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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GAUDIUM ET SPES (7 dicembre 1965)

PARTE II – CAPITOLO II – LA PROMOZIONE DELLA CULTURA

Introduzione 53 È proprio della persona umana il non poter raggiungere un livello di vita veramente e pienamente umano se non mediante la cultura, coltivando cioè i beni e i valori della natura. Perciò, ogniqualvolta si tratta della vita umana, natura e cultura sono quanto mai strettamente connesse.

Con il termine generico di «cultura» si vogliono indicare tutti quei mezzi con i quali l'uomo affina e sviluppa le molteplici capacità della sua anima e del suo corpo; procura di ridurre in suo potere il cosmo stesso con la conoscenza e il lavoro; rende più umana la vita sociale, sia nella famiglia che in tutta la società civile, mediante il progresso del costume e delle istituzioni; infine, con l'andar del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi esperienze e aspirazioni spirituali, affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il genere umano.

Di conseguenza la cultura presenta necessariamente un aspetto storico e sociale e la voce «cultura» assume spesso un significato sociologico ed etnologico. In questo senso si parla di pluralità delle culture. Infatti dal diverso modo di far uso delle cose, di lavorare, di esprimersi, di praticare la religione e di formare i costumi, di fare le leggi e creare gli istituti giuridici, di sviluppare le scienze e le arti e di coltivare il bello, hanno origine i diversi stili di vita e le diverse scale di valori. Cosi dalle usanze tradizionali si forma il patrimonio proprio di ciascun gruppo umano. Così pure si costituisce l'ambiente storicamente definito in cui ogni uomo, di qualsiasi stirpe ed epoca, si inserisce, e da cui attinge i beni che gli consentono di promuovere la civiltà.

Sezione 1: La situazione della cultura nel mondo odierno

Nuovi stili di vita 54 Le condizioni di vita dell'uomo moderno, sotto l'aspetto sociale e culturale, sono profondamente cambiate, così che è lecito parlare di una nuova epoca della storia umana [Cf. Esposizione introduttiva di questa Costituzione, nn. 4-10]. Di qui si aprono nuove vie per perfezionare e diffondere più largamente la cultura. Esse sono state preparate da un grandioso sviluppo delle scienze naturali e umane, anche sociali, dal progresso delle tecniche, dallo sviluppo e dall'organizzazione degli strumenti di comunicazione sociale. Perciò la cultura odierna è caratterizzata da alcune note distintive: le scienze dette «esatte» affinano al massimo il senso critico; i più recenti studi di psicologia spiegano in profondità l'attività umana; le scienze storiche spingono fortemente a considerare le cose sotto l'aspetto della loro mutabilità ed evoluzione; i modi di vivere ed i costumi diventano sempre più uniformi; l'industrializzazione, l'urbanesimo e le altre cause che favoriscono la vita collettiva creano nuove forme di cultura (cultura di massa), da cui nascono nuovi modi di pensare, di agire, di impiegare il tempo libero; lo sviluppo dei rapporti fra le varie nazioni e le classi sociali rivela più ampiamente a tutti e a ciascuno i tesori delle diverse forme di cultura, e così poco a poco si prepara una forma di cultura umana più universale, la quale tanto più promuove ed esprime l'unità del genere umano, quanto meglio rispetta le particolarità delle diverse culture.

L'uomo artefice della cultura 55 Cresce sempre più il numero degli uomini e delle donne di ogni gruppo o nazione che prendono coscienza di essere artefici e promotori della cultura della propria comunità. In tutto il mondo si sviluppa sempre più il senso dell'autonomia e della responsabilità, cosa che è di somma importanza per la maturità spirituale e morale dell'umanità. Ciò appare ancor più chiaramente se teniamo presente l'unificazione del mondo e il compito che ci si impone di costruire un mondo migliore nella verità e nella giustizia. In tal modo siamo testimoni della nascita d'un nuovo umanesimo, in cui l'uomo si definisce anzitutto per la sua responsabilità verso i suoi fratelli e verso la storia.

Difficoltà e compiti 56 In queste condizioni non stupisce che l'uomo sentendosi responsabile del progresso della cultura, nutra grandi speranze, ma consideri pure con ansietà le molteplici antinomie esistenti ch'egli deve risolvere. Che cosa si deve fare affinché gli intensificati rapporti culturali, che dovrebbero condurre ad un vero e fruttuoso dialogo tra classi e nazioni diverse, non turbino la vita delle comunità, né sovvertano la sapienza dei padri, né mettano in pericolo il carattere proprio di ciascun popolo?

In qual modo promuovere il dinamismo e l'espansione della nuova cultura senza che si perda la viva fedeltà al patrimonio della tradizione? Questo problema si pone con particolare urgenza là dove la cultura, che nasce dal grande sviluppo scientifico e tecnico, si deve armonizzare con la cultura che, secondo le varie tradizioni, viene alimentata dagli studi classici.

In qual maniera conciliare una così rapida e crescente diversificazione delle scienze specializzate, con la necessità di farne la sintesi e di mantenere nell'uomo le facoltà della contemplazione e dell'ammirazione che conducono alla sapienza?

Che cosa fare affinché le moltitudini siano rese partecipi dei beni della cultura, proprio quando la cultura degli specialisti diviene sempre più alta e complessa?

Come, infine, riconoscere come legittima l'autonomia che la cultura rivendica a se stessa, senza giungere a un umanesimo puramente terrestre, anzi avverso alla religione?

In mezzo a queste antinomie, la cultura umana va oggi sviluppata in modo da perfezionare con giusto ordine la persona umana nella sua integrità e da aiutare gli uomini nell'esplicazione di quei compiti, al cui adempimento tutti, ma specialmente i cristiani fraternamente uniti in seno all'unica famiglia umana, sono chiamati.


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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GAUDIUM ET SPES (7 dicembre 1965)

PARTE II – ALCUNI PROBLEMI PIÙ URGENTI

Proemio 46 Dopo aver esposto di quale dignità è insignita la persona dell'uomo e quale compito, individuale e sociale, egli è chiamato ad adempiere sulla terra, il Concilio, alla luce del Vangelo e dell'esperienza umana, attira ora l'attenzione di tutti su alcuni problemi contemporanei particolarmente urgenti, che toccano in modo specialissimo il genere umano. Tra le numerose questioni che oggi destano l'interesse generale, queste meritano particolare menzione: il matrimonio e la famiglia, la cultura umana, la vita economico-sociale, la vita politica, la solidarietà tra le nazioni e la pace. Sopra ciascuna di esse risplendano i principi e la luce che provengono da Cristo; così i cristiani avranno una guida e tutti gli uomini potranno essere illuminati nella ricerca delle soluzioni di problemi tanto numerosi e complessi.

PARTE II – CAPITOLO I – DIGNITÀ DEL MATRIMONIO E DELLA FAMIGLIA E SUA VALORIZZAZIONE

Matrimonio e famiglia nel mondo d'oggi 47 Il bene della persona e della società umana e cristiana è strettamente connesso con una felice situazione della comunità coniugale e familiare. Perciò i cristiani, assieme con quanti hanno alta stima di questa comunità, si rallegrano sinceramente dei vari sussidi, con i quali gli uomini favoriscono oggi la formazione di questa comunità di amore e la stima ed il rispetto della vita: sussidi che sono di aiuto a coniugi e genitori della loro eminente missione; da essi i cristiani attendono sempre migliori vantaggi e si sforzano di promuoverli.

Però la dignità di questa istituzione non brilla dappertutto con identica chiarezza poiché è oscurata dalla poligamia, dalla piaga del divorzio, dal cosiddetto libero amore e da altre deformazioni. Per di più l'amore coniugale è molto spesso profanato dall'egoismo, dall'edonismo e da pratiche illecite contro la fecondità. Inoltre le odierne condizioni economiche, socio-psicologiche e civili portano turbamenti non lievi nella vita familiare. E per ultimo in determinate parti del mondo si avvertono non senza preoccupazioni i problemi posti dall'incremento demografico. Da tutto ciò sorgono difficoltà che angustiano la coscienza. Tuttavia il valore e la solidità dell'istituto matrimoniale e familiare prendono risalto dal fatto che le profonde mutazioni dell'odierna società, nonostante le difficoltà che ne scaturiscono, molto spesso rendono manifesta in maniere diverse la vera natura di questa istituzione.

Perciò il Concilio, mettendo in chiara luce alcuni punti capitali della dottrina della Chiesa, si propone di illuminare e incoraggiare i cristiani e tutti gli uomini che si sforzano di salvaguardare e promuovere la dignità naturale e l'altissimo valore sacro dello stato matrimoniale.

Santità del matrimonio e della famiglia 48 L'intima comunità di vita e d'amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dall'alleanza dei coniugi, vale a dire dall'irrevocabile consenso personale. E così, è dall'atto umano col quale i coniugi mutuamente si danno e si ricevono, che nasce, anche davanti alla società, l'istituzione del matrimonio, che ha stabilità per ordinamento divino. In vista del bene dei coniugi, della prole e anche della società, questo legame sacro non dipende dall'arbitrio dell'uomo . Perché è Dio stesso l'autore del matrimonio, dotato di molteplici valori e fini [Cf. S. AGOSTINO, De bono coniugali: PL 40, 375-376 e 394; S. TOMMASO, Summa Theol., Suppl. Quaest. 49, art. 3 ad 1; Decretum pro Armenis: Dz 702 (1327) [Collantes 9.343]; PIO XI, Encicl. Casti Connubii]: tutto ciò è di somma importanza per la continuità del genere umano, il progresso personale e la sorte eterna di ciascuno dei membri della famiglia, per la dignità, la stabilità, la pace e la prosperità della stessa famiglia e di tutta la società umana.

Per la sua stessa natura l'istituto del matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in queste trovano il loro coronamento. E così l'uomo e la donna, che per l'alleanza coniugale «non sono più due, ma una sola carne» (Mt 19,6), prestandosi un mutuo aiuto e servizio con l'intima unione delle persone e delle attività, esperimentano il senso della propria unità e sempre più pienamente la conseguono.

Questa intima unione, in quanto mutua donazione di due persone, come pure il bene dei figli, esigono la piena fedeltà dei coniugi e ne reclamano l'indissolubile unità [Cf. PIO XI, Encicl. Casti Connubii (1930)].

Cristo Signore ha effuso l'abbondanza delle sue benedizioni su questo amore dai molteplici aspetti, sgorgato dalla fonte della divina carità e strutturato sul modello della sua unione con la Chiesa. Infatti, come un tempo Dio ha preso l'iniziativa di un'alleanza di amore e fedeltà [Cf. Os 2; Ger 3,6-13; Ez 16 e 23; Is 54] con il suo popolo cosi ora il Salvatore degli uomini e sposo della Chiesa [Cf. Mt 9,15; Mc 2,19-20; Lc 5,34-35; Gv 3,29; 2 Cor 11,2; Ef 5,27; Ap 19,7-8; 21,2 e 9] viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il sacramento del matrimonio. Inoltre rimane con loro perché, come egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per essa [Cf. Ef 5,25] così anche i coniugi possano amarsi l'un l'altro fedelmente, per sempre, con mutua dedizione. L'autentico amore coniugale è assunto nell'amore divino ed è sostenuto e arricchito dalla forza redentiva del Cristo e dalla azione salvifica della Chiesa, perché i coniugi in maniera efficace siano condotti a Dio e siano aiutati e rafforzati nello svolgimento della sublime missione di padre e madre [Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium (1965)]. Per questo motivo i coniugi cristiani sono fortificati e quasi consacrati da uno speciale sacramento [Cf. PIO XI, Encicl. Casti Connubii (1930)] per i doveri e la dignità del loro stato. Ed essi, compiendo con la forza di tale sacramento il loro dovere coniugale e familiare, penetrati dello spirito di Cristo, per mezzo del quale tutta la loro vita è pervasa di fede, speranza e carità, tendono a raggiungere sempre più la propria perfezione e la mutua santificazione, ed assieme rendono gloria a Dio.

Prevenuti dall'esempio e dalla preghiera comune dei genitori, i figli, anzi tutti quelli che vivono insieme nell'ambito familiare, troveranno più facilmente la strada di una formazione veramente umana, della salvezza e della santità.

Quanto agli sposi, insigniti della dignità e responsabilità di padre e madre, adempiranno diligentemente il dovere dell'educazione, soprattutto religiosa, che spetta loro prima che a chiunque altro.

I figli, come membra vive della famiglia, contribuiscono pure in qualche modo alla santificazione dei genitori. Risponderanno, infatti, ai benefici ricevuti dai genitori con affetto riconoscente, con pietà filiale e fiducia; e li assisteranno, come si conviene a figli, nelle avversità della vita e nella solitudine della vecchiaia. La vedovanza, accettata con coraggio come continuazione della vocazione coniugale sia onorata da tutti [Cf. 1Tm 5,3]. La famiglia metterà con generosità in comune con le altre famiglie le proprie ricchezze spirituali. Allora la famiglia cristiana che nasce dal matrimonio, come immagine e partecipazione dell'alleanza d'amore del Cristo e della Chiesa [Cf. Ef 5,32] renderà manifesta a tutti la viva presenza del Salvatore nel mondo e la genuina natura della Chiesa, sia con l'amore, la fecondità generosa, l'unità e la fedeltà degli sposi, che con l'amorevole cooperazione di tutti i suoi membri.

