Transit

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(145)

(Rafah)

Sfiancante. Questo è il termine. Credo che i quattro lettori di questo #Blog abbiano provato, io spesso, cosa significhi, nei fatti, questi parola. Sarà più probabile per chi ha collaboratori o responsabili inetti e menefreghisti. O quando, anche solo camminando, si nota la mancanza di educazione civica ormai dilagante. Alla fine, si cede per sfinimento.

E' quello che si prova dinnanzi a ciò che i più definiscono “rischio”, parlando del genocidio che #Israele perpetra, da qualche mese (nella realtà fattuale, da decenni), nei confronti del Popolo Israeliano a #Gaza. Tra poche ore, assai probabilmente, a #Rafah. Gran Bretagna, Francia, Cina e tanti altri stanno tentando di fermare, a parole, questo disastro che è già epocale.

L'inutilità di questi atti, più programmatici che altro, la leggiamo e la sentiamo quotidianamente ed è, appunto, sfiancante. Molto peggio è l'assoluta baldanza, il totale menefreghismo, la protervia Israeliana nel perseguire i propri scopi, che sono quelli di una pulizia etnica (va detto, va scritto). Le parole pesano, ma non come le bombe, come i morti.

(Rafah2)

Fregarsene di tutto e di tutti, ben sapendo che armi e sostegno morale arrivano in ogni caso, è la vera forza di uno come #Netanyahu: non fa più nemmeno “finta” di ascoltare. Anche tramite i Ministri del suo Governo, guerrafondai e profondamente inumani, perpetra una sorta di guerra psicologica che hanno già vinto i suoi predecessori.

Inermi, quasi volutamente, stiamo qui, a indignarci e a scagliare offese contro chi, bellamente, ha “colto al balzo” gli atti terroristici di #Hamas (che, qui, nessuno difende) per finire il lavoro. Tutto questo è sterile. La stessa volontà che si sta mettendo a difesa degli interessi economici nel #MarRosso, con armi e proclami, per #Rafah non è presa nemmeno lontanamente in considerazione.

Troppo rischioso, ed è vero. Con l'#Egitto difeso solo da una rete arrugginita, nessuno vuole fare un passo. Eppure la litania dei morti, che hanno un peso diverso a seconda di chi ne parla, ammonisce. Più questo, quasi nulla. Il vortice di una umanità selettiva grava su tutto il globo. Lezione inascoltata, destinata a finire sotto le macerie di #Rafah. Un luogo che ha tutti i nomi che volete.

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Tutte le opinioni qui riportate sono da considerarsi personali. Per eventuali problemi riscontrati con i testi, si prega di scrivere a: corubomatt@gmail.com

(143)

(ZC)

Alla fine della lettura dell'ottima grapich novel (si dice così?) “In fondo al pozzo” di #Zerocalcare sul numero 1545 di #Internazionale (qui), si parla di responsabilità. A me ha colpito, come dovrebbe, ma ha anche fatto seguire un po' di timore. In fondo c'è sempre stato, diciamo dal 2005, quando è nato questo #Blog. Parlando di #IlariaSalis e della sua vicenda (ma anche di altre, altrettanto e anche più gravi), l'autore romano crea un piccolo corto circuito doveroso.

A dire che la paura di assumersi una responsabilità diretta, in qualunque maniera noi agiamo (quindi sì, anche scrivendo un post), soprattutto sui #socialmedia, non è cosa di poco conto. Non so se ci riflettiamo abbastanza, prima di accendere il PC, di mandare una foto al mondo, di maledire politicanti e cialtroni vari. Io no, di certo. Non mi giustifica una impulsività di fondo ben radicata nel mio (pessimo) carattere. Eppure non serve avere un cervello da 242 di q.i. per comprendere che è questo, il punto essenziale.

Chi, come Ilaria Salis, ci mette la faccia e tutto il resto, può sbagliare, può andare oltre quello che le convenzioni chiamano “buon comportamento”. Intanto, per farla corta, queste persone rischiano molto e subiscono anche di più. Da una tastiera, ammettendo che la Polizia Postale si dedichi ai delinquenti veri, la probabilità di rimetterci i denti o la mandibola è milioni di volte inferiore. Zerocalcare lo spiega bene e non serve arrivare a tanto.

