Gippo

Gippo – Un blog gestito dal Comitato Yamashita

L'ho scritto e lo ripeto: pensare allo sviluppo di videogiochi in questo periodo è molto difficile. Se vi capita di usare il computer per portare avanti un po' di roba professionale in modo “agile”, mettersi a smanettare anche per un hobby che richiede molte risorse mentali “fresche”, oltre che un certo entusiamsmo, diventa complicatissimo. Ecco allora che in questo post tornerò un po' all'origine del mio impulso a fare game development, cercando di superare la naturale frammentazione a cui sono attualmente soggetti i miei processi mentali. In tempi di coronavirus, ripenso spesso con nostalgia ricorrente al progetto di rivoluzionare il mondo del videogioco indie (e non solo) di cui ho trattato in precedenti post. Oggi vi parlerò quindi de...

Il misterioso caso del videogioco controllato col pensiero (bis)

Avevo letto qualche anno fa l'articolo di un professore di fisica dell'università “La Sapienza” di Roma che voleva fornire delle prove in merito all'esistenza del paranormale. Questi spiegava infatti che il paranormale, inteso come temporanea sospensione delle leggi della probabilità, sicuramente esiste. A questo scopo aveva condotto dei test casuali coi suoi studenti in cui aveva tentato di far influenzare telepaticamente il risultato dai vari partecipanti. Aveva poi misurato lo scostamento dai valori normali attraverso un coefficiente statistico la cui misura mostrava che era stato registrato un qualcosa in grado di alterare il risultato rispetto al valore statisticamente prevedibile. Roba di poco intendiamoci, ma la misura statistica scelta (una sorta di varianza) e il valore ottenuto erano abbastanza significativi da poter far affermare e titolare, in casi analoghi, cose amene del tipo: “L'università di Cambridge trova una correlazione tra il consumo di pesce e la propensione al tradimento degli maschi caucasici”. Il professore concludeva dicendo che studi simili sull'argomento paranormale sono molto più frequenti di quel che si pensi e che perfino la CIA ne aveva fatti, ottenendo peraltro gli stessi risultati. A me era allora venuto in mente Massimo Troisi che, in un film, provava a spostare un oggetto col pensiero, con l'idea che, qualora ci fosse riuscito, avrebbe risolto d'un colpo tutti i suoi problemi economici.

Per questo mi buttai sull'impresa. Al diavolo Kinect, realtà virtuale e tutte le profetizzate “next big thing” in ambito videoludico: io avrei creato il primo videogioco controllato col pensiero. Anzi, per la precisione: il primo videogioco controllato col pensiero senza un'interfaccia tecnologica a contatto con il corpo o in grado di ricevere input fisici tipo movimenti facciali o attività elettrica del cervello (che sono progetti già esistenti). Insomma, pura magia, che è sempre l'anticamera della tecnologia. Per questo avevo preso Construct 2 e mi ero messo a fare un rapido prototipo. Per chi non lo sa, Construct 2 è un tool di sviluppo di tipo drag&drop, di quelli che promettono di creare un videogioco “senza una riga di codice” ma consente di implementare alcune funzioni un po' più complesse con del semplice javascrip. Allora creai un paio di sprites e legai il movimento di uno di essi ad una funzione statistica in javascript che analizzava un ciclo di estrazioni random il cui possibile esito era 1 o 0. Intuitivamente, maggiore è il numero di estrazioni, maggiore è la probabilità che esca un 50% di 0 e un 50% di 1. Lo scopo era cercare di allontanare il più possibile questo risultato. Come? Con la forza del pensiero. La misura statistica di cui sopra aveva un nome specifico ed era esattamente quella che consente all'università di Cambridge di dire che “chi indossa abiti dai colori vivaci in genere ha una più alta propensione a sposare partner biondi”. Sfortunatamente, non trovo più l'articolo e non ricordo, ovviamente, il nome di quel valore statistico né ricordo come accidenti si calcola. Ho ritrovato il link all'articolo che ha ispirato il tutto in una mail che avevo mandato a qualcuno ma non funziona più. Il sito però esiste ancora: è questo. Penso che gli ridarò un'occhiata in seguito, a me 'sta roba fa impazzire.

Tornando al mio gioco, lo scopo era quello di muovere uno sprite fino a farlo collidere con l'altro, immobile. Il primo si sarebbe spostato soltanto attraverso la forza del pensiero, alimentato dalla divergenza con il presumibile esito statistico. Pensavo che visualizzare l'esito attraverso due sprites, potesse aiutare l'aspirante telepata/giocatore ad alterare le sottili energie elettriche del nostro universo elettrico e, soprattutto, del nostro PC elettrico. Com'è finito l'esperimento? Più sotto.

Il terribile e imprevedibile esito del misterioso caso del videogioco controllato col pensiero

E' riuscito al primo tentativo. Davvero. E mi sono spaventato. Ero riuscito a realizzare qualcosa di incredibile! Poi ci ho riprovato di nuovo e... Ci sono riuscito di nuovo! I due sprite collidevano! Poi di nuovo! E ancora, ancora, ancora. Come quando nei film horror lui chiede a lei, girata di spalle, di indovinare le carte che estrae dal mazzo e lei ci riesce una, due, tre, quattro, cinque volte, mentre la voce le diventa sempre più cupa e cavernosa, fin quando lei si gira e il pubblico scopre con raccapriccio che non è più la solita ragazza ma una specie di zombie con gli occhi di fuoco. Ecco, è andata così. Poi sono andato a rivedere come avevo settato le condizioni e le istruzioni. E mi sono accorto degli errori. Li ho aggiustati ma era troppo tardi. L'animo si era corrotto. Anche se avevo barato ero diventato anch'io una specie di zombie con gli occhi di fuoco, almeno a livello di morale videoludica. Difatti, stavo pensando a come sfruttare l'effetto sorpresa che avevo provato, trasferendolo all'esperienza del possibile giocatore.

Vedete, la funzione random, nei vari linguaggi, non è una vera e propria funzione random. Se volete qualcosa di veramente random e casuale dovreste andare a cercare, ad esempio, nel campo del “rumore atmosferico”, facendo riferimento a siti tipo questo. Troppe complicazioni, come appare subito evidente. Fu così che lasciai quelle istruzioni e mi concentrai man mano sull'aspetto degli sprites. E fu sempre così che alla fine venne fuori un test per l'affinità di coppia. Questo:

Paranormal activities

Lo sprite collideva sempre con l'altro, si misurava solo con quale velocità avveniva il tutto. Se avveniva abbastanza celermente... è lui/lei il partner della tua vita! Vi avevo detto che l'esito del misterioso caso del videogioco controllato col pensiero sarebbe stato terribile.

Fare game development ai tempi del coronavirus

Non potevo rinunciare a intitolare il capitoletto conclusivo con l'abituale formula di “Fuori dal coro” di Mauro Giordano o di altro programma serale per anziani ansiogeni. Fare game development ai tempi del coronavirus è difficile, perché c'è la sensazione diffusa e palpabile di un cambio di paradigma della nostra società, anche se la cosa è ancora tutta da verificare. Così come il videogame giocato produce talvolta effetti stranianti quando descrive la vecchia società senza distanziamento sociale, allo stesso modo l'immaginazione coinvolta nel processo creativo risulta, per certi versi, monca. In un prossimo post parlerò di piccoli progetti che porto avanti nei ritagli di tempo, roba semplice, quasi banale, rerum vulgarium fragmenta. E spiegherò perché non c'ho voglia come una volta, anche se (spoiler) la risposta sintetica è contenuta nel paragrafo precedente. Le cose stanno cambiando e non è detto che il videogioco troverà posto nel nuovo mondo nei modi tradizionali. Magari usciranno fuori alternative più allettanti. Tipo cacciare cinghiali con arco e frecce. Però, ripensando al modo in cui avevo affrontato a suo tempo la questione dell'innovazione nel videogioco, mi rendo conto che, prima di essere traviato dalle tendenze melliflue ed estetizzanti dell'ordocapitalismo, avevo scelto l'approccio giusto. Lo scopo non era quello di creare un mondo di fantasia fine a se stesso ma un percorso mentale in grado di produrre cambiamenti concreti. In altre parole, passare dalla fantasia all'immaginazione. Intanto, chi sente di avere le facoltà di uno scanner (ma non quello che scansiona i fogli di carta) mi faccia un fischio.