L'amore coniugale 49 I fidanzati sono ripetutamente invitati dalla parola di Dio a nutrire e potenziare il loro fidanzamento con un amore casto, e gli sposi la loro unione matrimoniale con un affetto senza incrinature [Cf. Gen 2,22-24; Pr 5,18-20; 31,10-31; Tb 8,4-8; Ct 1,1-3; 2,16; 4,16-5,1; 7,8-11; 1 Cor 7,3-6; Ef 5,25-33]. Anche molti nostri contemporanei annettono un grande valore al vero amore tra marito e moglie, che si manifesta in espressioni diverse a seconda dei sani costumi dei popoli e dei tempi. Proprio perché atto eminentemente umano, essendo diretto da persona a persona con un sentimento che nasce dalla volontà, quell'amore abbraccia il bene di tutta la persona; perciò ha la possibilità di arricchire di particolare dignità le espressioni del corpo e della vita psichica e di nobilitarle come elementi e segni speciali dell'amicizia coniugale.

Il Signore si è degnato di sanare, perfezionare ed elevare questo amore con uno speciale dono di grazia e carità. Un tale amore, unendo assieme valori umani e divini, conduce gli sposi al libero e mutuo dono di se stessi, che si esprime mediante sentimenti e gesti di tenerezza e pervade tutta quanta la vita dei coniugi [Cf. PIO XI, Encicl. Casti Connubii (1930)] anzi, diventa più perfetto e cresce proprio mediante il generoso suo esercizio. È ben superiore, perciò, alla pura attrattiva erotica che, egoisticamente coltivata, presto e miseramente svanisce.

Questo amore è espresso e sviluppato in maniera tutta particolare dall'esercizio degli atti che sono propri del matrimonio. Ne consegue che gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità sono onesti e degni; compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano ed arricchiscono vicendevolmente nella gioia e nella gratitudine gli sposi stessi. Quest'amore, ratificato da un impegno mutuo e soprattutto consacrato da un sacramento di Cristo, resta indissolubilmente fedele nella prospera e cattiva sorte, sul piano del corpo e dello spirito; di conseguenza esclude ogni adulterio e ogni divorzio. L'unità del matrimonio, confermata dal Signore, appare in maniera lampante anche dalla uguale dignità personale che bisogna riconoscere sia all'uomo che alla donna nel mutuo e pieno amore.

Per tener fede costantemente agli impegni di questa vocazione cristiana si richiede una virtù fuori del comune; è per questo che i coniugi, resi forti dalla grazia per una vita santa, coltiveranno assiduamente la fermezza dell'amore, la grandezza d'animo, lo spirito di sacrificio e li domanderanno nella loro preghiera. Ma l'autentico amore coniugale godrà più alta stima e si formerà al riguardo una sana opinione pubblica, se i coniugi cristiani danno testimonianza di fedeltà e di armonia nell'amore come anche di sollecitudine nell'educazione dei figli, e se assumono la loro responsabilità nel necessario rinnovamento culturale, psicologico e sociale a favore del matrimonio e della famiglia.

I giovani siano adeguatamente istruiti, molto meglio se in seno alla propria famiglia, sulla dignità dell'amore coniugale, sulla sua funzione e le sue espressioni; così che, formati nella stima della castità, possano ad età conveniente passare da un onesto fidanzamento alle nozze.

La fecondità del matrimonio 50 Il matrimonio e l'amore coniugale sono ordinati per loro natura alla procreazione ed educazione della prole. I figli infatti sono il dono più eccellente del matrimonio e contribuiscono grandemente al bene dei genitori stessi. Dio che disse: «non è bene che l'uomo sia solo» (Gn 2,18) e «che creò all'inizio l'uomo maschio e femmina» (Mt 19,4), volendo comunicare all'uomo una speciale partecipazione nella sua opera creatrice, benedisse l'uomo e la donna, dicendo loro: «crescete e moltiplicatevi» (Gn 1,28). Di conseguenza un amore coniugale vero e ben compreso e tutta la struttura familiare che ne nasce tendono, senza trascurare gli altri fini del matrimonio, a rendere i coniugi disponibili a cooperare coraggiosamente con l'amore del Creatore e del Salvatore che attraverso di loro continuamente dilata e arricchisce la sua famiglia.

I coniugi sappiano di essere cooperatori dell'amore di Dio Creatore e quasi suoi interpreti nel compito di trasmettere la vita umana e di educarla; ciò deve essere considerato come missione loro propria.

E perciò adempiranno il loro dovere con umana e cristiana responsabilità e, con docile riverenza verso Dio, di comune accordo e con sforzo comune, si formeranno un retto giudizio: tenendo conto sia del proprio bene personale che di quello dei figli, tanto di quelli nati che di quelli che si prevede nasceranno; valutando le condizioni sia materiali che spirituali della loro epoca e del loro stato di vita; e, infine, tenendo conto del bene della comunità familiare, della società temporale e della Chiesa stessa. Questo giudizio in ultima analisi lo devono formulare, davanti a Dio, gli sposi stessi. Però nella loro linea di condotta i coniugi cristiani siano consapevoli che non possono procedere a loro arbitrio, ma devono sempre essere retti da una coscienza che sia con forme alla legge divina stessa; e siano docili al magistero della Chiesa, che interpreta in modo autentico quella legge alla luce del Vangelo.

Tale legge divina manifesta il significato pieno dell'amore coniugale, lo protegge e lo conduce verso la sua perfezione veramente umana.

Così quando gli sposi cristiani, fidando nella divina Provvidenza e coltivando lo spirito di sacrificio [Cf. 1Cor 7,5], svolgono il loro ruolo procreatore e si assumono generosamente le loro responsabilità umane e cristiane, glorificano il Creatore e tendono alla perfezione cristiana.

Tra i coniugi che in tal modo adempiono la missione loro affidata da Dio, sono da ricordare in modo particolare quelli che, con decisione prudente e di comune accordo, accettano con grande animo anche un più grande numero di figli da educare convenientemente [Cf. PIO XII, Discorso Tra le visite, 20 gen. 1958].

Il matrimonio tuttavia non è stato istituito soltanto per la procreazione; il carattere stesso di alleanza indissolubile tra persone e il bene dei figli esigono che anche il mutuo amore dei coniugi abbia le sue giuste manifestazioni, si sviluppi e arrivi a maturità. E perciò anche se la prole, molto spesso tanto vivamente desiderata, non c'è, il matrimonio perdura come comunità e comunione di tutta la vita e conserva il suo valore e la sua indissolubilità.

Accordo dell'amore coniugale col rispetto della vita 51 Il Concilio sa che spesso i coniugi, che vogliono condurre armoniosamente la loro vita coniugale, sono ostacolati da alcune condizioni della vita di oggi, e possono trovare circostanze nelle quali non si può aumentare, almeno per un certo tempo, il numero dei figli; non senza difficoltà allora si può conservare la pratica di un amore fedele e la piena comunità di vita. Là dove, infatti, è interrotta l'intimità della vita coniugale, non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli: allora corrono pericolo anche l'educazione dei figli e il coraggio di accettarne altri.

C'è chi presume portare a questi problemi soluzioni non oneste, anzi non rifugge neppure dall'uccisione delle nuove vite. La Chiesa ricorda, invece, che non può esserci vera contraddizione tra le leggi divine, che reggono la trasmissione della vita, e quelle che favoriscono l'autentico amore coniugale.

Infatti Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l'altissima missione di proteggere la vita: missione che deve essere adempiuta in modo degno dell'uomo. Perciò la vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; l'aborto e l'infanticidio sono delitti abominevoli. La sessualità propria dell'uomo e la facoltà umana di generare sono meravigliosamente superiori a quanto avviene negli stadi inferiori della vita; perciò anche gli atti specifici della vita coniugale, ordinati secondo la vera dignità umana, devono essere rispettati con grande stima. Perciò, quando si tratta di mettere d'accordo l'amore coniugale con la trasmissione responsabile della vita, il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato secondo criteri oggettivi, che hanno il loro fondamento nella dignità stessa della persona umana e dei suoi atti, criteri che rispettano, in un contesto di vero amore, il significato totale della mutua donazione e della procreazione umana; cosa che risulterà impossibile se non viene coltivata con sincero animo la virtù della castità coniugale. I figli della Chiesa, fondati su questi principi, nel regolare la procreazione, non potranno seguire strade che sono condannate dal Magistero nella spiegazione della legge divina [Cf. PIO XI, Encicl. Casti Connubii (1930); PIO XII, Discorso al Convegno dell’Unione Italiana Ostetriche 29 ott. 1951; PAOLO VI, Discorso agli Em.mi Padri Cardinali, 23 giugno 1964. Alcuni problemi, che hanno bisogno di analisi ulteriori e più approfondite, per ordine del Sommo Pontefice sono stati demandati alla Commissione per lo studio della popolazione, della famiglia e della natalità, perché il Sommo Pontefice dia il suo giudizio dopo che essa avrà concluso il suo compito. Stando a questo punto la dottrina del Magistero, il S. Concilio non intende proporre immediatamente soluzioni concrete]. Del resto, tutti sappiamo che la vita dell'uomo e il compito di trasmetterla non sono limitati agli orizzonti di questo mondo e non vi trovano né la loro piena dimensione, né il loro pieno senso, ma riguardano il destino eterno degli uomini.

L'impegno di tutti per il bene del matrimonio e della famiglia 52 La famiglia è una scuola di arricchimento umano. Perché però possa attingere la pienezza della sua vita e del suo compimento, è necessaria una amorevole apertura vicendevole di animo tra i coniugi, e la consultazione reciproca e una continua collaborazione tra i genitori nella educazione dei figli. La presenza attiva del padre giova moltissimo alla loro formazione; ma bisogna anche permettere alla madre, di cui abbisognano specialmente i figli più piccoli, di prendersi cura del proprio focolare pur senza trascurare la legittima promozione sociale della donna. I figli poi, mediante l'educazione devono venire formati in modo che, giunti alla maturità, possano seguire con pieno senso di responsabilità la loro vocazione, compresa quella sacra; e se sceglieranno lo stato di vita coniugale, possano formare una propria famiglia in condizioni morali, sociali ed economiche favorevoli. È compito poi dei genitori o dei tutori guidare i più giovani nella formazione di una nuova famiglia con il consiglio prudente, presentato in modo che questi lo ascoltino volentieri; dovranno tuttavia evitare di esercitare forme di coercizione diretta o indiretta su di essi per spingerli al matrimonio o alla scelta di una determinata persona come coniuge.

In questo modo la famiglia, nella quale le diverse generazioni si incontrano e si aiutano vicendevolmente a raggiungere una saggezza umana più completa e ad armonizzare i diritti della persona con le altre esigenze della vita sociale, è veramente il fondamento della società. Tutti coloro che hanno influenza sulla società e sulle sue diverse categorie, quindi, devono collaborare efficacemente alla promozione del matrimonio e della famiglia; e le autorità civili dovranno considerare come un sacro dovere conoscere la loro vera natura, proteggerli e farli progredire, difendere la moralità pubblica e favorire la prosperità domestica. In particolare dovrà essere difeso il diritto dei genitori di generare la prole e di educarla in seno alla famiglia. Una provvida legislazione ed iniziative varie dovranno pure proteggere ed aiutare opportunamente coloro che sono purtroppo privi di una propria famiglia.

I cristiani, bene utilizzando il tempo presente [Cf. Ef 5,16; Col 4,5] e distinguendo le realtà permanenti dalle forme mutevoli, si adoperino per sviluppare diligentemente i valori del matrimonio e della famiglia; lo faranno tanto con la testimonianza della propria vita, quanto con un'azione concorde con gli uomini di buona volontà. Così, superando le difficoltà presenti, essi provvederanno ai bisogni e agli interessi della famiglia, in accordo con i tempi nuovi. A questo fine sono di grande aiuto il senso cristiano dei fedeli, la retta coscienza morale degli uomini, come pure la saggezza e la competenza di chi è versato nelle discipline sacre.

Gli esperti nelle scienze, soprattutto biologiche, mediche, sociali e psicologiche, possono portare un grande contributo al bene del matrimonio e della famiglia e alla pace delle coscienze se, con l'apporto convergente dei loro studi, cercheranno di chiarire sempre più a fondo le diverse condizioni che favoriscono un'ordinata e onesta procreazione umana.

È compito dei sacerdoti, provvedendosi una necessaria competenza sui problemi della vita familiare, aiutare amorosamente la vocazione dei coniugi nella loro vita coniugale e familiare con i vari mezzi della pastorale, con la predicazione della parola di Dio, con il culto liturgico o altri aiuti spirituali, fortificarli con bontà e pazienza nelle loro difficoltà e confortarli con carità, perché si formino famiglie veramente serene.

Le varie opere di apostolato, specialmente i movimenti familiari, si adopereranno a sostenere con la dottrina e con l'azione i giovani e gli stessi sposi, particolarmente le nuove famiglie, ed a formarli alla vita familiare, sociale ed apostolica.

Infine i coniugi stessi, creati ad immagine del Dio vivente e muniti di un'autentica dignità personale, siano uniti da un uguale mutuo affetto, dallo stesso modo di sentire, da comune santità [Cf. Sacramentarium Gregorianum: PL 78, 262], cosi che, seguendo Cristo principio di vita [Cf. Rm 5,15 e 18; 6,5-11; Gal 2,20] nelle gioie e nei sacrifici della loro vocazione, attraverso il loro amore fedele possano diventare testimoni di quel mistero di amore che il Signore ha rivelato al mondo con la sua morte e la sua risurrezione [Cf. Ef 5,25-27].