Fermarsi o riflettere? Le due cose non si elidono, seppur nell'era della velocità mediatica e della ricerca ossessiva della notorietà, anche se non si vuole rischiare di prenderle veramente. A me torna piuttosto arduo fare il secondo step, come detto. Quindi, sbaglio. E aggiungo, senza sentirmi retorico, che solo nella realtà si realizza la vera responsabilità, qualsiasi cosa riguardi. Praticamente le obiezioni stanno a zero (calcare.)

Tuttavia, ed è sempre l'esperienza personale di cui scrivevo ieri, sembra così semplice e giusto, tanto giusto. Adamantino. Ma i diamanti non fanno nascere nulla (lo cito apposta): è sporcandosi che si possono creare le cose, la giustizia, la lotta per chi non può difendersi, la ricerca di un mondo un po' meno schifoso. Il mezzo, a questo punto, conta pochissimo. Se ci pensiamo più di tre secondi dovremmo tacere e fare sì con la testa. Punto. Due punti e a capo.

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(137)

(Oxfam)

Per quasi 800 milioni di lavoratori occupati in 52 Paesi i salari non hanno tenuto il passo dell’inflazione. Il relativo monte salari ha visto un calo in termini reali di 1.500 miliardi di dollari nel biennio 2021-2022, una perdita equivalente a quasi uno stipendio mensile (25 giorni) per ciascun lavoratore. Questo è l'antipasto.

Se la ricchezza dei 5 miliardari più ricchi continuasse a crescere allo stesso ritmo osservato nel corso degli ultimi cinque anni, entro un decennio avremmo il primo “trilionario” della storia dell’umanità. Ai ritmi attuali, ci vorrebbero, invece, più di due secoli (230 anni) per portare l’incidenza della povertà globale sotto l’1%. Questo è il primo.

Tra luglio 2022 e giugno 2023, per ogni 100 dollari di profitto generati da 96 tra le imprese più grandi al mondo, 82 dollari sono fluiti agli azionisti sotto forma di dividendi o “buyback” azionari. Questo è il secondo.

Per una donna che lavora nella sanità o nel sociale ci vogliono 1.200 anni per guadagnare quanto in un anno percepisce, in media, l’AD di una delle 100 imprese più grandi della lista di “Fortune.” E finiamo con il dolce.

Nelle settantasette pagine del rapporto di “Oxfam” (qui lo potete scaricare) ci sono cose anche peggiori. Come una litania ancestrale e quasi dimenticata -ormai-, ci si tramandano dati del genere con una rassegnazione pari solo al nulla che si fa in proposito. Non c'è una Nazione che tenti di invertire la rotta, se non a parole. I numeri sono, per ammissione di chi gli ha inventati (noi, come genere), non opinabili.

Naturalmente (questi post sono l'ovvio per antonomasia) si manipolano a piacere. Si possono alzare, abbassare, sommare, dividere, fare in modo che narrino ciò che conviene e che, magari, siano una bella fonte di guadagno. Come in un lunedì mattina qualsiasi, però, da qualche parte bisogna iniziare. Se cominciamo così questo 2024, siamo già belli che sistemati.

Un numero che dovremmo aggiungere è 8.019.876.189, ovvero gli abitanti di questo solitario e disgraziato pianeta allo scoccare del I° Gennaio. Rapportato alla seconda portata di questo pessimo pasto, si “...nota un dislivello”, per dirla come il buon principe De Curtis. Evidentemente non è abbastanza accentuato, dato che non sembra accorgersene nessuno.

Per quanto sia tutto connesso e molto, troppo semplice da condividere, c'è senz'altro qualche difficoltà di comprensione globale. Chissà com'è ma della lotta sociale restano brandelli al vento qui e là, che delle dovute incazzature si perdono le tracce perché sommerse dall'immondizia degli influencer, di quelli che per vivere ti danno i consigli su dove passare le vacanze (sono gratis? Non sapevo.)

Accettare l'ipotesi che non è più questione di tempo, che non ce n'è più, ma dell' iniziare a spaccare tutto, senza che questi resti solo un'immagine indefinita e non realista, non si deve dire. Stare zitti è una condizione imprescindibile per fare bene il lavoro del cane da riporto dei padroni, che nel mentre guadagnano su tutto, morte per fame compresa.