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Innanzitutto voglio precisare che lo scopo principale di questo post è quello di creare un articolo che abbia un titolo figo in grado di soddisfare lo schema:

X + “ai tempi del coronavirus”

dove X può essere l'amore (e in tal caso la citazione è più esplicita) oppure il calcio, oppure la televisione, oppure un qualsiasi altro fenomeno in cui è dolorosamente palese la differenza tra il 'prima' e il 'dopo' l'emergenza. Si tratta di una cosa che ho sempre sognato di fare per ragioni essenzialmente modaiole, dopo aver visto lo schema all'opera tante tante volte in “Studio Aperto”, “La vita in diretta”, “Fuori dal coro”, “Live – Non è la D'Urso” ecc.ecc.

Parliamo quindi di videogiochi in tempo di permanenza forzata a casa. I primi giorni della quarantena (termine usato a sproposito, lo so) la cosa che più mi faceva paura era la sensazione di claustrofobia che derivava dagli obblighi connessi al “distanziamento sociale”. Per questo motivo avevo pensato che il modo migliore per aggirare con la fantasia questi divieti e vagare negli spazi sconfinati del possibile fosse quello di rivolgersi ai videogiochi. In particolare ai videogiochi “open world”, quelli dove si può anche girare liberamente per un mondo vivo e pulsante senza uno scopo ben preciso. Così sono andato nel mio scaffale di videogiochi e mi sono installato: – Un paio di GTA – Mafia – Boiling Point: Road to Hell

Ebbene, un'amara sorpresa mi ha accolto al varco. Difatti i videogiochi non contribuivano in alcun modo a placare la sensazione di costrizione, anzi, esemplificavano e mettevano in luce con drammaticità un fenomeno con cui nei tempi a venire faremo tutti i conti:

I videogiochi open-world sono diventati improvvisamente “datati”.

E' una cosa terribile. La cosa riguarda soprattutto quelli ambientati in epoca contemporanea (cioè l'epoca appena passata): i GTA. Non esiste che tutta quella gente stia in strada. Non esiste che io possa fermare una macchina in movimento, picchiare il conducente e impossessarmene. Cioè, era una cosa poco plausibile anche prima, almeno nel mio caso, ma adesso sembra addirittura impossibile anche a livello teorico. Reggono meglio ma non troppo i vari Mafia: il legame con l'epoca passata è qui più evidente e già prima de “i tempi del coronavirus” la più antica collocazione cronologica contribuisce a caratterizzare i titoli e ad evitare palesi anacronismi da pandemia. Regge meglio ancora “Boiling Point”: era un gioco che avevo acquistato in offerta ma mai giocato. Ambientato in un paese sudamericano di fantasia, con un'ottima colonna sonora, è privo di traffico umano e veicolare troppo diffuso e si avvale di numerose aree naturali esplorabili.

Nel complesso tuttavia, ciascuno di questi titoli contribuisce a creare un maggior senso di straniamento, anziché mitigare l'isolamento e la staticità forzata.

Per questo motivo, in seguito ho provato con maggior successo altri generi insospettabili, che di seguito vi elenco:

1. Gare automobilistiche su tracciato

In particolare formula Nascar. Suggerisco Nascar Racing 2003 della Papyrus, io avevo un “Nascar Racing Thunder 2004” della EA con cui mi sono dilettato, anche grazie ad un volante. Mi è piaciuto in particolare il senso di velocità e la semplicità dello scopo: arrivare primo facendo eventualmente a sportellate. Difatti sembra che non riesca a concentrarmi, in questo periodo, su robe troppo complicate.

2. Picchiaduro

Non so perché ma ho riscoperto i picchiaduro uno contro uno. Immagino che ognuno abbia una risposta psicologica personalizzata all'emergenza. Forse per via della fisicità, del senso di movimento. Ottimi quelli in 3D, tipo Virtua Fighter.

3. Giochi DOS

Ecco, forse qui entra in gioco, oltre all'idea di semplicità, anche la nostalgia del passato. Fatto sta che non sono il solo ad aver avuto questa idea, come vedete:

La nostalgia su MyAbandonware

Abbinato allo scopo di rivivere epoche più liete, come spiega il disclaimer sul sito, c'è forse anche quello di “premiarmi” con uno o più regalini al giorno, scaricando giochi che avevo desiderato provare (senza poterlo fare) e che venivano tutti, alla loro uscita, una cinquantina di mila lire l'uno minimo. Forse semplicemente sono gli scherzi di un carattere fermo alla fase anale, direbbe Freud.

Concludendo, tuttavia, devo ammettere una cosa. Pensavo che i videogiochi fossero uno strumento più adatto a soddisfare la mia fantasia e normalizzare la situazione. In realtà, alla fin fine, lavorare su piccole prospettive concrete in ambito domestico (tipo fare ordine) mi ha aiutato maggiormente. Il che mi fa riflettere sul ruolo dei videogiochi e di tante altre cose dell'industria del superfluo. Ma non posterò certo qui queste riflessioni, anche perché mi accorgo che il mio atteggiamento varia di giorno in giorno e che l'adattamento alla situazione trova sempre nuove strade e idee.

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Esiste un modo molto più efficace di quello descritto di seguito per creare una visual novel di buon livello. Lo accennerò soltanto fra le righe: il focus di questo scritto è infatti quello di fornire un metodo efficace per creare una visual novel mediocre. Metterò a confronto i due metodi per far risaltare quest'ultimo, con una avvertenza: non voglio descrivere come fare una visual novel mediocre allo scopo di indurvi, per spirito di contraddizione, a fare una visual novel migliore. Voglio solo spiegare il sistema per arrivare in fretta a creare un prodotto dignitoso (ma non molto buono).

La storia

Non è detto che qualsiasi visual novel debba partire dalla storia. Penso invece che il metodo migliore per fare una buona visual novel (d'ora in poi VN) sia partire dai personaggi, in particolare dalle loro rappresentazioni grafiche, e lasciare che le loro interazioni e caratterizzazioni narrative vengano ispirate da queste ultime. Ma siccome stiamo parlando del metodo per una VN mediocre, non possiamo partire dai personaggi e dobbiamo cominciare per forza da una storia. Essendo lo scopo, come ripetuto più volte, quello di creare un prodotto non eccelso, esiste uno stratagemma molto rapido e pratico: trovare un nostro vecchio racconto o, meglio ancora, scaricarne uno da internet. Direi che è ok qualsiasi fanfiction scritta da una adolescente media (uso il femminile non a caso): il loro livello è talvolta anche molto buono, specie per rappresentare la tipica vicenda leggera da VN. Bisogna selezionare roba con molti dialoghi, cosa non difficile in ambito fanfiction, e, possibilmente, in prima persona. Sfortunatamente, nessuno scrive in seconda persona singolare, cosa che ci favorirebbe. Essendo tuttavia il nostro scopo ultimo intriso di mediocrità, possiamo tranquillamente fare una bella VN in prima persona senza troppi patemi d'animo. D'altronde… esistono e sono accettate. Se conoscete l'inglese, frequentate i siti in inglese così evitate anche di sbattervi per la traduzione. Altrimenti copiate tutto su un file .doc e traducetelo con Translate. Poi rivedete la traduzione automatica, però! Mediocre va bene ma c'è un limite a tutto.

Grafica: i personaggi

La cosa da fare in una VN di livello è disegnare e dare quel tocco artistico che solo la mano umana può dare. Ma probabilmente, poiché non sapete disegnare, avrete scelto di fare una VN mediocre. Non disperate! Anche in questo caso avete varie opzioni disponibili. Le elenco:

1) Scopiazzate roba di altre visual novel giapponesi, pure hentai, soprattutto se ci sono molti personaggi femminili. L'ideale sarebbe prendere dei file png belli e pronti, rippati da altri giochi, caricarli sul vostro programma grafico preferito, cambiare Hue e Saturation qua e là (colori dei capelli e vestiti) e il gioco e fatto. Potete pure copiare gli occhioni di un altro personaggio su quello originario (ma chi ve la fa fare tutta questa fatica? E' una VN mediocre!). Se i file png non ci sono li dovete creare voi, cancellando tutto intorno: vai di bacchetta magica e cancellino (la procedura potrebbe cambiare da programma a programma). Il formato deve essere png perché dobbiamo avere la trasparenza attorno al personaggio. Io uso Gimp, se vi interessa. Potete anche prendere roba da manga in formato digitale e colorare opportunamente.

