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from sottocutaneo

[cinque]

Comunque mi sposto, basta un colpo e il baricentro si squaderna, come avere dei lag nella realtà virtuale, l'immagine del reale non corrisponde più alla nostra posizione dello spazio, si crolla, si ricostruiscono cose che non sono avvenute, in questo caso abbiamo di fronte a noi Andreotti, Elon Musk e Batman, il nostro progetto, dice Musk è quello di una grande riqualificazione della zona costiera con l'eliminazione dei parassiti che hanno flagellato le produzioni olearie e la reintroduzione progressiva di danze tradizionali equestri, inizialmente attraverso l'inseminazione artificiale di modelli di IA autoctona, ma successivamente con un piano di collettivizzazione capitalista dei beni primari quali l'aria, il liquido seminale, l'acqua della noce di cocco, ti ucciderò – dice Batman – non puoi farla franca, aggiunge e non si capisce esattamente a chi stia parlando, ha lo sguardo nel vuoto, sembra respirare con il naso, a fatica, per via della maschera, io una volta sono morto – questo è Andreotti – sono morto, pensate, in diretta, durante una trasmissione tv della domenica pomeriggio, muove le mani davanti a se, come uno scoiattolo tassidermizzato, ma poi – prosegue – sono tornato in vita, con difficoltà, non dico di no, ma in vita, sorride; Musk accanto a lui fa una smorfia con il viso grosso come dire “e 'sti cazzi?” ma non dice niente, puoi sperare che quesi personaggi muoiano o rivivano o siano ricaricati, ma non cambia niente, bisogna, dice Musk, tagliare gli sprechi, scuoiare alla radice il problema della povertà, radicalizzarlo, bastardo – è di nuovo Batman – tu parli della povertà dei ricchi – dice, sempre con il suo tono nasale, è immobile, sembra incapace di muovere un muscolo, la tuta è a gradienti di grigio, Musk fa un'espressione che potremmo definire di sarcasmo, indica Batman, si gira verso Andreotti di cui non si vedono gli occhi, le lenti degli occhiali sono come appannate e non si riesce a vedere attraverso, io credo, inizia Andreotti, che qua sia necessario non un patto, ma una visione comune tra generazioni diverse perché c'è soprattutto un problema culturale e sociale che mina alle radici molte delle nostre tradizioni italiane, prendete una salsa di base tra le più versatili in cucina, sto parlando, aggiunge, della besciamella; la besciamella è facile e veloce da realizzare, è perfetta per dare una marcia in più a tanti piatti diversi, ora – dice – e si ferma, resta a guardare il vuoto, anche Musk si è bloccato, anche Batman: sta di nuovo laggando tutto; il mondo reale prende spazio, le mie dita sulla tastiera, il rumore della calderina, le cose che ho innestate nella testa e escono trasversalmente dall'alto verso il basso, io sono qua, in questo momento e non sono più, vedo le mie parti finire mentre ne faccio la catalogazione, la mappa catastale della geometria non ecuclidea del mio organismo, il segreto però – riprende Musk – è la frusta, l'uso della frusta nella cottura girando con delicatezza ma anche con determinazione in senso sempre orario evitando il formarsi di grumi, Andreotti annuisce, sembra in realtà non aver capito nulla del discorso di Musk – la noce moscata – dice all'improvviso Batman, Musk si volta verso di lui facendo un gesto con le mani incomprensibile – la noce moscata – ripete Batman – certo, annuisce Musk, e il sale, q.b. dice, e Andreotti si riattiva, fa un sorriso animale, sornione, ecco, chiosa, q.b. or not q.b.? e dalla sala il pubblico preregistrato, senza audio, parte in un applauso inintelleggibile, sembra non accorgersi della morte che cola dai punti di incontro, gli svapo, i condizionatori, il rumore dell'elettricità che permea tutta la struttura delle cose.

 
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from Recensioni giochi PC, PlayStation e Xbox

Dopo la spettacolare epopea di Black Myth: Wukong, un viaggio tra divinità e scimmie leggendarie, ritrovarsi tra le desolate lande di S.T.A.L.K.E.R. 2 è stato come risvegliarsi bruscamente da un sogno vivido e ritrovarsi catapultati in una realtà cruda e spietata, dove la minaccia non è un demone millenario, ma l'imprevedibile Zona e le sue aberrazioni. Un cambio di registro netto, insomma, dal fasto orientale alla desolazione post-apocalittica, ma entrambi capaci di tenerti col fiato sospeso, ognuno a modo suo.

Un stalker che cammina lungo un fiume contaminato, con il cielo grigio che riflette un’atmosfera di solitudine.

È difficile iniziare a parlare di S.T.A.L.K.E.R. 2: Heart of Chornobyl senza prima menzionare l’attesa. Quindici anni. Quindici anni che sembrano un’eternità per chi, come me, ha passato ore interminabili esplorando la Zona per la prima volta. Ma questa attesa non è stata uguale per tutti. Alcuni di noi, purtroppo, non vedranno mai questo sogno realizzato. La guerra – quella stessa realtà che il gioco riflette in modo inquietante – ha portato via non solo vite, ma anche storie, sogni, speranze. A loro, un ricordo eterno. Героям слава.

Ho perso tanto anch’io. La mia città natale, Luhansk, non è più casa mia da dieci anni. Ma in qualche modo, camminare di nuovo nella Zona – anche se virtualmente – è stato come tornare a casa. Una casa deformata, corrotta, ma comunque familiare.

Una visuale inquietante di un edificio in rovina al tramonto, con una figura misteriosa che si muove nell’ombra.

L’Immersione Totale: Un Mondo che Respira

S.T.A.L.K.E.R. 2 non è solo un videogioco, è un viaggio. Ogni angolo della mappa trasuda storia, non quella dei libri, ma quella vissuta, ruvida, dolorosa. Mi sono ritrovato a vagare senza meta, non per completare una missione, ma per ascoltare il vento tra le rovine, per osservare come la luce si rifletteva sull’acqua stagnante di un lago. Quel senso di familiarità – ogni capanno abbandonato, ogni albero contorto – mi ha riportato alla prima volta che ho giocato a S.T.A.L.K.E.R.: Shadow of Chernobyl.

Ma non è solo nostalgia. Questo mondo è vivo in modi che non mi aspettavo. Gli effetti sonori – un fruscio lontano, un urlo inaspettato, il clangore metallico di qualcosa che non vuoi incontrare – ti ricordano che qui sei solo un ospite. E un ospite non è mai veramente al sicuro.

Un campo aperto coperto di nebbia mattutina, con alberi contorti e detriti metallici sparsi sul terreno.

Ecco un consiglio: viaggia di giorno. Non perché la notte sia meno affascinante, ma perché alla luce del sole almeno hai una possibilità di vedere cosa ti sta venendo incontro prima che ti divori. La Zona non ti perdona, ma ti avverte, se sai ascoltare.

Una Pulizia Tecnica e il Piccolo Fastidio

Mi ero preparato al peggio: bug, glitch, crash improvvisi. E invece no. S.T.A.L.K.E.R. 2 è sorprendentemente pulito. Le texture, le animazioni, la fluidità del gameplay – tutto è stato rifinito con una cura che è raro trovare in un progetto di questa portata. Certo, ogni tanto qualcosa scricchiola, ma è il prezzo di un mondo così vasto e ambizioso.

L’unica cosa che mi ha fatto imbestialire? Non posso rinominare i salvataggi. Capisco che possa sembrare una sciocchezza, ma per chi è ossessionato dalla gestione maniacale dei file di salvataggio (ciao, sono io), è un fastidio. Forse una patch risolverà la questione. Lo spero, perché voglio poter scrivere “Questo è il punto in cui sono morto miseramente per la quarta volta” senza dover ricordare quale slot ho usato.

Un primo piano di un mutante in agguato in un tunnel oscuro, con dettagli raccapriccianti e una luce fioca sullo sfondo.

