Transit

Il blog di Alessandra Corubolo e Daniele Mattioli (on-line, in varie forme, dal 2005.)

(144)

(CDR)

Si deve stare attenti a non offendere nessuno. In teoria. Il paragone con alcune razze canine è corretto: esistono “cani da riporto”, soprattutto in quella pratica ormai inutile e barbara che è la caccia si trovano animali di questo genere. Posso definirmi persona piuttosto cattivella anzichè no ed osservo. Osservo molto. Lo faccio perchè, in teoria, si deve tendere a non replicare i comportamenti che riteniamo sbagliati, tossici. Nel mondo del lavoro oserei dire che questa pratica sarebbe obbligatoria, ma chi non ha peccato etc. etc.

Vedo queste persone che riportano la carcassa della loro dignità al “padrone”. Solerti, affannate, preoccupate di stare dalla parte giusta, che è quella del servo acculturato (be', più o meno.) Pronte in ogni occasione a far sapere che chi comanda -sic- è nel giusto, che ha brillanti idee, che sa come fare. Come fare tutto: nessun aspetto lavorativo o dello scibile umano è a loro precluso. Quindi, se mi faccio vedere così vicino, moralmente e fisicamente, un premio è certo.

Che sia un caffettino, una promozione, un discorsetto personale poco cambia. La mia autostima cresce, cresce, cresce. Chi non si adegua a questo “pensiero” non ha capito come va il mondo. La ciotola piena, un regaletto qui ed un là e la vita sembra meno buia e grigia. Non ci si ricorda dello stipendio inadeguato, degli straordinari letteralmente regalati, dei colleghi infastiditi dalla propria inadeguatezza e mancanza di professionalità. Tutto splende nella corsa verso la pietosa, amichevole mano che ci getta un avanzo.

E la cosa più triste è che ci si illude di essere al pari di coloro che ci sfruttano, che di certo non pagano le nostre bollette o ci fanno la spesa. Come obbedienti cagnolini, con un guinzaglio lunghissimo, e che senz'altro si sentono superiori in tutto. E' molto triste, nel 2024, comprendere come l'evoluzione di alcune persone stia retrocedendo, invece di procedere. Ce ne sono ovunque, intorno a noi. Fateci caso e cercate sempre di fare il contrario.

Opinioni #Personal #Lavoro

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(143)

(ZC)

Alla fine della lettura dell'ottima grapich novel (si dice così?) “In fondo al pozzo” di #Zerocalcare sul numero 1545 di #Internazionale (qui), si parla di responsabilità. A me ha colpito, come dovrebbe, ma ha anche fatto seguire un po' di timore. In fondo c'è sempre stato, diciamo dal 2005, quando è nato questo #Blog. Parlando di #IlariaSalis e della sua vicenda (ma anche di altre, altrettanto e anche più gravi), l'autore romano crea un piccolo corto circuito doveroso.

A dire che la paura di assumersi una responsabilità diretta, in qualunque maniera noi agiamo (quindi sì, anche scrivendo un post), soprattutto sui #socialmedia, non è cosa di poco conto. Non so se ci riflettiamo abbastanza, prima di accendere il PC, di mandare una foto al mondo, di maledire politicanti e cialtroni vari. Io no, di certo. Non mi giustifica una impulsività di fondo ben radicata nel mio (pessimo) carattere. Eppure non serve avere un cervello da 242 di q.i. per comprendere che è questo, il punto essenziale.

Chi, come Ilaria Salis, ci mette la faccia e tutto il resto, può sbagliare, può andare oltre quello che le convenzioni chiamano “buon comportamento”. Intanto, per farla corta, queste persone rischiano molto e subiscono anche di più. Da una tastiera, ammettendo che la Polizia Postale si dedichi ai delinquenti veri, la probabilità di rimetterci i denti o la mandibola è milioni di volte inferiore. Zerocalcare lo spiega bene e non serve arrivare a tanto.

Fermarsi o riflettere? Le due cose non si elidono, seppur nell'era della velocità mediatica e della ricerca ossessiva della notorietà, anche se non si vuole rischiare di prenderle veramente. A me torna piuttosto arduo fare il secondo step, come detto. Quindi, sbaglio. E aggiungo, senza sentirmi retorico, che solo nella realtà si realizza la vera responsabilità, qualsiasi cosa riguardi. Praticamente le obiezioni stanno a zero (calcare.)

