Transit

opinioni

(135)

(Yemen)

Il mondo non è alla rovescia. Stanotte, nello Yemen, si è ribadito. Quella che sta mancando, da sempre, è la prospettiva di umanità, lo sguardo oltre a tutte le cose che non siano quelle che ci distinguono (ma sempre meno) da altre forme di vita. Ogni guerra, nel mondo, è il cedimento agli istinti, alla paura, alla sopraffazione, al cammino verso la fine globale.

Non spaventi un tono quasi “ecumenico”, ma ciò che accade in Palestina non può nemmeno stupire: indignare no di sicuro, perchè gli interessi geo-politici ed economici sono da sempre superiori a qualsiasi tipo di altra considerazione. Si uccide per vivere meglio, si uccide in nome di Dei che sono favole inventate per non avere paura.

Ma si uccide, sempre di più, sempre più indifferenti e apparentemente stupidi. Si uccide perchè è semplice, di massa, si possono eliminare quelli che non sono come noi e fare i soldi ricostruendo ciò che si è distrutto appositamente. E non c'è di certo quella “giustizia divina” che è un'altra invenzione ridicola, un altro schermo dietro cui nascondersi.

Anche quella umana, di giustizia, non dà molto affidamento. E' monca, paralizzata spesso da cose più grandi di lei, generalmente tutte quelle scritte qui sopra. Si dirà che siamo fallibili e che non c'è mai un “giusto” assoluto od un male altrettanto totale ed è così. Ma appare ovvio e sanguinante che il male è più diffuso, più bramato, più consolante.

La storia finirà (lo scrissi già, ripeterlo non gioverà, temo) e tutto tornerà nell'alveo dell'inutilità: c'è una fine, che non ha data, per tutti e tutto. Nel mentre il mondo gira, ma non cambia senso. Attende, passivo, che questa forma di vita che siamo noi lo finisca, ma lentamente, facendo più danni possibili. Deve essere, in qualche maniera, divertente. Non c'è un'altra spiegazione che regga così bene. (D.)

#Blog #Opinioni #World #Peace #NoWar

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(133)

(Pozzolo)

Ci hanno fatto credere che, in molte maniere, chi fa politica, chi detiene un potere (economico, sociale, fittizio come quello religioso), sia superiore agli altri. Prassi e pochissima voglia di mettere in discussione un assunto che è divenuto regola, chi si ribella è perduto: più che altro muore di solitudine o arriva al punto in cui percepisce che si sta sfiancando inutilmente.

Mettiamoci anche dell'insano masochismo, che porta moltissime persone a diventare zerbini 4.0, ovvero consenzienti e felici, e capiamo che è game, set e partita. Un immenso prato di sopraffazione dove pascolano indisturbati i fautori del “...Lei non sa chi sono io”, brucando l'erba del consenso in cambio dell'impunità e abbeverandosi alla fonte dell'ignoranza imperante.

Perciò risulta abbastanza ovvio l'atteggiamento di Campana nei confronti del Pozzolo, che per ridere si porta dietro una pistoletta da noir dell'800 (qui). Il che non significa che non possa ammazzare, sia detto. Basta mirare bene, avere qualche scusa pronta e fare le famose telefonate. Il che è risaputo e la vittima ne è consapevole.

Consapevolezza non scusabile. Rinviare una denuncia di qualche ora non è peccato. Lo è affermare certe cose, magari indotte da avvocati che vorrebbero recitare in qualche crime made in USA. Una così palese, scontata e avvilente affermazione di sudditanza dovrebbe risultare indigesta al popolo, termine con il quale ci si riempie la bocca per sputare sentenze spesso inique.

Quella stessa massa asservita che fa “sì, sì” con la testa a fronte di qualsiasi angheria, meglio se svolta contro le stesse leggi che dovrebbe ben conoscere (non chiediamolo agli “onorevoli”, fanno fatica a leggere). Mendicando favori e una cultura sociale/politica degna di “Rete 4”, si scatta sugli attenti e si battono i tacchi.

