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from fokewulf

moto

A patto di non correre troppo e mettere a repentaglio la vita propria e altrui, andare in moto non è solo un’esperienza entusiasmante sulla strada, ma può anche portare notevoli vantaggi per la tua mente e il tuo benessere generale. Perché questo articolo? Beh, qualche giorno fa osservavo la mia Er6n in stand by, in attesa che le temperature mattutine di Milano si mantengano sopra i dieci gradi. Lo spirito è quello del 20enne ma il corpo (quello del 53enne) non è così d’accordo di prendersi il freddo invernale che ti ghiaccia anche le ossa. La osservavo e non vi nascondo che avevo un gran voglia di salire in sella e farmi una giretto. Improvvisamente mi sono ricordato di un articolo di qualche anno fa (2012) che metteva in risalto l’efficacia e i benefici che “l’andare in moto” potesse contribuire positivamente alla salute mentale, rinforzando la memoria e riducendo lo stress. Purtroppo ne ho perso qualsiasi riferimento link o altro.

Ma a sostenere la tesi degli effetti benefici della moto sul cervello erano alcuni scienziati giapponesi dell’Università di Tohoku, che avevano realizzato una ricerca insieme ad alcuni esperti della nota casa motociclistica Yamaha Motor (ok potrebbe sembrare di parte, o forse lo è proprio… Di parte) Per questi i ricercatori i motociclisti riescono a far funzionare più velocemente il loro cervello, anche quando si trovano a vivere in ambienti caratterizzati da ritmi di vita blandi.

Nonostante possa apparire il contrario, la guida in moto non è solo un’attività fisica, ma anche un potente esercizio per la mente. Durante il viaggio, il cervello è costantemente impegnato nell’elaborare una vasta gamma di informazioni provenienti dall’ambiente circostante. L’analisi rapida delle condizioni stradali, la valutazione delle situazioni di traffico e la necessità di prendere decisioni istantanee stimolano il pensiero critico. Questa stimolazione cognitiva può contribuire al mantenimento delle funzioni cerebrali e al potenziamento delle abilità di concentrazione nel tempo.

Potrebbe sembrare una cosa salutare e in parte lo è. Solo chi ha la passione delle due ruote riesce intravedere il vero in quello che ho detto prima. Solo chi non è mai salito su una moto e non l’ha mai guidata potrebbe accennare a un sorriso malizioso.

Non vi è dubbio che guidare una moto offre una fuga dinamica dalla routine quotidiana, permettendo al corpo e alla mente di liberarsi dallo stress accumulato. La sensazione di libertà mentre si percorrono le strade aperte e la concentrazione richiesta nella guida agiscono come una sorta di terapia naturale. Il rilascio di endorfine, gli “ormoni della felicità”, durante la guida contribuisce a ridurre i livelli di stress e a promuovere una sensazione di benessere psicologico.

Vi siete mai soffermati che la guida in moto coinvolge il cervello in una complessa coreografia di azioni: dalla coordinazione delle mani e dei piedi alla costante valutazione delle condizioni stradali. Questo coinvolgimento attivo della mente favorisce il potenziamento della memoria a lungo termine. La necessità di ricordare dettagli specifici della strada, l’orientamento costante e la gestione delle informazioni essenziali durante il viaggio contribuiscono al potenziamento delle funzioni mnemoniche, favorendo una memoria più nitida e reattiva nel tempo.

La guida in moto diventa un’opportunità unica per praticare la mindfulness in movimento. Essere pienamente presenti nel momento, sentire il vento che sfiora il viso e percepire ogni curva della strada richiedono un’attenzione totale. Questa forma di consapevolezza durante la guida si traduce in una sorta di meditazione in movimento.

Durante il viaggio in moto, il motociclista si sintonizza con ogni dettaglio del percorso: il suono del motore, il profumo dell’aria, la temperatura che cambia. Questo stato di presenza mentale totale agisce come un efficace antistress, aiutando a sgomberare la mente dalle preoccupazioni quotidiane. L’esperienza diventa una sorta di rituale zen su due ruote, in cui la strada diventa il tappeto su cui si svolge la pratica di mindfulness.

Inoltre, la guida in moto offre la possibilità di staccare mentalmente dalla frenesia della vita moderna. Lontano dalle distrazioni digitali e immersi nell’ambiente circostante, i motociclisti possono godersi momenti di tranquillità mentale, creando un legame più profondo tra mente, corpo e paesaggio. Questo equilibrio tra azione e consapevolezza contribuisce a ridurre lo stress e a promuovere una sensazione di calma interiore.

Per me andare in moto non è solo un mezzo di trasporto, ma anche una forma di terapia per mente e corpo.

Durante la settimana lavorativa, quando il tempo e le temperature me lo permettono è la parte migliore della giornata.

Nonostante il traffico milanese, il fatto di essere in moto e in qualche modo essere in grado di non subirlo (il traffico). Libera la mia mente e lo spirito di uno stress che rende molto nervosi.

Molte volte mi accorgo di notare cose o cambiamenti su un percorso che anche potrebbe sembrare immutabile mentre sei in auto, in moto non lo è.

Molte volte sopratutto in primavera (la stagione migliore per andare in moto) si possono sentire i profumi che cercano di avere la meglio su asfalto e gas di scarico. Molte volte riscopro la leggerezza e la serenità interiore mentre rientro a casa dopo una giornata di lavoro stressante. Solamente già quando sali in sella e metti in moto.

Quindi, mettiti il casco, avvia il motore e goditi i numerosi vantaggi che questa attività può offrire alla tua salute mentale.

Un’ultima cosa. State attenti, la moto non è gioco. Come soleva dire Nico Cereghin “Luci accese, anche di giorno; casco in testa e prudenza. Sempre!”

Un doppio flash!

 
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from Blog in Blu

BAM – Ottimi risultati

Ieri sotto la pioggia e un forte vento, tanto che in alcuni casi il serpentone di persone si è spostato di colpo, ha avuto forma la Brescia Art Marathon. Nel mio caso una mezza senza arte ne parte, ma con solo la voglia di fare un lungo lento. Bè cosi è stato, nonostante il meteo, la pausa “anfratto” (in Brescia di cespugli non ce ne sono!), è andata alla grande! Dopo la Verdi una settimana di stop per recupero e poi una settimana di pochi chilometri. La voglia era solo di farla non come gara ma per società e divertimento, cosi è stato, ho perso il Tapo subito (lui ha fatto un gran bel tempo) per la pausa “anfratto” poi sono andato al mio passo, non ricordo a che chilometro ho incontrato “l'amico della Verdi”, lui è stato fermo un mese per un operazione e sta preparando il Passatore! Verso la fine una scena che mi ha fatto pensare di mollare le gare e la FIDAL.

Ovviamente le strade in caso di gare in città sono ferme (per 3/4h) e mentre i pedoni facevano il tifo (nonostante il meteo), gli automobilisti erano incazzati, insulti e clacson, poi agli insulti un podista davanti a me non ce l'ha più fatta ed è tornato indietro a muso. Ma anche no...perchè devo correre per essere insultato? Perchè devo fare le gare in posti dove la gente non vuole avere rispetto? Perchè io a piedi devo rispettare la strada nonostante sappia che la strada è libera per me, eppure corro su un marciapiede per rispetto degli automobilisti?Ha senso? A piace correre, ma essere insultato mentre corro anche no, anche basta. MA di domenica io DEVO andare al lavoro ed essere gentile, anche se sono incazzato/triste/e quant'altro MA non posso esternarlo ai clienti, a loro sempre gentile...MA poi appena possibile si insulta il prossimo qualsiasi cosa accada. Pensiero sbagliato? Egoista? Si ma a questo punto correre in città da fastidio? Bene a questo punto VOGLIO dare fastidio. Chi sbaglia? Tutti! Chi ha ragione? Tutti!

Citando una STRAMILANO:” Andate a correre in Brianza”... immaginate la risposta.

 
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from Liberamente

L uomo del tempo Simpatizzanti del Paranormale, in quest’occasione vorrei portarvi a conoscenza di un episodio veramente strano, documentato (non come si può pensare ad una “leggenda metropolitana”). Spicchiamo un salto a ritroso nel giugno 1950 e ci trasferiamo a New York. Un uomo, vestito in modo insolito, antiquato, con cappello a cilindro, giacca con una fila di bottoni sul retro, pantaloni a scacchi bianchi e neri aderenti, senza pieghe né risvolti, con scarpe alte con fibbie, è visto in Times Square. È un uomo sulla trentina, che si aggira tra la folla che usciva dal teatro.In quell’occasione i testimoni riferiscono di averlo visto immobile, sconcertato in mezzo ad un incrocio, mentre osservava i semafori, come se non li avesse mai visti prima. Quando finalmente si mosse, lo fece incautamente e un taxi lo investì in pieno, uccidendolo sul colpo. Portato all’obitorio, cercando i documenti, trovarono: una moneta falsa d’ottone e il conto di una scuderia di Lexington Avenue che portava scritto: “Per nutrimento e alloggio di un cavallo”. Un secondo tagliando per il parcheggio di una carrozza di $ 3;70 dollari in contanti, tutti in vecchie banconote e alcuni biglietti da visita sui quali era stampato il nome Rudolf Fentz, abitante nella Fifth Avenue.Infine fu trovata una lettera indirizzata al suddetto nome, recante il timbro postale del giugno 1876. Nessuno degli oggetti elencati mostrava segni del tempo e dell’usura .Il capitano Hurbert V. Rihm, che prestava servizio presso il dipartimento di polizia, ebbe l’incarico di fare indagini (era suo abituale compito per le persone scomparse); quindi prese in mano il caso… Iniziò le ricerche e risultò che l’indirizzo della Fifth Avenue corrispondeva ad un magazzino, i cui proprietari dichiararono che per quanto ricordassero, il magazzino era esistente da sempre.Nessuno però aveva mai sentito parlare di Rudolf Fentz .Non si riuscì neppure a trovare questo nome sugli elenchi telefonici. Si controllavano le impronte digitali negli archivi di New York e di Washington … ; nulla!Il capitano Rihm continuò le sue indagini, imperterrito, caparbio, e finalmente la sua costanza fu premiata: In un vecchio elenco telefonico del 1939 trovò un Rudolf Fentz Jr, con relativo indirizzo in città. Giuntovi, alcuni abitanti ricordarono il fantomatico Fentz come un uomo sulla sessantina, che aveva lavorato in una banca del vicinato, andato in pensione nel 1940 e cambiata casa. Rihm trovò la banca, vi fu la conferma di tutto e seppe che la vedova era ancora vivente, in Florida. Le scrisse una lettera, ed essa rispose:” … il padre di mio marito era scomparso misteriosamente nella primavera del 1876…una sera di primavera uscì per fumarsi un sigaro, e non fece più ritorno!”.Nella lettera v’era pure che la famiglia spese veri e propri capitali per cercarlo, ma non approdò a nulla. In seguito il capitano Rihm riuscì trovare il nome di R. Fentz su una lista delle persone scomparse nel 1876…Gli abiti descritti erano esattamente quelli indossati dall’uomo investito e ucciso! Che dire? Lascio a voi decidere quale possa essere una risposta soddisfacente …Non ho aggiunto o tolto nulla ai fatti documentati!

Visitate il sito Liberamente: https://liberamente.news

 
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from Cyberdyne Systems

markdown Fonte: Wikipedia

Il markdown che uso su noblogo con l'aggiunta di un po' di html per quello che, con il markdown, non riesco ad ottenere.

1. Formattazione

– Header (sintassi):

# This is the biggest header (h1) ## This is still a big header (h2) ### This is a smaller header (h3) #### This is a smaller header (h4) ##### This is a smaller header (h5) ###### This is the smallest header you can make (h6)

– Header (esempio):

This is the biggest header (h1)

This is still a big header (h2)

This is a smaller header (h3)

This is a smaller header (h4)

This is a smaller header (h5)
This is the smallest header you can make (h6)

– Grassetto (sintassi):

Lorem **ipsum dolor** sit amet

– Grassetto (esempio):

Lorem ipsum dolor sit amet


– Corsivo (sintassi):

Lorem _ipsum dolor_ sit amet

– Corsivo (esempio):

Lorem ipsum dolor sit amet


– Corsivo e grassetto (sintassi):

_Lorem ipsum dolor sit **amet, consectetur** adipiscing elit._

– Corsivo e grassetto (esempio):

Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit.


– Barrato (sintassi):

Lorem ~~iuppssum~~ ipsum dolor sit amet

– Barrato (esempio):

Lorem iuppssum ipsum dolor sit amet

2. Liste

– Lista puntata (sintassi):

* elem 1 * elem 1.1 * elem 1.2 * elem 2 * elem 3

– Lista puntata (esempio):

  • elem 1
    • elem 1.1
    • elem 1.2
  • elem 2
  • elem 3

– Lista numerata (sintassi):

1. elem 1 1. elem 2 1. elem 2.1 1. elem 2.2 1. elem 1.2

– Lista numerata (esempio):

  1. elem 1
  2. elem 2
    1. elem 2.1
    2. elem 2.2
  3. elem 1.2

– Immagine (sintassi):

![testo](https://url)

– Link (sintassi):

[testo](https://url)

4. Citazioni e syntax highlighting

– Quotes (sintassi):

> Duis suscipit ex id leo tristique sagittis. > Sed vitae volutpat erat, at vestibulum dolor.


