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from CyberShiva

Perchè SHIVA?

Shiva è una delle divinità principali nell'Induismo. Nell'Induismo ci sono migliaia di divinità, tra le principali ci sono quelle della Trimurti: Brahma, il Creatore Vishnu, il Conservatore Shiva, il Distruttore (o Trasformatore)

Anche se a noi occidentali questa religione può apparire molto lontana dal nostro modo di vedere le cose, in realtà il concetto che sta dietro la Trimurti è universale, e può quindi essere applicato ovunque e in ogni sistema.

Un'esempio pratico renderà più chiaro il concetto che ne sta dietro prima di qualsiasi spiegazione o approfondimento.

Immaginiamo una famiglia che ha bisogno di costruirsi una casa per iniziare una nuova vita in serenità; in questo caso nella costruzione di una casa laddove non c'è niente è una nuova Creazione, quindi la manifestazione di Brahma il Creatore. Negli anni e decenni successivi, la casa dovrà essere mantenuta, ampliata, migliorata insomma; bhè questa è opera di Vishnu il conservatore. Infine dopo molto tempo, forse secoli quella casa sarà talmente malmessa che non converrà più lavorare per mantenerla, perché magari piove dal tetto, ma anche se rifacciamo il tetto l'acqua entra comunque dalle finestre, il pavimento è rotto quindi passa l'umidità, l'intonaco cade e l'impianto idrico perde acqua e dovremmo fare delle nuove tracce per ripristinarlo; anche l'impianto elettrico non è più in grado di funzionare bene. A quel punto sarà più conveniente demolire tutto e ricominciare da capo; è qui che si manifesta Shiva!

Sintetizzando molto: La parola Trimurti deriva dal sanscrito e significa “tre forme” (tri = tre, murti = forma, incarnazione). Queste tre divinità simboleggiano il ciclo eterno dell'universo: 1. Creazione (opera di Brahma), 2. Conservazione (opera di Vishnu), 3. Distruzione e rinascita (opera di Shiva).

Anche la vita stessa se ci pensiamo è una Trimurti: Nasciamo, Cresciamo, Moriamo.

Possiamo applicare questo concetto base a ogni cosa, non dobbiamo essere induisti per capirlo!

Il motivo per cui io sono attratto da Shiva non saprei spiegarlo. Generalmente Shiva è un entità più maschile, mentre Brahma e Vishnu sono manifestazione più vicine alla femminilità (la donna crea la vita e alleva), ma definirmi adoratore di Shiva in quanto maschio sarebbe una banale generalizzazione sbagliata. Fatto sta che da sempre, fin da bambino, quando vedo qualcosa che proprio non funziona naturalmente penso che debba essere sostituito con qualcosa di nuovo ed efficiente.

Sia chiaro, solo quando qualcosa proprio mal funziona deve essere sostituita con qualcosa che invece funziona; ideologicamente infatti a me non piace per niente il consumismo, e trovo più sano un sistema dove le cose si fanno per durare ed essere riparate. Ma quando si arriva al punto che non c'è più niente da fare, bhè bisogna farsi coraggio e abbattere.

 
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from Magia

.. Pensieri, diversi..

✍️ Il tempo passa, racconta, custodisce, migliora e rigenera. Ci dà l'occasione di di cambiare prospettiva e di lasciare che anche una perdita, una sconfitta, una caduta, si rivelino motivo di rinascita e cambiamento. Accettare lo scorrere dei giorni con questa consapevolezza significa fidarsi del tempo, senza inseguirlo o combatterlo. Perciò quando mi guardo indietro, quando cerco risposte nel mio passato, quando mi rattristo pensando a ciò che ho perso, mi accorgo che nulla è andato perso e che col tempo tutto è rimasto custodito tra le pagine di un passato, che può essere sfogliato...È solo diventato radice, fondamenta di ciò che sono oggi e di ciò che sarò domani.. Ogni giorno che passa lascia un segno e quei segni non sono cicatrici da nascondere, ma da mostrare fieri e sicuri, perché ci appartengono, ci rappresentano... Cosi il tempo non ci allontana dalle persone o dalle cose, anzi le trasforma in qualcosa di nuovo, fa si che un errore diventa insegnamento, un addio diventa l'opportunità per un incontro nuovo, E permette ogni giorno all'alba , di far rinascere un tramonto nuovo, diverso, più bello ..

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from norise

Cogito ergo sum

faccio mio il cogito ergo sum penso e sono sogno e sono creo e sono

in questo ondivago esistere il creare è la bellezza che mi salva

26.6.25

. Da larecherche.it

Arcangelo Galante Un testo molto breve, nel quale l’autore rielabora in chiave personale la celebre formula cartesiana, ampliandola: non solo il pensiero, ma anche il sogno e la creazione diventano prova e sostanza dell’essere. Il verso finale concentra il senso dell’intera poesia: nell’incertezza dell’esistenza, è l’atto creativo a dare valore e salvezza, trasformando l’essere in bellezza. Infinite grazie per le condivisioni salienti, interessanti, didascaliche e perfino spiritualmente riflessive: un collage di emozioni e pensieri variopinti che aiutano il lettore a conoscere e approfondire maggiormente il pathos tuo. .

Angelo Naclerio Penso anch’io che la bellezza a proprio segreto modo salvi chi abbia capacità e coraggio di riconoscerla e di affidarsi a lei. Grazie buona domenica

 
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from norise

Fotografie

affacciato sui ricordi da finestra che abbaglia:

vi si sfoglia il quaderno degli anni

ti risucchiano a imbuto gli io i tuoi fantasmi

.

Arcangelo Galante su larecherche.it

Poesia intensa e concentrata, che in pochi versi riesce a restituire il potere ambivalente della memoria. L’immagine della finestra che abbaglia rende bene il contrasto tra luce e dolore del ricordo; il “quaderno degli anni” richiama la memoria come archivio di vita, mentre il vortice finale, con i fantasmi che risucchiano, trasmette la forza inquieta e talvolta opprimente del passato che ritorna. Lettura apprezzata e condivisa.

Già il sole s'asconde

già il sole s'asconde e le ombre si apprestano ad un'atavica danza

un ripudiato sé “morto” in me da tempo m'irride

-lo trafiggo con strali di luce-preghiera

16.5.25

:

Arcangelo Galante su larecherche.it

Un’interessante testo, che racchiude in pochi versi un contrasto forte tra buio e luce, tra un sé interiore ripudiato e la forza rigenerante della preghiera. Le immagini del tramonto e delle ombre che danzano creano un’atmosfera antica, quasi rituale, in cui l’autore affronta il proprio lato oscuro. La chiusa, con gli “strali di luce-preghiera”, è intensa e salvifica: la spiritualità diviene arma e speranza, capace di vincere l’ombra interiore. Lettura molto apprezzata e condivisa, nel suo peculiare contenuto.

