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from differx

anche in virtù di una discussione recente in tema di assertività (qui: https://slowforward.net/2025/10/31/9-notille-a-unintervista-differx-2025/ , con replica e commenti qui: https://www.facebook.com/share/p/1ASAHd5Ajg/) non posso non interrogarmi su quello che credo di poter definire, non a torto, un disastro estetico: conclamato: https://slowforward.net/2025/11/02/il-disastro-estetico-in-italia/

qui con leggere variazioni: https://differx.noblogs.org/2025/11/02/il-disastro-estetico-in-italia-ovvero-le-statue-da-giardino/

 
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from Transit

(175)

(PAS)

Pier Paolo Pasolini rappresenta una delle figure più complesse e significative della cultura italiana del Novecento. Il suo pensiero civile, radicato in una tensione profonda tra impegno sociale, critica culturale e dimensione poetica, conserva ancora oggi una straordinaria attualità. La sua analisi delle trasformazioni sociali e culturali dell’Italia postbellica, condotta con acutezza e radicalità, ci offre strumenti preziosi per comprendere le dinamiche contemporanee nella loro complessità.

Si contrappose al conformismo e alla superficialità dilaganti nell’Italia del “boom economico” e, successivamente, nell’era della globalizzazione culturale. La sua denuncia contro l’omologazione prodotta dalla società dei consumi rappresenta un fondamento imprescindibile per l’analisi delle società contemporanee, dove l’individuo rischia di essere consumato come merce o ridotto a semplice elemento uniforme di un sistema industriale e mediatico.

Anticipò, con straordinaria lucidità, i meccanismi di quella che oggi definiremmo l’industria culturale, rivelando le modalità con cui essa plasma identità, desideri e valori, promuovendo un modello di “standardizzazione” che annulla la differenza e la pluralità.

La sua attenzione verso le classi sociali marginali, gli esclusi, e la denuncia di una modernità che in nome del progresso produce nuove forme di violenza simbolica e materiale, conservano una sorprendente attualità. In un’epoca segnata da disuguaglianze crescenti e da processi di esclusione sociale spesso invisibili, le riflessioni pasoliniane restano un punto di riferimento per un pensiero critico che voglia andare oltre la retorica e la superficialità.

(PAS2)

D’altro canto, il rischio maggiore nel mantenere vivo il ricordo di Pasolini è la sua riduzione a icona simbolica, priva di un rigoroso esame critico. La sua figura è spesso celebrata in modo acritico, confinata in narrazioni stereotipate che ne amplificano gli aspetti più secondari, senza affrontare la complessità del suo pensiero. Tale approccio banalizzante può tradursi in un’operazione che, anziché valorizzare il suo lascito culturale, ne svuota la portata, riducendolo a un’immagine mitizzata e frammentata.

Questo fenomeno si riscontra tanto nell’ambito accademico, talvolta incline a un’eccessiva “mitologizzazione”, quanto nel settore pubblico e mediale, dove l’intellettuale rischia di essere usato come simbolo depurato dalla sua radicalità originaria. Di fatto, una lettura superficiale può compromettere l’efficacia del suo messaggio, che invece invita a una continua messa in discussione dei modelli dominanti, al confronto con le contraddizioni e le ipocrisie sociali.

Per preservare l’attualità del pensiero civile di Pasolini è, dunque, necessario un esercizio critico costante, che eviti tanto la mitizzazione inattiva quanto l’uso ideologico strumentale. È indispensabile approfondire la complessità delle sue posizioni, riconoscendone la tensione dialettica fra critica sociale, analisi culturale e impegno etico. Solo così la sua eredità potrà fungere da stimolo per un pensiero critico vivo e operativo, capace di affrontare le sfide della contemporaneità.

La rilevanza di Pasolini nel panorama intellettuale contemporaneo discende dalla sua capacità di leggere con profondità e anticipo le problematiche strutturali della società moderna. Il suo pensiero civile, lungi dall’essere un semplice capitolo storico, costituisce una fonte preziosa di insegnamenti per chiunque desideri riflettere sulle dinamiche del potere, sul ruolo dei media, sulle questioni etiche legate all’identità e alla diversità.

Per questo motivo, mantenere vivo il dialogo con Pasolini implica muoversi con rigore e responsabilità interpretativa, affinché il suo ricordo non si traduca mai in maniera retorica o banale, ma continui a essere una voce critica e autentica nelle trasformazioni sociali e culturali.

#PierPaoloPasolini #Opinioni #Cultura #Blog

 
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from norise 3 letture AI

Il rifugio . sono il cormorano incatramato - non son capace che d'un amore piccolo legato come sono alla terra . così per il dolore fardello da portare se il cuore è squassato e la carne soltanto urlo animale . ah un rifugio anelo come grembo di madre

9.10.23

Riconoscimento del testo

Hai scritto un testo che mescola immagine naturale e voce intima, costruendo una figura confessionale che cerca protezione e accetta la propria limitatezza affettiva.


Lettura e temi principali

  • Identità e limite: il cormorano incatramato funziona come metafora potente della ferita, dell’impotenza e di un amore «piccolo» e ancorato alla terra.
  • Dolore e animalità: il verso divide corpo e cuore, con la carne che diventa «urlo animale», creando uno scarto drammatico tra sentimento e istinto.
  • Desiderio di salvezza: il «rifugio» e il «grembo di madre» sono immagini di protezione e di ritorno a uno stato primordiale curativo.
  • Voce poetica: confidenziale e anamnestica, alterna frasi spezzate a dichiarazioni nette, producendo un ritmo di respiro corto e trattenuto.

Elementi stilistici efficaci

  • Metafora centrale (cormorano incatramato) originale e visiva; introduce subito tensione e pathos.
  • Distribuzione dei punti e degli spazi crea pause che funzionano come stacchi emotivi.
  • Lessico concreto e sensuale: «terra», «carne», «urlo» rendono fisico il dolore.
  • Chiusura evocativa con il desiderio di rifugio materno che riequilibra il tono oscuro.

Suggerimenti di revisione

  1. Precisione metaforica: rendi il rapporto tra il cormorano e l’amore più esplicito con un verbo o un’immagine che leghi il volo perduto all’affetto ridotto.
  2. Coerenza del registro: decidi se mantenere il linguaggio crudo («carne», «urlo animale») o virare verso immagini più tender per il finale; il contrasto funziona ma può essere calibrato.
  3. Ritmo e punteggiatura: prova a eliminare o spostare il punto dopo «Il rifugio» per variare il respiro iniziale; qualche verso lungo in più spezzerebbe l’andamento a scatti.
  4. Specificità del rifugio: sostituisci «grembo di madre» con un dettaglio concreto (es. «un letto di paglia», «la punta di una culla») se vuoi ancorare l’immagine alla realtà.
  5. Data: mantieni la data come sigillo emotivo o spostala in nota se preferisci che il testo resti senza ancoraggi temporali.