Tuttavia, ed è sempre l'esperienza personale di cui scrivevo ieri, sembra così semplice e giusto, tanto giusto. Adamantino. Ma i diamanti non fanno nascere nulla (lo cito apposta): è sporcandosi che si possono creare le cose, la giustizia, la lotta per chi non può difendersi, la ricerca di un mondo un po' meno schifoso. Il mezzo, a questo punto, conta pochissimo. Se ci pensiamo più di tre secondi dovremmo tacere e fare sì con la testa. Punto. Due punti e a capo.

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(142)

(Merito)

Partendo dalla nuova denominazione del “Ministero dell'istruzione”, passando attraverso cosette abbastanza scialbe come il “Liceo del Made In Italy” (in Inglese, ché l'italiano è secondario, a scuola), il #GovernoMeloni spinge come un ossesso sul “merito.” Ora, dato che l'esperienza personale sbandierata va di moda sulla rete, butto qui la mia. Spero sia condivisa o condivisibile.

Avendo a che fare per la natura del mio lavoro, ogni giorno, con molta gente (tra cui ingegneri, tecnici specializzati, fornitori di servizi etc. etc.), lo affermo con una certa sicurezza: in Italia il merito esiste solo come idea, peraltro molto astratta. Direte che non è un'affermazione nuova, nemmeno originale. Vero. Molto, molto vero.

Eppure a me risulta ancora come un boccone amaro da mandare giù. Dalla scuola (forse fin dalla famiglia), al lavoro, alla quotidianità più spicciola, vi sfido a trovare tale qualità in più di una persona all'anno. O al decennio? Tralasciamo il discorso politico, quanto mai difficoltoso sull'argomento.

Restiamo alla giornata lavorativa. Davvero non mi capita quasi mai e, quando accade, è per persone che sono relegate ad avere molto meno spazio di quello che meriterebbero. La norma è l'arroganza di un titolo di studio da mettere sulle mail, del servilismo per fare carriera, di una malsana idea del lavoro sempre inteso come di una utilità che può essere paragonata solo a quella di un tecnico della sicurezza nucleare. Poi, in realtà, molti sembrano pesci dentro ad un acquario piuttosto sporco.

E' così che siamo fatti, in questo paese. Probabilmente anche nel resto del mondo, ma meglio guardare alla propria, di aia. Un eterno vivere sopra le righe, con un'aria di sufficienza verso chiunque, ma proprio tutti. Il cipiglio di generazioni intere votate al “Non sai chi sono io” (il “tu” è obbligatorio, devi fare sentire gli altri inferiori), che è il vero insegnamento multimediale, trasversale, politicamente corretto e comprensibile in venti dialetti.

Un caravanserraglio di protervia ed egoismo (*) che fa marciare il carrozzone sbullonato dell'Italia “che fa”, contrapposta a quella che non muove un dito, ma che comunque serve per il voto. Quindi non si deve dire nulla. Bisogna annuire sorridenti e compiaciuti di fronte a chi ne sa sempre una più di te, su qualsiasi argomento. E, chiaramente, che conosce tutte le aziende, i lavori, i responsabili, i Conti, i visconti e qualche Re d'avanzo.

Sguazzare in tutto ciò va di lusso per un Governo come quello attuale, che percepisce netto il valore dell'ideologia (le altre sono tutte sbagliate) e della retorica. Trova terreno fertilissimo in milioni di itaglioni che non aspettavano che vedere sdoganate le proprie pessime “qualità.” Più che di merito bisognerebbe scrivere di superficialità trasmissibile, in tutte le maniere. Ma sia “Made in Italy”, che sennò ci sentiamo offesi.

(*): l'egoismo non è, per forza, insalubre. Serve per andare avanti, per proteggersi dalla mediocrità. Sia detto a fin di bene.

#Opinioni #Italia #IlBelpaese

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(141)

(IS)

Non è perchè Italiana. Non è perchè il suo “processo” è totalmente sbilanciato, visto il reato che ha commesso. Non è perchè ci sia “solo” Lei. Non è perchè l'Ungheria è Europa, una della 27 nazioni che la formano. Non è perchè adesso i #SocialMedia hanno trovato un'altra vicenda di cui imbottirsi e andare avanti per qualche giorno. Non è perchè i personaggi famosi si svegliano, in maniera selettiva.

Non è solo per questo che #IlariaSalis è, comunque, importante. E' importante come lo sono tutti gli esseri umani, soprattutto quelli che la società ritiene, in qualche maniera, sbagliati. Quelli contro cui è semplice schierarsi, sempre imbevuti della convinzione di essere dalla parte giusta. Quelli verso i quali si tende il dito dell'accusa o della difesa, magari pensando ad uno, ed un solo, aspetto del loro caso.