La Paura Tangibile: Un Terrore che Respira

Ho giocato a molti horror nella mia vita. Alcuni mi hanno fatto saltare sulla sedia, altri mi hanno lasciato indifferente. Ma nessuno è mai riuscito a replicare quella sensazione di costante tensione che i giochi della serie S.T.A.L.K.E.R. sanno evocare. Non si tratta solo di jump scare o mostri spaventosi. È l’atmosfera.

Una scena di combattimento frenetico, con scintille e fiamme che illuminano la notte, mentre un personaggio si ripara dietro un muro.

In S.T.A.L.K.E.R. 2, questa atmosfera è amplificata. I suoni ambientali non sono solo un sottofondo, sono un personaggio a sé. Un sibilo distante ti fa chiedere se è solo il vento o qualcosa di molto più pericoloso. Un crepitio al tuo fianco ti fa girare di scatto, con il cuore in gola. E poi c’è il silenzio. Il silenzio nella Zona è forse la cosa più spaventosa di tutte.

E quando incontri una minaccia? Non è mai banale. Ogni scontro è un test di resistenza fisica e mentale. Fuggire o combattere? Spesso la scelta giusta è la prima, ma il tuo orgoglio potrebbe dirti il contrario. E sarà la tua rovina.

Conclusione: Una Lettera d’Amore e Dolore

S.T.A.L.K.E.R. 2: Heart of Chornobyl non è solo un gioco, è un testamento. È la dimostrazione di ciò che si può creare anche in mezzo alle difficoltà più estreme. È un omaggio a chi ha atteso, a chi ha perso, a chi non c’è più.  Non è perfetto. Ma forse è proprio questa imperfezione a renderlo così speciale. Perché la Zona è così – brutale, bella, spietata, ma mai banale. E noi, come giocatori, siamo solo di passaggio. Ma che passaggio, ragazzi. E se dopo essere stati nella Zona vi viene voglia di cimentarvi in altri scontri a fuoco, date un'occhiata in giro, potreste anche decidere di acquistare giochi sparatutto per Xbox, per variare un po'. Se sei un veterano della serie, preparati a tornare a casa. Se sei nuovo, benvenuto nella Zona. Che tu possa sopravvivere abbastanza a lungo da scoprire i suoi segreti.

 
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from ᗩᐯᗩIᒪᗩᗷᒪᗴ

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Maverick a Strike è l'album di debutto in studio del musicista scozzese Finley Quaye. È stato pubblicato il 6 agosto 1997 tramite 550 Music ed Epic Records. L'album ha generato cinque singoli: “Sunday Shining”, “Even After All”, “It's Great When We're Together”, “Your Love Gets Sweeter” e “Ultra Stimulation”, tutti entrati nella UK Singles Chart. L'album ha raggiunto il terzo posto nella UK Albums Chart. L'album è stato certificato doppio disco di platino dalla British Phonographic Industry.


Ascolta: https://album.link/i/211423363


 
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from 📖Un capitolo al giorno📚

INVOCAZIONE A DIO NEL DOLORE 1 Al maestro del coro. Per strumenti a corda. Sull'ottava. Salmo. Di Davide.

2 Signore, non punirmi nella tua ira, non castigarmi nel tuo furore.

3 Pietà di me, Signore, sono sfinito; guariscimi, Signore: tremano le mie ossa.

4 Trema tutta l'anima mia. Ma tu, Signore, fino a quando?

5 Ritorna, Signore, libera la mia vita, salvami per la tua misericordia.

6 Nessuno tra i morti ti ricorda. Chi negli inferi canta le tue lodi?

7 Sono stremato dai miei lamenti, ogni notte inondo di pianto il mio giaciglio, bagno di lacrime il mio letto.

8 I miei occhi nel dolore si consumano, invecchiano fra tante mie afflizioni.

9 Via da me, voi tutti che fate il male: il Signore ascolta la voce del mio pianto.

10 Il Signore ascolta la mia supplica, il Signore accoglie la mia preghiera.

11 Si vergognino e tremino molto tutti i miei nemici, tornino indietro e si vergognino all'istante. _________________ Note

6,1-11 All’intensa supplica a Dio, l’orante accompagna la descrizione della sofferenza fisica e interiore che lo tormenta. Il dono della guarigione è equiparato alla vittoria sui nemici. Il salmo, che è una lamentazione individuale, è stato inserito dalla liturgia della Chiesa tra i sette “salmi penitenziali” (così sono chiamati i Sal 6; 32; 38; 51; 102; 130; 143).

6,1 Sull’ottava: si allude forse alla tonalità con cui veniva cantata la composizione.

6,4 L’espressione “fino a quando?”, presente in diversi salmi, va completata con i verbi di volta in volta sottintesi: fino a quando tarderai? fino a quando verrà meno il tuo aiuto? Con “anima” si intende qui la parte più intima dell’essere umano (come già le ossa del v. 3).

6,6 Si manifesta qui la concezione incerta che l’AT ha dell’oltretomba (chiamato inferi). Nell’aldilà cessa ogni attività e in particolare cessa quel rapporto di adorazione e di lode a Dio, che l’uomo vive nella vita terrena (vedi anche Gb 3,17-19; 14,7-22).

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Approfondimenti

Salmo 6 – Risanami e salvami nel tuo amore Supplica individuale (di un malato) Il salmo è uno dei sette penitenziali (cui appartengono anche i Sal 32; 38; 51; 102; 103; 143). Accanto alla sofferenza fisico-psicologica si intravvede, in modo più sfumato, la sofferenza come frutto del peccato. Sono presenti i tre protagonisti: Dio, l'io, ed essi (i nemici), come è usuale nelle suppliche individuali. Il simbolismo è di carattere antropomorfico, antropologico e militare. Il nome del Signore (JHWH) è menzionato otto volte negli undici versetti del salmo. Questo, nella sua semplicità strutturale, è abbastanza espressivo e vigoroso. Il ritmo nel TM è quello classico di 3 + 3 accenti.

Strutturalmente si divide in:

  • v. 2: introduzione;
  • vv. 3-8: supplica;
  • vv. 9-11: sicurezza dell'ascolto divino e imprecazione contro i nemici.

v. 2. «Signore, non punirmi..»: c'è una venatura di genere sapienziale. Il salmista è cosciente della sua colpevolezza; non reagisce come Giobbe, che sbandiera la sua innocenza davanti alla sua malattia, né come l'orante del Sal 17,2-3. Egli chiede tuttavia a Dio, come a un pedagogo, comprensione nella sua pur giusta punizione, cfr. Ger 10,24; Sap 12,2.

vv. 3-8. La supplica può dividersi in tre strofe:

  • vv. 3-4: sofferenza psico-fisica;
  • vv. 5-6: implorazione;
  • vv. 7-8: descrizione della sofferenza.

vv. 3-4. Nel v. 3 si accenna alla sofferenza fisica estrema («vengo meno... tremano le mie ossa») e si chiede al Signore la guarigione; nel v. 4 si accenna alla sofferenza psichica, riflesso di quella fisica e si chiede, con impazienza, «fino a quando» durerà.

v. 4. «L'anima mia...»: l'espressione traduce l'ebraico napšî. La voce ebraica nepeš indica anzitutto, la gola, il respiro e perciò la vita. La traduzione di nepeš con «anima» non è esatta, perché questa, nella concezione filosofico-teologica occidentale, indica solo a parte spirituale dell'uomo. La voce ebraica significa il contrario di cadavere, perciò «vita» (cfr. Gn 2,7) e quindi la stessa persona umana vivente nella sua totalità; essa equivale al pronome personale “io” rivestito di una certa solennità e quasi come uno sdoppiamento della persona che considera se stessa. «fino a quando...?»: è un'espressione interrogativa ellittica. Indica l'impazienza dell'uomo che geme sotto il peso della sofferenza, punizione divina, e non scorge ancora l'alba della guarigione. Ricorre spesso nei salmi e nella Bibbia.

