📖Un capitolo al giorno📚

DIARIO DI LETTURA DAL 25 DICEMBRE 2022

ORACOLI DEL TEMPO DI IOIAKIM

Discorso sul tempio 1Questa parola fu rivolta dal Signore a Geremia: 2«Férmati alla porta del tempio del Signore e là pronuncia questo discorso: Ascoltate la parola del Signore, voi tutti di Giuda che varcate queste porte per prostrarvi al Signore. 3Così dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele: Rendete buone la vostra condotta e le vostre azioni, e io vi farò abitare in questo luogo. 4Non confidate in parole menzognere ripetendo: “Questo è il tempio del Signore, il tempio del Signore, il tempio del Signore!”. 5Se davvero renderete buone la vostra condotta e le vostre azioni, se praticherete la giustizia gli uni verso gli altri, 6se non opprimerete lo straniero, l’orfano e la vedova, se non spargerete sangue innocente in questo luogo e se non seguirete per vostra disgrazia dèi stranieri, 7io vi farò abitare in questo luogo, nella terra che diedi ai vostri padri da sempre e per sempre. 8Ma voi confidate in parole false, che non giovano: 9rubare, uccidere, commettere adulterio, giurare il falso, bruciare incenso a Baal, seguire altri dèi che non conoscevate. 10Poi venite e vi presentate davanti a me in questo tempio, sul quale è invocato il mio nome, e dite: “Siamo salvi!”, e poi continuate a compiere tutti questi abomini. 11Forse per voi è un covo di ladri questo tempio sul quale è invocato il mio nome? Anch’io però vedo tutto questo! Oracolo del Signore. 12Andate, dunque, nella mia dimora di Silo, dove avevo da principio posto il mio nome; considerate che cosa io ne ho fatto a causa della malvagità d’Israele, mio popolo. 13Ora, poiché avete compiuto tutte queste azioni – oracolo del Signore – e, quando vi ho parlato con premura e insistenza, non mi avete ascoltato e quando vi ho chiamato non mi avete risposto, 14io tratterò questo tempio sul quale è invocato il mio nome e in cui confidate, e questo luogo che ho concesso a voi e ai vostri padri, come ho trattato Silo. 15Vi scaccerò dalla mia presenza, come ho scacciato tutti i vostri fratelli, tutta la discendenza di Èfraim.

Falso culto e sincretismo 16Tu poi, non pregare per questo popolo, non innalzare per esso suppliche e preghiere né insistere presso di me, perché non ti ascolterò. 17Non vedi che cosa fanno nelle città di Giuda e nelle strade di Gerusalemme? 18I figli raccolgono la legna, i padri accendono il fuoco e le donne impastano la farina per preparare focacce alla regina del cielo; poi si compiono libagioni ad altri dèi per offendermi. 19Ma è proprio me che offendono – oracolo del Signore – o non piuttosto se stessi, a loro stessa vergogna? 20Pertanto, dice il Signore Dio: Ecco, il mio furore, la mia ira si riversa su questo luogo, sugli uomini e sul bestiame, sugli alberi dei campi e sui frutti della terra, e brucerà senza estinguersi. 21Dice il Signore degli eserciti, Dio d’Israele: Aggiungete pure i vostri olocausti ai vostri sacrifici e mangiatene la carne! 22Io però non parlai né diedi ordini sull’olocausto e sul sacrificio ai vostri padri, quando li feci uscire dalla terra d’Egitto, 23ma ordinai loro: “Ascoltate la mia voce, e io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; camminate sempre sulla strada che vi prescriverò, perché siate felici”. 24Ma essi non ascoltarono né prestarono orecchio alla mia parola; anzi, procedettero ostinatamente secondo il loro cuore malvagio e, invece di rivolgersi verso di me, mi hanno voltato le spalle. 25Da quando i vostri padri sono usciti dall’Egitto fino ad oggi, io vi ho inviato con assidua premura tutti i miei servi, i profeti; 26ma non mi hanno ascoltato né prestato orecchio, anzi hanno reso dura la loro cervìce, divenendo peggiori dei loro padri. 27Dirai loro tutte queste cose, ma non ti ascolteranno; li chiamerai, ma non ti risponderanno. 28Allora dirai loro: Questa è la nazione che non ascolta la voce del Signore, suo Dio, né accetta la correzione. La fedeltà è sparita, è stata bandita dalla loro bocca. 29Taglia la tua chioma e gettala via, e intona sulle alture un lamento, perché il Signore ha rigettato e abbandonato questa generazione che ha meritato la sua ira. 30Perché i figli di Giuda hanno commesso ciò che è male ai miei occhi, oracolo del Signore. Hanno collocato i loro idoli abominevoli nel tempio, sul quale è invocato il mio nome, per contaminarlo. 31Hanno costruito le alture di Tofet nella valle di Ben-Innòm, per bruciare nel fuoco i loro figli e le loro figlie, cosa che io non avevo mai comandato e che non avevo mai pensato. 32Perciò, ecco, verranno giorni – oracolo del Signore – nei quali non si chiamerà più Tofet né valle di Ben-Innòm, ma valle della Strage. Allora si seppellirà in Tofet, perché non ci sarà altro luogo. 33I cadaveri di questo popolo saranno pasto agli uccelli dell’aria e alle bestie della terra e nessuno li scaccerà. 34Farò cessare nelle città di Giuda e nelle vie di Gerusalemme i canti di gioia e d’allegria, i canti dello sposo e della sposa, perché la terra diverrà un deserto».

[8,1«In quel tempo – oracolo del Signore – si estrarranno dai loro sepolcri le ossa dei re di Giuda, quelle dei suoi capi, dei sacerdoti, dei profeti e degli abitanti di Gerusalemme. 2Esse saranno sparse in onore del sole, della luna e di tutto l’esercito del cielo che essi amarono, servirono, seguirono, consultarono e adorarono. Non saranno più raccolte né sepolte, ma diverranno come letame sul suolo. 3Allora la morte sarà preferibile alla vita, per quanti di questa razza malvagia riusciranno a sopravvivere nei luoghi dove li avrò dispersi. Oracolo del Signore degli eserciti.] =●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=●=

Approfondimenti

ORACOLI DEL TEMPO DI IOIAKIM 7,1-20,18 I capitoli 7-20 contengono in massima parte composizioni del secondo periodo di Geremia, quello di Ioiakim (608-597). In questa sezione vengono introdotte per la prima volta nel libro le azioni simboliche (cfr. 13,1-11; 16,1-13; 19,1-15); vi compaiono la liturgia penitenziale (14,1ss.), la sentenza sapienziale (17,5ss.); in particolare, le lamentazioni individuali (“confessioni”) così caratteristiche della produzione profetica di Geremia. Inoltre, abbiamo qui alcuni di quei discorsi in prosa la cui genesi e autenticità geremiane ancora sono dibattute presso i critici. Nell'ampio agglomerato dei capitoli 7-20 si possono individuare blocchi minori, talvolta indicati da una introduzione (ad es. 11,5), più spesso contrassegnati dal contenuto.

7,1-8,3. I brani sono legati dal tema del culto, o meglio, della condanna, da parte del profeta, del culto allora praticato in Israele, perché formalistico (7,1-15), sincretistico (7,16-20), superficiale (7,21-28), idolatrico (7,19-8,3). La denuncia è decisa e sferzante; neppure il linguaggio tipico dei discorsi in prosa, a cui il blocco 7,1-8,3 appartiene, riesce a smorzarne del tutto il vigore.

Discorso sul tempio 7,1-15 Il tempio può andare distrutto. Questo discorso va collegato con 26,1-24 ove Baruc dà alcune indicazioni più dettagliate. Riguardo al tempo, annota che si era all'inizio del regno di Ioiakim, dunque verso il 609/8; quanto al luogo, è precisato che si trattava della «porta» (26,2; 7,2) del tempio, vale a dire, a quanto sembra, del cortile inferiore del tempio di Salomone. Il v. 1 funge da introduzione a un messaggio divino rivolto a Geremia, ma il v. 2 chiarisce che il messaggio non ha come destinatario il profeta: egli è soltanto portavoce per «tutto Giuda». Il discorso divino vero e proprio, rivolto al popolo di Giuda, inizia al v. 3 e termina al v. 15 (al v. 16 è evidente il mutamento di destinatario e di messaggio).

Possiamo distinguere nel discorso divino una segmentazione, sulla base dell'analisi sintattica e semantica.

3-4. Annuncio del tema. Troviamo qui i vocaboli che poi ricorreranno in tutto il discorso: «abitare» (škn, vv. 3.7.12), «confidare» (bth, vv. 4.8.14), «parola» (dābār, vv. 4.8.13), «luogo» (māqôm, vv. 3.6.7.12.14). Le forme verbali sono all'imperativo o allo iussivo.

5-7. Una promessa condizionata; la forma è quella del periodo ipotetico.

8-11. La situazione presente: inizia con hinnēh, «ecco che», un'esclamazione con valore avversativo rispetto a quanto precedentemente affermato. Si riprende il verbo «confidare» (bth).

12. L'esempio di Silo. Si noti la ripresa del verbo «abitare» (škn) e di «luogo» (māqôm); inoltre il legame con i vv. 8-11 per il tema del nome divino.

*13-15. La sanzione, divisa in motivazione (v. 13) e annuncio del castigo (vv. 14-15).

La struttura così evidenziata ci permette di chiarire il movimento interno al discorso. Sulla base dei vocaboli ricorrenti possiamo affermare che il profeta si oppone a una fiducia invalsa nel popolo a partire da una parola (che sembra contrapporsi a quella divina, cfr. v. 13, e perciò a quella del profeta) relativa al luogo di culto, il quale sarebbe ritenuto garanzia di stabilità da parte del popolo.

La convinzione che il tempio sia garanzia di stabilità per il popolo non ricorre sovente nel testo biblico; perciò è necessario chiarire quale teologia contesti il profeta in questo testo. Il tempio è descritto come la sede della presenza divina in diversi passi (cfr. 1Re 8,10ss.; Sal 27,4; 42,5; 76,3; 84; 122,1-4; 132,13-14), ma soprattutto nella teologia deuteronomistica è prevalsa la convinzione che il tempio di Gerusalemme rappresentasse il segno dell'elezione divina, come mostra la formula, che ricorre ben venti volte nel libro del Deuteronomio, «il luogo scelto da Dio per collocare e farvi abitare il suo nome». Secondo alcuni interpreti, l'idea dell'elezione si sarebbe imposta definitivamente a seguito di un evento storico, cioè la salvezza di Gerusalemme in occasione dell'assedio del re assiro Sennacherib (701 a.C.), sotto il re Ezechia (ctr. 2Re 19,34 = Is 37,35).

Il tempio salvato nel 701 era il segno visibile dell'elezione divina, e il ricordo della miracolosa liberazione infondeva la fiducia che il tempio sarebbe stato sempre un'inviolabile protezione (v. 4). Questa tesi è verosimile, ma non va esagerata e ad essa può essere accostata anche la promessa divina fatta a Davide in 2Sam 7.

In Ger 7 tuttavia, l'accusa verte, più che sulla fiducia riposta nel tempio, sulla fiducia accordata dal popolo a parole menzognere (v. 8), un tema ricorrente in questa sezione del libro (cfr. i cc. 4-6.8-9). Tali parole menzognere sono quelle pronunciate dai falsi profeti, le quali conducono a rifiutare la parola minacciosa del vero profeta, ritenendo che Dio non si comporti affatto nel modo che egli descrive (cfr. in particolare 5,12, in cui il senso di sicurezza del popolo è inteso da Geremia come disprezzo di JHwH). Tali parole menzognere si rivelano dannose per il popolo, perché, stravolgendo la reale situazione, impediscono agli ascoltatori di Geremia, l'unica azione che potrebbe arrestare il giudizio imminente, cioè il pentimento (cfr. vv. 3ss.).

I vv. 5-7, per la loro formulazione condizionale, sono stati interpretati come una rilettura deuteronomistica dell'oracolo di Geremia, ma è difficile ricondurre tali espressioni a un unico ambiente vitale. Esigenze di questo tenore sono espresse in Es, Dt, Is, Am, Os, Mic: in un certo senso sono convenzionali. La situazione vitale da cui dipendono tali formulazioni è il contesto dell'alleanza tra Dio e il popolo: con esse si mostra che le promesse divine non dipendono soltanto dalla fedeltà di Dio; infatti, esponendo in tal modo le esigenze contenute nel patto, esse illustrano anche gli impegni pubblicamente assunti dal partner umano. Tale rimando, nel discorso, perciò non ha valore promissorio, ma contribuisce a definire il fondamento del accusa che segue: il profeta non legge la vicenda del popolo a partire da un suo personale punto di vista, ma alla luce del patto con Dio. Appunto perché le esigenze del patto sono state trasgredite (v. 9), non è più possibile una relazione autentica con Dio.

La vicenda di Silo rimane emblematica: il culto prestato a Dio, anche se rispettato nei suoi rituali, non fornisce alcuna garanzia. Solo la fedeltà alle esigenze del patto rende il luogo di culto sede dell'incontro autentico tra JHWH e i suoi fedeli.