E' importante, quindi, comprendere che l'erosione dei #diritticivili e di quelli umani è in continuo avanzamento, in tutto il mondo, Ungheria compresa. Come si soleva dire “Se Sparta piange, Atene non ride.” Quelli più evidentemente divisivi fanno audience, oscurando, nel contempo, i milioni di avvenimenti simili sparsi, con continuità disarmante, su tutto il globo.

Ogni riferimento è voluto, adesso e nel passato. Si sta scivolando verso un “cupio dissolvi”, che fa dei corpi e delle storie unicamente un indistinto brusio da far tacere, in ogni maniera, meglio se disumana. Se può apparire come un pensiero oltre il pessimismo, allora si vuole assolutamente evadere (sic) dalla realtà tangibile. Ed è concreta proprio perchè inequivocabile.

Milioni di argomenti si possono collegare a quello che sta accadendo alla nostra concittadina. Sicuramente verranno sviscerati, uno ad uno, da chi fa questo per mestiere o per credere di essere qualcuno in rete (magari anche il sottoscritto.) Esattamente come sono milioni le persone che subiscono, senza poter opporsi, il loro voler giustizia, quella che dovrebbe apparire cristallina, pura, indiscutibile.

E' tutto aleatorio, tutto perennemente in bilico. Per prima cosa lo sono le azioni di umanità, a cui non si concede più nemmeno lo spazio di un secondo. Non serve pensare. Occorre reprimere, fare da esempio, in qualsiasi maniera. Se qualcuno protesta, ditegli di stare ordinato e silenzioso. Le catene abbondano. Ce n'è per tutti. (D.)

#Opinioni #Italia #DirittiCivili #DirittiUmani

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(140)

(DDLAD)

Anteprima: lezioncina. Il Senato italiano ha approvato, in prima lettura, il disegno di legge (ddl) sull’autonomia differenziata, noto come “Ddl Calderoli.” Il ddl è stato approvato con 110 voti favorevoli, 64 contrari e 30 astenuti. Ora passa all’esame della Camera.

Il ddl sull’autonomia differenziata mira a dare attuazione a quanto previsto dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione. Secondo questa disposizione, possono essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario, che ne facciano richiesta, forme e condizioni particolari di autonomia su 23 materie. Queste materie sono elencate nell’articolo 117 della Costituzione come materie di “legislazione concorrente più 3 di legislazione esclusiva dello Stato.” Le materie vanno dalla Salute all’Istruzione, passando per sport, istruzione, ambiente, energia, trasporti, cultura e commercio estero.

Il ddl definisce le procedure legislative e amministrative che servono per arrivare a un’intesa tra lo Stato e le Regioni, che chiedono di avere maggiori competenze su determinate materie.

(DDLAD2)

Questa mossa del Governo non poteva passare in silenzio, senza che almeno le opposizioni, in uno strano rigurgito unitario (tranne “Azione”, ma conta per quel che è), si oppongano. Quanto duramente è da vedere e da valutare: non appaiono dei leoni ruggenti, in questi mesi. Durante la votazione, dai banchi dell’opposizione sono stati esposti cartelli con il tricolore e alcuni senatori hanno intonato l’inno d’Italia. Quindi una farsetta italiota.

Nonostante le critiche, l’obiettivo del Governo è arrivare all’approvazione definitiva prima delle elezioni europee di Giugno. Anche un cieco appare limpido come una mattina d'inverno, il regalo che il Governo Meloni ha inteso mettere in un bel pacchetto per la Lega. Gli alleati vanno accontentati, non troppo spesso. Il tanto che basta per ricordargli di riportare l'osso la prossima volta che verrà lanciato. Senza sbavare, che si sta sulle spese.

Il ruolo del popolo, sempre ribadendo (la ripetizione è propria dei vecchi, ripeto -ndr-) che questa è una definizione vaga come discorso di Sgarbi, è messo in ghiaccio. Non se ne sente parlare, si leggono i social tramite addetti stampa ossequiosi, ma, in fondo, ci si può sbattere altamente della reale situazione Italiana. Che, anche questo scritto mille volte, è semplicemente disastrosa.

Forse la prossima riunione della Camera sull'argomento andrebbe fatta in un pronto soccorso (giorno feriale a piacere), o in una scuola non a norma. Oppure in un discount, dove le persone, felici perchè autonome su tante cose, devono contare anche i centesimi fuori posto per comprare il cibo (brutta storia quella che bisogna mangiare per sopravvivere, noiosa.)