– Codice inline (sintassi):

`ps -ef | grep python`

– Codice inline (esempio):

ps -ef | grep python


```bash #!/usr/bin/bash ... # Modifica la chiave privata KEY_MOD=“${KEY}” echo

while true; do echo -en “Chiave privata: ${KEY}\nInserisci la nuova chiave privata: “; read KEY_MOD if [[ -z $KEY_MOD ]]; then KEY_MOD=“${KEY}”; break elif [[ ! $(echo “${KEY_MOD}” | oathtool -b – 2>/dev/null) ]]; then err_msg “${INVALID_KEY_ERR}” 0; KEY_MOD=“${KEY}” else break fi done ... ```

– Syntax highlighting (esempio):

#!/usr/bin/bash
...
# Modifica la chiave privata
    KEY_MOD="${KEY}"
    echo

    while true; do
        echo -en "Chiave privata: ${KEY}\nInserisci la nuova chiave privata: "; read KEY_MOD
        if [[ -z $KEY_MOD ]]; then
            KEY_MOD="${KEY}"; break
        elif [[ ! $(echo "${KEY_MOD}" | oathtool -b - 2>/dev/null) ]]; then
            err_msg "${INVALID_KEY_ERR}" 0; KEY_MOD="${KEY}"
        else
            break
        fi
    done
...

5. Misc

– Elenco di riferimenti (sintassi):

**Riferimenti:**

<small>

1. <i><a href=“https:/url_riferimento1”>riferimento1</a></i> 1. <i><a href=“https:/url_riferimento2”>riferimento2</a></i> 1. <i><a href=“https:/url_riferimento3”>riferimento3</a></i> ... </small>

– Elenco di riferimenti (esempio):

Elenco di link:

  1. riferimento1
  2. riferimento2
  3. riferimento3 ...


– TOC (sintassi):

1. <a href=”#anchor1”>Capitolo 1</a> 2. <a href=”#anchor12”>Capitolo 1.2</a> 1. <a href=”#anchor2”>Capitolo 2</a> 2. <a href=”#anchor21”>Capitolo 2.1</a> 2. <a href=”#anchor22”>Capitolo 2.2</a> 2. <a href=”#anchor22”>Capitolo 2.3</a> 1. <a href=”#anchor3”>Capitolo 3</a> ... ## <a id=“anchor1”>Capitolo 1</a> ### <a id=“anchor12”>Capitolo 1.2</a> ## <a id=“anchor2”>Capitolo 2</a> ### <a id=“anchor21”>Capitolo 2.1</a> ### <a id=“anchor22”>Capitolo 2.2</a> ### <a id=“anchor23”>Capitolo 2.3</a> ## <a id=“anchor3”>Capitolo 3</a>

– TOC (esempio):

  1. Capitolo 1
    1. Capitolo 1.2
  2. Capitolo 2
    1. Capitolo 2.1
    2. Capitolo 2.2
    3. Capitolo 2.3
  3. Capitolo 3

...

Capitolo 1

Capitolo 1.2

Capitolo 2

Capitolo 2.1

Capitolo 2.2

Capitolo 2.3

Capitolo 3


– Footnotes (sintassi):

Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit. <small><a id=“link_nota_1” title=“vai alla nota 1” href=”#nota_1”><sup><strong> [1] </strong></sup></a></small>Proin lacinia mi tellus, ut cursus nibh bibendum eu.

Cras pretium ultrices scelerisque. In ultricies libero in vehicula semper.<small><a id=“link_nota_2” title=“vai alla nota 2” href=”#nota_2”><sup><strong> [2] </strong></sup></a></small>Etiam quam nisi, dapibus ac tempor vel, vestibulum eu diam.

...

**Note:**

1. Questa è la nota 1<a id=“nota_1” title=“torna su” <sup><b> [↵] </b></sup></a> 1. E questa è la nota 2<a id=“nota_2” title=“torna su” href=”#link_nota_2”><sup><b> [↵] </b></sup></a>

</small>

– Footnotes (esempio):

Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit. [1] Proin lacinia mi tellus, ut cursus nibh bibendum eu.

Cras pretium ultrices scelerisque. In ultricies libero in vehicula semper. [2] Etiam quam nisi, dapibus ac tempor vel, vestibulum eu diam. ... Note:

  1. Questa è la nota 1 [↵]
  2. E questa è la nota 2 [↵]


– Aggiunta tags (sintassi):

#tag1 #tag2 #altroTag

– Aggiunta tags (esempio):

#tag1 #tag2 #altroTag


– Leggitutto (sintassi):

<!--more-->


Separatore orizzontale (sintassi):

---

Note:

  1. https://github.com/rouge-ruby/rouge/wiki/List-of-supported-languages-and-lexers [↵]

#markdown

 
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from bobpelle

Sto lavorando a un configuratore di prodotti personalizzabili in html/javascript, quando scopro che jQuery è jQueryUI hanno dei problemi con gli eventi touch quindi c’è soprattutto casino per gestire il trascinamento. Ho visto che esistono dei “workaround” ma non voglio esagerare nel far scaricare troppa spazzatura al browser. Mi metterò a cercare esempi di giochi per mobile scritti in JavaScript che sicuramente funzionano e possono funzionare da fonte di ispirazione. Spero.

 
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from 𝓐𝓵𝓮𝓼𝓼𝓪𝓷𝓭𝓻𝓪 & 𝓖𝓲𝓪𝓭𝓪

Oggi piove, e i pensieri fluiscono come capita a volte qualche mattina della mia vita.

Ho fatto un sogno improbabile, di cui ricordo pochi spezzoni, come un film fatto di scene tagliate da un montatore pazzo.

La pioggia cade e la trascendenza mi prende, e penso al reale e al virtuale, alla mia vita e alla vita di Alessandra, di Giada, che sono sempre io. Il mio essere uomo-donna.

Quella che qualche anno fa sarebbbe stata una malattia incurabile, da ricovero senza fine in manicomio, oggi è la mia forza, la mia essenza di creatura unica e per quanto ho visto fino ad adesso, rarissima.

Mi cullo nella musica che fa volare e rende leggeri i miei pensieri, li trascina dietro di sè, prendendoli per mano, li fa volare in un cielo etereo e vastissimo, dove c'è calma e libertà, dove non esistono civiltà e popolazioni, dove non esiste violenza e sopraffazione, ma solo volo e libertà, fenza fine.

Ho sempre amato la musica, è sempre stata la mia droga e mi ha aiutato nei momenti bui della mia vita, soprattutto negli ultimi anni, quando il mio corpo ha deciso di andarsene per fatti suoi e decadere anno dopo anno, ammalandosi delle cose più strane e improbabili. Mentre il drogato trova conforto nel non pensare, stordendosi con una siringa, io mi lascio trasportare dalla musica e ascolto con più voglia, con più passione, metto le cuffie per ascoltare meglio e volo con Lei.

Stamattina il sentimento mistico mi ha colpito ancora di più, entro nell'introspettiva di me stesso e ci trovo calma e indecisione, e paura e rassegnazione, e voglia di rendere felici gli altri, voglia di sistemare il sistemabile e tristezza per quelle cose che non potranno mai essere sistemate, perché ci sono persone che non vogliono farlo.

E penso, il giorno dopo la festa della donna, a tutte quelle donne schiacciate dal comportamento umano, dalle religioni, dalle culture e dai sinoli individui. Sono persone che non fanno rumore, sono persone rispettose di quelle religioni e di quelle culture, altrimenti, se solo volessero, sarebbero abbastanza numerose da rivoltare quelle religioni e quelle culture, avrebbero abbastanza forza da entrare nei palazzi e buttare giù dai balconi gli esseri arroganti e prepotenti che decidono la loro vita e la loro morte.

Una vera rivoluzione femminile, mondiale, sarebbe inarrestabile, come un fiume in piena che si porta appresso i detriti delle distruzioni di poco prima e li usa per distruggere tutto quello che incontra lungo il suo percorso.

Ma chi è nato dalla parte fortunata del mondo non può immaginare nemmeno, sono numeri, e i numeri si dimenticano in fretta. La donna in me invece grida, grida il bisogno di libertà non mia, ma delle donne abitanti del pianeta terra, senza alcuna distinzione, libertà di vivere come vogliono, di scegliere il proprio amore e la propria passione, libertà di capire, di sperimentare, di viaggiare, portate dalla propria anima là dove vogliono andare, seza corde, catene, celle. E senza inutili guerre, scellerate, segno dell'idiozia dell'umanità.

ღ 𝒜𝓁ℯ𝓈𝓈𝒶𝓃𝒹𝓇𝒶 𝒲𝒽𝒾𝓉ℯ ღ @AlessandraSospiro@mastodon.uno

 
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from Mi chiamo Valeria

[Mi chiamo Valeria]

Fabrizio: Allora dimmi un po, tu quando sei nata e dove, all’incirca? Valeria: All’incirca sempre, sono nata al ponte vecchio, al ponte vecchio, un posto molto antichissimo, che in questo ponte vecchio ci son ci son dei pezzi di muro che le belle arti di Urbino le han lasciate li, e il ponte vecchio l’han buttato giù, cioe’ non tutto, un pezzo del ponte vecchio, e’ rimasto, diciamo, cosi’ eh. Le belle arti... han fatto un ponte un po’ piu’ in giù dal fiume Foglia, si chiama questo fiume Fabrizio: Ma dove si trova questo Ponte Vecchio? Valeria: Si trova nella provincia di Pesaro, nella provincia di Pesaro. Non molto lontano, saranno venti chilometri da Pesaro. Fabrizio: Quando? Valeria: Ah ma vuoi far dir i miei anni eh? Sono nata il sedici di giugno del millenovecentoventuno (facendo finta di proclamarlo). Fabrizio: Oh! Valeria: Ca puttana. (ride). E’ lontano, mi sembra ieri. Fabrizio: Ah si? (ride) E dimmi un po’... come passavi, diciamo cosi’, il periodo della tua gioventu’? Valeria: Dell’infanzia? Fabrizio: Dell’infanzia. Valeria: In mezzo a tutti i ragazzini, tutti mezzi delinquenti. Delinquenti no, ma per dire no... Sono proprio... Sai com’e’ in un paese cosi, un paesino. Un villaggio -anzi- era quello li’! E l’ho passata. Io caro mio... son sempre io. Pensavo a quelle cose mie, mi nascondevo, andavo nei capannini dei cacciatori. In mezzo c’era un bosco che si chiamava, “tra gli alberi”, noi lo chiamavamo. Perche’ eran tutti alberi, no? Insomma mi isolavo. Mi piaceva di isolare, sognare, parlare no? Leggere leggere leggere; tanto io da anni sapevo leggere. Tutto mi interessava di leggere, solo che... non c’erano libri, non c’era niente. Fabrizio: Cosa leggevi ? Valeria: Embe’ a parte questi qui, qualsiasi cosa che io trovavo. Pero’ se ti devo dire, capisci, in casa mia libri non c’erano. Naturalmente come e’ cominciata la scuola... e per me quel libro che mi davano il su... il sussidiario si chiama no?, in una mezz’ora l’av letto tutto. Non avevo altro da leggere. Pero’ se potevo trovare qualsiasi cosa, anche nelle case vecchie, leggevo, pur de poter leggere. Questo si’.

[La medicina]

Fabrizio: Dove mangiavate con... Valeria: Si mangiava in una cucina grandissima. C’era un tavolo lungo, poteva essere cinque o sei metri... anche de piu’... anche di piu’. Tavolo tutto lungo, con le panche. E mi ricordo che una volta... Allora tiravano giù questi paioli con la pasta, la minestra, e si portava vicino al tavolo, di modo che si tirava su coi mestoloni sta pastasciutta o minestra qual’era, per metterla nei piatti, e si disponeva su questo tavolo lungo no? Una volta c’era mio cugino si era seduto in fondo a questa panca dove ci si sedeva, e poi ad un certo punto io mi son seduta in cima. Dall'altra parte. Il caldaio era li: io mi son seduta, lui s’e’ alzat’, la panca e’ andata giù, io so cascata col sedere (ride) dentro il paiolo. Un urlaticcio, un urlaticcio. Ci ho ancora tutti i segni, ci ho. Veramente. Fabrizio: Mi fido Valeria: (ride) La nonna era la medica, era un'ostetrica, era di tutto. In quattro e quattr’otto ha fatto una crema, una pomata, non lo so cosa... Ti dico una cosa. Fabrizio: cosa? Valeria: Mi ricordo che per esempio, non so, mettiamo che tu avevi un’infiammazione dietro l’orecchio, io mi ricordo d’averla avuta. Allora dal lavandino c’era uno scalino che andava poi in discesa con l’acqua che veniva giù, non andava per la casa, capisci?, e faceva una posa di acqua. Fabrizio: Una posa? Valeria: Intorno, sotto poi, faceva una muffa nera no? E questa muffa nera ti guariva se avevi l’eczema e una cosa ed un’altra. Fabrizio: Ah si? Valeria: E questa e’ la verita’. Veramente. Come un’altra cosa. Questa forse la sanno un po’ tutti. Mettiamo che ti veniva l’herpes no?, alle labbra, o al naso, quando uno aveva bambini piccini, capita. E questa nonna dice “giù, mettete un velo della cipolla”. Hai visto la cipolla che fa quel velo bianco? Se tu hai l’herpes mettilo lì sopra che ci guarisce in un momento, con il velo della cipolla, o altrimenti andiam a far la pipi’... (cade il microfono) Valeria: ... per esempio si andava, se si faceva la pipi’, allora si andava fuori, nei campi. Insomma, lì fuori. E allora mia nonna ci dice “andate la, con un dito, quando fate la pipi’, mettete il dito sotto la pipì e poi ve lo mettete lì, dove c'è l'herpes”. Un lampo era. Si guariva immediatamente. Questo lo sapevi? Fabrizio: Che schifo (ride). Valeria: Con la pipi’, si. Con le orine. Fabrizio: Ah, non... non c’era il bagno? Valeria: No, no, no a quei tempi là no.