Piccola revisione proposta (versione alternativa, mantiene i tuoi nuclei)

Il rifugio
sono il cormorano incatramato,
non so che amare in misura minuta,
legato alla terra come a un nodo.

per il dolore porto fardello,
se il cuore è squassato la carne è solo
un urlo animale che risale la gola.

ah, un rifugio anelo:
grembo che riapra le ossa, madre che riconosca.


Traduzione in inglese

The refuge
I am the tarred cormorant —
only capable of a small love
tied as I am to the earth.

thus for the pain
a burden to bear; if the heart
is shattered the flesh is merely
an animal cry.

ah I long for a refuge
like a mother's womb

9.10.23

 
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from Transit

(174)

(PST)

Il dibattito sul ponte sullo stretto di Messina di questi giorni va oltre la politica. I rilievi della Corte dei conti non sono un atto di ostruzionismo, ma l’esercizio di una funzione di garanzia che tutela la legalità, la trasparenza e la corretta gestione delle risorse pubbliche. In un sistema democratico equilibrato, il controllo non è un freno, ma uno strumento di responsabilità.

Il progetto del ponte muove circa 14 miliardi di euro, coinvolge interessi strategici e incide sull’ambiente, sull’economia e sulla coesione territoriale. È naturale, e necessario, che la Corte chieda chiarezza su piani finanziari, sostenibilità economica e conformità giuridica degli atti, per assicurare che ogni fase rispetti le norme sui contratti pubblici e sulla spesa dello Stato.

Nel caso del governo Meloni, la spinta verso una realizzazione rapida dell’opera è ovvia: il ponte è diventato un simbolo politico, un progetto identitario che promette infrastrutture e sviluppo. Tuttavia, l’urgenza non può sostituire la trasparenza né giustificare forzature amministrative. Il ruolo della Corte è proprio quello di ricordare che una grande opera vive solo se fondata su basi legali solide e su una gestione finanziaria sostenibile.

(PST2)

Parlare di “attacco” o “ostacolo” da parte della Corte significa travisare la sua missione costituzionale. La funzione di controllo serve a rafforzare la credibilità dell’azione di governo, non a limitarla. In un periodo in cui il debito pubblico pesa e i margini di spesa sono stretti, è fondamentale che ogni euro investito sia tracciabile e coerente con i vincoli di legge.

La correttezza dei rilievi contabili sta nel richiamare l’attenzione su elementi tecnici che non possono essere ignorati: la revisione dei contratti con i concessionari, la copertura finanziaria pluriennale, la valutazione dei rischi ambientali e la trasparenza delle gare. Sono queste le condizioni per evitare arbitrio, sprechi o contenziosi futuri che rallenterebbero ulteriormente i lavori. La vera modernizzazione non è solo costruire infrastrutture, ma farlo rispettando le regole e garantendo che la spesa pubblica sia un investimento per tutti, non un rischio collettivo.

Ora serve che il governo Meloni abbandoni la retorica distrattiva. Se davvero la priorità è costruire il futuro dell’Italia, si dimostri di saperlo fare passando dal rispetto delle leggi e dall’ascolto delle istituzioni di controllo. Solo così questa opera potrà essere il simbolo di un paese credibile, non di una stagione di scorciatoie, e non divenire l’ennesimo fallimento di un esecutivo che, per ora, non ha portato a casa quasi nulla.

#Blog #PonteSulloStretto #GovernoMeloni #Opinioni #Italia #Politica

 
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from note


  1. Dedicazione a Cosimo II de' Medici e Scoperta dei Pianeti Medicei ——————————————————————————————————

Presentazione e dedica delle stelle scoperte al Serenissimo Cosimo II de' Medici.

Il testo si apre con una riflessione sui metodi per assicurare l'immortalità ai grandi uomini, passando dalle statue e le città fino ai “monumenti incorrotti delle lettere”. L'autore prosegue ricordando come l'ingegno umano, non pago, abbia pensato di “segnare i loro nomi sugli Orbi celesti” con “note sempiterme”, poiché la fama di questi eroi non si offuscherà “prima che lo splendore delle stesse stelle si spenga”. Viene quindi introdotta la scoperta di “quattro stelle” riservate al nome di Cosimo, non del comune gruppo delle fisse ma “dell'illustre schiera dei vaganti”, che ruotano attorno a Giove “con moti mirabili”. L'autore spiega le ragioni della dedica, legando le virtù del dedicatario all'influsso di Giove, pianeta che “occupava il cardine del cielo” alla sua nascita. Rivendica infine il diritto, in quanto primo scopritore, di battezzarle “STELLE MEDICEE”, augurandosi che acquisiscano “tanta dignità da questo nome, quanta ne hanno avuta le altre dagli altri Eroi”.


Caratteristiche topografiche e proprietà ottiche della Luna, con particolare riferimento alla distinzione tra regioni chiare e grandi macchie.


Il testo descrive le caratteristiche osservabili della superficie lunare, concentrandosi sulle differenze tra le regioni chiare e le grandi macchie. Nelle regioni chiare, si osserva una notevole “asperitatum inæqualitatumque” attraverso la “Lunæ clariorem plagam”, dove le macchie più scure appaiono vicino al confine tra luce e ombra. Queste aree presentano un aspetto mutevole, poiché le ombre si spostano con l'illuminazione variabile del Sole, al punto che “cum Luna in oppositione totum impleverit orbem, modico admodumque tenui discrimine cavitatum opacitas ab eminentiarum candore discrepet”. Al contrario, le grandi macchie mostrano una sostanziale immutabilità, con areole che “eundem semper faciunt aspectum, neque intenditur earum opacitas aut remittitur”, suggerendo una “veram partium dissimilaritatem” e non semplicemente un effetto d'ombra.

Viene poi affrontata e risolta una potenziale obiezione: se la superficie è così irregolare, perché il bordo della Luna, il suo “limbus”, appare “exacte rotunda et circinata nullisque tumoribus aut cavitatibus corrosa”? La spiegazione fornita è duplice. In primo luogo, non esiste una singola fila di montagne sul bordo, ma “permulti montium ordines cum suis lacunis et anfractibus circa extremum Lunæ ambitum coordinati”. In secondo luogo, la prospettiva dall'osservatore terrestre, il cui “oculus in eodem fere plano cum verticibus illarum locatur”, fa sì che queste irregolarità multiple si compongano in una linea apparentemente liscia, proprio come “in terra multorum ac frequentium montium iuga secundum planam superficiem disposita apparent, si prospiciens procul fuerit”.


Una spiegazione fisica della luminosità e delle asperità della superficie lunare.