v. 6. «Nessuno tra i morti... Chi negli inferi...»: il palese ricatto è un ragionamento “ad hominem” nei riguardi di Dio. Il salmista gli ricorda che è bene che egli lo guarisca, perché se muore non può più ricordarsi di lui né lodarlo. Inoltre Dio non ha piacere della morte del malvagio, ma «che desista dalla sua condotta e viva» (Ez 18,23). «gli inferi»: la verità sull'oltretomba (šɇ’ôl) ha raggiunto progressivamente la luce e la chiarezza finale (cfr. Sap 3; Dn 12; 2 Mac 7). Qui come in altri passi tale dottrina è ancora incerta e non definita; l'oltretomba è visto come il regno della non-vita, delle ombre evanescenti, degli abitanti della polvere (Is 26,19), che non possono “ricordarsi di Dio”, né “lodarlo”. «ti ricorda»: più che al semplice fatto mnemonico comune, ci si riferisce al concetto del “memoriale” il ricordo liturgico, celebrativo della salvezza del Signore (cfr. Is 26,8), stando all'espressione parallela «canta le tue lodi».

vv. 7-8. Con l'immagine iperbolica dell'inondazione (v. 7) e con quella dell'invecchiamento (v. 8) il salmista descrive la sua malattia. Il pianto a dirotto è espressione del dolore interiore; esso manifesta il groviglio dei suoi sentimenti, che sono un misto di apprensione, rimorso, coscienza della colpa ecc. e infine anche ostilità verso i suoi nemici, cfr. v. 9; Is 38,2-3; Lam 1,2; 2,11.18; 3,40-31.

vv. 9-10. Si ha un repentino cambiamento di situazione e di tono. Dopo la scoperta della presenza ostile dei suoi nemici presso di lui e l'istantanea messa in fuga (v. 9a) segue la certezza dell'esaudimento del Signore (vv. 9b-10), cui si aggiunge, per la legge del taglione, un'imprecazione (giustizia distributiva) contro i nemici, che devono battere in ritirata davanti all'intervento salvifico di Dio.

v. 9a. «Via da me...»: è un imperativo plurale sûrû (= allontanatevi), che pronunciato improvvisamente ha la forza di ravvivare l'andamento del salmo e porta all'inattesa scoperta della presenza del nemici del salmista, di cui non si fa cenno prima, «tutti che fate il male»: i malfattori possono essere identificati in quelli che, approfittando dello stato di infermità fisico-morale, accusano l'orante di poca fede in Dio, mettendone in dubbio la presenza e il soccorso nei suoi riguardi; oppure si possono identificare negli amici, spettatori freddi e inerti del male dell'orante, pronti però ad accusarlo di peccato, come gli amici di Giobbe. Possono anche essere lo stesso dolore, la tristezza e la morte personificati.

v. 9b. «il Signore ascolta...»: il salmista è sicuro dell'esaudimento della sua supplica. Questa certezza è ripetuta tre volte come un ritornello nei vv. 9b.10a.10b, ove la voce “Signore” è ripetuta tre volte, il verbo “ascoltare” due volte e il sinonimo “accogliere” una volta. Per molti esegeti questa certezza è supposta provenire dalla prassi dell’oracolo liturgico pronunciato da un profeta o da un sacerdote nel tempio (cfr. Sal 28,6; 34,7; 66,19). In questo salmo però non vi è traccia.

v. 11. «Arrossiscano...»: il versetto segna la continuazione tematica della cacciata dei malfattori del v. 9a. Con la legge del contrappasso, si realizza la giustizia divina sugli «oppressori» (v. 8), sui «malfattori» (v. 9) e sui «nemici» (v. 11). Tutti costoro devono indietreggiare «all'istante», arrossendo e confusi per la presenza dell'azione liberante di Dio, come alla sua apparizione (cfr. Sal 68,2-3; Nm 10,35; Is 33,3). Ciò è una costante nel genere letterario della supplica (cfr. Sal 52,3-7).

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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from chiaramente

Chaotic discharges And fragmented visions Flash past my eyes In the mind's night. Drawing another breath; This will pass, too. (With an Ibuprofen)

 
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from La vita in famiglia è bellissima

  • terzogenita, ti sei fatta la doccia?
  • non sapevo che dovessi farla
  • te l'ho detto prima!
  • non me lo hai detto
  • sono venuto da te, ti ho abbracciato e ti ho detto “ricordati che devi fare la doccia”
  • sì, ma io pensavo in generale
  • ...
  • in generale devo farmi la doccia, lo so, non pensavo intendessi oggi!
  • ...
 
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from sottocutaneo

[quattro]

In centro evito la polizia, ci sono camioncine posteggiate in mezzo alla strada – attorno una città vuota – una pioggia svuotata fatta di lacrime scavate, agglomerati di gocce spente che cadono sull'asfalto grigio sul cemento grigio sulle colonne del viadotto grigio, anche il greto del fiume è grigio oggi, anche l'acqua che scorre è grigia – solo io ho un frammento di luce che mi esce dal corpo, un raggio come quello dell'annunciazione che illumina piccole porzioni di materia davanti a me, e questa luce interna è la mia sventatezza e la mia vergogna, comunque, l'importante è tenere dentro di sé le cose, schiacciarle sul fondo per poi vederle emergere per conto loro senza la tua partecipazione attiva, chiedo poi al supermercato – nel momento della cassa – ma perché c'è la polizia, perché le strade bloccate – una voce dice che è una manifestazione degli operatori ecologici, dice, hanno anche, dice, sigillato i bidoni della spazzatura no, no, dice una seconda voce, è per le foibe, guarda il carrello davanti a sé, è per le foibe – ripete – questo supermercato oggi è pieno di vecchi occidentali, la domenica si radunano al supermercato i vecchi occidentali mentre tutto attorno a noi crolla – l'occidente, il suo potere, l'ombra lunga degli statunitesi e del loro odore intenso nel momento dell'abbraccio, anche quello crolla con un conato a rovescio, verso l'interno a proteggere il loro fragile sistema di privilegi – cosa non è fragile rispetto al tempo e ai mercati azionari – tutto prima o poi muta, inizialmente in maniera impercettibile e poi ti rendi conto che quella cosa impercettibile era anche irrimediabile, come una lacerazione, per quanto sia infinitesimale la natura dello strappo, alla fine quella sensazione che prova il vuoto è il precipitare dello spazio in due elementi separati e divergenti, così noi dentro le fauci, le luci e i faretti disperati dell'Esselunga o del Carefour o della Coop o della Conad, dell'Ekom, dell'IN's, siamo qua a sentire il frastuono lontano dell'occidente che frana, a invecchiare mentre nuove tribu e nuove idee emergono fameliche e divoreranno tutto sulla lunga distanza, divoreranno i nostri dei, le nostre pietanze, divoreranno gli appunti che abbiamo preso sull'illuminismo, divoreranno i diritti umani e gli orientamenti sessuali, e mentre sentiamo questo collasso scendiamo in piazza per le foibe, passiamo la nostra tessera sconto, raccogliamo i nostri punti risparmio, piombiamo i tombini, sigilliamo i bidoni della spazzatura per tenere in sicurezza i residui del capitalismo, le carte, le plastiche, lo sporco di cibo attaccato al tetrapack, alle latte di conserva, alle aperture facilitate, i sacchetti fiacchi di estrusi del mais, fingiamo ancora di essere come me – bestie sottocutanee – acari sociali che scavano il loro tunnel nella sottotraccia della storia e ci vivono dentro masticando e vomitando dal retro, aspettando la fine e pensando che sarà l'ultima cosa a cui dovremo pensare e intanto studio il reticolo del mondo, le strade che posso percorrere per tornare a casa evitando i posti di blocco delle sacre festività.