Lo scollamento è totale, la politica scende gli ultimi gradini della propria ipocrisia per imboccare la scala della sopraffazione, come da copione di regime. E noi imbavagliati, legati alle difficoltà quotidiane, al disastro di un Paese che retrocede al rango più infimo della “civiltà” industriale, continuiamo a sperare nel “Superenalotto” per emigrare. Non capiremo la nuova lingua, ma saremo un attimo più sereni.

#Italia #Politica #AutonomiaDifferenziata #Opinioni

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(139)

Tony Longheu – “BluesBeyond Again” (2023)

(TLBBA)

“Farà piacere un bel mazzo di rose E anche il rumore che fa il cellophane Ma due righe fan gola di più.” Per gli amici non si fanno recensioni, perchè scrivere dei loro dischi è un piacere, mai un obbligo o un lavoro. Con Tony Longheu, compadre di lungo corso, ci siamo fatti una breve chiacchierata sul suo disco “BluesBeyond Again” (lo trovate qui) e lui stesso ci presenta le sue composizioni, una ad una. Quindi un “Camarillo Brillo Session” un po' più lunga del solito, ma è voluta e meritata. Buona lettura. (D.)

Continua la tua esplorazione del Blues e della musica al là di questo genere. Come nasce la decisione di pubblicare “Again”, il secondo capitolo di “BluesBeyond”? “In realtà era da tempo che avevo voglia di dare un “fratello” a “BluesBeyond” del 2019, ma mi ero “intrippato” in cose più acustiche e, quindi, mi sono concentrato su nuove composizioni in acustico (anche con effettistica), che sono poi sfociate in “Points of View”, un album che non era propriamente blues, ma che era ispirato da questa musica. Alcuni amici, ultimamente, mi avevano chiesto un altro disco di esplorazioni blues e da questo input è uscito “BluesBeyond Again.”

Sei sempre stato un musicista aperto alla sperimentazione sonora, alla contaminazione tra stili musicali diversi (ricordiamo la tua trilogia elettronica “Lo-Fi Project). Quanto conta per un artista non rimanere confinato in un solo genere, per la tua esperienza? “Bella domanda. Personalmente ho cercato, e cerco ancora, di essere onnivoro, sia negli ascolti, sia nel comporre e suonare. Anni di ascolto mi sono serviti per affinare questa caratteristica. Sono sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, pur restando, comunque, con un piede nella “tradizione” (chiamiamola così). Del resto ho cominciato ad ascoltare seriamente musica nella metà degli Anni’70, quindi ho avuto una buona scuola.”

Sappiamo che suonare dal vivo, che è la dimensione certamente a te più consona, non è affatto semplice, per chi non fa il musicista professionista. Come vedi la situazione attuale in Friuli? (La domanda è una di quelle fatte mille volte, lo so…). “Come ho già detto in altre interviste, la gente che incontro durante le mie esibizioni, a parte qualche rarissimo caso, frequenta locali dove la musica è considerata puro intrattenimento. Per questo il musicista è, spesso, quasi costretto a suonare cover di artisti conosciuti. Ccerco sempre di mescolare le cose, proponendo mie composizioni e rivisitazioni di classici del blues e del rock, altrimenti la gente ti fa capire che si annoia. In Friuli i posti per suonare sono poco idonei, la musica fa da contorno e deve essere suonata a basso volume, altrimenti disturba. Ho suonato poche volte in sale adatte, dove le persone ti ascoltano con attenzione. Spero che cambi qualcosa, ma non mi illudo. Conosco tanti bravi musicisti che hanno smesso di suonare proprio per questo motivo e mi dispiaccio molto di questo.”

Il mondo è diventato digitale, praticamente in ogni suo aspetto. Recentemente Brian Eno ha affermato che ritiene questo periodo storico molto interessante, perché chiunque può creare della musica, anche bellissima, e farla arrivare a tutti. Non c’è il rischio che vi sia un’offerta musicale sterminata per una domanda, in realtà, molto bassa? “Brian Eno dice cose giuste. Però non ha il problema di veicolare la propria musica, ha molte “ore di volo” sulle spalle: è famoso e ha cominciato a produrre musica in anni nei quali la musica era considerata Arte. Noi, purtroppo, abbiamo il problema che non c’è vicino all’artista chi ha voglia di rischiare. I produttori e i manager guardano solo al profitto e promuovono solo “quello che va”: ormai molta gente ascolta solo musica “liquida”, non compra più CD o LP, non si appassiona. Per tornare alla domanda, sì, esiste il rischio che non si accorgano di te, se non sai muoverti in rete. Se non sai promuovere il tuo prodotto rischi l’anonimato. C’è molta buona musica in giro, ma pochi riescono ad emergere.”