Il sig. Campana non è originale ed è pure prevedibile. Sarà uno dei milioni che non conosce un super potere che è stato inviato in dono (gratis, vuol dire) a tutti gli operai del mondo: la dignità. I più fortunati hanno anche quello della consapevolezza, che li rende invulnerabili: sono esattamente eguali a tutti gli altri e più uguali ai “potenti” dei potenti stessi.

Tu guarda. Incredibile. Se ci ragioni su un un attimo e cerchi questa forza, anche nelle tasche più nascoste, la trovi. Sempre. E non vanno nemmeno trovate scuse sugli antidoti che ti possono sparare contro: non esistono. E' roba fortissima, invincibile, che porta un esempio. Lo si può perfino seguire, ogni giorno ovunque.

Le scuse stanno a zero, anche se vogliono far credere il contrario. Milioni di operai, casalinghe, pensionati, ragazzi che non devono sentirsi inferiori a nessuno. Per costituzione, scritta e morale. Chi sbaglia paga, qualsiasi sia il suo nome, grado e parentela. Fateglielo capire ogni santo giorno. Non passeranno. (D.)

#Italia #Politica #Pozzolo #GovernoMeloni #Opinioni

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(Maestro)

Bradley Cooper presenta Carey Mulligan in “Maestro”, il film biografico sul leggendario compositore e direttore d'orchestra americano Leonard Bernstein da lui diretto, co-scritto e interpretato, in una scena che sembra presa da Hitchcock. Il personaggio della Mulligan scende da un autobus in una strada di periferia, una silhouette aggraziata in un'inquadratura ampia finché il suo viso non emerge in primo piano, catturato da una lente morbida. È un momento intriso di bellezza e amore. La Mulligan interpreta Felicia Montealegre, la moglie di Bernstein per 27 anni e, per molti versi, “Maestro” è una lettera d'amore per lei, Il “Maestro” è, ovviamente, Bernstein, con i suoi straordinari successi come primo americano a dirigere la “New York Philharmonic”, la “London Symphony” e la “Berlin Philharmonic”, ma il titolo avrebbe potuto facilmente riferirsi a Felicia.

Era la padrona del suo cuore e della sua anima nella loro complessa relazione, segnata dalle sue continue relazioni con gli uomini. I due si incontrano quando Bernstein ha vent'anni e aveva appena debuttato alla “Carnegie Hall” : è un trionfo e la sua stella sorge rapidamente. Lenny, come viene soprannominato, e Felicia si incontrano a una festa e sono attratti l'uno dall'altro come le falene dalla fiamma. Il loro carisma si rivela irresistibile l'uno per l'altro e per il pubblico. Proprio come ha fatto in “A Star is Born”, con Lady Gaga, Cooper ha un talento prodigioso nel recitare al fianco di se stesso. Lui e Mulligan hanno una forte alchimia sullo schermo e quei primi anni, girati in un caldo bianco e nero, pulsano di raffinatezza, come nei vecchi film degli anni ‘50 e che andrebbero rivisti, ogni tanto.

Cooper stabilisce che la posta in gioco è il loro amore e questo rimane palpabile nel corso degli anni, mentre i contrasti emotivi si scatenano quando lui è sempre più portato a soddisfare i suoi altri desideri. Anche nella scena culminante in cui la coppia affronta la resa dei conti, durante la parata del giorno del ringraziamento, quando un gigantesco Snoopy gonfiabile fluttua sullo sfondo, c'è un peso in ogni parola detta e non detta: è scritta benissimo, con la camera fissa su due protagonisti, senza artifici di sorta.

(Maestro)

Ciò che risulta notevole è che, nonostante la connessione tra Lenny e Felicia sia così forte, quando i personaggi sono lontani l'uno dall'altro, sono ancora esseri completamente uniti. Quando il regista ricrea la straordinaria direzione d'orchestra di Bernstein della “Resurrezione” di Mahler alla Cattedrale di Ely nel Regno Unito, è così energico e avvincente. Soprattutto lo sguardo di pura trascendenza sul volto di Lenny mentre viene travolto dalla musica. Quella sensazione viene trasferita al pubblico. Ma alla fine corre da sua moglie e in quel momento, di puro cinema, si sente netta questa piena sintonia tra i due: è palpabile, letteralmente.