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Approfondimenti

La genesi di questo capitolo della Gaudium et spes è stata tra le più tormentate e difficili di tutto il Concilio. I testi prodotti sul tema sono stati quattro. Inoltre le questioni dell’indissolubilità e dei fini del matrimonio hanno visto opporsi posizioni tradizionaliste e progressiste lungo tutta la redazione della costituzione pastorale; mai come in questo caso il Papa è intervenuto con tanta incisività, avocando a sé lo studio di alcuni problemi morali della conduzione familiare, soprattutto nel campo della procreazione.

Il capitolo comincia allo stesso modo della costituzione generale, cioè con un elenco dei problemi della famiglia al mondo d’oggi (1965). Quando si ha a che fare con questioni non dogmatiche ma riguardanti il divenire storico e i cambiamenti socio-culturali che investono gli uomini e le donne di una determinata epoca, il primo passo da compiere è quello di conoscere e quindi capire quale sia la realtà oggettiva della questione considerata. Il Concilio ribadisce da un lato il fondamento umano del consenso matrimoniale dall’altro che la composizione della coppia e della famiglia è di diritto divino (cf. GS 48).

La Gaudium et spes riserva parole molto intense e straordinariamente attuali al sacramento del matrimonio, esaltando il contenuto di grazia spirituale presente nel sacramento che però nutre e santifica qualcosa che già c’è ed è operante: l’amore umano dei coniugi in tutte le sue espressioni, anche quella sessuale.

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Il Concilio Vaticano II non ha inteso presentare l’intera dottrina sul matrimonio. Ha cercato soltanto di chiarire alcuni punti capitali della dottrina della Chiesa, i quali, già sufficientemente acquisiti dalle scienze dell’uomo, dalla esegesi biblica e dalla teologia, devono “illuminare e confortare i cristiani e tutti gli uomini che si sforzano di salvaguardare e promuovere la dignità naturale e l’altissimo valore sacro dello stato matrimoniale” (GS n.47c).

Significativo rimane il fatto che dei cinque problemi di carattere universale, giudicati importanti nel dialogo tra Chiesa e mondo contemporaneo, il Concilio abbia dato il primo posto al matrimonio. E questo, per sottolineare l’importanza e il significato per la società umana e comunità ecclesiale.

I rapidi cambiamenti, susseguiti dopo il secondo conflitto mondiale nel campo politico, sociale, culturale, religioso e del costume, hanno avuto i loro riflessi, ora positivi ora negativi, sulla famiglia. Avulsa da un precedente da un contesto socioculturale di relativa stabilità e immessa in una condizione di mobilità, di instabilità economica, di crescenti bisogni di ogni genere, di tensioni psicologiche e di sollecitazioni esterne da parte degli strumenti della comunicazione sociale, la famiglia fu scossa da “ non lievi turbamenti” (GS n.47b), che ne hanno modificato la configurazione tradizionale.

In questi ultimi decenni, da punti di vista diversi si interessarono al problema della famiglia esegeti, teologi, sociologi e psicologi. Una delle questioni, che ha polarizzato l’attenzione degli studiosi, concerne i fini del matrimonio che ne rappresentano il punto nodale. Sulla questione relativa ai fini, che investe l’intero argomento del matrimonio e della vita coniugale, il Vaticano II segna un approdo, ma apre anche nuove vie all’indagine teologica.

La novità del testo della Gaudium et Spes consiste nel fatto d’essersi liberata da una concezione troppo biologica-giuridica del matrimonio e di aver evidenziato, partendo da una nozione unitaria dell’uomo, le esigenze personalistiche e la correlazione tra le diverse componenti del matrimonio. L’elemento motore e coordinatore di queste correlazioni è l’amore coniugale, il quale non viene più visto come un semplice presupposto psicologico-affettivo, diretto a realizzare i fini del matrimonio, ma, soprattutto in seguito alla sua assunzione all’ordine soprannaturale con la recezione del sacramento e alla sua significazione dell’unione Cristo-Chiesa, viene considerato come un valore a sé stante, su cui il matrimonio si fonda e da cui esso trae origine, vitalità, unità, indissolubilità, stabilità e fecondità. La riscoperta del nesso profondo, che esiste tra amore coniugale e istituzione matrimoniale, rappresenta il vero punto di partenza per una revisione critica e una ristrutturazione della precedente dottrina sui fini del matrimonio.

Se l’amore coniugale ha una funzione altissima e insostituibile nel matrimonio e nella salvaguardia delle sue proprietà, non può essere declassato al rango di fine secondario, né può essere equiparato al solo ”mutuum adiutorium” o ridotto a qualcosa di semplicemente tollerato e sovrapposto al matrimonio o indebitamente sublimato, ma deve diventarne la regola e l’anima.

Inoltre l’amore coniugale, proprio perché è l’elemento motore e perfettivo del matrimonio, ne investe le varie componenti, sicché il problema non è più tanto quello di vedere come la stessa dinamica dell’amore coniugale ricomponga e realizzi, dall’interno, la loro integrazione a servizio della comunità di vita dei coniugi.

Un aspetto, che affiora dalla lettura del testo della Gaudium et Spes sul matrimonio, è quello del riferimento del “mutuum adiutorium” non tanto alla procreazione come fine ad essa subordinato, quanto all’amore coniugale, che presiede alla promozione della vita dei coniugi (cfr. GS nn.48.49).

La formulazione della teoria del fine primario e dei fini secondari aveva concorso ad impoverire il concetto di amore coniugale. Si arrivò anche a relegarlo tra i fini secondari del matrimonio, equiparandolo al “mutuum adiutorium”. Difatti, il testo della Gaudium et Spes lo considera un valore che insieme ad altri valori si inserisce nel più ampio contesto della comunità di vita degli sposi come elemento propulsore della medesima. (cfr. GS n.52b).

Il Concilio, ricollegandosi ad una visione più approfondita e completa del matrimonio, prima ancora di presentarlo come uno strumento di procreazione, lo descrive come una comunità di vita e di amore, capace di arricchire i coniugi anche in assenza di prole (cfr. GS n.50g).

Ora, affermata la centralità dell’amore coniugale nel matrimonio e ammesso, come fa la Gaudium et Spes (cfr. nn.48- 50), che il “mutuum adiutorium” è orientato a promuovere la comunità di vita degli sposi, non è più legittimo considerare il “mutuum adiutorium“ soltanto in rapporto subordinato alla procreazione e quindi come un qualcosa di secondario. Esso va direttamente riferito al perfezionamento dei coniugi, il quale, essendo una conseguenza dell’amore coniugale sviluppato in tutte le sue virtualità, deve avere il suo giusto posto nell’insieme della complessa realtà matrimoniale. E benché il “mutuum adiutorium” non si identifichi con l’amore coniugale e il perfezionamento dei coniugi in se stesso, tuttavia esso pone quell’insieme di comportamenti e di atteggiamenti che, pervasi dall’amore coniugale, favoriscono l’incontro e il miglioramento vicendevole degli sposi, perciò trascende il puro fatto della procreazione e educazione della prole, anche se non è ad esso estraneo.

Con la sua concezione personalistica del matrimonio, il Vaticano II ha promosso anche il processo di integrazione tra amore coniugale e sessualità.

Per secoli aveva pesato sulla teologia cattolica, e di riflesso, sull’agiografia e sulla condotta morale di generazioni cristiane una concezione antropologica, ispirata al dualismo di anima e di corpo di matrice platonica, sostanzialmente pessimista riguardo al corpo e alla materia in genere.

In quest’ottica dualistica, l’esaltazione dell’amicizia coniugale, fatta da un certo tipo di “spiritualismo cristiano” e confinata nelle più alte sfere dello spirito al di fuori di ogni contaminazione carnale, aveva finito per proiettare una luce fosca sull’esercizio della sessualità nelle relazioni tra gli sposi, riducendolo a strumento di procreazione e di rimedio alla concupiscenza. Secondo tale visuale, l’atto coniugale aveva una sua ben definita struttura e funzione biologica naturale, stabilita dal Creatore, e perciò conservava la sua liceità morale soltanto nel caso in cui i coniugi non escludessero l’intenzionalità procreativa.

Solo dopo che nell’ambito del pensiero cattolico, sotto l’influsso della riscoperta del monismo personalistico biblico, è maturata l’idea dell’unità vitale della creatura umana e una visione personalistica del matrimonio, si cominciò a scorgere più distintamente che l’atto coniugale non è un puro atto naturale (actus naturae), come si deduceva dalla prospettiva agostiniana e tomistica, ma è soprattutto una atto umano (actus hominis), che coinvolge la cooperazione simultanea delle persone dei coniugi (cfr. GS n. 49b).

Facendo propria questa concezione unitaria dell’uomo e del matrimonio, la Gaudium et Spes afferma anzitutto che l’amore coniugale è l’attrazione reciproca di due volontà e la disponibilità alla donazione totale di due persone (cfr. GS n. 49a): quindi non di due spiriti soltanto, né di due sessi soltanto, ma di due esseri umani nella pienezza della loro realtà corporea e spirituale.

In secondo luogo la stessa costituzione asserisce che la reciprocità di donazione degli sposi si realizza anche con l’esercizio della sessualità, che è l’attività propria del matrimonio (cfr. GS n. 49b) ed è anche un valore iscritto nelle radici ultime della persona e risponde ad un preciso disegno divino di arricchimento delle persone dei coniugi e di conservazione della specie.

Secondo la Gaudium et Spes, sessualità e amore coniugale, pur non identificandosi, si integrano a vicenda nelle relazioni interpersonali del matrimonio.

La sessualità entra nella dinamica dell’amore come una sua componente fondamentale, e l’amore pervade, la sessualità. In tal modo l’amore coniugale investe la donazione totale con cui gli sposi si vanno incontro l’uno all’altro con tutto il loro essere, corpo e spirito, conferisce agli atti della sfera sessuale una loro intrinseca dignità e onestà ( cfr. GS n. 49b), e li differenzia da quelli compiuti dagli animali che sono unicamente finalizzati alla riproduzione (cfr. GS n. 51c).

La sessualità viene elevata così dal piano biologico a quello affettivo-integrativo, per diventare espressione specifica dell’amore coniugale.

Gli atti, con cui i coniugi realizzano la loro unione in una sola carne e in un solo spirito, acquistano una particolare nobiltà, purché si compiano in “intima castità”, cioè in un’atmosfera di riservatezza quale si addice a atteggiamenti e a manifestazioni tanto personali, e secondo l’ordine voluto da Dio nell’esercizio della funzione sessuale; e in modo veramente umano, cioè secondo un comportamento che domini la ricerca egoistica del piacere e la forza cieca della passione erotica, orientando l’atto coniugale verso la soddisfazione reciproca in un clima di tenero affetto, di grande benevolenza e di abbandono non solo fisico ma anche psicologico dell'uno nell’altro (cfr. GS n. 49b). Ne consegue che gli atti sessuali umani sono leciti soltanto nel matrimonio, perché è all’interno della vita coniugale che essi esprimono un amore totale, e diventano portatori di valori personali.

A queste condizioni, l’attività sessuale degli sposi va ben al di là del soddisfacimento di certi istinti. Il rapporto coniugale, associando in sé valori umani e divini, promuove la comunione tra i coniugi, e si qualifica non come eticamente pericoloso o riprovevole, ma come scambio interpersonale di amore dal quale erompe la volontà procreativa. E per lo stretto legame che esiste nell’uomo tra corpo e spirito, l’unione degli sposi sul piano fisico abbraccia e rafforza la loro unione sul piano affettivo e spirituale facendosi dialogo, donazione e arricchimento reciproco, sorgente di gioia e di gratitudine. (cfr. GS n. 49b).

La Gaudium et spes, rapportando la sessualità all’amore coniugale, ne mette in luce tanto l’aspetto procreativo quanto quello unitivo, e le accorda così una funzione insopprimibile nelle reazioni interpersonali dei coniugi. Ma, nel contempo, la costituzione conciliare sembra voler ricondurre il “remedium concupiscentiae”, connesso con l’esercizio della sessualità, nell’alveo dell’amore coniugale, e quindi lo ripone nell’insieme di quei comportamenti tipici, con i quali si esplica l’unione coniugale, che appaga l’appetito sensuale, modificando la precedente dottrina che si limitava a ricongiungerlo con la procreazione, ritenendolo come fine ad essa subordinato.

Il vero amore coniugale, per sua natura, non può chiudersi in se stesso ed esaurirsi nella donazione reciproca degli sposi. Esso tende a stimolare la disponibilità dei coniugi, perché collaborino con l’amore del Creatore e del Salvatore, “il quale per mezzo di essi ogni giorno più ingrandisce ed arricchisce la sua famiglia” (GS n. 50a).

L’insegnamento conciliare rivede e si libera dalla concezione matrimoniale, finalizzata unicamente alla procreazione, descrive la correlazione che esiste tra amore e fecondità, e illustra il posto che spetta all’amore coniugale sia nei confronti della generazione e educazione della prole sia in rapporto alla comunione di vita dei coniugi.

Secondo la Gaudium et spes, la procreazione non appare, più come un compito imposto dalla natura quasi dall’esterno e in forma deterministica, ma è un ministerium (GS n. 51c), cioè una missione che Dio affida agli sposi, perché, seguendo la logica di un autentico amore coniugale, partecipino alla sua opera creatrice e redentrice, non come ciechi strumenti o come semplici usufruttuari della vita, ma come interpreti in un certo senso “del suo amore fecondo nel comunicare l’esistenza ad altri esseri umani, e nel proteggerla” (cfr. GS n.50b.50c).