La critica musicale tende, come è sempre stato, a essere molto schierata, alla ricerca di un attimo di visibilità per chi la fa e per gli artisti che, secondo i giornalisti, creano un ritorno (anche economico.) Credi che sia importante avere buone recensioni, e se sì, come ti poni di fronte a una stampa come quella musicale, sempre più di nicchia? “Mah, dipende molto se chi scrive di musica non ha catene o guinzagli. Certo, se uno scrive bene di me fa piacere. Se scrive male mi deve, però, spiegarne il motivo, dirmi cosa c’ è che non va. Insomma, spero sempre che chi ascolta le mie cose sia obiettivo, che lo faccia con attenzione. Confido molto nell’opinione dell’ascoltatore “medio”, meglio se non è un musicista. Dal mio punto di vista è più obiettivo, meno “tecnico”, la musica gli “ arriva” senza pregiudizi. Credo di essermi spiegato.”

Come può fare, dal tuo punto di vista, una persona che vuole sostenere un musicista, oltre ovviamente all’acquisto dei cd (o dei file in streaming) o della partecipazione ai concerti? “Penso che il “passaparola” sia molto importante. Mezzi per farlo ce ne sono e molti, anche se io sono abituato da tempo, ormai a non aspettarmi nulla, mi “sbatto” finchè posso. Anche se, a volte, mi mancano le energie.”

Se ce n’è una, in che direzione andrà la musica di Tony Longheu dopo “BluesBeyond Again”? “Vorrei esplorare ancora nuovi territori sonori, nuovi generi. Sono sempre interessato alla musica in toto, sia acustica che elettronica. Sto preparando due nuovi lavori, uno più acustico e cantautorale, l’altro più elettronico e strumentale. L’importante è avere tempo, passione e cuore!”

(TL)

“BluesBeyond Again”: tutti i brani presentati da Tony Longheu.

Metal House Blues. Un neanche troppo velato omaggio a Ry Cooder, un musicista totale, un viaggiatore dei suoni che è da anni una mia fonte di ispirazione. Chitarra accordata di SOL aperto e slide al mignolo per una cavalcata Blues.   Blues Masters Tribute. Tributo sincero ad alcuni dei maestri del blues che mi hanno ispirato. Una citazione di “Black Betty”, canzone di “Leadbelly”, ripresa tra gli altri, dai “Ram Jam” alla fine degli anni ’70. Chitarra accordata di SOL aperto, sempre slide al mignolo, voce “alcolica” e batteria dritta.

Five Friends in Metal House. “Five Friends in the Metal House listen to the music and drinking all night long!” La “Metal House” è un luogo, non meglio identificato, dove cinque amici, durante il lockdown, si ritrovano per ascoltare musica e bere. Un brano in stile “North Mississippi Blues”, con slide guitar accordata in “Standard Tuning.”

Four Shorts Blues (LO-FI Cellar Sessions). Quattro piccole composizioni improvvisate, una con “fields recordings”, rispettivamente con banjo, “Cigar Box Guitar”, “Diddley Bow” (chitarra con una sola corda) e voce con banjo.

DAD DAD Blues. Brano completamente improvvisato, eseguito con chitarre acustiche accordate in “DADDAD” e slide.

An Wednesday After Lunch. Una riflessione postprandiale, eseguita un mercoledì qualunque, dopo un piatto di pasta e un paio di bicchieri di vino. Chitarra resofonica accordata in sol aperto

Johnny Caliber drive a Van. Giovanni, un amico appassionato di blues, guida il suo furgone facendo consegne in tutto il Friuli. Appena sentito il brano mi ha detto che si è “visto” mentre viaggiava sul suo mezzo di trasporto e mi ha suggerito il titolo. Chitarra acustica in accordata in CGCCGD.

Peace on Me. Un pezzo scritto in mezzo alle montagne di Prossenicco di Taipana, dopo un breve temporale estivo, in riva al Fiume Natisone. Descrive il senso di pace che si può sentire quando si è in questi luoghi. Voce e Chitarra acustica (accordatura di do aperto.)

Shabda Joy (Raga Blues). La sperimentazione è sempre stata una mia passione. In questo caso ho creato un tappeto di tabla e chitarra (accordata in CGCCGC), creando una melodia orientaleggiante con slide guitar accordata in sol aperto. La tecnica slide era conosciuta, oltre che nelle Isole Hawaii e nel Mississippi, anche in India, dove tutt’ora vi sono maestri di chitarra che suonano con questa tecnica.

