Transit

Economia

(171)

(MF)

La manovra finanziaria 2026 varata dal #GovernoMeloni, per un totale di circa 18,7 miliardi di euro, si pone in un quadro europeo di regole sul bilancio pubblico che limitano fortemente lo spazio di manovra annuale. Le nuove regole europee, introdotte nell’aprile 2024, impongono un sentiero di contenimento e progressiva riduzione del debito pubblico tramite limiti molto stringenti alla spesa primaria netta. Nel confronto con le precedenti manovre, emerge come quella del 2026 sia particolarmente “formato mignon” (una pastarella), caratterizzata da misure marginali di aggiustamento che lasciano poco spazio a interventi strutturali di rilancio economico o sociale.

Nel dettaglio, le manovre del 2019 sotto il governo #Conte (comunemente indicate come “Conte bis”) si divisero tra la necessità di adeguarsi alle richieste europee di moderazione dei deficit e il mantenimento di prestazioni sociali come il reddito di cittadinanza e la quota 100 per le pensioni. Pur significando un moderato sostegno al welfare, la manovra del 2019 si caratterizzò però per un sottoinvestimento pubblico drammatico, stimato in oltre 100 miliardi di euro in meno rispetto alla media europea di investimenti pubblici nel periodo 2007-2018. Questa sottocapitalizzazione ha contribuito a una stagnazione economica con crescita quasi nulla e una progressiva perdita di competitività industriale e occupazionale.

La manovra del 2022, approvata sotto il governo #Draghi, fu invece nettamente espansiva, con oltre 23 miliardi di interventi destinati a sostenere pensioni, reddito di cittadinanza, imprese e servizi pubblici come sanità e scuola. Si puntò anche sul taglio di tasse per circa 12 miliardi, bilanciando una politica fiscale più favorevole alla crescita e ampliando la spesa sociale. Questa strategia ebbe l’intento di sostenere la domanda interna e di stare vicino soprattutto a categorie vulnerabili.

Al contrario, l’ultima manovra del Governo Meloni rinuncia in larga parte a questo approccio espansivo. Con una dotazione più contenuta, pari a circa 18,7 miliardi, essa taglia circa 10 miliardi alla spesa sociale e al contrasto della povertà, riducendo, per esempio, il fondo destinato a tali interventi di oltre 3 miliardi. L’intervento fiscale si concentra prevalentemente sulla fascia media dei redditi, con un beneficio modesto o nullo per i lavoratori più poveri, che vengono esclusi o penalizzati da meccanismi come le detrazioni e la composizione ISEE usata per determinare i contributi a sostegno delle famiglie.

Da un punto di vista macroeconomico, questa scelta ha ripercussioni pesanti: mentre la manovra Draghi del 2022 puntava a generare effetti espansivi concreti sul PIL e a contenere le disuguaglianze, quella del 2026 appare orientata a un mantenimento del rigore con un impatto restrittivo in termini di crescita, stimato intorno allo 0,1% nel 2027-2028. Inoltre, la prevista forte crescita della spesa militare, esclusa dal calcolo ufficiale dei vincoli europei, destabilizza l’equilibrio dei conti e sposta risorse lontano da settori chiave per la coesione sociale e lo sviluppo inclusivo.

Il confronto evidenzia una chiara regressione della manovra Meloni rispetto a quelle di Conte e Draghi, sia sul piano quantitativo che qualitativo. Da una parte il persistente sottoinvestimento pubblico storico che condiziona negativamente le prospettive di crescita e competitività, dall’altra una restrizione degli spazi di #welfare e un aumento delle #disuguaglianze sociali. In particolare, i #lavoratori più poveri escono perdenti da questa manovra, sia per i tagli diretti ai fondi di contrasto della povertà sia per l’orientamento fiscale che privilegia fasce di reddito già più tutelate. Tale scenario sottolinea la necessità di ripensare la strategia di bilancio con un focus maggiore su investimenti pubblici e politiche redistributive efficaci. Insomma, il Governo Meloni vuole premiare quello che ritiene il suo elettorato di riferimento, ghettizzando le fasce più deboli, quasi a volerne nascondere le difficoltà per restituire l’immagine di un paese che, tutto sommato, sta bene e guarda con fiducia al futuro. La realtà lo abbiamo visto, è ben diversa.