Ciò esige che il comportamento dei coniugi sul piano procreativo, superando ogni forma di egoismo, sia ragionevole e responsabile.

Certo, il Concilio ribadisce che fine essenziale e specificante del matrimonio è la procreazione e educazione della prole, principio saldo e irreformabile nella dottrina cattolica, ma, contemporaneamente, abbandona la rigida concezione del matrimonio orientato esclusivamente o quasi alla procreazione per dare risalto anche al perfezionamento degli sposi, ponendo in tal modo il loro vero bene come elemento non meno essenziale al matrimonio, concepito come comunità di vita e di amore (cfr. GS n. 50a).

Che cosa rappresentano e in quale rapporto stanno l’amore coniugale, la procreazione e il perfezionamento dei coniugi? Da un’attenta analisi del testo della Gaudium et Spes sul matrimonio sembra si possano fare le seguenti deduzioni. L’amore coniugale appare come l’elemento motore e perfettivo del matrimonio. Causa efficiente del matrimonio è il patto coniugale, cioè “l’irrevocabile consenso personale,” espresso in modo percepibile, con cui i due contraenti mutuamente si donano e si ricevono allo scopo di vivere, per edificare una famiglia.

La Gaudium et Spes, sebbene riconosca la natura contrattualistica del matrimonio, non parla tuttavia di contratto, ma di “patto coniugale” (cfr.GS n. 48a). E questo, sia per indicare l’idea di “alleanza” che il patto coniugale include, sia per sottolineare che l’istituzione, che deriva da tale patto, è stata fondata ed è stata dotata da Dio stesso di leggi proprie, sicché la permanenza del vincolo matrimoniale è sottratto alla arbitrazione dei contraenti (cfr. GS n. 48a). L’amore coniugale, corroborato dal consenso, realizza l’intima comunità di vita, che costituisce lo “specifico” o l’essenza del matrimonio. Tale comunità di vita e di amore ha come finalità preminenti la procreazione e l’educazione della prole, e l’arricchimento e il perfezionamento dei coniugi: finalità, l’una sociale e l’altra personale, che non si escludono, ma che si richiamano e si completano a vicenda.

Alla luce di queste riflessioni si comprende meglio anche il senso di questa altra affermazione conciliare: “Tuttavia il matrimonio non è stato istituito in vista della sola procreazione” (GS n.50c). Indubbiamente, la procreazione è un bene importante del matrimonio, senza esserne l’unico. Il matrimonio non ha nella prole la sua giustificazione. Nel caso in cui la prole dovesse mancare per ragioni che esulano dall’intenzione degli sposi, il matrimonio conserva la sua piena validità, perché include altri fini non trascurabili né da porsi in second’ordine (cfr. GS n.50a). Inteso come comunità di vita e di amore, il matrimonio sprona gli sposi a mettere in comune le loro qualità e doti diverse, ma complementari in relazione alla edificazione della società coniugale, e a prestarsi quella vicendevole assistenza che serve a migliorarli e a maturarli umanamente e spiritualmente (cfr. GS nn.49b.52b).

Del resto la, stessa natura del patto coniugale tra due persone esige che l’unità della coppia non possa essere perseguita mediante la strumentalizzazione dell’una o dell’altra parte, poiché la realizzazione di un coniuge dipende dalla realizzazione dell’altro, e qualunque limitazione o sfruttamento dell’uno si riflette sull’altro. I coniugi si uniscono su un piano di uguaglianza per donarsi, in quello che hanno di proprio, senza riserve. Vivendo in pienezza la loro reciproca donazione, non possono non riceverne beneficio a vicenda (cfr. GS n. 50c).

L’accento posto dal Vaticano II sulla dimensione interiore della vita coniugale spiega anche come la Gaudium et Spes difenda il permanere dell’indissolubilità del matrimonio in assenza di prole, richiamandosi alla presenza dell’amore coniugale (cfr. GS n. 50c), e non semplicemente perché si salvi l’istituzione matrimoniale, come invece si esprimeva l’insegnamento preconciliare ancora legato ad una concezione puramente contrattualistica del matrimonio.

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GAUDIUM ET SPES (7 dicembre 1965)

L'aiuto che la Chiesa intende dare alla società umana 42 L'unione della famiglia umana viene molto rafforzata e completata dall'unità della famiglia dei figli di Dio, fondata sul Cristo [Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. II, n. 9]. Certo, la missione propria che Cristo ha affidato alla sua Chiesa non è d'ordine politico, economico o sociale: il fine, infatti, che le ha prefisso è d'ordine religioso [Cf. PIO XII, Discorso a cultori di storia e di arte, 9 marzo 1956: “Il suo Divino Fondatore, Gesù Cristo, non le ha conferito nessun mandato né fissato alcun fine d’ordine culturale. Lo scopo che il Cristo le assegna è strettamente religioso (...). La Chiesa deve condurre gli uomini a Dio, perché si donino a lui senza riserva (...). La Chiesa non può perdere mai di vista questo fine strettamente religioso, soprannaturale. Il senso di ogni sua attività, fino all’ultimo canone del suo Codice, non può che riferirsi ad esso direttamente o indirettamente”].

Eppure proprio da questa missione religiosa scaturiscono compiti, luce e forze, che possono contribuire a costruire e a consolidare la comunità degli uomini secondo la legge divina.

Così pure, dove fosse necessario, a seconda delle circostanze di tempo e di luogo, anch'essa può, anzi deve suscitare opere destinate al servizio di tutti, ma specialmente dei bisognosi, come, per esempio, opere di misericordia e altre simili.

La Chiesa, inoltre, riconosce tutto ciò che di buono si trova nel dinamismo sociale odierno, soprattutto il movimento verso l'unità, il progresso di una sana socializzazione e della solidarietà civile ed economica. Promuovere l'unità corrisponde infatti alla intima missione della Chiesa, la quale è appunto «in Cristo quasi un sacramento, ossia segno e strumento di intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» [CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. I, n. 1]. Così essa mostra al mondo che una vera unione sociale esteriore discende dalla unione delle menti e dei cuori, ossia da quella fede e da quella carità, con cui la sua unità è stata indissolubilmente fondata nello Spirito Santo.

Infatti, la forza che la Chiesa riesce a immettere nella società umana contemporanea consiste in quella fede e carità effettivamente vissute, e non in una qualche sovranità esteriore esercitata con mezzi puramente umani. Inoltre, siccome in forza della sua missione e della sua natura non è legata ad alcuna particolare forma di cultura umana o sistema politico, economico, o sociale, la Chiesa per questa sua universalità può costituire un legame strettissimo tra le diverse comunità umane e nazioni, purché queste abbiano fiducia in lei e le riconoscano di fatto una vera libertà per il compimento della sua missione. Per questo motivo la Chiesa esorta i suoi figli, come pure tutti gli uomini, a superare, in questo spirito di famiglia proprio dei figli di Dio, ogni dissenso tra nazioni e razze, e a consolidare interiormente le legittime associazioni umane. Il Concilio, dunque, considera con grande rispetto tutto ciò che di vero, di buono e di giusto si trova nelle istituzioni, pur così diverse, che la umanità si è creata e continua a crearsi. Dichiara inoltre che la Chiesa vuole aiutare e promuovere tutte queste istituzioni, per quanto ciò dipende da lei ed è compatibile con la sua missione.

Niente le sta più a cuore che di servire al bene di tutti e di potersi liberamente sviluppare sotto qualsiasi regime che rispetti i diritti fondamentali della persona e della famiglia e riconosca le esigenze del bene comune.

L'aiuto che la Chiesa intende dare all'attività umana per mezzo dei cristiani 43 Il Concilio esorta i cristiani, cittadini dell'una e dell'altra città, di sforzarsi di compiere fedelmente i propri doveri terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo.

Sbagliano coloro che, sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile ma che cerchiamo quella futura [Cf. Eb 13,14], pensano che per questo possono trascurare i propri doveri terreni, e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a compierli, secondo la vocazione di ciascuno [Cf. 2Ts 3,6-13; Ef 4,28].

A loro volta non sono meno in errore coloro che pensano di potersi immergere talmente nelle attività terrene, come se queste fossero del tutto estranee alla vita religiosa, la quale consisterebbe, secondo loro, esclusivamente in atti di culto e in alcuni doveri morali.

La dissociazione, che si costata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo.

Contro questo scandalo [Cf. Is 58,1-12] già nell'Antico Testamento elevavano con veemenza i loro rimproveri i profeti e ancora di più Gesù Cristo stesso, nel Nuovo Testamento, minacciava gravi castighi [Cf. Mt 23,3-33; Mc 7,10-13].

Non si crei perciò un'opposizione artificiale tra le attività professionali e sociali da una parte, e la vita religiosa dall'altra. Il cristiano che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso, e mette in pericolo la propria salvezza eterna.

Gioiscano piuttosto i cristiani, seguendo l'esempio di Cristo che fu un artigiano, di poter esplicare tutte le loro attività terrene unificando gli sforzi umani, domestici, professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di Dio. Ai laici spettano propriamente, anche se non esclusivamente, gli impegni e le attività temporali. Quando essi, dunque, agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente sia associati, non solo rispetteranno le leggi proprie di ciascuna disciplina, ma si sforzeranno di acquistare una vera perizia in quei campi. Daranno volentieri la loro cooperazione a quanti mirano a identiche finalità. Nel rispetto delle esigenze della fede e ripieni della sua forza, escogitino senza tregua nuove iniziative, ove occorra, e ne assicurino la realizzazione.

Spetta alla loro coscienza, già convenientemente formata, di inscrivere la legge divina nella vita della città terrena. Dai sacerdoti i laici si aspettino luce e forza spirituale.

Non pensino però che i loro pastori siano sempre esperti a tal punto che, ad ogni nuovo problema che sorge, anche a quelli gravi, essi possano avere pronta una soluzione concreta, o che proprio a questo li chiami la loro missione; assumano invece essi, piuttosto, la propria responsabilità, alla luce della sapienza cristiana e facendo attenzione rispettosa alla dottrina del Magistero [Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, IV].

Per lo più sarà la stessa visione cristiana della realtà che li orienterà, in certe circostanze, a una determinata soluzione. Tuttavia, altri fedeli altrettanto sinceramente potranno esprimere un giudizio diverso sulla medesima questione, come succede abbastanza spesso e legittimamente.

Ché se le soluzioni proposte da un lato o dall'altro, anche oltre le intenzioni delle parti, vengono facilmente da molti collegate con il messaggio evangelico, in tali casi ricordino essi che nessuno ha il diritto di rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l'autorità della Chiesa.

Invece cerchino sempre di illuminarsi vicendevolmente attraverso un dialogo sincero, mantenendo sempre la mutua carità e avendo cura in primo luogo del bene comune.

I laici, che hanno responsabilità attive dentro tutta la vita della Chiesa, non solo son tenuti a procurare l'animazione del mondo con lo spirito cristiano, ma sono chiamati anche ad essere testimoni di Cristo in ogni circostanza e anche in mezzo alla comunità umana.

I vescovi, poi, cui è affidato l'incarico di reggere la Chiesa di Dio, devono insieme con i loro preti predicare il messaggio di Cristo in modo tale che tutte le attività terrene dei fedeli siano pervase dalla luce del Vangelo.

Inoltre i pastori tutti ricordino che essi con la loro quotidiana condotta e con la loro sollecitudine [Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. III, n. 28] mostrano al mondo un volto della Chiesa, in base al quale gli uomini si fanno un giudizio sulla efficacia e sulla verità del messaggio cristiano. Con la vita e con la parola, uniti ai religiosi e ai loro fedeli, dimostrino che la Chiesa, già con la sola sua presenza, con tutti i doni che contiene, è sorgente inesauribile di quelle forze di cui ha assoluto bisogno il mondo moderno.

Con lo studio assiduo si rendano capaci di assumere la propria responsabilità nel dialogo col mondo e con gli uomini di qualsiasi opinione.

Soprattutto però abbiano in mente le parole di questo Concilio: «Siccome oggi l'umanità va sempre più organizzandosi in unità civile, economica e sociale, è tanto più necessario che i sacerdoti, unendo sforzi e mezzi sotto la guida dei vescovi e del sommo Pontefice, eliminino ogni motivo di dispersione, affinché tutto il genere umano sia ricondotto all'unità della famiglia di Dio» [Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. III, n. 28].

Benché la Chiesa, per la virtù dello Spirito Santo, sia rimasta la sposa fedele del suo Signore e non abbia mai cessato di essere segno di salvezza nel mondo, essa tuttavia non ignora affatto che tra i suoi membri sia chierici che laici [Cf. S. AMBROGIO, De virginitate, cap. VIII, n. 48: PL 16, 278], nel corso della sua lunga storia, non sono mancati di quelli che non furono fedeli allo Spirito di Dio.

E anche ai nostri giorni sa bene la Chiesa quanto distanti siano tra loro il messaggio ch'essa reca e l'umana debolezza di coloro cui è affidato il Vangelo. Qualunque sia il giudizio che la storia dà di tali difetti, noi dobbiamo esserne consapevoli e combatterli con forza, perché non ne abbia danno la diffusione del Vangelo. Così pure la Chiesa sa bene quanto essa debba continuamente maturare imparando dall'esperienza di secoli, nel modo di realizzare i suoi rapporti col mondo.