Now I'm Free Baby (by A.Longheu & F.Ulliana). Questa composizione, del chitarrista Fabio Ulliana, è già apparsa nel CD “ Blues Explosion”, a nome della “Fabio Ulliana & Off Limits Band”. Io avevo scritto e cantato il testo, che racconta di un sogno dove una strega lancia un incantesimo, ma poi, grazie ad un amuleto magico, il”Mojo”, la vittima viene liberata. Ho voluto proporre una versione molto più sperimentale, dove oltre a cantare, ho programmato un loop di batteria elettronica e suonato una slide guitar accordata in DADDAD.

Deep From My Soul (Space Blues). Un brano dove ho improvvisato dei loops di chitarra “Fender Stratocaster”, con effetti digitali e una melodia che è venuta dal profondo della mia anima. Buon ascolto. TL

Un particolare ringraziamento a Silvano Bottaro per la pazienza e per saperne tanto più di me.

#Musica #CamarilloBrilloSessions #Music

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“E' inutile parlare d'amore” – Paolo Benvegnù

(138)

(CBS 4)

All’alba, qualunque ora sia, restano i brandelli dei sogni. Non riesci a ricollocarli, si sovrappongono, sfumano, cambiano. Poche ore di sonno che ritrovi senza una ragione: perdere questi frammenti è una cosa che avviene senza pensiero, sovrastata dall’imperfezione della quotidianità. Dal nostro correre affannati come tanti piccoli cani senza guinzaglio.

Le canzoni di “E’ inutile parlare d’amore” (titolo che, da solo, vale moltissimo) sono questi frammenti. Vividi, splendenti, ma che sfuggono in un momento. Però lasciamo tanta luce, come quelle città immense e rumorose che accecano in un momento di lucidità, me che sono più belle di notte. Perfino in quelle si possono trovare i sentimenti, le parole, i suoni che ci aiutano.

Paolo Benvegnù costruisce un’opera folgorante nella sua musicalità raffinata e nel contempo comprensibile, emozionante. Eppure nelle pieghe di queste canzoni, arrangiate con una maestria quasi rara, si trova l’onirica visione di un artista che non scorda mai come, nello stesso istante, vi sia una realtà, diversa per ognuno di noi, ma tangibile, reale, anche sofferta.

“Our Love Song”, per dire, è diretta e costruita su una ritmica decisamente rock, senza troppi fronzoli: appare come un disincanto amoroso, eppure codificato in maniera che sia comprensibile (come è) per tutti. Farebbero ridere quelli che dicono il contrario, ma ci devono essere per ribadire come la loro sia una posizione assurda e senza costrutto.

E dopo “Canzoni brutte”, per tutti i mediocri del mondo. Che, poi, mediocri rispetto a chi o cosa? Essere uno che si batte soprattutto contro l’ipocrisia del mondo e della musica, in questo caso, eleva già di per sé. E Benvegnù crea una canzone che appare banale a chi vive nel mondo veloce del sentire, non dell’ascolto. Un piccolo inno che va molto otre alle generazioni.

(PB)

Che, poi, lo stesso cantante ce le spiega per bene, queste narrazioni (qui, una canzone alla volta). Per cui potrei smetterla di fare il fenomeno, che se lo fossi mi pagherebbero anche bene. Che sarebbe già ora di chiudere in semplicità, bonariamente.

Se ascoltate questo disco, il che implica che non facciate altro nel frattempo, non potrete che esserne affascinati. Anche solo gli archi di “Tecnica e simbolica” e “L’oceano” sono gioiellini di armonia. Come se non ci si dovesse quasi più pensare a costruire, pezzo a pezzo, bella musica. Qui si sente il lavoro di un artigiano, ma non di una bottega: di un negozio di lusso.

Ci sono tante cose che “E’ inutile parlare d’amore” vi può dire. Scegliete quelle che vi stanno meglio, quelle che vi fanno sognare per tre minuti, che vi rattristano ma in senso buono, quelle che vi liberano da un po’ di angoscia o vi fanno sorridere. Quelle che vi pare, come se poteste scegliere un sogno e ricordarvelo. Bello, no?

#Musica #CamarilloBrilloSessions #Music

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(137)

(Oxfam)

Per quasi 800 milioni di lavoratori occupati in 52 Paesi i salari non hanno tenuto il passo dell’inflazione. Il relativo monte salari ha visto un calo in termini reali di 1.500 miliardi di dollari nel biennio 2021-2022, una perdita equivalente a quasi uno stipendio mensile (25 giorni) per ciascun lavoratore. Questo è l'antipasto.

Se la ricchezza dei 5 miliardari più ricchi continuasse a crescere allo stesso ritmo osservato nel corso degli ultimi cinque anni, entro un decennio avremmo il primo “trilionario” della storia dell’umanità. Ai ritmi attuali, ci vorrebbero, invece, più di due secoli (230 anni) per portare l’incidenza della povertà globale sotto l’1%. Questo è il primo.