Cooper ha il pieno controllo delle immagini in “Maestro”, che rappresenta un'evoluzione della sua regia. In questo film conosce meglio se stesso e gestisce aspetti difficili della realizzazione di un film comunque complesso e molto “parlato” con maggiore sicurezza. (D.)

#CamarilloBrillo #Film #Cinema #Opinioni

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129

(SW)

La musica è importante, proprio per me, nella mia vita. Potessi ne ascolterei molte più ore, in una giornata. Premessa banale, premessa inutile.

Quando, solo in questi giorni, ho letto il messaggio (pubblico, riportato nella foto in cima) di #StevenWilson -chi è (qui)– sono rimasto molto perplesso. Prima. Mi sono incazzato, poi. Non starò qui a riaprire un dibattito vecchio almeno quanto me su come si possa o si voglia scindere l'arte dal vissuto di chi la fa. Siamo pubblico, perciò parziali. Immagino alcuni di voi (non siete migliaia) che porranno a paragone sulla vicenda #RogerWaters, o che scomoderanno #PierPaoloPasolini.

E' legittimo che anche un artista possa esprimere un pensiero politico, sociale, personale. Il web è di tutti e lo è anche l'arte (con dovuti distinguo che, per amore di brevità, eviterò di citare.) Pertanto non è qui l'incazzatura, non sta assolutamente qui. E' che ci sono dei limiti, anche questi suggeriti da se stessi. E non sono in discussione.

La coerenza non paga e nemmeno siamo pagati da chi ascoltiamo, dagli artisti che ci aggradano: almeno vale per il sottoscritto, che non becca un centesimo da nessuno, ma che ha speso migliaia di euro per la sua passione. Non morirà di fame -sic- il suddetto artista, cui cambia meno di una virgola che io esprima il totale dissenso verso la sua posizione, che io non compri mai più nessun suo prodotto (ahimè, anche quelli dei #PorcupineTree, che sono una band da adorare) o che perda dieci minuti della mia vita a scrivere per un #Blog che conta pochissimi lettori.

Questa cosa la dovevo dire, anche per la coerenza di cui sopra. Non si passano anni a dire che la Palestina è uno stato di diritto, che Israele è una “democrazia” solo per chi si arroga il diritto di negare anche un cessate il fuoco -Biden è uguale a tutti gli altri- e poi tace quando qualcuno “che conta” scrive cose gravissime. Notare come nel post ci siano quei toni che vanno bene per la massa, attenti a dire e contraddire nello stesso istante, così belli e poetici da far cascare i denti. Se non siamo proprio cotti e rincoglioniti non ci caschiamo.

Ecco, uno sfogo questo. Non ho verità assolute da spacciare, non sono né più bello, né più bravo, tantomeno intelligente, di nessuno. Ma che possa cascare immediatamente questo Governo se taccio o non ribadisco la mia (e per, fortuna, di milioni di altre persone) idea. Il “signor” Wilson può contare su tutti i suo fans. E si può vergognare con tutte le note musicali che conosce. (D.)

#Blog #Musica #Music #Opinions #Opinioni

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128

(Bestemmia)

Nel 1999 la sanzione contro “Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità è punito con la sanzione amministrativa da lire centomila a seicentomila.” è stata aggiornata agli euro. Un bel passo avanti, dal 1930, ci pare. Mentre nei contratti nazionali, quelli così cari a chi non vuole aumentare le paghe orarie incostituzionali, a questa cosa non si accenna -giustamente-, una delle migliaia di ditte in appalto agli illuminati “colossi” italiani licenzia per questo motivo (qui)

Un’altra istituzione, l’ONU, che si tira fuori solo se serve a scopi molto ipocriti, nel 2014 ha chiesto di abrogare queste idiozie. Dieci anni fa. Eppure la storia si perpetua immutabile, almeno in questo Paese, arrivando ogni giorno a nuovi picchi di sudditanza nei confronti di una delle religioni ammesse. Una, non la sola.

