Transit

Il blog di Alessandra Corubolo e Daniele Mattioli (on-line, in varie forme, dal 2005.)

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(Vela)

Gli anni ‘80 hanno fatto anche cose buone. Se riusciamo ad eliminare dai pensieri i paninari, la “Milano da bere”, i capelli dei “Kajagogoo” e i soliti politici, ce la possiamo fare. Musicalmente sono stati anni molto buoni, anzi ottimi. Certamente non si deve cadere nella panacea delle classifiche. Non del tutto, almeno. Ma sì, dischi straordinari ne sono usciti.

Facile scrivere di quelli. Meno dei tanti prodotti, seppur molto dignitosi, che si sono persi tra la velocità del consumo (della musica) e i fenomeni mainstream che si sono accaparrati tutte le hits. E per essere anche più pignoli, molti album strizzavano brutalmente un occhio -o due- al pop semplice semplice, ma riuscivano lo stesso ad avere una cura dei dettagli e delle idee, dentro, affatto banali.

Prendete l’unica prova come cantante di Rosie Vela. Modella e attrice, forse qualcuno la ricorda per la sua relazione con Jeff Lynne, il barbuto leader della “ELO” e uno dei membri dei “Travelling Wilburys”, supergruppo, come piace dire. Insomma, non una musicista a tuttotondo: come moltissimi, troppi, si dilettava comunque a comporre ed a cantare.

Se hai la fortuna di conoscere Kary Katz hai già giocato il jolly. Sapete molto bene che era il produttore e uno degli innumerevoli tecnici del suono degli “Steely Dan”, mai troppo celebrata band seminale del pop migliore degli ultimi quarant’anni. Sta cazzeggiando in studio, quando questa signora gli viene presentata, carica di canzoni e soldi: due assi e pochi rischi.

Che, poi, la voce della Vela non è male, anzi. Profonda e duttile, mai invadente, eppure colorata. Le canzoni del suo cassetto sono malinconiche, ma anche ritmate, complesse ed orecchiabili. Si può volere altro? Be’, sì. Quando si materializza Walter Brecker, che passa da lì così a caso, sono sei anni che gli Steely Dan non pubblicano nulla. L’ultimo loro disco è un capolavoro totale: “Gaucho.” Forse è difficile fare meglio.

Il produttore gli fa ascoltare quei nastri e il chitarrista degli Steely Dan resta folgorato. È entusiasta di ritrovare tra le flessuose melodie di Rosie l’intima essenza dell’esperienza musicale a cui ha dedicato dieci anni di vita, pieni di successi e di soddisfazioni. Suggerisce solo a Katz di dare ai suoni della tastiera un po' di consistenza in più, proponendogli di coinvolgere proprio il suo vecchio amico Donald Fagen.

Quest’ultimo, pur essendo un notorio scorbutico, non è privo di cuore: l’idea di poter tornare a lavorare per il suo fidato produttore, al fianco, per di più, del suo storico partner musicale, lo alletta forse anche più della stessa top model di Galveston, che occhieggia dietro quelle soffici partiture jazz-pop. C’è anche già il titolo del disco: “Zazu”.

(Vela 2)

In realtà un nome femminile di origine ebraica. Sta per “movimento”, Zazu” resterà solo un disco: il disco di Rosie Vela. Che nel 1986 si ritrova catapultata ai “Sound Ideas Studio” di New York con il seguente team: Gary Katz alla console, Donald Fagen alle tastiere, Walter Becker e Rick Derringer alle chitarre, Jim Keltner alla batteria e Tony Levin, chiamato a suonare basso e “Chapman Stick” su due brani (“Tonto” e “Zazu”).

Il team stellare intesse i tappeti sonori perfetti (del resto, perfezione e “Steely Dan” sono praticamente sinonimi). E sorprende davvero è la grinta con cui la Vela padroneggia queste partiture morbide, ma ritmate allo stesso tempo, a partire dall’ipnotica doppietta iniziale “Fool’s Paradise”-“Magic Smile”.

È stupefacente l’abilità con cui Vela si cala nelle atmosfere tipicamente “...stile Fagen” di brani che avrebbero figurato più che degnamente su “The Nightfly.” La struggente “Interlude”, una “Maxine” di ritorno, solcata da un assolo di chitarra dsa rocordare, prima che la Vela riprenda in mano il microfono sospinta da quel vortice sinuoso di tastiere che è il marchio dell’intero lavoro.