 
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from La vita in famiglia è bellissima

Stiamo tornando dalla Francia all'Italia quando facciamo una deviazione, una strada mai presa che si rivela poi uno sterrato che la nostra Nemo affronta con candida incoscienza. Lo sterrato sembra non finire mai, lambisce strapiombi che terrorizzano i figli, con grazia, sale a capofitto fino al cielo e ci troviamo alla fine in questo posto dove posteggiamo l'auto esausta per guardarci attorno.

Ci sono alcune strutture sciistiche chiuse, un albergo abbandonato con le finestre spezzate, un bar con scritto “open”, chiuso. Due o tre case isolate con cani che abbaiano e segni di divieto. Grossi prati di un verde abbagliante, montagne, alberi sempreverdi che emergono qua e là, come residui di una modellazione ambiente. Non c'è praticamente nessuno. L'unica strada che viene e che va, quella sterrata. Ogni tanto, rara, passa lentamente un auto sbalordita come noi, qualche moto ruggente, qualche bicicletta. Camminiamo, valutiamo i sentieri che partono per una passeggiata, ma anche le nuvole gonfie e nere che si raddensano e svaporano sopra di noi.

Alla fine, è ora di pranzo, Elettra propone di mangiare lì le cose che abbiamo in auto prese dalla casa francese che abbiamo abbandonato. Non c'è molto e buona parte delle cose sono immangiabili, wusterl freddi e nuggets di pollo surgelati. C'è una zona, delle panche in legno con al centro quello che sembra uno spazio per fare fuochi, più in basso, che raggiungiamo. “Ci penso io” dice terzogenita e inizia a raccogliere legna e va in auto a prendere un suo sketchbook di disegni.

Poi si mette vicino all'area fuoco, strappa via dallo sketchbook i suoi disegni peggiori, li appallottola e ci mette sopra dei rametti, si fa dare l'accendino da Elettra e inizia a provare ad accendere il fuoco. “L'ho già fatto” dice con sicurezza, ma il fuoco non prende, la legna è umida per le piogge dei giorni precedenti. “È legale accendere un fuoco?” chiede intanto secondogenito più preoccupato degli aspetti legali della cosa rispetto a quelli fisici. “No – dico io – ci arresteranno”.

Elettra si affiancherà a terzogenita per provare lei ad accendere il fuoco, poi secondogenito e poi anche l'io narrante, tutti ad usare la propria tecnica segreta per accendere il fuoco, fallendo, finché, mentre sto provando io, si affianca secondogenita, poi Elettra e – per farla breve – come in un film per famiglie, alla fine, collaborando, lentamente, con incertezza il fuoco effettivamente prende. Ci ritroviamo quindi nel mezzo di queste montagne con il fuoco che guizza, fuma, ci impesta del suo odore infernale e noi restiamo a debita distanza a riscaldarci e vederlo crescere e fiammeggiare.

E – niente – ancora oggi nel 2025 vedere sbucare dal niente un fuoco gestito dall'uomo ha un che di estraneo e magico, pensare che mentre si gira per il mondo si possa accendere un fuoco per farne qualcosa, come se fosse una cosa naturale, mostra tutto il suo essere innaturale, un passaggio determinante che abbiamo fatto chissà quando per diventare quello che siamo, l'essere più innaturale della terra, ed ora è lì in mezzo a noi che saltella e si alza verso il cielo e poi scema e sembra morire, tanto che continuiamo ad alimentarlo, scegliere rami, buttarli dentro, vederli lambiti trasformarsi.

È lì che terzogenita e secondogenito, come se fosse la cosa più naturale del mondo, si cercano due rametti, infilzano i wusterl e i nuggets surgelati, e si mettono attorno al fuoco per scaldarsi il cibo. Scherzano, ridono, rischiano che prenda fuoco anche il rametto che regge la carne, cercano tecniche per fissare i rametti sopra al fuoco, scappano quando il vento li investe con il fumo, morsicano timorosi e felici il risultato della loro caccia. Hanno creato qualcosa che prima non c'era, hanno trasformato un momento standard del nostro viaggio in Europa in qualcosa di memorabile.

Io – vegetariano ai margini – sgranocchio la mia carota e addento la mia mozzarella gusto industriale, e mi godo lo spettacolo, guardo per un attimo Elettra che li sta fissando da ogni parte.

 
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from Novità in libreria

NARRITIVA:

  • IL MONDO CHE CHIAMA di Douglas Bauer (Nutrimenti). Una storia ambientata nell'America profonda dell'inizio '900. Il protagonista si divide tra il suo lavoro di minatore di carbone e la partita domenicale di baseball. È una vita dura, finché non arriva la svolta: un talent scout lo nota e gli propone di entrare tra i giocatori di baseball professionisti. Per saperne di più: scheda libro.

FANTASCIENZA:

  • APOLLO CREDICI. MART WORKING – LAVORARE DA NASA di Maurizio De Angelis (Homo Scrivens). Fantascienza tutta da ridere: satira surreale e situazioni assurde accompagnano un improbabile equipaggio in una missione di recupero su Marte... Per saperne di più: scheda libro.

FUMETTI, MANGA E GRAPHIC NOVEL:

  • IL RITORNO DI DORIAN GRAY di Davide Barzi e Werner Maresta (Sergio Bonelli). Una catena di misteriosi delitti sembra portare al defunto Dorian Gray. Possibile che il dandy, morto sfigurato ai piedi del celebre suo ritratto, stia tornando a vendicarsi di coloro che lo hanno reso il mostro che è stato in vita? Per saperne di più: scheda libro.