E’ vero che una bestemmia può dare fastidio: se parliamo della stessa ditta e di una operatrice che ha insultato un cliente, il licenziamento ci sta anche. Il cruccio è una cosa, richiamare un’altra, licenziare una bestialità opportunistica. Può darsi che lo stesso appaltante, tronfio del proprio falso perbenismo, abbia spinto per arrivare a tanto. Può darsi che sia stata una scusa per allontanare chi, sempre ipoteticamente, ha compiuto altri atti contro il datore di lavoro o colleghi, ma ci sono varie sanzioni che si possono applicare. Lo sanno anche certi fenomeni che stazionano nei CDA.

Eppure tutto quanto ha il colore smunto della immutabile, perniciosa sudditanza psicologica nei confronti della chiesa cattolica. Se il fatto resta entro l’ambito della personale idea del mondo (e del resto), nulla si ha da ridire. Non si deve. Arrivare a certi estremi, appare chiaro, fa riflettere su quanto l’Italia non sia uno Stato compiuto, ma ancora -e solo- un paesello colmo di persone che invecchiano malissimo.

Mentre tutto il pianeta si permette di usare il termine “futuro”, a volte persino con troppa facilità, noi, vantandoci, restiamo fermi, immobili a calpestare persone in nome e per conto di entità fittizie cui deleghiamo la nostra intelligenza. E’ più comodo, non sporca e di solito porta a sentirsi migliori. Di chi non s’è ancora compreso.

#Blog #Italia #Religione #Opinioni #Lavoro

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127

(Kissinger & Allende)

Henry Kissinger, figura centrale nella politica estera degli Stati Uniti durante gli anni '70, è spesso associato al sostegno al golpe militare in Cile del 1973, che portò alla rovesciamento del governo democraticamente eletto di Salvador Allende. Questo evento complesso richiede una comprensione approfondita del contesto geopolitico dell'epoca e delle dinamiche interne del Cile.

All'inizio degli anni '70, il Cile era immerso in una serie di tensioni politiche ed economiche. Il presidente Salvador Allende, un socialista marxista, era stato eletto nel 1970, suscitando preoccupazioni negli Stati Uniti, che temevano un'influenza sovietica nella regione. Kissinger, all'epoca consigliere per la sicurezza nazionale del presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, condivideva queste preoccupazioni e riteneva che l'instaurazione di un governo socialista in Cile avrebbe potuto minacciare gli interessi statunitensi nella regione.

La politica estera di Kissinger era caratterizzata da una visione pragmatica e realpolitik, dove la sicurezza nazionale e gli interessi geopolitici assumevano una priorità elevata, anche a scapito della democrazia e dei diritti civili. Nel contesto della Guerra Fredda, l'America Latina era considerata un teatro cruciale per contrastare l'espansione del Comunismo. Kissinger era preoccupato che la politica di Allende potesse indebolire gli Stati Uniti nella loro lotta ideologica contro l'Unione Sovietica.

L'11 settembre 1973, il generale Augusto Pinochet guidò un colpo di stato militare che rovesciò il governo di Allende. Non ci sono prove dirette che dimostrino un coinvolgimento diretto di Kissinger nell'organizzazione del golpe, ma emergono dettagli che indicano il suo appoggio indiretto e la sua conoscenza delle azioni intraprese. Ad esempio, documenti desecretati suggeriscono che gli Stati Uniti, sotto la supervisione di Kissinger, avrebbero fornito sostegno finanziario e diplomatico a gruppi anti-Allende in Cile. In una conversazione registrata del 16 settembre 1973, solo cinque giorni dopo il colpo di stato, Kissinger parlò con Nixon della situazione in Cile. In questa conversazione, Nixon esprimeva preoccupazione per le reazioni internazionali alla caduta di Allende, ma Kissinger minimizzava tali preoccupazioni e sottolineava l'opportunità di spostare l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale altrove.