 
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from sottocutaneo

[tre]

Caro diario. Trascrivere tutto. Questa mattina mi sono seduto sul divano, la casa piena di sconosciuti, non ne voglio parlare. Ho preso due libri che ho in casa, libri che ogni tanto sfoglio, sono gli unici due libri di arte che mi sia mai comprato. No, non è vero. Ma non ne ho comunque molti. Questi due in un certo senso sono collegati, sfogliandoli resto sempre affascinato. Uno è di Helnwein, l'altro è di Ray Caesar. Sono entrambi due cataloghi, antologici, tecniche di computer graphic per il secondo, fotografia, teatro e arti figurative per il primo. Mutazioni del corpo, una sessualità lesionata, a volte in maniera violenta, ascessi pop, iperrealismo fotografico e surrealismo al digitale. Ironia, ogni tanto con Ray Caesar sbotto a ridere da solo. Li guardo e giro le pagine. Il fastidio di quelle pagine così piccole. La primitiva voglia di zoomare con pagine che mostrano dettagli e particolari. Lo sforzo della carta di avere dimensioni diverse da quelle che ha. Ad un certo punto prendo il cellulare e imposto un filtro particolare che smorza tutto in bianco e nero, tagliando le tonalità di grigio e rendendole con del dithering, ma ogni tanto, non so perché, alcuni elementi diventano rossi, si creano delle foto in bianco, nero e rosso. Una foto che è naturalmente artefatta, postprodotta all'origine. Fotografo un po' di pagine, così. Le condivido, chiudo tutto. Ci vedo così poco. Sono costretto a prendere gli occhiali. Della grafica non sai se l'hai davvero vista, le frasi lasciano i segni elemen,tari dei loro concetti, ma la grafica ti passa sotto gli occhi. Ho sempre paura, girando pagina, di essermi perso qualcosa di essenziale, una sensazione che avrei dovuto provare e non l'ho fatto. Metto via tutto. Più tardi sono solo in cucina. Ho registrato dei suoni di me che cammino sulla neve, sono quattro registrazioni differenti. Una vicino a un corso d'acqua, l'altra a passi lenti, la terza con dei suoni lontani di automobili, l'ultima a passi più veloci. Il suono della neve schiacciata dai miei passi. Copio i quattro suoni sul secondo cellulare, quello che uso per parlare. Poi li copio sul portatile e alla fine sull'ebook reader. Spengo le luci della sala. Vado in un angolo della sala e poso un cellulare, nascondendolo. Faccio partire la prima registrazione, la metto in loop. Vado dalla parte opposta della sala e faccio partire la seconda, con il secondo cellulare. In loop. Poi la terza ad un ipotetico terzo angolo e quella finale con l'ebook reader. Tutte e quattro, creano un tappeto sonoro. Mi metto nel mezzo della sala, nella penombra della sera e sento tutto attorno a me passi nella neve. Mi giro, cammino, cerco di capire cosa possa cambiare nella percezione del suono rispetto ad un normale suono sterofonico. Chiamo mia figlia. Lei scende, satellando, la metto in mezzo alla stanza, le dico di chiudere gli occhi e di cercare di capire quante fonti sonore ci sono e dove sono. Lei sta un po' ferma, gira, inizia a indicare – nel buio – zone della sala. Dopo un po' individua tutte le quattro fonti, mi guarda, credo. La cosa le è piaciuta, quel tanto che basta. Dice che lo dobbiamo fare con qualcun'altro, va a chiamare suo fratello. Anche lui scende. Ascolta le regole del gioco. Si mette nel mezzo della stanza. Gira, indica anche lui zone della sala. Nel buio, è comunque una cosa diversa. La realtà virtuale fatta con le povere cose. A rovescio, passeremo a fare la tecnologia con l'elettronica amputata. Più il sistema ci inonda della sua faticosa perfezione, più prenderemo a romperla. Più l'informatica diventa plasticamente armonica, più gli attaccheremo delle ridicole protesi per ridurla, per renderla umana. Intanto mio figlio mi guarda, ridacchia, se na va via saltellando al piano di sopra. Helnwein infilava le forchette negli occhi alla figlia, non mi lamenterei.

 
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from sottocutaneo

[due]

Cambiamo registro, mentre ero sottopelle. La cosa di cui non parlo molto è che leggo, leggo moltissimo, rovino le cose che ho. Non do cura alle cosa che ho attorno perché si rovinano, appena le metto in casa. Copertine prestigiose, edizioni brossurate, oggetti hi-tecno. Le copertine si sfaldano il gatto ci vomita dentro gli zaini prendono colpi i vetri si spaccano la plastica si spappola l'umidità attacca le pagine e le strappa i vinili si graffiano le auto fanno le fiancate, la narrativa mi salva, ma non troverete libri carini sul comodino. Li uso per accendere il caminetto per dire. Non mi interessa nemmeno lo stile. Sto lontano. Se uno guarda le mie collezioni di musica trova gli autori che seguo e in mezzo ci sono dei buchi, mancano i capolavori. Cerco di ascoltare solo le mezze produzioni, i tentativi non riusciti. Gli album brutti sono in perpetua rotazione. I capolavori dopo qualche minuto li tolgo e li do via. Mi spaventano. Non ha senso fare un capolavoro, ascoltarlo ti fai solo del male. Ho preso coraggio qualche settimana fa e sto ascoltando Music for 18 musicians di Steve Reich. Lo tolgo. Tutta quella perfezione è spaventosa. Forse per questo ho sempre ascoltato Prince, ininterrottamente da quarant'anni. Non ha mai fatto un capolavoro, forse ne aveva paura anche lui. Infilava sempre in mezzo un frammento sbagliato, una rarità accanto a un elemento pacchiano, una produzione elegante rovinata da un arrangiamento dozzinale. Ma vedi come tutto diventa ridicolo. Di cosa stiamo parlando. Per fortuna insegno e quindi devo leggere molto, per mestiere e poi scrivo, come adesso e quindi ancora leggere. Ho fatto anche l'editore, ho letto famelicamente materiali che erano ancora magmatici, segnavo tutto e li ridavo agli scrittori. Ora ho questo stato di grazia che insegno a ragazzi che della letteratura non gliene frega niente. Periti informatici. Scienze applicate. Passo a masturbarmi le cervella con Dante combo Contini e poi in classe cerco di passare la bellezza pornografica della letteratura e quelli – giustamente – mi mandano affanculo. Devo conquistare ogni singolo lemma, masticarlo e rimasticarlo come una vacca, da uno stomaco a quello successivo, ruminarlo fino a renderlo qualcosa di appetibile no, digeribile. Niente pornografia. Vedete – dico – qua Dante dice che racconterà questo sogno agli altri poeti con una poesia e lo fa davvero. E quelli gli rispondono, ma non nella fiction. Nel mondo reale. Dante scrive che un poeta amico suo gli ha risposto e quell'amico è Cavalcanti. E Dante scrive anche il titolo di questa poesia che Cavalcanti avrebbe scritto rispondendo al suo sonetto. E questa poesia di Cavalcanti esiste davvero. L'ha scritta davvero e nella sua poesia Cavalcanti parla del sogno di Dante, quello che abbiamo appena letto, dico. Ora, dico, io non voglio sempre attualizzare tutto ma, dico e uno studente mi precede e mi dice alla faccia di Whatsapp, dice. Ecco, dico. Continuamente leggo ma non faccio l'elogio del libro, quello della scrittura. Lo stile non mi interessa più di tanto. Quello che mi ha fermato nella programmazione è che più di tanto non riesco ad astrarre. Ci sono limiti oltre ai quali mi fermo. La matematica e la poesia, da questo punto di vista, non cambia molto. Prendi Miller. Henry. Cosa serve essere così perfetti, periodi così oscenamente perfetti. Anche quello l'ho chiuso. La letteratura è un anestetico non una cura, ma a volte bisogna cercare di non farsi male. Non troppo. Prendersi cura di sé, fare una lista dei medicinali. Alla fine, prendersi cura di sé è anche attaccarsi a un libro. Tengo delle liste di letture da fare finché non finisco quello che sto leggendo, a quel punto prendo a leggere qualcosa che non sia in lista. Ci deve essere un elemento random. Come la temperatura nelle intelligenze artificiali. Ci deve essere uno scarto come trovare o non trovare la preda. Poi qualcosa invece lo leggo. Ma i libri sono una frazione della mia dieta culturale. Briciole. Leggo articoli, estratti, post, leggo messaggi chat lunghissime, ascolto vocali musiche notizie dei radiogiornali suoni che il mondo fa, la mia calderina ora il frigorifero, l'elettricità statica, ascolto relazioni pubbliche, quattro lì seduti davanti al pubblico che ammiccano e io sono dentro di loro e penso cosa pensano quando sentono gli altri parlare, ci sono anche io, penso ogni tanto davanti al pubblico che mi guarda – ma perché siete qua – cosa siete venuti a sentire – guardo immagini- videoriprese montaggi, piani sequenza scorsoi tocchi del demonio, ambienti interattivi & vg, tutta questa intelligenza che cerco di scansare, tutta questa ininterrotta produzione di intelligenza e di creatività e di genialità a cui cerco di sopravvivere perché è come un blob alieno impazzito che entra da ogni foro che ho nel corpo, come la creatina mi si infila nei pori della pelle nelle orecchie negli occhi soffoca gli spiritelli, tutta l'intelligenza e la creatività che l'umanità disperatamente, disperatamente ma con il lusso forbito della cultura, continua a fare uscire infilandosi le due leggendarie dita in gola per essere sicura che il calore a cui la conservano dentro, sbocchi fuori e ci avvolga tutti come una copertina affettuosa e rassicurante.