Sono brani ben congegnati, asciutti e raffinati al contempo, in bilico tra il “synth-pop” dominante e una vena jazz che affiora costantemente dai dettagli (i cori, i ricami chitarristici, l’andatura pacata dettata dal drumming.) Quelle di “Zazu” sono principalmente canzoni d'amore – secondo le parole di Vela, “sugli amanti sfuggenti che non si trovano mai” – anche se costruite con un approccio criptico ed enigmatico che, dev’essere piaciuto non poco al duo Fagen-Becker,

Nonostante le recensioni positive e l’exploit del singolo “Magic Smile” (n.29 della classifica Billboard Adult Contemporary), “Zazu” si è rivelato un mezzo fallimento commerciale negli Stati Uniti, ottenendo migliori riscontri in Europa, in particolare nel Regno Unito, dove ha raggiunto il n.20 della classifica degli album conquistando un disco d'argento (“Magic Smile” è stata anche una hit nella Uk Top 30.)

Così, gradualmente, è scivolato nell’oblio: fuori stampa in America e in Europa dall'inizio degli anni 90 (ma io ce l’ho, ovviamente), il disco è stato ristampato In Inghilterra da “Cherry Red” nel 2011, per il venticinquennale della sua pubblicazione, con un suono un più potente e un  “booklet” contenente alcuni retroscena sulla sua gestazione e alcune foto inedite. Un’occasione per riscoprire tutto il fascino di questi brani senza tempo e della loro interprete, nel frattempo uscita completamente dai mondo della musica.

Ci resta così solo quell’unico, fulminante debutto: un lampo, un’ epifania, ed una resurrezione, quella di due irriducibili musicisti contronatura com Fagen e Becker. D’accordo, in seguito sarebbero tornati a riunirsi sotto le insegne degli Steely Dan: nel 2000 per registrare proprio “Two Against Nature”, a vent’anni dal predecessore, e tre anni dopo per “Everything Must Go”.

Una saga proseguita poi anche dal vivo, anche dopo la scomparsa di Becker, avvenuta nel 2017. Ma, al di fuori dell’attività per i Dan, solo in due altre occasioni i due compari si sono ritrovati negli stessi studi di registrazione in 44 anni: nel 1969 per l’album di Terry Boylan “Alias Boona” e nel 1973 per il brano “I'll Be Leaving Her Tomorrow” di Thomas Jefferson Kaye. “Zazu” resterà dunque, per tanti versi una cosa unica, di rara bellezza.

#Musica #Music #RosieVela #CamarilloBrilloSessions

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(Pozzolo)

Ci hanno fatto credere che, in molte maniere, chi fa politica, chi detiene un potere (economico, sociale, fittizio come quello religioso), sia superiore agli altri. Prassi e pochissima voglia di mettere in discussione un assunto che è divenuto regola, chi si ribella è perduto: più che altro muore di solitudine o arriva al punto in cui percepisce che si sta sfiancando inutilmente.

Mettiamoci anche dell'insano masochismo, che porta moltissime persone a diventare zerbini 4.0, ovvero consenzienti e felici, e capiamo che è game, set e partita. Un immenso prato di sopraffazione dove pascolano indisturbati i fautori del “...Lei non sa chi sono io”, brucando l'erba del consenso in cambio dell'impunità e abbeverandosi alla fonte dell'ignoranza imperante.

Perciò risulta abbastanza ovvio l'atteggiamento di Campana nei confronti del Pozzolo, che per ridere si porta dietro una pistoletta da noir dell'800 (qui). Il che non significa che non possa ammazzare, sia detto. Basta mirare bene, avere qualche scusa pronta e fare le famose telefonate. Il che è risaputo e la vittima ne è consapevole.

Consapevolezza non scusabile. Rinviare una denuncia di qualche ora non è peccato. Lo è affermare certe cose, magari indotte da avvocati che vorrebbero recitare in qualche crime made in USA. Una così palese, scontata e avvilente affermazione di sudditanza dovrebbe risultare indigesta al popolo, termine con il quale ci si riempie la bocca per sputare sentenze spesso inique.

Quella stessa massa asservita che fa “sì, sì” con la testa a fronte di qualsiasi angheria, meglio se svolta contro le stesse leggi che dovrebbe ben conoscere (non chiediamolo agli “onorevoli”, fanno fatica a leggere). Mendicando favori e una cultura sociale/politica degna di “Rete 4”, si scatta sugli attenti e si battono i tacchi.