Ed allora si guaisca a comando e, mi raccomando, sorridere. Così sembrerà il “Titanic”, che l'orchestra suonava come se non ci fosse un domani. In effetti non c'è. Punto e a capo. (D.)

#Blog #Economia #Lavoro #Diseguaglianze

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(135)

(Yemen)

Il mondo non è alla rovescia. Stanotte, nello Yemen, si è ribadito. Quella che sta mancando, da sempre, è la prospettiva di umanità, lo sguardo oltre a tutte le cose che non siano quelle che ci distinguono (ma sempre meno) da altre forme di vita. Ogni guerra, nel mondo, è il cedimento agli istinti, alla paura, alla sopraffazione, al cammino verso la fine globale.

Non spaventi un tono quasi “ecumenico”, ma ciò che accade in Palestina non può nemmeno stupire: indignare no di sicuro, perchè gli interessi geo-politici ed economici sono da sempre superiori a qualsiasi tipo di altra considerazione. Si uccide per vivere meglio, si uccide in nome di Dei che sono favole inventate per non avere paura.

Ma si uccide, sempre di più, sempre più indifferenti e apparentemente stupidi. Si uccide perchè è semplice, di massa, si possono eliminare quelli che non sono come noi e fare i soldi ricostruendo ciò che si è distrutto appositamente. E non c'è di certo quella “giustizia divina” che è un'altra invenzione ridicola, un altro schermo dietro cui nascondersi.

Anche quella umana, di giustizia, non dà molto affidamento. E' monca, paralizzata spesso da cose più grandi di lei, generalmente tutte quelle scritte qui sopra. Si dirà che siamo fallibili e che non c'è mai un “giusto” assoluto od un male altrettanto totale ed è così. Ma appare ovvio e sanguinante che il male è più diffuso, più bramato, più consolante.

La storia finirà (lo scrissi già, ripeterlo non gioverà, temo) e tutto tornerà nell'alveo dell'inutilità: c'è una fine, che non ha data, per tutti e tutto. Nel mentre il mondo gira, ma non cambia senso. Attende, passivo, che questa forma di vita che siamo noi lo finisca, ma lentamente, facendo più danni possibili. Deve essere, in qualche maniera, divertente. Non c'è un'altra spiegazione che regga così bene. (D.)

#Blog #Opinioni #World #Peace #NoWar

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(132)

(Threads)

Di vero c'è che avrei dovuto “applicarmi.” Se provi un nuovo #SocialMedia la regoletta è che devi metterti a seguire chi già leggevi (o vedevi) sugli altri: in questo caso, ovviamente, #Instagram. Poi devi scrivere, interagire, starci, smanettare, fare e fare. Questi passi sono perlopiù sostenuti dalla curiosità, più che dalla novità. Le piattaforme social ormai non le contiamo più. E' semplicemente una questione di grandezza, di influenza (insopportabile) e di moda.

Non essendo il mio lavoro, come per miliardi di altri utenti, gli “scopi” per starci sono relativamente importanti. Direi che perfino chi ci guadagna dovrebbe porsi delle domande su tutto questo, ma i post filosofici li ho già fatti. Quindi, arriviamo al nocciolo. #Threads mi ha già annoiato e perfino infastidito. Come accennato, non avendo obblighi di alcun tipo, ci ho provato. Chiarisco che non è un problema di numeri, di followers. L'asilo l'ho terminato.

Mi arrogo un minimo di esperienza in rete e la cosa che dovrebbe sempre restare in primo piano è l'uso che le Big della rete fanno di questi mezzi. #Meta è ovunque e se ci mettiamo a pensare, pure per poco, comprendiamo che ci siamo già giocati tutto, a livello di informazioni. Per ciò, non è nemmeno questo il gradino più alto. Nel caso di #Threads è altro, quell'altro che sta facendo di “X” (da molto) un luogo non “tossico”, ma molto più pericoloso. E intendo un pericolo per chiunque cerchi un approccio minimale, se non tranquillo.