SAGGISTICA:

  • LE STRADE DI ROMA di Catherine Fletcher (Garzanti). L'Impero romano, lungo la sua millenaria storia, ha innervato il mondo conosciuto con le sue strade e le sue vie di percorrenza: efficienti e veloci, hanno permesso la circolazione di uomini, merci e idee. Questo volume è il risultato di una ricerca storica sulla rete stradale di Roma attraverso Europa, Africa del nord e Medio Oriente, un'opera fondamentale, più longeva dell'Impero stesso. Per saperne di più: scheda libro.
  • 101 STRONZATE CHE I FILOSOFI HANNO (VERAMENTE) DETTO E FATTO di Francesco Pastorelli (Newton Compton). A tutti capita di dire una stupidaggine. Certo, è molto consolante che anche le grandi menti filosofiche, di tanto in tanto, ne abbiano detta qualcuna... Questo divertente e provocatorio saggio raccoglie le migliori (o peggiori?) assurdità partorite dalla mente dei grandi e famosi filosofi. Per saperne di più: scheda libro.
  • IFIGENIA di Francesca Ghedini (Marsilio). La figura di Ifigenia, primogenita del re Agamennone e sacrificata sull'altare dell'ambizione politica, è al centro di questo libro in tutte le sue sfaccettature di eroina omerica e tragica. Per saperne di più: scheda libro.
  • COMMENTO AL VANGELO di Lanza Del Vasto, a cura di Manfredi lanza (Il Pellegrino). A Parigi, dal 1946 al 1948, il filosofo Giuseppe Giovanni Lanza Del Vasto tenne incontri in cui commentava il Vangelo attraverso profonde meditazioni e pensieri, in un momento cruciale della storia dell'Europa. Questo libro raccoglie quelle meditazioni e ce le offre per poter cercare il significato delle Scritture nella vita di tutti i giorni. Per saperne di più: scheda libro.
  • I DILUVI DI DIO di Federico Giuntoli (Il Mulino). Un volume che ripercorre la storia del mito del diluvio divino, a partire dai testi mesopotamici e del suo significato, che non riguarda solo la distruzione ma anche la speranza di rinascita e rinnovamento. Per saperne di più: scheda libro.

INFANZIA E RAGAZZI:

  • L'ALLEVAMENTO DEI CANI IMPROBABILI di Teo Benedetto e Davide Panizza (Franco Cosimo Panini). Un albo illustrato che consiste in un catalogo di cani impossibili e divertentissimi: c'è il CANadese (un cane a forma di tenda), il CANtiere (un cane che aiuta i muratori), CANnella CANbella e CANnolo (tre cani da pasticceria), e così via... ogni cane assurdo è illustrato attraverso una scheda con curiosità e istruzioni per allevarlo. Età di lettura: dai 4 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • IMPARA IL FRANCESE FACILMENTE illustrato da Simona Giudizio (NuiNui). Un libro sonoro per iniziare in modo divertente l'apprendimento della lingua francese. Una voce, in italiano, spiega il funzionamento delle 10 tavole interattive, e una voce madrelingua pronuncia le parole nel modo corretto. La batteria è ricaricabile tramite cavo USB. Età di lettura: dai 4 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • UN LEPROTTO MOLTO DI FRETTA di Christian Merveille e Lorenzo Sangiò (Terre di Mezzo). Il leprotto corre velocemente attraverso il villaggio e poi nel bosco per andare dai suoi amici. Forse corre TROPPO velocemente, e qualcosa gli è sfuggito... Età di lettura: dai 5 anni. Per saperne di più: scheda libro.
  • LA BANDA MISFIT – INSOSPETTABILI AGENTI SEGRETI di Lisa Yee, illustrato da Dan Santat (EDT – Giralangolo). La protagonista Olive viene trasferita in una scuola “speciale”: un collegio su un'isola ricavato da una vecchia prigione. In realtà, il collegio è un centro di reclutamento per giovani agenti segreti, e Olive si troverà con altri quattro amici, disadattati come lei, per formare la Banda Misfit e sventare i piani malvagi dei criminali internazionali. Età di lettura: dai 12 anni. Per saperne di più: scheda libro.
 
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from ᑎᗩᗪIᗩ ᔕᑕOTTI

La formula magica: 𝓹𝓻𝓮𝓷𝓭𝓮𝓽𝓮 𝓾𝓷 𝓬𝓾𝓸𝓻𝓮 𝓷𝓮 𝓰𝓻𝓪𝓷𝓭𝓮 𝓷𝓮 𝓹𝓲𝓬𝓬𝓸𝓵𝓸, 𝓵𝓸 𝓪𝓹𝓻𝓲𝓽𝓮 , 𝓶𝓮𝓽𝓽𝓮𝓽𝓮 𝓭𝓾𝓮 𝓻𝓪𝓶𝓲 𝓭𝓲 𝓯𝓮𝓵𝓲𝓬𝓲𝓽𝓪̀,𝓾𝓷 𝓹𝓲𝔃𝔃𝓲𝓬𝓸 𝓭𝓲 𝓰𝓲𝓸𝓲𝓪 𝓮 𝓭𝓾𝓮 𝓯𝓸𝓰𝓵𝓲𝓮 𝓭𝓲 𝓼𝓸𝓻𝓻𝓲𝓼𝓸. 𝓪𝓰𝓰𝓲𝓾𝓷𝓰𝓮𝓽𝓮 𝓾𝓷𝓸 𝓼𝓹𝓻𝓾𝔃𝔃𝓸 𝓭𝓲 𝓼𝓮𝓷𝓬𝓮𝓻𝓲𝓽𝓪̀ 𝓮 𝓾𝓷𝓸 𝓭𝓲 𝓸𝓷𝓮𝓼𝓽𝓪̀, 𝓹𝓸𝓲 𝓶𝓮𝓼𝓬𝓬𝓸𝓵𝓪𝓽𝓮 𝓹𝓮𝓻 𝓾𝓷 𝓶𝓲𝓷𝓾𝓽𝓸.𝓕𝓪𝓽𝓽𝓸 𝓺𝓾𝓮𝓼𝓽𝓸 𝓪𝓰𝓰𝓲𝓾𝓷𝓰𝓮𝓽𝓮 𝓭𝓾𝓮 𝓰𝓸𝓬𝓬𝓮 𝓭𝓲 𝓯𝓲𝓭𝓾𝓬𝓲𝓪, 𝓮 𝓾𝓷𝓪 𝓰𝓸𝓬𝓬𝓲𝓪 𝓭𝓲 𝓼𝓮𝓷𝓼𝓲𝓫𝓲𝓵𝓲𝓽𝓪̀. 𝓪𝓵𝓵𝓪 𝓯𝓲𝓷𝓮 𝓪𝓰𝓰𝓲𝓾𝓷𝓰𝓮𝓽𝓮 𝓮𝓵𝓲𝓼𝓲𝓻 𝓭'𝓪𝓶𝓸𝓻𝓮 𝓹𝓮𝓻 𝓿𝓸𝓲 𝓶𝓪 𝓼𝓸𝓹𝓻𝓪𝓽𝓽𝓾𝓽𝓽𝓸 𝓹𝓮𝓻 𝓰𝓵𝓲 𝓪𝓵𝓽𝓻𝓲, 𝓷𝓸𝓷 𝓻𝓲𝓼𝓹𝓪𝓻𝓶𝓲𝓪𝓽𝓮𝓿𝓲 𝓲𝓷 𝓺𝓾𝓮𝓼𝓽𝓸 𝓪𝓫𝓫𝓸𝓷𝓭𝓪𝓽𝓮 𝓹𝓾𝓻𝓮. 𝓮𝓬𝓬𝓸 𝓵𝓪 𝓯𝓸𝓻𝓶𝓾𝓵𝓪 𝓹𝓮𝓻 𝓪𝓿𝓮𝓻𝓮 𝓾𝓷 𝓪𝓷𝓲𝓶𝓪 𝓬𝓪𝓷𝓭𝓲𝓭𝓪 𝓮 𝓼𝓮𝓻𝓮𝓷𝓪 𝓫𝔂 𝓝𝓪𝓭𝓲𝓪