Il sig. Campana non è originale ed è pure prevedibile. Sarà uno dei milioni che non conosce un super potere che è stato inviato in dono (gratis, vuol dire) a tutti gli operai del mondo: la dignità. I più fortunati hanno anche quello della consapevolezza, che li rende invulnerabili: sono esattamente eguali a tutti gli altri e più uguali ai “potenti” dei potenti stessi.

Tu guarda. Incredibile. Se ci ragioni su un un attimo e cerchi questa forza, anche nelle tasche più nascoste, la trovi. Sempre. E non vanno nemmeno trovate scuse sugli antidoti che ti possono sparare contro: non esistono. E' roba fortissima, invincibile, che porta un esempio. Lo si può perfino seguire, ogni giorno ovunque.

Le scuse stanno a zero, anche se vogliono far credere il contrario. Milioni di operai, casalinghe, pensionati, ragazzi che non devono sentirsi inferiori a nessuno. Per costituzione, scritta e morale. Chi sbaglia paga, qualsiasi sia il suo nome, grado e parentela. Fateglielo capire ogni santo giorno. Non passeranno. (D.)

#Italia #Politica #Pozzolo #GovernoMeloni #Opinioni

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(132)

(Threads)

Di vero c'è che avrei dovuto “applicarmi.” Se provi un nuovo #SocialMedia la regoletta è che devi metterti a seguire chi già leggevi (o vedevi) sugli altri: in questo caso, ovviamente, #Instagram. Poi devi scrivere, interagire, starci, smanettare, fare e fare. Questi passi sono perlopiù sostenuti dalla curiosità, più che dalla novità. Le piattaforme social ormai non le contiamo più. E' semplicemente una questione di grandezza, di influenza (insopportabile) e di moda.

Non essendo il mio lavoro, come per miliardi di altri utenti, gli “scopi” per starci sono relativamente importanti. Direi che perfino chi ci guadagna dovrebbe porsi delle domande su tutto questo, ma i post filosofici li ho già fatti. Quindi, arriviamo al nocciolo. #Threads mi ha già annoiato e perfino infastidito. Come accennato, non avendo obblighi di alcun tipo, ci ho provato. Chiarisco che non è un problema di numeri, di followers. L'asilo l'ho terminato.

Mi arrogo un minimo di esperienza in rete e la cosa che dovrebbe sempre restare in primo piano è l'uso che le Big della rete fanno di questi mezzi. #Meta è ovunque e se ci mettiamo a pensare, pure per poco, comprendiamo che ci siamo già giocati tutto, a livello di informazioni. Per ciò, non è nemmeno questo il gradino più alto. Nel caso di #Threads è altro, quell'altro che sta facendo di “X” (da molto) un luogo non “tossico”, ma molto più pericoloso. E intendo un pericolo per chiunque cerchi un approccio minimale, se non tranquillo.

Su questa nuova piattaforma si intuisce subito come sia divenuta immediatamente terreno fertile per le cose peggiori: bullismo verbale, banalità, idea dei social come esposizione totale (anche del corpo), stupidità sbandierata come passatempo. Anche il famigerato #follow4follow che chiunque ha sperimentato (tipo su “Facebook”), porta a risultati deleteri. E' semplice cassare queste affermazioni enunciando la -relativa- gioventù di #Threads e di pari passo la il suo doversi assestare, ma è ancora accettabile dedicare tempo a cose come questa, intese in tale maniera?

La mia risposta personale è chiara. Facendo due conti sto usando quattro social (compreso il Blog, che non lo è in senso stretto e per fortuna). Molto più di quello che dovrebbe fare chiunque. Perciò, dopo qualche giorno essenzialmente di noia e incazzature non dovute, chiuderò il profilo. Lascio volentieri il campo a coloro che hanno intenzione di attendere che #Threads diventi adulto, ben consapevole che la mia è solo un'opinione che si può discutere.

Per concludere, e sarebbe il caso, ritengo che #Mastodon resti la vera alternativa. Certo, se non vi interessa avere miliardi di possibili “amici”. Mi pare sia questo che si desidera. Ma anche nella vita di tutti i giorni suggerirei di selezionare coloro cui dedicare energie, pensieri ed affetto e mollare il resto. Ricordate che il tempo va sempre e solo avanti. Non si può ricaricare come uno smartphone o un portatile. Ed è anche più semplice da ricordare, questa cosa. Impegniamoci. (D.)