 
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from sottocutaneo

[uno]

Esco con grinta, vivo come uno spillo sottopelle, era così che mi piaceva usarli al di sotto di una certa età, cosa ero? un bambino forse ragazzino, mi infilavo gli spilli sotto la pelle, sterili cunei bianchi e con gli occhi del mio stesso corpo mi osservavo compiere le mutazioni – sbuco ora sulla soglia dei cinquantacinque come la punta di uno spillo che è stato sottopelle per tutto questo tempo e con la parte finale guarda sgomenta il mondo, per quel che vede, grosso calo di diottrie nel frattempo, e scopre che fuori pelle c'era un friabile strato atmosferico e sopra quello l'universo e tanto che stava sotto nessuno ha capito bene dove finisce, solo l'auto lontana di un imprenditore va nello spazio come la parodia del progresso, le sacche seminali rese capitale e monoformate in una piccola atomica cavallo su cui – l'immagine cinematografica è chiara – un cowboy texano dà colpi con il cappello alla carcassa e intanto l'altro, l'intellettuale, gira e dà anche lui il suo ciak, la barbetta, andiamo avanti, cinquantacinque passate a non vedere – guardando la mia tastiera posso capire quali lettere uso più delle altre, alcune sono più consumate, so che dito uso per fare gli spazi, il destro, il pollice destro, so che mia figlia mi ama di quell'amore effervescente che prima o poi si dissiperà in altro e mi ama per motivi animali, so che uno dei miei figli mi guarda e prova la mia consistenza – si stupisce che io esista – e l'altro figlio sta per uscire del tutto dal liquido amniotico che è stata la nostra famiglia, butta fuori le gambe, gli escono dalla bocca vagiti universitari e le prime lallazioni reddituali – erano già tutti adulti dall'inizio – bastava lasciargli il tempo, stasera sono andato con mia figlia in alto sopra al Biscione, lei mi ha chiesto dove andiamo e io le ho detto a vedere le nuvole sopra la città – ci siamo trovati al buio a guardare la città sotto di noi, un freddo – l'inconsistenza della materia tra noi e il cielo e lei – mia figlia – aveva uno sguardo elettrico – le ho chiesto se voleva tornare a casa – cosa? – mi ha detto lei, dico, se vuoi tornare a casa – nel vento gelido – lei ha detto no con la testa – sorrideva – si toglieva i capelli dalla faccia – si è poi mossa verso un sentiero che andava nel niente – basta uscire dall'inquinamento luminoso e fare qualche passo in un sentiero senza illuminaizione per sentire l'odore animale della nostra preistoria – hai visto? mi ha detto indicando qualcosa lontano, una macchia – no, ho risposto – Craxi ho pensato, ho vissuto lo stesso tempo di Craxi di Cuore di Andreotti, ho vissuto con Forlani, mai visto uno, con Occhetto con Natta, Capanna, mai incontrati, Linus leggevo mi lasciavo andare – fingevo che avrei avuto tutto il tempo per vedere prima o poi tutte le cose come stavano – che non fosse importante farlo – che avrei avuto tutto il tempo – ora so che non riuscirei a maneggiare la verità – ora sono sicuro che – anche se cominciassi oggi – non riuscirei a maneggiare la verità – avrò preso le mie pastiglie? aumentare la melanina – cercare di non avere brividi – scogiurare le cadute (ero in Francia martedì – sono caduto – mi sono salvato – ho detto – nel fango le mani, i polsi – ho usato la neve per pulirle mentre colava tutta la terra sulle maniche della camicia – finché la pelle non è diventata rossa e non mi sentivo più niente dal dolore) non capirò mai più il mondo ma un cruciverba semplificato – la o, la i la u la t la r la e la a la s la d la c la n la m forse queste le più consumate, la q la z e la y quasi intonse, la w e la x anche, che spreco, la f anche lei poca roba, potrei comunicare con una forma ridotta dei lettere come i font a cui strappano via le lettere non utilizzare per evitare furti alla fonderia – furti, furti, alla fonderia, oggi ero in classe, ultima ora dell'ultimo giorno della settimana e rileggo ancora le prime righe della Vita Nova, il libro della memoria nel punto in cui c'è l'incipit della vita nova, dove prima non c'è niente, il primo ricordo è quel giorno in cui appare lei, la bambina di nove anni che ci ha rapito il cuore, prima di quello è materia informe della memoria, un magma indistinto che siamo noi e di cui non c'è rimasto nulla, pensate – dico – cercate la prima cosa che vi ricordate della vostra vita, la cosa più lontana da oggi, l'inizio di quella trascrizione della vostra memoria dati di quello che siete, il primo momento in cui avete cominciato a memorizzare e scrivetelo, sul quaderno, ora, iniziate la vostra vita nova, dico e poi giro – ma tipo – chiede uno – cosa intende per prima cosa – allora io gli racconto la mia —> ci sono io in un box per bambini, sono nella stanza dove c'è il letto di mia nonna, avrò uno o due anni sono in questo box e mi sono abbassato i pantaloni, ho le mani piene di questa sostanza che sono stato io, le dita piene di merda – dico – e me le porto alla bocca e continuo e assaggio la mia merda finché non vedo una luce, una porta che si apre e sono i miei genitori che mi vedono e dicono cose che non capisco tranne “ecce merda filie mee” – questo il mio inizio e vedo la fine con i pannoloni per adulti, le piccole perdite urinarie, finirò così con gli esami per la prostata in mano senza avere capito il mondo, senza avere assassinato nella culla l'imprenditore Berlusconi, Sbirulino, il gruppo di incartatori del cofanetto Sperlari, finirò così come una cosa che esce dal budello dopo una lunga inesorabile digestione.

 
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from ᗩᐯᗩIᒪᗩᗷᒪᗴ

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Copper Blue è l'album di debutto in studio della band alternative rock americana Sugar. È stato votato Album dell'anno 1992 dall'NME. Tutte le canzoni sono state scritte dal chitarrista/cantante Bob Mould, che ha anche co-prodotto con Lou Giordano. Musicalmente, la band continua la spessa chitarra punk della precedente band di Mould, gli Hüsker Dü, rallentando il tempo e sottolineando ancora di più la melodia.


Ascolta: https://album.link/i/1784732212


 
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from chiaramente

Allowing my fantasies To float and flutter freely They play like a child On a warm summer day Ready to rend my heart Should I fall into claiming them

 
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from Cooperazione Internazionale di Polizia

Kosovo. Le elezioni ed il ruolo della missione europea, a guida di un generale dei carabinieri italiani

In Kosovo sono aperti i seggi per le elezioni parlamentari. Favorito il partito 'Vetevendosje' (Autodeterminazione, VV, sinistra nazionalista) del premier uscente Albin Kurti. Il voto si tiene in una situazione di incertezza sul futuro del Paese, e insieme di persistente stallo nel dialogo sulla normalizzazione dei rapporti con la Serbia.

I poco più di 2 milioni di elettori (dei quali 105 mila all'estero) scelgono fra 1.280 candidati in rappresentanza di 28 fra partiti, coalizioni e liste civiche. Per la prima volta votano 100 mila giovani. A monitorare la consultazione, un centinaio di osservatori della Ue.