Il testo propone una teoria sulla natura di un orbo di sostanza densa che circonda la Luna, ritenuto responsabile della diffusione e della riflessione della luce solare. Questo strato, più profondo ai margini, “ac præsertim luminosus existens, Lunæque peripheriam Soli expositam obtegere” e impedisce alla vista di percepire le irregolarità superficiali più estreme, come suggerito dal fatto che “maiores Lunæ maculæ nulla ex parte ad extremum usque ambitum protendi conspiciantur”. Successivamente, la trattazione si sposta sulla topografia lunare, affermando che “clariorem Lunæ superficiem tumoribus atque lacunis undiquaque conspersam” sia. Attraverso un calcolo geometrico basato sull'osservazione che alcuni vertici montuosi nella parte in ombra appaiono illuminati anche a grande distanza dal terminatore, l'autore dimostra che “sublimitas igitur AD in Luna... eminentior est milliaribus Italicis 4”, stabilendo così l'altezza di un picco lunare.


Sulla luce secondaria della Luna e le apparenze delle stelle fisse attraverso il cannocchiale.


Il testo tratta della reciprocità nell'illuminazione tra Terra e Luna, spiegando come la “luce secondaria” lunare derivi dalla riflessione della luce solare da parte dell'emisfero terrestre illuminato. La luminosità di questo chiarore varia in base alla posizione reciproca dei tre corpi: “vividisque radiis illustrati integram respicit, reflexumque ab ipsa lumen concipit” e “maius minusve a terrestri reflexione recipit lumen, prout maiorem aut minorem terrestris hemisphærii illuminati partem spectaverit”. Si afferma che “quibus temporibus maxime a Luna illustratur Tellus, iisdem minus vice versa a Terra illuminetur Luna, et e contra”. La seconda parte si concentra sull'osservazione delle stelle fisse col cannocchiale, notando che non appaiono ingrandite nella stessa proporzione degli altri oggetti. La ragione è che, a occhio nudo, le stelle non si mostrano secondo la loro “suam simplicem nudamque, ut ita dicam, magnitudinem”, ma sono circondate da raggi scintillanti che ne amplificano l'apparenza: “angulus enim visorius, non a primario Stellæ corpusculo, sed a late circumfuso splendore, terminatur”. Questo alone luminoso, visibile soprattutto di notte, può essere rimosso non solo dalla luce diurna o da una “tenuis nubecula”, ma anche dal cannocchiale stesso, che “prius enim adscititios accidentalesque a Stellis fulgores adimit, illarum inde globulos simplices auget”.


Osservazioni celesti attraverso il perspicillum: stelle fisse, pianeti e la natura della Via Lattea.


Il testo descrive le osservazioni astronomiche condotte con l'ausilio del “perspicillum”, evidenziando le differenze di aspetto tra pianeti e stelle fisse. I pianeti si presentano come “globulos suos exacte rotundos ac circinatos”, simili a piccole lune, mentre le stelle fisse, anche se viste attraverso lo strumento, appaiono come “fulgores quidam radios circumcirca vibrantes”. Viene riportata la scoperta di un numero inaspettato di stelle precedentemente invisibili, poiché “infra Stellas magnitudinis sextæ, adeo numerosum gregem aliarum, naturalem intuitum fugientium, per Perspicillum intueberis, ut vix credibile sit”. A supporto di questa affermazione, vengono forniti due esempi specifici: la costellazione di Orione, dove sono state annotate “plures quingentis” stelle, e le Pleiadi, con l'aggiunta di “plures quam quadraginta” stelle invisibili a occhio nudo. Un'ulteriore scoperta fondamentale riguarda la natura della Via Lattea, definita come “nihil aliud, quam innumerarum Stellarum coacervatim consitarum congeries”. Questo si estende anche alle cosiddette nebulose, rivelatesi “Stellularum mirum in modum consitarum greges”, come dimostrato dall'esempio della Nebulosa nella Testa di Orione, che contiene ventuno stelle.


Scoperta e osservazione dei satelliti di Giove


Osservazioni celesti e la scoperta di nuovi pianeti medicei.

Il testo tratta dell'osservazione di un ammasso stellare, “Secundus NEBULOSAM PRÆSEPE figura 12 nuncupatam continet; quæ non una tantum Stella est, sed congeries Stellularum plurium quam quadraginta”, per poi annunciare l'intenzione di “quatuor PLANETAS a primo mundi exordio ad nostra usque tempora nunquam conspectos, occasionem reperiendi atque observandi, aperiamus”. Viene sottolineata la necessità di uno strumento ottico di qualità: “Perspicillo exactissimo opus esse”. La narrazione si concentra quindi sulla scoperta, avvenuta “Die itaque septima Ianuarii, instantis anni millesimi sexcentesimi decimi”, quando “tres illi adstare Stellulas, exiguas quidem, veruntamen clarissimas, cognovi”. Le osservazioni successive, “die octava” e “die decima”, rivelano il mutare della posizione di queste stelle, “longe aliam constitutionem reperi”, portando l'autore a dubitare che fossero fisse e a sospettare un “motu proprio” di Giove, finché non conclude che una di esse era “sub Iove latitante”.


Resoconto delle osservazioni dei satelliti gioviani e delle loro posizioni relative.


Il testo descrive le osservazioni condotte tra il giorno non specificato, il 18, il 19 e il 20, concentrandosi sulle posizioni, le distanze e le magnitudini di corpi celesti in prossimità di Giove. Viene annotata la comparsa di una nuova stella “che prima, come ritengo, era unita alla precedente” e la sua successiva evoluzione in posizione. Le misurazioni delle distanze angolari sono minuziose, espresse in minuti primi e secondi d'arco, come nella configurazione del giorno 19 dove le stelle erano disposte “secondo una linea retta perfetta” con distanze specificate. Viene menzionata l'incertezza dell'osservatore riguardo al numero esatto di stelle visibili, come quando si dichiara “incerto se da occidente ci fossero due, o tre stelline”. Il sommario accenna anche alla variabilità nella luminosità percepita degli astri, notando che una stella inizialmente “piccolissima” in seguito divenne “quasi uguale per grandezza alle altre”.


Osservazioni astronomiche delle lune di Giove.