[Educazione familiare]

Fabrizio: Quando e’ che hai iniziato ad aiutare in casa? Valeria: Ad aiutare? Fabrizio: In casa. Valeria: Oh, carino mio! Avev cinqu’an. Guarda, io avevo cominciato per necessita’, la mia mamma e’ andata via. Non c’e’ stata mortalita’, ma ci son state le malattie. C’era una famiglia li nel Rio Salso, una famiglia che stava bene, benestanti, non avevano figli. E a mia mamma gli avevano tanto fatta la lunga, che mi dovevano dare a loro, non per figlia, pero’ da andare a stare con loro, alleviavo anche la situazione familiare. Loro m’avrebbero adottato. Cioe’ adottato, un momento: no. La mamma era sempre la mamma. Pero’ loro m’avrebbero dato una dote, m’avrebbero fatto sposare, una cosa ed un altra. E mia madre allora, era d’inverno, ha fatto di tutto per prepararmi tutta la mia piccola dote, da mandarmi da questa famiglia. Ma io ero ignara a queste cose, non la capivo. Pero’ e’ stato, che non ci sono andata. Fabrizio: Come mai? Valeria: Prima di tutto lui era un uomo che non mi sarebbe piaciuto, vivevano in una stanza con una tenda, e dietro la tensa c’era la camera. Io dove dormivo? Io tante volte ci penso. Lei mi chiedeva sempre di farle dei piacerini, ero una bambina. E poi mia mamma s’e’ ammalata. Ero piccina, capirai, fevo la prima elementare, e mi ricordo che mio padre m’aveva detto: “E’ ora di mettere il giogo”. Fabrizio: ah Valeria: Pensa un po'. E sai cosa mi faceva rabbia: che a me me l’aveva detto, ma alle altre due sorelle no. Ma capisci che l’altra aveva due anni meno di me, e la piccina ancora appen appena camminava, andava a gattoni. Ma in quel momento mi aveva dato dolore, una passione al cuore mi era venuta. Poi, mia mamma poverina e’ andata a lavare i panni, allora non si lavava in casa, c’era il pozzalone. Fabrizio: il pozzalone Valeria: il pozzalone, mia madre e’ andata a sciacquare il bucato, a questo pozzalone. Prima ha fatto il bucato e poi e’ andata a sciacquarlo in questo pozzalone, e mi ricordo che m’ha chiamato “Portami la giacca di tuo padre, qualcosa da metter nelle spalle”. Aveva freddo. Io ci ho portato una giacca di mio padre, ma lei gli e’ venuto una pleure. Quella volta una pleure era molto pericolosa, non si guariva come adesso, capisci. Ha avuto una pleure ‘sta donna, e praticamente e’ andata avanti con ‘sta pleure. Alla fine aveva paura anche il dottore e aveva detto che sarebbe venuta anche una tisi. E’ andata avanti questa pleure e le ha portato delle complicazioni. Le è venuta anche una peritonite, del liquido nella pancia. È stata sei mesi a letto, ricordatelo. Fabrizio: ... Valeria: E io chi ero? Ero quella che faceva le faccende e schiaffoni. No, non che mio padre mi picchiasse, ma i vicini. Sì io me ne rendevo conto perche’ io soffrivo tantissimo che mia madre stava male, me ne capivo. Poi sentivo parlare i grandi: loro credevano che io non sentissi, ma sentivo tutto, immagazzinavo tutto quello che stava succedendo, veramente e gravemente a mia madre. Mi ricordo che una volta una zia che mi e’ venuta a casa mi dice, mentre io scopavo in mezzo nella stanza, “no, non si deve scopare solo in mezzo, anche sotto i mobili, tutto quanto”. E mi e’ rimasto proprio qua, pensa tu. È una cosa che non l’ho mai dimenticata. Mia madre era sei mesi che era stata male, io facevo tutto, facevo da mangiare, prendevo un banchelino alto cosi’ e facevo la pasta, ma ci pensi tu? Mi ricordo che mio padre poverino lavorava, gli dovevo portare da mangiare a mezzogiorno, al lavoro. Facevano i muratori, lavorava anche, per esempio, nei fiumi. Io non so che lavoro gli davano il comune, stivaloni cosi’ sempre a bagno nell’acqua. Io mi ricordo allora una volta che si rimaneva senza pane: come facevo a fare il pane? E li’ la gente, aiutavano quel che potevano; la nonna, cosi’ i parenti, e via. Pero’c’ero io, si, insomma “s’ntant c’e’ quella burdella che fa tante, fa lei il lavoro”. Mi ricordo che gli facevo la piadina, la romagnola no, la piadina, certo non era la piadina che facciamo adesso: acqua e sale e niente. L’impastavo e mi dimenticavo di mettere il sale, era sciapa. E gliela portavo sul lavoro, non mi ricordo con che cosa, mi ricordo, poverina, Madonna mia. Noi la chiamavamo crescia. E poi per cuocerla, l’accendevo sotto il pannaio, un pannaio cosi’, di coccio, no, sotto col fiamma e io dovevo girare, veniva un po’ cotto un po’ crudo, ma chissa’ come veniva, non me la ricordo! Capirai: una fiolina di sei sett’anni. Cosa vuol fa? Comunque lavoravo come una matta. Mi ricordo che una volta c’era il medico di sopra, e tutti i parenti, non so: la nonna, mia madre, chi e’ che stava li vicino a mia madre, erano di sopra. E io ero di sotto ho preparato la minestrina, poi c’erano delle teierine, cosi’ dove mettere la dentro, la minestra, l’ho messa sopra il tavolino. Non veniva giù nessuno mi son messa a mangiare. Viene giù il dottore per una scala, c’era l’ambiente sopra e sotto. “Brava, brava cocchina, brava” mi dice il dottore. “Oh, se nessuno viene io mangio”. Io non badavo a niente, chiack chiack chiack (mima il rumore di chi mangia la minestra). (ride) Purtina.

[La famiglia e la casa]

Fabrizio: Eh dimmi un po’, chi e’ che faceva da mangiare? Valeria: Ah, da mangiare, c’era la nonna che lei sarebbe stata la capoccia. La casa era di mio papa’, ma era tutto attaccato, tutto insieme. Era un caseggiato tutto lungo. Una volta era una sola famiglia, poi col tempo andare, si sono attaccati. Anche mio papa’ abitava lo stesso li’ nella prima casa in cima, ma era tutto attaccato, capisci. Sono gia’ tre quattro cent’anni ormai che i XXXX erano li’. Ed erano tutti in una famiglia. Pensa che, quando mia mamma era una bambina, lo sai quant’erano in famiglia? Fabrizio: No. Valeria: In trentacinque! Fabrizio: In trentacinque? E chi e’ che c’era? Valeria: Perche’ c’erano molti getti. Getti nel senso di famiglie. Ecco, e’ quello che ti sto dicendo. Dalla mia mamma erano in tre getti, dal mio nonno dal mio papa’, insomma anche li. Poi io, quando sono nata io, erano due getti, erano i due fratelli con le due spose, e c’era la nonna, la mamma e lei sarebbe la capoccia! Comandava tutto: dirigeva tutto lei. Fabrizio: Quindi quant’eravate in tutto? Valeria: Lì dalla nonna, dove poi sono cresciuta io bambina non eravamo in tanti. Io ero, io con le mie sorelle eravamo in tre, ma l’altra famiglia erano sei/sette. I figli, capisci? Fabrizio: Quindi in tutto? Valeria: C’era la nonna, il babbo, la mamma; la nonna, il babbo, la mamma di quell’altro che sono 2, 4, 5 poi 6, 7, 8 poi c’eran sett/otto saran stati sedici persone. Ecco. Metti quindici/sedici persone. Fabrizio: E le stanze? Valeria: Sedici persone, poi c’era uno zio che era andato in america, lui era andato via giovane... Le stanze? Fabrizio: Le due famiglie che c’erano... mangiavate tutti assieme? Valeria: Tutt’insieme. Fabrizio: E quindi la casa – diciamo – era comunicante? Tu potevi andare nella stanza... Valeria: Ma era tutta una casa! Fabrizio: Era tutt’una casa. Valeria: Tutt’una casa. Ognuno aveva le sue camere, ma era tutt’una cucina... Era tutt’una casa. Fabrizio: Ho capito. Valeria: Come dai XXX avevano cinquantamila stanze, ognuno la sua stanza... e poi c’era la stanza dei ragazzi, una stanza che era di passaggio, dormivano sei, sette, otto di ‘sti giovani, per dire no?. Fabrizio: E se un figlio si sposava, dove andava? Valeria: Se un figlio si sposava, beh. Faceva i getti. Erano cinque, erano sei getti, uno per figlio. E quella volta non c’era famiglia, marito e moglie che avessero avuto solo un figlio o due. Sette, otto, dieci figli e via oltre la mano. Hai capito? Fabrizio: Ho capito. Valeria: Tipo mio nonno si è sposato ed e’ andato... sempre nella stessa casa, da li’ e’ andato al piano di sotto.. I figli hanno sposato e sono andati fuori, tutti fuori. I figli di questi qui, ognuno ha preso la sua strada. Fabrizio: Ho capito, pero’ prima invece... Valeria: Prima si faceva una famigliolona, poi hanno cominciato ognuno la sua famiglia. Fabrizio: A che eta’ ci si sposava? Valeria: Ah come adesso. Non e’ che c’erano delle differenze. Potevano sposare a venti, ventidue, ventiquattro. Diciassett... che poi non lo permettevano nemmeno tanto piccoline, giustamente. L’eta’ giùsta, come adesso.

[lavoro minorile]

Fabrizio: Quand’e’ che hai iniziato a lavorare... un lavoro vero diciamo, non gli aiuti in casa.... Valeria: Purtroppo aiutavo nelle campagne, ai contadini. Noi non eravamo contadini. Mio padre era un muratore, pero’ la gente ci veniva a chiamare perche’ eravamo molto brave, e insomma il lavoro lo facevamo, eh, lo facevamo diciamo, con molta voga. Insomma lavorevamo molto, eravamo brave, ecco diciamo. ‘Eravamo’ perche’ non ero da sola. Pero’ io sono stata sempre quella piu’ prezzata, le altre se le squagliavano, andavano da altre parti. Eh, si e’ cominciato molto molto presto. Fabrizio: Quanti anni avevi? Valeria: Ero una bambina, una ragazzina. La mia mamma aveva messo su una pecorella, prima... Fabrizio: Una? Valeria: Una pecorella. Aveva messo su una pecorella, e andavo via. (ride) Fabrizio: E andavi? Valeria: Andavo a pastorarla, no? Dove ci si poteva, perche’ io non avendo niente, ne terreni ne, ne campo per farla mangiare, dovevo andare dagli altri. Pero’ dovevo stare molto attenta perche’ se ‘sta pecorella, se mi andava nella spagna -spagna nel senso di un erba che si chiama spagna – si gonfiava come una palla e poteva benissimo morire. E io – per me – era sempre gonfia. Perche’ andavo li’, io avevo una bambolina, giocavo, capisci, giocavo. Certo: non stavo molto molto attenta, insomma, e lei mi fregava. Perche’ sapeva dove non doveva andare, quella volta che andava, no? Cosi’ quando tornavo a casa era sempre come una palla, e mia mamma: la diperazione. Fabrizio: Ecco. Valeria: Mia mamma faceva una pentola cosi’, col fuoco dentro ci metteva l’olio, poi lo bruciava. Insomma poi l’olio faceva fumo, e glielo metteva sotto la pancia, per farla sgonfiare, perche’ era con tutte le arie della spagna poteva scoppiare. Si chiamava Belona. Fabrizio: Chi? Valeria: La pecora. Belona la chiamavo. Quando eravamo di sera avevo paura. Lei belava. “Sta’ sitta belona, sta’ sitta Belona che se no ci sono gli assassini”. Io non avevo paura, ne delle anime, di queste cose di spiritismo. No: a me non m’han mai fatto paura. Io ho paura della persona. Per quanto era piu’ pulito il mondo. Insomma c’era meno delinquenza. Pero’ anche a quella volta ne succedeva. C’era sempre qualche pazzo. Fabrizio: E... altri lavori? Valeria: Poi ho cominciato a esser piu’ grande, e allora mio padre, mio padre, insomma ‘sti contadini venivano a casa nostra, dice “Fate venire le vostre figlie – insomma – la vostra fiola Valeria per fare i lavori” cosi’ cosa’. Allor mi dicono “Bisogn t’el fe’. Se sei qui bisogna aiutarsi, no?”. Non prendevamo soldi, prendeva tutt’in natura mio padre. Prendeva grano, legno; tutte queste cose, no? E purtroppo lavoravo come una bestia. Va’ ben. E non eran contate le ore lì, si stava pur la sera, eran le dieci ancora le dieci di sera eravamo nei campi per far dei covoni, per portare questi covoni grossi cosi’ nelle spalle per far, farci le covate. Dai covoni facevano le covate. Hai capito? Grossi no? Insomma, lavoravo come una bestia. Fabrizio: Questo a che eta’ circa? Valeria: Diciassette, dicott’anni, quindici. Purtroppo abbiam incominciato presto, per me. Insomma, lavorato, abbiamo lavorato. Poi e’ venuto anche per esempio la raccolta del tabacco, dai contadini, e allora ci chiamavano, andavamo... perche’ c’erano le piantagioni del tabacco. Andevamo a raccogliere il tabacco, no? E il tabacco, bisogna saper fare tutte le pile cosi’ alte, e si metteano giù li, poi si raccoglievano, si mettevano in un biroccio. Biroccio nel senso treggia, che si portava poi al, all’essicatoio, no? Fabrizio: essicatoio? Valeria: Ho fatto anche questo lavoro, sono entrata nella fabbrica. Del tabacco, no? Prima l’infilzamento. Si infilzan le foglie, capit, fanno degli infilzi cosi’... te l’ho det l’altra volta com’era. Le filze, e poi queste filze vanno nei forni. E io infornavo. Infornavo, noi eravamo nei forni. Fabrizio: Quanti anni avevi quando sei andata... Valeria: Avevo quei... diciott’anni, cosi’. Fabrizio: E la fabbrica dov’era? Valeria: Era li poco lontano, andavamo in bicicletta, insomma. Una volta si andava tutti quanti in bicicletta. Fabrizio: e quanto durava il turno... Valeria: Beh tutto... beh non so preciso, non mi ricordo adesso. comunque c’era poca sosta perche’ da li’ poi e’ venuta la guerra e non ho potuto finire. Io ero passata ai forni, poi c’era lo sforno, poi c’era la cernita. Io ero passata in cernita no? dove si cerniva ‘sto tabacco, dalla prima, seconda. E poi avevano fatto tutto l’impianto per per le sigarette, no? Non sono riuscita ad andarci perche’ e’ venuta la guerra. Fabrizio: Pero’ ci stavate sia al mattino che al pomeriggio? Valeria: Sì. Si staccava, si ricominciava. Cioe’ il giorno si mangiava li’. Portevam via il mangiare, si mangiava, poi si faceva un sosta, poi si ritornava sul lavoro. Fabrizio: E lavoravate tutti i giorni oppure... Valeria: Tutti i giorni. Fabrizio: Meno il sabato e la domenica. Valeria: No, il sabato. Tutti i giorni meno la domenica. Fabrizio: Meno che la domenica. Valeria: Sì. Una volta era cosi’.