#Blog Opinions #SocialMedia

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(Maestro)

Bradley Cooper presenta Carey Mulligan in “Maestro”, il film biografico sul leggendario compositore e direttore d'orchestra americano Leonard Bernstein da lui diretto, co-scritto e interpretato, in una scena che sembra presa da Hitchcock. Il personaggio della Mulligan scende da un autobus in una strada di periferia, una silhouette aggraziata in un'inquadratura ampia finché il suo viso non emerge in primo piano, catturato da una lente morbida. È un momento intriso di bellezza e amore. La Mulligan interpreta Felicia Montealegre, la moglie di Bernstein per 27 anni e, per molti versi, “Maestro” è una lettera d'amore per lei, Il “Maestro” è, ovviamente, Bernstein, con i suoi straordinari successi come primo americano a dirigere la “New York Philharmonic”, la “London Symphony” e la “Berlin Philharmonic”, ma il titolo avrebbe potuto facilmente riferirsi a Felicia.

Era la padrona del suo cuore e della sua anima nella loro complessa relazione, segnata dalle sue continue relazioni con gli uomini. I due si incontrano quando Bernstein ha vent'anni e aveva appena debuttato alla “Carnegie Hall” : è un trionfo e la sua stella sorge rapidamente. Lenny, come viene soprannominato, e Felicia si incontrano a una festa e sono attratti l'uno dall'altro come le falene dalla fiamma. Il loro carisma si rivela irresistibile l'uno per l'altro e per il pubblico. Proprio come ha fatto in “A Star is Born”, con Lady Gaga, Cooper ha un talento prodigioso nel recitare al fianco di se stesso. Lui e Mulligan hanno una forte alchimia sullo schermo e quei primi anni, girati in un caldo bianco e nero, pulsano di raffinatezza, come nei vecchi film degli anni ‘50 e che andrebbero rivisti, ogni tanto.

Cooper stabilisce che la posta in gioco è il loro amore e questo rimane palpabile nel corso degli anni, mentre i contrasti emotivi si scatenano quando lui è sempre più portato a soddisfare i suoi altri desideri. Anche nella scena culminante in cui la coppia affronta la resa dei conti, durante la parata del giorno del ringraziamento, quando un gigantesco Snoopy gonfiabile fluttua sullo sfondo, c'è un peso in ogni parola detta e non detta: è scritta benissimo, con la camera fissa su due protagonisti, senza artifici di sorta.

(Maestro)

Ciò che risulta notevole è che, nonostante la connessione tra Lenny e Felicia sia così forte, quando i personaggi sono lontani l'uno dall'altro, sono ancora esseri completamente uniti. Quando il regista ricrea la straordinaria direzione d'orchestra di Bernstein della “Resurrezione” di Mahler alla Cattedrale di Ely nel Regno Unito, è così energico e avvincente. Soprattutto lo sguardo di pura trascendenza sul volto di Lenny mentre viene travolto dalla musica. Quella sensazione viene trasferita al pubblico. Ma alla fine corre da sua moglie e in quel momento, di puro cinema, si sente netta questa piena sintonia tra i due: è palpabile, letteralmente.

Cooper ha il pieno controllo delle immagini in “Maestro”, che rappresenta un'evoluzione della sua regia. In questo film conosce meglio se stesso e gestisce aspetti difficili della realizzazione di un film comunque complesso e molto “parlato” con maggiore sicurezza. (D.)

#CamarilloBrillo #Film #Cinema #Opinioni

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(Salari)

Ormai non c'è nemmeno da fare dei distinguo sulle fonti o cercare di trovare chi è palesemente schierato con il liberismo “all'italiana”: i salari crescono dell'1% in trent'anni. Qui. Nel resto dell'Europa questo dato è al 32,5% mediamente (i dati li trovate qui). Una soluzione sarebbe, tanto per annoiarci, il salario minimo. Oppure capire chi e cosa ha permesso, in questo arco temporale, alle aziende -di tutte le dimensioni- di potersi permettere di fare ricadere che questa miseria sulle retribuzioni dei dipendenti.

Semplicemente gli imprenditori guadagnano e i lavoratori no. Non tutti e non sempre, ma su questi numeri non si va per il sottile. Uno Stato non è composto solo da contratti degni ed impresari illuminati -sic-, ma dal totale dei suoi cittadini, senza alcuna distinzione di comodo.