Su questa nuova piattaforma si intuisce subito come sia divenuta immediatamente terreno fertile per le cose peggiori: bullismo verbale, banalità, idea dei social come esposizione totale (anche del corpo), stupidità sbandierata come passatempo. Anche il famigerato #follow4follow che chiunque ha sperimentato (tipo su “Facebook”), porta a risultati deleteri. E' semplice cassare queste affermazioni enunciando la -relativa- gioventù di #Threads e di pari passo la il suo doversi assestare, ma è ancora accettabile dedicare tempo a cose come questa, intese in tale maniera?

La mia risposta personale è chiara. Facendo due conti sto usando quattro social (compreso il Blog, che non lo è in senso stretto e per fortuna). Molto più di quello che dovrebbe fare chiunque. Perciò, dopo qualche giorno essenzialmente di noia e incazzature non dovute, chiuderò il profilo. Lascio volentieri il campo a coloro che hanno intenzione di attendere che #Threads diventi adulto, ben consapevole che la mia è solo un'opinione che si può discutere.

Per concludere, e sarebbe il caso, ritengo che #Mastodon resti la vera alternativa. Certo, se non vi interessa avere miliardi di possibili “amici”. Mi pare sia questo che si desidera. Ma anche nella vita di tutti i giorni suggerirei di selezionare coloro cui dedicare energie, pensieri ed affetto e mollare il resto. Ricordate che il tempo va sempre e solo avanti. Non si può ricaricare come uno smartphone o un portatile. Ed è anche più semplice da ricordare, questa cosa. Impegniamoci. (D.)

#Blog Opinions #SocialMedia

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130

(Salari)

Ormai non c'è nemmeno da fare dei distinguo sulle fonti o cercare di trovare chi è palesemente schierato con il liberismo “all'italiana”: i salari crescono dell'1% in trent'anni. Qui. Nel resto dell'Europa questo dato è al 32,5% mediamente (i dati li trovate qui). Una soluzione sarebbe, tanto per annoiarci, il salario minimo. Oppure capire chi e cosa ha permesso, in questo arco temporale, alle aziende -di tutte le dimensioni- di potersi permettere di fare ricadere che questa miseria sulle retribuzioni dei dipendenti.

Semplicemente gli imprenditori guadagnano e i lavoratori no. Non tutti e non sempre, ma su questi numeri non si va per il sottile. Uno Stato non è composto solo da contratti degni ed impresari illuminati -sic-, ma dal totale dei suoi cittadini, senza alcuna distinzione di comodo.

E altrettanto semplicemente balza in testa la consapevolezza che i sindacati non sono sati in grado, o non hanno voluto, fare quasi nulla. Con gli slogan non si mangia: almeno i lavoratori, forse i sindacalisti sì. Perchè non è possibile che in tutti questi anni si arrivi a dati così disastrosi, così avvilenti, così gravi.

Tutto può influire, concordiamo: dall'inflazione, alle politiche sociali errate, alle concessioni sempre più ampie al privato (sanità, per dire), perfino al cambiamento climatico. Ma l'immobilismo fattuale delle sigle sindacali ricade su chi deve far quadrare i conti, quindi su tutti.

A forza si continua a cianciare di unità dei lavoratori, della loro ormai flebile voglia di appartenenza, della scarsa attitudine all'impegno. Ma che si vuole ancora? Che oltre a fare quasi la fame ci si schieri con organizzazioni che alimentano una protesta che non porta da nessuna parte?

Chi scrive ha creduto e crede ancora fermamente nell'idea del sindacato, ma è ormai disilluso, ormai è francamente critico, almeno per quanto riguarda le tre sigle maggiori. Se c'è una fievole -purtroppo- voce che si può sentire è quella delle organizzazioni di base. Perlomeno si intravede quel desiderio di lotta dal basso, dal lavoro, dalle mani che altri hanno barattato con inutili e vaghe contrattazioni di palazzo.

E' amaro arrivare a tali considerazioni, soprattutto per coloro che stanno a galla con quei contratti che non mettono mai nella somma la dignità delle persone. Firmati anche da signori che si animano per risultati che non si possono che definire ridicoli, ma che fanno tanto chiasso e vanno bene per i post sui social.