[la fabbrica]

Fabrizio: All’interno della fabbrica, lavoravan piu’ donne, piu’ maschi... Valeria: Piu’ donne. Poi c’eran gli uomini che avevan il lavoro piu’ pesanti... Si c’eran anche degli uomini. Ma nella fabbrica del tabacco alludi? Fabrizio: Sì. Valeria: Nella fabbrica del tabacco mi ricordo che c’era la cordellina, piccolina, loro in cima con un bastone, e intanto tiravano su, tiravano su, tiravano su; la corda. Poi la mandavano giù. Noi incomincevamo li’ a attaccar la filza, no?. E tiravano su e poi quand’era in cima... per dire... si andava sotto il soffitto, attaccati al soffitto, in piedi, in piedi dritti non si poteva stare, perche’ toccavi il soffitto. E’ c’eran i travicelli cosi’, che ci passavan le gambe dentro. Tu mettevi le gambe una di qua, una di la’, scendevi, tirava su in mezzo. Hai capito? Fabrizio: vagamente Valeria: E noi eravama in mezzo al travicello cosi’. E allora delle volte i ragazzi – per questo ti dico: c’eran anche gli uomin i- i ragazzi delle volte, venivan su al finestrino, c’era un finestrino che andava oltre lungo cosi’, noi da dentro lo vedevam. “Va’ via di li’ disgraziet” gli urlavamo. Perche’ eravamo tutte nude. Proprio nude, con le mutandine e basta. Anche il reggiseno ci si dovevamo togliere. Io il reggiseno non lo portavo nemmeno perche’ il seno l’avevo bello, non me lo portav per niente. Ma anche diciamo solo cosi’ hai capito? Con le mutandine. Tutte nude. Fabrizio: Era caldo. Valeria: Si perche’ li’, il caldo, com feva con ‘sta cos addosso. Sfornavano: se seccava il tabacco. Come lo sfornavano dovevi riempire. Era bollente ancora il forno, no? Allora venivano li’, ma rimaneva buio, non vedevano molto. “Va’ via brut disgrasiat!” urlavamo. La porta la tenevamo aperta. Andavano via perche’ noi poi urlavamo.

[Lo sciopero]

Valeria: Allora cosa fanno? Hanno deciso gli altri, che io non sapevo niente. Andiam giù la mattina, eravamo io, una mia amica e un’altra, in tre. Andavamo dal monte, venivamo giù, anche del Rio ce ne erano delle altre. Io non mi ricordo se eran de Montecchi queste qui. Tutt’una volta: “Alt!”. Ce fermen. In tal mez de la strada vicin pont lontan da la fabbrica, un po’ piu’ in su. “Cosa fet?”. “Facciam sciopero. Facciam sciopero. Facciam sciopero”. Fan sciopero. Questa era un'organizzativa. “Fem scioper, fem sciopero”. Io mi son fermata. Ci siamo fermate tutte. Non potevamo andare avanti. Dico “Come?”. Queste erano già un branco. Una ventina potevano essere. Sciopero. Poi a man a man che arrivavan a man a man che arrivava, cazzo un pezzo di strada bello lungo, perche’ la fabbrica era grande un bel po’, tutti fermi che volevan lo sciopero, vogliono l’aumento dello stipendio, vogliono l’aumento dello stipendio. A un certo punto vien su la signorina. Aveva una fifa che non ne poteva piu’. Le altre un branco di pecore, eh. Sì, un branco di pecore. Allora vien su ‘sta signorina, lei ha detto “Mi decido: vado su” perche’ era tutto sotto la sua responsabilità. Non era una bella figura che tutta la gente era per la strada, fermavamo macchine, motociclette, biciclette. Non camminava nessun. Non solo gli operai, ma c’era la gente che andava in giro... nessuno passava. Avevamo chiuso la strada, non potevano passare la gente, perche’ la gente si formavan per curiosita’. La signorina allora viene su e trema tutta. Tremava tutta. Le tremavano proprio le labbra, gli davano un convulso. Lei e’ partita con la paura porina, no? Poraccia. Viene su e quando è davanti a noi ha detto: “Io voglio sapere, non vi vergognate di fare un casino cosi’? Dico, una cosa cosi’! Io vorrei sapere perche’!”. Allora tutti zitti. “Na Madonna. Ma perche’ ste’ zitti’? Perche’ ‘n parli? L’hai fat tu?” chiede. “No -risponde una- non son stat io e’ stat lia”. “No no e’ stat loro”. “E’ stat quill de Montalberto”. “E’ stat ma li’ quel de la bottega”. “E’ stat...”. Insomma, da tutte le parti del paese. “Io mi son fermat perche’ m’han fermato”. “Io...”. E quella che ha iniziato, all’inizio, a fare una baldoria cosi’, non ha parlato. Allora viene su la signorina. “Venite a lavorare, venite in fabbrica, se no faccio un licenziamento a blocco” dice. Ha visto che tutti stavano zitti allora s’e’ presa forza. Io l’ho visto tutto questo modo di cosare, ha preso forza. E siamo andati tutti dietro a lei... arriviamo alla porta del cancellone, per entrare in fabbrica: tutti fermi di nuovo! Ferme. Allora nessuno parlava. E io allora... e io ho parlato. Ci ho fatto... “Almeno qualcuna di voi parli! E’ per l’aumento dello stipendio: vogliono l’aumento dello stipendio” ho detto. “Va bene allora andate in fabbrica e ne parliamo. Ma tu – dice – Valeria fermate”. Io e un'altra. Perche’ l’altra ha ammesso quello che ho detto io. Di tutto quel branco ma li’, ci son finita in mezzo io. Van tutti in fabbrica e tra di loro parlano: “Quella ormai e’ licenziata”, “La Valeria ormai non viene piu’”, “Ormai la licenzian”. Perche’ una volta... È brutto adesso il lavoro: una volta era ancora peggio. Non c’era. Mi tengono li’, e io sono stufa dico “Io mi sento svenire”. Io ero in piedi e loro eran alla scrivania, erano in due. Mi chiedono se ho fatto lo sciopero e io rispondo: “A me mi hanno fermato. Pero’ e’ anche giusto se hanno fatto ‘sto sciopero.” Gli ho parlato bene. E lei: “Cosa chiedi?”. “L’aumento dello stipendio. Vogliono un aumento dello stipendio. Perche’ e’ troppo poco quello che prendiamo...”. Rispondo quello che potevo dire, no? Non me l’aspettavo che avrebbe fatto salire negli uffici. Altrimenti non avrei parlato manco a scherzare. Insomm sul momento mi era anche dispiaciuto perche’ adesso a lavorar me dava anche gusto, perche’ era un branco di delinquenti, mi dava anche piacere. Questa signorina però mi aveva molto in simpatia. Allora io ero li’, dovevan esser venti minuti che ero in piedi. “Io ne pos piu’. Come faccio a star per ritta?”. “Metitti seduta” m’ha detto. Allora m’ha dato una sedia, mi sono seduta. Allora ha chiesto cosi’: “ma il motivo dello sciopero...”. Il motivo: era una stupidaggine quello che davan. “Vogliono un aumento dello stipendio!“, dico. “E chi l’ha fatto lo sciopero?” “Hanno cominciato loro, io quando son venuta giù c’era gia’ tanta gente, mi son fermata anch’io. Non potevo passare in mezzo a tutte e entrare in fabbrica”. “Eh va’ be, insomma, tu dovevi fare da esempio”. “Ma che esempio facevo? Anche a me mi dà gusto se mi aumenta lo stipendio!” Io gli ho detto così, tanto ormai sono spacciata, ormai mi mandano via. Ormai mi licenziano. Io ero cosi’. Son stata un bel pezzo. “Adesso vai a lavorare”. Vad oltre nel mio reparto, ero nella cernita ero gia’, non ero piu’ ai forni. Vado oltre nel mio reparto, tutti che dicono “Oh la Madonna!” Tch tch tch tch tch (imita la gente che lavora). “Oh la madonna, credevam che...”. “Credevam che t’avevan licenziato”. “Credevam...”. “Perche’ m’han da licenziare? “ io tutta, tutta spavalda. “Perche’ m’avevan da licenziare? Scusa?“, io dico “Adesso hanno aumentato lo stipendio!!” ho detto a tutte. “Capito?? Han aumentat lo stipendio! Ci han dato tot! Ci danno tot”. “Ma va’ la’!”. Fabrizio: Ma era vero? Valeria: Sì sì sì han aumentato lo stipendio. Una sciapata, poca roba), pero’ l’avevano aumentato. Eh capite. “E se non ci andava nessuno là dentro, negli uffici, nessuno chiedeva, restavate solo a fermare gente per la strada”. (ride) Mi sentita forte, allora, 'na Madonna. Son andata a mangiare a casa a pranzo, e quando sono andata, allora io avevo la bicicletta, tutte dietro, tutt’un circolo dietro di me.

[Divertirsi]

Fabrizio: Quali erano, diciamo cosi’, gli hobby, gli svaghi. Valeria: Gli svaghi, eh, il ballo; passeggiate. Al mare a me non mi piaceva, se no c’era il mare. Perche’ a Pesaro c’e’ il mare, si poteva andare al mare. Non mi piaceva, per me non ho goduto il mare. Al cinema... Fabrizio: Erano tutti svaghi che facevi con altre persone? Valeria: Delle volte se avevo qualche compagnia, si usciva insieme, si andava gli autoscontri, quelli li come si chiamano, come si chiamano. Quei giochi, sala giostre, queste cose qui. Nelle automobiline. Ci son sempre state, anche a quella volta. Fabrizio: Ah c’erano gia’ l’autoscontri? Valeria: Sì l’autoscontri. Sempre stati! E non e’ mica cent’anni fa! Sempre io s’andava. Una volta c’eran dei ragazzi che m’hanno infinocchiato in mezzo e non potevo piu’ uscire. Si divertivano? Si divertivano. Si’, sugli autoscontri, li a Pesaro.. Fabrizio: Non c’eran le macchine e c’erano gli autoscontri? Valeria: E chi l’ha detto che non c’erano le macchine? Come non c’erano le macchine? C’erano le macchine di adesso. Fabrizio: Eran poche. Valeria: Ah senz’altro, ma gli autoscontri ci son sempre stati. Diamine, sempre. Fabrizio: E il luna park c’era? Valeria: Il luna park c’era sì. C’era eh... ci andava spesso. Si andava, incrociavo qualche volta qualche amica, e insomma me ne andavo per i cazzi miei da sola, poi c’avevo i parenti io. Mio zia, c’era una mia cugina, cosi’ ci si incontrava... O no, poi c’erano altre persone che sapevano che mi trovavo laggiu’, magari altre ragazze, “Guarda c’e’ anche la Valeria, oppure c’e’ anche noi insieme, andiamo, ci incontriamo, andavamo a fare delle passeggiate, si chiaccherava. C’era qualche ragazzo, qualche, qualcuno, cosi’... che magari, insomma, che ci si conoscceva, si poteva parlare, io pero’ non ho fatto... perche’ mia madre mi ha sempre fat “Stai attenta”. Il cinema! La maggior parte il cinema, questi autoscontri, e qualche volta nelle piste da ballo. Fabrizio: Non ti ricordi nessun film della tua eta’? Valeria: Sì, la maggior parte c’era Shirley Temple che mi piaceva tanto a me... Fabrizio: Shirley Temple? Valeria: Shirley Temple. C’era Tarzan, a me piaceva, c’era... coso, come si chiama... Carl Gable che tutti suoi film li ho sempre visti tutti e come attore, si m’arcord, poi film, il nome dei film Fabrizio: E di cimema italiano c’era qualcosa? Valeria: E chi se li ricorda! Non me lo ricordo piu’, no no, non mi ricordo piu’. Mi ricordo... pero’ quello li’ credo che era un attore italiano, mi ero innamorata di quell’attore...Li’... Pero’ e’ anche una trama che... della poverta’... di una lotta che... insomma, mi immedesimavo. Ecco, e lui era brutto che non era blin per niente, e n’era brut...e n’era bello! Pero’ mi ero proprio innamorata, tutte le volte che c’era che lavorava, l’andavo a vedere, ma non mi ricordo piu’... Fabrizio: Chi e’? Valeria: Non mi ricordo piu’. Mi ricordo Clark Gable che era troppo bello, troppo bello, troppo bello! Poi c’era anche il papa’ della Romina. C’era anche lui. Fabrizio: Ah, Tiron Power! Valeria: Eh, Tiron Power, anche lui l’avevo visto molte volte. Poi chi c’era? Mi ricordo che una volta quello mi aveva colpito molto, “Il Sergente di ferro”, troppo bello quel film, si chiama “Sergente di ferro”, ma non mi ricordo quale attore doveva lavorare. Che ha seguito lui mi pareva che era coso... lui, il ragazzo che era seguito da questo sergente di ferro, era ... che ho visto anche... Non l’ho visto, il personaggio... M’e’ venuto in mente un flash, per un momento...e’ manco...no no no, non me lo ricordo... un attore americano pero’. Fabrizio: Quanti anni avrai avuto? Valeria: Quant’avevo avuto chi? Fabrizio: Quanti anni avrai avuto? Valeria: Ah, be’, quattordici o quindici anni. Fabrizio: Prima della guerra, sempre? Valeria: Sì. (Ho controllato: effettivamente tutti i film citati sono stati prodotti prima del ‘39) Fabrizio: Bene, per oggi devo fare basta che devo andare a lavorare.