E altrettanto semplicemente balza in testa la consapevolezza che i sindacati non sono sati in grado, o non hanno voluto, fare quasi nulla. Con gli slogan non si mangia: almeno i lavoratori, forse i sindacalisti sì. Perchè non è possibile che in tutti questi anni si arrivi a dati così disastrosi, così avvilenti, così gravi.

Tutto può influire, concordiamo: dall'inflazione, alle politiche sociali errate, alle concessioni sempre più ampie al privato (sanità, per dire), perfino al cambiamento climatico. Ma l'immobilismo fattuale delle sigle sindacali ricade su chi deve far quadrare i conti, quindi su tutti.

A forza si continua a cianciare di unità dei lavoratori, della loro ormai flebile voglia di appartenenza, della scarsa attitudine all'impegno. Ma che si vuole ancora? Che oltre a fare quasi la fame ci si schieri con organizzazioni che alimentano una protesta che non porta da nessuna parte?

Chi scrive ha creduto e crede ancora fermamente nell'idea del sindacato, ma è ormai disilluso, ormai è francamente critico, almeno per quanto riguarda le tre sigle maggiori. Se c'è una fievole -purtroppo- voce che si può sentire è quella delle organizzazioni di base. Perlomeno si intravede quel desiderio di lotta dal basso, dal lavoro, dalle mani che altri hanno barattato con inutili e vaghe contrattazioni di palazzo.

E' amaro arrivare a tali considerazioni, soprattutto per coloro che stanno a galla con quei contratti che non mettono mai nella somma la dignità delle persone. Firmati anche da signori che si animano per risultati che non si possono che definire ridicoli, ma che fanno tanto chiasso e vanno bene per i post sui social.

Nel mentre, senza nessuna forma di almeno posticcio ravvedimento da parte dei soggetti di cui sopra, milioni di italiani scivolano nell'oblio, nella povertà e nell'insoddisfazione. Certamente sarà un problema che si affronterà, dato il notorio interesse per tali argomenti da parte dei Governi e delle istituzioni economiche italiane. Tempi previsti non pervenuti. Auguri. (D.)

#Blog #Italia #Economia #Salari #UE

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129

(SW)

La musica è importante, proprio per me, nella mia vita. Potessi ne ascolterei molte più ore, in una giornata. Premessa banale, premessa inutile.

Quando, solo in questi giorni, ho letto il messaggio (pubblico, riportato nella foto in cima) di #StevenWilson -chi è (qui)– sono rimasto molto perplesso. Prima. Mi sono incazzato, poi. Non starò qui a riaprire un dibattito vecchio almeno quanto me su come si possa o si voglia scindere l'arte dal vissuto di chi la fa. Siamo pubblico, perciò parziali. Immagino alcuni di voi (non siete migliaia) che porranno a paragone sulla vicenda #RogerWaters, o che scomoderanno #PierPaoloPasolini.

E' legittimo che anche un artista possa esprimere un pensiero politico, sociale, personale. Il web è di tutti e lo è anche l'arte (con dovuti distinguo che, per amore di brevità, eviterò di citare.) Pertanto non è qui l'incazzatura, non sta assolutamente qui. E' che ci sono dei limiti, anche questi suggeriti da se stessi. E non sono in discussione.

La coerenza non paga e nemmeno siamo pagati da chi ascoltiamo, dagli artisti che ci aggradano: almeno vale per il sottoscritto, che non becca un centesimo da nessuno, ma che ha speso migliaia di euro per la sua passione. Non morirà di fame -sic- il suddetto artista, cui cambia meno di una virgola che io esprima il totale dissenso verso la sua posizione, che io non compri mai più nessun suo prodotto (ahimè, anche quelli dei #PorcupineTree, che sono una band da adorare) o che perda dieci minuti della mia vita a scrivere per un #Blog che conta pochissimi lettori.

Questa cosa la dovevo dire, anche per la coerenza di cui sopra. Non si passano anni a dire che la Palestina è uno stato di diritto, che Israele è una “democrazia” solo per chi si arroga il diritto di negare anche un cessate il fuoco -Biden è uguale a tutti gli altri- e poi tace quando qualcuno “che conta” scrive cose gravissime. Notare come nel post ci siano quei toni che vanno bene per la massa, attenti a dire e contraddire nello stesso istante, così belli e poetici da far cascare i denti. Se non siamo proprio cotti e rincoglioniti non ci caschiamo.

Ecco, uno sfogo questo. Non ho verità assolute da spacciare, non sono né più bello, né più bravo, tantomeno intelligente, di nessuno. Ma che possa cascare immediatamente questo Governo se taccio o non ribadisco la mia (e per, fortuna, di milioni di altre persone) idea. Il “signor” Wilson può contare su tutti i suo fans. E si può vergognare con tutte le note musicali che conosce. (D.)