2) Scaricate un programma di modellazione 3D e renderizzate un personaggio. Daz è gratuito ma i modelli e i vestiti sono a pagamento. Poser è la scelta “storica” ma anche qui ci troviamo di fronte ad un prodotto commerciale. Consiglio Makehuman: è open source e non è niente male, anche ai nostri fini. Lo scopo originario del programma è in effetti quello di creare modelli da usare nei giochi 3D ma si possono comunque renderizzare in un png e cambiare espressioni (che è la cosa che più ci serve). La bassa disponibilità di vestiti differenti va integrata con lo smanettamento descritto al punto precedente.

Uno screenshot di Makehuman

3) Usare un Character Generator o Character Creator online. Qualcuno esiste. Sono abbastanza mediocri (quindi ok!) e fanno personaggi un po' troppo uguali gli uni agli altri. Oppure ci sono “avatar creator”, anche app per mobile. Sono una scelta di seconda mano, però. Capite bene da voi quali sono le parole chiave da digitare sui motori di ricerca (suggerimento: quelle in corsivo in questo paragrafo).

Grafica: sfondi o background

Nessun dubbio qui: foto prive di copyright, tipo scatti personali. Interni da siti di arredamento e la sezione immagini dei motori di ricerca (spiaggia, foresta, laboratorio, ospedale: le parole chiave mettetele voi) sono la vostra risorsa di riferimento. Discorso che andava fatto anche per i personaggi e che accenno solo ora: dovrete aggiustare e omogeneizzare la risoluzione in ragione del vostro prodotto finito (es.: 800x600 per i background e personaggi alti massimo 560 pixel).

Il nostro amico Gimp

Un bel filtro acquerello o vento mosso o nebbia artistica e il gioco è fatto. Il tutto assumerà un aspetto schifosamente amatoriale ma l'alternativa è disegnare a mano i fondali e, se possibile, è una roba ancor più difficile del disegnare i personaggi. Tanto per dire: io so disegnare ma rifuggo il disegno manuale dei background.

Musica

Un po' di musica ci vuole. Io sono sempre sciatto quando si parla di musica. Forse dovreste comporvela voi, seguendo la vostra sensibilità, se siete musicisti. Io non lo sono. Vi propongo due idee: 1) Andare su Wolfram Tones, dove potete generare una melodia inedita a seconda dello stile da voi richiesto (classica, ambient, rock/pop ecc.). 2) Andare su Opensound e scaricare quello che preferite. Oppure un altro di questi siti in cui si può scaricare musica open. Ce ne sono, con una minima ricerca. Nel caso, convertite il tutto in formato ogg. Il programma Audacity is your friend here.

Il codice

Torniamo alla storia: dovrete adattarla. Se utilizzate Ren'py dovete creare del codice leggibile e rifinire il tutto. Definire prima i personaggi e gli sfondi. Così, se volete fare una storia sull'ex-ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, potete fare ad esempio così:

Dichiarazione immagini image bg parlamento = “parlamento.jpg” image Calenda normale = “calendanormale.png” image Calenda arrabbiato = “calendaarrabbiato.png”

Dichiarazione personaggi define c = > Character('Calenda', color=“#c8ffc8”) define t = Character('Tu', color=“#c8c8ff”)

All'inizio della nostra VN inizializzeremo un po' di grafica e suoni:

play music “inno nazionale.ogg” scene bg parlamento show Calenda arrabbiato

E infine, prendendo, sempre per esempio il testo:

Calenda ti guarda con severità. “Dobbiamo rilanciare lo sviluppo economico del nostro Paese!” esclama deciso “In Italia manca da anni una adeguata politica industriale, una visione di lungo periodo!” “Parole sacrosante” dici “Parole che mi convincono ancor di più della necessità di entrare a far parte della neonata formazione politica da lei creata!”

lo trasformeremo in modo che diventi:

“Calenda ti guarda con severità.” c “Dobbiamo rilanciare lo sviluppo economico del nostro Paese!” c “In Italia manca da anni una adeguata politica industriale, una visione di lungo periodo!” t “Parole sacrosante. Parole che mi convincono ancor di più della necessità di entrare a far parte della neonata formazione politica da lei creata!”

Conclusione

Questo è tutto. Durante questa quarantena mi era venuta l'idea di rifinire il mio engine per visual novel, chiamarlo “Mediocre VN Engine”, e caricarlo su Github. Teoricamente c'è più tempo ma praticamente non si ha voglia di fare nulla se non concentrarsi sullo starsene spensierati e sopravvivere alla giornata. La progettualità è difficile. Mi chiedo cosa farebbe Carlo Calenda se fosse al mio posto. Detto ciò, spero di poterci lavorare, su questa cosa. Lo scripting col mio engine (che fa uso di Love2d) sarebbe ancor più facile. Vedremo... Alla prossima!

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Recentemente ho riaffrontato una delle letture più significative della mia infanzia: “Ridi Paperino, ridi!”.

Si tratta di una storia a fumetti del 1974 nella quale in nostro sfortunato papero tenta senza successo una serie di lavori ma finisce per provocare un mucchio di danni (fino a un milione di dollari!) deprimendosi sempre di più.

I suoi nipotini, gli danno ogni volta un consiglio che hanno attinto direttamente dal famoso Manuale delle Giovani Marmotte: ridi Paperino, ridi!

Una risata dà una nuova prospettiva all'esistenza, restituisce l'ottimismo, ridona entusiasmo.

Difatti, pur con un po' di sforzo, dopo ogni sventura Paperino prova a sorridere. Non ci riesce mai del tutto ma almeno si riscuote dal pessimismo e riparte indomito alla ricerca di un nuovo lavoro provocando, ahilui, nuovi guai.

I suoi creditori, che nel frattempo sono cresciuti sia a livello numerico, sia a livello di importo da riscuotere, propongono una composizione bonaria per i suoi debiti: diecimila dollari e non se ne parli più.

Allora Paperino si convince che riuscirà ad avere quei soldi solo se riuscirà a ridere in modo professionale, militante, estremo.

Cerca così una scorciatoia.

Si reca da un ipnotizzatore, un misterioso figuro che è in grado di plasmare la mente a suo piacimento e gli chiede di farlo ridere, sempre e comunque, qualunque cosa accada.

Paperino vuole essere un vincente a tutti i costi o almeno sentirsi tale, averne l'illusione.

L'ipnotizzatore è certamente losco (lo capiamo da come è disegnato) ma fa egregiamente il suo lavoro. Congeda Paperino in modo sprezzante, con un calcio nel sedere, ma incurante, il nostro papero si mette a ridere.

Per strada rischia di essere investito, viene malmenato, viene costretto dalla polizia a fare un umiliante lavoraccio per farsi passare la voglia di ridere. Le persone che si prendono molto sul serio gliela fanno pagare perché si sentono tutte offese dalla sua risata incomprensibile. Che, stranamente, ha un suo rivoluzionario, irresistibile potere.

Paperino giunge infine da suo zio Paperon di Paperoni. Questi lo assolda assieme ad altri tre viligilantes per vegliare sul deposito stipato di monete d'oro, promettendo, guardacaso, un premio di diecimila dollari per chi saprà opporsi ad una banda di invincibili ladri che sinora non è mai stata fermata nella realizzazione dei suoi propositi criminali.

E' esattamente la cifra di cui ha bisogno Paperino.

La banda di invincibili si presenta subito al deposito e, mentre gli altri vigilantes fuggono, Paperino rimane lì a ridere. Più la situazione è difficile, grave, drammatica, più Paperino ride. I ladri minacciano di ucciderlo, di freddarlo seduta stante se non smette di sghignazzare. Ma Paperino non ce la fa, non può farlo. Quando uno degli scagnozzi sta per sparargli, il capo della banda lo ferma.

“Aspetta!” dice “Uno così tranquillo, che ride in questo modo, sicuramente deve avere qualche asso nella manica, forse una bomba atomica tascabile!”

E così tutta la banda fugge impaurita. Paperino si guadagna i suoi diecimila dollari e può pagare i creditori.