[Fumetti]

Fabrizio: Due cose... riviste e fumetti ce ne erano? Valeria: Riviste e fumetti? Fabrizio: Riviste e fumetti. Voi ragazzine cosa leggevate? Valeria: Ah si! C’eran c’erano. C’era... come si chiama quello li’. Io leggevo sempre i giornalini, ero ragazza ancora. Ero molto giovane. Anzi avevo anche quindici anni. C’era quello li’... C’era topolino... c’era... quello col naso... come si chiama quello li’... con quelle gambe lunghe... Catia: Tiramolla. Valeria: No, non era tiramolla... i primi fumetti, ti ricordi quel personaggio che c’era quella volta, come topolino che... per dire era lui il personaggio importante. Ma guarda un po’! Ma va’ bene adess n’m rcord. Fabrizio: Chi era? Buonaventura? Valeria: Buonaventura! Bravo Paolo. Fabrizio: Mi chiamo Fabrizio Valeria: Buonaventura. Io lo leggevo che ero una bambina. Avevo quindici anni... Fabrizio: Quello rosso. Valeria: Eh? Fabrizio: Quello tutto vestito di rosso. Valeria: Adesso io non mi ricordo manco com’era vestito! Insomma c’erano i fumetti, c’erano i giornalini, io li leggevo sempre. Fabrizio: Cos’erano? Di cosa perlavano? Valeria: C’era anche il topolino, allora, io ho letto anche il topolino. Fabrizio: C’era gia’ il topolino? Valeria: Si! C’era gia’ topolino. Io leggevo topolino con quei due cosi qua (indica i due bottoni delle braghette del primo topolino) era tutto diverso di adesso. Era tutto diverso di adesso. Con le due finestrelle qua. E c’era buonaventura, si’, buonaventura, con un cappello.. Li leggevo sempre. Insomma: li leggevo. Se potevo araffarli da qualche parte... Fabrizio: E di cosa parlavano? Valeria: Oh Fabrizio Cazzo. Parlava quel che parlano adesso! Cosa vuoi che ti dica. Non lo so, non me lo ricordo. Mi fai ridere che mi chiedi cosa ne parlavano. Avevo quindici sedici anni. Incominciavan mi ricordo. Poi quando avevo il tempo leggevo quello che mi capitava sotto le mani. Fabrizio: Non c’e’ niente che t’ha colpito... Valeria: Mah. Colpito... per dire... no. Non c’e’ una cosa che... tutto mi colpiva e tutto leggevo io. Leggevo molto.

[Prendersi i ragazzi]

Valeria: Ecco, poi niente, poi io ero una bella ragazzina, avevo tanti corteggiatori, no?, ma tanti. E li’ e’ stato un poco, non e’ durato molto, mi sembrava tanto, ma e’ durato molto poco, perché, uscendo la guerra, ci ha portato via tutta la gioventù. Gli uomini li ha portati via tutti eh, purtroppo e’ stato una cosa brutta, no? Pero’ mi sono, insomma ho avuto un po’, un po’ di respiro, di simpatia, di cosa bella, eh... con la gioventù non è che eravamo come nella bassa italia, segregati cosi’. Avevamo la stessa libertà di adesso. Cioe’ un momento: un passo indietro. La stessa libertà di adesso no, che a letto con i ragazzi non ci si andava. Però noi si usciva e non c’era certo la guardia che ci stava dietro, avevamo dei punti di riferimento, dove ci incontrevamo: ragazze, e ragazzi che si conoscevano. E in più facevamo del.. delle conoscenze. Perché allora i ragazzi poi, si che c’erano un po’ di lambrette – han cominciato subito dopo la guerra più di tutto le lambrette, se no c’eran la motocicletta – eran le biciclette: viaggiavan tutti con le biciclette. Cosi’ quando – in questo punto di riferimento che lo sapevano, sai poi la gioventù s’impara tutto specialmente gli uomini – e loro venian da, da fuori insomma da Pesaro, da verso Urbino, oppure giù da, dei paesi li’ vicini, insomma no? E venivano anche dei ragazzi con le biciclette, e prendevano tutta la strada, no? Una strada maestra e ci potevano stare sette, otto biciclette. E poi un’altra fila dietro. Allora noi ragazze cosa facevamo? La pietra dello scandalo ero io. Ci prendevamo per la mano e chiudevamo la strada. “Aaalt!” facevamo. (ride). Fabrizio: Ah sì? Vi prendevate i ragazzi! Valeria: Sì sì ci prendevamo. Ci si fermavano. Allora “io son la Valeria” dan dan dan dan. Allora lì per lì tante volte avevam fatt anell bell’anell. (ride). Che ridere!

[aiutare a casa loro]

Valeria: Loro non hanno aperto ma la porta era aperta perche’ loro erano gente che dava grande ospitalita’ ai pellegrini. Non si diceva “e’ arrivato uno fatto così o cosa”. Era il pellegrino. Per noi era il pellegrino. Io mi ricordo sempre che bussavano, chiedevamo: “chi e’?”. “Pellegrino”. “Allor venite dentro, no?”. E lo facevano entrare, gli davano ospitalità. Anche il mio nonno la’. Il papa’ di mia mamma, loro davan proprio ospitalita’. Li mettevan magari dove c’era il fienile, vicino nella stalla che era caldo. Li mettevano li’ e le camere erano tutte aperte, non e’ da dire che li chiudevamo fuori. O sono sull’aiuola del camino, c’era un camino molto grande anche l’aiuola era grande. Si mettevano li’ e gli mettevano delle coperte. Si mettevano li’ sotto e dormivan li’. Vicino al fuoco insomma. Poi magari la mattina non c’erano gia’ piu’. Eran gia’ partiti. Ma i miei nonni davano ospitalita’. E mio padre lo stesso.

[Il fascio]

Fabrizio: Pero’ nei libri di storia, quando uno studia... il fasciscmo, il fascismo, il fascismo c’e’ da per tutto, aveva cambiato tutto... no? E invece tu mi hai detto che del del fascismo ti ricordi poco o niente. Ma non c’erano persone che non erano fasciste... gli antifascisti. Valeria: Mio nonno... Fabrizio: Eh. Valeria: Il nonno mio era antifascista. Lui era un socialista. Fabrizio: Ma anche prima della guerra? Valeria: Si’, prima della guerra, naturalmente. Anche se poi e’ stato costretto a diventar fascista. Se vuoi lavorare, devi prendere la tessera del fascio. Mio padre ha dovuto prendere... ha dovuto soccombere. Ha dovuto prendere la tessera del fascio, per il lavoro. Fabrizio: Questo a te, chi e’ che te lo ha detto? Valeria: Io ero gia’ signorina. Cazzo. Fabrizio: Eh, ma chi e’...cioe’... tuo padre ti ha detto “ho dovuto prendere la tessera”. Valeria: Sì ha dovuto prenderla, noi eravamo li’. Lo sapevamo. È stato costretto a prenderla. la tessera. O fai il fascista, o sei fascista. Fabrizio: capisco Valeria: Una volta, lui camminava, e’ passato un camion dei fascisti... nel periodo che poi il duce e’ andato su, ha ammazzato Matteotti. Passa ‘sto camion, gli dicono “cavati il cappello! Cavati il cappello!”. Lui non gli ha risposto e non l’ha tolto il cappello. Che se aveva le mosche al naso le mandava via da solo. Comunque – prepotenti – non avevan nessuna ragione. Attorno a lui c’erano gli altri: chi l’ha cavat, chi non l’ha tolto. Gli dicono “sta’ tranquillo che adesso ti vengono a dar da bere l’olio”. Allora arrivano, un branco di questi fascisti... arrivan in strada, cantavano: bussano. Loro non hanno aperto, ma la porta era aperta perche’ loro erano gente che dava grande ospitalita’ ai pellegrini. Le bambine ci han messo tutte a letto, noi. Io c’ero gia’. Mio padre, mio zio, l’altro mio zio, l’altro cugino mio, che era un giovanotto si erano armati tutti loro. Chi lo scorcello, chi ha il seghettino... Fabrizio: Lo scorcello? Valeria: Scorcello. Chi aveva il scorcello, chi c’aveva il fucile... i fucili per tut non c’erano! Uno schiopetto cosi’. Tutti... tutti intorno al caminetto, tutti seduti li’. Loro son entrati. Ma hanno capito. Le donne, poi, due donne eran sedute di li’, altri due uomini un po’ dietro. Qualche d’uno era intorno al fuoco. Questi si sono detti, “Male per loro perche’ noi siamo armati, ma pol gir mal anche per noi”. E loro si erano messi proprio a fare una guerra li’. Tutti armati i miei genitori, il mio padre, mio zio, l’altro mio zio giovane, n’altro, un altro, poi c’era un cugino, un parente. Come sono entrati, allora, loro avevano gia’ preparato il vino, nel tavolo. Erano tre, quattro boccali. Han cominciato a cantare il fascismo. Le canzoni del duce, li’ ad alta voce. Ma loro non interessa niente: sono entrato, hanno bevuto, hanno urlato, hanno cantato. I miei non hanno reagito in casa nostra. Loro non hanno reagiti, e pensavano “da un moment all’altro, da un momento all’altro...”. Invece poi han preso, han tagliato la via, e’ tutto finito li’, capisci? Che mio padre era un socialista. Pero’ poi venendo grande, mio padre e’ andato a stare per conto suo, e non aveva piu’ la possibilita’ di andare indietro in casa. Aveva il terreno loro. Ha dovuto cercar lavoro. E il lavoro non glielo dava, sapevan che non si era tolto il cappello. Ha dovuto prendere la tessera del fascio. Obbligatorio. La tessera del fascio, la presentavan, presentavan la tessera del fascio. Fabrizio: ma tenevate i fucili in casa? Valeria: Sì e mi ricordo che il nonno aveva una doppietta, no? Ha sempre avut na doppietta perche’ tutti eran armati. Cioe’ armati: un fucile, una doppietta si teneva. Mio padre aveva una doppietta. Era una bella doppietta... gli han portato via anche quella ma li’. Gli han sequestrato mi ricordo. poi e’ riuscito a riaverla. Gli han sequestrato anche la doppietta. no? I signori fascisti. Poi son passati la donazione dell’oro. Che oro? Mamma poretta c’aveva la vera, l’ha tolta dal dito, gli e’ toccato dar la vera. Tutti sono andati nel comune a dar tutti la vera. Lia se feta una vera de ferro. E io det “Ma perche’ l’hai dat? Ma dici che lavet una de ferro, che non l’avet piu’”. “Non se po’, non se po’, non si puo’” sai. C'era tanta dittatura. Noi non ce ne rendevamo conto: eravamo ragazzini.

[Le piccole italiane]

Fabrizio: Senti un po’, questo periodo e’ il periodo in cui cominciano ad esserci anche i fascisti. Valeria: Come? Fabrizio: In questo periodo... e’ il periodo in cui cominciano ad esserci anche il fascismo. Valeria: Eh... il fascismo era tanto che era uscito! Il fascismo. Ero piccolina, io. Il fascismo. Ero piccolina, io ero una Piccola Italiana. Quando si facevan le ginnastiche nelle scuole, facevo le elementari. Fabrizio: E raccontami un po’, a una ragazzina come te cosa arrivava del fascismo? Valeria: Niente. La politica non mi piace adesso, non l’ascolto adesso, e nemmeno allora. Puo’ darsi che agli altri bambini era una cosa che piaceva. Io non ti posso dire che effetto mi poteva fare, se l’avrei ragionata su. Noi eravamo Piccole Italiane, poi Piccoli Balilla, si andava a far delle ginnatiche. [...] Il fascismo era.. niente, il fascismo non m’ha toccato niente. So’ soltanto che delle volte mi mettevo in cima al banchetto e cantavo “la bandiera rossa” per dire no... Fabrizio: La bandiera rossa? (rido) Valeria: Si, insomma, “la bandiera rossa” canzone del, del socialista. Perche’ mio padre era un socialista. Qualcosa so. “Stai sitta!! Te possono far del mal!” mi dicevano. Perche’ era una dittatura. (ride) Io facevo cosi’. E basta niente, poi il fascismo... Fabrizio: Niente. Valeria: No, no. Però. C'era il fatto che io m’ero affezionata... perche’ poi era magari una dittatura, tutto quanto. Pero’ la scuola, il governo naturalmente te la metteva avanti: il duce era li’, davanti a tutto. Si facevano anche queste cosine da niente, anche nelle campagne nei paesi. Questa faccenda con ‘ste divisine, che avevamo. Mia mamma poretta per farmi il berettino, m’ha dat un calzot sua. (ride) Avevan il berettin nero no? le Piccole Italiane. No, mi feva piacere. Mi faceva piacere. Io volevo bene... E tutt’ora io, il duce non lo vedo come l’hanno visto, come l’han descritto. Io vedo che quel Duce e’ stato comandato a bacchetta. Ecco, a me mi fa cosi’. I suoi, d’intorno. Eran loro che comandavano. Lui non contava niente. Fabrizio: E con le giovani italiane cosa facevate? Valeria: Niente, ma giovani italiane eravam bambine. Poi la scuola, non son andata piu’, le giovani italiane non c’e’ stat piu’. Io non mi son messa piu’ in divisa, capisci? Fabrizio: Sì ma cosa facevate? Valeria: Facevam le ginnastiche, tutte queste cose qui. Le marcie, sai: un due, un due. Com fan i soldat, no? Maschi e femmine assieme, facevan fare quel lavoro li’, due per due. Si facevan tutte le ginnastiche. Ci si rompevan tutte. Io ho ancora le gambe posso tirar ma su, perche’ appunto facevan delle ginnastiche che facevan bene persino. Capit? C’eran ‘ste strade che si potevano occupare senza paura di... di passaggio di niente.