#Blog #Musica #Music #Opinions #Opinioni

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(Bestemmia)

Nel 1999 la sanzione contro “Chiunque pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità è punito con la sanzione amministrativa da lire centomila a seicentomila.” è stata aggiornata agli euro. Un bel passo avanti, dal 1930, ci pare. Mentre nei contratti nazionali, quelli così cari a chi non vuole aumentare le paghe orarie incostituzionali, a questa cosa non si accenna -giustamente-, una delle migliaia di ditte in appalto agli illuminati “colossi” italiani licenzia per questo motivo (qui)

Un’altra istituzione, l’ONU, che si tira fuori solo se serve a scopi molto ipocriti, nel 2014 ha chiesto di abrogare queste idiozie. Dieci anni fa. Eppure la storia si perpetua immutabile, almeno in questo Paese, arrivando ogni giorno a nuovi picchi di sudditanza nei confronti di una delle religioni ammesse. Una, non la sola.

E’ vero che una bestemmia può dare fastidio: se parliamo della stessa ditta e di una operatrice che ha insultato un cliente, il licenziamento ci sta anche. Il cruccio è una cosa, richiamare un’altra, licenziare una bestialità opportunistica. Può darsi che lo stesso appaltante, tronfio del proprio falso perbenismo, abbia spinto per arrivare a tanto. Può darsi che sia stata una scusa per allontanare chi, sempre ipoteticamente, ha compiuto altri atti contro il datore di lavoro o colleghi, ma ci sono varie sanzioni che si possono applicare. Lo sanno anche certi fenomeni che stazionano nei CDA.

Eppure tutto quanto ha il colore smunto della immutabile, perniciosa sudditanza psicologica nei confronti della chiesa cattolica. Se il fatto resta entro l’ambito della personale idea del mondo (e del resto), nulla si ha da ridire. Non si deve. Arrivare a certi estremi, appare chiaro, fa riflettere su quanto l’Italia non sia uno Stato compiuto, ma ancora -e solo- un paesello colmo di persone che invecchiano malissimo.

Mentre tutto il pianeta si permette di usare il termine “futuro”, a volte persino con troppa facilità, noi, vantandoci, restiamo fermi, immobili a calpestare persone in nome e per conto di entità fittizie cui deleghiamo la nostra intelligenza. E’ più comodo, non sporca e di solito porta a sentirsi migliori. Di chi non s’è ancora compreso.

#Blog #Italia #Religione #Opinioni #Lavoro

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(Kissinger & Allende)

Henry Kissinger, figura centrale nella politica estera degli Stati Uniti durante gli anni '70, è spesso associato al sostegno al golpe militare in Cile del 1973, che portò alla rovesciamento del governo democraticamente eletto di Salvador Allende. Questo evento complesso richiede una comprensione approfondita del contesto geopolitico dell'epoca e delle dinamiche interne del Cile.

All'inizio degli anni '70, il Cile era immerso in una serie di tensioni politiche ed economiche. Il presidente Salvador Allende, un socialista marxista, era stato eletto nel 1970, suscitando preoccupazioni negli Stati Uniti, che temevano un'influenza sovietica nella regione. Kissinger, all'epoca consigliere per la sicurezza nazionale del presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, condivideva queste preoccupazioni e riteneva che l'instaurazione di un governo socialista in Cile avrebbe potuto minacciare gli interessi statunitensi nella regione.

La politica estera di Kissinger era caratterizzata da una visione pragmatica e realpolitik, dove la sicurezza nazionale e gli interessi geopolitici assumevano una priorità elevata, anche a scapito della democrazia e dei diritti civili. Nel contesto della Guerra Fredda, l'America Latina era considerata un teatro cruciale per contrastare l'espansione del Comunismo. Kissinger era preoccupato che la politica di Allende potesse indebolire gli Stati Uniti nella loro lotta ideologica contro l'Unione Sovietica.