Ma non ha capito nulla. Non si è accorto del potere della risata, non gli è riconoscente, non ha capito quanto possa mettere paura ai prepotenti e ai delinquenti.

Così, prima di ritrovarsi in una situazione che potrebbe rivelarsi fatale a causa del riso mal interpretato, decide di tornare dal losco ipnotizzatore. Il quale, venuto a sapere del premio ricevuto da Paperon de Paperoni, chiede fino all'ultimo dei suoi diecimila dollari per potergli togliere quella che i papero giudica essere una maledizione.

Così Paperino termina mestamente la sua avventura, ancor più triste di prima.

La morale? Oggi avrei difficoltà a dire quale sia perché ho molte nozioni in più a complicarmi l'analisi della storia (il racconto potrebbe essere una metafora riguardo la PNL e i guru del pensiero positivo) ma quando ero bambino non avevo alcun dubbio.

La morale, molto semplice, era riassunta nel titolo: “Ridi Paperino, ridi!”

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Quando molti anni fa cominciai a navigare in internet, percepii subito le potenzialità dello strumento. Il video della Mentos nella Coca Cola, uno dei primi su Youtube, riassumeva bene quelle promesse, quelle aspettative, quelle speranze.

Due cose così semplici e alla portata di tutti, una caramellina e una bibita zuccherata, le metti insieme e succede il finimondo.

Intendiamoci, nulla che cambi la vita ma… capivi improvvisamente che la conoscenza condivisa può diventare quel fattore in più che fa esplodere due elementi altrimenti banali, che mostra il disegno complessivo e la soluzione alle proverbiali grandi domande.

Non avevo dubbi che nel giro di pochi anni sarebbe accaduto qualcosa che ci avrebbe cambiato la vita in meglio, ampliando a dismisura le nostre possibilità. Non avendo ancora maturato uno spirito complottista nonostante l'11 settembre, ho subito guardato alla rete come la novità che attendevo da tempo, l'occasione di riscatto, la rivincita dei nerd all'ennesima potenza, il big bang della consapevolezza, il volano per la scoperta del senso della vita.

Oltre all'attività sociale nei blog, mi buttai quindi molto su argomenti di confine, paranormale, misteri e, ahimè, anche complottismo. Siccome facevo un lavoro che non mi piaceva, digitavo sul motore di ricerca cose tipo: “come diventare ricco” che divenne ben presto “come diventare sciamano”.

Capitai nel sito disinformazione.it che mi illuminò, grazie al contributo del compianto Giuseppe Cosco, sul simbolismo nella banconota del dollaro, fra un'esegesi dei metodi naturali per guarire e un'altra sull'opera di David Icke (quello dei rettiliani). Quest'ultimo tuttavia venne ben presto mollato perché era arrivato a spararle troppo grosse e, con la tipica paranoia complottista, veniva ormai additato come gatekeeper, cioè persona che lascia trapelare un po' di informazioni sulle “Elite” per poi autoscreditarsi con altre teorie palesemente farlocche.

Un altro forum che frequentai molto fu invece quello di “Cose Nascoste”. Oggi il forum esiste ancora ed è molto ben organizzato ma non molto ben frequentato. Un tempo avevi l'impressione che potesse dipanare la matassa dei misteri paranormali attraverso le autonome ricerche e i professionalissimi contributi degli utenti, fra i quali c'erano persone normali e non solo esoteristi fanatici o contattisti folli. Ho letto di tutto: l'uomo-falena, John Titor, lo Slenderman, lo Yeti, la telecinesi, gli omicidi oscuri, le civiltà misteriosamente scomparse, i giganti, i poltergeist, gli alieni… Mi piaceva molto la sezione sugli avvistamenti delle strane creature e ricordo come se fosse ieri un video sull'avvistamento di uno gnomo in Argentina. Rammento che si dava credito a tutto nonostante ci fosse sempre qualche scettico e burlone ma… come spiegare? Il clima generale era quello di una maggioranza di persone disposte a regalare una piccola possibilità a qualsiasi ipotesi, il classico gruppo di menti aperte.

Oggi quel clima si è invertito e pervertito: si parte dall'ipotesi che tutto sia falso oppure si prende tutto per oro colato, senza mezze misure, con molto isterismo di fondo. Ma come dar torto a chi si accosta ad ogni fenomeno strano con scetticismo, specie in epoca di deepfake? E a chi diffida di tutto e di tutti dopo le invereconde bugie e omissioni di quegli organi di propaganda chiamati “media generalisti”? Io ero sicuro che un giorno qualcuno avrebbe spifferato dove si trova la fonte dell'eterna giovinezza o dell'immortalità o il segreto della telecinesi o del viaggio nel tempo. Come la Mentos nella Coca Cola, sarebbe bastato riferire la procedura e non avremmo dovuto credere a nulla: ci sarebbe bastato provare da casa e vedere di persona l'efficacia.

La rivoluzione sarebbe stata a portata di mano. Ma accade sempre una cosa quando trattieni il respiro: il tempo passa. E le novità latitano. Tutto si cristallizza. E la speranza, che è attesa, si affievolisce. L'unica cosa che accade negli anni è che la politica si appropria del complottismo, che diventa così mainstream. E la tabaccaia sotto casa ti spiega il simbolismo sulla banconota di un dollaro prima di proclamare che voterà per qualche partito populista. I pozzi sono stati avvelenati e non abbiamo fatto in tempo.

Speravo che dalla conoscenza condivisa venisse fuori qualche novità importante, inutile ripeterlo.

Però, mi duole troppo dirlo, non è successo un cavolo di niente.

Bisogna fare qualcosa.

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Nota: quella che segue è una mia vecchia fanfiction su Twilight.