 
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from Bymarty

✍️ La mia formula magica (By Nadia)

Prendete un Cuore, né grande e né piccolo, lo aprite e ci mettete dentro due rami di Felicità, un pizzico di Gioia e due foglie di Sorriso. Aggiungete uno spruzzo di Sincerità e uno di Onestà e poi mescolate per un minuto. Fatto questo aggiungete due gocce di Fiducia e una goccia di Sensibilità.. Infine aggiungete l'Elisir d'Amore per voi, ma soprattutto per gli altri, non risparmiatevi in questo..abbondate pure! Ecco, la formula per avere un' anima candida e serena!

( Ho postato con piacere questa formula, condivisa con me da una nuova amica, che ringrazio per la fiducia e la stima riposta! Sono semplicemente me stessa, e spesso ho applicato questa formula per gli altri ...ma viviamo in un mondo sempre più arido e poco propenso, ai sentimenti, alle relazioni vere e sincere, alla semplicità e sensibilità! Ma io non mi arrendo e continuo ad essere la Marty di sempre sognatrice, combattente e vera ..)

 
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from antimanager

Ed eccomi a parlare della cosa più nominata dagli antimanager: la resilienza. Che se ci pensi è proprio ciò che dovremmo evitare ed è ciò che invece viene sempre elevato a punto di arrivo delle principali peggiori aziende. Vediamo assieme perché.

Il termine resilienza viene mutuato dal mondo dei materiali, delle costruzioni. Vuol dire che un materiale, una volta sottoposto a forze esterne, si modifica e poi ritorna come prima. Come se non fosse successo nulla.

Funziona benissimo per i materiali. E con gli esseri umani? Vediamolo assieme.

Mettiamo che una persona compia un'azione e le “forze esterne” (mercato, concorrenza...) le capitino addosso e le pieghino, la deformino. Ecco, gli antimanager vogliono che questa persona ritorni come prima, come se non fosse successo nulla. E qui è il vero disastro concettuale e pratico, perché: 1. Vuol dire che ritorni a fare quello che facevi prima, quindi quello che ti ha portato a subire queste forze (perché non prevederle e cercare di evitarle) e ti ha piegato. Insomma, parafrasando Einstein, tornare a fare le stesse cose di prima sperando di ottenere risultati differenti sarebbe pura follia. E l'antimanager che ti parla di resilienza è pura follia. 2. Vuol dire che di tutto quello che è successo non hai imparato un bel niente, infatti torni come prima. E no, caro (perché solitamente guadagna tanto) antimanager, io non voglio tornare come prima. Io voglio migliorare e quindi diventare meglio di prima 3. Per tornare come prima vuol dire che alcuni caratteri umani li hai persi. Primi fra tutti le emozioni. Come puoi tornare esattamente come prima, come se nulla fosse successo? E le emozioni? Certo, l'antimanager dice che le emozioni vanno tenute da parte e lo dice bello arrabbiato. Che controsenso! La rabbia è un'emozione. Inoltre dentro la parola emozione c'è un mondo. Deriva da “e-movere” quindi muovere verso. Le emozioni sono il miglior carburante per fare le cose, per muoversi. Certo devono essere ben gestite ma servono tantissimo.

Io penso che tu abbia ben compreso che la resilienza funziona bene per le cose inanimate ma debba essere qualcosa da cui fuggire a gambe levate se la si vuole applicare agli esseri umani perché, in questo contesto, è veramente dannosa.

Ti auguro di sbagliare e di migliorare e mai di tornare come prima. Torna meglio di prima. Come amo ripetere “ogni volta che cadi, raccogli qualcosa”.

A presto!

 
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from Técnicamente

A Sócrates no le convencía eso de escribir. Su argumento principal era que, al tener las ideas siempre a la mano en un dispositivo externo a la mente humana, esto atrofiaría nuestra memoria: ya no haríamos un esfuerzo por recordar largos poemas épicos, o largas listas de hechos científicos. Pero tampoco haríamos un esfuerzo por recordar nuestros propios argumentos sobre disquisiciones varias. Todo estaría por ahí, en papel o en piedra, listo para consultarse cuando se nos diera la gana.

Esto, habría dicho Sócrates, nos daría una “simulación” del conocimiento, en vez de permitirnos acceder a un “verdadero” conocimiento de las cosas. Por supuesto, yo sólo sé de esto porque uno de los discípulos de Sócrates, un tal Platón, escribió en su Fedro acerca de lo que su maestro pensaba de la escritura.

A pesar de las críticas de Sócrates, la escritura triunfó como tecnología: casi todas las sociedades del planeta la han adoptado y buena parte de nuestro conocimiento, nuestras comunicaciones y nuestra vida en general está basada en esta invención.

Esta victoria, a pesar de las críticas de “tradicionalistas” como Sócrates, ha sido puesta en paralelo con el estado de las cosas con la inteligencia artificial: una nueva tecnología que tiene muchos críticos, pero que eventualmente se impondrá y cambiará nuestra manera de vivir por completo.

Yo mismo, en otras conversaciones sobre otras cosas, he recurrido a esta historia de Sócrates con la escritura. Recuerdo en algún taller dictado hace muchos años haber dicho que las redes sociales (con todas las críticas que merecían y aún merecen) se impondrían como tecnología, cambiarían nuestra manera de vivir (y sí, estoy citando esto no como un buen ejemplo, sino como un ejemplo de que uno puede usar este argumento para cualquier innovación). Así como las críticas de Sócrates no pudieron parar el éxito de la escritura, nosotros no podríamos parar el auge de las redes sociales.