Falso culto e sincretismo 7,16-8,3 7,16-20. La possibilità che Dio in altri momenti ha concesso, cioè quella di un mediatore che intercedesse presso Dio per il popolo peccatore, è ora negata al profeta. Possiamo ricordare l'intercessione di Mosè (Es 32), accolta da Dio. Stavolta Geremia non potrà esercitare una simile funzione, perché Dio non è più disposto a frenare la sua collera. Questa impossibilità di intercedere è uno dei tratti che contribuiscono a delineare le figura di Geremia come un antitipo di Mosè (si veda anche 11,14; 14,11). Preghiera, lamento, supplica e intercessione non hanno più alcun valore, perché JHWH non è più disposto ad ascoltare. Il motivo di questo ripudio divino è illustrato con il riferimento ai culti idolatri praticati in Gerusalemme e in tutta la Giudea. Questi culti sono qui presentati come culti familiari: i ragazzi raccolgono la legna, i padri accendono il fuoco, le donne impastano la farina per le offerte da presentare alla «Regina del cielo». L'identità precisa di questa divinità è ancora oggetto di dispute (sono state proposte varie identificazioni: Ishtar, Astarte, Iside, Anat), anche se la migliore candidata sembra la dea semitica occidentale Astarte. Questi culti idolatri provocano l'ira di JHWH, ma soprattutto svergognano il popolo (v. 19). In questo senso il culto prestato ai falsi dei umilia gli adoratori stessi, perché il popolo diventa come coloro che adora (cfr. Sal 115,8; 135,18).

21-28. Non culto, ma vita. Il rifiuto del culto inautentico è introdotto con l'ironico invito a moltiplicare i sacrifici. La successiva antitesi («non parlai... ma ordinai loro»: vv. 22-23) è un modo vivace di esprimere la priorità di un aspetto della vita religiosa sull'altro: non è rifiutato il culto esterno, ma è ribadita la posizione profetica che la vera religione è la vita moralmente corretta (cfr. Is 1,11-17; Ger 6,19s.; Os 6,6; Am 5,21, ecc.), secondo il progetto di Dio espresso dalla sua legge. Questa, a sua volta, secondo una tradizione antichissima, viene collegata con l'esperienza sinaitica, compendiata nella caratteristica formula dell'alleanza «io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo» (v. 23) e della sua osservanza vengono incaricati i profeti (v. 25), come si compiace di mettere in risalto la scuola deuteronomistica, del cui linguaggio il brano è intriso.

7,29-8,3. Guai all'abominio del Tofet. In risalto in questo brano è il culto praticato nel Tofet (cfr. commento a 2,20-29). È possibile che per ignoranza il popolo pensasse con tali riti di onorare JHWH, cui il nome Moloch/ Molek (melek in ebr. è il re, titolo frequentemente applicato a JHWH) sembrava rimandare. Se si pensasse addirittura di attuare così un comando di Dio è difficile dire. Lo sdegnato rifiuto di simile enormità (v. 31) esprime comunque il netto punto di vista profetico in proposito. La punizione per tali degenerazioni (7,31-8,3) risente della legge del contrappasso: lo scempio dei cadaveri dei bimbi comporterà lo scempio dei cadaveri degli Israeliti, profanati nel modo più umiliante; il culto degli astri farà si che agli astri vengano esposte le ossa dei morti.

(cf. EMILIANO VALLAURI e FLAVIO DELLA VECCHIA, Geremia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1Mettetevi in salvo, figli di Beniamino, fuori di Gerusalemme. A Tekòa suonate il corno, innalzate segnali su Bet-Cherem, perché dal settentrione si affaccia una sventura e una grande rovina. 2La bella e incantevole figlia di Sion io riduco al silenzio. 3Verso di essa muovono i pastori con le greggi; fissano le tende tutt’intorno, ognuno pascola la sua parte. 4«Proclamate contro di essa la guerra santa; su, assaliamola in pieno giorno! Sventurati noi! Già il giorno declina, già si allungano le ombre della sera. 5Su, allora, assaliamola di notte, distruggiamo i suoi palazzi!». 6Perché così dice il Signore degli eserciti: «Tagliate i suoi alberi, costruite un terrapieno davanti a Gerusalemme: è una città sotto giudizio, in essa tutto è oppressione. 7Come fluisce l’acqua da una sorgente, così da essa scorre l’iniquità. Violenza e oppressione vi risuonano, dinanzi a me stanno sempre dolori e piaghe. 8Lasciati correggere, o Gerusalemme, perché io non mi allontani da te e non ti riduca a un deserto, a una terra disabitata». 9Così dice il Signore degli eserciti: «Racimolate, racimolate come una vigna il resto d’Israele; stendi ancora la mano verso i tralci come un vendemmiatore». 10A chi parlerò, chi scongiurerò perché mi ascolti? Il loro orecchio non è circonciso, non sono capaci di prestare attenzione. La parola del Signore è per loro oggetto di scherno, non ne vogliono sapere. 11Perciò sono pieno dell’ira del Signore, non posso più contenerla. «Riversala sui bambini nella strada e anche sul gruppo dei giovani, perché saranno presi insieme uomini e donne, l’anziano e il decrepito. 12Le loro case passeranno a stranieri, insieme con i loro campi e le loro donne, perché io stenderò la mano sugli abitanti della terra». Oracolo del Signore. 13Perché dal piccolo al grande tutti commettono frode; dal profeta al sacerdote tutti praticano la menzogna. 14Curano alla leggera la ferita del mio popolo, dicendo: «Pace, pace!», ma pace non c’è. 15Dovrebbero vergognarsi dei loro atti abominevoli, ma non si vergognano affatto, non sanno neppure arrossire. «Per questo cadranno vittime come gli altri, nell’ora in cui li visiterò crolleranno», dice il Signore. 16Così dice il Signore: «Fermatevi nelle strade e guardate, informatevi dei sentieri del passato, dove sta la strada buona percorretela, così troverete pace per la vostra vita». Ma essi hanno risposto: «Non la prenderemo!». 17Ho posto sentinelle per vegliare su di voi: «Fate attenzione al suono del corno». Hanno risposto: «Non ci baderemo!». 18Per questo ascoltate, o genti, e sappi, o assemblea, ciò che avverrà di loro; 19ascolta, o terra: «Ecco, io faccio venire contro questo popolo la sventura, frutto dei loro pensieri, perché non hanno prestato attenzione alle mie parole e hanno rigettato la mia legge. 20Perché mi offrite incenso di Saba e la preziosa cannella che viene da lontano? I vostri olocausti non mi sono graditi, non mi piacciono i vostri sacrifici». 21Perciò così dice il Signore: «Ecco, metterò pietre d’inciampo per questo popolo e inciamperanno insieme padri e figli; vicini e amici periranno». 22Così dice il Signore: «Ecco, un popolo viene dalla terra del settentrione, una grande nazione si muove dall’estremità della terra. 23Impugnano archi e lance, sono crudeli, senza pietà. Il loro clamore è quello di un mare agitato e montano cavalli, pronti come un sol uomo alla battaglia contro di te, figlia di Sion». 24«Appena ne abbiamo udito la fama ci sono cadute le braccia; si è impadronita di noi l’angoscia, come gli spasimi di partoriente». 25Non uscite nei campi e non camminate per le strade, perché la spada nemica è terrore all’intorno. 26Figlia del mio popolo, vèstiti di sacco e ròtolati nella cenere. Fa’ lutto come per un figlio unico, laméntati amaramente, perché improvviso piomberà su di noi il distruttore! 27Io ti ho posto come colui che saggia il mio popolo, perché tu conoscessi e saggiassi la loro condotta. 28Sono tutti ribelli, spargono calunnie, duri come bronzo e ferro: corrompono tutto. 29Il mantice soffia con forza, ma il piombo resta intatto nel fuoco; invano si vuole raffinarlo a ogni costo, le scorie non si separano. 30Argento rifiutato li chiamano, perché il Signore li ha rifiutati.

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Approfondimenti

6,1-30. Rovina totale. Colpa e punizione sono ancora intrecciate in questa composizione sul nemico dal nord, che non viene direttamente menzionato ma è chiaramente sottinteso e a cui si allude con una girandola di immagini: è come un gregge che bruca l'erba del paese (vv. 2-3); sono racimolatori che spogliano a fondo una vigna (v. 9); sono «pietre d'inciampo» (v. 21). In risalto, la caparbietà del popolo di Gerusalemme, «città della menzogna» (v. 6), che, ostinata nel male, rifiuta ogni richiamo (vv. 16-17) e dà ascolto solo ai falsi profeti e ai sacerdoti (v. 14) che promettono fallacemente la pace, cioè la benedizione di Dio quasi che si cammini nelle sue vie. È un popolo «dall'orecchio non circonciso» (v. 10). Di fronte a questa situazione aberrante, il profeta predice la punizione e sembra inebriarsi nel descriverla (vv. 4.9.11): rovesciando il convincimento comune che sante sono le guerre di Israele perché Dio combatte alla testa del suo popolo, egli presenta (v. 4) come «santa» la guerra di distruzione del paese. Il profeta però è presto ripreso dalla commiserazione e dallo sconforto. Nei versetti conclusivi (vv. 27-30), il profeta è definito «saggiatore» (bāhôn, v. 27) e paragonato all'orafo che deve raffinare (v. 29) il metallo, così da estrarne argento puro. I verbi bhn e srp sono spesso usati come metafora in ambito giuridico per indicare l'attività inquisitoria del giudice, il quale deve discernere e separare chi è innocente da chi è colpevole. Ora questo compito è affidato al profeta, perché attraverso la sua parola è lo stesso giudizio di Dio che opera nella storia umana. Tuttavia la sua attività si scontra con il fatto che «tutti» (v. 28) sono ribelli, tutti sono «duri come bronzo e ferro». L'attività profetica di purificazione si è rivelata inutile (v. 29). Ciò significa che il profeta incontra una realtà umana che resiste completamente alla sua opera, e che è stata rifiutata da Dio (v. 30). Ci troviamo di fronte a un'ammissione di fallimento: l'agire del profeta non vince la resistenza dell'uomo; l'elezione divina diventa ora ripudio. Da qui lo sconforto, che tuttavia non è ancora il destino finale: il Dio che ha rifiutato ricomincerà da capo, creando la novità nel popolo e un vincolo eterno su lui (cc. 30-33).

(cf. EMILIANO VALLAURI e FLAVIO DELLA VECCHIA, Geremia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Introduzione 1Percorrete le vie di Gerusalemme, osservate bene e informatevi, cercate nelle sue piazze se c’è un uomo che pratichi il diritto, e cerchi la fedeltà, e io la perdonerò. 2Invece giurano certamente il falso anche quando dicono: «Per la vita del Signore!». 3I tuoi occhi, Signore, non cercano forse la fedeltà? Tu li hai percossi, ma non mostrano dolore; li hai fiaccati, ma rifiutano di comprendere la correzione. Hanno indurito la faccia più di una rupe, rifiutano di convertirsi. 4Io pensavo: «Sono certamente gente di bassa condizione, quelli che agiscono da stolti, non conoscono la via del Signore, la legge del loro Dio. 5Mi rivolgerò e parlerò ai grandi, che certo conoscono la via del Signore, e il diritto del loro Dio». Purtroppo anche questi hanno rotto il giogo, hanno spezzato i legami! 6Per questo li azzanna il leone della foresta, il lupo delle steppe ne fa scempio, il leopardo sta in agguato vicino alle loro città: quanti escono saranno sbranati, perché si sono moltiplicati i loro peccati, sono aumentate le loro ribellioni. 7«Perché ti dovrei perdonare? I tuoi figli mi hanno abbandonato, hanno giurato per coloro che non sono dèi. Io li ho saziati, ed essi hanno commesso adulterio, si affollano nelle case di prostituzione. 8Sono come stalloni ben pasciuti e focosi; ciascuno nitrisce dietro la moglie del suo prossimo. 9Non dovrei forse punirli? Oracolo del Signore. Di una nazione come questa non dovrei vendicarmi? 10Salite sulle sue terrazze e distruggetele, senza compiere uno sterminio; strappate i tralci, perché non sono del Signore. 11Poiché si sono ribellate contro di me la casa d’Israele e la casa di Giuda». Oracolo del Signore. 12Hanno rinnegato il Signore, hanno proclamato: «Non esiste! Non verrà sopra di noi la sventura, non vedremo né spada né fame. 13I profeti sono diventati vento, la sua parola non è in loro». 14Perciò dice il Signore, Dio degli eserciti: «Poiché avete fatto questo discorso, farò delle mie parole come un fuoco sulla tua bocca e questo popolo sarà la legna che esso divorerà. 15Ecco, manderò da lontano una nazione contro di te, casa d’Israele. Oracolo del Signore. È una nazione valorosa, è una nazione antica! Una nazione di cui non conosci la lingua e non comprendi che cosa dice. 16La sua faretra è come un sepolcro aperto. Sono tutti prodi. 17Divorerà le tue messi e il tuo pane, divorerà i tuoi figli e le tue figlie, divorerà le greggi e gli armenti, divorerà le tue vigne e i tuoi fichi, distruggerà le città fortificate, nelle quali riponevi la tua fiducia. 18Ma anche in quei giorni – oracolo del Signore – non farò di voi uno sterminio». 19Allora, se diranno: «Perché il Signore Dio ci fa tutto questo?», tu risponderai loro: «Come avete abbandonato il Signore per servire nella vostra terra divinità straniere, così sarete servi degli stranieri in una terra non vostra». 20Annunciatelo nella casa di Giacobbe, fatelo udire in Giuda e dite: 21«Ascolta, popolo stolto e privo di senno, che ha occhi ma non vede, ha orecchi ma non ode. 22Non mi temerete? Oracolo del Signore. Non tremerete dinanzi a me, che ho posto la sabbia per confine al mare, limite perenne che non varcherà? Le sue onde si agitano ma non prevalgono, rumoreggiano ma non l’oltrepassano». 23Questo popolo ha un cuore indocile e ribelle; si voltano indietro e se ne vanno, 24e non dicono in cuor loro: «Temiamo il Signore, nostro Dio, che dona la pioggia autunnale e quella primaverile a suo tempo, che custodisce per noi le settimane fissate per la messe». 25Le vostre iniquità hanno sconvolto quest’ordine e i vostri peccati tengono lontano da voi il benessere; 26poiché tra il mio popolo si trovano malvagi, che spiano come cacciatori in agguato, pongono trappole per prendere uomini. 27Come una gabbia piena di uccelli, così le loro case sono piene di inganni; perciò diventano grandi e ricchi. 28Sono grassi e pingui, oltrepassano i limiti del male; non difendono la causa, non si curano della causa dell’orfano, non difendono i diritti dei poveri. 29Non dovrei forse punirli? Oracolo del Signore. Di una nazione come questa non dovrei vendicarmi? 30Cose spaventose e orribili avvengono nella terra: 31i profeti profetizzano menzogna e i sacerdoti governano al loro cenno, e il mio popolo ne è contento. Che cosa farete quando verrà la fine?