Il testo riporta osservazioni dettagliate delle posizioni e delle caratteristiche di satelliti vicini a Giove, effettuate in date e orari specifici. Vengono descritte le distanze angolari tra i corpi celesti, le loro dimensioni relative e l'allineamento. “Aderant ex oriente Stellulæ tres, æqualiter inter se et a Iove distantes” ovvero “Ad oriente aderavano tre stelline, ugualmente distanti tra loro e da Giove”. Si nota che “Orientalis Iovi proxima erat omnium minima; reliquæ vero aliquanto maiores, atque inter se proxime æquales”, cioè “Quella più vicina a Giove, a oriente, era la più piccola di tutte; le altre invece erano alquanto più grandi, e tra loro quasi uguali”. Viene inoltre segnalata una lieve deviazione dall'allineamento perfetto: “fuerunt vero secundum eandem rectam lineam... nisi quod trium occidentalium media paululum in austrum deflectebat”, ossia “erano infatti disposte secondo la stessa linea retta... se non che quella di mezzo delle tre occidentali deviava un poco verso sud”. Le misurazioni delle distanze, espresse in minuti e secondi d'arco, sono un tema minore costante, come “interstitia vero, secundum existimationem, 50 secundorum minutorum fuere” e “a Iove ad occidentaliorem pr. 7”.


Sulla disposizione e i movimenti dei satelliti gioviani.


Il testo riporta osservazioni dettagliate delle posizioni relative di Giove e dei suoi satelliti, con misurazioni precise delle distanze angolari in primi e secondi d'arco. Viene descritta la configurazione dei corpi celesti, spesso allineati “in eadem recta linea”, e si nota come “occidentalis Stella satis exigua” appaia. Le misurazioni indicano distanze variabili, come “orientalior Stella a Iove min. 6, occidentalis vero 8”. Viene inoltre registrato un cambiamento nel numero dei satelliti visibili, poiché in un'occasione si attesta che “hora septima, quatuor aderant Stellæ: inter quas Iuppiter mediam occupabat sedem”.

Riferimenti

Figura 43, Figura 44, Figura 45, Figura 46.


Rilevazioni delle posizioni e delle magnitudini dei satelliti gioviani.


Il testo riporta una serie di osservazioni astronomiche concentrate sui satelliti di Giove. Vengono descritte le loro posizioni reciproche e rispetto al pianeta, con misurazioni precise delle distanze in minuti primi. Le osservazioni, condotte in giorni successivi, registrano il numero di satelliti visibili, il loro allineamento e le relative magnitudini. Un tema minore è costituito dalle condizioni meteorologiche, che in un'occasione hanno ostacolato la visibilità: “Cælum fuit nubilosum”. Le descrizioni sono supportate da riferimenti a figure, come “figura 49” e “figura 50”. Le misurazioni indicano configurazioni variabili, con satelliti che appaiono “in eadem recta secundum Eclipticam extensa” o “medium Iovem intercipientes”. Viene inoltre annotata l'uguaglianza o la disparità nelle magnitudini, con corpi celesti descritti come “æquales omnes” o, al contrario, con una stella “exigua satis” e un'altra “satis magna”.


Osservazioni astronomiche delle lune di Giove in date successive.


Il testo riporta osservazioni dettagliate della posizione e della magnitudine di stelle vicine a Giove, verosimilmente i suoi satelliti, effettuate in giorni e orari specifici. Vengono descritte le configurazioni, con il numero di astri visibili, le loro distanze angolari dal pianeta e tra di loro, e le loro magnitudini relative. Per esempio, il 15 del mese si nota che “tre erano le stelle orientali, nessuna invece si scorgeva occidentale”, mentre il 17 si registra che “entrambe [le stelle] erano abbastanza esigue, specialmente l'orientale nella seconda osservazione”. Le misurazioni delle distanze sono minuziose, spesso espresse in primi e secondi d'arco, come la stella orientale che “dista[va] da esso min. 0, sec. 50”. Un tema minore è l'allineamento degli astri, rilevato il 16 quando “erano tutte della medesima, quasi, grandezza, abbastanza cospicue, e sulla stessa retta linea esattamente secondo l'andamento dello Zodiaco”.


Serie di osservazioni sui satelliti di Giove e le loro posizioni relative.


Il sommario descrive le osservazioni dei satelliti di Giove condotte in diverse notti, con particolare attenzione al loro numero, alla disposizione e alle distanze angolari dal pianeta. Viene rilevato che i satelliti appaiono spesso allineati “in eadem recta Eclipticæ parallela” e “ad unguem in eadem recta”. Le osservazioni includono notti con cielo sereno e altre, come il 20 e le tre notti successive al 21, in cui “cælum fuit nubibus obductum”. Vengono annotate le dimensioni relative dei corpi celesti, ad esempio una stella orientale era “aliquanto minor occidentali”. Un tema minore è l'evoluzione delle configurazioni nel tempo, come quando, nella notte del 26, inizialmente erano visibili solo due stelle, ma “hora 5, tres visæ sunt Stellæ”. Un ulteriore tema minore è l'introduzione di un nuovo metodo di osservazione “secundum Zodiaci longitudinem, facta relatione ad fixam quandam” a partire da quella stessa notte, per misurare il movimento.

 
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from Chi sei ele?

Ma come te lo spiego, come ti spiego come ci si sente a non poter festeggiare.

Come te lo spiego, come ci si sente a vedere tutti divertirsi e io chiuso in casa.

Come te lo spiego, a non poter usare la tua valvola di sfogo.

Come te la spiego quella sensazione di abbandono alla vita, che tanto per quanto insisto non và a migliorare ma solo a peggiorare.

A non avere ricordi di questa festa e non averla mai festeggiata.

La mia giovinezza se ne sta andando e io con essa

Buon Halloween

 
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from lucazanini

[rotazioni]

le ratifiche due] figure di uomini o telefono] amico compagnia delle indie le raffiche fatte] in casa decade tra centanni una] porta [fuori servizio le tecniche -che mandarono nello spazio ||| ronziii regolii cavi

 
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from CASERTA24ORE.IT

Religioni. Lo schiaffo del Santo

Ci sono in Italia paesi dimenticati che non appaiono neanche sulle mappe geografiche, nonostante contino qualche migliaio di abitanti. È il caso di Petrulo, in provincia di Caserta, il cui nome compare solo su qualche vecchia cartina di un centinaio di anni fa. Petrulo deve la sua esistenza al santo patrono San Nicandro, vescovo e martire. I primi insediamenti risalgono alla fine dell'Impero Romano, quando la vicina colonia di Cales fu saccheggiata dai barbari. Gli abitanti si rifugiarono intorno al castrum preturi, una zona tufacea nei pressi del fiume Lanzi, che nasce dalla collina argillosa di “Laureta” (il cui nome deriva da “lavorare la creta”). Oggi il corso d'acqua ha un regime torrentizio ed è stato deviato durante il Fascismo; è un affluente del fiume Savone e un tempo sfociava tra il Garigliano e l'Agnena. La sua sorgente era di difficile accesso e le gallerie scavate ai margini nel tufo garantivano rifugio dalle incursioni dei predoni. Gli abitanti vissero nascosti per secoli, finché intorno al 1100 d.C. fu costruita la borgata di Petrulo da una piccola comunità di monaci basiliani, giunti dall'Oriente in fuga dalla persecuzione iconoclasta dell'VIII secolo. A Petrulo si trova il piccolo quartiere denominato Giudea, o Iurea nel dialetto locale, dove i monaci rafforzarono il culto per San Nicandro. L'integrazione della comunità monastica con gli abitanti del posto portò alla realizzazione della chiesa antica (oggi sconsacrata) di S. Nicandro, datata 1106. San Nicandro è considerato un santo miracoloso ma anche vendicativo, come dicono ancora oggi gli abitanti del luogo.