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(137)

(Oxfam)

Per quasi 800 milioni di lavoratori occupati in 52 Paesi i salari non hanno tenuto il passo dell’inflazione. Il relativo monte salari ha visto un calo in termini reali di 1.500 miliardi di dollari nel biennio 2021-2022, una perdita equivalente a quasi uno stipendio mensile (25 giorni) per ciascun lavoratore. Questo è l'antipasto.

Se la ricchezza dei 5 miliardari più ricchi continuasse a crescere allo stesso ritmo osservato nel corso degli ultimi cinque anni, entro un decennio avremmo il primo “trilionario” della storia dell’umanità. Ai ritmi attuali, ci vorrebbero, invece, più di due secoli (230 anni) per portare l’incidenza della povertà globale sotto l’1%. Questo è il primo.

Tra luglio 2022 e giugno 2023, per ogni 100 dollari di profitto generati da 96 tra le imprese più grandi al mondo, 82 dollari sono fluiti agli azionisti sotto forma di dividendi o “buyback” azionari. Questo è il secondo.

Per una donna che lavora nella sanità o nel sociale ci vogliono 1.200 anni per guadagnare quanto in un anno percepisce, in media, l’AD di una delle 100 imprese più grandi della lista di “Fortune.” E finiamo con il dolce.

Nelle settantasette pagine del rapporto di “Oxfam” (qui lo potete scaricare) ci sono cose anche peggiori. Come una litania ancestrale e quasi dimenticata -ormai-, ci si tramandano dati del genere con una rassegnazione pari solo al nulla che si fa in proposito. Non c'è una Nazione che tenti di invertire la rotta, se non a parole. I numeri sono, per ammissione di chi gli ha inventati (noi, come genere), non opinabili.

Naturalmente (questi post sono l'ovvio per antonomasia) si manipolano a piacere. Si possono alzare, abbassare, sommare, dividere, fare in modo che narrino ciò che conviene e che, magari, siano una bella fonte di guadagno. Come in un lunedì mattina qualsiasi, però, da qualche parte bisogna iniziare. Se cominciamo così questo 2024, siamo già belli che sistemati.

Un numero che dovremmo aggiungere è 8.019.876.189, ovvero gli abitanti di questo solitario e disgraziato pianeta allo scoccare del I° Gennaio. Rapportato alla seconda portata di questo pessimo pasto, si “...nota un dislivello”, per dirla come il buon principe De Curtis. Evidentemente non è abbastanza accentuato, dato che non sembra accorgersene nessuno.

Per quanto sia tutto connesso e molto, troppo semplice da condividere, c'è senz'altro qualche difficoltà di comprensione globale. Chissà com'è ma della lotta sociale restano brandelli al vento qui e là, che delle dovute incazzature si perdono le tracce perché sommerse dall'immondizia degli influencer, di quelli che per vivere ti danno i consigli su dove passare le vacanze (sono gratis? Non sapevo.)

Accettare l'ipotesi che non è più questione di tempo, che non ce n'è più, ma dell' iniziare a spaccare tutto, senza che questi resti solo un'immagine indefinita e non realista, non si deve dire. Stare zitti è una condizione imprescindibile per fare bene il lavoro del cane da riporto dei padroni, che nel mentre guadagnano su tutto, morte per fame compresa.

Ed allora si guaisca a comando e, mi raccomando, sorridere. Così sembrerà il “Titanic”, che l'orchestra suonava come se non ci fosse un domani. In effetti non c'è. Punto e a capo. (D.)

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130

(Salari)

Ormai non c'è nemmeno da fare dei distinguo sulle fonti o cercare di trovare chi è palesemente schierato con il liberismo “all'italiana”: i salari crescono dell'1% in trent'anni. Qui. Nel resto dell'Europa questo dato è al 32,5% mediamente (i dati li trovate qui). Una soluzione sarebbe, tanto per annoiarci, il salario minimo. Oppure capire chi e cosa ha permesso, in questo arco temporale, alle aziende -di tutte le dimensioni- di potersi permettere di fare ricadere che questa miseria sulle retribuzioni dei dipendenti.