Guidata dallo Spirito Santo, la madre Chiesa non si stancherà di «esortare i suoi figli a purificarsi e a rinnovarsi, perché il segno di Cristo risplenda ancor più chiaramente sul volto della Chiesa» [CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. II, n. 15].

L'aiuto che la Chiesa riceve dal mondo contemporaneo. 44 Come è importante per il mondo che esso riconosca la Chiesa quale realtà sociale della storia e suo fermento, così pure la Chiesa non ignora quanto essa abbia ricevuto dalla storia e dall'evoluzione del genere umano. L'esperienza dei secoli passati, il progresso della scienza, i tesori nascosti nelle varie forme di cultura umana, attraverso cui si svela più appieno la natura stessa dell'uomo e si aprono nuove vie verso la verità, tutto ciò è di vantaggio anche per la Chiesa.

Essa, infatti, fin dagli inizi della sua storia, imparò ad esprimere il messaggio di Cristo ricorrendo ai concetti e alle lingue dei diversi popoli; inoltre si sforzò di illustrarlo con la sapienza dei filosofi: e ciò allo scopo di adattare il Vangelo, nei limiti convenienti, sia alla comprensione di tutti, sia alle esigenze dei sapienti. E tale adattamento della predicazione della parola rivelata deve rimanere la legge di ogni evangelizzazione. Così, infatti, viene sollecitata in ogni popolo la capacità di esprimere secondo il modo proprio il messaggio di Cristo, e al tempo stesso viene promosso uno scambio vitale tra la Chiesa e le diverse culture dei popoli [Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. II, n. 13]. Allo scopo di accrescere tale scambio, oggi soprattutto, che i cambiamenti sono così rapidi e tanto vari i modi di pensare, la Chiesa ha bisogno particolare dell'apporto di coloro che, vivendo nel mondo, ne conoscono le diverse istituzioni e discipline e ne capiscono la mentalità, si tratti di credenti o di non credenti.

È dovere di tutto il popolo di Dio, soprattutto dei pastori e dei teologi, con l'aiuto dello Spirito Santo, ascoltare attentamente, discernere e interpretare i vari linguaggi del nostro tempo, e saperli giudicare alla luce della parola di Dio, perché la verità rivelata sia capita sempre più a fondo, sia meglio compresa e possa venir presentata in forma più adatta.

La Chiesa, avendo una struttura sociale visibile, che è appunto segno della sua unità in Cristo, può essere arricchita, e lo è effettivamente, dallo sviluppo della vita sociale umana non perché manchi qualcosa nella costituzione datale da Cristo, ma per conoscere questa più profondamente, per meglio esprimerla e per adattarla con più successo ai nostri tempi.

Essa sente con gratitudine di ricevere, nella sua comunità non meno che nei suoi figli singoli, vari aiuti dagli uomini di qualsiasi grado e condizione.

Chiunque promuove la comunità umana nell'ordine della famiglia, della cultura, della vita economica e sociale, come pure della politica, sia nazionale che internazionale, porta anche non poco aiuto, secondo il disegno di Dio, alla comunità della Chiesa, nella misura in cui questa dipende da fattori esterni.

Anzi, la Chiesa confessa che molto giovamento le è venuto e le può venire perfino dall'opposizione di quanti la avversano o la perseguitano [Cf. GIUSTINO, Dialogus cum Triphone, cap. 110: PG 6, 729; ed. Otto, 1897, pp. 391-393: “...ma quanto più ci vengono inflitte queste pene, tanto più altri diventano fedeli e pii per il nome di Gesù”. Cf. TERTULLIANO, Apologeticus, cap. L, 13: PL 1, 534; Corpus Christ., ser. lat. I, p. 171: “Diventiamo anzi sempre di più ogni volta che siamo mietuti da voi: il sangue dei Cristiani è seme!”). Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. II, n. 9].

Cristo, l'alfa e l'omega. 45 La Chiesa, nel dare aiuto al mondo come nel ricevere molto da esso, ha di mira un solo fine: che venga il regno di Dio e si realizzi la salvezza dell'intera umanità. Tutto ciò che di bene il popolo di Dio può offrire all'umana famiglia, nel tempo del suo pellegrinaggio terreno, scaturisce dal fatto che la Chiesa è «l'universale sacramento della salvezza» [CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. VII, n. 48] che svela e insieme realizza il mistero dell'amore di Dio verso l'uomo. Infatti il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, si è fatto egli stesso carne, per operare, lui, l'uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione universale. Il Signore è il fine della storia umana, «il punto focale dei desideri della storia e della civiltà», il centro del genere umano, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni [Cf. PAOLO VI, Discorso pronunciato il 3 feb. 1965]. Egli è colui che il Padre ha risuscitato da morte, ha esaltato e collocato alla sua destra, costituendolo giudice dei vivi e dei morti. Vivificati e radunati nel suo Spirito, come pellegrini andiamo incontro alla finale perfezione della storia umana, che corrisponde in pieno al disegno del suo amore: «Ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,10). Dice il Signore stesso: «Ecco, io vengo presto, e porto con me il premio, per retribuire ciascuno secondo le opere sue. Io sono l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e il fine» (Ap 22,12-13).

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Approfondimenti

  • La Chiesa (e con lei ogni cristiano) si dichiara al servizio dell’intera umanità, specialmente impegnata a fare di tutto il genere umano una sola famiglia.

  • La Chiesa (e dunque il cristianesimo) non ha una specifica cultura da proporre o da apportare, quanto piuttosto un progetto di uomo e del suo legame nativo con Dio. Ciò fonda la sua azione di inculturazione, il suo divenire cultura in ogni cultura.

  • Ai fini dell’apostolato è opportuno riflettere sui rapporti fra Vangelo e cultura, alla luce del legame fra religione e cultura in ogni specifico popolo ed etnia. Il cristianesimo non è una cultura fra le altre e, in un certo senso, non è (solo) una religione.

  • Il punto riprende la dottrina sul laicato della Lumen gentium ed offre un bel quadro del rapporto fra sacerdozio comune dei fedeli e sacerdozio ministeriale, anche se non vengono impiegati questi termini. È in particolare la responsabilità personale dei laici ad essere sottolineata.

  • Affinché questo agire sia un vivere da cristiani nel mondo senza essere del mondo, diventa strategica la necessità di una formazione integrata (professionale e teologica), condizione di una autentica unità di vita intellettuale.

  • Si può riflettere insieme sul rapporto fra pastori e laici nelle cose temporali. Si può anche riflettere su quali siano gli errori del clericalismo e su cosa si debba intendere con questo termine.

  • Il Concilio riconosce limiti ed errori compiuti da cristiani lungo la storia. Idea più volte ribadita nel Magistero die Giovanni Paolo II ed anche in quello di papa Francesco. Occorre impostare e comprendere rettamente questo aspetto.

  • Si tratta di un punto assai interessante e programmatico che spiega come la predicazione della Chiesa e la stessa riflessione teologica, deve giovarsi delle conoscenze e delle molteplici forme della cultura umana.

  • Questo scambio (la Chiesa dà e riceve) non si realizza tanto a livello istituzionale (la Chiesa di fronte alla cultura e al mondo), bensì attraverso i cristiani che vivono in mezzo al mondo. Questo implica che il cristiano sia una persona colta, nel senso più genuino del termine, ed un uomo del suo tempo.

  • C'è la possibilità, ancora in parte inedita, di svolgere un lavoro teologico serio, seguendo questa prospettiva.

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GAUDIUM ET SPES (7 dicembre 1965)

PARTE I – CAPITOLO IV – LA MISSIONE DELLA CHIESA NEL MONDO CONTEMPORANEO

Mutua relazione tra Chiesa e mondo 40 Tutto quello che abbiamo detto a proposito della dignità della persona umana, della comunità degli uomini, del significato profondo della attività umana, costituisce il fondamento del rapporto tra Chiesa e mondo, come pure la base del dialogo fra loro [Cf. PAOLO VI, Encicl. Ecclesiam suam, III].

In questo capitolo, pertanto, presupponendo tutto ciò che il Concilio ha già insegnato circa il mistero della Chiesa, si viene a prendere in considerazione la medesima Chiesa in quanto si trova nel mondo e insieme con esso vive ed agisce.

La Chiesa, procedendo dall'amore dell'eterno Padre [Cf. Tt 3,4: «philanthropia»], fondata nel tempo dal Cristo redentore, radunata nello Spirito Santo [Cf. Ef 1,3.5-6.13-14.23], ha una finalità salvifica ed escatologica che non può essere raggiunta pienamente se non nel mondo futuro. Ma essa è già presente qui sulla terra, ed è composta da uomini, i quali appunto sono membri della città terrena chiamati a formare già nella storia dell'umanità la famiglia dei figli di Dio, che deve crescere costantemente fino all'avvento del Signore. Unita in vista dei beni celesti e da essi arricchita, tale famiglia fu da Cristo «costituita e ordinata come società in questo mondo» [Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. I, n. 8] e fornita di «mezzi capaci di assicurare la sua unione visibile e sociale» [CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. II, n. 9]. Perciò la Chiesa, che è insieme «società visibile e comunità spirituale» [CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. I, n. 8] cammina insieme con l'umanità tutta e sperimenta assieme al mondo la medesima sorte terrena; essa è come il fermento e quasi l'anima della società umana [Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. IV, n. 38], destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in famiglia di Dio. Tale compenetrazione di città terrena e città celeste non può certo essere percepita se non con la fede; resta, anzi, il mistero della storia umana, che è turbata dal peccato fino alla piena manifestazione dello splendore dei figli di Dio.

Ma la Chiesa, perseguendo il suo proprio fine di salvezza, non solo comunica all'uomo la vita divina; essa diffonde anche in qualche modo sopra tutto il mondo la luce che questa vita divina irradia, e lo fa specialmente per il fatto che risana ed eleva la dignità della persona umana, consolida la compagine della umana società e conferisce al lavoro quotidiano degli uomini un più profondo senso e significato. Così la Chiesa, con i singoli suoi membri e con tutta intera la sua comunità, crede di poter contribuire molto a umanizzare di più la famiglia degli uomini e la sua storia.

Inoltre la Chiesa cattolica volentieri tiene in gran conto il contributo che, per realizzare il medesimo compito, han dato e danno, cooperando insieme, le altre Chiese o comunità ecclesiali.

Al tempo stesso essa è persuasa che, per preparare le vie al Vangelo, il mondo può fornirle in vario modo un aiuto prezioso mediante le qualità e l'attività dei singoli o delle società che lo compongono. Allo scopo di promuovere debitamente tale mutuo scambio ed aiuto, nei campi che in qualche modo sono comuni alla Chiesa e al mondo, vengono qui esposti alcuni principi generali.

L'aiuto che la Chiesa intende offrire agli individui 41 L'uomo d'oggi procede sulla strada di un più pieno sviluppo della sua personalità e di una progressiva scoperta e affermazione dei propri diritti. Poiché la Chiesa ha ricevuto la missione di manifestare il mistero di Dio, il quale è il fine ultimo dell'uomo, essa al tempo stesso svela all'uomo il senso della sua propria esistenza, vale a dire la verità profonda sull'uomo.

Essa sa bene che soltanto Dio, al cui servizio è dedita, dà risposta ai più profondi desideri del cuore umano, che mai può essere pienamente saziato dagli elementi terreni.

Sa ancora che l'uomo, sollecitato incessantemente dallo Spirito di Dio, non potrà mai essere del tutto indifferente davanti al problema religioso, come dimostrano non solo l'esperienza dei secoli passati, ma anche molteplici testimonianze dei tempi nostri.

L'uomo, infatti, avrà sempre desiderio di sapere, almeno confusamente, quale sia il significato della sua vita, della sua attività e della sua morte. E la Chiesa, con la sua sola presenza nel mondo, gli richiama alla mente questi problemi. Ma soltanto Dio, che ha creato l'uomo a sua immagine e che lo ha redento dal peccato, può offrire a tali problemi una risposta pienamente adeguata; cose che egli fa per mezzo della rivelazione compiuta nel Cristo, Figlio suo, che si è fatto uomo.

Chiunque segue Cristo, l'uomo perfetto, diventa anch'egli più uomo.

Partendo da questa fede, la Chiesa può sottrarre la dignità della natura umana al fluttuare di tutte le opinioni che, per esempio, abbassano troppo il corpo umano, oppure lo esaltano troppo.

Nessuna legge umana è in grado di assicurare la dignità personale e la libertà dell'uomo, quanto il Vangelo di Cristo, affidato alla Chiesa.

Questo Vangelo, infatti, annunzia e proclama la libertà dei figli di Dio, respinge ogni schiavitù che deriva in ultima analisi dal peccato [Cf. Rm 8,14-17] onora come sacra la dignità della coscienza e la sua libera decisione, ammonisce senza posa a raddoppiare tutti i talenti umani a servizio di Dio e per il bene degli uomini, infine raccomanda tutti alla carità di tutti [Cf. Mt 22,39].

Ciò corrisponde alla legge fondamentale della economia cristiana.

Benché, infatti, i1 Dio Salvatore e il Dio Creatore siano sempre lo stesso Dio, e così pure si identifichino il Signore della storia umana e il Signore della storia della salvezza, tuttavia in questo stesso ordine divino la giusta autonomia della creatura, specialmente dell'uomo, lungi dall'essere soppressa, viene piuttosto restituita alla sua dignità e in essa consolidata.

Perciò la Chiesa, in forza del Vangelo affidatole, proclama i diritti umani, e riconosce e apprezza molto il dinamismo con cui ai giorni nostri tali diritti vengono promossi ovunque.