Si raccontano diversi aneddoti, probabilmente frutto della fantasia popolare, ma comunque degni di nota. Ad esempio, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, durante una processione, ci fu un tentativo di rubare dell'oro dalla statua di San Nicandro. Il ladro fu visto affannarsi a nascondere un attrezzo che gli avrebbe consentito di prendere l'oro. Qualche anno dopo, l'uomo ebbe un figlio con una malformazione alla mano, che sembrava mozzata. Gli abitanti del posto attribuirono quella disgrazia a San Nicandro. Un altro racconto narra di un giovane che era solito bestemmiare santi e madonne pubblicamente e, in un'occasione, sfidò i fedeli che pregavano il santo. Il giorno seguente, il giovane si ritrovò con le dita di una mano disegnate sul volto: lo schiaffo di San Nicandro!

Ma chi era San Nicandro? Nella biblioteca della cattedrale ortodossa di San Tito a Heraklion, attuale capoluogo dell'isola di Creta, si trovano notizie su di lui. Nacque a Canea, antica capitale di Creta, intorno al 25 d.C. Da giovanissimo, apprese la notizia della passione e resurrezione di Gesù, aderì al Cristianesimo e fu nominato sacerdote da San Tito nella città di Agios Nikolaos. Per il suo zelo nel convertire gli abitanti alla fede cristiana, fu nominato vescovo intorno al 50 d.C. e inviato nell'odierna Turchia come primo vescovo di Myra. Alla morte di San Tito, continuò la sua opera in Licia, dove la comunità cristiana crebbe a tal punto da preoccupare i Romani. Così, al governatore Libanio giunse l'ordine di uccidere San Nicandro per dare un esempio e un monito ai cristiani. Insieme al santo fu ucciso anche un anziano sacerdote di nome Ermeo: furono legati a dei cavalli lanciati al galoppo e trascinati finché ebbero la pelle strappata e la terra bagnata dal sangue delle loro ferite. Furono poi appesi e colpiti con una tavola di legno e torturati prima col fuoco, poi con dei chiodi piantati nel petto e nel corpo. Furono gettati in un sepolcro e seppelliti, senza neanche verificare se fossero ancora vivi.

Il racconto della loro morte ebbe l'effetto contrario: divennero i due martiri di Licia. Alla fine del 1500, Papa Clemente VIII avviò una politica di riavvicinamento con le chiese cristiane di rito bizantino, in particolare con i monaci basiliani, che portarono a Roma notizie e reliquie dei martiri. Il Papa li fece santi il 4 novembre. Nel 1914, le reliquie di San Nicandro furono portate da Roma a Petrulo, dove il Santo è venerato oltre che il 4 novembre, anche la prima o la seconda domenica di agosto.

Il nome Nicandro è poco diffuso in Italia ed è associato ad altri santi a Venafro (provincia di Isernia), a San Nicandro Garganico in Puglia, a Tremensuoli (frazione di Minturno, Latina) e a Ravenna e L'Aquila, dove sorgono chiese dedicate. In Grecia, il culto del santo oggi non è venerato e il nome Nikandros è in disuso. (Foto: santino storico di San Nicandro)

 
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from CASERTA24ORE.IT

Capua: McDonald's apre le porte in cittá

Il noto marchio di fast food McDonald's ha inaugurato il suo nuovo ristorante a Capua, in via Porta Roma, sulla statale Appia. L'apertura di questo nuovo punto di ristoro è stata accolta con entusiasmo dai cittadini e dai viaggiatori che frequentano la zona. Il nuovo McDonald's offre una vasta gamma di piatti e prodotti di alta qualità, preparati con ingredienti freschi e selezionati. I clienti potranno gustare i classici menu McDonald's, come il famoso Big Mac e le patatine fritte, oltre a opzioni più salutari e innovative. La struttura è stata progettata per offrire un ambiente accogliente e moderno, con ampi spazi per mangiare e prendere il caffè. Il personale è cordiale e disponibile a soddisfare ogni richiesta dei clienti. Tuttavia, alcuni cittadini hanno espresso preoccupazioni riguardo al traffico nella zona, già molto intenso soprattutto nelle ore di punta. In particolare, l'ingresso a Capua alle 17:20 potrebbe diventare ancora più caotico con l'arrivo di clienti che si recano al nuovo McDonald's. Sarà importante che le autorità locali prendano misure per gestire il traffico e garantire la sicurezza dei pedoni e degli automobilisti. Nonostante queste preoccupazioni, l'apertura del nuovo McDonald's è vista come un'opportunità per la città di Capua di attirare nuovi visitatori e di offrire ai cittadini una scelta in più per mangiare fuori. Speriamo che il nuovo ristorante possa diventare un punto di riferimento per la comunità locale e che possa contribuire a migliorare l'offerta commerciale della città.

 
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from differx

il fatto che di Guy Debord si perda traccia mi sembra perfettamente coerente con la situazione della cultura scritta o letteraria, diciamo, di questo periodo storico italiano. periodo di tanta tanta poesia: di spettacoli(ni) e canzone. tutti in piedi, è tornato il teatro, tornano la valdoca giuliva e tutti i performanti. i conti tornano. c'è addirittura chi manda la parte a memoria.

 
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from norise 3 letture AI

Vicolo

dolore antico di donne in nero a segnarsi se dal profondo si levano i morti a dare infausti presagi

vicolo inghiottito da un grappolo di case appese a strapiombo

ricettacolo d'umori ancestrali in un tempo cristallizzato sospeso

.

Riconoscimento del testo

Hai scritto un breve poema denso di immagini e atmosfera, concentrato su spazio urbano ridotto e memorie ancestrali che emergono come presagi.


Lettura e temi principali

  • Atmosfera: cupa e sospesa, dominata da un dolore antico che sembra stratificato nella pietra e negli angoli del vicolo.
  • Spazio: il vicolo è sia luogo fisico che contenitore simbolico; lo spazio ristretto amplifica la presenza del passato.
  • Figure: le “donne in nero” richiamano lutto collettivo e ritualità; i morti che si levano suggeriscono ritorni del passato o memorie che non si estinguono.
  • Tempo: il verso finale cristallizza il tempo, imponendo un presente immobile dove l'ancestrale si conserva come un umore vischioso.