Semplicemente gli imprenditori guadagnano e i lavoratori no. Non tutti e non sempre, ma su questi numeri non si va per il sottile. Uno Stato non è composto solo da contratti degni ed impresari illuminati -sic-, ma dal totale dei suoi cittadini, senza alcuna distinzione di comodo.

E altrettanto semplicemente balza in testa la consapevolezza che i sindacati non sono sati in grado, o non hanno voluto, fare quasi nulla. Con gli slogan non si mangia: almeno i lavoratori, forse i sindacalisti sì. Perchè non è possibile che in tutti questi anni si arrivi a dati così disastrosi, così avvilenti, così gravi.

Tutto può influire, concordiamo: dall'inflazione, alle politiche sociali errate, alle concessioni sempre più ampie al privato (sanità, per dire), perfino al cambiamento climatico. Ma l'immobilismo fattuale delle sigle sindacali ricade su chi deve far quadrare i conti, quindi su tutti.

A forza si continua a cianciare di unità dei lavoratori, della loro ormai flebile voglia di appartenenza, della scarsa attitudine all'impegno. Ma che si vuole ancora? Che oltre a fare quasi la fame ci si schieri con organizzazioni che alimentano una protesta che non porta da nessuna parte?

Chi scrive ha creduto e crede ancora fermamente nell'idea del sindacato, ma è ormai disilluso, ormai è francamente critico, almeno per quanto riguarda le tre sigle maggiori. Se c'è una fievole -purtroppo- voce che si può sentire è quella delle organizzazioni di base. Perlomeno si intravede quel desiderio di lotta dal basso, dal lavoro, dalle mani che altri hanno barattato con inutili e vaghe contrattazioni di palazzo.

E' amaro arrivare a tali considerazioni, soprattutto per coloro che stanno a galla con quei contratti che non mettono mai nella somma la dignità delle persone. Firmati anche da signori che si animano per risultati che non si possono che definire ridicoli, ma che fanno tanto chiasso e vanno bene per i post sui social.

Nel mentre, senza nessuna forma di almeno posticcio ravvedimento da parte dei soggetti di cui sopra, milioni di italiani scivolano nell'oblio, nella povertà e nell'insoddisfazione. Certamente sarà un problema che si affronterà, dato il notorio interesse per tali argomenti da parte dei Governi e delle istituzioni economiche italiane. Tempi previsti non pervenuti. Auguri. (D.)

#Blog #Italia #Economia #Salari #UE

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(Legge di bilancio)

Appare evidente anche al cittadino “medio” come la #Leggedibilancio appena emanata dal #GovernoMeloni sia sbilanciata al ribasso. Comprensibile, dato che è normalità, da decenni a questa parte, parlare di “Spending Review.” Meno, ma anche questo non stupisce, vedere una cifra ridicola come tre miliardi per la #sanità, oppure seicento milioni di tagli ai comuni ed alle provincie (già, quelle cancellate...).

Le parti riguardanti il miglioramento delle pensioni (non dei salari, sia mai), bonus vari e aiuti sociali sono usate con il contagocce: si può evitare, evitiamo. Naturalmente il limite della spesa per l'acquisto di prestazioni private nel settore della sanità sale, progressivamente, fino a ipotizzarlo al 4% nel 2026. Quindi continua l'indicazione a far divenire la salute un optional: a pagamento, però, che il fondo lo grattano i poveri.

Continuando ad addossare gran parte delle cause dei nostri guai alla guerra (anche quella Israeliano – Palestinese, di cui a questo ed ai Governi precedenti frega nulla), a qualsiasi cosa meno che al fine corsa del capitalismo e alle iniquità del liberismo più pornografico degli ultimi cento anni, si prende per il celeberrimo naso -sic- il paese intero. Anzi, un paese. Per l'esattezza quello che stenta, che sopravvive, che si preoccupa. Quello triste.

Se, come dice Mattarella, “...il lavoro è un diritto, pagare le tasse un dovere” non si comprende appieno come coloro che lavorano onestamente e che i balzelli li pagano alla fonte (più tutti quelli “extra”) debbano continuare a soffrire, a vedersi erosi diritti ed equità, a non sorridere. Mai. Mentre, ancora con maggiore ovvietà, ladri e buffoni di varia natura proliferano nella loro impunità ed ignoranza.

