicini a Giove, effettuate in date e orari
specifici. Vengono descritte le distanze angolari tra i corpi celesti,
le loro dimensioni relative e l'allineamento. “Aderant ex oriente
Stellulæ tres, æqualiter inter se et a Iove distantes” ovvero
“Ad oriente aderavano tre stelline, ugualmente distanti tra loro e
da Giove”. Si nota che “Orientalis Iovi proxima erat omnium
minima; reliquæ vero aliquanto maiores, atque inter se proxime
æquales”, cioè “Quella più vicina a Giove, a oriente, era
la più piccola di tutte; le altre invece erano alquanto più grandi, e
tra loro quasi uguali”. Viene inoltre segnalata una lieve
deviazione dall'allineamento perfetto: “fuerunt vero secundum
eandem rectam lineam... nisi quod trium occidentalium media paululum in
austrum deflectebat”, ossia “erano infatti disposte secondo
la stessa linea retta... se non che quella di mezzo delle tre
occidentali deviava un poco verso sud”. Le misurazioni delle
distanze, espresse in minuti e secondi d'arco, sono un tema minore
costante, come “interstitia vero, secundum existimationem, 50
secundorum minutorum fuere” e “a Iove ad occidentaliorem
pr. 7”.
Sulla disposizione e i movimenti dei satelliti gioviani.
Il testo riporta osservazioni dettagliate delle posizioni relative di
Giove e dei suoi satelliti, con misurazioni precise delle distanze
angolari in primi e secondi d'arco. Viene descritta la configurazione
dei corpi celesti, spesso allineati “in eadem recta linea”,
e si nota come “occidentalis Stella satis exigua” appaia.
Le misurazioni indicano distanze variabili, come “orientalior
Stella a Iove min. 6, occidentalis vero 8”. Viene inoltre
registrato un cambiamento nel numero dei satelliti visibili, poiché in
un'occasione si attesta che “hora septima, quatuor aderant Stellæ:
inter quas Iuppiter mediam occupabat sedem”.
Riferimenti
Figura 43, Figura 44, Figura 45, Figura 46.
Rilevazioni delle posizioni e delle magnitudini dei satelliti gioviani.
Il testo riporta una serie di osservazioni astronomiche concentrate sui
satelliti di Giove. Vengono descritte le loro posizioni reciproche e
rispetto al pianeta, con misurazioni precise delle distanze in minuti
primi. Le osservazioni, condotte in giorni successivi, registrano il
numero di satelliti visibili, il loro allineamento e le relative
magnitudini. Un tema minore è costituito dalle condizioni
meteorologiche, che in un'occasione hanno ostacolato la visibilità:
“Cælum fuit nubilosum”. Le descrizioni sono supportate da
riferimenti a figure, come “figura 49” e “figura
50”. Le misurazioni indicano configurazioni variabili, con
satelliti che appaiono “in eadem recta secundum Eclipticam
extensa” o “medium Iovem intercipientes”. Viene
inoltre annotata l'uguaglianza o la disparità nelle magnitudini, con
corpi celesti descritti come “æquales omnes” o, al
contrario, con una stella “exigua satis” e un'altra
“satis magna”.
Osservazioni astronomiche delle lune di Giove in date successive.
Il testo riporta osservazioni dettagliate della posizione e della
magnitudine di stelle vicine a Giove, verosimilmente i suoi satelliti,
effettuate in giorni e orari specifici. Vengono descritte le
configurazioni, con il numero di astri visibili, le loro distanze
angolari dal pianeta e tra di loro, e le loro magnitudini relative. Per
esempio, il 15 del mese si nota che “tre erano le stelle
orientali, nessuna invece si scorgeva occidentale”, mentre il 17
si registra che “entrambe [le stelle] erano abbastanza esigue,
specialmente l'orientale nella seconda osservazione”. Le
misurazioni delle distanze sono minuziose, spesso espresse in primi e
secondi d'arco, come la stella orientale che “dista[va] da esso
min. 0, sec. 50”. Un tema minore è l'allineamento degli astri,
rilevato il 16 quando “erano tutte della medesima, quasi,
grandezza, abbastanza cospicue, e sulla stessa retta linea esattamente
secondo l'andamento dello Zodiaco”.
Serie di osservazioni sui satelliti di Giove e le loro posizioni relative.
Il sommario descrive le osservazioni dei satelliti di Giove condotte in
diverse notti, con particolare attenzione al loro numero, alla
disposizione e alle distanze angolari dal pianeta. Viene rilevato che i
satelliti appaiono spesso allineati “in eadem recta Eclipticæ
parallela” e “ad unguem in eadem recta”. Le
osservazioni includono notti con cielo sereno e altre, come il 20 e le
tre notti successive al 21, in cui “cælum fuit nubibus
obductum”. Vengono annotate le dimensioni relative dei corpi
celesti, ad esempio una stella orientale era “aliquanto minor
occidentali”. Un tema minore è l'evoluzione delle configurazioni
nel tempo, come quando, nella notte del 26, inizialmente erano visibili
solo due stelle, ma “hora 5, tres visæ sunt Stellæ”. Un
ulteriore tema minore è l'introduzione di un nuovo metodo di
osservazione “secundum Zodiaci longitudinem, facta relatione ad
fixam quandam” a partire da quella stessa notte, per misurare il
movimento.