[fermare i soldati]

Fabrizio: Eh... come si comportavano i giovani, con l’entrata in guerra? Dopo che e’ entrata in guerra, prima che se ne andassero... come hanno reagito? Valeria: Ah niente, fra noi purtini, poverini, venivano chiamati, ci dispiaceva... a chi conoscevamo ci davamo dei bacini... Ti dico una volta erano stati richiamati tanti, pero’ c’era una colonna, passavano li’, perche’ era strada maestra. Venivano dalla strada principale, venivano delle colonne di militari, che andavano in guerra, ma non so fino a che punto andavano no? Queste colonne militari, prima della guerra, naturalmente ancora era pace, prima della guerra partivano tutta ‘sta gioventu’, no? I camion, le motociclette... ma i camion tutti pieni di questi militari, che tutti cantavano in aria. Io, io ho fatto la matta, nel mio posto li’. Ho fermato la colonna, ho fermato no? Fabrizio: hai fermato la colonna? Valeria: Allora cos’ho fatto: Sono andata nel campo, sempre di mio cugino, mica il mio campo, raccoglievo le fave, il periodo delle fave, le fave lunghe cosi’ (molto lunghe). Raccoglievo ‘ste fave, facevo dei fagotti cosi’, poi vuuum! le lanciavo sopra quei carri. E loro le prendevan ‘sti ragazzi. “Ciao bella!” cosi’ mi dicevano, poveretti. E io, mi veniva da piangere. Poi io (ride) mio cugino dalla finestra rideva, se spaccava. Poi dietro, c’erano i capitani, i militari. Allora con le motociclette venivano giù. E venivano giù, ma non forte. Tutta un po’ piano... mi son messa davanti “Alt!” gli ho detto io, no? Un comandante bello che faceva voglia. Era un colonnello, non so un cazzo chi era. Quando son andata li’, gli ho dato un bacio, nella faccia – non nella bocca – gli ho dato un bacio, lui m’ha dato una strettarina... mi ricordo per andare vicino a lui... allora c’era tutta una siepe di mia cugina, c’era tutta una siepe di un’orto fino in su, con tutte le rose. Mi sono forata, ho schiantato dei mazzi di rose, e gliel’ho date a lui. Lui ne ha messa una davanti alla motocicletta, io l’ho preso per il collo, gli ho dato un bacino, gli ho fatto gli auguri. E quelli lassu’ “Butta le fave bella!”. Gli buttavo le fave, tutt’un saluto. E’ stato bellissimo quella volta. E a lui ho dato il mazzo delle rose, ma una l’ha infilata davanti, e poi... “gli altri” dice, “li tiri su”. Insomma cosi. E m’e’ andata via una ciabatta! Per correre la’ m’era andata via una ciabatta. Con una ciabatta si, una ciabatta no, in mezzo a ‘sta strada che era tutta... non era asfaltata come adesso. Era tutta polvere no? Non so cosa avrei fatto io quella volta per fermarli tutti. State a casa. Mi sono comportata anche anche, cioe’, non bene.. Ma avrei fatto di peggio se ripenso. Ho fatto poco. Ho fatto poco. Perche’ loro sono andati via tutti, ridevano, scherzavano, perche’ chissa’ quanta gente avevano il magone qui. Io con ‘sto gesto... Mi dicevano laggiu’ “‘Sta disgraziata, li ha fatti andare via, ridevano come i matti! Ridevano”. Eh, io non ci ho fatto niente. Tiravo dei fagotti di fave, con della carta – non del giornale – ‘na cartaccia... Bum, cosi’, con dei tovaglioli, bum, tiravo su ‘sti fagotti di coso... legati... e si e’ fermata la colonna eh? Ho fermato una colonna chiilometri. Cari belli portini santi. Fabrizio: Senti un po’... Valeria: Andati via tutti... andati via tutti cocchini. Dicevano “hanno richiamato quello, hanno richiamato coso, oggi parte quello li’”. Magari ci vedevamo la domenica prima. “Vado via, ciao, ‘ndiamo via, ‘ndiamo via”. Ma non... non era il pensiero brutto brutto brutto. Invece tanti non e’ venuti. Molti molti molti del nostro posto son venuti con la tisi. Fabrizio: I ragazzi che venivano chiamati in guerra erano trsti, dicevano “vabbe’ vado”, ce ne erano alcuni che erano contenti... Valeria: Io, nel mio circondario, quelli che conoscevo... no, non c’era la gran felicita’. Io ho visto la gente che volevano veramente la guerra, forse in un posto molto grande insomma. Per esempio in Ancona, mi ricordo che e’ arrivato il treno, e di fuori tutti studenti... tutti studenti c’e’ n’era una scia che non so i centinaia, centinaia, centinaia... “Du-ce! Du-ce! Viva la guerra, viva la guerra!”. E io, dicevo “Mbecilli, Mbecilli!”. E allora niente, proprio cosi’. Fanatici, sembravano tutti uguali. Tutti fanatici.

[Lettere d'amore dalla Libia]

Valeria: Si’. C’era la guerra. C’era la guerra che c’eran dei ragazzi che mi scrivevano dalla Libia. Dalla Libia purtini. Fabrizio: Cosa ti scrivevano? Valeria: “Sono qui che ti scrivo... su una pietra bruciata dal sole”. Cioe’ se sfarinava. Scriveva molto bene ‘sto ragazzo. Fabrizio: Cosa ti raccontava? Ti ricordi qualcosa? Valeria: Eh no. Era una vita impossibile. Niente le cosine...andava a raccontarmi i fatti della guerra. Diceva che sono qui in mezzo alle bombe che sparano vicino. Sento i fischi delle bombe. Poi dice fortunatamente che io lo consolavo. Aveva la mia fotografia, l’appendeva vicino alla sua cuccetta, allora s’addormentava col mio volto. Si rifaceva alla notte. ‘Sti ragazzi. Facevano cosi’ no? Cosa vuoi che raccontavano? Raccontavano. Poi dicevano appunto che anche per scrivere non avevan manc il temp. Eran presi molto. Ti dico che scriveva seduto in una pietra e ci credo. “Son seduto in una pietra...” questo... in Libia ho detto, giusto? “Seduto in una pietra bruciata dal sole. Ma non bruciata. Si sfarina dal sole. E ti scrivo da seduto”. Un lampo. Scrivevan e poi spedivne. Non e’ che andavano a far tanti dettagli, come va’ la guerra, se vincevn, non vincevn. Così insomma, me diceva.

[la guerra in casa]

Fabrizio: Ascolta un po’: inizia la guerra. Come lo sai, quando lo sai... Valeria: Ah la guerra, si sentiva sempre. La seguivamo. Per esempio noi... Fabrizio: Ma per esempio: quand’e’ iniziata, chi e’ che te l’ha detto? Valeria: Un po’ alla volta. È iniziata un po’ alla volta. Ha incominciato in in Africa. Laggiu’ da quelle parti. In Albania. Ha incominciato, laggiu’, era lontano. Per noi era tantissimo lontano. Invece era anche vicino. Ha incominciato la guerra laggiu’, piano piano piano, poi e’ venuta su, capisci? La guerra. Gia’ io lo sapevo! Questa guerra metteva paura un po’ a tutti, ma pero’ non si sapeva come funzionava. Mi ricordo che appunto io avevo tre cugini. Il piu’ grande era piu’ grande perche c’aveva un anno piu’ di me. Percio’ lui e’ partito e via. Il secondo era anche lui poverino non era nemmeno un ragazzino. Allora eravamo in un campo, raccoglievamo i cartocci, io gli dico: “vedrai Terso che ti chiamano anche a te. Vedrai che ti chiamano anche a te”. ‘Sta guerra finisce, domani finisce, finisce, e non finiva mai! “T’aspettano anche a te”. Poi c’era Amedeo che era molto piccolo. Lui non lavorava, era un bambino. Era lì con noi che mangiava l’uva. “Magari aspettano anche lui” ho detto. ‘Aspettano anche lui’. “Vedrete!”. Si son messi tutti a ridere. Detto e fatto. Hanno aspettato anche lui. Ha fatto in tempo a farla tutta la guerra. Fabrizio: Ma quando l’Italia e’ entrata in guerra... Valeria: Ma l’Italia era tanto che era in guerra! Ha incominciato la guerra ‘sto Mussolini del cazzo. Ha incominciato la guerra, ha incominciato laggiu’ eh che era lontana, capisci? Poi piano piano, piano piano , piano piano, l’Albania, l’Addis Abeba, queste cose qui, le avevano prese, le avevano vinte. E si vede che lui credeva d’aver vinto il mondo. Poi continuava ad andar su, che poi e’ andato a finire come e’ andato a finire. Fabrizio: Quindi c’e’ stato uno stacco forte tra prima dell’inizio della guerra e dopo... Valeria: Sì,tanto. Uno stacco fortissimo, per noi gioventu’. Noi eravamo giovani... eravamo rimaste sole. Le ragazze. Solo le ragazze. Gli uomini erano andati via tutti. Poi non basta quello li’. Non e’ che chiamavan solo la nostra classe. La classe giovane. Chiamavan la classe vecchia. Persone che erano gia’ gente sposata. E non credevo che... invece poi alla fine avevan bisogno dei soldati. E chiamavan anche gli altri. Quando han cominciato a chiamar le altre classi, m’han incominciato a preoccupare. “Madonna santa cosa succedera’. Cosa succedera’”. Poi da un giorno all’altro, poi e’ venuto quello che e’ venuto. [...] Fabrizio: I ragazzi che venivano chiamati in guerra erano tristi, dicevano “vabbe’ vado”, ce ne erano alcuni che erano contenti? Valeria: Io, nel mio circondario, quelli che conoscevo... no, non c’era la gran felicita’. Io ho visto la gente che volevano veramente la guerra, forse in un posto molto grande insomma. Per esempio in Ancona, mi ricordo che e’ arrivato il treno, e di fuori tutti studenti... tutti studenti c’e’ n’era una scia che non so i centiania, centinaia, centinaia... “Du-ce! Du-ce! Viva la guerra, viva la guerra!”. E io, dicvo “Mbecilli, Mbecilli!”. E allora niente, proprio cosi’. Fanatici, sembravano tutti uguali. Tutti fanatici. Fabrizio: Questo quand’e’ successo? Valeria: Prima della guerra. Cioe’ prima della guerra che ancora la guerra era giù in Albania, eh. Giù da quelle parti. [...]

[Attorno alla linea gotica]

Fabrizio: Quando sono arrivati questi tedeschi, chi vi ha spiegato chi erano? Perche’ c’erano? Valeria: Cazzo ma oramai si sapeva. Anche se io non mi interessavo di politica si sapeva che arrivavano i tedeschi. Sono venuti indietro. Erano i nostri alleati! Quando sono stati li’ loro facevano le trincee contro gli inglesi, capisci? Contro gli americani. Hai capito? E allora erano i nostri alleati. Hai capito? E li’ toccava stare anche attenti a come parlavi. Perche’ loro l’avevano a morte con i partigiani. Che poi c’e’ stato l’imboscamento dei partigiani. Fabrizio: Ma i partigiani quand’e’ che son spuntati fuori? Valeria: Ah i partigian eran prestino che lavoravano sotto sotto. Si sapeva perche’ dopo, come ti dico, Vittorio è andato a fare il partigiano, un altro ragazzo anche lui è andato. C’era uno di noi che veniva dalla Francia, anche quello li’ faceva fare staffetta a tua zia Chiarina. Lei tutta zitta non ha mai detto niente eh. Ti porto la’... m’aveano chiesto d’andare anche a me in campo... Fabrizio: Tanto quanto? Prima che iniziasse la guerra c’erano gia’, oppure dopo l’inizio della guerra? Valeria: No, no. I partigiani c’eran stati quando la guerra e’ venuta, quando abbiamo piantato in asso i tedeschi e ci siamo, ritirati anche noi no? Giustamente questi gli è venuto il nervoso allora si son formate squadre di partigiani. Per combattere il tedesco eh, mica per combattere gli inglesi. Fabrizio: Quindi i partigiani si son formati dopo che l’Italia se ne e’ andata dai tedeschi? Valeria: Eh si eh! Dopo c’e’ stata ‘sta sconcordia, insomma. Si son lasciati. Fabrizio: E quindi prima... Valeria: Prima io adesso m’ancord. Non mi ricordo se prima c’erano ancora dei... se erano dei partigiani o men. Comunque quella volta so che c’erano i partigiani, io conoscevo anche delle persone che erano dentro li’. Il nonno, mio fidanzato, eravamo fidanzati noi, era una staffetta il tu non. Lui metteva i bigliettini dentro l’apparecchio, il braccio finto capisci? E nessuno li guardava e lui faceva la staffetta. E lo zio Vittorio e’ proprio stato nel campo. Lui faceva la staffetta, andava e veniva. C’eran i gruppi, “io ti aspetto li’”, “io ti aspetto la’”. Han fatto anche delle cose che -guarda- gli e’ andata bene. Come c’era un’amica di Urbino, una mia amica, purina lei e’ morta di tisi eh, anche lei partigiana. Ha fatto l’eroista. Non so quanta gente, quante persone sono morte di tisi, perche’ facevano una vita impossibile. Catia: I partigiani c’erano prima che Badoglio decidesse di... Valeria: Ah si’ si’. Erano ancora, insomma... Catia: Ben ben prima. Valeria: Si son formate queste squadre di partigiani e... sapevo che c’eran i partigiani, ma nessuno li vedeva. Tu potevi anche incontrarli, per dire. Fabrizio: Questa linea gotica, di cui mi hai tanto detto, quando e’ che hanno iniziato a farla? Valeria: Oh gioa, non mi dire le date! Come faccio a ricordar le date! Fabrizio: ... [...]