O, forse, tutte queste sono domande retoriche. Basta, come tradizione, non porle. La cosa più semplice.

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(Tassare i super ricchi)

“Nel 2021, il G20 e altri hanno lavorato insieme per garantire che le multinazionali pagassero un livello minimo di tasse. Il G20 deve ora concordare collettivamente di aumentare le tasse sugli individui più ricchi, attraverso una collaborazione internazionale veramente inclusiva e ambiziosa per tassare la ricchezza e per fermare la concorrenza e l’elusione fiscale da parte delle persone più ricche. La nostra ambizione condivisa deve essere quella di far sì che i nostri sistemi internazionali e nazionali funzionino per tutti, non solo per coloro che hanno denaro e potere.”

E se lo dicono loro... Già la locuzione “Super ricchi” dovrebbe far ribrezzo: c'è sempre un pesce più grande nell'acquario e quelli minuscoli soccombono. Nell'appello -sic- di firme italiane ce ne sono solo due, a riprova della maniacale tendenza nostrana ad essere schiavi di una visione che non ci possiamo permettere di avere. Se c'è uno Stato, in Europa, che dovrebbe sapere come l'onestà, anche intellettuale, fa progredire una società, quello è il nostro. Peccato che, a parole, siamo imbattibili, ma deficitari nei fatti. La continua erosione del già basso potere economico della stragrande maggioranza delle famiglie non viene fermata: anzi, tamponi e palliativi posticci per via di azioni emergenziali non fa che condurre a strappi economici (carissimi) privi di slancio per il futuro. Tarpiamo le ali ai giovani, abbandoniamo gli anziani, continuando a chiedere soldi per il privato, quel privato che non si tocca, che si tassa meno dei lavoratori. Il quadro lo conosciamo a menadito, le pennellate sono visibili sulla pelle delle persone e se perfino un agglomerato di ipocrisia liberista arriva a dire che no, così non può più andare, perchè dobbiamo incaponirci? Probabilmente, con l'arroganza propria di coloro che pensano a una distorta visione del nazionalismo, le lezioni danno fastidio: ammissibile, ma giocare con la vita altrui non lo è. Un Governo che continua a fare tutto il contrario di ciò che il Mondo sta dicendo non può “pensare” di avere il controllo. E' il contrario, ma dovrà sbattere contro il muro della storia per svegliarsi. Tanto, mica paga lui. (A&D)

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Dieci righe 105

(Ferie)

Girare intorno al pero è sport nazionale. Quindi: non ci sono più strutture di “serie B” (tutta fighetteria), c'è una domanda altissima e i prezzi si adeguano e li hanno aumentati a ragione tutti. Sì, stiamo parlando del must mondiale per eccellenza. Le #vacanze. Siamo pieni zeppi di turisti, dice la presidente di #Enit. Bene. Insomma. Quasi. Forse no. A parte la nostra idea, non per forza condivisibile, che, ormai, non ci si muove più in nessun luogo, la cosa evidente è che tutti hanno ragione, ma in #Italia lo stipendio medio non sale. Non lo fa da vent'anni. Quindi, senza essere economisti, è quello il dislivello. Se non ci pagano, gli aumenti così ben difesi ve li tenete. Ci dispiace per le varie categorie, quella dei lavoratori sfruttati nel turismo sopra tutti, ci stracciamo le vesti per i gestori (sic), ma che volete da milioni di persone che sopravvivono? Desiderate che facciano i debiti per stare una settimana stressati in mezzo a milioni di altri? A noi sembra che stiamo facendo una sorta di “razzismo” verso chi non ce la può fare mai. Al limite della truffa. Anzi, superandolo spesso. Il caldo è gratis, però. Anzi, nemmeno quello. Questo è il paese del sole. Benvenuti. (A&D)

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Dieci righe 77

(Inflazione continua)