Pero Sócrates tuvo razón en algo: la escritura sí atrofió nuestra memoria. No la de todos, por supuesto, pero sin duda relegó el acto de recordar a un segundo plano, tanto individualmente (alguien con memoria eidética, o con el conocimiento oral de su pueblo es impresionante, pero no es tan respetado como antes), como colectivamente (después de milenios de escritura, cada vez hay menos personas por ahí recitando La Ilíada y cada vez son menos las sociedades en las que importa la tradición oral).

Pero, a cambio, la escritura nos abrió la posibilidad de conocer mucho más allá de lo que puede guardar una memoria humana individual. Los grandes avances de la ciencia, la filosofía, o la literatura (occidentales y orientales, del sur y del norte), no habrían sido posibles sin la escritura, sin la posibilidad de intercambiar ideas a lo largo de países, continentes y siglos.

Un discípulo de Platón, Aristóteles, a veces es descrito como una de las últimas personas que sabían todo lo que había por saber. No porque estuviera al tanto de todo el conocimiento en general, sino porque en su época la escritura aún no era tan popular y la cantidad de conocimiento a la que podía potencialmente tener acceso un individuo seguía siendo muy limitada. Quizás conociera todo lo que había que conocer en su mundo, pero ese mundo era bastante pequeño. Probablemente ignoraba conocimientos de China, o América, pero no podía saber que los ignoraba.

Eso es imposible de sostener ahora. Ninguna persona por sí sola puede tener en su cabeza todo el conocimiento humano. Pero sí tiene acceso, potencialmente, a todo este conocimiento, en internet, en libros, incluso en ChatGPT. Cada formato con sus errores y sesgos.

Por su parte, las redes sociales (en un sentido amplio que incluye foros y blogs) atrofiaron nuestro sentido de habitar una realidad común. Pero a cambio nos dieron la posibilidad de cambiar las dinámicas del poder de la información. Ahora “cualquiera” (en el sentido de Ratatouille) puede hacer escuchar su voz, no sólo los guardianes de la información a los que hemos estado acostumbrados. Esto tiene sus cosas buenas y malas, pero sin duda ha cambiado cómo vivimos e interactuamos.

Una de las críticas que se le suele hacer a la inteligencia artificial generativa (que como conté en otro post, es una sección muy específica de la IA) y que yo mismo hago, es que va a atrofiar nuestra capacidad de hacer y pensar cosas críticamente. Si decides programar usando sólo un chatbot (una práctica llamada “vibe coding” en inglés), vas a delegar constantemente no sólo el trabajo, sino la capacidad de aprender cómo hacerlo. Nunca vas a aprender a programar bien. Ni siquiera vas a saber cómo corregir los errores que salgan de ese vibe coding, porque no vas a saber identificarlos. Lo mismo puede pasar con cualquier actividad humana que se le delegue a una inteligencia artificial: escribir, componer o tocar música, pensar en argumentos, lo que sea.

Emily Bender, una de las autoras del famoso artículo académico “On the Dangers of Stochastic Parrots”, que argumenta que las inteligencias artificiales generativas son sólo máquinas que reproducen patrones (y por lo tanto no “entienden” lo que escriben, ni “tienen consciencia”) planteó en estos días en su blog que esto, delegar el aprendizaje de habilidades, es un costo de oportunidad. Es decir que, al hacerlo, se pierde la alternativa, que en este caso es poder hacer cosas nosotros mismos (incluso cosas mundanas e insulsas como enviar un correo electrónico laboral).

Por supuesto, muchos de todas maneras la usan y la seguirán usando para realizar actividades que quizás no les son tan importantes. No podemos negar que la inteligencia artificial esté aquí para quedarse. El asunto es cómo va a quedarse. A diferencia de la escritura, no es claro cuál es el beneficio concreto que pueda traernos la inteligencia artificial para que se justifique su eventual omnipresencia (y el atrofiamiento que ella implica). Si absolutamente todos adoptáramos su uso en todas las áreas de la vida, pronto nadie tendría habilidades. Es más, sólo podríamos acceder a habilidades pagando el precio de suscripción (que inevitablemente será aumentado por las compañías de IA que en estos momentos están operando a pérdidas para fidelizar a sus clientes).

El vibe coding funciona porque hay gente que sabe programar. Un programador que sabe lo que hace puede pedirle a una IA que le haga un código y luego puede revisar y corregir sus inevitables* errores. O puede corregir los errores de las personas que no saben programar pero usaron un chatbot para escribir código. De hecho hay toda una industria de programadores dedicados a hacer estos arreglos. Muchas empresas de software ahora no están contratando a programadores junior, con la idea de que alguien puede producir código à la vibe coding y luego un programador más experto lo puede corregir. ¿Pero qué van a hacer cuando esos programadores expertos se retiren y las empresas pierdan esas habilidades? Por ahora, muchas confían en las promesas de mejoría de la industria de la inteligencia artificial*.

Pero yo postulo que este, como todos los sectores, eventualmente se dará cuenta que tener habilidades humanas es mucho más valioso. De hecho muchas ya se han dado cuenta. Y las personas se darán cuenta también: incluso si la industria de la inteligencia artificial no está en una burbuja y si sí se apodera de todas nuestras vidas, las personas nos daremos cuenta de que obtener habilidades es mucho más valioso de delegárselas a una máquina.

Ya que escribo como trabajo, muchas veces me han preguntado si no creo que seré reemplazado por una inteligencia artificial. Yo creo que no. Aunque seguramente muchas personas usarán estas herramientas para escribir cosas, consideren lo que pasaría si todo el texto del mundo fuera creado por IA: los modelos de lenguaje en los que están basados estas herramientas simplemente regurgitarían infinitamente otros textos, si bien coherentes, de baja calidad y de dudosa verosimilitud ya regurgitados por otra inteligencia artificial. Eventualmente habría un mercado para algún humano que entrara, cuando menos, a revisar, a editar, a hacer algo con el texto. A escribir.

La escritura fue revolucionaria, por todas las razones ya mencionadas; pero la inteligencia artificial parece cada vez más ser una “tecnología normal”, como lo plantean en un artículo académico Arvind Narayanan y Sayash Kapoor. Una tecnología que transformará muchas cosas, pero que no es tan utópica como la pintan sus mercaderes, ni tan distópica como dicen sus más fuertes críticos. Sino una tecnología más, que tendrá sus usos y aplicaciones, sus consecuencias y efectos, pero no cambiará a toda la sociedad de pies a cabeza.