Tra luglio 2022 e giugno 2023, per ogni 100 dollari di profitto generati da 96 tra le imprese più grandi al mondo, 82 dollari sono fluiti agli azionisti sotto forma di dividendi o “buyback” azionari. Questo è il secondo.

Per una donna che lavora nella sanità o nel sociale ci vogliono 1.200 anni per guadagnare quanto in un anno percepisce, in media, l’AD di una delle 100 imprese più grandi della lista di “Fortune.” E finiamo con il dolce.

Nelle settantasette pagine del rapporto di “Oxfam” (qui lo potete scaricare) ci sono cose anche peggiori. Come una litania ancestrale e quasi dimenticata -ormai-, ci si tramandano dati del genere con una rassegnazione pari solo al nulla che si fa in proposito. Non c'è una Nazione che tenti di invertire la rotta, se non a parole. I numeri sono, per ammissione di chi gli ha inventati (noi, come genere), non opinabili.

Naturalmente (questi post sono l'ovvio per antonomasia) si manipolano a piacere. Si possono alzare, abbassare, sommare, dividere, fare in modo che narrino ciò che conviene e che, magari, siano una bella fonte di guadagno. Come in un lunedì mattina qualsiasi, però, da qualche parte bisogna iniziare. Se cominciamo così questo 2024, siamo già belli che sistemati.

Un numero che dovremmo aggiungere è 8.019.876.189, ovvero gli abitanti di questo solitario e disgraziato pianeta allo scoccare del I° Gennaio. Rapportato alla seconda portata di questo pessimo pasto, si “...nota un dislivello”, per dirla come il buon principe De Curtis. Evidentemente non è abbastanza accentuato, dato che non sembra accorgersene nessuno.

Per quanto sia tutto connesso e molto, troppo semplice da condividere, c'è senz'altro qualche difficoltà di comprensione globale. Chissà com'è ma della lotta sociale restano brandelli al vento qui e là, che delle dovute incazzature si perdono le tracce perché sommerse dall'immondizia degli influencer, di quelli che per vivere ti danno i consigli su dove passare le vacanze (sono gratis? Non sapevo.)

Accettare l'ipotesi che non è più questione di tempo, che non ce n'è più, ma dell' iniziare a spaccare tutto, senza che questi resti solo un'immagine indefinita e non realista, non si deve dire. Stare zitti è una condizione imprescindibile per fare bene il lavoro del cane da riporto dei padroni, che nel mentre guadagnano su tutto, morte per fame compresa.

Ed allora si guaisca a comando e, mi raccomando, sorridere. Così sembrerà il “Titanic”, che l'orchestra suonava come se non ci fosse un domani. In effetti non c'è. Punto e a capo. (D.)

#Blog #Economia #Lavoro #Diseguaglianze

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(136)

CBS 3)

Di certo non siamo mai contenti. Prendiamo i “Subsonica”. Se sono troppo riconoscibili, non va bene. Se lo sono troppo poco, non va bene. Eppure sono uno dei gruppi musicali italiani che, in assoluto, ha una sua identità precisa, sia musicale che di immagine. Il suono dei “Subsonica” è attribuibile esclusivamente alla band di Torino. E’ una cosa assodata e non è facile da raggiungere.

Alla decima prova, “Realtà aumentata”, ci sono dei giri di boa fatti e tanto mare ancora da prendere. Il disco precedente (escludiamo “Mentale strumetale”, che in tutto fa storia a sé), “8”, appariva davvero forzato: lo dice la band stessa e ci si può credere. Tra scazzi e carriere soliste (con risultati non eccelsi, peraltro) si sono ritrovati. La storia della musica pop-ular è un refrain ininterrotto, su certe cose.

Adesso che ho shakerato le ovvietà ci sono le nuove canzoni (* ci sarà una nota a piè di pagina sull’uso dei “singoli” in epoca contemporanea) di cui scrivere. Ed alcune sono davvero ottime. Partiamo dalla migliore che è “Universo”: un brano arrangiato benissimo, con una ritmica azzeccata ed un testo tanto onirico quanto permeato di presente. Prendetelo ad esempio di quello che un grande gruppo può fare quando tutti gli elementi trovano la quadra.