Questo movimento tuttavia deve essere impregnato dallo spirito del Vangelo e dev'essere protetto contro ogni specie di falsa autonomia.

Siamo, infatti, esposti alla tentazione di pensare che i nostri diritti personali sono pienamente salvi solo quando veniamo sciolti da ogni norma di legge divina.

Ma per questa strada la dignità della persona umana non si salva e va piuttosto perduta.

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Approfondimenti

  • Si chiariscono differenze e sinergie fra gli ordini della natura e della grazia, distinguendoli senza separarli. È il primo numero, introduttorio, di un capitolo complesso, la cui redazione ha richiesto molto lavoro e riflessione, nonché la composizione di diverse prospettive.

  • Il canone del rapporto fra la Chiesa e il mondo viene stabilito su basi antropologiche (avrebbero potuto essere altre, cosmologiche ad esempio, ma il Concilio ha preferito così, per il mondo odierno).

  • La Chiesa non ha un fine terreno ma non può raggiungere il suo fine escatologico se non attraversa la storia ed è perciò chiamata a costruire questa storia insieme a tutti gli uomini.

  • La proposta della missione della Chiesa parte dalla constatazione che l’essere umano, in ogni luogo e in ogni tempo, manifesta la sua autotrascendenza segno dell’immagine divina in lui. Parte anche dal rilevare che l’ordine terreno, per quanto tenda ad assicurare all’uomo, dignità, libertà e soddisfazione delle sue aspirazioni più alte, in realtà può farlo fino ad un certo punto.

  • La proposta/missione della Chiesa è proposta/missione di un umanesimo integrale. Proporre Cristo all’uomo, vuol dire aiutarlo ad essere più uomo. La società umana non ha nulla da temere dalla Chiesa, proprio per l’intima convergenza fra antropologia e cristologia, cioè fra l’apertura dell’uomo al bene, alla giustizia, alla verità e alla libertà e il messaggio di Cristo Gesù.

  • La Chiesa coopera pertanto attivamente alla promozione e alla difesa dei diritti umani e questo suo lavoro non può essere giudicato né come ingerenza, né come legame eteronomo, né come limite alcuno alla piena espressione di una vera umanità.

  • Vale la pena di riflettere su questa convergenza fra cristianesimo e umanesimo al momento si spiegare, nel lavoro apostolico, le esigenze della legge morale, senza “complessi di inferiorità”. Cristo non propone nulla che sia diminuzione dell’umano ma solo ciò che è sua autentica promozione, anche quando erroneamente ad alcuni può sembrare il contrario.

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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GAUDIUM ET SPES (7 dicembre 1965)

L'attività umana corrotta dal peccato 37 La sacra Scrittura, però, con cui si accorda l'esperienza dei secoli, insegna agli uomini che il progresso umano, che pure è un grande bene dell'uomo, porta con sé una seria tentazione.

Infatti, sconvolto l'ordine dei valori e mescolando il male col bene, gli individui e i gruppi guardano solamente agli interessi propri e non a quelli degli altri; cosi il mondo cessa di essere il campo di una genuina fraternità, mentre invece l'aumento della potenza umana minaccia di distruggere ormai lo stesso genere umano.

Tutta intera la storia umana è infatti pervasa da una lotta tremenda contro le potenze delle tenebre; lotta cominciata fin dall'origine del mondo, destinata a durare, come dice il Signore, fino all'ultimo giorno [Cf. Mt 24,13; 13,24-30 e 36-43].

Inserito in questa battaglia, l'uomo deve combattere senza soste per poter restare unito al bene, né può conseguire la sua interiore unità se non a prezzo di grandi fatiche, con l'aiuto della grazia di Dio. Per questo la Chiesa di Cristo, fiduciosa nel piano provvidenziale del Creatore, mentre riconosce che il progresso umano può servire alla vera felicità degli uomini, non può tuttavia fare a meno di far risuonare il detto dell'Apostolo: «Non vogliate adattarvi allo stile di questo mondo» (Rm 12,2) e cioè a quello spirito di vanità e di malizia che stravolge in strumento di peccato l'operosità umana, ordinata al servizio di Dio e dell'uomo.

Se dunque ci si chiede come può essere vinta tale miserevole situazione, i cristiani per risposta affermano che tutte le attività umane, che son messe in pericolo quotidianamente dalla superbia e dall'amore disordinato di se stessi, devono venir purificate e rese perfette per mezzo della croce e della risurrezione di Cristo.

Redento da Cristo e diventato nuova creatura nello Spirito Santo, l'uomo, infatti, può e deve amare anche le cose che Dio ha creato.

Da Dio le riceve: le vede come uscire dalle sue mani e le rispetta.

Di esse ringrazia il divino benefattore e, usando e godendo delle creature in spirito di povertà e di libertà, viene introdotto nel vero possesso del mondo, come qualcuno che non ha niente e che possiede tutto [Cf. 2Cor 6,10]: «Tutto, infatti, è vostro: ma voi siete di Cristo e il Cristo è di Dio» (1Cor 3,22).

L'attività umana elevata a perfezione nel mistero pasquale 38 Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, fattosi carne lui stesso e venuto ad abitare sulla terra degli uomini [Cf. Gv 1,3 e 14], entrò nella storia del mondo come uomo perfetto, assumendo questa e ricapitolandola in sé [Cf. Ef 1,10]. Egli ci rivela «che Dio è carità» (1Gv 4,8) e insieme ci insegna che la legge fondamentale della umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento dell'amore.

Coloro pertanto che credono alla carità divina, sono da lui resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la fraternità universale non sono vani.

Così pure egli ammonisce a non camminare sulla strada della carità solamente nelle grandi cose, bensì e soprattutto nelle circostanze ordinarie della vita.

Accettando di morire per noi tutti peccatori [Cf. Gv 3,14-16; Rm 5,8-10], egli ci insegna con il suo esempio che è necessario anche portare quella croce che dalla carne e dal mondo viene messa sulle spalle di quanti cercano la pace e la giustizia. Con la sua risurrezione costituito Signore, egli, il Cristo cui è stato dato ogni potere in cielo e in terra [Cf. At 2,36; Mt 28,18], agisce ora nel cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito; non solo suscita il desiderio del mondo futuro, ma con ciò stesso ispira anche, purifica e fortifica quei generosi propositi con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine tutta la terra.

Ma i doni dello Spirito sono vari: alcuni li chiama a dare testimonianza manifesta al desiderio della dimora celeste, contribuendo così a mantenerlo vivo nell'umanità; altri li chiama a consacrarsi al servizio terreno degli uomini, così da preparare-attraverso tale loro ministero quasi la materia per il regno dei cieli. Di tutti, però, fa degli uomini liberi, in quanto nel rinnegamento dell'egoismo e convogliando tutte le forze terrene verso la vita umana, essi si proiettano nel futuro, quando l'umanità stessa diventerà offerta accetta a Dio [Cf. Rm 15,16].

Un pegno di questa speranza e un alimento per il cammino il Signore lo ha lasciato ai suoi in quel sacramento della fede nel quale degli elementi naturali coltivati dall'uomo vengono trasmutati nel Corpo e nel Sangue glorioso di lui, in un banchetto di comunione fraterna che è pregustazione del convito del cielo.

Terra nuova e cielo nuovo 39 Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l'umanità [Cf. At 1,7] e non sappiamo in che modo sarà trasformato l'universo. Passa certamente l'aspetto di questo mondo, deformato dal peccato [Cf. 1 Cor 7,31; S. IRENEO, Adversus Haereses, V, 36, 1: PG 7, 1222]. Sappiamo però dalla Rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia [Cf. 2 Cor 5,2; 2 Pt 3,13], e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini [Cf. 1 Cor 2,9; Ap 21,4-5].

Allora, vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, e ciò che fu seminato in infermità e corruzione rivestirà l'incorruttibilità [Cf. 1 Cor 15,42 e 53]; resterà la carità coi suoi frutti [Cf. 1 Cor 13,8; 3,14], e sarà liberata dalla schiavitù della vanità [Cf. Rm 8,19-21] tutta quella realtà che Dio ha creato appunto per l'uomo.

Certo, siamo avvertiti che niente giova all'uomo se guadagna il mondo intero ma perde se stesso [Cf. Lc 9,25]. Tuttavia l'attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo della umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione, che adombra il mondo nuovo.

Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del regno di Cristo, tuttavia, tale progresso, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l'umana società, è di grande importanza per il regno di Dio [Cf. PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno]. Ed infatti quei valori, quali la dignità dell'uomo, la comunione fraterna e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che li avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre «il regno eterno ed universale: che è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace» [Messale romano, prefazio della festa di Cristo Re].

Qui sulla terra il regno è già presente, in mistero; ma con la venuta del Signore, giungerà a perfezione.

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Approfondimenti

  • Ciò che conduce a pienezza il mondo riportandolo a Dio è la carità e questa deve essere la forma di ogni lavoro umano. Il Figlio e lo Spirito agiscono invisibilmente in tutti coloro che si adoperano per costruire un mondo migliore nel servizio e nella fratellanza, per fare di tutto il genere umano un’unica famiglia.

  • La vera sorgente di questa carità è il mistero pasquale di Cristo, sua causa esemplare ed efficiente, sia per coloro che si riconoscono cristiani, sia per tutti gli uomini di buona volontà, perché tutti creati a immagine di Dio.

  • Valore esemplare di coloro che con la loro vita significano il raggiungimento della dimora celeste.

  • La SS. Eucaristia esprime e incarna la logica del mistero pasquale calato nelle viscere del mondo perché assume il lavoro umano e ne manifesta l’ordinamento alla fratellanza e all’orientamento del creato verso Dio.

  • Si ribadisce il ruolo del progresso terreno nei piani di Dio, il suo essere parte di un dinamismo escatologico che conduce al Regno. La differenza fra i due ordini, natura e grazia, è conservata, ma messa in luce la loro intima articolazione. Si va oltre lo schema tomista del “perfezionamento”, per orientarsi verso un rapporto strutturale, intrinseco.

  • Come parlare oggi della vita eterna nel lavoro apostolico, con quale articolazione rispetto al presente. Lo Spirito, caparra nei cuori, fondamento del realismo della grazia e della continuità nella carità.

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PARTE I – CAPITOLO III – L'ATTIVITÀ UMANA NELL'UNIVERSO

Il problema 33 Col suo lavoro e col suo ingegno l'uomo ha cercato sempre di sviluppare la propria vita; ma oggi, specialmente con l'aiuto della scienza e della tecnica, ha dilatato e continuamente dilata il suo dominio su quasi tutta la natura e, grazie soprattutto alla moltiplicazione di mezzi di scambio tra le nazioni, la famiglia umana a poco a poco è venuta a riconoscersi e a costituirsi come una comunità unitaria nel mondo intero. Ne deriva che molti beni, che un tempo l'uomo si aspettava dalle forze superiori, oggi se li procura con la sua iniziativa e con le sue forze.

Di fronte a questo immenso sforzo, che orrnai pervade tutto il genere umano, molti interrogativi sorgono tra gli uomini: qual è il senso e il valore della attività umana?

Come vanno usate queste realtà? A quale scopo tendono gli sforzi sia individuali che collettivi?

La Chiesa, custode del deposito della parola di Dio, da cui vengono attinti i principi per l'ordine morale e religioso, anche se non ha sempre pronta la soluzione per ogni singola questione, desidera unire la luce della Rivelazione alla competenza di tutti allo scopo di illuminare la strada sulla quale si è messa da poco l'umanità.

Occorre superare l'etica individualistica 30 La profonda e rapida trasformazione delle cose esige, con più urgenza, che non vi sia alcuno che, non prestando attenzione al corso delle cose e intorpidito dall'inerzia, si contenti di un'etica puramente individualistica. Il dovere della giustizia e dell'amore viene sempre più assolto per il fatto che ognuno, interessandosi al bene comune secondo le proprie capacità e le necessità degli altri, promuove e aiuta anche le istituzioni pubbliche e private che servono a migliorare le condizioni di vita degli uomini. Vi sono di quelli che, pur professando opinioni larghe e generose, tuttavia continuano a vivere in pratica come se non avessero alcuna cura delle necessità della società.

Anzi molti, in certi paesi, tengono in poco conto le leggi e le prescrizioni sociali.

Non pochi non si vergognano di evadere, con vari sotterfugi e frodi, le giuste imposte o altri obblighi sociali. Altri trascurano certe norme della vita sociale, ad esempio ciò che concerne la salvaguardia della salute, o le norme stabilite per la guida dei veicoli, non rendendosi conto di metter in pericolo, con la loro incuria, la propria vita e quella degli altri. Che tutti prendano sommamente a cuore di annoverare le solidarietà sociali tra i principali doveri dell'uomo d'oggi, e di rispettarle.

Infatti quanto più il mondo si unifica, tanto più apertamente gli obblighi degli uomini superano i gruppi particolari e si estendono a poco a poco al mondo intero.

E ciò non può avvenire se i singoli uomini e i gruppi non coltivano le virtù morali e sociali e le diffondono nella società, cosicché sorgano uomini nuovi, artefici di una umanità nuova, con il necessario aiuto della grazia divina.

Il valore dell'attività umana. 34 Per i credenti una cosa è certa: considerata in se stessa, l'attività umana individuale e collettiva, ossia quell'ingente sforzo col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita, corrisponde alle intenzioni di Dio.