L'11 settembre 1973, il generale Augusto Pinochet guidò un colpo di stato militare che rovesciò il governo di Allende. Non ci sono prove dirette che dimostrino un coinvolgimento diretto di Kissinger nell'organizzazione del golpe, ma emergono dettagli che indicano il suo appoggio indiretto e la sua conoscenza delle azioni intraprese. Ad esempio, documenti desecretati suggeriscono che gli Stati Uniti, sotto la supervisione di Kissinger, avrebbero fornito sostegno finanziario e diplomatico a gruppi anti-Allende in Cile. In una conversazione registrata del 16 settembre 1973, solo cinque giorni dopo il colpo di stato, Kissinger parlò con Nixon della situazione in Cile. In questa conversazione, Nixon esprimeva preoccupazione per le reazioni internazionali alla caduta di Allende, ma Kissinger minimizzava tali preoccupazioni e sottolineava l'opportunità di spostare l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale altrove.

Il ruolo di Kissinger nel sostenere il golpe in Cile è stato oggetto di dibattito e controversie per decenni. Alcuni critici sostengono che il suo coinvolgimento sia stato più diretto di quanto ammesso pubblicamente, e che gli Stati Uniti abbiano influenzato attivamente gli eventi che hanno portato al colpo di stato. È importante notare che il colpo di stato in Cile ebbe conseguenze devastanti per il paese. Il regime di Pinochet instaurò una dittatura militare caratterizzata da violazioni sistematiche dei diritti umani, con migliaia di persone imprigionate, torturate e uccise per motivi politici. La ferma posizione di Kissinger nei confronti del governo Allende ha contribuito a gettare un'ombra duratura sulla reputazione dell'ex segretario di stato americano.

Il coinvolgimento di Kissinger nel golpe cileno è stato oggetto di indagini giudiziarie e critiche internazionali. Nel 2001, il governo cileno chiese ufficialmente a Kissinger di testimoniare in relazione a un'inchiesta sulle violazioni dei diritti umani durante la dittatura di Pinochet. Tuttavia, Kissinger rifiutò l'invito, sostenendo che la sua testimonianza potesse compromettere la sicurezza nazionale degli Stati Uniti.

Questo interesse nel colpo di stato Cileno, è stato caratterizzato da un sostegno indiretto alla destituzione di Salvador Allende. Questo episodio continua a sollevare domande sulla moralità e l'eticità della politica estera degli Stati Uniti durante la Guerra Fredda e sull'influenza della realpolitik nella gestione degli affari internazionali che continua e si acuisce tuttora.

La morte di Kissinger, come già avvenuto per altri soggetti americani di grande portata, non chiude definitivamente con le conseguenze sociali e morali delle sue azioni. Semmai invita a schierarsi con coloro che chiedono un ridimensionamento dell’influenza USA a livello globale ed in quasi tutti gli ambiti.

#Blog #USA #Politics #Opinioni

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126 [Noi abbiamo un sogno]

(Sogno)

Noi abbiamo un sogno. Anzi, forse, molti. Non credete a coloro che vi dicono che sognare è inutile. Sono persone che si sono scordate le loro utopie, le loro speranze, le illusioni -perchè no?–. Davanti al ciò che il Mondo ci mette davanti, ogni ora, è anche comprensibile, se non quasi obbligatorio. Ma non ci credete lo stesso. Sognare qualcosa che ci fa stare meglio, che per noi significa il traguardo di una vita senza affanni o quello che vi pare, è umano. Molto, molto umano. D'altronde senza i grandi sogni non ci sarebbero state tante cose che hanno cambiato la storia (mica solo belle, eh?).

Per il nostro Paese, quello che malediciamo ogni giorno, il sogno più grande si può definire con una sola parola: prima. Si può arrivare prima a fare le cose? Si possono fare i lavori necessari prima che arrivi un'alluvione? Si può dare un'occupazione dignitosa a tutti prima che milioni di persone facciano la fame? Si può vivere democraticamente prima che i ladri e i politicanti si fottano tutto? Si può curare le persone prima che che facciano avere i loro risparmi ai dottoroni delle cliniche private? Si possono istruire i ragazzi prima che le scuole gli crollino in testa? Si può parlare prima di farsi la guerra, quella vera? Si può fare una legge che tuteli le donne prima che vengano ammazzate?

Sabato il #GovernoMeloni farà approvare il DDL contro la violenza sulle donne (qui). E le 105 donne (per scrivere solo del 2023) prima di Giulia? Non avrebbero meritato così tanta attenzione, prima? Qui non c'è sponda politica che tenga: questi argomenti sono molto più importanti delle meschine beghe da bottegai cui assistiamo, complici, dalla TV che i media hanno reso uno strumento vomitevole.