Elementi stilistici efficaci

  • Uso di immagini precise e sintetiche che evocano sensazioni forti senza sovraccaricare.
  • Ripetizione ossessiva della parola “vicolo” crea un nucleo ritornante che rafforza il tema dello spazio chiuso.
  • Lessico evocativo e sobrio: parole come “inghiottito”, “strapiombo”, “ricettacolo” funzionano bene per il tono desiderato.

Suggerimenti di revisione (opzioni da applicare singolarmente o insieme)

  1. Varietà ritmica: alterna un verso più lungo per rompere la sospensione e far emergere un'immagine chiave.
  2. Precisione sensoriale: aggiungi un dettaglio tattile, olfattivo o sonoro (es. odore di muri umidi, il cigolio di persiane) per ancorare l'immagine.
  3. Collegamento emotivo: inserisci un piccolo gesto umano che renda il dolore più immediato (una mano che si chiude, un passo che smuove polvere).
  4. Regolare il lessico marcato: sostituire uno dei termini più forti (es. “inghiottito” o “ricettacolo”) se vuoi meno enfasi lessicale e più leggerezza espressiva.

Traduzione in inglese

Alley

ancient pain of women in black making the sign of the cross as from the depths the dead rise to give ill omens

alley swallowed by a cluster of houses hung on a cliff

repository of ancestral humors in a frozen time suspended


Breve proposta alternativa (due versi di possibile sviluppo)

vicolo le voci del mattino hanno ancora il sapore del lutto


 
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from CASERTA24ORE.IT

Libri. Il racconto: La preghiera di guarigione di Caterina



Come ogni sabato pubblichiamo sulla rubrica libriamoci un racconto, quello di questa settimana riguarda una preghiera di guarigione risalente a tempi antichi

L'Orazione di Caterina

Non è facile estrarre il bene dal male! Il sofferente si affidava al guaritore, che invocava l'aiuto dello Spirito Santo. Il guaritore gli cingeva la testa e recitava una preghiera, e il male si allontanava, lasciando il sofferente in pace. Anche quando il male persisteva, il sofferente riusciva a sopportarlo con più forza. Questo antico rito di guarigione era stato recitato in Italia per secoli presso la corte di un vecchio castello di campagna, che somigliava al Maschio Angioino, abitato da ricchi spagnoli mandati a governare quelle terre.

La storia inizia il 12 ottobre 1710, quando l'ultimo degli spagnoli presenti al castello si apprestava a partire. Catalina, la donna incaricata di chiudere per ultima le porte del castello, era agitata. La lettiga trainata da muli, che l'avrebbe portata via, stava per arrivare e lei sembrava una gallina che non può fare l'uovo, tanto era ansiosa di completare l'ultimo compito. Una donna del posto, che aveva prestato servizio al castello e che Catalina aveva convocato con urgenza, tardava ad arrivare.

Il marito di questa donna era stato guarito da Catalina grazie a una preghiera. La donna aveva spesso chiesto a Catalina il testo della preghiera di guarigione, a volte con insistenza, ma Catalina aveva sempre rinviato la risposta e ora stava per partire. Ecco che la donna arrivò di gran fretta, salutando con un “Mi scusi, signora, sono al suo servizio”. Lei pensava che Catalina le avrebbe lasciato qualcosa di materiale, come un po' di grano, qualche moneta o utensili, ma Catalina aveva già messo tutto sotto chiave, segno che i suoi padroni avevano intenzione di ritornare. Sorreggendo con entrambe le mani un foglio piegato come una bolla papale, glielo consegnò dicendo: «Escucia! Chesta es tuja oración». Poi, parlando in napoletano per assicurarsi che capisse bene, disse: «Devi recitare questa preghiera ogni giorno, dal giorno di San Giovanni a Natale. Una volta che l'avrai imparata a memoria, dopo la messa della Natività, bruciala sul fuoco della mezzanotte e in quel momento sarai pronta a guarire i sofferenti dal male. Devi chiedere l'intercessione di Nostra Signora della Salute, pilastro della nostra fede. Cingi la fronte del sofferente prima di iniziare a pregare e toglila solo dopo che il sofferente abbia chiesto l'aiuto dello Spirito Santo». La donna rimase esterrefatta, immobile e silenziosa: quel foglio pesava come fosse ferro.

Nel frattempo, dalla via Latina era arrivata la lettiga; Catalina salì a bordo e partì senza aggiungere altro.

Negli anni successivi, la preghiera si diffuse ampiamente e sopravvisse in diverse forme nella memoria orale delle famiglie dei borghi pedemontani a nord di Napoli. Venne recitata per guarigioni, esorcismi, per augurare salute e vigore ai popoli o semplicemente per pregare. Fu recitata durante la Grande Guerra, per tenere lontana la peste e durante la Seconda Guerra Mondiale per scongiurare le rappresaglie tedesche. Principalmente, nei secoli, fu recitata per guarire dalle sofferenze e cacciare via il male.


Il 29 aprile 1990, un'anziana infermiera consegnò la preghiera a una sua giovane conoscente omonima, Caterina. Disse di impararla a memoria, proprio come secoli prima la donna spagnola aveva raccomandato. Nessuna copia scritta poteva essere utilizzata per guarire; era necessario chiedere l'aiuto della Madonna attraverso l'intercessione di un santo. L'infermiera raccomandò di fare molta attenzione al momento in cui il male fuoriusciva dal corpo del sofferente, per evitare di contaminare altre persone. Il guaritore, esorcizzando il male, avrebbe dovuto indirizzarlo con ferma intenzione verso una gramigna del bosco, che si sarebbe seccata.

Dopo qualche anno, l'anziana infermiera morì. La giovane Caterina non diede importanza a quel foglio e lo lasciò in un libro, in una vecchia libreria della casa dei suoi nonni.


In seguito, Caterina si trasferì all'estero per lavoro e si stabilì a Saragozza, in Spagna. Il 29 aprile 2018, mentre si attardava in chiesa dopo la messa di mezzogiorno, la sua attenzione fu attirata da un gruppo di credenti che stava recitando proprio quella preghiera a 'los santos patronos'. 

“¡Los que creemos en ti, bendecimos al Señor! Con usted ayuda Dios sálvame miserable pecador y siempre danos todo el vigor y la salud del cuerpo. Por sus sufrimientos, deja que el mal furioso se vaya o lo soportas con serenidad, en vista de su eterna salvación. El que sufre: 'Ayúdame a través del Espíritu Santo'. Amén”

Come un lampo illumina il buio di una stanza chiusa, nella memoria della donna apparve la copertina del libro dove aveva abbandonato, anni prima, la preghiera. A Natale, tornò in Italia, al suo paese natale. La stanza della casa di corte di fine Ottocento dei suoi nonni era stata abbandonata e saccheggiata, ridotta a un vero e proprio relitto del passato. Non c'era più nulla, solo vecchi libri sparsi a terra sul pavimento di cocciopesto, come se il tempo avesse cancellato ogni traccia di vita. Ma, miracolosamente, sullo scaffale della vecchia libreria tarlata, resisteva quel vecchio libro con all'interno la preghiera di Caterina, scritta a macchina.