L'uomo infatti, creato ad immagine di Dio, ha ricevuto il comando di sottomettere a sé la terra con tutto quanto essa contiene [Cf. Gen 1,26-27; 9,2-3; Sap 9,2-3], e di governare il mondo nella giustizia e nella santità, e cosi pure di riferire a Dio il proprio essere e l'universo intero, riconoscendo in lui il Creatore di tutte le cose; in modo che, nella subordinazione di tutta la realtà all'uomo, sia glorificato il nome di Dio su tutta la terra [Cf. Sal 8,7 e 10]. Ciò vale anche per gli ordinari lavori quotidiani.

Gli uomini e le donne, infatti, che per procurarsi il sostentamento per sé e per la famiglia esercitano il proprio lavoro in modo tale da prestare anche conveniente servizio alla società, possono a buon diritto ritenere che con il loro lavoro essi prolungano l'opera del Creatore, si rendono utili ai propri fratelli e donano un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia [Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris]. I cristiani, dunque, non si sognano nemmeno di contrapporre i prodotti dell'ingegno e del coraggio dell'uomo alla potenza di Dio, quasi che la creatura razionale sia rivale del Creatore; al contrario, sono persuasi piuttosto che le vittorie dell'umanità sono segno della grandezza di Dio e frutto del suo ineffabile disegno. Ma quanto più cresce la potenza degli uomini, tanto più si estende e si allarga la loro responsabilità, sia individuale che collettiva.

Da ciò si vede come il messaggio cristiano, lungi dal distogliere gli uomini dal compito di edificare il mondo o dall'incitarli a disinteressarsi del bene dei propri simili, li impegna piuttosto a tutto ciò con un obbligo ancora più pressante [Cf. Messaggio a tutti gli uomini indirizzato dai Padri all’inizio del Concilio Vaticano II, 20 ott. 1962].

_ Norme dell'attività umana_ 35 L'attività umana come deriva dall'uomo così è ordinata all'uomo.

L'uomo, infatti, quando lavora, non trasforma soltanto le cose e la società, ma perfeziona se stesso. Apprende molte cose, sviluppa le sue facoltà, esce da sé e si supera.

Tale sviluppo, se è ben compreso, vale più delle ricchezze esteriori che si possono accumulare. L'uomo vale più per quello che «è» che per quello che «ha» [Cf. PAOLO VI, Disc. al Corpo diplomatico, 7 genn. 1965].

Parimenti tutto ciò che gli uomini compiono allo scopo di conseguire una maggiore giustizia, una più estesa fraternità e un ordine più umano dei rapporti sociali, ha più valore dei progressi in campo tecnico. Questi, infatti, possono fornire, per così dire, la base materiale della promozione umana, ma da soli non valgono in nessun modo a realizzarla.

Pertanto questa è la norma dell'attività umana: che secondo il disegno di Dio e la sua volontà essa corrisponda al vero bene dell'umanità, e che permetta all'uomo, considerato come individuo o come membro della società, di coltivare e di attuare la sua integrale vocazione.

La legittima autonomia delle realtà terrene. 36 Molti nostri contemporanei, però, sembrano temere che, se si fanno troppo stretti i legami tra attività umana e religione, venga impedita l'autonomia degli uomini, delle società, delle scienze.

Se per autonomia delle realtà terrene si vuol dire che le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l'uomo gradatamente deve scoprire, usare e ordinare, allora si tratta di una esigenza d'autonomia legittima: non solamente essa è rivendicata dagli uomini del nostro tempo, ma è anche conforme al volere del Creatore.

Infatti è dalla stessa loro condizione di creature che le cose tutte ricevono la loro propria consistenza, verità, bontà, le loro leggi proprie e il loro ordine; e tutto ciò l'uomo è tenuto a rispettare, riconoscendo le esigenze di metodo proprie di ogni singola scienza o tecnica.

Perciò la ricerca metodica di ogni disciplina, se procede in maniera veramente scientifica e secondo le norme morali, non sarà mai in reale contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno origine dal medesimo Dio [Cf. CONC. VAT. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, cap. III].

Anzi, chi si sforza con umiltà e con perseveranza di scandagliare i segreti della realtà, anche senza prenderne coscienza, viene come condotto dalla mano di Dio, il quale, mantenendo in esistenza tutte le cose, fa che siano quello che sono.

A questo proposito ci sia concesso di deplorare certi atteggiamenti mentali, che talvolta non sono mancati nemmeno tra i cristiani, derivati dal non avere sufficientemente percepito la legittima autonomia della scienza, suscitando contese e controversie, essi trascinarono molti spiriti fino al punto da ritenere che scienza e fede si oppongano tra loro [Cf. PIO PASCHINI, Vita e opere di Galileo Galilei, 2 vol., Pont. Accademia delle Scienze, Città del Vatic. 1964].

Se invece con l'espressione «autonomia delle realtà temporali» si intende dire che le cose create non dipendono da Dio e che l'uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore, allora a nessuno che creda in Dio sfugge quanto false siano tali opinioni.

La creatura, infatti, senza il Creatore svanisce.

Del resto tutti coloro che credono, a qualunque religione appartengano, hanno sempre inteso la voce e la manifestazione di Dio nel linguaggio delle creature.

Anzi, l'oblio di Dio rende opaca la creatura stessa.

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Approfondimenti

  • Il lavoro, l’attività con cui gli uomini migliorano le loro condizioni di vita e trasformano la terra è parte dei piani di Dio. Fine di quest’attività è portare tutte le cose a Dio, far regnare Cristo. In questo dinamismo un valore importante lo possiede il lavoro quotidiano, ordinario, comune.

  • Il lavoro umano prolunga l’opera del Creatore e pertanto l’essere umano, con le sue imprese e il progresso delle sue conoscenze, non va considerato rivale di Dio, né il suo lavoro in opposizione a Dio. L’essere umano è sinceramente preoccupato delle realtà terrene, del loro retto funzionamento, e non si rifugia nel pensiero della vita eterna.

  • Importante chiedersi cosa voglia dire, davvero, santificazione del lavoro e riportare il mondo a Dio attraverso l’esercizio del lavoro professionale. Ruolo che in questo compito giocano l’unità di vita, anche l’unità di vita intellettuale, e la formazione filosofico-teologica.

  • Il lavoro umano ha un valore immanente al soggetto, lo perfeziona. È parte essenziale della sua dignità. Questa visione va integrata nella prospettiva della carità e della solidarietà cristiane.

  • Il progresso tecnico-scientifico non è però ipso facto progresso umano. La forma della carità filiale è ciò che rende il progresso davvero umano. In tal modo il lavoro è partecipazione alla signoria di Gesù Cristo su tutte le cose, che come Figlio riconduce ogni cosa al Padre nello Spirito. Il dominio non è esercizio despotico, ma servizio. Regnare è servire.

  • Anche il n° 36 è una delle pagine più importanti di tutta la costituzione. Si chiarisce la differenza fra autonomia relativa e autonomia assoluta e la dipendenza del creato da Dio è ancorata al senso religioso, all’esperienza dei popoli, non alla rivelazione ebraico-cristiana soltanto.

  • Con coraggio si afferma che ogni forma di conoscenza, anche la conoscenza scientifica, se è vera conoscenza, porta a Dio. Non bisogna avere paura della verità. In questa armonia hanno evidentemente un ruolo strategico i credenti che lavorano nel mondo delle scienze.

  • Occorre riflettere insieme su come impostare oggi, nell’apostolato e nella formazione, il rapporto fra scienza e fede. Quali sono i luoghi comuni da superare.

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La fondamentale uguaglianza di tutti gli uomini e la giustizia sociale 29 Tutti gli uomini, dotati di un'anima razionale e creati ad immagine di Dio, hanno la stessa natura e la medesima origine; tutti, redenti da Cristo godono della stessa vocazione e del medesimo destino divino: è necessario perciò riconoscere ognor più la fondamentale uguaglianza fra tutti.

Sicuramente, non tutti gli uomini sono uguali per la varia capacità fisica e per la diversità delle forze intellettuali e morali. Ma ogni genere di discriminazione circa i diritti fondamentali della persona, sia in campo sociale che culturale, in ragione del sesso, della razza, del colore, della condizione sociale, della lingua o religione, deve essere superato ed eliminato, come contrario al disegno di Dio.

Invero è doloroso constatare che quei diritti fondamentali della persona non sono ancora e dappertutto garantiti pienamente. Avviene così quando si nega alla donna la facoltà di scegliere liberamente il marito e di abbracciare un determinato stato di vita, oppure di accedere a un'educazione e a una cultura pari a quelle che si ammettono per l'uomo.

In più, benché tra gli uomini vi siano giuste diversità, la uguale dignità delle persone richiede che si giunga a condizioni di vita più umane e giuste.

Infatti le disuguaglianze economiche e sociali eccessive tra membri e tra popoli dell'unica famiglia umana, suscitano scandalo e sono contrarie alla giustizia sociale, all'equità, alla dignità della persona umana, nonché alla pace sociale e internazionale.

Le umane istituzioni, sia private che pubbliche, si sforzino di mettersi al servizio della dignità e del fine dell'uomo. Nello stesso tempo combattano strenuamente contro ogni forma di servitù sociale e politica, e garantiscano i fondamentali diritti degli uomini sotto qualsiasi regime politico.

Anzi, queste istituzioni si debbono a poco a poco accordare con le realtà spirituali, le più alte di tutte, anche se talora occorra un tempo piuttosto lungo per giungere al fine desiderato.

Occorre superare l'etica individualistica 30 La profonda e rapida trasformazione delle cose esige, con più urgenza, che non vi sia alcuno che, non prestando attenzione al corso delle cose e intorpidito dall'inerzia, si contenti di un'etica puramente individualistica. Il dovere della giustizia e dell'amore viene sempre più assolto per il fatto che ognuno, interessandosi al bene comune secondo le proprie capacità e le necessità degli altri, promuove e aiuta anche le istituzioni pubbliche e private che servono a migliorare le condizioni di vita degli uomini. Vi sono di quelli che, pur professando opinioni larghe e generose, tuttavia continuano a vivere in pratica come se non avessero alcuna cura delle necessità della società.

Anzi molti, in certi paesi, tengono in poco conto le leggi e le prescrizioni sociali.

Non pochi non si vergognano di evadere, con vari sotterfugi e frodi, le giuste imposte o altri obblighi sociali. Altri trascurano certe norme della vita sociale, ad esempio ciò che concerne la salvaguardia della salute, o le norme stabilite per la guida dei veicoli, non rendendosi conto di metter in pericolo, con la loro incuria, la propria vita e quella degli altri. Che tutti prendano sommamente a cuore di annoverare le solidarietà sociali tra i principali doveri dell'uomo d'oggi, e di rispettarle.

Infatti quanto più il mondo si unifica, tanto più apertamente gli obblighi degli uomini superano i gruppi particolari e si estendono a poco a poco al mondo intero.

E ciò non può avvenire se i singoli uomini e i gruppi non coltivano le virtù morali e sociali e le diffondono nella società, cosicché sorgano uomini nuovi, artefici di una umanità nuova, con il necessario aiuto della grazia divina.

Responsabilità e partecipazione 31 Affinché i singoli uomini assolvano con maggiore cura il proprio dovere di coscienza verso se stessi e verso i vari gruppi di cui sono membri, occorre educarli con diligenza ad acquisire una più ampia cultura spirituale, utilizzando gli enormi mezzi che oggi sono a disposizione del genere umano. Innanzitutto l'educazione dei giovani, di qualsiasi origine sociale, deve essere impostata in modo da suscitare uomini e donne, non tanto raffinati intellettualmente, ma di forte personalità, come è richiesto fortemente dal nostro tempo. Ma a tale senso di responsabilità l'uomo giunge con difficoltà se le condizioni della vita non gli permettono di prender coscienza della propria dignità e di rispondere alla sua vocazione, prodigandosi per Dio e per gli altri.

Invero la libertà umana spesso si indebolisce qualora l'uomo cada in estrema indigenza, come si degrada quando egli stesso, lasciandosi andare a una vita troppo facile, si chiude in una specie di aurea solitudine. Al contrario, essa si fortifica quando l'uomo accetta le inevitabili difficoltà della vita sociale, assume le molteplici esigenze dell'umana convivenza e si impegna al servizio della comunità umana. Perciò bisogna stimolare la volontà di tutti ad assumersi la propria parte nelle comuni imprese. È poi da lodarsi il modo di agire di quelle nazioni nelle quali la maggioranza dei cittadini è fatta partecipe degli affari pubblici, in una autentica libertà.

Si deve tuttavia tener conto delle condizioni concrete di ciascun popolo e della necessaria solidità dei pubblici poteri. Affinché poi tutti i cittadini siano spinti a partecipare alla vita dei vari gruppi di cui si compone il corpo sociale, è necessario che trovino in essi dei valori capaci di attirarli e di disporli al servizio degli altri. Si può pensare legittimamente che il futuro dell'umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza.

Il Verbo incarnato e la solidarietà umana 32 Come Dio creò gli uomini non perché vivessero individualisticamente, ma perché si unissero in società, così a lui anche «... piacque santificare e salvare gli uomini non a uno a uno, fuori di ogni mutuo legame, ma volle costituirli in popolo, che lo conoscesse nella verità e santamente lo servisse» [CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, Cap. II, n. 9]. Sin dall'inizio della storia della salvezza, egli stesso ha scelto degli uomini, non soltanto come individui ma come membri di una certa comunità Infatti questi eletti Dio, manifestando il suo disegno, chiamò a suo popolo» (Es 3,7). Con questo popolo poi strinse il patto sul Sinai [Cf. Es 24,1-8].