[I tedeschi]

Fabrizio: Ma tu che si chiamava linea gotica lo sapevi da allora? Valeria: Sì. Si diceva appunto: “fanno la linea gotica” dicevano. Fabrizio: E senti un po’, mi hai detto che voi non siete scappati quando son venuti gli alleati. Valeria: No, perche’ era ancora, eravamo tutti in alleanza. Eravamo in alleanza ancora con i tedeschi, noi. I tedeschi erano stupidi perche’ purtroppo, nel militare, ci son sempre un po’ i pazzi no? Pero’ non e’ che succedeva niente, finche’ c’era lui. Noi avevamo questo Fritz. Federico si chiamava. Insomma ‘sto Fritz che eravamo diventati amici. Era un giovanotto, anche lui. Amici amici, per la pelle, eravamo. Lui non ci avrebbe fatto mai del male. Pero’ la Chiarina, tua zia, gli ha detto “Ho il fidanzato che e’ partigiano”, gli diceva la verita’ scherzando. Dice “Mi deve venire a trovare. Dovessi incontrarlo...”. Lui ha detto “No Chiara... no Chiara. Io te lo ammazzo subito”. Parlava bene come me, così parlava bene. “Io tam tam tam te lo ammazzo subito”. “Embe’ ma io mi metto in ginocchio, ti prendo le gambe, ti dico ‘No Fritz, lascia stare il mio fidanzato, mi fai morire anche a me'”. “Mi dispiace per te, ma io ta ta ta l’ammazzo”. E lo faceva. Non per niente aveva una fila di medaglie così. Qualcosa ha fatto lassu, in tutta la sua carriera. Te lo dico io. Poi l’avevan mandato avanti a fare questi lavori. A volte e’ venuto a trovarci. Due, tre. Pero’ ha chiesto di me, ma io ero andata a Genova, sono qui e non ho potuto vederlo. E’ tornato nei posti li’. Le cose erano cambiate come saranno cambiate da loro. Insomma. In tempo di guerra si sentivano i padroni, capisci? Perche’ babbo poi, mio babbo, gli ha detto: “sta’ a sentire Fritz”. Perche’ parlava in italiano. Parlava il dialetto. Parlava tutte le lingue. Il babbo gli diceva “Sta’ a sentire Fritz, facciamo una cosa. Io sono un po’ piu’ alto di te – perche’ non era molto alto Fritz, era piccolino, il nonno era alto, il nonno Cleto – io son piu’ alto di te. Ma tiriamo su, facciamo l’orlo”. Perche’ poi il nonno... Fabrizio: Facciamo l'orlo? Valeria: Un orlo, per i pantaloni, “tiriamo su l’orlo”, gli diceva. Per dargli i suoi pantaloni. “Tu passi per mio figlio. Cosa vai avanti a combattere? E stai qui, va la’! Stai qui con noi! Diciamo che sei mio figlio”. Fritz rideva “sì sì Cleto, sì sì papa’Cleto, sì si papa’ Cleto”. Babbo Cleto gli diceva. Sì. Figurati se avrebbe fatto una cosa del genere! Quello era un tedesco: tutto dovere. Per carita. Pero’ ci scherzavamo. Anche la fotografia ancora c’ho. Ci ha fotografato lui, eh, con la sua macchinina. Fabrizio: E ce l’hai ancora... Valeria: Si c’ho ancora una fotografia, sì, una fotografia. C’era Tonino, un bambino piccolo così. Fabrizio: Me la fai vedere? Valeria: Adesso, va’ beh, e’ in mezzo a tutte le altre fotografie. Fabrizio: Poi me la fai vedere? Valeria: Sì sì. Ma e’ una fotografia, ma non c’e’ lui. Fabrizio: E’ lo stesso. Voglio vedere quella che ha fatto lui. Valeria: E’ una fotografia che ha fatto con una macchinina che aveva lui, eh. Fabrizio: Eh! E me la farai vedere?

[L'arrivo degli alleati]

Valeria: A un certo punto: porca puttana. vedev... non piu’ qua il fronte , vedevi insomma tutti lassu’, tutti i carrarmati, carrarmati. (urlando) “Porco Mond! Vai! E’ arrivat il front! E’ arrivato il front! Siamo liberi! E’ arrivato il front!”. Tutti ‘sti carrarmati per Urbin, perche’ c’e’ una strada lassu’ in cima s’e’ andat in Urbino. E son venuti giu’, anche la strada qui, tutt’incontro siamo andati. Ma nelle campagne cosi’. Una festa. Allora e’ scappat fuori il vino, e’ scappat fuori tutto. Li daremo a questa gente, no?. Insomma: avevano da fa’ con le mani e i piedi. Poi sno arrivate tutte le razze. C’eran dei negretti alti dasci’ (mezzo metro), ma brutti come la fame. Sembravan dei mostriciattoli, veramente. Dei negretti, alti non eran piu’ alti de dasci’. Ma tu dovevi vede che gente che era. Poi c’eran gli indiani: quant’erane belli Madonna! Che gioventu’ bella. Che gente bella. Ma veramente tutti. Io non ho trovato uno di questi ragazzi brutti. Tutti col turbante, ‘sti capelli qua, scendevano giu’, il front era in alto, si andava giu’. Tutte le mine. Pan! E vien vien su, vengono su tutti su tutti portati a spalle. Li portavano in tre o quattro nelle spalle. Il turbante perso nell'esplosione, c’aveva dei capelli lunghi cosi’, neri zinzi. Impolverati un po’. Neri zinzi tutti mezzi... Fabrizio: Zinzi? Valeria: Zinzi. Vuol dire neri zinzi, vuol dire neri neri. Con dei capelli lunghi cosi, senza una gamba. E poi via quell’altro, senza una gamba. E poi via quell’altro, senza una gamba. Quanti non ne ha portat su il comando! Il comando l’han messo su li’. L’avevan messo su li’. E’ stato su un paio di settimane. Poi e’ partito e’ andato giu’. Quand’e’ andat giu’ abbiam avuto da fare con un pazzo di un inglese.

Valeria: Poi tutti questi... tutta questa razza di questa gente... Perché poi davanti erano tutti i negri, tutti gli indiani. Gli inglesi e gli americani erano dietro. Sta' pur tranquillo che non andavano avanti. Sono andati laggiu’ e hanno avuto una resistenza in questa casa. E in questa casa li hanno ammazzati tutti i tedeschi. Tutti puniti. “Cosa? tu fuori uccidevi?”. Perché hanno resistito ‘sti stupidi? Come lassu’ nella casa mia. Nella nostra casa, l'hanno riempita di buchi nei muri. Un buco qui che andava verso Rimini. Un buco qua che andava giu’ tutto verso Pesaro, Cattolica, tutto giù dove c’e’ tutta... E di qua verso Urbino. Tutta, tutta sbucanata. Tutti buchi. Quella l’han tenuta: era una postazione di vedetta. Non ti dico cosa non han trovato in questa casa, perche’ si erano accampati li’ gli inglesi. Prima c’erano i tedeschi, ci son stati tedeschi, i tedeschi sono andati via. Sono andati su. E poi l’accampamento l’hanno fatto gli inglesi. Mi ricordo c’era anche il letto, avevano i due letti, del babbo e il nostro. Han dormito li’, si vedeva che era tutto un casino. Madonna. C’era il grano, perché è stato in quel periodo lì quand'è arrivato il fronte. Alto, secco: il grano secco. Proprio d’oro era. E di la’ dalle mie amiche piu’ in la’ c’eran queste case dove c’era un comando, un comando dei tedeschi, no? Era fermo li’... c’era il capitano. Insomma di tutti i soldati che c’erano... qui dalla nostra casa sparavano, a questo ragazzo. Era rimasto solo. Il comandante gli ha detto “o che vai a fare resistenza o che ti sparo”, no? Gli hanno detto. “O che vai o che ti sparo”. E lui “ma io cosa vado a fare?. Sono solo!”. “Tu – gli hanno detto – vai e spara; fai sentire che ci siamo ancora a sparare”. È stato costretto ad andare. S’è messo sotto il grano e sparava. Sparava dove sparava dasci’. L’han fat fora. L'hanno ammazzato. L’hanno seppellito li’, purtin santo. L’han seppellito in uno dei nostri campi. Li’ nel nostro... nel monte, da noi. Fabrizio: Tedesco questo. Valeria: Tedesco si’. Quel disgraziato di quel comandante. Allora lo dicevano là, perché proprio era di una cattiveria immancabile, indiscutibile. ‘Sto digraziato. ‘Sto ragaz – dico – era una ragazzo tanto bravo. Fabrizio: Basta. Valeria: Basta, basta.

[Gente che salta]

Valeria: E noi andando incontro al fronte, non abbiamo piu’ potuto ritornar a casa con velocita’. Perche’ era tutto minato. Questo anche. Le mine erano piantate come il tabacco. Una qui, una qui, tutte proprio precise con dei fili venivano piantate. Per terra. Quelle mine... e poi c’eran le mine, quelle rotonde cosi’, per i carri armati. Percio’ era tutto minato. Tutto... una certa zona. Cioe’, tutto da una parte qua, e non dalla parte del fiume.
Poi sopra c’erano le gallerie, tutte le trincee no? Le trincee ti coprivano proprio l’uomo eh. L’uomo era piu’ alto cosi’. Pensa quanto erano profonde. Comunque dopo di quello li’ -guarda- e’ nata una rugna... Io no, la mia famiglia e’ rimasta uguale. Ma intorno invece tutt’interesse. La povera terra nera, la gente cercava di poter fregare, ti fregava. Una cosa... un cambiamento... la gente, la gente ci siamo cambiati da cosi’ a cosi’. Io son rimasta tanto male. Per me... ma veramente, credimi pure, io piangevo anche. “Ma come mai la gente, ma come mai che e’ cambiata cosi’? E cosa fanno?”. Tutti furtivi sai? Facevano questo, questo senza dirti niente. Bugie di la’, bugie di qua. Dicevano a quello li’, che questo qui, tutta quella roba che c’aveva dentro le gallerie, era tutti di quel falegname li’. Tutta una cosa cosi’. Che io... prima non sarebbe mai successo. Ma guarda... un cambiamento enorme c’e’ stato. Poi ci so

 
Continua...

from blocchi

Creare la cosa più probabilistica dopo questa. Ogni parola è figlia di quella prima di lei e sorella di tutte le figlie già generate in precedenza. La scrittura non è altro allora che un groviglio di bivi, un intreccio famigliare. Un incesto lessicale. Fare uscire qualcosa di vero da questi percorsi guidati è un'anomalia. Un'animalia. Una fera in parte bestia materna, in parte rettile squamoso, in parte viscere protocellulari.

Un fera in bosco di lemmi che girando struscia contro infiniti tronchi e ne resta impollinata di senso. E a un certo punto esce dalla selva e si trova là, nel piano della radura, dove solo è lettura e tempo. E cammina e brilla per tutti quei segni e quei pollini di cui è piena: e qui talvolta, suo malgrado, dice; significa. Qualcosa per qualcuno, per un po' di tempo. Poi niente, torna a essere pura materia probabilistica, funzione matematica del linguaggio.

Dico funzione, ma intendo finzione: finzione probabilistica dell'ingaggio; la vera e antica questione della sfida belluina, la disfida dell'ordine cavalleresco tra la fera e l'altro che la ferisce e si fa ferire. Quello che si mette lì e legge e ancora non sa se lo fa per medicazione, per benedizione o per farsi aprire feritoie che dall'esterno all'interno fanno entrare morbi e aria e luci; e dall'interno all'esterno secernono muchi e batterici succhi e spermi dell'intelletto.

 
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from cronache dalla scuola

[cronache dalla scuola]

Sono lì in terza che sentiamo un webinar su come sia cambiato il ruolo della donna nel corso del novecento, con infinita lentezza, e durante il webinar una storica del'archivio Ansaldo ricorda di come le donne nella prima guerra mondiale fossero entrate per la prima volta in fabbrica

e mentre parla io mi metto lì e con il portatile mi vado a cercare la sbobinatura dell'intervista che avevo fatto a mia nonna quando andavo all'università e al volo copincollo tre parti in cui mia nonna racconta della sua vita in fabbrica negli anni trenta e alla fine del webinar dico ok ragazzi vi leggo una cosa e mi collego a quello che aveva detto la storica e – in pratica – leggo mia nonna in classe