Nel mentre, senza nessuna forma di almeno posticcio ravvedimento da parte dei soggetti di cui sopra, milioni di italiani scivolano nell'oblio, nella povertà e nell'insoddisfazione. Certamente sarà un problema che si affronterà, dato il notorio interesse per tali argomenti da parte dei Governi e delle istituzioni economiche italiane. Tempi previsti non pervenuti. Auguri. (D.)

#Blog #Italia #Economia #Salari #UE

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129

(SW)

La musica è importante, proprio per me, nella mia vita. Potessi ne ascolterei molte più ore, in una giornata. Premessa banale, premessa inutile.

Quando, solo in questi giorni, ho letto il messaggio (pubblico, riportato nella foto in cima) di #StevenWilson -chi è (qui)– sono rimasto molto perplesso. Prima. Mi sono incazzato, poi. Non starò qui a riaprire un dibattito vecchio almeno quanto me su come si possa o si voglia scindere l'arte dal vissuto di chi la fa. Siamo pubblico, perciò parziali. Immagino alcuni di voi (non siete migliaia) che porranno a paragone sulla vicenda #RogerWaters, o che scomoderanno #PierPaoloPasolini.

E' legittimo che anche un artista possa esprimere un pensiero politico, sociale, personale. Il web è di tutti e lo è anche l'arte (con dovuti distinguo che, per amore di brevità, eviterò di citare.) Pertanto non è qui l'incazzatura, non sta assolutamente qui. E' che ci sono dei limiti, anche questi suggeriti da se stessi. E non sono in discussione.

La coerenza non paga e nemmeno siamo pagati da chi ascoltiamo, dagli artisti che ci aggradano: almeno vale per il sottoscritto, che non becca un centesimo da nessuno, ma che ha speso migliaia di euro per la sua passione. Non morirà di fame -sic- il suddetto artista, cui cambia meno di una virgola che io esprima il totale dissenso verso la sua posizione, che io non compri mai più nessun suo prodotto (ahimè, anche quelli dei #PorcupineTree, che sono una band da adorare) o che perda dieci minuti della mia vita a scrivere per un #Blog che conta pochissimi lettori.

Questa cosa la dovevo dire, anche per la coerenza di cui sopra. Non si passano anni a dire che la Palestina è uno stato di diritto, che Israele è una “democrazia” solo per chi si arroga il diritto di negare anche un cessate il fuoco -Biden è uguale a tutti gli altri- e poi tace quando qualcuno “che conta” scrive cose gravissime. Notare come nel post ci siano quei toni che vanno bene per la massa, attenti a dire e contraddire nello stesso istante, così belli e poetici da far cascare i denti. Se non siamo proprio cotti e rincoglioniti non ci caschiamo.

Ecco, uno sfogo questo. Non ho verità assolute da spacciare, non sono né più bello, né più bravo, tantomeno intelligente, di nessuno. Ma che possa cascare immediatamente questo Governo se taccio o non ribadisco la mia (e per, fortuna, di milioni di altre persone) idea. Il “signor” Wilson può contare su tutti i suo fans. E si può vergognare con tutte le note musicali che conosce. (D.)

#Blog #Musica #Music #Opinions #Opinioni

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128

(Bestemmia)

Nel 1999 la sanzione contro “Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità è punito con la sanzione amministrativa da lire centomila a seicentomila.” è stata aggiornata agli euro. Un bel passo avanti, dal 1930, ci pare. Mentre nei contratti nazionali, quelli così cari a chi non vuole aumentare le paghe orarie incostituzionali, a questa cosa non si accenna -giustamente-, una delle migliaia di ditte in appalto agli illuminati “colossi” italiani licenzia per questo motivo (qui)

Un’altra istituzione, l’ONU, che si tira fuori solo se serve a scopi molto ipocriti, nel 2014 ha chiesto di abrogare queste idiozie. Dieci anni fa. Eppure la storia si perpetua immutabile, almeno in questo Paese, arrivando ogni giorno a nuovi picchi di sudditanza nei confronti di una delle religioni ammesse. Una, non la sola.