En su blog, Bender también argumenta que aún podemos, como sociedad, influenciar el impacto que pueda tener la inteligencia artificial en nuestras vidas. La escritura es sencilla y, ya inventada, es prácticamente inevitable (como cuenta el escritor de ciencia ficción Ted Chiang en un cuento sobre la escritura y la memoria). La inteligencia artificial es muy compleja y aún no nos ha demostrado que se justifique para ser inevitable y que sus críticos quedemos como Sócrates.

*La industria de la inteligencia artificial argumenta que su producto mejorará tanto que los errores sí llegarán a ser evitables. A mí no me convence ese argumento.

 
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from Bymarty

✍️ Accettare...

Si deve accettare, ciò che non si può cambiare, capire e migliorare, come fiumi impetuosi che non si possono arginare, parole che restano sospese, strade che si dividono all’improvviso e cuori che senza alcun motivo scelgono di non restare e di farci soffrire. Ci sono piogge rigeneranti, violente, nuvole che coprono il sole, giorni che volano veloci senza un perché, e sogni che si sciolgono appena l'alba si colora. E come non posso convincere la luna a restare ogni sera con me e il mare a non infrangere le sue onde sugli scogli, così non dobbiamo trattenere chi ha deciso di andare via, né correggere o cancellare il passato come fosse un foglio sgualcito. E così accetto il dolore, le ferite , l'ansia, l'insicurezza, le ombre..e combatto per le mie battaglie, per la mia guerra.. così mi piego, ma non mi spezzo, sorrido e mi rialzo anche se cado e abbraccio il cielo anche se non è sempre azzurro. Accettare è liberare il cuore dal peso di catene invisibili e pesanti, è fare pace con il passato, accarezzando ogni attimo del presente...

Perché un leone anche se ferito ruggisce, si difende, non si arrende e combatte, e col suo ardore dipinge il cielo e la terra arsa e spenta fa rifiorire... By Marty

 
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from La vita in famiglia è bellissima

Un tempo non è che le vacanze durassero più a lungo, o anche se lo facevano non era quello il problema, un tempo quando eri in vacanza eri sganciato da tutto. Oggi i social ti braccano, le chat lampeggiano, le mail ti inseguono, per quanto tu possa correre veloce c'è sempre un roaming pronto a tenerti con la testa nei casini del mondo reale, sai tutto quello che accade nel mondo e sai anche cosa la gente ne pensa di quello che succede, in genere cose imbarazzanti, e hai per le mani strumenti che ti permettono di continuare a produrre materiali di consumo per la rete, è dura sganciarsi da tutto, ho questo ricordo di quando ero ragazzino che quando qualcuno riceveva, faccio un passo indietro:

l'ho anche scritto in un libro, quando ero adolescente per molti anni di seguito i miei genitori portavano me e mio fratello in un camping sulla costa ligure, in un bungalow, per circa un mese. Luglio. Un tempo lunghissimo. In quel momento ero sganciato da tutto, tutti erano sganciati da tutti, niente cellulari, niente internet, niente di niente. Anche Paper Soft non arrivava nelle edicole. Solo i cabinati mostravano le loro luci sfavillanti e qualche coraggioso ragazzino milanese che si era portato il Commodore 64 con i joystick. Arrivo al punto: quando qualcuno riceveva una telefonata, si accendevano i microfoni di tutto il camping e la voce della gestrice o del figlio echeggiava per le tende e i bungalow per annunciare a tutti che c'era una telefonata per la famiglia Venerandi, quello era il collegamento con la realtà, altro che WhatsApp, mio padre che correva imbarazzato per andare a rispondere all'unico telefono del campeggio.

Così oggi staccare è il vero miracolo, nella testa, riuscire a sganciarsi dal reale, che poi, il reale non esiste, lo dice anche il libro che sto leggendo, il reale è una specie di impasto di visioni del mondo, interpretazioni, ideologie, tutto mescolato e che un retaggio illuminista ci fa credere che quello che pensiamo essere il mondo, quello sia reale. Da questo punto di vista una cosa che mi rilassa, malata, è pensare di essere all'interno di un ambiente, l'ho già scritto da qualche parte. Essere in un ambiente, tipo realtà virtuale, e pensare che tutto quello che posso fare è comunque confinato a questa realtà che vivo. Che è pochissima cosa se ci fai caso. È tutto confinato a questa piccola realtà che vivo.

Così oggi ero seduto con i figli ed Elettra e mio figlio ordina una crepe. Non ricordo il nome, era il nome di una montagna qua vicino, anzi il nome lo ricordo ma non voglio farvi sapere dove sono, diciamo crepe Monte Bianco. Con prosciutto, formaggi vari, eccetera. Aspettiamo, portano a me una crepe ai quattro formaggi, che avevo ordinato, e a mio figlio, al posto di quella con prosciutto e formaggi, una crepe con panna, cioccolato, e gelato. Attoniti. Siccome ci sono già un po' di cose che mi avevano innervosito, in pratica degli operai, non certo per colpa loro, hanno iniziato a trivellare a fianco del mio tavolino per cercare – immagino – del petrolio visto il rumore e la quantità di polvere sollevata, prima di incazzarmi controllo che non abbiamo sbagliato noi. Prendo il menu.

E scopro che il gestore del ristorante, oltre a sfoggiare un cartello scritto a mano con scritto “no bc!” che significa che si paga solo in contanti, il gestore ha avuto la geniale idea di avere una crepe salata con prosciutto e formaggio chiamata Monte Bianco, e una crepe dolce con cioccolata, panna e gelato chiamata Monte Bianco. Lo stesso identificatore unico, poi uno si chiede perché in HTML se la prendono malissimo se usi due id uguali.

Piccolo inciso. Non così il Lisa, il Lisa era una linea Apple che veniva dopo l'Apple II ma prima del Macintosh. Era un computer amichevole come il Macintosh ma terribilmente più lento e costoso, benché più sofisticato. Io ne ho usato uno una volta, al museo Apple, e – per farla breve – il Lisa potevi creare più file nella stessa cartella con lo stesso nome. Non ricordo come facesse a sapere se volevi poi quella salata o quella dolce, ma così era. Fine inciso.