L'Unione Europea ha un importante ruolo in Kosovo. Infatti, Eulex, la missione dello stato di diritto dell'Unione Europea in Kosovo, fu istituita già nel 2008. Il suo obiettivo principale è supportare gli istituti di legge selezionati in Kosovo. Eulex lavora per rafforzare lo stato di diritto e la lotta contro la corruzione. La missione si concentra sul miglioramento del sistema giudiziario e sulla capacità di costruzione in Kosovo.

Il suo mandato è stato esteso fino al 14 giugno 2025. Ha una forza autorizzata fino a 396 membri, con sede nella capitale, Pristina. La base giuridica risiede nella Azione comune dell'UE del febbraio 2008 e successive decisioni del Consiglio del giugno 2010, 2012, 2014, 2016, 2018, 2020, 2021, 2023. EULEX è sostenuto da tutti i 27 Stati membri dell'Unione Europea e da cinque Stati contribuenti (Canada, Norvegia, Svizzera, Turchia e Stati Uniti).

Le funzioni operative si basano sul “pilastro” di supporto delle operazioni della missione che fornisce supporto allo sviluppo operativo del controllo della folla alla polizia del Kosovo. Più specificamente, l'unità di polizia formata da Eulex (FPU), composta da 105 agenti di polizia polacca, è il secondo “risponditore” per la sicurezza del Kosovo, come parte di un meccanismo di soccorritore di sicurezza a tre livelli. La polizia del Kosovo è il primo soccorritore di sicurezza, Eulex è il secondo e KFOR (la forza militare della NATO da anni presente in Kosovo) è il terzo soccorritore.

Nel suo ruolo di secondo risponditore di sicurezza, La FPU Eulex può impegnarsi solo su richiesta esplicita del primo soccorritore di sicurezza al fine di contribuire al mantenimento e alla promozione dell'ordine pubblico e della sicurezza in caso di disturbo civile.

La FPU partecipa regolarmente ad esercitazioni, insieme alla polizia del Kosovo e Kfor.

Eulex sostiene anche la polizia del Kosovo nel campo della cooperazione di polizia internazionale facilitando lo scambio di informazioni tra la polizia del Kosovo e Interpol, Europol o il Ministero degli Interni serbo. La missione facilita anche lo scambio di informazioni tra l'Ufficio nazionale di Interpol e l'unità di coordinamento delle forze dell'ordine internazionale della polizia del Kosovo sotto l'egida dell'ufficio di collegamento Interpol.

Inoltre, la missione continua a gestire il proprio programma di protezione dei testimoni. Gli esperti di Eulex continuano a collaborare con le loro controparti locali presso l'Istituto di medicina forense per determinare il destino delle persone scomparse, offrendo competenze e consigli sull'identificazione di potenziali tombe clandestine e sull'esumazione e l'identificazione delle vittime relative al conflitto del Kosovo.

La missione Eulex è diretta da un Generale di Divisione dell'Arma dei crabinieri. Si tratta di Giovanni Pietro Barbano, che ha più di 40 anni di esperienza in Italia ed all'estero. Prima di entrare a far parte di Eulex, Barbano ha ricoperto varie posizioni di comando. Dal 2016 al 2023, Barbano è stato direttore del Center of Excellence for Stability Police Units (COESPU), che ha contribuito a stabilire a Vicenza nel 2004. In questa veste, Nel 2016 è stato anche presidente dell'European Association of Peace Operations Training Centers (EAPTC) e presidente del Consiglio di polizia all'interno del Comitato Esecutivo dell'International Association of Peace Keeping Training Centers dal 2018 al 2022.

#kosovo #Eulex #UE #EU #barbano

 
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from 📖Un capitolo al giorno📚

PREGHIERA DEL MATTINO 1 Al maestro del coro. Per flauti. Salmo. Di Davide.

2 Porgi l'orecchio, Signore, alle mie parole: intendi il mio lamento.

3 Sii attento alla voce del mio grido, o mio re e mio Dio, perché a te, Signore, rivolgo la mia preghiera.

4 Al mattino ascolta la mia voce; al mattino ti espongo la mia richiesta e resto in attesa.

5 Tu non sei un Dio che gode del male, non è tuo ospite il malvagio;

6 gli stolti non resistono al tuo sguardo. Tu hai in odio tutti i malfattori,

7 tu distruggi chi dice menzogne. Sanguinari e ingannatori, il Signore li detesta.

8 Io, invece, per il tuo grande amore, entro nella tua casa; mi prostro verso il tuo tempio santo nel tuo timore.

9 Guidami, Signore, nella tua giustizia a causa dei miei nemici; spiana davanti a me la tua strada.

10 Non c'è sincerità sulla loro bocca, è pieno di perfidia il loro cuore; la loro gola è un sepolcro aperto, la loro lingua seduce.

11 Condannali, o Dio, soccombano alle loro trame, per i tanti loro delitti disperdili, perché a te si sono ribellati.

12 Gioiscano quanti in te si rifugiano, esultino senza fine. Proteggili, perché in te si allietino quanti amano il tuo nome,

13 poiché tu benedici il giusto, Signore, come scudo lo circondi di benevolenza.

_________________ Note

5,1 Nella tradizione biblica, l’ora del sacrificio del mattino è la più propizia alla preghiera e al suo esaurimento da parte del Signore.

5,10 bocca, cuore, gola, lingua: designano la totalità dell’uomo.

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Approfondimenti

Salmo 5 – Al mattino t'invoco e attendo Supplica individuale La struttura del salmo è quella del genere delle “Suppliche”, con la presenza triangolare di “Dio – io (= l'orante) – essi (= i nemici)”. Dio è invocato con due titoli «mio re e mio Dio» (v. 3). L'orante non è ben caratterizzato come negli altri salmi dello stesso genere: non si riportano meriti personali, né si ricordano le sofferenze, né la protesta della propria innocenza. Il tutto è indicato dall'aggettivo “giusto/innocente” (v. 13). I nemici sono caratterizzati da una serie di aggettivi che li rendono piuttosto generici (vv. 5-7.10-11). Il simbolismo di base riguarda l'area sacra del tempio, che è citato espressamente con i vocaboli tecnici di «casa» (bayit) e «tempio della tua santità» (hêkal-qodšɇkā) nel v. 8. È presente inoltre quello antropomorfico (orecchio, bocca, cuore, gola, lingua) nei vv. 2.10, giudiziale, militare e temporale. Il ritmo del TM è quello del lamento (qînâ) di 3 + 2 accenti. Divisione:

  • vv. 2-4: invocazione introduttiva;
  • vv. 5-7: descrizione e lode della giustizia del giudice divino;
  • vv. 8-9: petizione dell'orante;
  • vv. 10-11: descrizione dei nemici, loro rovina;
  • vv. 12-13: gioia e benedizione per il giusto.

v. 2. «il mio lamento»: il termine corrispondente ebraico hagîg ha due significati; si può tradurre «sussurro» o «lamento, gemito»: con il primo si indica quel bisbiglio, mormorio sommesso, caratteristico della liturgia sinagogale. Girolamo traduce murmur meum; con il secondo si suppone un grido lacerante simile a quello del leone (Is 31,4), tipico della lamentazione orientale (cfr. Is 16,7; Ger 48,5).

v. 3. «o mio re e mio Dio»: l'espressione «o mio re» (malkî) è originale; non è frequente nei salmi (44,5; 47,7; 68,25; 74,12; 84,4). Questo appellativo rende più familiare all'orante la preghiera. Dio è supposto “re” perché “regna” nei Sal 93,1; 96,10; 97,1; 99,1.

v. 4. «Al mattino... sto in attesa»: secondo la tradizione biblica e giudaica l'ora del sacrificio del mattino è quella più propizia alla preghiera, all'esaudimento (cfr. 2Re 3,20) e al responso di Dio comunicato tramite il sacerdote (cfr. 1Sam 1,9.17; Nm 23,1-6).

vv.5-7. Il salmista con una serie di attributi descrive, elogiandola, la fisionomia di Dio: non c'è nessun compromesso tra Dio e il malvagio. Sono incompatibili! Egli detesta «chi fa il male»! (cfr. Sap 14,9).

vv. 8-9. Per contrasto con i malvagi, significato stilisticamente dall'espressione «ma io» all'inizio del v. 8, l'orante, sebbene si ritenga giusto (v. 13), è ammesso alla presenza di Dio, «per la sua grande misericordia». Tutta la strofa (vv. 8-9) ha una forte impronta cultuale. Nel v. 8 si sottolinea la gratuità della fede e della salvezza di Dio, e nel v. 9 sotto forma di petizione, si sottolinea che solo «per la giustizia di Dio» l'orante può camminare sicuro in mezzo ai suoi nemici. In questa strofa ricorrono per la prima volta nei Salmi due degli attributi dell'alleanza ḥesed (= misericordia, bontà, grazia, fedeltà...) e ṣɇdāqâ (giustizia).

v. 9. «spianami...il tuo cammino»: l'uomo ha bisogno di lasciarsi guidare da Dio: Gn 24,27; Es 15,13; Sal 77,21.