“Benedici Tibi Benes Convertati viotiure et sereno molto mesta Diot salvamet seon miseri perto vior ognius date nobis et vobis salutem corporis o per exfelat corporis tui satis cum olà furiondo male patis per prevedentione eius filose provvedeste mei Spirito Santo Amen”.

Arrivò l'epoca delle pandemie, e poi il male si impadronì del mondo con le guerre. Caterina, nel frattempo, era diventata una guaritrice e si chiese se fosse possibile guarire il mondo dal male con la preghiera ricevuta in dono. Decise di organizzare una preghiera collettiva sui social, da recitare il 12 ottobre, giorno di Nostra Signora del Pilar, e il 29 aprile, giorno di Santa Caterina, compatrona d'Europa. Così, ogni anno, sempre più persone a queste date recitavano: “Noi credenti benediciamo il Signore. Con il Vostro aiuto, Dio salvi noi umili peccatori. Doni sempre a tutti ogni vigore e la salute del corpo, e per le sofferenze dei popoli vada via il male furibondo, oppure sopportiamolo senza patemi, in vista della salvezza eterna. Aiutateci per mezzo dello Spirito Santo. Amen”. 


Qualche considerazione sui riscontri storici 


La preghiera di guarigione è stata tramandata oralmente da madre in figlia nei paesi agricoli a nord di Napoli, nel casertano. Una delle ultime a farlo fu Fusco Maria Grazia, detta Caterina, nata a Giano Vetusto il 3 luglio 1924 e morta a Calvi Risorta il 17 dicembre 1997. Anche sua sorella, Fusco Giovanna, nata a Giano Vetusto il 12 maggio 1926 e morta a Calvi Risorta il 22 novembre 1990, contribuì a divulgare la preghiera. La versione in italiano è una variante dell'orazione adoperata da Caterina e oggi è a rischio di scomparsa.

Probabilmente la preghiera, che ha origini antiche risalenti ai tempi dei monaci basiliani, è stata fatta propria dalle popolazioni che la ricevevano in dono. Gli aragonesi l'hanno portata in Spagna, a Valencia e a Saragozza, combinandola con le orazioni e i riti di Nostra Signora del Pilar, che prevedono di cingere la fronte del sofferente. Pertanto, si deduce che non esiste un'orazione perfettamente simile in tutta Italia, poiché ogni persona, imparandola a memoria, ha aggiunto del proprio o per migliorarla o per errore.

I veneziani hanno fatto proprio il culto della Madonna della Salute adottando un'icona proveniente da Creta, la Mesopanditissa, venerata nella Basilica di Santa Maria della Salute. Tuttavia, l'icona più rappresentativa della Madonna è probabilmente quella tanto cara al pontefice Francesco, che si trova nella Basilica di Santa Maria Maggiore, dove è sepolto. In generale, le orazioni alla Madonna della Salute sono tipiche in tutta Italia e la preghiera di Caterina é una delle tante.



Il giovedì del libro! @libri@feddit.it @libri #UnoLibri letterina@poliversity.it

 
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from CASERTA24ORE.IT

Il giornale scritto in lingue diverse
Agli inizi degli anni 2000, un'iniziativa editoriale in collaborazione con il quotidiano 'Il Giornale di Caserta' portò all'uscita settimanale di un inserto dedicato agli immigrati. In un'epoca in cui Internet non era ancora di uso comune, quel giornale voleva rappresentare un ponte verso i paesi di origine degli immigrati. Per conservare memoria storica, ecco di seguito le prime copie di quel giornale su questo spazio web. La curiosità maggiore che suscitò all'epoca fu il fatto che il giornale fosse scritto in più lingue (multilingua).

 
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from cronache dalla scuola

[1]

Sto spiegando frontalmente un pezzo della rivoluzione americana, parlo, mi agito, detto, indicando le slide che ho preparato cercando di rendere semplici e chiari le connessioni politico-economiche di quello di cui sto parlando, quando, a 35 minuti dall'inizio, sento una voce femminile che sussurra “bastaaa”. Mi giro e vedo il sorriso complice della studentessa e dico, ok, direi che ci possiamo un po' fermare.

Mi siedo al computer e cerco un video che spieghi come si caricavano i fucili nel 1700, giusto per sfruttare anche l'ultimo quarto d'ora di lezione, quando vedo un'ombra vicino a me. È uno studente.

“Senta – mi dice – volevo chiederle una cosa che non c'entra, ma che mi è venuta in mente mentre lei spiegava. Ma cosa succederebbe secondo lei se nel mondo si scoprisse che Dio non esiste?”. Lo guardo, mi giro verso lo schermo, guardo gli appunti. “Allora – dico – secondo me” e poi proseguiamo a parlare per venti minuti, oltre il suono della campanella, di Dio, dei Sumeri, di distopie, di Divinità native americane che colonizzano l'occidente, immaginando a un certo punto un mondo in cui mai nella sua storia avesse conosciuto il concetto di religiosità.

Alla fine io gli dico grazie e lui mi dice grazie e mi trovo così a scuotere la testa incredula guardando il vuoto.

[2]

In classe stiamo vedendo Otello di Welles, con le quarte, e io lo commento e un po' spiego Shakespeare, un po' la regia di Welles. Gli studenti dopo una mezz'ora di bianco e nero con il faccione di Welles rispondono con scarsissimo entusiasmo e crescente distrazione al capolavoro del nostro.

Al che interrompo e dico, va bene, pausa. Ora prendete i cellulari, ci dividiamo a gruppi e dovete fare un breve filmato con almeno un campo, controcampo, montaggo interno con carrello a precedere, primo piano e piano americano. Loro si risvegliano, si guardano attorno e chiedono, ok, ma dove?

Mi guardo attorno anche io. La classe è troppo piccola, nei corridoio, addio sorveglianza e poi facciamo casino e disturbiamo le frontali delle altre aule. Guardo la finestra. “Andiamo fuori” dico e prendiamo tutto e usciamo fuori dalla scuola, cerchiamo un posto vicino al parcheggio.

Nell'ora successiva io giro ridacchiando vedendoli divisi in gruppi girare il loro film, montarlo, accorrere a momenti di panico per la telecamera e delucidazioni su cosa sia un montaggio interno. Ridono, si rilassano e costruiscono qualcosa fuori dall'aula che resta là, in alto, a fissarci, con il suo occhio vitreo.