(Subsonica)

Poi il peggiore, che senza meno è “Scoppia la bolla.” In onestà è proprio bruttino forte. Molto banale il testo (ed anche un po’ retorico, dai), la musica è poca cosa, affrettata, noiosetta. Ci sono Willie Peyote e Ensi, ma nessuno dei due è Frankie hi-nrg mc. Quindi volare basso, assai. Dispiace scriverlo, ma proprio non ci siamo. E’ un brano – atteggiamento e niente sostanza.

Tra questi due estremi, che sono normali in ogni disco, ci sono cose davvero buone. “Adagio”, il terzo “singolo”, è proprio cinematografica nel senso migliore del termine. Cresce, va al punto, convince. “Cani umani” pesta alla grande, con un mood profondo e inquietante. “Mattino di luce” è pura Subsonica sintesi, con un parte che ricorda tante altre loro cose e un bel refrain. Il tema è esaltante e difficile, ma il testo riesce a dare la profondità che merita.

“Pugno di sabbia è un singolo adatto al 2024: i cambiamenti climatici, la rabbia -che nella storia non è mai mancata-, lo smarrimento, le grida dal basso. Si crea un bell’amalgama con trame ritmiche ben assortite, mescolate e dense. Bene, bene. “Missili e droni” ha un andamento così lento e teso che non può che colpire. Poche note, un testo convincente, decisamente un’atmosfera interessante e cupa che gli dona spessore.

Nel resto dell’album ci si muove attraverso la scrittura musicale dei Subsonica con particolare piacere, proprio per aver ritrovato un gruppo così coeso, così compatto e senz’altro estremamente coerente con il suo percorso. Sento, anche, una certa fiducia nel futuro del progetto, che, nella musica, non si può sempre dare per scontato. Come se volessero emergere solide certezze, a rassicurare tutti loro e chi li segue.

Non si può non menzionare il lavoro di Marta Salogni (ormai stella indiscussa del mixer al livello mondiale): il disco suona benissimo, molto ben equilibrato, con una profondità che non va a discapito di una chiarezza rara. Un buon mix non va dato per scontato, anche se si tratta di gruppi di alto livello. Ulteriore nota a favore di questa prova, senz’altro tra i dischi migliori della band, nel computo finale dato dai molti ascolti. Ben ritrovati

[*]: i “singoli”, ormai, sono tre o quattro per ogni opera musicale. Potrebbe essere una strategia che va seguita perché si rivela vincente, o perché si crea più attesa. La cosa certa è che, all’uscita di un disco, la musica veramente da svelare difficilmente supera la mezz’ora. Non è questione di quantità; ci sono dischi orrendi per cui anche dieci minuti sono buttati. Francamente, però, resta poco per far vibrare di attesa. Discorsi da vecchi? Sarà, ma anche questo fa parte delle tante cose che un vero appassionato può dire.

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(Yemen)

Il mondo non è alla rovescia. Stanotte, nello Yemen, si è ribadito. Quella che sta mancando, da sempre, è la prospettiva di umanità, lo sguardo oltre a tutte le cose che non siano quelle che ci distinguono (ma sempre meno) da altre forme di vita. Ogni guerra, nel mondo, è il cedimento agli istinti, alla paura, alla sopraffazione, al cammino verso la fine globale.

Non spaventi un tono quasi “ecumenico”, ma ciò che accade in Palestina non può nemmeno stupire: indignare no di sicuro, perchè gli interessi geo-politici ed economici sono da sempre superiori a qualsiasi tipo di altra considerazione. Si uccide per vivere meglio, si uccide in nome di Dei che sono favole inventate per non avere paura.

Ma si uccide, sempre di più, sempre più indifferenti e apparentemente stupidi. Si uccide perchè è semplice, di massa, si possono eliminare quelli che non sono come noi e fare i soldi ricostruendo ciò che si è distrutto appositamente. E non c'è di certo quella “giustizia divina” che è un'altra invenzione ridicola, un altro schermo dietro cui nascondersi.

Anche quella umana, di giustizia, non dà molto affidamento. E' monca, paralizzata spesso da cose più grandi di lei, generalmente tutte quelle scritte qui sopra. Si dirà che siamo fallibili e che non c'è mai un “giusto” assoluto od un male altrettanto totale ed è così. Ma appare ovvio e sanguinante che il male è più diffuso, più bramato, più consolante.

La storia finirà (lo scrissi già, ripeterlo non gioverà, temo) e tutto tornerà nell'alveo dell'inutilità: c'è una fine, che non ha data, per tutti e tutto. Nel mentre il mondo gira, ma non cambia senso. Attende, passivo, che questa forma di vita che siamo noi lo finisca, ma lentamente, facendo più danni possibili. Deve essere, in qualche maniera, divertente. Non c'è un'altra spiegazione che regga così bene. (D.)

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