Ci sarà chi si arroga questa “vittoria di Pirro”, chi sbandiera programmi per l'educazione ai sentimenti (ma un'ora, che due le facciamo di religione), chi scrive e scrive, chi dirà “Io? Mai. Sono uno che rispetta le donne” e avanti. Però quei corpi, quelle vite andavano difesi prima. Molto, molto, prima.

C'è sempre, e quasi inevitabilmente, qualcosa di più importante. Ma davvero esiste qualcosa di più rilevante della vita delle persone? No, non crediamo. Almeno noi. Ma noi, noi non contiamo nulla. (Per dire.)

Come cantava Jannacci “...se me lo dicevi prima.” Magari non è stato detto abbastanza forte. Ma era prima che si doveva fare. Sempre prima. Dopo, spesso, è davvero troppo tardi. (A&D)

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(Femminicidi)

Il femminicidio è un problema culturale che affligge molte società in tutto il mondo, rivelando profonde problematiche culturali e strutturali. Si tratta di omicidi perpetrati contro le donne a causa del loro sesso, manifestazione estrema di una violenza di genere radicata in una cultura che spesso non riconosce e non affronta adeguatamente il valore e i diritti delle donne. Il femminicidio è alimentato da stereotipi dannosi che contribuiscono a creare un clima di discriminazione e oppressione. Le donne sono, talvolta, percepite come inferiori, deboli o subordinate agli uomini, e questa visione distorta può portare a credere giustificabili comportamenti violenti. La cultura del patriarcato, che attribuisce un valore superiore agli uomini, è uno dei principali contesti in cui si sviluppa il femminicidio. La società spesso perpetua norme e valori che minimizzano la violenza contro le donne o che addirittura la giustificano. L'idea errata che le donne siano di proprietà degli uomini o che debbano conformarsi a determinati ruoli tradizionali può alimentare un ambiente che favorisce la violenza. In molte società, la vergogna associata alle vittime può anche ostacolare la denuncia di abusi e violenze, creando un ciclo di silenzio e impunità.

Le istituzioni legali e giudiziarie spesso riflettono e perpetuano queste disuguaglianze. Le leggi e le normative possono essere inadeguate o applicate in modo discriminato, offrendo poco sostegno alle vittime di femminicidio. L'assenza di misure preventive e protettive adeguate può esporre ulteriormente le donne al rischio di violenza, creando un circolo vizioso difficilmente interrompibile.

La mancanza di educazione e consapevolezza sulla questione contribuisce ulteriormente alla sua perpetuazione. La società, spesso, trascura di affrontare il problema alla radice, fornendo poca istruzione sul rispetto dei diritti delle donne e sulla necessità di costruire relazioni basate sull'uguaglianza e il rispetto reciproco, sull’affettività. L'educazione è uno strumento fondamentale per cambiare le mentalità e le prospettive culturali che sostengono la violenza di genere.

Anche la presenza diffusa dei media nella società moderna può influenzare notevolmente la percezione collettiva del femminicidio. Tuttavia, spesso i “social media” possono contribuire involontariamente alla normalizzazione della violenza di genere, attraverso la rappresentazione distorta delle donne e la sensazionalizzazione dei casi di femminicidio. Un approccio più responsabile e consapevole da parte del giornalismo e degli utenti stessi potrebbe giocare un ruolo chiave nel cambiamento dell'opinione pubblica e nella promozione di cambiamenti culturali.

La lotta contro il femminicidio richiede un impegno a livello globale per cambiare mentalità e istituzioni. È essenziale che governi, organizzazioni non governative e cittadini lavorino insieme per implementare e rafforzare leggi che proteggano le donne, promuovano l'uguaglianza di genere e puniscano severamente coloro che commettono femminicidio. L'educazione deve svolgere un ruolo centrale in questa lotta, con programmi che insegnino il rispetto reciproco, l'uguaglianza di genere e il rifiuto della violenza. È importante anche promuovere la consapevolezza sui segnali di abuso e la disponibilità di risorse per le vittime, incoraggiando la denuncia e riducendo la vergogna associata alla violenza domestica.

Il femminicidio è un problema culturale complesso che richiede un approccio integrato a livello sociale, legale ed educativo. Solo attraverso un impegno collettivo e sostenuto è possibile sperare di porre fine a questa forma estrema di violenza di genere e costruire una società in cui le donne possano vivere libere da paura e violenza. In cui ci sia realmente una parità di genere, che può portare, in qualsiasi ambito, una crescita, un salto definitivo verso un’umanità più giusta, più vera.

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