Il ruolo di Kissinger nel sostenere il golpe in Cile è stato oggetto di dibattito e controversie per decenni. Alcuni critici sostengono che il suo coinvolgimento sia stato più diretto di quanto ammesso pubblicamente, e che gli Stati Uniti abbiano influenzato attivamente gli eventi che hanno portato al colpo di stato. È importante notare che il colpo di stato in Cile ebbe conseguenze devastanti per il paese. Il regime di Pinochet instaurò una dittatura militare caratterizzata da violazioni sistematiche dei diritti umani, con migliaia di persone imprigionate, torturate e uccise per motivi politici. La ferma posizione di Kissinger nei confronti del governo Allende ha contribuito a gettare un'ombra duratura sulla reputazione dell'ex segretario di stato americano.

Il coinvolgimento di Kissinger nel golpe cileno è stato oggetto di indagini giudiziarie e critiche internazionali. Nel 2001, il governo cileno chiese ufficialmente a Kissinger di testimoniare in relazione a un'inchiesta sulle violazioni dei diritti umani durante la dittatura di Pinochet. Tuttavia, Kissinger rifiutò l'invito, sostenendo che la sua testimonianza potesse compromettere la sicurezza nazionale degli Stati Uniti.

Questo interesse nel colpo di stato Cileno, è stato caratterizzato da un sostegno indiretto alla destituzione di Salvador Allende. Questo episodio continua a sollevare domande sulla moralità e l'eticità della politica estera degli Stati Uniti durante la Guerra Fredda e sull'influenza della realpolitik nella gestione degli affari internazionali che continua e si acuisce tuttora.

La morte di Kissinger, come già avvenuto per altri soggetti americani di grande portata, non chiude definitivamente con le conseguenze sociali e morali delle sue azioni. Semmai invita a schierarsi con coloro che chiedono un ridimensionamento dell’influenza USA a livello globale ed in quasi tutti gli ambiti.

#Blog #USA #Politics #Opinioni

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126 [Noi abbiamo un sogno]

(Sogno)

Noi abbiamo un sogno. Anzi, forse, molti. Non credete a coloro che vi dicono che sognare è inutile. Sono persone che si sono scordate le loro utopie, le loro speranze, le illusioni -perchè no?–. Davanti al ciò che il Mondo ci mette davanti, ogni ora, è anche comprensibile, se non quasi obbligatorio. Ma non ci credete lo stesso. Sognare qualcosa che ci fa stare meglio, che per noi significa il traguardo di una vita senza affanni o quello che vi pare, è umano. Molto, molto umano. D'altronde senza i grandi sogni non ci sarebbero state tante cose che hanno cambiato la storia (mica solo belle, eh?).

Per il nostro Paese, quello che malediciamo ogni giorno, il sogno più grande si può definire con una sola parola: prima. Si può arrivare prima a fare le cose? Si possono fare i lavori necessari prima che arrivi un'alluvione? Si può dare un'occupazione dignitosa a tutti prima che milioni di persone facciano la fame? Si può vivere democraticamente prima che i ladri e i politicanti si fottano tutto? Si può curare le persone prima che che facciano avere i loro risparmi ai dottoroni delle cliniche private? Si possono istruire i ragazzi prima che le scuole gli crollino in testa? Si può parlare prima di farsi la guerra, quella vera? Si può fare una legge che tuteli le donne prima che vengano ammazzate?

Sabato il #GovernoMeloni farà approvare il DDL contro la violenza sulle donne (qui). E le 105 donne (per scrivere solo del 2023) prima di Giulia? Non avrebbero meritato così tanta attenzione, prima? Qui non c'è sponda politica che tenga: questi argomenti sono molto più importanti delle meschine beghe da bottegai cui assistiamo, complici, dalla TV che i media hanno reso uno strumento vomitevole.

