#Robert McLiam Wilson, ci manchi.

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Questo è un omaggio ad uno scrittore che, forse spaventato dalla fama acquisita con il suo terzo romanzo, ha preferito uscire dal novero dei romanzieri, cercando da un lato di sviare le tracce e le aspettative e dall’altro di essere proprio dimenticato, consapevole di aver donato al mondo un capolavoro che non potrà mai superare. Robert McLiam Wilson nasce a Belfast in Irlanda del Nord nel 1964, studia in un college di Cambridge e svolge molti lavori, per lo più manuali, finchè nel 1989, quindi molto giovane per essere uno scrittore, esordisce con successo, vince anche dei premi, con il romanzo Ripley Bogle. Ripley Bogle è la divertente storia di un senzatetto, un barbone irlandese che vive e sopravvive a Londra, tra espedienti per tirare avanti la notte e la ricerca di un posto tranquillo dove dormire il giorno. Nel capitolo più riuscito del romanzo, oltre a scoprire come ci è finito a fare il barbone a Londra, assistiamo ad una svolta positiva delle sue sorti in una specie di narrazione alla sliding doors, ma si rivelerà solo un sogno. Il romanzo è molto godibile e molto ben scritto, non ancora un capolavoro, ma abbastanza efficace da valere al giovane Robert la fiducia della casa editrice e alcuni riconoscimenti. Può così continuare a scrivere (scriverà tra l’altro a quattro mani un reportage/saggio sui senzatetto, evidentemente un argomento che gli sta a cuore) e produce un secondo romanzo, Il dolore di Manfred, ma non lo darà subito alle stampe, giudicandolo pessimo. Verrà pubblicato qualche anno dopo, sicuramente per bisogno di soldi e per via delle pressioni delle varie case editrici che pubblicano i suoi titoli nel mondo, avendo avuto, come vedremo tra poco, un tale successo con il suo terzo romanzo, da essere accostato ai migliori nuovi scrittori della sua generazione, quali Donna Tartt, David Foster Wallace, Jonathan Franzen. Il dolore di Manfred è, senza dubbio, uno dei romanzi più brutti che io abbia mai letto, aveva ragione McLiam W a non volerlo pubblicato, gliene rendo merito. La storia parte bene, un giovane inglese trova l’amore e si sposa, ma poi deve partire per la seconda guerra mondiale, dalla quale tornerà trasformato, un uomo e marito violento che picchia la moglie fino a costringerla a lasciarlo. In seguito la donna gli permetterà di incontrarlo una volta alla settimana al parco, su una panchina, ma lui non potrà guardarla in viso. La vicenda viene rivelata tra un presente dove Manfred vive gli ultimi giorni della sua vita, e i ricordi e racconti del suo passato. Credetemi, la trama è la parte migliore, la trasformazione del protagonista in un uomo cattivo è plausibile visti i traumi della guerra, ma non è resa in modo credibile e anche il resto non convince, oltretutto leggerlo dopo aver goduto degli altri due suoi romanzi, porta ad una grossa delusione. Nel 1996 McLiam da alle stampe Eureka street, un romanzo che io ricordo aver comprato ad una festa dell’unità ove mi ero recato con gli amici per il concerto di Jon Spencer blues explosion, supportato dagli esordienti One dimensional man, insomma in tutto e per tutto una grande serata. Eureka street intanto ha il miglior incipit della storia, “tutte le storie sono storie d’amore” ed è infatti e non solo, una storia d’amore, ma anche una storia di amicizia e uno spaccato storico di una Irlanda del Nord dilaniata dal terrorismo e dall’eterna divisione tra cattolici e protestanti. Il protagonista, Jake Jackson, vive in Poetry street, è perennemente sul lastrico, trova solo lavori di fatica, essendo ben piazzato, è più intelligente di tutti quelli con cui si ritrova ad avere a che fare, ma non abbastanza da cavarsi fuori dalla vita semplice che si è costruito. Soffre per essere stato lasciato da Sara e lo troviamo all’inizio del romanzo alle prese con il suo impiego, ovvero andare a recuperare la merce a casa delle persone che non pagano più le rate dell’acquisto. Attorno a Jake una serie di personaggi, alcuni esilaranti e una serie di avvenimenti, alcuni drammatici, altri di pura comicità. Comico all’ennesima potenza è il migliore amico di Jake, Chuck, è lui a vivere in Eureka street, è anche solo i capitoli che lo riguardano varrebbero il costo del libro e sarebbero stati materiale per un differente romanzo. Viviamo quindi tra una risata e l’altra, ma anche attraverso alcune parentesi drammatiche, le avventure di Jake, dei suoi amici, della madre di Chuck, di Chuck stesso, di una corpulenta ragazza americana e di una bellissima ragazza irlandese dal nome impronunciabile. Eureka street ha un grande successo e seguito ancora oggi e ogni sua riproposizione nelle librerie lo fa scoprire a nuove lettrici e lettori. Robert McLiam Wilson invece ha cercato di sparire, anche se in realtà sappiamo che vive a Parigi e in tempi recenti ha collaborato con la rivista Charlie Hebdo. Nelle poche interviste rilasciate negli anni ha sempre affermato di avere uno o più romanzi nel cassetto, di imminente pubblicazione, ma poi, non pubblica niente, e magari non c’è niente da pubblicare, si diverte a prenderci in giro, con il suo spiccato senso dell’umorismo, così presente nei suoi due migliori romanzi, e così assente in quello di mezzo, di cui ho detto sopra. Ci manchi Robert, romanzi come Eureka street dovrebbero essere scritti più spesso e mi auguro che nella tua penna (o tastiera) ci sia ancora almeno un capolavoro in attesa di essere scritto.