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Approfondimenti

5,1-31. In questo ampio affresco che descrive il castigo divino su Israele è inserito un poemetto (vv. 20-25) di carattere piuttosto sapienziale che insiste sulla stoltezza di chi non si sottomette al volere di Dio, padrone e governatore dell'universo. Così collocato, il brano diventa un po' il perno e la giustificazione della condanna di Israele descritta nel capitolo. Oggetto della requisitoria sono «la casa di Israele e la casa di Giuda» (v. 11), ma probabilmente l'accusa è rivolta soprattutto al regno meridionale (cfr. vv. 1-10). Di tale entità, l'espressione più autentica, in negativo, è Gerusalemme: la città in tutte le sue componenti evidenzia al massimo la colpa del paese. In essa Dio ordina un'inchiesta, ma che, ironicamente, non è volta a svelare il colpevole del misfatti commessi, ma a individuare «l'innocente». Come nel dialogo tra Dio e Abramo sulla sorte di Sodoma (Gn 18,16-33), anche in questo caso l'accenno alla universale diffusione del male e all'assenza del giusto serve a illustrare che l'agire punitore di Dio non è arbitrario o crudele, ma espressione di autentica giustizia. La punizione e la giusta risposta divina al male commesso. Le mancanze che il profeta rimprovera sono religiose ed etiche. Nei confronti di Dio rileva falsità (v. 2), sincretismo (v. 7) e rifiuto pratico di lui (v. 12): non ateismo ma negazione dell'intervento di Dio nella storia, abbandonata nelle mani dei più furbi. L'accenno ai «profeti» (v. 13) si può intendere o che sono rifiutati da parte di Giuda perché legati alla causa di Dio (si tratterebbe allora di veri profeti) o che sono condannati da parte di Dio perché assecondano l'irreligiosità del popolo (sarebbero allora falsi profeti). Nei confronti del prossimo, Geremia sottolinea la libidine sfrenata (vv. 7-8), l'indifferenza per la causa dei più deboli (vv. 21-28), la frode e l'ingiustizia. Un quadro desolante. La punizione e inevitabile e radicale: il popolo-vigna (cfr. 2,21) è abbandonato al saccheggio (vv. 10.14).

(cf. EMILIANO VALLAURI e FLAVIO DELLA VECCHIA, Geremia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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1«Se vuoi davvero ritornare, Israele, a me dovrai ritornare. Se vuoi rigettare i tuoi abomini, non dovrai più vagare lontano da me. 2Se giurerai per la vita del Signore, con verità, rettitudine e giustizia, allora le nazioni si diranno benedette in te e in te si glorieranno. 3Infatti così dice il Signore agli uomini di Giuda e a Gerusalemme: Dissodatevi un terreno e non seminate fra le spine. 4Circoncidetevi per il Signore, circoncidete il vostro cuore, uomini di Giuda e abitanti di Gerusalemme, perché la mia ira non divampi come fuoco e non bruci senza che alcuno la possa spegnere, a causa delle vostre azioni perverse.

Invasione imminente 5Annunciatelo in Giuda, fatelo udire in Gerusalemme; suonate il corno nel paese, gridate a piena voce e dite: “Radunatevi ed entriamo nelle città fortificate”. 6Alzate un segnale verso Sion; cercate rifugio, non indugiate, perché io faccio venire dal settentrione una sventura e una grande rovina. 7Il leone è balzato dalla sua boscaglia, il distruttore di nazioni si è messo in marcia, è uscito dalla sua dimora, per ridurre la tua terra a una desolazione: le tue città saranno distrutte, non vi rimarranno abitanti. 8Per questo vestitevi di sacco, lamentatevi e alzate grida, perché non si è allontanata da noi l’ira ardente del Signore. 9E in quel giorno – oracolo del Signore – verrà meno il coraggio del re e il coraggio dei capi; i sacerdoti saranno costernati e i profeti saranno sbigottiti». 10Allora io dissi: «Ah, Signore Dio, hai dunque del tutto ingannato questo popolo e Gerusalemme, quando dicevi: “Voi avrete pace”, mentre una spada giunge fino alla gola». 11In quel tempo si dirà a questo popolo e a Gerusalemme: «Il vento ardente delle dune soffia dal deserto verso la figlia del mio popolo, ma non per vagliare, né per mondare il grano. 12Un vento minaccioso si alza per mio ordine. Ora, anch’io voglio pronunciare contro di loro la condanna». 13Ecco, egli sale come nubi e come un turbine sono i suoi carri, i suoi cavalli sono più veloci delle aquile. Guai a noi! Siamo perduti! 14Purifica il tuo cuore dalla malvagità, Gerusalemme, perché possa uscirne salva. Fino a quando abiteranno in te i tuoi pensieri d’iniquità? 15Ecco, una voce reca la notizia da Dan, annuncia la sventura dalle montagne di Èfraim. 16Annunciatelo alle nazioni, fatelo sapere a Gerusalemme: «I nemici vengono da una terra lontana, mandano urla contro le città di Giuda. 17Come guardiani di un campo l’hanno circondata, perché si è ribellata contro di me». Oracolo del Signore. 18La tua condotta e le tue azioni ti hanno causato tutto ciò. Com’è amara la tua malvagità! Ora ti penetra fino al cuore. 19Le mie viscere, le mie viscere! Sono straziato. Mi scoppia il cuore in petto, mi batte forte; non riesco più a tacere, perché ho udito il suono del corno, il grido di guerra. 20Si annuncia un disastro dopo l’altro: tutta la terra è devastata. A un tratto sono distrutte le mie tende, in un attimo i miei padiglioni. 21Fino a quando dovrò vedere segnali e udire il suono del corno? 22«Stolto è il mio popolo: non mi conosce, sono figli insipienti, senza intelligenza; sono esperti nel fare il male, ma non sanno compiere il bene». 23Guardai la terra, ed ecco vuoto e deserto, i cieli, e non v’era luce. 24Guardai i monti, ed ecco tremavano e tutti i colli ondeggiavano. 25Guardai, ed ecco non c’era nessuno e tutti gli uccelli dell’aria erano volati via. 26Guardai, ed ecco il giardino era un deserto e tutte le sue città erano state distrutte dal Signore e dalla sua ira ardente. 27Poiché così dice il Signore: «Tutta la terra sarà devastata, ma non la distruggerò completamente. 28Pertanto la terra sarà in lutto e il cielo si oscurerà: l’ho detto e non mi pento, l’ho pensato e non ritratterò». 29Per lo strepito di cavalieri e di arcieri tutti gli abitanti del paese sono in fuga, entrano nelle grotte, si nascondono nella folta boscaglia e salgono sulle rupi. Ogni città è abbandonata, nessuno più vi abita. 30E tu, devastata, che cosa farai? Anche se ti vestissi di scarlatto, ti adornassi di fregi d’oro e ti facessi gli occhi grandi con il bistro, invano ti faresti bella. I tuoi amanti ti disprezzano; essi vogliono la tua vita. 31Sento un grido come di donna nei dolori, un urlo come di donna al primo parto; è il grido della figlia di Sion, che spasima e tende le mani: «Guai a me! La mia vita soccombe di fronte agli assassini».

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Approfondimenti

Invasione imminente 4,5-6,30 Il tema dell'invasione di un nemico dal nord accomuna in questi capitoli degli oracoli che sembrano appartenere al secondo periodo dell'attività profetica di Geremia. Difficile discernere, in tale matassa, una successione ordinata di temi. Possiamo comunque distinguere a grandi blocchi questi momenti:

  • dal nord irrompe il nemico e devasta (4,5-31);
  • è il castigo divino per le aberrazioni etico-religiose di Giuda (5,1-31);
  • la rovina è totale perché il popolo è ostinato nel suo deviare dalla giustizia (6,1-30).

Entro questo schema di base, le tematiche s'intrecciano, s'alternano, riaffiorano con rapida successione. Il tutto, in un'esposizione singolarmente colorita, ricca di immagini e di intensa partecipazione personale (cfr. 5,19).

4,5-31. Il nemico dal nord. Si inizia con un vero e proprio grido di allarme (4,5) che il profeta lancia per un nemico che sta per irrompere «da settentrione» e man mano avanzerà. Da «Dan», all'estremo nord del paese, attraverso «le montagne di Efraim», al centro, fino «a Gerusalemme» (v. 16). Evidentemente il profeta pensa a un'invasione, ma a quale propriamente è difficile dire. Forse il ricordo di una calata di Sciti nel 625 a.C. gli è servita come modello per descrivere l'affacciarsi dell'esercito babilonese nel 605. Le ripercussioni del disastro su persone e cose sono rilevate con immediatezza. Che il profeta, nel v. 19, si identifichi con il suo popolo e ne esprima l'angoscia, oppure che dia sfogo al suo strazio personale, il grido è di eccezionale intensità. Cielo e terra sono deserti, abbandonati, e nel gran vuoto risuona solo «l'urlo» della «figlia di Sion come di donna al primo parto» (v. 31).

(cf. EMILIANO VALLAURI e FLAVIO DELLA VECCHIA, Geremia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Invito alla conversione 1Se un uomo ripudia la moglie ed ella si allontana da lui per appartenere a un altro, tornerà il primo ancora da lei? Quella terra non sarebbe tutta contaminata? E tu, che ti sei prostituita con molti amanti, osi tornare da me? Oracolo del Signore. 2Alza gli occhi sui colli e osserva: dove non sei stata disonorata? Tu sedevi sulle vie aspettandoli, come fa l’Arabo nel deserto. Così hai contaminato la terra con la tua impudicizia e perversità. 3Per questo sono state fermate le piogge e gli acquazzoni di primavera non sono venuti. Sfrontatezza di prostituta è la tua, non vuoi arrossire. 4E ora gridi verso di me: “Padre mio, amico della mia giovinezza tu sei! 5Manterrà egli il rancore per sempre? Conserverà in eterno la sua ira?”. Così parli, ma intanto commetti tutto il male che puoi». 6Il Signore mi disse al tempo del re Giosia: «Hai visto ciò che ha fatto Israele, la ribelle? Si è recata su ogni luogo elevato e sotto ogni albero verde per prostituirsi. 7E io pensavo: “Dopo che avrà fatto tutto questo tornerà a me”; ma ella non è ritornata. La sua perfida sorella Giuda ha visto ciò, 8ha visto che ho ripudiato la ribelle Israele proprio per tutti i suoi adultèri, consegnandole il documento del divorzio, ma la sua perfida sorella Giuda non ha avuto alcun timore. Anzi, anche lei è andata a prostituirsi, 9e con il clamore delle sue prostituzioni ha contaminato la terra; ha commesso adulterio davanti alla pietra e al legno. 10E nonostante questo, la sua perfida sorella Giuda non è ritornata a me con tutto il cuore, ma soltanto con menzogna». Oracolo del Signore. 11Allora il Signore mi disse: «Israele ribelle si è dimostrata più giusta della perfida Giuda. 12Va’ e grida queste cose verso il settentrione: Ritorna, Israele ribelle, dice il Signore. Non ti mostrerò la faccia sdegnata, perché io sono pietoso. Oracolo del Signore. Non conserverò l’ira per sempre. 13Su, riconosci la tua colpa, perché sei stata infedele al Signore, tuo Dio; hai concesso il tuo amore agli stranieri sotto ogni albero verde, e non hai ascoltato la mia voce. Oracolo del Signore. 14Ritornate, figli traviati – oracolo del Signore – perché io sono il vostro padrone. Vi prenderò uno da ogni città e due da ciascuna famiglia e vi condurrò a Sion. 15Vi darò pastori secondo il mio cuore, che vi guideranno con scienza e intelligenza. 16Quando poi vi sarete moltiplicati e sarete stati fecondi nel paese, in quei giorni – oracolo del Signore – non si parlerà più dell’arca dell’alleanza del Signore: non verrà più in mente a nessuno e nessuno se ne ricorderà, non sarà rimpianta né rifatta. 17In quel tempo chiameranno Gerusalemme “Trono del Signore”, e a Gerusalemme tutte le genti si raduneranno nel nome del Signore e non seguiranno più caparbiamente il loro cuore malvagio. 18In quei giorni la casa di Giuda andrà verso la casa d’Israele e verranno insieme dalla regione settentrionale nella terra che io avevo dato in eredità ai loro padri. 19Io pensavo: “Come vorrei considerarti tra i miei figli e darti una terra invidiabile, un’eredità che sia l’ornamento più prezioso delle genti!”. Io pensavo: “Voi mi chiamerete: Padre mio, e non tralascerete di seguirmi”. 20Ma come una moglie è infedele a suo marito, così voi, casa di Israele, siete stati infedeli a me». Oracolo del Signore. 21Sui colli si ode una voce, pianto e gemiti degli Israeliti, perché hanno reso tortuose le loro vie, hanno dimenticato il Signore, loro Dio. 22«Ritornate, figli traviati, io risanerò le vostre ribellioni». «Ecco, noi veniamo a te, perché tu sei il Signore, nostro Dio. 23In realtà, menzogna sono le colline, e le grida sui monti; davvero nel Signore, nostro Dio, è la salvezza d’Israele. 24L’infamia ha divorato fin dalla nostra giovinezza il frutto delle fatiche dei nostri padri, le loro greggi e i loro armenti, i loro figli e le loro figlie. 25Corichiamoci nella nostra vergogna, la nostra confusione ci ricopra, perché abbiamo peccato contro il Signore, nostro Dio, noi e i nostri padri, dalla nostra giovinezza fino ad oggi; non abbiamo ascoltato la voce del Signore, nostro Dio».