E' un pomeriggio tranquillo qui a casa Cullen e ce ne stiamo tutti spaparanzati sul divano a guardarci una vecchia registrazione di Domenica Cinque (di quelle condotte da Barbara D'Urso: troppo forte la zia Barbie!). Beh, non proprio tutti... Jasper è fuori in giardino a fare tiro al bersaglio e Rosalie ed Emmet sono in viaggio di nozze. Per questo ci stupiamo quando vediamo entrare proprio Rosalie dal portone d'ingresso. Dietro di sè trotterella un maiale grosso e rubicondo. “Rosalie!” dice Esme “Va tutto bene?” “Sì” risponde lei “Tranne per il fatto che abbiamo incontrato un temibile clan di vampiri gitani che ci ha lanciato addosso una maledizione!” “Oh, no!” dice Esme. Così Rosalie ci spiega che, a seguito di questa maledizione, lei non può più pronunciare la parola 'frigorifero' (e suoi derivati) mentre Emmett è stato trasformato in un maiale. Dunque era lui quello alle sue spalle. “Oh, no!” ribadisce Esme. Entra in quel momento Jasper. “Non c'è bisogno che mi spiegate: ho sentito tutto.” “Jasper caro” dice Esme “Dovresti cambiarti le scarpe quando rientri in casa. Sono tutte infangate.” Jasper si osserva le sue scarpe sudicie e, dopo alcuni istanti di riflessione, fa: “Emmett, per favore, mi puoi portare le pantofole che tengo sotto al letto?” Il maiale Emmett fa un grufoliò di disapprovazione, poi afferma: “Sono un maiale, non un cane.” “Che orrore, parla!” esclama Esme. Poi, siccome potrebbe sembrare un'osservazione indelicata, per cambiare argomento chiede a tutti noi: “Cosa vuol dire la parola 'gitani'?” Carlisle interviene: “E' un aggettivo qualificativo, riferito generalmente alle popolazioni nomadi dell'est europeo.” Per fortuna, la situazione torna subito serena. “Ma, a parte la maledizione, come mai siete tornati a casa così presto dalla vostra ennesima luna di miele?” chiede Carlisle. “Il punto è” spiega Rosalie “che molti alberghi non accettano animali in camera, oltre al fatto che avevo serie difficoltà a farmi portare bevande per il... per il... per il...” “Frigobar” conclude misericordiosamente il grosso e rubicondo maiale Emmett. Si crea un piccolo momento di imbarazzo e di impasse. “Vabbè, non pensiamoci!” dice Alice “Ho scaricato da internet 'Alice in Wonderland' di Tim Burton, vi va di vederlo?” “Sì, ma prima finiamo Domenica Cinque con la zia Barbie” impone Carlisle. Così ci risistemiamo tutti tra divani e poltrone (Esme allestisce al volo una lettiera e una trocca colma di carrube per Emmett) e ci vediamo la finale di Domenica Cinque. Poi attacchiamo con la visione di 'Alice in Wonderland'. La protagonista finisce di nuovo nel Sottomondo dopo vari anni dal primo viaggio. Qui scopre di essere oggetto di una profezia, quindi si mette l'armatura di Kristen Stewart in “Biancaneve e il cacciatore” e ammazza un drago con la spada. Poi apre nuove rotte commerciali per la Cina. Finita la visione, Carlisle ci comanda cosa dobbiamo fare: Esme deve mettere l'acido nel water (anche se non lo usiamo mai), Edward deve sintonizzarsi sui pensieri dei capi della C.I.A. e del F.B.I. per capire se sanno qualcosa sull'esistenza dei vampiri, Alice deve compilare un mazzetto di schedine della Lottomatica, Jasper deve pulire in soggiorno dove è tutta un'impronta di fango, Rosalie deve sbrinare il congelatore, Emmett è libero di grufolare a piacimento in qualche pozza d'acqua piovana in giardino. “Allora io mi dirigo verso quell'elettrodomestico della cucina dove generalmente si conservano i cibi” dice Rosalie. Anche gli altri si recano nei luoghi designati dal capofamiglia. “Papà” dice Alice “Stavolta al lotto cerchiamo di non vincere troppi soldi, tipo azzeccando la cinquina...” “Perché tesoro?” chiede Carlisle. “La scorsa volta non ci hanno dato del denaro ma dei terreni in Aspromonte.” “Pensavo che questa storia dei terreni in Aspromonte per chi vince al lotto fosse una specie di leggenda metropolitana...” In quel momento suonano alla porta. Carlisle va ad aprire ed è Emma Marcegaglia. “Salve, vengo anche per una questione di buon vicinato” dice “Ho delle terre in Aspromonte, come voi, e mi chiedevo se ve la sentivate di creare una rete commerciale che, coinvolgendo tutte le più meritevoli istanze della giovane e vivace imprenditoria calabra, potesse, con base qui nello stato di Washington, costituire un volano virtuso per la ripresa della nostra economia, anche interagendo coi mercati emergenti dell'estremo oriente e della Cina in particolare.” “Apriremo nuove rotte per la Cina!” esclama Alice “Papà, posso?” “Credo che dovremmo discutere di queste cose con calma” risponde Carlisle “Magari davanti ad una vecchia registrazione di Pomeriggio Cinque.” Così mettiamo su la cassetta e Emma Marcegaglia si siede con noi. “La zia Barbie non me la perdo!” esclama Esme accorrendo. Pian piano, accorre tutta la famiglia. Alla fine della proiezione, Emma Marcegaglia ci saluta e ci ringrazia. Siamo costretti a declinare le sue interessanti proposte ma, come risarcimento, i membri femminili della nostra famiglia si impegnano ad iscriversi a Confindustria anche se lei ormai non siede più al vertice dell'associazione. “Mi piacciono troppo le donne che hanno un nome che inizia per 'Emma' e un cognome che inizia per 'Mar'...” dice Alice staccandosi dalle orecchie il lettore mp3 da cui, fino a pochi istanti prima, suonava il motivo di una cantante che ebbe una relazione sentimentale con Stefano De Martino poco prima che questi incontrasse Belen Rodriguez. “E ora che facciamo?” si chiede Esme. “Io ho scaricato un film-tv tedesco ispirato ad uno dei romanzi di Rosamunde Pilcher” dice Jasper. “Perché mai hai fatto una cosa del genere?” chiede Emmett. Jasper alza le spalle. Un nuovo momento di impasse, ma alla fine decidiamo tutti insieme di vederci il film-tv su Rosamunde Pilcher. Poi quando tutto è finito, andiamo tutti a letto, facendo finta di addormentarci, stanchi ma contenti della felice giornata.

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Quella che segue vuol essere una lista dei tipi di videogiochi da creare quando non si hanno nè tempo nè voglia. Come mai questa lista? Il fatto è che in questo periodo non ho nè tempo nè voglia di creare un videogioco. Tutti quei discorsi sul desiderio di rivoluzionare il mondo dell'indie gaming – lo ammetto – non erano che boiate automotivazionali per convincermi a ripartire con un progetto fresco e intrigante. Beh, dai non proprio tutte tutte... un giorno rivoluzionerò davvero il mondo del videogioco!

E' che ad un certo punto, da videogiocatore, ho scoperto una vera passione per la creazione di videogiochi. Ho una decina abbondante di prototipi, fra giochi completi e piccoli spunti, spesso autoconclusivi. Li ho creati nell'arco di un decennio circa. Dico a me stesso che li svilupperò uno di questi giorni, ma temo che non avverrà mai. Perché la cosa che mi piace di più è la scoperta, l'imparare un nuovo linguaggio o un nuovo 'tool' di sviluppo.

L'ultimo in ordine di tempo è stato AGS, o Adventure Game Studio, un IDE molto intuitivo per la creazione di avventure grafiche vecchio stampo, quelle alla Lucas Arts per intenderci. Ne è venuto fuori un giochino molto carino, anche se un po' breve. Ho perso tempo creando e animando tre personaggi in pixel art. Questi li potrei riciclare in un'avventura meno assurda e impresentabile, così come le location di gioco. Ma temo che non avverrà mai (again).

Ecco allora, per tener fede al titolo, una lista di giochi che, a mio avviso vale la pena provare a creare quando non si ha tempo e voglia, così come capita a me in questo periodo. Si tratta di giochi poco impegnativi da fare, che sfruttano i ritagli di tempo (e voglia, naturalmente).

Il giochino primitivo stile Atari 2600

Sprite astratti e pixellosissimi, dinamiche semplici e primitive e tanta, tanta azione su un unico quadro senza scorrimento: ecco la mia idea di gioco divertente da creare e da giocare. Quando in un gioco ci si concentra poco sulla grafica e molto sulla giocabilità, non può che venir fuori una cosa carina: sulla grafica infatti si può sempre lavorare in seguito (anche se, per quanto mi riguarda, temo non accadrà mai). Per questo tipo di gioco cosiglio Construct Classic: sono anni che è stato abbandonato ma è la cosa più vicina a Click & Play (il mio primo tool) che si possa trovare. Però sappiate che esporta solo in Windows. In alternativa Construct 2, Construct 3, Game Maker Studio, Godot Engine, Unity, Stencyl e tutti gli altri tool visual drag & drop che mi sono dimenticato.

La visual novel

Ogni volta che mi sono trovato di fronte ad un linguaggio di programmazione mi sono buttato sulla creazione di un motore per visual novel. Il mio scopo principale era sempre quello di approntare qualcosa a cui si potesse dare in pasto un semplice file di testo e che poi facesse tutto per conto suo. Attualmente ho un engine personalizzato in Love2d da rifocillare con file di testo pieni di affascinanti storie ancora non scritte (e temo che il pasto non si concretizzerà mai). Comunque scrivere non è difficile ed è rapido, specie se avete perfezionato la dattilografia senza guardare i tasti attraverso lunghe sessioni a Mavis Beacon teaches typing e Typing of the dead. Ren'py è semplice e intuitivo per le visual novel, poi c'è il vecchio Novelty e, per chi vuole esportare in html, il recente Monogatari.

Avventure iterative e interattive con Twine

Conoscete Twine? Andate sul sito twinery.org (e non mi fate andare a vedere come diavolo si fa a mettere l'hyperlink su questo blog, che qua mica siamo uno di quei siti motivazionali che vi parlano in seconda persona singolare e curano il SEO e la web reputation! E fra parentesi non so nemmeno se il suffisso è .org). Twine è un ottimo tool di sviluppo che funziona in questo modo: si creano delle 'stanze' che altro non sono che schermate con testo, eventuali immagini e hyperlink ad altre stanze. Potete fare delle scelte, gestire variabili, far apparire scritte e cose a random... il tutto in modo molto intuitivo: difatti vedete lo schema di gioco attraverso l'insieme delle vostre stanze e le frecce di collegamento. Ovviamente, potete creare un unico grande loop facendo girare in tondo il giocatore fino al verificarsi di determinate condizioni. Se non lo conoscete provatelo: è facile e divertente ed esporta in html, il che vuol dire che attraverso l'uso di Android webview o altro strumento potete trasformare il tutto in Apk e mettere sull'Android web store o altro store per App. Mi ero sempre imposto di farlo con un mio giochino fatto per una jam (ma temo non accadrà mai).