Ci sarà chi si arroga questa “vittoria di Pirro”, chi sbandiera programmi per l'educazione ai sentimenti (ma un'ora, che due le facciamo di religione), chi scrive e scrive, chi dirà “Io? Mai. Sono uno che rispetta le donne” e avanti. Però quei corpi, quelle vite andavano difesi prima. Molto, molto, prima.

C'è sempre, e quasi inevitabilmente, qualcosa di più importante. Ma davvero esiste qualcosa di più rilevante della vita delle persone? No, non crediamo. Almeno noi. Ma noi, noi non contiamo nulla. (Per dire.)

Come cantava Jannacci “...se me lo dicevi prima.” Magari non è stato detto abbastanza forte. Ma era prima che si doveva fare. Sempre prima. Dopo, spesso, è davvero troppo tardi. (A&D)

#Blog #Opinioni #Italia

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124

(Sciopero)

Il diritto allo sciopero in Italia rappresenta un fondamento del sistema democratico e dei diritti dei lavoratori. La storia del movimento operaio è segnata da lotte e conquiste che hanno progressivamente consolidato questo diritto, riconoscendolo come un mezzo legittimo di protesta e di difesa degli interessi dei lavoratori. Nonostante i progressi compiuti nel corso degli anni, il tema dello sciopero in Italia continua a sollevare dibattiti e questioni di rilevanza sociale e politica.

L'articolo 40 della Costituzione Italiana sancisce il diritto di sciopero per i lavoratori, affermando che “...la legge può limitarne l'esercizio solo per motivi di solidarietà familiare o per assicurare la difesa della libertà del lavoro.” Questa disposizione riflette il riconoscimento del valore sociale dello sciopero come strumento di difesa dei diritti dei lavoratori. Tuttavia, la questione dei limiti all'esercizio di questo diritto apre la strada a discussioni sul bilanciamento tra la libertà sindacale e l'interesse generale.

Il panorama normativo dello sciopero in Italia è regolato principalmente dallo “Statuto dei Lavoratori”, approvato nel 1970. Questa legge ha introdotto importanti disposizioni a favore dei lavoratori, riconoscendo il diritto di sciopero e stabilendo le modalità per il suo esercizio. Uno degli aspetti più significativi è la previsione dell'obbligo di preavviso, che impone alle organizzazioni sindacali di notificare con anticipo la data, l'orario e le modalità dello sciopero alle aziende interessate.

Viene anche definita la differenza tra uno sciopero economico ed uno di solidarietà. Gli scioperi di tipo economico sono quelli finalizzati a migliorare le condizioni di lavoro, come la negoziazione di salari e benefici. Gli scioperi di solidarietà, invece, sono quelli indetti in sostegno ad altre categorie di lavoratori o per esprimere dissenso su questioni di carattere generale. Entrambi i tipi di sciopero sono riconosciuti dalla legge, ma possono essere soggetti a diverse regolamentazioni.

Nonostante la tutela normativa, l'esercizio del diritto allo sciopero in Italia è oggetto di controversie e tensioni. Le vertenze sindacali, i contrasti con le aziende e le questioni legate agli scioperi selvaggi sollevano interrogativi sulla giusta bilancia tra la libertà sindacale e l'efficacia delle azioni di protesta. Inoltre, le restrizioni imposte da leggi successive, come la Legge Treu del 1997, hanno introdotto nuovi criteri e limitazioni all'esercizio del diritto di sciopero.

Determinante è il rapporto tra i sindacati maggiori (non più i rappresentativi, ormai) e governo. Le relazioni sindacali spesso si intrecciano con le dinamiche politiche e economiche del paese. L'intervento del governo può assumere diverse forme, dalla mediazione nella risoluzione di conflitti al tentativo di limitare gli scioperi considerati eccessivi o dannosi per l'economia nazionale. Questo rapporto delicato pone la questione della separazione tra potere politico e sindacale, elemento cruciale per garantire l'effettiva autonomia del movimento sindacale e la tutela dei diritti dei lavoratori.