Nel v. 10 si ha la descrizione dei nemici con quattro figure allegoriche di carattere somatico, simbolo della totalità dell'organismo: bocca, cuore, gola, lingua. Si indica la totalità della perfidia dei nemici: nell'essere e nell'operare, e specificamente descrivono la menzogna e la frode del v. 7. «la loro gola è un sepolcro aperto»: l'immagine di un sepolcro spalancato simbolizza la malvagità dei nemici covata dentro, che si riversa fuori avvolta da parole melliflue e di adulazione.

v. 11. «Condannali...»: il salmista invoca dal Signore la condanna, con un'esplosione imprecatoria di vendetta, come in altri salmi simili. «perché a te si sono ribellati»: i nemici dell'orante sono considerati, come anche altrove, nemici di Dio. Infatti Dio non può restare freddo e indifferente quando viene messo in discussione il suo onore (Sal 78,8).

vv. 12-13. Questi versetti fanno da contrapposizione ai precedenti 10-11. Il v. 12a si contrappone al v. 10, e i vv. 12b-13 si contrappongono al v. 11. Mentre nei vv. 10-11 Dio condanna i malvagi orgogliosi, che rifiutano Dio, nei vv. 12-13 si esprime la sua protezione e benedizione verso i suoi fedeli.

(cf. VINCENZO SCIPPA, Salmi – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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from Solarpunk Reflections

A few weeks ago, I published an article on our literary collective's site with some opinions on Grist's Imagine 2200 Top 12 stories. For those who don't know what that is, it's the biggest/most popular contest for solarpunk and climate fiction stories, with more than 1200 submissions each year.

As such, I expected to read the best authors of the genre grappling with the themes that are key to solarpunk. In this post I try to give a brief overview of each story (with a summary and a personal opinion, so that you can contradict me if I got something wrong!), explain what felt missing, and why I think we need solarpunk authors to try harder and push the boundaries of what we can collectively imagine.

EDIT: After a discussion with Susan Kaye Quinn I want to stress that the intention of this article is NOT to gatekeep solarpunk and try to draw a line between what SHOULD and SHOULDN'T be. After all, there is no big-S Solarpunk that I or Grist or anyone else is a paragon of; Grist's stories explore some angles better than others, and my message is meant for writers of other angles (not only the tech but also the anticapitalism and the collective action ones, and so on) that they're needed just as much.

NOTE: Each Summary section contains SPOILERS, so come here after you've read the anthology yourself if you don't want surprises. Alternatively, send me a DM with instructions to put spoilers on markdown (I have tried a few but none worked).

12 – We Cast Our Eyes to the Unknowable Now

Summary: The MC comes back home from her job at the fast food in a neighborhood where some unspecified disaster left a chasm decades ago and was never repaired. She can’t find her little sister, so she starts looking for her; climbs up to the top of their apartment complex where there’s a rooftop garden. From there, she spots her sister in the chasm. She goes down the chasm and her sister is tending to some native plants. Then they go home together.

Personal opinion: It felt very shallow. It’s very expositive, the solarpunk stuff is just dropped here and there, in handwaved descriptions or characters explaining them flatly to the reader. The little sister has asthma, but it doesn’t matter. The chasm has been there for decades, yet nobody has attempted to repair it. I expected it to be the main element around which the story revolved, but it turned out to be just a static background.

11 – To Rescue a Self

Summary: A climate journalist returns to Lagos after her investigation on a Big Oil project went south. It’s the year 2100 and the city has changed a lot, but she manages to meet her friends (who all work in climate law and ecocide jurisdiction). They try to cheer her up and talk about their project to mix some innovation with tradition. Then she visits a natural reserve, where she chats with some locals and gets a story on how OGM seeds work along native plants. She heads back home and helps her bulimic friend after an episode, she tells him she’s always felt like a failure and they promise each other to get better.

Personal opinion: I can see there was more thought behind this, but it still felt quite disconnected; the hefty length didn’t help. There is nothing very speculative or rooted in future (investigating Big Oil in 2100? Saro Wiwa died in 1995), her highly specialized friends were mostly just chatting and the technology wasn't very imaginative overall. I liked the Nigerian accents in the dialogues, but I expected more from a Nigerian author.

10 – This View From Here

Summary: The MC has fought with her dad and she's now hiding at her grandma's place. Later in the night she bikes home, and in the morning she chats with her dad in front of a coffee, and he cries because he realizes he's putting on her parts of his trauma from the dead mom/wife, and he's afraid of her getting hit by climate disasters. It ends with the MC leaving for the city.

Personal opinion: There are some great dialogues, but this did not feel solarpunk at all. There’s barely any technology involved (the bike was electric!), the climate disasters are all hypothetical or faraway and it’s a very simple family drama that could’ve been set in early 2000s if not for a quick VR mention.

9 – The Ones Left Behind

Summary: The MC owns a silkworm restaurant in PuertoChina, which she inherited from her grandma. The silkworm food provider informs her of an issue with the water harvesting system and that the trees are thirsty. They contact the appointed official and she explains it's just a clogged pipe, nothing major. They find the worker and help him unclog the pipes. The storm comes, but it doesn't damage anything. They head back to the restaurant, where they eat some silkworms. Her friend tells her how all the rich people in New York have left, and they are the ones left behind. She takes him to the silkworm greenhouse and they exchange a kiss.

Personal opinion: The beginning made me think of another family drama with the MC mourning the dead grandma, but I was pleased that the author tried to set up an infrastructural problem. Sadly it wasn't very convincing (a rich-less New York can't repair pipes?) and a problem from the 19th century, rather than 23rd. Well written with fantastic culinary descriptions and smooth dialogues; the title is barely relevant to the story, and the romantic ending was not necessary in my opinion.

8 – The Isle of Beautiful Waters

Summary: A family of Guadeloupean shepherds deals with drought. The MC is taken by his parents to the hidden source where there's still water. After that, they tell legends on the origins of Guadeloupe with the sisters. A notifications informs them that a hurricane is on its way; together they look for their mother but can't find her. The hurricane arrives and the narration becomes mythological, mixing with the legends told by the daughters.

Personal opinion: It was one of the hardest stories to read; there are many Caribbean terms that I couldn't find on the internet, and the accents made the dialogues quite challenging. The prose is very repetitive, most events are lists of actions and I did not understand the chapter division. The ending was cryptic and left me quite unsatisfied.

7 – Tangles in the Weave

Summary: The MC is waiting for a metamorphosis to happen and is very anxious. Other characters who have undergone the metamorphosis (her father, her friends, etc.) give her advice on how to deal with it. Others have different “souls” (monkeys, wolves, octopuses), but she knows she has a blue butterfly, which has gone extinct 200 years prior. She dreams of being a butterfly reincarnating against her will in a person's body. She heads to the House of Butterflies where a woman explains the visions. In another dream, she sees her own city in the future and talks to her inner butterfly. Then she wakes up 10 days later and picks up several new hobbies, finds a boyfriend and kisses him.

Personal opinion: Very dreamlike and personal story. There might have been a gender allegory, but it was either very shallow or I did not catch it. It felt like closer to fantasy, and the solarpunk elements were too few to justify its presence in this ranking.