[4,1«Se vuoi davvero ritornare, Israele, a me dovrai ritornare. Se vuoi rigettare i tuoi abomini, non dovrai più vagare lontano da me. 2Se giurerai per la vita del Signore, con verità, rettitudine e giustizia, allora le nazioni si diranno benedette in te e in te si glorieranno. 3Infatti così dice il Signore agli uomini di Giuda e a Gerusalemme: Dissodatevi un terreno e non seminate fra le spine. 4Circoncidetevi per il Signore, circoncidete il vostro cuore, uomini di Giuda e abitanti di Gerusalemme, perché la mia ira non divampi come fuoco e non bruci senza che alcuno la possa spegnere, a causa delle vostre azioni perverse.]

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Approfondimenti

Invito alla conversione 3,1-4,4 Abbiamo qui intrecciate due composizioni che il tema comune della conversione del popolo, sollecitata con insistenza e prospettata per il futuro, spingeva ad accostare. Solo che i due componimenti sono stati innestati l'uno nell'altro e propriamente il poema più ampio è stato posto come cornice (3,1-5 e 3,19-4,4) entro cui sono stati inseriti due poemi più brevi (3,6-13 e 3,14-18). Il risultato è una vivace sequenza che parte dalla constatazione della totale contaminazione di Israele 3,1-5) per giungere all'invito pressante a convertirsi (4,1-4), passando per la promessa che Dio accoglierà sia Israele che Giuda (3,6-13.14-18) e per l'umile confessione da parte del popolo che la scelta idolatrica è fallimentare e solo nella fedeltà a Dio si può avere benessere (3,21-25). Al primo periodo dell'attività profetica di Geremia quasi certamente appartengono i brani di cornice: la forte carica di fiducia nella conversione del popolo è tipica di quel periodo, e l'invito al regno del Nord (3,6-13) ha senso solo al tempo di Giosia. Il terzo brano, invece (3, 4-18), sembra posteriore, quanto meno nella redazione attuale, e pare supporre la distruzione di Gerusalemme, dunque il 587.

3,1-5. Una norma di diritto matrimoniale, propria della legislazione deuteronomica (cfr. Dt 24,1-4), proibisce di riprendere come moglie una donna da cui si è divorziato. Israele, che ha tradito Dio suo sposo con l'idolatria insistente e pertinace, non può pensare di rientrare nella condizione di prima. Ma al di là dello spunto legale, che sembrerebbe escludere ogni possibilità di redenzione, s'intravede la disponibilità di Dio a riammettere la sposa infedele se non si ostinasse (v. 5) nella sua condotta perversa. Tranne il v. 1, questa breve unità riprende le tematiche di 2,5-37. Giuda si è comportato da prostituta nei confronti di JHWH suo sposo e lo ha fatto con tale intensità che la terra stessa è tutta contaminata. L'immagine della donna infedele che aspetta lungo la via i suoi amanti richiama le alleanze politiche condannate in 2,36, anche se l'accenno alla terra contaminata fa forse riferimento ai culti cananei della fertilità. Il linguaggio è in parte ambiguo, poiché le metafore erotiche e sponsali servono a descrivere sia il legame tra JHWH e il suo popolo, sia le alleanze politiche con altri stati, sia talune pratiche religiose. Non sempre si può decidere con chiarezza a quale di questi tre fatti il testo faccia riferimento (e qui si può escludere che sovente il riferimento sia a tutti).

6-13. Segue ora una sezione in prosa che si presenta quasi come un commento al tema del “divorzio” del v. 1 e all'Israele ribelle del v. 12. Diversi commentatori la attribuiscono a un editore deuteronomista. Il peccato di Giuda fa sembrare Samaria “giusta” (cfr. Ez 16,51) e meno colpevole. Ciò che rende Giuda più colpevole di Israele è il fatto che esso aveva di fronte a sé la sorte penosa toccata a Israele come monito, ma non se ne è curato. La risposta di Giuda al ripudio divino d'Israele (cioè la distruzione del regno del Nord e la deportazione della sua popolazione da parte degli Assiri) è stato un comportamento simile a quello nel regno del Nord (cioè si è prostituito agli dei falsi). La condotta di Giuda è talmente perversa che persino il suo ritorno a JHWH è puramente espressione di falsità (v. 10). Nel v. 12 il profeta si volge verso le popolazioni del settentrione e le incita a «ritornare»: non è chiaro però se con tale verbo (šwb), che è un vocabolo chiave di Geremia, l'oracolo intenda invitare al pentimento (questo è uno dei significati possibili del verbo stesso), o a ritornare dall'esilio. Il tema del poema sembra suggerire il primo significato.

14-18. Mentre nei vv. 12-13 la comunità cui il profeta si rivolge è esortata a convertirsi (šwb), ora invece il profeta esorta gli esiliati a ritornare (šwb) a Sion. Questo non elimina l'esigenza di conversione (si noti l'espressione «figli traviati»); l'attenzione tuttavia si sposta: il tema del ritorno a Sion è centrale negli oracoli contenuti nei cc. 30-31 (intitolati da alcuni interpreti «libro della conversione») e suppone gli eventi del 587 a.C. Il ritorno a Sion prevede anzitutto un rinnovamento della classe dirigente (i «pastori», v. 15): non più una classe di corrotti reggerà le sorti del popolo, ma dirigenti che si preoccupano del benessere della popolazione. Un ulteriore segno del rinnovamento è dato dall'assenza dell'arca dell'alleanza nel futuro assetto della città. Il passo suppone ormai scomparso questo elemento del tempio salomonico che si faceva risalire a Mosè. Probabilmente l'arca scomparve con la distruzione di Gerusalemme provocata da Nabucodonosor nel 587 a.C., ma la Bibbia non specifica questo fatto (i resoconti degli avvenimenti affermano soltanto che il re babilonese ha portato via i vasi sacri). Secondo 2Cr 35,3 l'arca era ancora nel tempio all'epoca di Giosia, ma il versetto in questione non è di chiara interpretazione; qualche interprete ha ipotizzato che l'arca sia stata distrutta all'epoca del re Manasse, che l'avrebbe sostituita con un'immagine di Asera. Il profeta annuncia che nella nuova condizione in cui saranno posti i rimpatriati, non si farà più alcun riferimento all'arca: e come talvolta si è pensato all'arca come trono di JHWH, allora il riferimento sarà all'intera città (cfr. 17,12 dove il trono è il tempio), alla quale confluiranno tutti i popoli nel nome del Signore. Il pellegrinaggio delle nazioni a Gerusalemme è l'espressione di una speranza rivolta al futuro, l'attesa che le nazioni vengano a Gerusalemme per imparare la legge e per servire JHWH (cfr. Is 2,2-4; Mic 4,1-3; Zc 14,16-19).

3,19-4,4. Il brano riprende il tema della conversione di Giuda, dichiarata impossibile in 3,1-5: l'impossibilità legale viene superata dall'amore di Dio, che è insieme padre e sposo, ma è necessaria una risposta d'amore da parte del suo popolo. Il v. 19 ripropone in prospettiva mutata i temi di 2,2.7: la sequela fedele della sposa, caratteristica del tempo del deserto (cfr. 2,2), si fa speranza per l'avvenire (v. 19c), così come il dono della terra, fatto nel passato (cfr. 2,7), si fa ora auspicio per il futuro (v. 19b). In effetti, un grido di pentimento si leva da Israele (vv. 21-25): il popolo confessa la sua colpa, condanna le scelte precedenti come fallaci, di nuovo si rivolge a Dio: solo lui è salvatore. Questa idea è cara a Geremia: gli idoli sono impotenti, vani, incapaci di operare la salvezza (cfr. 2,28; 14,22...). Anzi, portano a rovina (v. 24): la distruzione dei raccolti è opera dell'«infamia» (ebr. boset, termine con cui a un certo momento si cominciò a designare Baal: cfr. 11,13) e allora non resta che «avvolgersi» in quella «infamia» (boset) come in un drappo mortuario. Questa però non è la conversione che salva: è chiusura in se stessi e non apertura a Dio. Ora, è a Dio che bisogna guardare per riprendere ad andargli dietro (cfr. 2,2), cessando di «vagare lontano». Al dono di Dio deve corrispondere l'impegno dell'uomo (v. 3-4): arare per una nuova semina, preparare un novale; passare dalla religione esteriore a quella interiore. La “circoncisione del cuore” infatti, è l'attenzione a orientare per Dio le scelte di fondo, non accontentandosi dell'adesione formale. In forza della circoncisione esterna l'Ebreo entrava a far parte del popolo dell'alleanza. Per Geremia tuttavia l'alleanza si iscrive nel «cuore» e lì deve collocarsi la circoncisione. L'espressione «circoncidete il vostro cuore» (cfr. anche Dt 10,16; 30,6; Lv 26,41) è evidentemente una metafora, del resto non unica nell'AT in riferimento alla circoncisione (Ger 6,10: «orecchio incirconciso»; Lv 19,23-25:«frutti incirconcisi»). Per comprenderne il significato occorre anzitutto tener presente che il vocabolo ebraico leb, da noi tradotto in genere con cuore, indica nell'AT l'interiorità dell'uomo, da dove sgorgano i pensieri e dove si prendono le decisioni fondamentali. A questo livello si colloca l'espressione e la metafora usata anche dal profeta investe soprattutto il piano morale e, senza contrapporsi al rito concreto della circoncisione, sottolinea la disposizione interiore quale elemento determinante della relazione Dio-popolo. In tal senso va compreso il v. 4 che conclude l'oracolo sulla conversione d'Israele: «Circoncidetevi per il Signore ed eliminate il prepuzio (lett. «i prepuzi») del vostro cuore». L'oracolo divino insiste sulla necessità di un cambiamento radicale, che culmina in due metafore: la prima che dice di arare «un terreno incolto e di non seminare tra le spine», la seconda di «circoncidersi per il Signore», ma non il prepuzio fisico, bensì quello del cuore. Il profeta mostra quindi che l'esigenza di conversione richiede di attuare qualcosa di assolutamente nuovo: non si tratta di rifare ciò che si è fatto male (il terreno finora seminato è pieno di spine, v. 3; la circoncisione finora praticata non ha dato i risultati attesi, v. 4), ma di ricominciare con nuove premesse, cioè lasciando che l'opera di Dio (quindi la sua parola, con le sue esigenze di verità, rettitudine e giustizia, v. 2) si innesti su un terreno totalmente nuovo, il cuore, l'interiorità dell'uomo che sta alla radice delle decisioni buone o malvagie di ciascuno.

(cf. EMILIANO VALLAURI e FLAVIO DELLA VECCHIA, Geremia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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ORACOLI CONTRO GIUDA