Comunque qualche giorno fa mi sono messo a camminare per una valle, da solo. Non c'era campo. Ho lasciato tutti e ho iniziato a camminare in avanti in questa valle, e più andavo avanti più la valle sembrava che si terraformasse davanti ai miei occhi, alberi, cascate, prati, gruppi di persone, rami del fiume, arbusti, ponti, più andavo avanti più mi sentivo dentro una sandbox che sarebbe potuta andare avanti all'infinito per mostrarmi sempre nuovi rilievi e microvariazioni della natura. Alte sui lati si alzavano le montagne, come background di un mondo che avevo nella testa e mentre camminavo pensavo, e mescolavo stronzate a immaginazioni, progetti a stronzate di nessun peso e così sono andato avanti per quasi un'ora, al che mi sono reso conto che dovevo anche tornare poi indietro, e che c'era il resto della famiglia che, dopo quasi due ore avrebbe pensato che ero morto – sicuro – ucciso da una delle mucche che pascolavano enormi al margine del fiume.

Quindi torno indietro a passo veloce e quando arrivo trovo Elettra senza scarpe, che ride con i figli mentre fanno una gara di zattere autocostruite nel mezzo del fiume, le stringhe delle scarpe sono servite per legare i tronchetti e i calzini per fare la vela, e stanno sfidandosi mentre le zattere si impigliano per le rocce e le sterpaglie ai lati del fiume e io resto così a fissarli come un miracolo, penso quanta energia e quanta bellezza, mentre reggo con una mano un bicchierino di plastica con dentro un caffè macchiato che mi sta colando su tutta la mano e la carta alluminia che frulla metallica scossa dal vento.

 
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from Bymarty

✍️ Attese.. La mia vita ultimamente, ma da sempre è stata una corsa: partire, inseguire, arrivare, correre per raggiungere qualcosa o qualcuno! Ma poi in mezzo a questo correre continuo, ci sono le attese, che seguono a volte cadute, vuoti, quasi fossero stazioni silenziose e abbandonate dove non accade nulla, nessuno sale, nessuno scende e i binari restano immobili.. Ma l'attesa non è semplice, inutile, non è uno spreco di tempo ed energie, anzi è un promemoria che ci ricorda che tutto intorno a noi ha un suo ritmo e un tempo da rispettare. Eppure tante le mie attese, l'attesa della guarigione dopo una ferita, un messaggio che tarda ad arrivare, un volto amico da accarezzare, un sorriso, un abbraccio. Le attese non fanno altro che riempire silenzi, di significato. E allora quante attese dinanzi a treni che non arrivano, a quelli persi, a stazioni deserte...Significa che forse ciò che stavo aspettando non era pronto per me o forse ero io ad aver bisogno di più tempo per raggiungere quel treno. Aspettare richiede coraggio, significa credere nell'arrivo di un altro treno anche quando sai che quello appena passato era l'ultimo. È un modo nuovo di viaggiare, stando fermi, aspettando, sperando. Perciò sto imparando che ogni tanto bisogna rallentare, imparare a fermarsi, respirare e aspettare con pazienza, perché prima o poi il nostro tanto atteso treno arriverà e ci porterà al di là dei nostri sogni, per sempre! DSCN6561-1.jpg

 
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from Lunes de Lenguas

¿Alguna vez han tenido que lidiar con alguien que se rehúsa a aceptar que la traducción de “billion” en inglés no es “billón” en español, sino “mil millones”? ¿Alguna vez alguien les ha dicho, incorrectamente pero con total confianza, que en el planeta hay unos ocho billones* de personas? ¿Alguna vez se han preguntado por qué esta discrepancia? Pues hoy tienen miles de millones de razones para celebrar, porque en el #LunesDeLenguas de hoy, les voy a contar sobre las escalas larga y corta.

Ambas escalas son sistemas para nombrar potencias de 1000 (pero que aquí voy a escribir como potencias de 10, porque me ahorro espacio). Hasta 10^6 todo va bien, todo está muy tranquilo, porque en ambas escalas este número (1000000) se llama “millón” (que es una palabra que deriva de la palabra latina “mille” (“mil”) y que quiere decir “tremendo mil”, “cipote mil”, “flor de mil”, o “un mil grande”). El verdadero problema comienza después.

En la escala corta, que es la que se usa en el mundo angloparlante, 10^9 se llama “billion”. Pero en la escala larga, que es la que usamos en español y en las demás lenguas romances (entre otras), tenemos otro nombre para este número: “un millardo”. Si bien es más común en español ahora decir “mil millones”, en otras lenguas, como en italiano, sí es común decir “miliardo”.

Y en la escala corta 10^12 se dice “trillion”, pero en la escala larga decimos “billón”.

Lectoras avezadas se habrán dado cuenta ya del patrón. La escala larga está basada en millones. En esta escala, un billón es “un millón dos veces” (1000000^2). Un trillón es “un millón tres veces” (1000000^3) y así sucesivamente.

Pero la escala corta está basada en miles (comenzando desde un millón). Un “billion” es el segundo paso en la escala: un millón multiplicado por mil. Un “trillion” es el tercer paso en la escala: un “billion” multiplicado por mil” Y así sucesivamente.

La escala larga, además, tiene otros nombres para sus potencias de 1000 que quedan entre potencias de millones. Estos siguen el formato de “millardo” descrito más arriba. Por ejemplo, 10^15, que es mil billones, es un billardo. Y 10^21, que es mil trillones, es un trillardo. Nombres que estoy seguro que todos usamos diariamente.

Pero, ¿cómo llegamos a esta diferencia? El asunto es que contar con números tan grandes es bien complicado.

De hecho, por lo menos en el mundo occidental, no era común contar hasta números tan altos hasta ya entrado el Medioevo. Los numerales romanos originales, por ejemplo, no tenían un símbolo para “mil”. Aunque sí tenían maneras de escribir ese número, la M fue agregada en el Alto Medioevo: https://latin.stackexchange.com/questions/21169/what-was-the-symbol-used-for-one-thousand-in-ancient-rome

Y la primera instancia de alguien usando la palabra “millón” está atribuida a un tal Máximo Planudes y data del Siglo XIII d.C.: https://en.wikipedia.org/wiki/Maximus_Planudes

Ambas escalas se desarrollaron más o menos paralelamente, desde el Siglo XIII en adelante. Pero no tenemos claro quién se las inventó o por qué. Y por mucho tiempo no era claro quién estaba usando qué escala.