6 – Plantains in Heaven

Summary: Set in a partially flooded London, the MCs move around in rowboats to take materials from one side of the city to the next. One of the MCs' grandmas is struggling, and she is the designed rower to visit the local church. One of the characters asks for green banana seeds, a plant tied to their Nigerian heritage, to make the grandma happy. The MC accepts, on the condition that he can help raising the plants correctly. Months later, they begin planting the green bananas in rundown and submerged buildings. Safety inspectors are about to find them out, but the MCs manage to escape. The building is declared too risky, but they decide to keep growing the bananas there.

Personal opinion: I found the prose quite challenging, the events trivial and the repeated flashbacks kept interrupting the dialogues; I found it hard to read this story to the end. The MC is often infantilized and this did not help the immersion. I appreciate the attempt to show different kinds of economic relationships between characters and institutions. The second-to-last scene should've been tense, but I felt no urgency at all.

5 – Our Continuity, Each of Us Raindrops

Summary: The MCs wait for a football match to end: one of the players has to hand him a turtle. One of the two is a drone. There's a second drone that seeds clouds, according the a program that's been going on for 320 years and creates a constant rainfall over the whole state of New York. The MC's brother is in Florida, bedridden with a rare disease; the drone serves as his eyes and ears. The two are on the road to recover as many endangered species as possible. The three get to a beach, still chasing the rain-drone, and meet the player's brother who warns them about authorities on their way to catch the brother-drone. He tells the brother to move forward without him, saying he would be safer on his own. Then the brother-drone dives into the clouds to catch the rain-drone.

Personal opinion: Beautiful and deep, although quite intricated at the beginning (it took me a while to tell the brother-drone and the rain-drone apart). This author had fantastic ideas and I related a lot to the two brothers, but also to the football player, who hasn't always been a positive character. The descriptions mix weather, sports and First Nations' culture and I found them impressive. Unfortunately, all the characters were boys and the ending felt incomplete, but I still liked this story the most.

4 – Eulogy to Each and Every End

Summary: Master and apprentice are the town's undertakers and they are tasked with burying a man who died at 118. They sew a special dress with spores so that the corpse decomposes faster, but they need to prepare the decorations so that they reflect the dead's life and deeds. After that they celebrate a town fair where all the walls are repainted and they go see the stars. Six months pass; another townsman dies and the two talk about their insecurities as they prepare his burial suit. After more weeks, an unknown corpse is found by the roadside and they sew her a dress. A year later, the master passes away and the former apprentice's first work as a master is her burial suit.

Personal opinion: Dialogues were quite expositive, but the Brazilian town's atmosphere was delightful. Unfortunately the first half is almost only descriptions, and the first relevant event is described too quickly. I didn't like how the narration is organized (I have no emotional bonds towards the dead, and the information that he was a dear friend of the apprentice is only told way later). The premise and the setting were really creative, but it ended up being another story about insecurities; death and mourning turned out to be secondary, almost part of the background.

3 – Mousedeer Versus the Ghost Ships

Summary: An automated fishing boat enters the MCs' bay, which get in action in order to free the fish and detour it. The story moves on to them playing some tabletop game as they do something else, then work on some plants. They locate another automated machine that steals sand from the bay, but they don't try to stop it right away. Until it topples over, and one of the MCs is lost in the incident; they find her and take her to safety.

Personal opinion: Despite the catchy opening, I kept getting distracted; I found the prose somewhat hostile but I couldn't quite put my finger on the exact reason. I dropped it several times before finishing it. Interesting Southeast Asian setting, but nothing else really struck me. Especially frustrating: the first-person narration with so little said about the narrator.

2 – Last Tuesday For Eternity

Summary: The MC is an android with a wrist malfunction: xe understands that after 130 years the time has come for xe to turn off, even if xe has just fallen in love. Xe and xyr (?) partner see another human/android couple, the second has been repaired many times. The MC reflects on how to tell him about xyr malfunction; eventually xe does, and together they go through all the reparation options; then it is implied that the android won't die but just change. The two head to the burial site, where they choose the plant under which the MC will be buried. Another android unmounts xyr hand, then xyr conscience dissolves.

Personal opinion: Fantastic opening, and the way information is spread out shows that the author has both talent and practice. The android's pronouns were a bit clunky at the beginning, but then I got used to them; other than that, the prose was clear and easy to follow. The android was perhaps too human, but it helped empathize with xyr; some dialogues were a bit too expositive, especially in the second half. I don't think I fully understood the ending.

1 – Meet me Under the Molokhia

Summary: The MC lives in Lebanon, next to the dismissed prototypes of these 'molokhia'. As she wanders through a wood, she has a vision of someone grabbing a snake, perhaps a djinn. Her cousin reaches her, and as they chat on the way home she meets the djinn again, who reveals her name. Two days later, as she's gardening, the djinn appears once more; she takes her to the roof and tells her that her grandparents were wealthy benefactors. Her aunt has seen her with the djinn, so she reveals she too had once fallen in love with a djinn. The two meet again and kiss under the sunset.

Personal opinion: Uninspiring infodump opening; the djinn speaks as if she's of her same age (which is later revealed to be the case, but it severely diminished my sense of wonder), and the flirting starts right off the bat. It felt like a romance story with a few solarpunk details tossed in at the last minute. Personally, this story is very out of place in this contest and I'm surprised it got awarded the first place.

General Conclusions

When I started reading these stories, I expected the best Solarpunk of the year; yet halfway through the anthology I realized that having such an approach would only leave me very disappointed. I had to recalibrate my expectations to a generic clifi that touches far less themes than solarpunk. Stories about technology were a minority, while the bulk consisted in personal or family dramas that, albeit not out of place in solarpunk (they are necessary and valid!), shouldn't be the weight-bearing pillar of every story.

I wanted to read more adventures, more anticapitalism and more imagination on the relationships that we have and will have with technology, nature and the rest of society. 2200 is a long way down the road, and this anthology provided me with very few glimpses of that horizon. It felt myopic, stuck on a present that is understandably terrifying, and unable to really visualize the way past these obstacles. Solarpunk aims to be a telescope, not a mirror.

As a writer of solarpunk myself I'm aware how multi-tiered the challenge is. I know firsthand that imagining a whole society, several communities and characters for every story is a challenge; this is magnified by the youth of the genre, which still lacks clear hieroglyphs (i.e. clear narrative symbols) recognizable from other texts of culture. Even if a writer is able to come up with an approachable, comprehensible and concise vision, compressing it to a short-story format seems next to impossible.

There are some projects aiming to make this process easier, like the Solarpunk Prompts Podcast podcast proposing a series of pre-researched dramatic situations, communities facing a problem, ready to be fleshed out by a writer.

Hopefully these insights will help you shape the telescope you need.

 
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from edosecco

Secondo me ormai da tempo la formula del Festival non va bene. Ecco alcune idee (so già che alcuni lamenteranno la mancanza di “abolire il Festival”):

1) RIDURRE DRASTICAMENTE IL NUMERO DI CANZONI IN GARA

Trenta. Trenta?! Al massimo una dozzina. Di cui nove dei Campioni e tre delle nuove proposte. .

2) AUMENTARE LA DURATA DELLE CANZONI

Innalzare il massimo da 4 a 5 minuti. Alcuni compositori hanno bisogno di più tempo per dispiegare la loro idea melodica per un brano. Prendete ad esempio “Abitudine” e “Incantevole” dei Subsonica. È palese come alcuni brani sanremesi siano stritolati nei 4 minuti e avrebbero avuto bisogno di più spazio. .

3) FAR CONOSCERE LE CANZONI

Oggi è improponibile far sentire una canzone e decidere al brucio se piace o meno. I brani devono essere fatti uscire tre mesi prima, fatti girare e solo allora la gente saprà con cognizione di causa se piacciono o no. Poi si terrà la kermesse solo a mo' di 'riepilogo'. .

4) IL FESTIVAL DEVE DURARE MENO

Tre giorni possono bastare. I primi due (mercoledì e giovedì) per le esibizioni e le varie comparsate; il sabato per la finale. .

Ohh. L'ho detto.

@spettacoli@diggita.com @cinema_serietv@feddit.it

 
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