Oracoli al tempo di Giosia

Infedeltà d'Israele 1Mi fu rivolta questa parola del Signore: 2«Va’ e grida agli orecchi di Gerusalemme: Così dice il Signore: Mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in terra non seminata. 3Israele era sacro al Signore, la primizia del suo raccolto; quanti osavano mangiarne, si rendevano colpevoli, la sventura si abbatteva su di loro. Oracolo del Signore. 4Udite la parola del Signore, casa di Giacobbe, voi, famiglie tutte d’Israele! 5Così dice il Signore: Quale ingiustizia trovarono in me i vostri padri per allontanarsi da me e correre dietro al nulla, diventando loro stessi nullità? 6E non si domandarono: “Dov’è il Signore che ci fece uscire dall’Egitto, e ci guidò nel deserto, terra di steppe e di frane, terra arida e tenebrosa, terra che nessuno attraversa e dove nessuno dimora?”. 7Io vi ho condotti in una terra che è un giardino, perché ne mangiaste i frutti e i prodotti, ma voi, appena entrati, avete contaminato la mia terra e avete reso una vergogna la mia eredità. 8Neppure i sacerdoti si domandarono: “Dov’è il Signore?”. Gli esperti nella legge non mi hanno conosciuto, i pastori si sono ribellati contro di me, i profeti hanno profetato in nome di Baal e hanno seguito idoli che non aiutano. 9Per questo intenterò ancora un processo contro di voi – oracolo del Signore – e farò causa ai figli dei vostri figli. 10Recatevi nelle isole dei Chittìm e osservate, mandate gente a Kedar e considerate bene, vedete se è mai accaduta una cosa simile. 11Un popolo ha cambiato i suoi dèi? Eppure quelli non sono dèi! Ma il mio popolo ha cambiato me, sua gloria, con un idolo inutile. 12O cieli, siatene esterrefatti, inorriditi e spaventati. Oracolo del Signore. 13Due sono le colpe che ha commesso il mio popolo: ha abbandonato me, sorgente di acqua viva, e si è scavato cisterne, cisterne piene di crepe, che non trattengono l’acqua. 14Israele è forse uno schiavo, o è nato servo in casa? Perché è diventato una preda? 15Contro di lui ruggiscono leoni con ruggiti minacciosi. Hanno ridotto la sua terra a deserto, le sue città sono state bruciate e nessuno vi abita. 16Persino le genti di Menfi e di Tafni ti hanno umiliata radendoti il capo. 17Non ti accade forse tutto questo perché hai abbandonato il Signore, tuo Dio, al tempo in cui era tua guida nel cammino? 18E ora, perché corri verso l’Egitto a bere l’acqua del Nilo? Perché corri verso l’Assiria a bere l’acqua dell’Eufrate? 19La tua stessa malvagità ti castiga e le tue ribellioni ti puniscono. Renditi conto e prova quanto è triste e amaro abbandonare il Signore, tuo Dio, e non avere più timore di me. Oracolo del Signore degli eserciti. 20Già da tempo hai infranto il giogo, hai spezzato i legami e hai detto: “Non voglio essere serva!”. Su ogni colle elevato e sotto ogni albero verde ti sei prostituita. 21Io ti avevo piantato come vigna pregiata, tutta di vitigni genuini; come mai ti sei mutata in tralci degeneri di vigna bastarda? 22Anche se tu ti lavassi con soda e molta potassa, resterebbe davanti a me la macchia della tua iniquità. Oracolo del Signore. 23Come osi dire: “Non mi sono contaminata, non ho seguito i Baal”? Guarda nella valle le tracce dei tuoi passi, riconosci quello che hai fatto, giovane cammella leggera e vagabonda! 24Asina selvatica, abituata al deserto: quando ansima nell’ardore del suo desiderio, chi può frenare la sua brama? Quanti la cercano non fanno fatica: la troveranno sempre disponibile. 25Férmati prima che il tuo piede resti scalzo e la tua gola inaridisca! Ma tu rispondi: “No, è inutile, perché io amo gli stranieri, voglio andare con loro”. 26Come viene svergognato un ladro sorpreso in flagrante, così restano svergognati quelli della casa d’Israele, con i loro re, i loro capi, i loro sacerdoti e i loro profeti. 27Dicono a un pezzo di legno: “Sei tu mio padre”, e a una pietra: “Tu mi hai generato”. A me rivolgono le spalle, non la faccia; ma al tempo della sventura invocano: “Àlzati, salvaci!”. 28Dove sono gli dèi che ti sei costruito? Si alzino, se sono capaci di salvarti nel tempo della sventura; poiché numerosi come le tue città sono i tuoi dèi, o Giuda! 29Perché contendete con me? Tutti vi siete ribellati contro di me. Oracolo del Signore. 30Invano ho colpito i vostri figli: non hanno imparato la lezione. La vostra spada ha divorato i vostri profeti come un leone distruttore. 31Voi di questa generazione, fate attenzione alla parola del Signore! Sono forse divenuto un deserto per Israele o una terra dov’è sempre notte? Perché il mio popolo dice: “Siamo liberi, non verremo più da te”? 32Dimentica forse una vergine i suoi ornamenti, una sposa la sua cintura? Eppure il mio popolo mi ha dimenticato da giorni innumerevoli. 33Come sai scegliere bene la tua via in cerca di amore! Anche alle donne peggiori hai insegnato le tue strade. 34Sull’orlo delle tue vesti si trova persino il sangue di poveri innocenti, da te non sorpresi a scassinare! Eppure per tutto questo 35tu protesti: “Io sono innocente, perciò la sua ira si è allontanata da me”. Ecco, io ti chiamo in giudizio, perché hai detto: “Non ho peccato!”. 36Con quale leggerezza cambi strada? Anche dall’Egitto sarai delusa, come fosti delusa dall’Assiria. 37Anche di là tornerai con le mani sul capo, perché il Signore ha respinto coloro nei quali confidi; da loro non avrai alcun vantaggio.

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Approfondimenti

Oracoli al tempo di Giosia 2,1-6,30 Tutta la sezione rappresentata dai cc. 2-6 va probabilmente ricondotta, nel suo complesso, alla prima attività profetica di Geremia sotto Giosia. Soprattutto il c. 2 costituisce un bell'esempio della sua predicazione in tale periodo, allorché, giovane sacerdote di Anatot, si trova ad affrontare il pubblico della capitale per contestare vizi e inadempienze nei confronti della legge di Dio. Lo schema del capitolo è quello tradizionale della denuncia, a partire dal richiamo dei benefici divini per mostrare l'ingratitudine del popolo che si abbandona all'idolatria e all'immoralità più sfacciate, e ricordare che le sventure e i malanni sono la punizione di Dio per tali infedeltà all'alleanza. Ma entro lo schema il profeta si muove con sufficiente libertà di riflessione e di stile, lasciando già emergere le caratteristiche della sua predicazione fatta di tenerezza e di rudezza insieme, di speranza di ravvedimento e di acuta percezione del male, di accorati richiami e di minacce non velate. Letterariamente il brano mostra una certa dipendenza tematica e stilistica da scrittori precedenti (ad es. il presentare Israele come fidanzata di Dio proviene da Osea e l'immagine della vigna, v. 21, da Isaia) ma il profeta sta già trovando il suo mondo concettuale e poetico con riflessioni, temi e moduli espositivi (girandola di immagini spesso felici e incisive: la cisterna, la cammella selvatica) che diventeranno poi caratteristici. Alla base di tutto, il senso profondo di Dio e delle sue esigenze. Più che una successione logica e organica di pensieri possiamo cercare nel comportamento una scansione di temi, che però possono essere accennati, sospesi e ripresi a distanza.

Infedeltà d'Israele 2,1-37 Il testo può essere così suddiviso:

  • vv. 1-3: l'amore di un tempo;
  • vv. 4-9: riepilogo storico e accusa di infedeltà;
  • vv. 10-13: l'accusa è ulteriormente accentuata;
  • vv. 14-19: il contrasto tra la situazione attuale d'Israele (schiavo) e la sua identità originaria;
  • vv. 20-28: nuove accuse di infedeltà per l'idolatria dilagante;
  • vv. 29-32: Dio non è stato a guardare;
  • vv. 33-37: Israele ha cambiato strada.

1-3. Il primo momento è una rievocazione commossa e partecipe degli esordi di Israele come popolo, a partire dall'esperienza del deserto. Geremia non ricorda subito l'esodo dall'Egitto (cfr. v. 6) perché ora non gi preme tanto richiamare l'intervento di Dio quanto sottolineare la mancata corrispondenza del popolo, o meglio, contrapporre la risposta generosa degli inizi alla situazione che fece seguito all'ingresso in Canaan. L'epoca del deserto è presentata come il periodo del fidanzamento, quando la fedeltà non era solo osservata ma vissuta con «affetto».

4-9. L'entrata in Canaan ha rovesciato la situazione: secondo Geremia la civiltà cananea è la responsabile dell'apostasia del popolo di Dio. In questa valutazione il profeta non è mosso da un ideale nomadico che lo spinge a demonizzare la sedentarizzazione e auspicare l'abbandono dei campi. Riconosce che la terra fertile è dono di JHWH (V. 7), tanto più apprezzabile per chi ha sperimentato il deserto (v. 6). Ma ha presente la realtà storica dell impatto deviante con la cultura cananea e di riflesso è portato a colorire del tutto positivamente l'esperienza precedente che altre tradizioni (ad es Esodo e Numeri) presentano invece come ricca di tradimenti e defezioni (si pensi al “vitello d'oro”). Al dono nuziale della terra, Israele ha risposto con la profanazione. È probabile che proprio così si siano svolti i fatti, tenuto conto del fascino esercitato dalla religione naturistica cananea sugli immigrati, proprio allora convertiti all'agricoltura in quella zona. Ma nella prospettiva geremiana del matrimonio fra Dio e Israele questa scelta ha il sapore di una profanazione del talamo, tanto più che i riti cananei avevano una forte connotazione sessuale, cui il profeta potrebbe alludere con il verbo «avete contaminato» (v. 7) che talvolta è usato per indicare comportamenti devianti in proposito (cfr. Gn 34,5.13.27; Es 16,6.11.15; 22,11; 33,26; 23,17). Più insistentemente è richiamata la rottura del vincolo, evidenziata dall'allontanamento (v. 5): mentre prima, nel deserto, Israele «seguiva» il marito, come sposa devota (v. 2) partecipando così della sua santità, sacralità (v. 3) e potenza di vittoria, ora «segue» gli idoli, esseri «vani», inconsistenti, incapaci di sostenere nella vita, diventando così partecipe della loro vacuità esistenziale.

10-13. Non s'è mai visto nulla di simile, neppure tra i pagani, per quanto uno esamini i popoli dall'Occidente (Kittim corrisponde propriamente a Cipro, ma qui sta a indicare le terre al di là del mare) all'Oriente (Kedar è zona al di là del Giordano) e il profeta stigmatizza la stoltezza di un comportamento che cambia un bene prezioso, qual è Dio, con una sua contraffazione inconsistente, con un idolo. L'immagine dell'acqua, che segue, particolarmente felice e destinata a diventare classica, è tanto più efficace se riferita alla Palestina così povera di acqua sorgiva.

14-19. Un atteggiamento simile non poteva non essere disastroso: i castighi già se li è procurati il popolo con le sue azioni: Israele si è ridotto alla condizione di schiavo, alla mercé di padroni spietati che ne succhiano le risorse riducendolo al lastrico. Comunque si spieghi l'accenno agli Egiziani («figli di Menfi e di Tafni»), fuori luogo agli inizi della carriera profetica di Geremia e forse aggiunto nel 605, si richiama con ciò la metafora precedente dell'acqua: le «cisterne» screpolate sono i grandi imperi, egiziano e mesopotamico, indicati dai rispettivi fiumi (Nilo, Eufrate) ai quali Giuda fa alternativamente riferimento per avere salvezza, ottenendone invece rovina.

20-29. Giuda con caparbietà ha fatto la sua scelta: non JHWH, ma gli idoli sono il suo giogo. Ebbene; vengano gli idoli a salvarlo ora che è allo sfascio. Entro questa cornice (cfr. vv. 20 e 28), il tema degli idoli è sviluppato con diverse connotazioni, tra cui predomina, in confronto al brano precedente, l'impostazione oseana dell'idolatria come prostituzione. Geremia la sfrutta con insistenza persino, si direbbe, esagerata. La «valle» (v. 23) – è forse quella della Geenna, in cui si trovava il Tofet – è percorsa da Israele come da una «cammella» imbizzita, le alture sacre come da un'«asina» sempre in calore. Il profeta ha un accenno di ironia: tanto scalmanarsi non finirà per consumare le sue calzature, per farla restare a gola secca (v. 25)? Ma ecco riemergere l'amara realtà di un Dio messo da parte per «un pezzo di legno» e «una pietra» (v. 27). Il Tofet (cfr. Is 30,33; Ger 7,31-32; 19,6) era un luogo situato nella valle di Innom (Geenna). La derivazione del nome è incerta, ma è chiaro che la pronuncia attuale è una deformazione intenzionale dei masoreti per assimilarne il suono al vocabolo bôšet («vergogna»). La Bibbia indica che in questo luogo gli Israeliti idolatri facevano passare per il fuoco i loro figli e le loro figlie. Il rito è menzionato inoltre dai Padri della Chiesa che commentando e traducendo l'AT danno il nome di Moloch alla divinità destinataria di questo tipo di sacrificio. Gli scavi effettuati in molte città fenicie hanno portato alla luce numerosi santuari a cielo aperto con migliaia di urne di terracotta contenenti ceneri e ossa bruciate di bambini in tenera età. Le stele ivi ritrovate ricordano un rito chiamato molk e offerto a Tanit e Baal Ammon da parte di privati cittadini, uomini e donne, per ringraziare, o con l'auspicio di un esaudimento alla richiesta fatta alle divinità. Non è tuttavia certo, allo stato attuale degli studi, che ci si trovi in presenza di una diffusa pratica del sacrificio dei fanciulli (questo soprattutto in ambito fenicio), sia perché le fonti classiche che citano questo rito lo menzionano come eccezionale, sia perché talvolta le fonti stesse riflettono una intenzionale propaganda denigratoria anticartaginese. L'oriente fenicio è muto al riguardo e gli stessi dati biblici potrebbero far riferimento a riti di carattere “iniziatico”, dove il passaggio attraverso il fuoco potrebbe avere un significato purificatore, non necessariamente sacrificale.

30-32. Questo Dio tradito insiste però nel richiamare la nazione fedifraga con castighi, anche se inutili. Dio stesso infatti si presenta come all'origine delle sventure del popolo (v. 30): lo ha fatto per dare una «lezione» nel senso pieno del termine, che è di aiutare ad apprendere. Ma il popolo è cocciuto nel suo rifiuto, e Dio se ne lamenta con parole appassionate, che risentono del linguaggio amoroso (cfr. vv. 31-32).

33-37. Anche se ripetitiva, la denuncia del peccato di Israele tende a inchiodare alle sue responsabilità il popolo che si dichiara spudoratamente «innocente» (v. 35), mentre lo accusano le sue stesse «vesti» (v. 34) che recano evidenti le tracce dei delitti. Nel TM gli innocenti sono i poveri (cfr. Is 3, 14-15), tuttavia l'oppressione dei poveri non è un tema centrale in Geremia e forse abbiamo qui un argomento introdotto nel testo in un secondo tempo. In ogni caso, la conclusione è il preannuncio del fallimento che questa scelta di vita porta necessariamente con sé (v. 37).

(cf. EMILIANO VALLAURI e FLAVIO DELLA VECCHIA, Geremia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Introduzione 1Parole di Geremia, figlio di Chelkia, uno dei sacerdoti che risiedevano ad Anatòt, nel territorio di Beniamino. 2A lui fu rivolta la parola del Signore al tempo di Giosia, figlio di Amon, re di Giuda, l’anno tredicesimo del suo regno, 3e successivamente anche al tempo di Ioiakìm, figlio di Giosia, re di Giuda, fino alla fine dell’anno undicesimo di Sedecìa, figlio di Giosia, re di Giuda, cioè fino alla deportazione di Gerusalemme, avvenuta nel quinto mese di quell’anno.