E’ vero che una bestemmia può dare fastidio: se parliamo della stessa ditta e di una operatrice che ha insultato un cliente, il licenziamento ci sta anche. Il cruccio è una cosa, richiamare un’altra, licenziare una bestialità opportunistica. Può darsi che lo stesso appaltante, tronfio del proprio falso perbenismo, abbia spinto per arrivare a tanto. Può darsi che sia stata una scusa per allontanare chi, sempre ipoteticamente, ha compiuto altri atti contro il datore di lavoro o colleghi, ma ci sono varie sanzioni che si possono applicare. Lo sanno anche certi fenomeni che stazionano nei CDA.

Eppure tutto quanto ha il colore smunto della immutabile, perniciosa sudditanza psicologica nei confronti della chiesa cattolica. Se il fatto resta entro l’ambito della personale idea del mondo (e del resto), nulla si ha da ridire. Non si deve. Arrivare a certi estremi, appare chiaro, fa riflettere su quanto l’Italia non sia uno Stato compiuto, ma ancora -e solo- un paesello colmo di persone che invecchiano malissimo.

Mentre tutto il pianeta si permette di usare il termine “futuro”, a volte persino con troppa facilità, noi, vantandoci, restiamo fermi, immobili a calpestare persone in nome e per conto di entità fittizie cui deleghiamo la nostra intelligenza. E’ più comodo, non sporca e di solito porta a sentirsi migliori. Di chi non s’è ancora compreso.

#Blog #Italia #Religione #Opinioni #Lavoro

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127

(Kissinger & Allende)

Henry Kissinger, figura centrale nella politica estera degli Stati Uniti durante gli anni '70, è spesso associato al sostegno al golpe militare in Cile del 1973, che portò alla rovesciamento del governo democraticamente eletto di Salvador Allende. Questo evento complesso richiede una comprensione approfondita del contesto geopolitico dell'epoca e delle dinamiche interne del Cile.

All'inizio degli anni '70, il Cile era immerso in una serie di tensioni politiche ed economiche. Il presidente Salvador Allende, un socialista marxista, era stato eletto nel 1970, suscitando preoccupazioni negli Stati Uniti, che temevano un'influenza sovietica nella regione. Kissinger, all'epoca consigliere per la sicurezza nazionale del presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, condivideva queste preoccupazioni e riteneva che l'instaurazione di un governo socialista in Cile avrebbe potuto minacciare gli interessi statunitensi nella regione.

La politica estera di Kissinger era caratterizzata da una visione pragmatica e realpolitik, dove la sicurezza nazionale e gli interessi geopolitici assumevano una priorità elevata, anche a scapito della democrazia e dei diritti civili. Nel contesto della Guerra Fredda, l'America Latina era considerata un teatro cruciale per contrastare l'espansione del Comunismo. Kissinger era preoccupato che la politica di Allende potesse indebolire gli Stati Uniti nella loro lotta ideologica contro l'Unione Sovietica.

L'11 settembre 1973, il generale Augusto Pinochet guidò un colpo di stato militare che rovesciò il governo di Allende. Non ci sono prove dirette che dimostrino un coinvolgimento diretto di Kissinger nell'organizzazione del golpe, ma emergono dettagli che indicano il suo appoggio indiretto e la sua conoscenza delle azioni intraprese. Ad esempio, documenti desecretati suggeriscono che gli Stati Uniti, sotto la supervisione di Kissinger, avrebbero fornito sostegno finanziario e diplomatico a gruppi anti-Allende in Cile. In una conversazione registrata del 16 settembre 1973, solo cinque giorni dopo il colpo di stato, Kissinger parlò con Nixon della situazione in Cile. In questa conversazione, Nixon esprimeva preoccupazione per le reazioni internazionali alla caduta di Allende, ma Kissinger minimizzava tali preoccupazioni e sottolineava l'opportunità di spostare l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale altrove.

Il ruolo di Kissinger nel sostenere il golpe in Cile è stato oggetto di dibattito e controversie per decenni. Alcuni critici sostengono che il suo coinvolgimento sia stato più diretto di quanto ammesso pubblicamente, e che gli Stati Uniti abbiano influenzato attivamente gli eventi che hanno portato al colpo di stato. È importante notare che il colpo di stato in Cile ebbe conseguenze devastanti per il paese. Il regime di Pinochet instaurò una dittatura militare caratterizzata da violazioni sistematiche dei diritti umani, con migliaia di persone imprigionate, torturate e uccise per motivi politici. La ferma posizione di Kissinger nei confronti del governo Allende ha contribuito a gettare un'ombra duratura sulla reputazione dell'ex segretario di stato americano.