Por ejemplo, aunque en Francia ahora la escala larga es la estándar, durante los siglos XVIII y XIX la mayoría de académicos franceses prefirieron la corta. Los estadounidenses se pasaron a la escala corta desde el siglo XVIII, pero los británicos siguieron en la larga hasta el XX.

De hecho, en 1974 el Reino Unido, quizás impulsado por el peso del inglés estadounidense en el mundo, oficializó su paso a la escala corta.

Y toda esta situación es tan confusa que sólo fue un año después de esto, en 1975, que a alguien se le ocurrieron los nombres “escala larga” y “escala corta”. Ese crédito es de la matemática francesa Geneviève Gutiel, quien acuñó los nombres en francés: “échelle longue” y “échelle courte”.

Actualmente casi todo el mundo (excepto Grecia y la mayoría del oriente asiático, que usan otros sistemas interesantes a los que llegaremos algún día, pero que han sido brevemente reseñados en #PalabrasEficientes) se divide entre ambas escalas.

En este mapa pueden ver que la mayoría de Europa, buena parte de África y todo el mundo hispanoparlante está en la escala larga. Todo el mundo anglófono está en la escala corta: https://en.wikipedia.org/wiki/Long_and_short_scales#/media/File:EScalas_corta_y_larga.svg

En portugués usan la escala larga... Excepto Brasil que siempre ha querido ser diferente.

En algunos países, como Canadá, se usan dos (o más) lenguas que usan dos escalas diferentes (la corta en inglés y la larga en francés). Y en el mundo árabe y en la mayoría del eslavo se usa la escala corta, pero también usan la palabra “millardo”. No sé cómo funciona en cada uno de estos, pero sé que en ruso “millardo” y “billón” son sinónimos (y significan “mil millones”).

Si quieren entender mejor las escalas, les recomiendo este video: https://www.youtube.com/watch?v=C-52AI_ojyQ

Y si quieren saber más de su historia, les recomiendo este link: https://en.wikipedia.org/wiki/Long_and_short_scales

Un billón de gracias.

*En el planeta Tierra hay aproximadamente ocho mil millones de personas. U ocho millardos, que es lo mismo.

 
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from L' Officina Delle Storie

Benvenuti al teatro senza biglietto C’è chi entra a teatro con il biglietto in mano, in fila davanti al botteghino, pronto a farsi avvolgere dal buio della sala e dal fascio di luce sul palco. E poi ci siamo noi, che a teatro ci entriamo senza volerlo. Ogni giorno. Senza sipario, senza posto numerato, senza applausi finali. Il teatro della vita non ha registi dichiarati, solo improvvisatori maldestri. L’assurdo, in questo spettacolo, non è un ospite inatteso: è il protagonista fisso. Lo troviamo al supermercato, davanti allo scaffale della pasta, quando due signore litigano se sia meglio la penna rigata o la liscia, con lo stesso fervore con cui i filosofi greci discutevano di metafisica. Oppure sull’autobus, quando un signore racconta a voce alta le proprie vicende mediche a passeggeri sconosciuti, trasformando il viaggio in una tragedia clinica. E noi, spettatori e attori al tempo stesso, restiamo intrappolati in questa rappresentazione permanente. Il filosofo Erving Goffman, con il suo “La vita quotidiana come rappresentazione”, ci aveva già avvertiti: “ogni gesto, ogni parola, è parte di un copione sociale. Il problema è che spesso quel copione fa acqua da tutte le parti.” Pensiamoci: quante volte ci siamo trovati a sorridere in riunioni noiose, recitando un entusiasmo inesistente, come comparse in una commedia scadente? Quante volte abbiamo applaudito frasi banali solo perché pronunciate dal capo di turno, come se fossero battute di Shakespeare? La vita è un palcoscenico dove si applaude più per convenzione che per convinzione. Eppure, nonostante l’assurdità, in questo spettacolo ci troviamo a nostro agio. Perché nell’improvvisazione, a volte, c’è verità. L’uomo che inciampa sul marciapiede e si rialza con finta disinvoltura, la signora che parla con il cane come fosse un Nobel per la letteratura, il ragazzo che scrive poesie sui tovaglioli del bar… tutto questo ci ricorda che non c’è differenza netta tra palco e platea. Pirandello ci aveva visto lungo: “Così è, se vi pare”. Ogni individuo indossa una maschera diversa, a seconda della scena che deve affrontare. Il problema non è la maschera, ma dimenticare che dietro ce n’è sempre un’altra. E che, forse, sotto tutte le maschere non resta un volto, ma un altro sipario. Il bello dell’assurdo è che non ha bisogno di effetti speciali. Un vicino di casa che canta alle tre di notte convinto di essere Pavarotti, un impiegato che discute animatamente con la macchinetta del caffè, un politico che promette serietà con la stessa convinzione con cui un illusionista giura di non avere trucchi nelle maniche. E noi ridiamo, scuotiamo la testa, ma in fondo sappiamo che facciamo parte dello stesso gioco. Il teatro della vita è gratuito, ma non per questo meno impegnativo. Richiede presenza, adattamento, un minimo di spirito critico e, soprattutto, la capacità di non prendersi troppo sul serio. Perché se non riusciamo a ridere dell’assurdo, rischiamo di esserne schiacciati. Allora, forse, la vera filosofia non è quella che cerca verità assolute nei libri polverosi, ma quella che si esercita nel quotidiano: nell’arte di osservare, di sorridere, di capire che anche un litigio sul parcheggio può avere la dignità di una tragedia greca. È un modo di “divulgare” filosofia senza renderla spicciola: riportarla alla vita, dove è nata, tra mercati, piazze e osterie. E se proprio dobbiamo accettare di essere parte di questa commedia infinita, tanto vale imparare a godercela. Non c’è prova generale, non c’è serata d’esordio. Si va in scena tutti i giorni, spesso impreparati, e il pubblico — che poi siamo noi stessi — non sempre è clemente. Ma forse è proprio questo il segreto: accettare l’imperfezione come parte del copione. Ridere quando sbagliamo battuta, improvvisare quando dimentichiamo le parole, sorridere quando la scena sembra tragica. Perché, alla fine, in questo teatro senza biglietto, l’assurdo non è il nemico da combattere, ma l’alleato che ci ricorda che siamo vivi. Che non siamo macchine, ma esseri capaci di cadere e rialzarci, di ridere e piangere, di cambiare ruolo da un atto all’altro. Allora, benvenuti a teatro. Lo spettacolo è già iniziato, e non ci sarà replica. Tanto vale, almeno, divertirsi un po’.

 
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