Vocazione del profeta 4Mi fu rivolta questa parola del Signore: 5«Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni». 6Risposi: «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». 7Ma il Signore mi disse: «Non dire: “Sono giovane”. Tu andrai da tutti coloro a cui ti manderò e dirai tutto quello che io ti ordinerò. 8Non aver paura di fronte a loro, perché io sono con te per proteggerti». Oracolo del Signore. 9Il Signore stese la mano e mi toccò la bocca, e il Signore mi disse: «Ecco, io metto le mie parole sulla tua bocca. 10Vedi, oggi ti do autorità sopra le nazioni e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare». 11Mi fu rivolta questa parola del Signore: «Che cosa vedi, Geremia?». Risposi: «Vedo un ramo di mandorlo». 12Il Signore soggiunse: «Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla». 13Mi fu rivolta di nuovo questa parola del Signore: «Che cosa vedi?». Risposi: «Vedo una pentola bollente, la cui bocca è inclinata da settentrione». 14Il Signore mi disse: «Dal settentrione dilagherà la sventura su tutti gli abitanti della terra. 15Poiché, ecco, io sto per chiamare tutti i regni del settentrione. Oracolo del Signore. Essi verranno e ognuno porrà il proprio trono alle porte di Gerusalemme, contro le sue mura, tutt’intorno, e contro tutte le città di Giuda. 16Allora pronuncerò i miei giudizi contro di loro, per tutta la loro malvagità, poiché hanno abbandonato me e hanno sacrificato ad altri dèi e adorato idoli fatti con le proprie mani. 17Tu, dunque, stringi la veste ai fianchi, àlzati e di’ loro tutto ciò che ti ordinerò; non spaventarti di fronte a loro, altrimenti sarò io a farti paura davanti a loro. 18Ed ecco, oggi io faccio di te come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. 19Ti faranno guerra, ma non ti vinceranno, perché io sono con te per salvarti». Oracolo del Signore.

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Approfondimenti

Introduzione 1,1-3 L'intestazione del libro ci fornisce i dati sull'origine del profeta e sui re sotto i quali ha svolto il suo ministero. Geremia è associato ai «sacerdoti che dimoravano in Anatot», villaggio a 6 km a nord di Gerusalemme. Questi sacerdoti sono in relazione con la cacciata di Ebiatar da Gerusalemme per opera di Salomone (cfr. 1Re 2,26-27). Ebiatar, come mostra la sua genealogia (cfr. 1Sam 14,3; 22,20), discendeva da Eli, il sacerdote del tempio di Silo: in Ebiatar intatti giunse a compimento la maledizione pronunciata sulla casa di Eli (cfr. 1Sam 2,30-36). Nella sua persona, Geremia porta la storia di questa famiglia e in effetti il suo apparire al tempio costituirà la memoria viva di una sventura abbattutasi su un altro santuario (cfr. 7,14) e su un altro sacerdozio. Proprio dal luogo in cui Ebiatar tu cacciato nel giorni precedenti la costruzione del tempio viene un uomo che pronuncerà parole funeste contro il tempio di Salomone e assisterà alla distruzione di Gerusalemme.

Vocazione del profeta 1,4-19 Il racconto della chiamata del profeta si segmenta chiaramente in tre parti, a motivo dell'incipit che le caratterizza e che è stereotipato: «Mi fu rivolta la parola di JHWH» (v. 4.11.13). Una quarta parte si può identificare per il fatto che si introduce un nuovo soggetto in posizione enfatica («Tu, dunque,.., v. 17) e vi è un mutamento di contenuto. Discusse sono l'unità compositiva del brano, e il genere letterario: per taluni sarebbe un racconto profetico di vocazione, per altri ci troviamo di fronte all'affidamento di una commissione, in genere riferito ai capi politici, perciò a un racconto che avrebbe la funzione di legittimare teologicamente il potere del capo contestato.

4-10. La visione di vocazione, se confrontata con quella di Is 6 o di Ez 1-2, è molto sobria, spoglia di ogni apparato esterno per cui l'unico elemento visivo è la mano del Signore che tocca la bocca del profeta (v. 9). Se è vero che il modo di vivere l'incontro con il divino è relativo alla personalità del soggetto, fin da questo primo presentarsi Geremia appare riservato, ma anche attento all'essenzialità delle cose, e in tale familiarità con l'altro da permettersi un colloquio non solo privo di timore (cfr. invece Es 6,5; Ez 2,28), ma schietto e audace tanto da fargli opporre alla palese volontà di Dio le proprie preferenze. Siamo di fronte al genere letterario del dialogo di vocazione che poteva comportare un'obiezione per mettere in luce la progressiva presa di coscienza della propria missione, come è attestato per altri casi (cfr. Mosè) in cui, per il chiamato, il contrasto tra aspirazione e missione è stato più acuto fin dagli esordi. Geremia vede gli esiti della sua missione già nel suo concepimento: tutta la sua esistenza è stata sotto il segno della chiamata alla missione profetica, nonostante sembrasse umanamente non predisposto. Nella riflessione il profeta si è reso conto che Dio lo ha destinato, «consacrato», a tale missione orientandone («ti conoscevo») tutta la vita («prima di formarti»): il Dio che gli ha plasmato il corpo ha segnato così la sua vicenda umana. Geremia ha lottato per esserne liberato (cfr. le “confessioni”), ma, consapevole della volontà di Dio che gli urgeva dentro come fuoco (cfr. 20,9), ha accettato. Non valgono di fronte a Dio le ragioni di inettitudine umana («sono giovane») perché di contro sta quella forza che tutto fa superare, anche la poca esperienza e la mancanza di autorità morale, connesse con la giovane età. La bocca del profeta ormai è piena della parola di Dio e non potrà che proclamarla, a proprio rischio, a tutti. Ne è coinvolto fino alle midolla. Nel v. 10 troviamo sei verbi che intendono illustrare il compito affidato al profeta. Questi sei verbi ritornano spesso nel libro di Geremia (12, 14.17; 18,7-9; 24,6; 31,28.38.40; 42,10; 4,4), ma soltanto in questo passo hanno come soggetto un essere umano, mentre negli altri casi è sempre JHWH il soggetto di tali azioni. In un certo senso si può affermare che questi verbi sono qui impiegati per riassumere l'opera di Geremia come un'attività che guida i destini delle nazioni (cfr. v. 4: «profeta delle nazioni»).

11-16. Le due visioni, con il commento che le esplicita (v. 14-16), precisano il contenuto della missione di Geremia: annunciare la rovina di Gerusalemme ad opera di un nemico che si affaccia minaccioso dal nord. Dio usa questo nemico come strumento di punizione per l'idolatria del popolo. Un Dio che «vigila» come il «mandorlo» in vista della primavera. Il «mandorlo» in ebraico è indicato con un termine che suona come il verbo «vigilare», sicché il profeta gioca sulle parole: vedo un ramo di “vigilante”... poiché Io sono vigilante...». Un Dio esigente, che non lascia correre; ha una parola che urge verso la realizzazione. La parola è minaccia per chi è infedele e per Israele la minaccia sta per diventare castigo, come una pentola in procinto di rovesciarsi. La minaccia è ancora confusa: il nord è la regione tradizionale da cui provengono le invasioni in Palestina. Comunque, Geremia si avvale di alcuni segnali per annunciare agli Israeliti il castigo che punirà la nazione ribelle.

17-19. Questi versetti riallacciano al racconto di vocazione, riprendendo il tema del compito da svolgere con coraggio, in forza dell'aiuto divino.

(cf. EMILIANO VALLAURI e FLAVIO DELLA VECCHIA, Geremia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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Su chi volgerò lo sguardo? 1Così dice il Signore: «Il cielo è il mio trono, la terra lo sgabello dei miei piedi. Quale casa mi potreste costruire? In quale luogo potrei fissare la dimora? 2Tutte queste cose ha fatto la mia mano ed esse sono mie – oracolo del Signore. Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi trema alla mia parola. 3Uno sacrifica un giovenco e poi uccide un uomo, uno immola una pecora e poi strozza un cane, uno presenta un’offerta e poi sangue di porco, uno brucia incenso e poi venera l’iniquità. Costoro hanno scelto le loro vie, essi si dilettano dei loro abomini; 4anch’io sceglierò la loro sventura e farò piombare su di loro ciò che temono, perché io avevo chiamato e nessuno ha risposto, avevo parlato e nessuno ha udito. Hanno fatto ciò che è male ai miei occhi, ciò che non gradisco hanno scelto».

Prosperità di Gerusalemme e venuta del Signore 5Ascoltate la parola del Signore, voi che tremate alla sua parola. Hanno detto i vostri fratelli che vi odiano, che vi respingono a causa del mio nome: «Mostri il Signore la sua gloria, perché possiamo vedere la vostra gioia!». Ma essi saranno confusi. 6Giunge un rumore, un frastuono dalla città, un rumore dal tempio: è la voce del Signore, che dà la ricompensa ai suoi nemici. 7Prima di provare i dolori, ha partorito; prima che le venissero i dolori, ha dato alla luce un maschio. 8Chi ha mai udito una cosa simile, chi ha visto cose come queste? Nasce forse una terra in un giorno, una nazione è generata forse in un istante? Eppure Sion, appena sentiti i dolori, ha partorito i figli. 9«Io che apro il grembo materno, non farò partorire?», dice il Signore. «Io che faccio generare, chiuderei il seno?», dice il tuo Dio. 10Rallegratevi con Gerusalemme, esultate per essa tutti voi che l’amate. Sfavillate con essa di gioia tutti voi che per essa eravate in lutto. 11Così sarete allattati e vi sazierete al seno delle sue consolazioni; succhierete e vi delizierete al petto della sua gloria. 12Perché così dice il Signore: «Ecco, io farò scorrere verso di essa, come un fiume, la pace; come un torrente in piena, la gloria delle genti. Voi sarete allattati e portati in braccio, e sulle ginocchia sarete accarezzati. 13Come una madre consola un figlio, così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati. 14Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba. La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi, ma la sua collera contro i nemici. 15Poiché, ecco, il Signore viene con il fuoco, i suoi carri sono come un turbine, per riversare con ardore l’ira, la sua minaccia con fiamme di fuoco. 16Con il fuoco infatti il Signore farà giustizia e con la spada su ogni uomo; molti saranno i colpiti dal Signore. 17Coloro che si consacrano e purificano nei giardini, seguendo uno che sta in mezzo, che mangiano carne suina, cose obbrobriose e topi, insieme finiranno – oracolo del Signore – 18con le loro opere e i loro propositi.

Segno tra i popoli e pellegrinaggio a Gerusalemme Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria. 19Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle popolazioni di Tarsis, Put, Lud, Mesec, Ros, Tubal e Iavan, alle isole lontane che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunceranno la mia gloria alle genti. 20Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le genti come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari, al mio santo monte di Gerusalemme – dice il Signore –, come i figli d’Israele portano l’offerta in vasi puri nel tempio del Signore. 21Anche tra loro mi prenderò sacerdoti leviti, dice il Signore. 22Sì, come i nuovi cieli e la nuova terra, che io farò, dureranno per sempre davanti a me – oracolo del Signore –, così dureranno la vostra discendenza e il vostro nome. 23In ogni mese al novilunio, e al sabato di ogni settimana, verrà ognuno a prostrarsi davanti a me, dice il Signore. 24Uscendo, vedranno i cadaveri degli uomini che si sono ribellati contro di me; poiché il loro verme non morirà, il loro fuoco non si spegnerà e saranno un abominio per tutti».

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Approfondimenti

Su chi volgerò lo sguardo? 66,1-4 L'ultimo capitolo della «Visione» forma, insieme al c. 65, un'inclusione con il c. 1 offrendo così la prospettiva della composizione finale della «Visione di Isaia». La frequente ripetizione delle formule «così dice il Signore», «dice il Signore», o di altre espressioni affini, mostra che siamo alla presenza non di un brano unitario, ma di diverse pericopi riunite insieme solo a livello redazionale. Anche i vv. 1-4 costituiscono un'unità redazionale, nella quale si incontrano due detti: il primo è una dichiarazione polemica contro una concezione che assolutizza il valore del tempio (vv. 1-2); il secondo, invece, sviluppa una forte condanna del sincretismo (vv. 3-4).

1-2. Si può scorgere nel testo il messaggio di un gruppo che, senza opporsi radicalmente alla costruzione del tempio, intendeva riallacciarsi alla grande profezia preesilica per sottolineare l'esigenza vitale del rinnovamento interiore.

3-4. Nel nostro passo si accostano espressioni autentiche del culto di Israele a deviazioni proprie dei culti idolatrici per condannare, nella linea di 65,3b-5.7, ogni forma di sincretismo. La condanna è sanzionata in modo da mettere in evidenza la piena corrispondenza tra la colpa e il castigo (vv. 3b-4a) e sottolineare che, lungi dall'essere sorgente di liberazione, il culto degli idoli attira sull'uomo i mali dei quali ha paura. La frase del v. 4bc, praticamente uguale a 65,12b, mostra che la gravità della colpa risiede nell'intimo dell'uomo dove questi compie la scelta di ascoltare il Signore o di chiudersi alla sua parola e alla sua chiamata.