Il coinvolgimento di Kissinger nel golpe cileno è stato oggetto di indagini giudiziarie e critiche internazionali. Nel 2001, il governo cileno chiese ufficialmente a Kissinger di testimoniare in relazione a un'inchiesta sulle violazioni dei diritti umani durante la dittatura di Pinochet. Tuttavia, Kissinger rifiutò l'invito, sostenendo che la sua testimonianza potesse compromettere la sicurezza nazionale degli Stati Uniti.

Questo interesse nel colpo di stato Cileno, è stato caratterizzato da un sostegno indiretto alla destituzione di Salvador Allende. Questo episodio continua a sollevare domande sulla moralità e l'eticità della politica estera degli Stati Uniti durante la Guerra Fredda e sull'influenza della realpolitik nella gestione degli affari internazionali che continua e si acuisce tuttora.

La morte di Kissinger, come già avvenuto per altri soggetti americani di grande portata, non chiude definitivamente con le conseguenze sociali e morali delle sue azioni. Semmai invita a schierarsi con coloro che chiedono un ridimensionamento dell’influenza USA a livello globale ed in quasi tutti gli ambiti.

#Blog #USA #Politics #Opinioni

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126 [Noi abbiamo un sogno]

(Sogno)

Noi abbiamo un sogno. Anzi, forse, molti. Non credete a coloro che vi dicono che sognare è inutile. Sono persone che si sono scordate le loro utopie, le loro speranze, le illusioni -perchè no?–. Davanti al ciò che il Mondo ci mette davanti, ogni ora, è anche comprensibile, se non quasi obbligatorio. Ma non ci credete lo stesso. Sognare qualcosa che ci fa stare meglio, che per noi significa il traguardo di una vita senza affanni o quello che vi pare, è umano. Molto, molto umano. D'altronde senza i grandi sogni non ci sarebbero state tante cose che hanno cambiato la storia (mica solo belle, eh?).

Per il nostro Paese, quello che malediciamo ogni giorno, il sogno più grande si può definire con una sola parola: prima. Si può arrivare prima a fare le cose? Si possono fare i lavori necessari prima che arrivi un'alluvione? Si può dare un'occupazione dignitosa a tutti prima che milioni di persone facciano la fame? Si può vivere democraticamente prima che i ladri e i politicanti si fottano tutto? Si può curare le persone prima che che facciano avere i loro risparmi ai dottoroni delle cliniche private? Si possono istruire i ragazzi prima che le scuole gli crollino in testa? Si può parlare prima di farsi la guerra, quella vera? Si può fare una legge che tuteli le donne prima che vengano ammazzate?

Sabato il #GovernoMeloni farà approvare il DDL contro la violenza sulle donne (qui). E le 105 donne (per scrivere solo del 2023) prima di Giulia? Non avrebbero meritato così tanta attenzione, prima? Qui non c'è sponda politica che tenga: questi argomenti sono molto più importanti delle meschine beghe da bottegai cui assistiamo, complici, dalla TV che i media hanno reso uno strumento vomitevole.

Ci sarà chi si arroga questa “vittoria di Pirro”, chi sbandiera programmi per l'educazione ai sentimenti (ma un'ora, che due le facciamo di religione), chi scrive e scrive, chi dirà “Io? Mai. Sono uno che rispetta le donne” e avanti. Però quei corpi, quelle vite andavano difesi prima. Molto, molto, prima.

C'è sempre, e quasi inevitabilmente, qualcosa di più importante. Ma davvero esiste qualcosa di più rilevante della vita delle persone? No, non crediamo. Almeno noi. Ma noi, noi non contiamo nulla. (Per dire.)

Come cantava Jannacci “...se me lo dicevi prima.” Magari non è stato detto abbastanza forte. Ma era prima che si doveva fare. Sempre prima. Dopo, spesso, è davvero troppo tardi. (A&D)

#Blog #Opinioni #Italia

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