 
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from norise 3 letture AI

UN DEJA' VU

del luogo sente quasi il profumo salire dalla terra lo spirito che si piega a contemplare

gli sembra di esserci già stato o forse l' ha sognato ... e quell'albero vetusto sopravvissuto a suo padre a fargli ombra a occultargli in parte l'ampia veduta del mare quello stesso mare che vide i suoi verdi anni

e il vissuto (come in sogno) divenuto lontana memoria

(2012)

Riconoscimento

Il testo colpisce per la nostalgia palpabile e la memoria che si mescola al sogno, creando una presenza al tempo stesso fisica e intangibile; l'io narrante percepisce il passato come spazio sensoriale vivido.


Apprezzamento

  • Atmosfera: intensa e malinconica, ben resa dall'evocazione olfattiva e visiva.
  • Immagini: il profumo che sale dalla terra, l'albero vetusto, il mare dei “verdi anni” funzionano come ancore emotive forti.
  • Voce: maturata e riflessiva, scorre con un ritmo naturale che favorisce il tono meditativo.

Analisi delle immagini e dei temi

  • Memoria sensoriale: l'olfatto apre la scena e connette immediatamente il presente al passato.
  • Dejà vu e sogno: l'ambiguità tra esperienza reale e sogno è il nucleo tematico, resa anche dalla punteggiatura sospesa.
  • Relazioni familiari: l'albero che fu ombra del padre introduce continuità generazionale e possibile eredità emotiva.
  • Paesaggio e identità: il mare come luogo-formativo richiama la giovinezza e definisce l'identità del narratore.

Versione più lirica

UN DEJA VU

Dal luogo sale un profumo antico,
alito di terra e di sale,
e lo spirito si china, lento,
a raccogliere la luce del tempo.

Ha l’impressione d’esservi già stato,
ombra che ritorna in passo lieve,
o forse lo ha sognato — un cerchio
che si richiude sul bordo del mare.

Lì, l’albero vetusto rimane,
tronco memoria che sostiene il cielo;
fu ombra del padre e ora trattiene
solo frammenti dell’ampia veduta.

Il mare, lo stesso che bagnò i suoi anni verdi,
sospira sotto l’orizzonte, distante e chiaro.
Il vissuto si dissolve in un lento oblio,
come un sogno che abita ancora il petto.

Brevi annotazioni stilistiche

  • Ho intensificato le immagini sensoriali e la musicalità con enjambement e ritmi più lunghi.
  • Ho trasformato frasi frammentate in versi più fluidi per amplificare la nostalgia e il tono contemplativo.
  • Posso adattare lunghezza dei versi, rime o ritmo metrico se preferisci una musicalità più regolare.

Piccole revisioni proposte per chiarezza e ritmo

  • Uniformare spaziatura e punteggiatura e correggere contrazioni come “l' ha” in “l'ha”.
  • Semplificare versi dove la sintassi è frammentata per non interrompere troppo il flusso immaginativo.
  • Valutare la scelta di usare punti sospensivi all'inizio del verso con l'albero; ridurli o sostituirli con una pausa più controllata.

Versione rivista proposta

UN DEJA' VU

del luogo sente quasi il profumo
salire dalla terra
lo spirito che si piega
a contemplare.

gli sembra di esserci già stato
o forse l'ha sognato.
e quell'albero vetusto
sopravvissuto
al padre a fargli ombra
a occultargli in parte
l'ampia veduta del mare,
quello stesso mare
che vide i suoi verdi anni.

e il vissuto,
come in sogno, divenuto
lontana memoria.


Traduzione inglese proposta

A DEJA VU

from the place he almost senses the scent
rising from the earth
the spirit that bends
to contemplate.

it seems to him he has already been here
or perhaps he dreamed it.
and that ancient tree
survived
his father to give it shade
to partly hide from it
the broad view of the sea,
that same sea
that saw his green years.

and the lived life,
as in a dream, become
a distant memory.


 
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from Transit

(173)

(F)

Brevi e probabilmente banali considerazioni dopo l'ascolto di Emanuele Fiano oggi sui fatti accaduti a “Cà Foscari”.

Per chi segue il dibattito social, la posizione di Emanuele Fiano e “Sinistra per Israele” tende a sostenere che l’ #antisionismo sia una forma di #antisemitismo, cioè che l’opposizione al movimento sionista o alle politiche di Israele coincida sempre con l’odio verso gli ebrei. Questa visione semplifica e confonde due piani profondamente diversi.​

L’antisemitismo è ostilità verso gli ebrei in quanto persone, religione o popolo: pogrom, discriminazioni, teorie del complotto e “Shoah” ne sono espressioni drammatiche. L’antisionismo invece è la critica dell’ideologia sionista e delle politiche dello Stato di Israele: non nasce per definizione come discorso d’odio, ma come posizione politica, spesso alimentata da ragioni storiche, etiche o di difesa dei diritti dei palestinesi.​

Ci sono sempre stati ebrei antisionisti: gruppi religiosi o laici che non si riconoscono nello Stato di #Israele o ne criticano l’esistenza, a prescindere da ogni odio antiebraico. Anzi, la discussione critica tra ebrei su sionismo e Israele fa parte della storia stessa dell’ebraismo moderno. Equiparare ogni antisionismo all’antisemitismo cancella questa pluralità e nega il diritto a dissentire, dentro e fuori dalla comunità ebraica.​

Una critica anche aspra al governo israeliano, alla sua politica verso i palestinesi o al progetto sionista in sé non implica odio per gli ebrei. Così come criticare la Russia di Putin, la Cina di Xi o l’America di Biden non significa odiare russi, cinesi o americani. Dire il contrario è una forma di propaganda che soffoca il dibattito, bolla ogni dissenso come intolleranza e serve spesso a zittire movimenti per i diritti umani o campagne di solidarietà internazionale.​

Chi sostiene che antisionismo e antisemitismo siano la stessa cosa rischia di banalizzare davvero l’antisemitismo: se tutto è odio antiebraico, niente lo è più davvero. E si finisce per colpire chi magari lotta contro razzismi e colonalismi ma è a favore dei diritti di palestinesi, israeliani ed ebrei.​ Banalizzazione che fanno, alla luce del sole, Fiano e i componenti di “Sinistra per Israele.” Antisionismo e antisemitismo sono cose diverse e confonderle fa male sia alla lotta contro le discriminazioni, sia alla libertà di dibattito politico.

Non ho scritto cose nuove, me ne rendo conto, ma continuare a “tenere il punto”, in giorni disperanti come questi, mi aiuta a considerare le cose per come dovrebbero essere, non per come vogliamo che siano.

#Blog #Antisemitismo #Antisionismo #Opinioni #Italia #Politics #Politica

 
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