Prosperità di Gerusalemme e venuta del Signore 66,5-18a Questa sezione, il cui carattere unitario è solo redazionale, è il frutto di una “composizione” particolarmente articolata. Il nucleo centrale è rappresentato dall'annuncio salvifico dei vv. 7-14a, che, a sua volta, si trova incorniciato dai vv. 6.14b-16 i quali pongono la promessa della nuova Gerusalemme nel contesto dell'intervento del Signore per compiere il giudizio dei suoi nemici. Infine è stato inserito il v. 5 in modo da unire redazionalmente i vv. 1-4 con 6-16.

5. È un detto di giudizio contro coloro che «odiano» e «respingono» quanti, con sollecita premura, orientano la propria vita secondo la «parola del Signore». Quelli che «odiano» e «respingono» sono chiamati «fratelli». Ne segue che il nostro detto costituisce una testimonianza esplicita della divisione tra due gruppi all'interno del giudaismo postesilico. Non è improbabile che il detto rifletta una situazione creatasi dopo l'inaugurazione della torah ad opera di Esdra.

6. Il termine «frastuono» (cfr. Is 13,4) e l'espressione «che paga il contraccambio» (cfr. Ger 51,6) mostrano che il testo si riferisce al «giorno del Signore» quando si realizzerà il giudizio divino contro tutti i nemici di Israele (cfr. Gl 3,9-17). A livello redazionale questo detto non solo pone la promessa della nuova Gerusalemme nel contesto del giudizio, ma risponde alla sfida sarcastica dei «fratelli» che odiano la comunità di coloro che impegnano la propria esistenza sulla parola del Signore.

7-14a. L'immagine di Sion madre si ispira alle promesse di 49,18-23 e 54,1-3, dove si annuncia il ritorno del Giudei dispersi e la futura prosperità della loro città, nuovamente popolata. Il detto sviluppa l'immagine rilevando il carattere prodigioso e immediato di questa nascita (vv. 7-9). Il paese di Giuda si riempie in un istante di coloro che vivevano nella diaspora. Espresso simbolicamente, Sion genera il proprio popolo, tanto desiderato e capace di perpetuarsi (figlio «maschio»), prima ancora di sentire le doglie (v. 7). L'annuncio di salvezza ha come conseguenza un'esplosione di gioia (vv. 10-11) che, nell'attuale contesto, ha anche la funzione di rispondere alla sfida di coloro che avversano quanti aderiscono con impegno solerte e zelante alla parola del Signore (cfr. v. 5). Nel contesto della tristezza che si trasforma in «gioia», l'immagine di Sion madre è presentata nell'atteggiamento di nutrire al proprio petto le sue creature (v. 11). Da Sion, colma di «consolazioni» e abbondante di ricchezza, il popolo attinge, come indica il vocabolario della gioia, la pienezza della propria vita. I vv. 12-14a, che si presentano come un “mosaico di citazioni”, hanno la funzione di commentare le promesse dei v. 7-11 e, in particolare, l'invito alla gioia del v. 10.

14b-17. Il v. 14b, che parla di JHWH in terza persona, non appartiene più al discorso divino dei vv. 7-14a, ma segna il passaggio ai vv. 15-16 che costituiscono, insieme ai v. 5-6, la cornice all'annuncio salvifico della nuova Gerusalemme. La pace e la gloria appena annunciate sono ora riservate esclusivamente ai «servi» del Signore (cfr. 65,8.13-15). Invece i nemici, che sono da identificare con il gruppo che odia i giusti (cfr. v. 5), si troveranno sotto l'ira divina (v. 14b). La metafora, da un lato, sottolinea che la colpa non è intesa solo come violazione di una legge astratta, ma è compresa come un venir meno a un rapporto interpersonale d'amore che unisce Israele al Signore; dall'altro, afferma che la forza del male non infirma la potenza e santità di Dio, ma si ritorce sul peccatore stesso con il suo dinamismo di disgregazione e di rovina. I vv. 15-16 sono una “teofania di giudizio” che narra la venuta del Signore nella pienezza della sua potenza per liberare il popolo dall'oppressione del nemico (cfr. 13,3-16; 29,6 30,27-28; 34). L'antica teofania per la salvezza d'Israele dal nemico che ne minacciava l'esistenza, appare qui, come nel v. 6, trasformata nel giudizio contro le nazioni della terra e quindi contro tutte le forze del male coalizzate insieme. Non è improbabile che la prospettiva dei vv. 15-16 rifletta l'influsso di un'apocalittica che si trova al primi passi del suo grandioso cammino. Il v. 17, di difficile interpretazione, in origine probabilmente veniva dopo il v. 14b, dal quale lo ha separato l'aggiunta dei vv. 15-16. La descrizione dei riti idolatrici, che attirano il giudizio divino sui Giudei che hanno rinnegato la propria fede, è affine a quella di 65,3b-5.7b. Gli elementi nuovi sono dati dalla descrizione ironica dei Giudei che «si consacrano e purificano» per compiere i riti idolatrici e dalla locuzione «seguendo uno (o una) che sta in mezzo». L'espressione sembra supporre la guida di un sacerdote o di una sacerdotessa che inizia i membri alle conoscenze segrete inerenti ai culti praticati.

Segno tra i popoli e pellegrinaggio a Gerusalemme 66,18b-24 È un brano con una evidente caratterizzazione escatologica, che però non forma un blocco unitario. I vv. 18-21, in prosa, se si eccettua il v. 20, presentano l'intervento del Signore che raduna «tutti i popoli» tra i quali alcuni saranno presi come «sacerdoti e leviti». I vv. 22-24 descrivono l'effetto del raduno dei popoli: il pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme e la fine di quanti si sono ribellati a JHWH.

18b-21. Richiamandosi all'annuncio della venuta di JHWH per giudicare il mondo (v. 15), il testo sottolinea che la condanna dei popoli non costituisce l'unico scopo dell'intervento divino. Il Signore viene anzitutto per «radunare tutti i popoli e tutte le lingue». La promessa del «segno» posto tra i popoli (v. 19a) allude probabilmente alla diaspora dei Giudei che, in linea con la visione universalistica del nostro brano, è interpretata come uno strumento per portare nel mondo la conoscenza di JHWH. La lista dei popoli, tratta da Ez 27,10-13; 38,2, e forse secondaria, situa la promessa in un grandioso scenario geografico che rievoca l'universalità delle genti con nomi che risvegliano l'immaginazione di terre lontane e lingue diverse: Tarsis (in Sardegna o nella Spagna meridionale), Put (in Egitto), Lud (in Asia Minore), Mesech (la Muski delle iscrizioni cuneiformi assire, a sud del Mar Nero), Ros (menzionata con Mesech e Tubal in Ez 38,2), Tubal (la Tabal delle iscrizioni assire, vicino al Mar Nero) e infine Iavan (la Grecia e in particolare le colonie ionie sulla costa occidentale dell'Asia Minore e nelle isole). La venuta dei popoli nel tempio di Gerusalemme è accompagnata dal ritorno dei «fratelli» giudei della diaspora. Questa prospettiva è delineata dal v. 20 con l'immagine suggestiva dei popoli che, con gesto sacerdotale, portano i Giudei come offerta «nel tempio del Signore». In questo contesto si situa il v. 21 con l'annuncio che il Signore prenderà «anche tra essi... sacerdoti e leviti». E poco probabile che il testo si riferisca ai reduci dalla diaspora dato che essi erano già suddivisi in laici, sacerdoti e leviti (nulla nel contesto porta a pensare all'estensione del sacerdozio a Giudei non appartenenti alla tribù di Levi). L'accento del discorso cade sui popoli che hanno accolto la fede in JHWH, sono divenuti suoi messaggeri e si recano nel tempio accompagnando gli stessi Giudei che vivono nei loro paesi. Il nostro testo quindi, sviluppando e superando l'apertura di 56,6-7, annuncia che anche dai popoli JHWH prenderà alcuni come sacerdoti e leviti. Il carattere inaudito di questa affermazione manifesta l'incommensurabile virtualità della promessa della nuova Sion «riscattata con la giustizia» (1,27) e costituita, come luogo del tempio e della torah, meta di tutti i popoli (2,1-4).

22-24. La «Visione di Isaia» si conclude con tre pro-messe. L'accoglienza delle genti in Gerusalemme e nel suo tempio significa che il popolo del Signore rimarrà sempre alla presenza del suo Dio come i «nuovi cieli» e la «nuova terra» annunciati in 65,17 (v. 22). La locuzione «stare (BC: durare) davanti al Signore» (v. 22) non solo indica stabilità, ma connota anche l'autenticità del popolo. Alla discendenza infedele (1,4) subentra la discendenza che rimane fedele alla propria vocazione e missione nella storia. La seconda promessa (v. 23) riguarda il pellegrinaggio di tutti i popoli («ogni carne» cfr. v. 16; 40,5; Sal 65,7) al tempio («davanti a me»). Questo pellegrinaggio si compirà non solo ogni anno nella festa delle Capanne, come in Zc 14,16, ma al principio di ogni mese (cfr. Nm 28,11-15) e ogni settimana in giorno di sabato (cfr. Nm 28,9-10). Come la creazione del cielo e della terra culminava nell'istituzione del sabato (Gn 2,2-3), così anche la creazione del mondo rinnovato ha il suo apogeo nel culto del sabato. La «Visione di Isaia», che iniziava con una comunità il cui culto non era gradito al Signore (cfr. 1, 11-15), si conclude significativamente con la rappresentazione di un mondo rinnovato nel quale JHWH accoglie non solo il culto del suo popolo, ma quello dell'umanità intera, di «ogni carne» (cfr. 56, 7). Nonostante l'orrore suscitato dalla scena descritta nel v. 24, anche l'ultimo versetto della «Visione» contiene una promessa. Non solo il popolo rinnovato non sarà più costituito da “figli ribelli” (cfr. 1,2), ma la stessa umanità, che si reca pellegrina al tempio di Gerusalemme, uscendo, vedrà nella valle di Ben-Innom (Geenna) i cadaveri di tutti gli «uomini» che si sono ribellati contro JHWH. In questo modo, nella nuova Gerusalemme la ribellione contro il Signore si manifesterà a tutti nella sua realtà funesta di scelta che chiude l'uomo alla salvezza e lo conduce inesorabilmente alla morte. Perciò scomparirà l'infedeltà (cfr. vv. 15-16; 48,22; 57,21) e l'umanità potrà sperimentare nella propria storia la gloria del Signore e celebrare, nel culto del tempio, il dono divino della liberazione e della vita per sempre.

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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I servi del Signore e i ribelli 1Mi feci ricercare da chi non mi consultava, mi feci trovare da chi non mi cercava. Dissi: «Eccomi, eccomi» a una nazione che non invocava il mio nome. 2Ho teso la mano ogni giorno a un popolo ribelle; essi andavano per una strada non buona, seguendo i loro propositi, 3un popolo che mi provocava sempre, con sfacciataggine. Essi sacrificavano nei giardini, offrivano incenso sui mattoni, 4abitavano nei sepolcri, passavano la notte in nascondigli, mangiavano carne suina e cibi immondi nei loro piatti. 5Essi dicono: «Sta’ lontano! Non accostarti a me, che per te sono sacro». Tali cose sono un fumo al mio naso, un fuoco acceso tutto il giorno. 6Ecco, tutto questo sta scritto davanti a me; io non tacerò finché non avrò ripagato abbondantemente 7le vostre iniquità e le iniquità dei vostri padri, tutte insieme, dice il Signore. Costoro hanno bruciato incenso sui monti e sui colli mi hanno insultato; così io misurerò loro in grembo la ricompensa delle loro azioni passate. 8Dice il Signore: «Come quando si trova succo in un grappolo, si dice: “Non distruggetelo, perché qui c’è una benedizione”, così io farò per amore dei miei servi, per non distruggere ogni cosa. 9Io farò uscire una discendenza da Giacobbe, da Giuda un erede dei miei monti. I miei eletti ne saranno i padroni e i miei servi vi abiteranno. 10Saron diventerà un pascolo di greggi, la valle di Acor un recinto per armenti, per il mio popolo che mi ricercherà. 11Ma voi, che avete abbandonato il Signore, dimentichi del mio santo monte, che preparate una tavola per Gad e riempite per Menì la coppa di vino, 12io vi destino alla spada; tutti vi curverete alla strage, perché ho chiamato e non avete risposto, ho parlato e non avete udito. Avete fatto ciò che è male ai miei occhi, ciò che non gradisco, l’avete scelto». 13Pertanto, così dice il Signore Dio: «Ecco, i miei servi mangeranno e voi avrete fame; ecco, i miei servi berranno e voi avrete sete; ecco, i miei servi gioiranno e voi resterete delusi; 14ecco, i miei servi giubileranno per la gioia del cuore, voi griderete per il dolore del cuore, urlerete per lo spirito affranto. 15Lascerete il vostro nome come imprecazione fra i miei eletti: “Così ti faccia morire il Signore Dio”. Ma i miei servi saranno chiamati con un altro nome. 16Chi vorrà essere benedetto nella terra, vorrà esserlo per il Dio fedele; chi vorrà giurare nella terra, giurerà per il Dio fedele, perché saranno dimenticate le tribolazioni antiche, saranno occultate ai miei occhi. 17Ecco, infatti, io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, 18poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, poiché creo Gerusalemme per la gioia, e il suo popolo per il gaudio. 19Io esulterò di Gerusalemme, godrò del mio popolo. Non si udranno più in essa voci di pianto, grida di angoscia. 20Non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni, né un vecchio che dei suoi giorni non giunga alla pienezza, poiché il più giovane morirà a cento anni e chi non raggiunge i cento anni sarà considerato maledetto. 21Fabbricheranno case e le abiteranno, pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto. 22Non fabbricheranno perché un altro vi abiti, né pianteranno perché un altro mangi, poiché, quali i giorni dell’albero, tali i giorni del mio popolo. I miei eletti useranno a lungo quanto è prodotto dalle loro mani. 23Non faticheranno invano, né genereranno per una morte precoce, perché prole di benedetti dal Signore essi saranno, e insieme con essi anche la loro discendenza. 24Prima che mi invochino, io risponderò; mentre ancora stanno parlando, io già li avrò ascoltati. 25Il lupo e l’agnello pascoleranno insieme, il leone mangerà la paglia come un bue, e il serpente mangerà la polvere, non faranno né male né danno in tutto il mio santo monte», dice il Signore.