Va notato che la percezione sociale degli scioperi in Italia è varia. Da un lato, c'è chi li vede come un diritto sacrosanto, un mezzo legittimo di difesa degli interessi dei lavoratori contro possibili abusi da parte delle aziende. Dall'altro lato, vi è chi critica gli scioperi, considerandoli un ostacolo allo sviluppo economico e un fattore di instabilità. Queste divergenze di opinione evidenziano la complessità del tema e la necessità di un costante dialogo tra le parti coinvolte.

Il diritto allo sciopero in Italia è un elemento cruciale della lotta sociale. Se da un lato la normativa costituzionale e lo Statuto dei Lavoratori riconoscono e regolamentano questo diritto, dall'altro persistono dibattiti e tensioni legate alle modalità di esercizio e alle possibili limitazioni imposte dalle leggi successive. La sfida per il paese è trovare un equilibrio che garantisca la libera espressione delle istanze sindacali, preservando al contempo l'interesse generale e il corretto funzionamento dell'economia nazionale.

Naturalmente, con il governo attuale e con Salvini tutto questo è aleatorio. Basta un post, ormai, per far capire da che parte tira il vento.

#Blog #Italia #Lavoro #Sciopero #Opinioni

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123

(Riforma premierato)

La riforma sul #premierato proposta dal #GovernoMeloni ha sollevato numerose preoccupazioni riguardo alla sua costituzionalità. Sebbene sia importante sottolineare che la costituzionalità di una legge spetta, in ultima analisi, alla Corte Costituzionale, si possono analizzare alcuni aspetti critici che potrebbero sollevare dubbi sulla conformità di questa proposta con la Costituzione Italiana. Proviamo a indicare alcuni dei principali motivi per cui la riforma potrebbe essere considerata incostituzionale.

Violazione dell'articolo 92 della #Costituzione. L'articolo 92 della Costituzione italiana stabilisce chiaramente che il Presidente del Consiglio dei Ministri è nominato dal Presidente della Repubblica. La proposta di riforma suggerisce una modifica a questa procedura, introducendo una maggiore influenza del Parlamento nella nomina del Premier. Questa modifica potrebbe essere considerata una violazione diretta dell'articolo 92 e potrebbe mettere in discussione il principio di separazione dei poteri sancito dalla Costituzione.

Bilanciamento dei poteri. La Costituzione italiana pone una forte enfasi sul bilanciamento dei poteri tra il governo, il parlamento e il Presidente della Repubblica. Qualsiasi tentativo di modificare questo equilibrio deve essere attentamente valutato. La riforma proposta potrebbe introdurre un'instabilità nel sistema politico italiano, consentendo al Parlamento di influenzare in modo eccessivo la nomina del Premier. Questo potrebbe compromettere l'efficienza del governo e la stabilità politica del paese.

Ruolo del Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica svolge un ruolo fondamentale nella nomina del Premier e nell'indirizzo della politica nazionale. La riforma potrebbe limitare il suo potere decisionale, conferendo al Parlamento un'importanza sproporzionata nella formazione del governo. Questo potrebbe compromettere l'indipendenza del Presidente della Repubblica e la sua capacità di agire come arbitro neutrale nelle questioni politiche.

Possibile conflitto con altri articoli costituzionali. La riforma potrebbe essere in conflitto con altri articoli della Costituzione italiana, come l'articolo 1 (che afferma l'unità della Repubblica) e l'articolo 54 (che tratta la formazione del governo). Qualsiasi modifica costituzionale deve essere coerente con l'insieme dei principi e dei valori sanciti nella Costituzione, al fine di garantire la stabilità del sistema politico italiano.

L'opinione degli esperti in diritto costituzionale. Gli esperti in diritto costituzionale potrebbero sollevare dubbi sulla costituzionalità della riforma proposta. La Corte Costituzionale tiene spesso conto delle opinioni degli esperti nella sua valutazione delle leggi, e se un numero significativo di giuristi costituzionali esprime preoccupazioni sulla riforma, ciò potrebbe influenzare il suo esito.