Mi sembra che la faccenda dell'#inflazione (qui) che continua a salire (tranne che per pochi giorni), sia molto adatta a definire quello che stiamo vivendo come un periodo di prova. La prova dell'ennesima #crisi perenne che si aggiungerà a tutte quelle che stiamo letteralmente già pagando. La frattura tra la società capitalistico-liberale e le reali condizioni economiche di miliardi di persone non è storia di oggi: si trascina da moltissimo tempo, da quando ci si è dati come obiettivo -sempre più chiaro- la creazione di una società volutamente iniqua. Sotto la guida della #banche, i veri “Stati sovrani” del mondo, tutto quello al di sotto della loro idea di benessere deve essere spazzato via. Si vuole tendere ad una sorta di mondo spopolato dalla miseria e dalla povertà, ma non perchè sconfitte: semplicemente perchè ci saranno pochissimi eletti e dietro il deserto. Quindi possono raccontarci quello che vogliono su prezzi dell'energia, guerre, rialzi dei tassi. La massa è e sarà sempre ad essere sacrificabile. C'è tanto da guadagnare, poco da essere umani. Altrochè fantascienza.

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Dieci righe 75

(Precari per sempre)

Ed allora lo fanno apposta. Le signore ed i signori che fanno parte del #GovernoMeloni strillano di crescita #economica. Nella realtà dei fatti stanno tagliando anche gli ultimi brandelli della casacca bucata che è divenuta il #lavoro. Naturalmente soprattutto quello precario. Come si può leggere anche (qui) le decisioni dell'esecutivo sono volte a rendere ancora più forti le #aziende. Dei #lavoratori chi se ne frega: le tasse le devono pagare alla fonte, perciò si possono continuare a spremere. Il sangue, ma gari, penseremo a gabellarlo tra qualche mese. E' immorale questo continuo disastro perpetrato verso chi non ha altro modo di campare con dignità che darsi da fare, prendere tutto quello che viene offerto. Il continuo abbassare la vita di milioni di persone verso la miseria dà la misura della politica Italiana. Quando non resterà più nulla se non disagio e rabbia sappiamo che, nella realtà fattuale, continuerà ad ergersi al di sopra della povertà con arroganza. Niente si frappone tra questa casta e la sua perpetuazione. Niente, nemmeno molti dei lavoratori stessi. E fa male più delle cazzate che ogni giorno ci propinano. (D.)

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Dieci righe 73

(Poveri e zitti)

Insomma, riassumendo, si potrebbe dire “Poveri e zitti.” In realtà la questione, nell'articolo (qui) è messa meglio, ma il “concetto” finale è quello. Si potrebbe obiettare, ed io non sono un economista -per fortuna-, che questo signore ne sa più di tanti altri. Verissimo. Come è vero che non è da ieri che si butta sempre su chi lavora il peggio: ci fosse una volta che si dice ad un miliardario di non rompere l'anima se gli dovessimo mettere le tasse parametrate al suo reddito. Sia mai. Questo è ciò che qualsiasi persona, indipendentemente dal proprio livello sociale (brutta questa, ma tanto), dovrebbe chiedere. Giustizia ed equità se le scordano facilmente, questi. Tanto mica ci devono convivere loro con la sopravvivenza. Mica debbono fare i salti mortali, letteralmente, per portare a casa due soldi due. Possono sentirsi impuniti nella loro becera mancanza di empatia. Anche questa dovrebbe essere tassata. Sai i soldi. (D.)

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Dieci Righe 57

(Sciopero)

Un articolo di “Sinistra Quotidiana” (qui) fotografa in maniera esatta e circostanziata l'attuale situazione Sindacale e sociale nel nostro Paese. Certo, è di parte, ma se vedete solo questo non è stato compreso il problema. Come ho scritto molte volte, quella che ci troviamo a fronteggiare non è una “ultima spiaggia”: è molto peggio. Mi preme sottolineare come sia questo l'ostacolo che percepisco come maggiore. Una sorta di piatta ammissione della sconfitta, in termini economici e non solo: la debacle della #ClasseMedia non ha sollevato che pochissime proteste, quasi tutte fatte sui #SocialNetwork. I #Like danno da mangiare a pochissime persone, però. E tutti coloro che a quella “classe” non appartengono o non hanno mai appartenuto? Chi se ne frega? In queste poche e zoppe righe questo chiedo, con insistenza. E' questo che ci dobbiamo domandare, non se quello scritto è un pensiero di coloro con cui non andiamo d'accordo. O remiamo, tutti, o non ci saranno più divisioni politiche. Solo un silenzio insopportabile costruito sulla pelle dei più deboli. A me non va bene. (D.)

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