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Approfondimenti

I servi del Signore e i ribelli 65,1-25 Nella sua forma attuale il capitolo si presenta come una composizione strutturata in due sezioni a loro volta suddivise in due parti.

La prima sezione (vv. 1-12) tratta del destino dei ribelli (vv. 1-7) e stabilisce un confronto tra la sorte dei servi di JHwH e quella di coloro che hanno abbandonato JHWH (vv. 8-12).

La seconda sezione (vv. 13-25) prospetta ancora la sorte dei giusti e dei ribelli (vv. 13-16a) per culminare nella descrizione del destino dei giusti (v. 16b-25).

La netta divisione della comunità in due gruppi, completamente assente nella supplica di 63,7-64,11, mostra che il capitolo nella sua forma attuale non costituisce la risposta del Signore alla preghiera riportata nella pericope precedente, anche se il redattore ha cercato di sviluppare numerose connessioni tra i due testi (cfr. 65,1b.24 con 64,6; 65,2c con 63,17a e 64,4b; 65,6 con 64,11b; 65,7 con 64,5b.6d; 65,8-9 con 63,17c). In realtà Is 65 è stato posto, insieme al c. 66, nella redazione finale della «Visione di Isaia» in modo da formare una grandiosa inclusione con il c. 1. Da vari indizi risulta che il brano è costituito dall'aggregazione di diverse pericopi e perciò non forma una unità originaria, ma solo redazionale.

1-7. Un detto di giudizio che riflette la polemica antidolatrica, inserito successivamente tra la conclusione della supplica di 63,7-64,11 e i vv. 8-16a. La pericope, a quanto sembra, risente l'influsso dell'opera del Cronista nella quale la formulazione specifica del comandamento fondamentale è rappresentata dai verbi «cercare» e «ricercare» il Signore. I vocaboli «gente» e «popolo», come si evince dal contesto, non indicano qui l'intera nazione, ma solo un suo gruppo, caratterizzato come «ribelle». La raffigurazione del Signore, che si rivolge a questo gruppo con lo stesso gesto che l'orante assume verso 1l suo Dio (cfr. Sal 143,6; Is 1,15), appartiene alle immagini più efficaci e suggestive della fede biblica. Purtroppo, però, i «ribelli» non hanno accolto il dono incommensurabile dell'amore divino. Una serie di participi offre un quadro realistico delle azioni compiute dai «ribelli». I sacrifici nei boschetti sacri (cfr. 66,17 e 1,29) erano particolarmente connessi con i riti di fertilità (cfr. 57,5). L'offerta dell'incenso, invece, svolgeva un ruolo importante nel culto di JHWH (cfr. Es 30,1-10), perciò il suo uso in altre azioni cultuali ricevette sempre una decisa condanna. L'espressione «sui mattoni» è di incerto significato potendo indicare sia altari costruiti in mattoni, sia mattoni appositamente riscaldati, sia i mattoni dei terrazzi delle case dove si sacrificava per «la milizia del cielo» (cfr. Ger 19,13). L'ultimo significato sembra più probabile in quanto rispecchia una prassi che, sotto l'influsso della religione astrale assiro-babilonese, era largamente diffusa nel mondo semitico. Nei vv. 4-5a JHWH denuncia altre deviazioni cultuali: la negromanzia «abitare nei sepolcri»), il passare la notte in «nascondigli», o “caverne” per avere un oracolo da un demone o un morto (anziché trovare nella parola del Signore la luce del proprio cammino). Il consumare la carne suina (cfr. 66, 3.17) era proibito nella torah, perché connesso con pratiche cultuali idolatriche (come nel culto cananeo di Ugarit). L'ultimo emistichio del v. 4 si riferisce agli alimenti impuri proibiti in Lv 11 e Dt 14.

8-12. Questa pericope, chiaramente delimitata dalla formula iniziale del messaggero (v. 8) e dalla stessa formula che nel v. 13 introduce una nuova unità, pone direttamente a confronto la sorte di coloro che JHWH chiama «miei servi», miei eletti (vv. 8-10) e coloro che hanno «abbandonato il Signore» (vv. 11-12). La caratterizzazione dei servi ed eletti come popolo che «ricerca» il Signore rinvia alla formulazione del comandamento fondamentale vigente al tempo del Cronista (cfr. Sal 105,4-6 // 1Cr 16,11-13). Anche la locuzione «abbandonare il Signore» (v. 11), di stampo deuteronomistico, assume nel Cronista un valore antitetico alla ricerca del Signore e per questo denota coloro che sono venuti meno all'esigenza, propria del comandamento fondamentale, di un'adesione totale, esclusiva e perenne al Signore (cfr. 2Cr 7,11-22, in particolare i vv. 14.22, con il brano parallelo di 1Re 9,1-9). La pericope, quindi, nella sua redazione attuale presuppone l'opera del Cronista e la sua concezione teologica.

11. «Gad»... «Meni»: Gad è un dio siriano, personificazione della fortuna; Meni è una divinità forse simile alla dea Manat dell'arabia preislamica personificazione del destino.

13-16a. Nella linea dei vv. 8-12, la sorte dei fedeli e dei ribelli è presentata con una serie di quattro antitesi (vv. 13-14), cui segue una sentenza che fissa il carattere definitivo dei rispettivi destini (vv. 15-16a). Le quattro antitesi, ognuna delle quali inizia con l'espressione «Ecco, i miei servi», creano un quadro grandioso che accosta alla benedizione, riservata ai servi del Signore, la corrispondente maledizione riguardante coloro che non si sono aperti alla parola divina. Il carattere definitivo della diversa sorte dei giusti e dei ribelli si trova espresso nel v. 15. Il destino dei secondi sarà tale che il loro nome diventerà per gli eletti una formula di maledizione. L'espressione «Così ti faccia morire il Signore Dio» (come fece morire il tale) è probabilmente una glossa marginale che annotava una formula concreta di maledizione (cfr. Ger 29,22). Ai servi del Signore è invece promesso un nome diverso con il quale si esprimerà l'inizio della nuova era caratterizzata dalla salvezza divina (cfr. 62,2). In tale contesto il v. 16b sottolinea che nell'Israele futuro non ci saranno più riti idolatrici, perché si invocherà la benedizione e si giurerà nel nome del «Dio fedele» (propriamente «Dio dell'Amen»), in altri termini si riconoscerà nel Signore l'unica sorgente della benedizione e l'unico fondamento dell'esistenza in tutte le sue manifestazioni.

16b-25. È un detto di salvezza che prospetta il futuro gioioso della nuova Gerusalemme. La struttura del brano è tripartita: annuncio che la tribolazione passata sarà dimenticata (vv. 16b.17b); promessa della salvezza futura vv. 18-19a); caratteristiche della salvezza annunciata (vv. 19b-24). I vv. 17a e 25 sono stati aggiunti in una fase successiva in modo da situare questo detto salvifico per Gerusalemme e Giuda nel contesto di una trasformazione cosmica che rappresenta una tappa molto vicina alla concezione propria dell'apocalittica.

17. E una inserzione successiva che prospetta, in modo iperbolico, un mondo trasformato e rinnovato dall'opera salvifica del Signore. L'attesa esplicita del «nuovo», iniziata con Geremia (Ger 31,31-34), proseguita successivamente con Ezechiele (Ez 36,24-28) e il Deuteroisaia (Is 43,16-21), raggiunge qui una prospettiva teologica di dimensione cosmica. A tale visione si richiamerà la stessa apocalittica per annunciare la fine di questo mondo quale premessa per l'irruzione del “mondo che deve venire”

19b-23. Nella nuova Gerusalemme la gioia avrà come conseguenza la fine di ogni forma di tristezza e dolore (v. 19b; cfr. 35,10; 51,11); cesserà la mortalità infantile, che nell'antichità aveva un tasso molto alto, e gli anziani giungeranno tutti alla «pienezza dei loro giorni» (v. 20a). Il v. 20b è probabilmente una glossa per la quale la longevità non solo sarà accresciuta, ma rivestirà anche un carattere prodigioso. Insieme alla vita nella nuova Gerusalemme ci sarà la piena libertà come indicano i vv. 21-22a, dove è ancora possibile percepire l'amarezza di chi viveva sotto il dominio straniero ed era costretto a lavorare per gli interessi economici e strategici dell'impero e della sua capitale.

24-25. Il v. 24, forse redazionale, forma una grande inclusione con il v. 1. Il Signore, che si lascia trovare da chi non lo cercava, nella nuova situazione salvifica ascolterà ed esaudirà i suoi eletti prima ancora che gli rivolgano la preghiera. Il tempo del silenzio “insensibile” del Signore, che il popolo sperimentava nell'angustia della sua esistenza (cfr. 64, 11), è finito per sempre. Il v. 25 è un'aggiunta che riflette l'intento armonizzatore della redazione finale. La condizione salvifica descritta nei vv. 16-23 (+24) è delineata con l'immagine paradisiaca di Is 11 6-9. La nuova Gerusalemme ha il suo fulcro nel «santo monte» (v. 25) del Signore, che sarà liberato per sempre da chi opera il male e causa lo sterminio (il verbo ha la stessa radice dello «sterminatore» al quale, in Es 12,23b, JHWH non permette di colpire il suo popolo).

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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[63,19cSe tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti,] 1come il fuoco incendia le stoppie e fa bollire l’acqua, perché si conosca il tuo nome fra i tuoi nemici, e le genti tremino davanti a te. 2Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo, tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti. 3Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui. 4Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie. Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. 5Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. 6Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità. 7Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani. 8Signore, non adirarti fino all’estremo, non ricordarti per sempre dell’iniquità. Ecco, guarda: tutti siamo tuo popolo. 9Le tue città sante sono un deserto, un deserto è diventata Sion, Gerusalemme una desolazione. 10Il nostro tempio, santo e magnifico, dove i nostri padri ti hanno lodato, è divenuto preda del fuoco; tutte le nostre cose preziose sono distrutte. 11Dopo tutto questo, resterai ancora insensibile, o Signore, tacerai e ci umilierai fino all’estremo?

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Approfondimenti

Resterai ancora insensibile? 63,15-64,11

63,19c-64,3*. «Se tu squarciassi i cieli»: l'invocazione ricorre al linguaggio teofanico, simile a numerosi passi della Scrittura (cfr. Es 19,16-18; Gdc 5,4-5; Sal 18,8-16; Ab 3,3-6; Is 66,15-16), perché il popolo si attende che il Signore rinnovi, con un nuovo intervento, la sua potente vittoria sui nemici (64,1; cfr. Sal 82,14-16), vittoria che, per i suo carattere prodigioso, superò ogni attesa (v. 2). Il v. 3 evidenzia il carattere inaudito della salvezza del Signore con un linguaggio che si richiama alla teologia deuteronomistica dell'alleanza (cfr. Dt 4,32-34). Al tempo stesso, in piena aderenza con il contesto della supplica, si presuppone che la “discesa” del Signore, per coloro che lo “attendono” con fiducia, non è solo una realtà del passato, ma un evento che continua a realizzarsi nella storia.

64,4-6. Il Signore visita con la sua salvezza coloro che praticano la giustizia e si ricordano delle sue «vie» (v. 4a). Questa certezza sembra precludere ogni possibilità di salvezza della comunità che ha vagato lontano dalle vie del Signore (cfr. 63, 17) e ora è consapevole della propria colpa e la confessa (vv. 4b-6). Il v. 5 descrive la situazione della comunità con la categoria dell'impurità. La radice ebraica tm' denota l'impurità rituale che impedisce l'accesso al culto (cfr. Lv 12-15) e, in senso traslato, indica la condizione di chi è peccatore (cfr. Is 6,5; Gb 14,4), in particolare la situazione di chi abbandona la fede in JHWH e cade nell'idolatria. Nel nostro versetto il termine è preso nel primo senso, ma con una connotazione chiaramente simbolica. Il popolo non solo è in uno stato di impurità, che di sua natura è temporaneo, ma è diventato addirittura come «una cosa impura», che rimane tale sempre, fino alla sua totale eliminazione. La locuzione «come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia» manifesta la drammatica impossibilità del popolo di avvicinarsi al suo Dio.

7-8a. In netta antitesi a questa condizione di colpa e di morte si erge, vigorosa, la confessione della comunità: «Ma, Signore, tu sei nostro padre». Il tema del Signore padre, si sviluppa nell'immagine di Israele che come argilla è plasmato dal suo Dio (cfr. Ger 18,1-6; cfr. Is 29,16; 45,9) e culmina in una nuova confessione: «tutti noi siamo opera delle tue mani». La proclamazione della paternità del Signore, perciò, si traduce nel riconoscimento della potenza divina dalla quale il popolo è plasmato nella storia, al punto che la sua esistenza è solo il frutto dell'opera del suo Dio. Proprio per questo la confessione di JHWH padre rende possibile invocare l'evento di una nuova creazione. Quando il Signore non ricorda il peccato (e la supplica chiede questo), il popolo non è più sotto l'ira, ma si trova di nuovo nella vita e, quindi, nell'esperienza dell'amore del Signore (cfr. Ger 31,34).

(cf. GIANNI ODASSO, Isaia – in: La Bibbia Piemme, Casale Monferrato, 1995)


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