Ok, per ora basta. Ricordate che creare un piccolo gioco anziché la grande opera d'arte che rivoluzionerà il panorama videoludico, è una cosa molto kaizen e io vado matto per le teorie organizzative e filosofiche giapponesi. Un'altra teoria giapponese interessante, a livello organizzativo, è quella delle 5S (cinque esse) e un giorno mi piacerebbe spiegarvela applicata allo sviluppo di giochi (ma temo non avverrà mai).

Ah, un'ultima cosa: metteteci un po' più di ottimismo rispetto a me!

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Quando qualche anno fa venne introdotto internet «di massa» nel nostro bel stivale, cominciarono a prosperare i blog e le cosiddette blogstar. Era abbastanza facile avere un seguito. Io aprii un blog su Splinder nel 2005 e c'era ancora qualche prateria aperta. Non si direbbe, ma mi occupavo di religione e di credenze sciamaniche eschimesi e degli indiani d'America. Poi, pian piano, come in tutti i miei passatempi, sbracai verso l'anarchia. A quel tempo, i blog tematici non è che funzionassero tanto, o meglio, avevano un grandissimo potenziale per funzionare, ma non tutti se ne accorgevano. Andavano molto più di moda i diari personali, gente che ti comunicava di aver mangiato la pastasciutta a pranzo e ti ci costruiva sopra un elaborato castello filosofico.

Venni attratto anche io, con i primi commenti e rapporti tra blogger, dal formato del diario personale. A quel tempo non c'era l'amicizia o il like ma era in voga l'usanza di modificare il template del proprio blog per poter inserire i link ai blog «amici». C'era, ovviamente, anche la voglia di fare conoscenze sentimental-sessuali fra le blogger di sesso opposto e proliferavano corteggiamenti a base di punzecchiature pubbliche e messaggi privati. Esistevano pochi troll e quei pochi si autoisolavano quasi naturalmente. Io, probabilmente, ero un tantinello troll perché mi piaceva già allora prendere un po' in giro bonariamente il prossimo e, come spesso mi capitava quando avevo una tastiera in mano, a volte esageravo.

Ad esempio tra i miei blog amici c'era quello di una giovane professoressa che un giorno fece un post in cui costruiva l'ennesimo elaborato castello filosofico, non già sulla pastasciutta mangiata a pranzo ma su quanto le stessero bene i fuseaux ('humble bragging', direbbero quelli di Albione). Ebbene, me ne uscii col commentare: «Ma allora c'hai un bel culo!». Se la prese a morte. Ci ho messo un po' di anni a capire che, per quanto generalmente bravo e garbato nelle bonarie prese in giro, puoi sempre incontrare delle persone in grado di sentirsi offese da ció che scrivi (e scrivere genera tanti più equivoci che il parlare di persona). Va detto che i nostri gruppi di amici blogger erano abbastanza compatti e che ci si conosceva tutti bene, talvolta meglio delle persone reali viste per strada. Si aveva lo strano impulso di essere sinceri e compassionevoli. Sì perché di tanto in tanto qualcuno confessava che, dopo aver mangiato la pastasciutta, si sentiva un po' giù. E anche fra gli aspiranti futuri troll nessuno si sognava di infierire, tutti a dire «Coraggio» e a trovare parole di conforto per degli sconosciuti. Le immagini non erano più di tanto diffuse e non c'erano manco gli account con otto cifre creati in mezzo secondo per mettere l'emoji della faccina che sghignazza di fianco all'invito a rosicare. Chi scriveva ci investiva tempo e limava con cura il suo template.

Ma c'era un piccolo problema, proprio nel template. I fottuto contatore. E poi Shinystat. Le statistiche. Il maledetto SEO. Le parole chiave. I primi tag. Il numero di commenti. Le visite giornaliere. Le visite mensili. Google Adsense. Non era un paradiso né un luogo virtuale tutto rose e fiori, ma tra i miei amici blogger (che ho perso di vista e di tastiera tutti, irreparabilmente) prendevamo in giro chi veniva lì a dirti: ehy, lo sai che sul blog di Beppe Grillo ho letto che si possono fare le telefonate gratis con Skype?

Ma certo che lo sappiamo! Noi siamo l'elite, sappiamo scrivere, articolare e pubblicare, siamo la minoranza che sta all'avanguardia del Paese! Figurati se abbiamo bisogno di un comico genovese che si ricicla dal carrello dei bolliti per sapere le cose...

Poi, come un meteorite per i dinosauri secondo una teoria ancora in voga, arrivò Facebook.

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Allora, innanzitutto un chiarimento: da una rivoluzione noi avremmo molto da perdere e quando dico noi, intendo soprattutto io e i miei conti corrente. Però la gente è insoddisfatta, qualcosa bolle in pentola, siamo nati virili maschi alfa e come tali ci sembra nostro dovere guadagnarci da vivere costruendo trappole per lepri e tirando frecce ai capretti selvatici a scopo sopravvivenza. E poi rimescolare un po' le carte in tavola prima di raggiungere la vecchiaia è una prospettiva che può fornire occasioni insperate di successo e quel guizzo vitale che sembra mancare in questi tempi postmoderni. Sarò sessista e maschilista ma voglio rivolgermi proprio alle persone, come me, di sesso maschile.

Partiamo allora dall'idea che la società attuale sia una sorta di grande videogioco strategico/gestionale basato sull'accumulazione di risorse che, a loro volta, servono a creare strutture che, a loro volta, creano unità combattenti o nuove unità costruttrici o addirittura torrette laser. Vabbè dai, facciamo un passo indietro: diciamo che la vita non è proprio come Starcraft, però teniamo per buono il discorso delle risorse che generano strutture e quant'altro e lasciamo fuori l'elemento bellico. Partiremo pure da un’altra considerazione: l’unica rivoluzione riuscita è stata quella borghese/industriale partita nel 1700, una rivoluzione di natura essenzialmente economica. In quest’ottica uno strategico in tempo reale, con la sua gestione delle risorse, può essere un’ottima metafora per la nostra epopea prossima ventura.

Innanzitutto chiediamoci: qual è l'obiettivo del gioco? E qual è la strategia che vogliamo attivamente perseguire per sovvertire lo status quo? Infine: come procedere?

Punto 1: le risorse

Molti vedono un problema nella cattiva distribuzione delle risorse e, in particolare, nel fatto che di queste ultime se ne abbia meno di quante se ne potrebbero effettivamente avere, soprattutto considerato il livello tecnologico dell’attuale società.

Così arriviamo alla domanda fondamentale: quali sono oggi le risorse strategicamente meritevoli di appropriazione e accumulo? E cosa vogliamo ottenere da esse? Ognuno ha una sua risposta. Io ho la mia: vorrei avere quantomeno libertà, autonomia e indipendenza. Cioè non devo raccomandarmi a nessuno per pigliare quei due soldi a fine mese e non devo stare sotto il cappio dello Stato che può decidere in ogni momento che da domani quello che ho accumulato diventa carta straccia in virtù del bene superiore della nazione.

Torniamo così alle risorse. Quali sono le risorse, in quest'ottica?

Come ci insegna Fausto Brizzi in “Poveri ma ricchissimi”, capolavoro del cinema italiano del 2017 con Christian De Sica, la prima cosa che ti tolgono è la corrente elettrica. Quindi, andando meno nello specifico, abbiamo bisogno di energia autonoma, dobbiamo uscire dalla rete, out of the grid.

Sfortunatamente, l’energia elettrica è un po’ complicata da ottenere. Dobbiamo accontentarci di quella termica all’inizio. Quindi: alberi, boschi, legna da ardere. Funziona così pure in Warcraft: c’è la miniera e il bosco da cui attingere. La miniera lasciamola perdere per ora, abbiamo appena abbandonato le molli ricchezze capitaliste, non mi sembra il caso di infierire con una vita dentro cunicoli claustrofobici.