e i ragazzi ascoltano, un po' come al solito fanno un po' di casino, sono gli ultimi minuti dell'ultima ora del venerdì, e io leggo questa parte in cui mia nonna descrive le operaie della fabbrica di sigarette, tutte nella parte alta della stanza, con la testa che tocca il soffitto, i piedi sui travi, uno a destra uno a sinistra, e in mezzo tirano su il tabacco con una corda e – dice mia nonna – lei e le operaie sono tutte nude

hanno solo le mutande, a gambe larghe sui travi, ma per il resto sono nude perché c'è un caldo infernale, il tabacco viene scaldato, essicato, e subito deve essere messo dentro, ancora caldo e mia nonna parla di questa cosa, dice con orgoglio che lei aveva un bel seno e allora da sotto, dalle finestre, sbucano i maschi, a spiare le operaie nude che iniziano a gridare “Va’ via di li’ disgraziet!!” e continuano a lavorare scacciando i maschi che dai vetri arrivano attirati come mosche

e in quel momento, mentre leggo le mie parole di mia nonna che racconta questa cosa, in terza non vola una mosca, un silenzio che penso non si ripeterà mai più nel corso del triennio e questa cosa di prendere materiali da tutto quello che ho fatto nella mia vita e poi andare ancora indietro e far sentire in aula – leggendola – la voce di mia nonna che urla in marchigiano – e far sentire tutto questo come storia, ecco, me lo segno tra le brevissime cose illuminanti, per me, di quello che faccio

 
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from Blog in Blu

Una bella mazza divertente

La mezza maratona di Brescia non darò il massimo ma mi voglio solo divertire, la gestire e sarà un lungo da 21Km direi non male. Il piede da ancora un po' di noie e probabilmente da li si diffondono anche al resto del corpo. Sarà insomma un bel lungo gestito e in cui ho solo intenzione di divertirmi, considerando poi che sarà sotto la pioggia.

E anche vero che questa settimana è stata bella sballata. Lavorativamente parlando ho avuto un paio di notti e non facili, e quindi a livello di hrv mi ha un po' sballato, le uscite fatte non sono state nemmeno impegnative, comunque nemmeno facili per via delle notti appunto.

Aggiornamento alla newsletter, il tema sara cosa succede al corpo, quando si corrono 5km oppure una maratona. Ci provo al meno.

Il link della newsletter e di tutto il resto di quello che faccio è qui sotto! A presto

 
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from cronache dalla scuola

[cronache dalla scuola]

[1] Quando un tuo studente in un compito di scrittura creativa mette dentro l'espressione “sb0rr4 di toro” e tu ne approfitti per mostrarlo in classe e fare una lezione magistrale sulla comunicazione di Jakobson e sul concetto di contesto.

[2] Quando fai in quinta una lezione sugli intonarumori di Russolo e gli mostri come siano visti da alcuni come archetipi della musica elettronica e fai sentire/vedere Pendulum Music di Steve Reich e gli fai anche vedere Clapping Music indicando come la musica a pattern di Reich potrebbe essere un collegamento possibile in sede di orale di maturità con informatica per ciò che riguarda i cicli

e poi gli fai vedere l'inizio del Quartetto per archi ed elicotteri di Stockhausen e quello di Construction Sounds di Schneider TM, mostrando come sia simile per certi aspetti al Risveglio della città di Russolo e tu – cioè io – so dentro di me che quello che gli sto mostrando e dicendo finirà nel 99% nell'autodistruzione e che sto lavorando per quel piccolo 1%

e poi citi a braccio Berio che – alla domanda su cosa sia la musica – aveva risposto “tutto quello che una persona percepisce come musica” e che la musica è sempre politica e che oggi noi ascoltiamo una musica pop che è costruita su un calco anglossassone/statunitense, dici, e racconti di quella volta

che lavoravi su DPT anche otto ore al giorno e ti mettevi le cuffie per lavorare meglio e ti sei reso conto che stavi tutto il giorno a sentire musica con ritmi nati per ballare che ti dicevano che dovevi divertirti e dovevi ballare e questa musica pop che diceva che dovevi ballare e divertirti la sentivi per ore mentre eri immobile davanti a un terminale a fare esattamente la cosa opposta, eri/ero immobile a lavorare

perché – dici – la mia e la loro generazione hanno questo in comune, un carico di responsabilità e pressione enorme, infinitamente maggiore di quello di un tempo, una pressione sociale, economica, culturale, lavorativa che ci richiede la società e il mercato che – per farcela sopportare – ci dà anche la valvola di sfogo, il pop, la cultura commerciale

e Stockhausen non è rilassante, non lo senti sotto la doccia, cioè io sì, ma voi no, dici, e anche in questo la musica è politica e io mi rendo conto – dico – che questo che vi sto facendo sentire vi sembra senza senso e assurdo, ma se non ve lo faccio sentire io qua è facile che poi non lo sentite più dici e ridacchi

e poi uno studente viene al computer e ti fa vedere un meme di uno che fa musica con la tromba mentre il figlio usa lo sportello del forno per fare la batteria e ti dice “scusi eh, ma perché questa allora non sarebbe musica concreta?” e ti guarda come se fossi un fesso e tu gli dici la tua e lui la sua

e poi un altro studente che era al cellulare, uno che per compito sta scrivendo un saggio breve di quarantamila battute sui Beatles di cui è appassionato, lui, alza gli occhi e dice, ecco stavo cercando e qua c'è scritto che i Beatles hanno scritto Revolution 9 ispirandosi a Stockhausen ed è un po' fiero e un po' stupito della cosa

e allora mettete Revolution 9 e ne ascoltate un pezzo e tu dici bella, mi fa venire in mente un pezzo di Battiato, Goûtez et comparez, e lo metti e ne sentite un pezzo anche di quello e tu metti la parte in cui Battiato ha campionato la voce di Marinetti e il cerchio si chiude

e tutto questo vabbé lo fai davanti agli studenti ma anche alla docente di inglese che – brillando – si è fermata quasi due ore in più fuori orario per sentire la tua lezione – niente – dà l'idea che la scuola potrebbe essere un gran casino di cose

 
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from 𝓐𝓵𝓮𝓼𝓼𝓪𝓷𝓭𝓻𝓪 & 𝓖𝓲𝓪𝓭𝓪

Dalla prima volta che ti ho vista, ti ho considerata donna. Non importava chi fossi nella vita reale, io vedevo te, oltre la tua barriera fatta di frasi ad effetto, oltre il tuo voler essere spiritosa, oltre il tuo muro fatto di battute a doppio senso.

Con la mia sensibilità ormai già sviluppata, ti guardavo mentre sacrificavi il tuo tempo in un Club che non ti meritava, che non ti apprezzava.

Tante volte avrei voluto strapparti da lì, per farti vedere i paesaggi e i posti favolosi della vera SL, e qualche volta ci ho provato. Ma tu eri fedele ad una promessa, perché tu sai mantenere le promesse, anche a costo di subirne le conseguenze.

Dopo i primi giorni ci siamo accorte di avere una intesa al di sopra di tutto, la nostra amicizia era “speciale”, e non è mai finita del tutto anche quando ci siamo allontanate.

Adesso stiamo insieme amore mio, e non ti lascio, perché vedo chiaramente la donna meravigliosa che c'è in te. Sei generosa, comprensiva, altruista, sai amare e sai farti amare.

Chi non ti apprezza non ti merita, perché tu sei al di sopra di qualsiasi donna. Buona festa della donna, amore mio. Ti amo immensamente.

Auguri.

ღ 𝒜𝓁ℯ𝓈𝓈𝒶𝓃𝒹𝓇𝒶 𝒲𝒽𝒾𝓉ℯ ღ @AlessandraSospiro@mastodon.uno

 
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from Swordc

A proposito delle democrazie.

Il mercato mondiale che mette a confronto i vari modelli di Stato, autocrazie, dittature, monarchie assolute, governo militari ecc. , richiede un aspetto importantissimo , che le democrazie hanno difficoltà ad implementare ed è il fattore Tempo. I tempi per prendere e realizzare una decisione sono troppo lenti e con procedure farraginose e non permettono di essere rapidi ed efficaci come i suddetti regimi. Un problema a cui pensare rapidamente per trovare delle soluzioni.

 
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from Swordc

Il giorno in cui tutti gli esseri umani si libereranno delle gabbie ideologiche e delle religioni, allora le persone saranno veramente libere e il mondo sarà molto migliore e in pace.

 
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from Swordc

Riflessioni sullo strumento del Referendum

Il referendum è uno strumento di democrazia diretta, ma secondo me andrebbe aggiornato ai tempi e reso più fruibile digitalmente.

Ci vorrebbe un sito web dei referendum , a cui i cittadini possono accedere dopo aver creato un account con i propri dati reali e aver allegato i documenti di riconoscimento.

Il sito dovrebbe permettere agli iscritti di proporre quesiti da sottoporre a referendum, quesiti che restano anonimi per gli altri utenti. Poi chi accede potrà consultare e se vuole votare per uno o più quesiti posti sul sito, solo con un Si. Quando il sistema, in automatico, raggiunge il numero previsto di Si, scatterebbe automaticamente il referendum ( dopo che ha superato il controllo costituzionale) . Ovviamente nessuno può sapere a che numero sono nel tempo i vari quesiti. Il tempo per raccogliere i consensi dovrà essere stabilito. Questo permetterebbe ai cittadini di proporre referendum che forse nessun partito politico o classe sociale vorrebbe, ma nessuno potrebbe impedirlo.

 
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from Swordc

Riflessioni sullo stato degli USA.

Colgo l'occasione dell'inizio delle primarie per qualche riflessione su ciò che potrebbe accadere agli Usa nei prossimi decenni. Il popolo americano, che è sempre stato in maggioranza conservatore, si è radicalizzato sempre più nell'ultimo decennio. Escludendo una minoranza progressista, acculturata, multietnica e poco o niente ideologizzata, la restante parte degli americani è diventata più incolta, più ideologizzata dalle varie religioni, più sovranista ed egoista. Questa maggioranza esprime politici che porteranno il Paese verso una società più chiusa , religiosa e intransigente, razzista e nazionalista. Insomma i presupposti per vedere il declino di una grande nazione ci sono tutti ed è interessante che gli americani non né siano consapevoli. Precipitano verso il burrone , ma continuano a guardare il loro ombelico. Questo farà sì che la Cina avrà gioco facile a imporsi come la nuova potenza dominante su una gran parte del pianeta. Spero che l'Europa sia resiliente e che faccia di tutto e presto per diventare autonoma dagli USA, soprattutto in politica e militarmente. Se non fosse così , la influenza cinese potrebbe prendere il sopravvento i gran parte dell'Europa.

Reflections on the state of the USA.

I take the opportunity of the beginning of the primaries to reflect on what could happen to the US in the coming decades. The American people, who have always been overwhelmingly conservative, have become increasingly radicalized over the past decade. Excluding a progressive, cultured, multi-ethnic and little or no ideological minority, the remaining part of Americans has become more uncultured, more ideological by the various religions, more sovereign and selfish. This majority expresses politicians who will lead the country towards a more closed, religious and intransigent, racist and nationalist society. In short, the conditions for seeing the decline of a great nation are all there and it is interesting that Americans are not aware of it. They plummet towards the ravine, but continue to watch their navels. This will ensure that China will have an easy time establishing itself as the new dominant power over a large part of the planet. I hope that Europe is resilient and will do everything and soon to become autonomous from the USA, especially in politics and militarily. If not, Chinese influence could take over much of Europe.

 
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