#Su dove prendono i personaggi i romanzierə e a proposito della biografia di Philip Roth

H7yHmKb.jpg

Quando ero ragazzo, un telefilm molto seguito era Una famiglia americana, ambientato negli USA della grande depressione. Era questa famiglia numerosissima e molto povera che tirava a campare, se non ricordo male gestendo una fattoria. Una caratteristica peculiare era che tutti si volevano un gran bene e un’altra era che, cascasse il mondo o wall street, loro andavano tutti quanti a dormire alla stessa ora, urlandosi la buonanotte da una camera all’altra. Il personaggio principale era certamente John Boy Walton, l’intellettuale della famiglia, quello che andava bene a scuola e voleva diventare, più di tutto, uno scrittore. E scrittore diventa, narrando le storie un po’ tragiche e un po’ comiche e sentimentali, della propria famiglia. Al che io pensavo, sti cazzi John Boy, troppo facile scrivere storie che si sono inventate da sole. Ovviamente facile non era, ma vuoi mettere trame e personaggi già pronti? E così, essendo sempre stato un gran lettore, mi sono spesso chiesto dove andassero a prendere i personaggi le varie scrittrici e scrittori dei romanzi che leggevo. Per esempio, uno come Stephen King mi ha sempre dato l’impressione di inventare di sana pianta ogni personaggio, e chissà se invece i ragazzi del racconto The body, dal quale fu tratto il film “Stand by me, ricordi di un’estate” magari erano ripresi da suoi compagni di giochi,se qualche caratteristica era loro, o sua, di King. Anche David Foster Wallace, nel suo capolavoro Infinite jest, prende le caratteristiche di persone presenti nella sua vita per delineare alcuni personaggi, in particolar modo la madre di Hal Incadenza, il principale (Hal) protagonista di un romanzo che di protagonisti ne ha qualche decina è in parte ripresa dalla vera madre dell’autore. Poi ci sono i romanzieri che hanno mescolato personaggi di finzione a personaggi storici reali, come Proust con la sua ricerca del tempo perduto, tra l’altro uno dei primi esempi di auto fiction dai tempi di Dante e James Ellroy, che ha reso protagonisti delle sue trame un po’ tutti, da John Kennedy a Bette Davis, assieme a personaggi inventati e tratti autobiografici, per non dire della Dalia nera, sua madre o anche James Joyce aka Dedalus con il suo ingombrante padre. Del resto di scrittori in fissa con i propri genitori è stracolma la letteratura mondiale. E qui mi collego disinvoltamente alla biografia di Philip Roth che ho da poco terminato di leggere. Scritta da Blake Bailey su commissione dello stesso Roth, che gli ha dato accesso ad una mole enorme di materiale oltre ad aver passato con lui un’infinità di ore a lasciarsi intervistare su tutta la sua vita, questa biografia di poco meno di mille pagine e una immersione piacevolissima e credetemi mai noiosa nella vita di uno dei più grandi scrittori degli ultimi cento anni, tra l’altro per questioni anagrafiche uno di quelli che ha scritto capolavori sia nel 900 che nel nuovo secolo. Quest’opera è stata preceduta da gossip e da un’aria di scandalo imminente perché si sapeva che avrebbe trattato in modo onesto aspetti “scottanti” della vita di Roth, in pratica, la sua ben nota infedeltà e i suoi due disastrosi matrimoni, oltre a al suo rapporto con la religione ebraica. In realtà il volume parla diffusamente della vita amorosa di Roth, perché specialmente il primo matrimonio ha condizionato moltissimo sia la vita che le opere dello scrittore di Newark, ma lo fa in modo non scandalistico e onesto dando l’immagine di un uomo con tanti difetti, ma privo di cattiveria o malafede, insomma, niente scandalo. Invece quello che esce benissimo dalla lettura e che mi ha fatto affezionare a Roth molto più di quanto non lo fossi prima di leggerlo, alla fine io ho letto credo 4 o 5 romanzi suoi, tra i quali la famosa trilogia americana (Pastorale americana, Ho sposato un comunista e La macchia umana) è un uomo che ha passato la vita a leggere, scrivere romanzi e amare, che è stato fedele alle amicizie, anche quando dopo delle rotture sapeva ricucire e chiedere scusa. Roth è sempre stato, sin dai suoi esordi, molto influenzato dalla propria storia e famiglia e da tutte le persone con le quali ha interagito, in pratica chiunque lui conoscesse, qualunque aneddoto del quale sia stato protagonista o che gli sia stato riferito, tutto insomma poteva essere preso e diventare una parte di un suo romanzo o la personalità di un personaggio, a volte riprendendo in toto o in parte intere frasi dette o ascoltate in prima persona, prendeva appunti su tutto. Non solo, ma cercava anche di risolvere o elaborare questioni che gli stavano particolarmente a cuore, scrivendoci sopra un romanzo e creando una storia che contenesse tutti questi elementi e al tempo stesso parlasse di qualcosa di completamente inventato. 31 romanzi, per tacere di tutto il resto, che hanno visto ognuno la luce dopo varie stesure, uno stakanovismo incredibile nel mettersi alla macchina da scrivere (inizialmente una Olivetti, poi passo ad una macchina elettrica e infine al pc) e una dedizione alla lettura dei classici e dei suoi contemporanei ammirevole. Un’ammirazione per il suo amico Saul Bellow e la possibilità di conoscere e frequentare moltissime persone alle quali ha reso più ricca la vita e che lo hanno arricchito come persona. Una biografia che appaga come un bellissimo romanzo, il paragone non è particolarmente calzante, ma cosi come Open, la biografia di Agassi scritta da JR Moheringer è stata capace di appassionare anche chi non segue il tennis, non è necessario amare i libri di Roth o la letteratura “alta” per trovare interessante e piacevole queste 950 pagine, che hanno anche il merito di farvi vivere un periodo storico di circa 80 anni della nostra storia recente. Non è da tutti affrontare una tale lettura, ma specialmente se avete letto poco di Philip Roth o ancora meglio se non avete letto nulla, questo libro è il miglior punto di partenza, personalmente mi ha fatto venire voglia di leggere buona parte se non tutti i suoi 31 romanzi. Lasciatevi ispirare, non da me, da lui. MG Disclaimer: lo scrivo di nuovo qui, magari lo ripeterò alla prossima e poi stop, io non sono un giornalista, questo è un blog alla buona, mi verrebbe da dire alla “buona la prima” dato il fastidio che mi da rileggere e correggere. Dove non arriva il mio impegno e la memoria è possibile che io inventi. Per articoli seri ed esaustivi vi rimando ai professionisti e a tante pubblicazioni anche on line che si possono trovare. Io scrivo per me, per divertirmi e, si, anche per divertire e incuriosire, se c’è chi ha voglia di leggere. Vi voglio bene anche se non lo fate, solo che se non lo fate, allora non avete letto che vi voglio bene.