Potenziali implicazioni per il federalismo. La riforma potrebbe avere implicazioni per il sistema di governo regionale e per il federalismo in Italia (come piacerebbe a #Salvini.) Qualsiasi modifica che influenzi il processo di nomina del Premier potrebbe avere un impatto significativo sulle dinamiche tra il governo centrale e le regioni. È importante considerare attentamente queste implicazioni prima di apportare modifiche sostanziali al sistema politico italiano.

La riforma proposta dal Governo Meloni potrebbe essere considerata incostituzionale per vari motivi. Si dovrebbe rimettere alla Corte Costituzionale per valutarne la sua conformità. È importante che qualsiasi modifica costituzionale sia sottoposta a un esame rigoroso e approfondito per garantire che rispetti i principi fondamentali della Costituzione e non comprometta l'equilibrio dei poteri nel sistema politico italiano.

E' lampante che questo esecutivo punti a rimettere in circolo una falsa idea della democrazia: quella che vuole “...l'uomo -o la donna- solo/a al comando.” Come avviene da più di anno, sì. Ci ricorda qualcuno e qualcosa. Con grande tristezza.

#Blog #Opinioni #Politica #Italia

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122

(Gaza)

Non esiste solo l'#antisemitismo. E' questo l'errore, marchiano, che la stampa e i social media stanno, al solito, veicolando. La questione Palestinese non è abbassabile ad un mero sdegno nei confronti di un popolo che ha subito l'odio più profondo e la persecuzione più sanguinosa della storia. Rimangono due binari separati e anche piuttosto nettamente. L' intrico eterno, purtroppo, del Medio Oriente merita un'attenzione così profonda che ridurre il tutto a questo non fa che portare confusione nella confusione.

Sarà banale, ma mai come dall'avvento delle Rete quasi ogni argomento è divenuto solo un chiassoso contrapporsi di urla, insulti e denigrazione. Complici per primo politicanti, mozzaorecchie e giornalisti proni che danno alle “menti semplici” (*) l'opportunità di mostrarsi, pavoneggiarsi sulle vicende mondiali. Quelle altrui ed intricate sono le migliori. Qui nessuno ha nulla da insegnare, se non i fatti, che sempre dovrebbero essere edulcorati dalle opinioni personali. I diritti umani sopra ogni cosa andrebbero incorniciati nella maniera più corretta e neutra possibile.

L' umanità è una, con tutte le variabili infinite della singola persona, del pensiero proprio ed unico di ognuno. Naturalmente la formazione e la cultura fanno la differenza, così come -purtroppo- i credo religiosi, l'ambiente circostante, tutto. Proprio per questo, dal 1948, non esiste solo lo Stato di Israele, ma anche la Palestina. Anzi, prima di Israele era la Palestina.

La via più semplice sarebbe il silenzio, ma chi ha voglia di tacere? Io (noi) per primo trovo le scorciatoie per veicolare il “mio” pensiero, che non può mai essere così arrogante da credere di essere quello corretto, quello che scopre una verità che nessuno ha in tasca. Tutti colpevoli? In un certo senso sì, ma anche con il diritto inviolabile di esprimersi. Un'espressione che dovrebbe far crescere, portare all'approfondimento, al confronto. Un'utopia disdegnata per la vacuità dell'esposizione, del riscontro, dei pollici all'insù.

Per cui no e no. Non c'è solo l'antisemitismo. C'è anche l'anti mussulmano, l'anti cristiano, l'anti ragionamento, l'anti intelligenza, l'anti umanità in senso lato. Tutto un universo di incomprensione e odio che conduce all'unico risultato di fare dell'unico mondo che abbiamo un disastro di eccellente auto distruzione. Con il benestare di coloro che, in un anfratto della loro testa, pensano di essere immortali, evidentemente. La storia non insegna, perchè non si ascolta, non si legge: si vuole cambiarla per la propria opportunità, per un fine supremo volatile come il pensiero univoco.

Il singolo esiste come parte di una comunità globale. Abbastanza lineare da esprimere, quasi impossibile da capire. (D.)

(*): “So simple-minded, he can't drive his module” – “The Jean Genie”, David Bowie, 1973.

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