Punto 2: allocazione delle risorse

In un gioco RTS (real time strategy) si costruiscono strutture, quindi abitazioni ed edifici per la lavorazione delle risorse. Ma anche unità. Cosa intendiamo per unità? Innanzitutto altri esseri umani come noi e di questo parleremo nel punto 3. Ma anche unità lavoratrici non umane. Stavo pensando in particolare a dei robot, lo dicono tutti che alla fine verranno i robot e ci toglieranno tutto il lavoro (che la cosa sia vista con fiducia o sfavore). Beppe Grillo non parla d’altro e quelli che gli stanno intorno non ce la fanno più a sentire ‘sta storia.

Poiché i robot intesi comunemente nel linguaggio odierno hanno la brutta tendenza ad arrugginirsi, guastarsi e utilizzare energia elettrica ormai off limits, pensavo di assoldare robot biologici semisenzienti. In altre parole: buoi, cavalli e animali da fattoria in genere. Niente elettricità e un po’ di erba ogni tanto. Potremmo utilizzare le loro deiezioni per concimare i campi, realizzando un esempio di economia circolare forse non inedito, ma efficace. Già, a proposito di campi, un'altra risorsa imprescindibile è, ovviamente, il cibo. Ma comunque dobbiamo costruire archi e frecce per cacciare e integrare l’economia agricola, oltre a difenderci dalle possibili invasioni. Non abbandoneremo mai del tutto la caccia perché con l’agricoltura prima o poi va a finire che si ritorna ad accumulare, a ingrandirsi, ad espandersi più del necessario.

Punto 3: come partire e sviluppare la strategia di una società alternativa

Come insegna ogni buon RTS, all’inizio è meglio trovarsi un posticino tranquillo tranquillo e un po’ isolato. Non dobbiamo nemmeno mandare qualche scout a ispezionare di nascosto il mondo circostante perché lo conosciamo (è per questo che abbiamo deciso di costruire una società alternativa). Com’è noto, il quartier generale iniziale ha bisogno di tempo per svilupparsi e non bisogna farsi scoprire altrimenti vengono in massa con la loro tecnologia superiore e ci radono al suolo senza pietà, come abbiamo fatto anche noi in tante partite a videogiochi contro le basi nemiche più deboli. Dobbiamo quindi isolarci.

L’isolamento produce evoluzione, la globalizzazione produce estinzione (M. Crichton)

In seguito dobbiamo scegliere la strategia di sviluppo. Lasciate che vi dica una cosa: secondo me se si decide di risalire l’albero tecnologico e raggiungere la complessità delle unità più avanzate, non si va da nessuna parte. Il nemico ha una tecnologia, un’organizzazione e una struttura troppo più elevata anche delle nostre più ottimistiche potenzialità autarchiche. Abbiamo solo una speranza: la strategia Zerg rush ovvero produrre tante unità semplici, basiche che fanno affidamento sulla forza del numero. Per fare questo abbiamo bisogno di unità femminili, giacché sono le uniche in grado di procreare. Qui viene il problema. Dobbiamo convincere queste unità a rinunciare alle stories di Instagram, all’estetista e ai beni di lusso. Poi abbiamo bisogno che siano giovani (a 25 anni un’unità femminile viene già definita dalla scienza una ‘primipara attempata’ ai fini procreativi) e che sfornino unità una dietro l’altra come se non ci fosse un domani. Infine, è necessario che il frutto del loro ventre venga allevato e indirizzato alla difesa e alla promozione della nostra neonata società e non alla sbornia serale del week-end. Come portare a compimento quest’opera di persuasione nei confronti dell’altra metà del mondo? Come educare i nostri giovani virgulti isolandoli dalle lusinghe della perniciosa società ordocapitalista e imperialista? Dovremo inventarci una religione...

Ecco, da qui, grossomodo, si può andare avanti a vista.

Ma forse, ho sbagliato a prendere ad esempio questi strategici classici basati sull’accumulazione di risorse… forse dovevo considerare Total Annihilation, un RTS dove si usano anche i rottami che generano dalla distruzione delle vecchie strutture e unità…

Beh, la mia prima strategia l’ho abbozzata, magari è un po’ troppo rigida, ma giocando si impara e c'è sempre spazio per un miglioramento, sperando che la curva di difficoltà non risulti troppo ostica.

Male che vada, attendiamo la patch o l'espansione per bilanciare le fazioni. Anche se non è chiaro chi dovrebbe occuparsi di questo bilanciamento...

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Immaginatevi un'isola lontana lontana. In quest'isola ci sono due gruppi sociali: il gruppo A e il gruppo B. Il gruppo A è impegnato nella raccolta delle noci di cocco, il gruppo B si dedica invece alla pesca dei merluzzi. La loro attività è di tipo economico perché è volta a soddisfare dei bisogni. Nello specifico, quelli di sopravvivenza. Un giorno quelli del gruppo A si stufano di mangiare noci di cocco e quelli del gruppo B di mangiare merluzzi. Per questo cominciano a commerciare noci di cocco in cambio di merluzzi. Essendo le noci di cocco meno deperibili dei merluzzi, quindi maggiormente “tesaurizzabili” (cioè risparmiabili e accumulabili), si sceglie di pesare ogni merce in termini di noci di cocco: un chilo di merluzzi vale 8 noci di cocco, ad esempio. Nasce così il DENARO. Nel caso della nostra isola, la prima forma che assume il denaro è quindi quella di “noci di cocco”. Gli scambi crescono, la tecnologia evolve, i prodotti si ampliano. Per le loro caratteristiche di divisibilità, di portabilità e, come già detto, di capacità di tesaurizzazione, emerge poi come nuova forma di denaro quella rappresentata dai metalli. I metalli sono utili e hanno un “valore merce” innegabile: possono essere utilizzati per creare attrezzi e gioielli e, senza citare motti e proverbi, sappiamo come possano piacere al mondo femminile e quindi, di riflesso, stimolare l'impegno di quello maschile. E' anche comodo sceglierli come forma di denaro perché, come detto sono frazionabili comodamente grazie alla divisibilità in unità di peso (uno o dieci grammi, ecc.). Inoltre sono più facilmente trasportabili e tesaurizzabili, sicuramente più di un camion di noci di cocco. In virtù di queste caratteristiche, essendo stati scelti come forma di denaro, assumono anche un valore di scambio. Ma per il momento non preoccupiamoci di questo. Concentriamoci invece sul fatto che l'uomo ha inventato il denaro che, per la nostra isola, nel momento in cui scriviamo, è rappresentato da pezzetti d'oro. Tutto va a gonfie vele ma ci sono alcuni problemi che affliggono la gente comune che appartiene ai gruppi A e B: i falsari. Questi ultimi usano del denaro falso fatto con metalli scadenti e più facili da reperire che manda all'aria tutto il sistema di scambi e di fiducia (ricordiamoci questa parola) messo su con tanta fatica. Cosa succede allora? Arriva da un paese lontano un soggetto impiccione chiamato Stato. Questo decide di farsi garante del denaro, attraverso la Zecca dello Stato. I pezzi d'oro diventano monete d'oro, hanno le zigrinature ai lati e una serie di stampe che ne rendono molto più difficile la falsificazione. Beh, lo Stato fa anche altre cosette: sicurezza, strade, leggi di civile convivenza... il tutto su larga scala, dove non possono arrivare le primordiali comunità. Con l'intervento dello Stato va tutto a gonfie vele di nuovo. Ma rimane un problema ancora: i delinquenti. Ok, i soldi non si possono più falsificare tanto facilmente ma si possono sempre rubare. I mercanti prendono delle belle botte in testa durante i loro viaggi, risvegliandosi senza i preziosi incassi per i quali lavorano. Il commercio crea benessere e, se viene penalizzato, ciò è un male per tutta la società. Per questo viene in aiuto un nuovo soggetto che fa da intermediario. Chiamiamolo Banca. La Banca prende in deposito il denaro e crea una serie di prodotti finanziari che eliminano una serie di inconvenienti del denaro “solido” e rinsaldando il meccanismo della fiducia attraverso il quale si consolida tutta l'espansione dell'attività economica. Al posto delle monete di metallo, viaggiano gli assegni e le lettere di credito. E, di nuovo, va tutto bene finché, sulla nostra scena non appare un individuo inquietante. Giunge un giorno di tempesta, su di una carrozza trainata da enormi cavalli neri come la pece ed entra in banca fra lampi e tuoni. E' un'entrata in scena talmente eclatante che richiede un capitolo a parte. E' il Misterioso Stregone.

L'AVVENTO DEL MISTERIOSO STREGONE

Questo individuo inquietante si presenta di fronte al direttore generale della Banca e punta i occhi magnetici su quelli del pavido funzionario. “Mi dica la situazione depositi alla data attuale!” tuona autoritario. Il direttore della Banca, soggiogato dal suo carisma e sintomatico mistero, non può che obbedire e gli presenta il seguente quadro:

GRUPPO A: 1000 monete d'oro GRUPPO B: 1000 monete d'oro

“Bene!” – dice compiaciuto – “Ora mi faccia un piacere: prenda la penna e scriva ciò che segue”

MISTERIOSO STREGONE: 1000 monete d'oro

La volontà del direttore di banca, pur vacillante, ha un sussulto. “Ma così potrà ritirare e utilizzare dei soldi non suoi! E cosa accadrà” piagnucola “se il Gruppo A e il Gruppo B decidono di ritirare tutto il loro denaro e io non glielo posso dare?” “Lei sa bene che questo non avverrà mai, soprattutto ora che l'economia va bene e i depositi sono in crescita” “Ma... almeno mi vuol dire che ci vuol fare con questi soldi?” “Obbella! Li spendo!” “Sì, ma come?” Il Misterioso Stregone tace e si fa serio. “La metà li darò ai poveri.” Il direttore di Banca, che in fondo in fondo ha una coscienza, tira un muto sospiro di sollievo. Il Misterioso Stregone non sembra una cattiva persona. Usa questo denaro per darlo ai poveri, assolve una lodevole funzione sociale. No? “E l'altra metà?” – chiede il direttore di Banca più rinfrancato. “L'altra metà” – risponde il Misterioso Stregone – “La userò per promuovere il mio sport preferito: Stappachiappa”.

DEFINIZIONE DI STAPPACHIAPPA TRATTA DA WIKIPEDIA: Stappachiappa è uno sport inventato da un Misterioso Stregone che consiste nel tentare di stappare una bottiglia di birra solo con l'aiuto dei muscoli locati in corrispondenza delle natiche.

“Ma...” balbetta il direttore. “Niente ma” replica il Misterioso Stregone “vedrà che si troverà bene, lasci fare a me”.

GLI ANNI PASSANO

Come suggerisce il titolo di questo capitoletto, gli anni passano e il Misterioso Stregone, coi suoi soldi, inizia a concretizzare gli effetti delle sue spese sulla società. I poveri prendono i soldi e lo votano, cosicché il Misterioso Stregone, una volta eletto, possa riprelevarli di nuovo attraverso le tasse. E lo sport Stappachiappa? Non ha subito vita facile. Inizialmente la gente si chiede: ma che senso ha provare a stappare le bottiglie di birra col culo? Ma poi nascono nuovi mestieri oltre a quelli antichi creati col vecchio modo di pensare e produrre. I bambini cominciano a sognare di diventare, da grandi, campioni di Stappachiappa perché guadagnano bene e sono famosi. I grandi scoprono nuove frontiere del giornalismo, scrivendo della “gloriosa millenaria lotta delle natiche umane contro i tappi delle bottiglie di birra”, e promuovendo ulteriormente lo sport. Qualcun altro si mette a vendere tute dotate di un buon grip nella zona derrière. Insomma, si sviluppa un certo indotto. E tutti si scordano di mangiare noci di cocco e merluzzi. O quantomeno lo danno per scontato. Finché...

TRADIMENTO! RIVOLUZIONE!

Il meccanismo che sembrava poter funzionare in eterno smette di funzionare: non tutti sono felici e si creano molte differenze sociali e sacche di povertà a dispetto delle politiche redistributive. Così tutti si accorgono all'improvviso, come per magia, dei magheggi del Misterioso Stregone. “L'avevo capito io che uno che inventa uno sport chiamato Stappachiappa era solo un maniaco pervertito!” dicono i soliti abituèe del “te l'avevo detto!”. Il Misterioso Stregone è sotto accusa. Portato su una pubblica piazza per la decapitazione però si difende. “Stolti!” tuona col suo indomito orgoglio stregonesco “Pensate che io vi abbia fatto del male? Che abbia procurato dei danni alla società? Siete fortunati che vi sia capitato io che ho distribuito soldi ai più poveri e ho impedito loro di diventare briganti. Io che vi ho allenato in modo giocoso a stringere le vostre natiche per evitare di avere sorprese alle vostre spalle! Sapete cosa avviene nelle altre isole?” I membri del pubblico giunti per l'esecuzione in piazza si guardano in faccia gli uni gli altri, in silenzio. Non hanno la risposta a quella domanda. Sono rimasti talmente tanti anni a cogliere noci di cocco e a pescare merluzzi che non hanno mai sentito il bisogno di chiedersi cosa avvenisse al di fuori della loro isola. “Ebbene” continua il Misterioso Stregone “Ve lo dico io! Là i miei colleghi hanno utilizzato i miei stessi espedienti ma non hanno indirizzato il denaro ai poveri o allo sport. Nossignore. Hanno costruito bombe termonucleari e allestito eserciti con cui un giorno verranno qui da voi, sottomettendovi. E se anche rinuciassero alla violenza più bruta, sappiate che hanno investito in settori strategici dell'economia che consentiranno loro di spazzarvi via dal mercato solo con la forza dei loro prezzi e con la qualità dei loro prodotti! Altro che merluzzi e noci di cocco...” A quelle parole il popolo riflette. Il Misterioso Stregone è antipatico ma forse è uno dei meno peggio. O no? Qualunque sia il responso sulla sua moralità, un giorno l'isola si troverà di fronte altre isole e con l'avanzare della tecnologia le distanze si annulleranno... E allora cosa accadrà? Il popolo però vacilla solo per un attimo. Insomma, si sono mossi da casa per vedere un'esecuzione capitale e sarebbe brutto rinunciarci solo per due parolette messe in fila in un momento di intima e ben celata disperazione. Che il misterioso stregone (togliamo la maiuscola) venga impiccato! Ma prima si tolga quel cappuccio che copre costantemente il suo volto, il quale, immerso nella penombra, lascia solo baluginare i due occhi fiammeggianti. Così il boia allunga una mano e scopre l'arcano. E il volto che emerge è... quello del direttore di Banca! Scopriamo così che si tratta de

IL CLASSICO VECCHIO ESPEDIENTE NARRATIVO DEL RISVEGLIO DALL'INCUBO

Il direttore di Banca si risveglia madido di sudore. Ha appena sognato di essere su una pubblica piazza, in attesa di essere giustiziato da una folla inferocita. Si solleva dal letto e beve un sorso dal bicchiere d'acqua che tiene sempre sul comodino, ogni notte. Sua moglie dorme tranquilla di fianco. I suoi figli sono silenziosi nell'altra stanza. Asciugandosi il sudore dalla fronte, tira un sospiro. Ma il sollievo non è lo stesso di quando si risveglia dall'incubo in cui lo insegue un gorilla assassino con la faccia di Carlo Marx. Non è del tutto sollevato perché la situazione “è quella che è”, come si suol dire. No, non c'è stato (e non c'è) alcun Misterioso Stregone. E così i ricordi riaffiorano. Era tutto cominciato con qualcuno che chiedeva un prestito. La Banca gliel'aveva concesso, in cambio di un giusto tasso di interesse. D'altronde, si diceva una volta, stava tutto lì, in quel tasso di interesse, il reddito della Banca. Poi i prestiti sono aumentati e anche la quantità e la qualità dei debitori. E' arrivato anche lo Stato a far debiti. E il direttore di Banca era contento. Tutti erano contenti. Tutti erano d'accordo. Sembrava un'ottima idea. “E' ancora un'ottima idea” bisbiglia il direttore di Banca con un filo di voce, a rischio di svegliare la moglie. Certo oggi bisogna un po' registrarla, raffinarla, forse rivederla. Già, manca una trovata risolutiva che quadri tutto. O forse, manca solo lui: un Misterioso Stregone da osannare e impiccare alla bisogna.

FINE

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