Tale carattere comunitario è perfezionato e compiuto dall'opera di Cristo Gesù.

Lo stesso Verbo incarnato volle essere partecipe della solidarietà umana.

Prese parte alle nozze di Cana, entrò nella casa di Zaccheo, mangiò con i pubblicani e i peccatori.

Ha rivelato l'amore del Padre e la magnifica vocazione degli uomini ricordando gli aspetti più ordinari della vita sociale e adoperando linguaggio e immagini della vita d'ogni giorno.

Santificò le relazioni umane, innanzitutto quelle familiari, dalle quali trae origine la vita sociale.

Si sottomise volontariamente alle leggi della sua patria. Volle condurre la vita di un artigiano del suo tempo e della sua regione. Nella sua predicazione ha chiaramente affermato che i figli di Dio hanno l'obbligo di trattarsi vicendevolmente come fratelli.

Nella sua preghiera chiese che tutti i suoi discepoli fossero una «cosa sola».

Anzi egli stesso si offrì per tutti fino alla morte, lui il redentore di tutti. «Nessuno ha maggior amore di chi sacrifica la propria vita per i suoi amici» (Gv 15,13).

Comandò inoltre agli apostoli di annunciare il messaggio evangelico a tutte le genti, perché il genere umano diventasse la famiglia di Dio, nella quale la pienezza della legge fosse l'amore. Primogenito tra molti fratelli, dopo la sua morte e risurrezione ha istituito attraverso il dono del suo Spirito una nuova comunione fraterna fra tutti coloro che l'accolgono con la fede e la carità: essa si realizza nel suo corpo, che è la Chiesa.

In questo corpo tutti, membri tra di loro, si debbono prestare servizi reciproci, secondo i doni diversi loro concessi. Questa solidarietà dovrà sempre essere accresciuta, fino a quel giorno in cui sarà consumata; in quel giorno gli uomini, salvati dalla grazia, renderanno gloria perfetta a Dio, come famiglia amata da Dio e da Cristo, loro fratello.

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Approfondimenti

  • I cristiani sono chiamati ad edificare la città degli uomini come snodo necessario per edificare la città di Dio. Non bisogna rifugiarsi nell’individualismo. La dimensione pubblica del proprio impegno è condizione dell’apostolato e della testimonianza cristiana.

  • Attualità delle esortazioni conciliari sui diritti umani.

  • Esistono virtù morali e sociali che devono vivere tutti e che i cristiani devono praticare insieme a tutti gli altri. I cristiani devono dare esempio di responsabilità civile e sociale, secondo un atteggiamento che fu lodato e incoraggiato fin dall’epoca apostolica.

  • Ritorna lo sguardo su Cristo, e sulla teologia del Verbo incarnato come ragione del valore redentivo delle virtù sociali e come fondamento dello sforzo cristiano di edificare una società umana basata sulla solidarietà.

  • Queste e le precedenti prospettive del documento, chiariscono una volta di più che non ci può essere vita cristiana lasciando da parte le responsabilità civili e sociali, perché queste sono via al perfezionamento dell’essere umano.

  • Può essere interessante pensare allo spirito con cui si sono promosse e si promuovono nella Chiesa opere apostoliche: ospedali, università, monti di pietà... Un importante tema da approfondire e far conoscere nell’apostolato è il ruolo storicamente avuto dal cristianesimo nella promozione di una società più umana.

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Promuovere il bene comune 26 Dall'interdipendenza sempre più stretta e piano piano estesa al mondo intero deriva che il bene comune – cioè l'insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente – oggi vieppiù diventa universale, investendo diritti e doveri che riguardano l'intero genere umano.

Pertanto ogni gruppo deve tener conto dei bisogni e delle legittime aspirazioni degli altri gruppi, anzi del bene comune dell'intera famiglia umana [Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra]. Contemporaneamente cresce la coscienza dell'eminente dignità della persona umana, superiore a tutte le cose e i cui diritti e doveri sono universali e inviolabili. Occorre perciò che sia reso accessibile all'uomo tutto ciò di cui ha bisogno per condurre una vita veramente umana, come il vitto, il vestito, l'abitazione, il diritto a scegliersi liberamente lo stato di vita e a fondare una famiglia, il diritto all'educazione, al lavoro, alla reputazione, al rispetto, alla necessaria informazione, alla possibilità di agire secondo il retto dettato della sua coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso.

L'ordine sociale pertanto e il suo progresso debbono sempre lasciar prevalere il bene delle persone, poiché l'ordine delle cose deve essere subordinato all'ordine delle persone e non l'inverso, secondo quanto suggerisce il Signore stesso quando dice che il sabato è fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato [Cf. Mc 2,27]. Quell'ordine è da sviluppare sempre più, deve avere per base la verità, realizzarsi nella giustizia, essere vivificato dall'amore, deve trovare un equilibrio sempre più umano nella libertà [Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris].

Per raggiungere tale scopo bisogna lavorare al rinnovamento della mentalità e intraprendere profondi mutamenti della società. Lo Spirito di Dio, che con mirabile provvidenza dirige il corso dei tempi e rinnova la faccia della terra, è presente a questa evoluzione.

Il fermento evangelico suscitò e suscita nel cuore dell'uomo questa irrefrenabile esigenza di dignità.

Rispetto della persona umana 27 Scendendo a conseguenze pratiche di maggiore urgenza, il Concilio inculca il rispetto verso l'uomo: ciascuno consideri il prossimo, nessuno eccettuato, come un altro «se stesso», tenendo conto della sua esistenza e dei mezzi necessari per viverla degnamente [Cf. Gc 2,15-16], per non imitare quel ricco che non ebbe nessuna cura del povero Lazzaro [Cf. Lc 16,19-31]. Soprattutto oggi urge l'obbligo che diventiamo prossimi di ogni uomo e rendiamo servizio con i fatti a colui che ci passa accanto: vecchio abbandonato da tutti, o lavoratore straniero ingiustamente disprezzato, o esiliato, o fanciullo nato da un'unione illegittima, che patisce immeritatamente per un peccato da lui non commesso, o affamato che richiama la nostra coscienza, rievocando la voce del Signore: «Quanto avete fatto ad uno di questi minimi miei fratelli, l'avete fatto a me» (Mt 25,40). Inoltre tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l'aborto, l'eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte al corpo e alla mente, le costrizioni psicologiche; tutto ciò che offende la dignità umana, come le condizioni di vita subumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come persone libere e responsabili: tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose. Mentre guastano la civiltà umana, disonorano coloro che così si comportano più ancora che quelli che le subiscono e ledono grandemente l'onore del Creatore.

Il rispetto e l'amore per gli avversari 28 Il rispetto e l'amore deve estendersi pure a coloro che pensano od operano diversamente da noi nelle cose sociali, politiche e persino religiose, poiché con quanta maggiore umanità e amore penetreremo nei loro modi di vedere, tanto più facilmente potremo con loro iniziare un dialogo.

Certamente tale amore e amabilità non devono in alcun modo renderci indifferenti verso la verità e il bene. Anzi è l'amore stesso che spinge i discepoli di Cristo ad annunziare a tutti gli uomini la verità che salva. Ma occorre distinguere tra errore, sempre da rifiutarsi, ed errante, che conserva sempre la dignità di persona, anche quando è macchiato da false o insufficienti nozioni religiose [Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris].

Solo Dio è giudice e scrutatore dei cuori; perciò ci vieta di giudicare la colpevolezza interiore di chiunque [Cf. Lc 6,37-38; Mt 7,1-2; Rm 2,1-11; 14,10-12]. La dottrina del Cristo esige che noi perdoniamo anche le ingiurie [Cf. Mt 5,45-47] e il precetto dell'amore si estende a tutti i nemici; questo è il comandamento della nuova legge: «Udiste che fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e fate del bene a coloro che vi odiano e pregate per i vostri persecutori e calunniatori» (Mt 5,43).

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Approfondimenti

Ogni persona nasce e vive in una comunità. Si sviluppa così la consapevolezza di una interdipendenza della persona umana e della società, riconoscendo la moltiplicazione dei legami sociali nel mondo moderno, l’impegno di dichiarare ed osservare i diritti e doveri della persona umana, il carattere evolutivo dell'ordine sociale, la responsabilità del bene comune e del suo carattere universale.

Ne derivano orientamenti pratici: il rispetto della persona umana; il rispetto dell'avversario; l'amore verso i nemici; l’uguaglianza fondamentale tra tutti gli uomini.


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DOCUMENTI DEL CONCILIO VATICANO II Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo GAUDIUM ET SPES (7 dicembre 1965)

PARTE I – CAPITOLO II – LA COMUNITÀ DEGLI UOMINI

Che cosa intende il Concilio 23 Il moltiplicarsi delle relazioni tra gli uomini costituisce uno degli aspetti più importanti del mondo di oggi, al cui sviluppo molto contribuisce il progresso tecnico contemporaneo.

Tuttavia il fraterno dialogo tra gli uomini non trova il suo compimento in tale progresso, ma più profondamente nella comunità delle persone, e questa esige un reciproco rispetto della loro piena dignità spirituale. La Rivelazione cristiana dà grande aiuto alla promozione di questa comunione tra persone; nello stesso tempo ci guida ad un approfondimento delle leggi che regolano la vita sociale, scritte dal Creatore nella natura spirituale e morale dell'uomo.

Siccome documenti recenti del magistero della Chiesa hanno esposto diffusamente la dottrina cristiana circa l'umana società [Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, 15 maggio 1961: AAS 53 (1961), pp. 401-464, e Encicl. Pacem in terris, 11 apr. 1963: AAS 55 (1963), pp. 257-304; PAOLO VI, Encicl. Ecclesiam Suam, 6 ag. 1964: AAS 56 (1964), pp. 609-659], il Concilio ricorda solo alcune verità più importanti e ne espone i fondamenti alla luce della Rivelazione.

Insiste poi su certe conseguenze che sono particolarmente importanti per il nostro tempo.

L'indole comunitaria dell'umana vocazione nel piano di Dio 24 Iddio, che ha cura paterna di tutti, ha voluto che tutti gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero tra loro come fratelli. Tutti, infatti, creati ad immagine di Dio «che da un solo uomo ha prodotto l'intero genere umano affinché popolasse tutta la terra» (At 17,26), sono chiamati al medesimo fine, che è Dio stesso. Perciò l'amor di Dio e del prossimo è il primo e più grande comandamento. La sacra Scrittura, da parte sua, insegna che l'amor di Dio non può essere disgiunto dall'amor del prossimo, «e tutti gli altri precetti sono compendiati in questa frase: amerai il prossimo tuo come te stesso. La pienezza perciò della legge è l'amore» (Rm 13,9); (1Gv 4,20).

È evidente che ciò è di grande importanza per degli uomini sempre più dipendenti gli uni dagli altri e per un mondo che va sempre più verso l'unificazione.

Anzi, il Signore Gesù, quando prega il Padre perché «tutti siano una cosa sola, come io e tu siamo una cosa sola» (Gv 17,21), aprendoci prospettive inaccessibili alla ragione umana, ci ha suggerito una certa similitudine tra l'unione delle Persone divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nell'amore.

Questa similitudine manifesta che l'uomo, il quale in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stesso, non possa ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé [Cf. Lc 17,33].

Interdipendenza della persona e della umana società 25 Dal carattere sociale dell'uomo appare evidente come il perfezionamento della persona umana e lo sviluppo della stessa società siano tra loro interdipendenti.

Infatti, la persona umana, che di natura sua ha assolutamente bisogno d'una vita sociale, è e deve essere principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali [Cf. S. TOMMASO, I Ethic., Lez. 1].

Poiché la vita sociale non è qualcosa di esterno all'uomo, l'uomo cresce in tutte le sue capacità e può rispondere alla sua vocazione attraverso i rapporti con gli altri, la reciprocità dei servizi e il dialogo con i fratelli. Tra i vincoli sociali che sono necessari al perfezionamento dell'uomo, alcuni, come la famiglia e la comunità politica, sono più immediatamente rispondenti alla sua natura intima; altri procedono piuttosto dalla sua libera volontà.

In questo nostro tempo, per varie cause, si moltiplicano rapporti e interdipendenze, dalle quali nascono associazioni e istituzioni diverse di diritto pubblico o privato.

Questo fatto, che viene chiamato socializzazione, sebbene non manchi di pericoli, tuttavia reca in sé molti vantaggi nel rafforzamento e accrescimento delle qualità della persona umana e nella tutela dei suoi diritti [Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra: AAS 53 (1961), pp. 418; PIO XI, Encicl. Quadragesimo anno, 15 maggio 1931: AAS 23 (1931), p. 222ss]. Ma se le persone umane ricevono molto da tale vita sociale per assolvere alla propria vocazione, anche religiosa, non si può tuttavia negare che gli uomini dal contesto sociale nel quale vivono e sono immersi fin dalla infanzia, spesso sono sviati dal bene e spinti al male.

È certo che i perturbamenti, così frequenti nell'ordine sociale, provengono in parte dalla tensione che esiste in seno alle strutture economiche, politiche e sociali.

Ma, più radicalmente, nascono dalla superbia e dall'egoismo umano, che pervertono anche l'ambiente sociale. Là dove l'ordine delle cose è turbato dalle conseguenze del peccato, l'uomo già dalla nascita incline al male, trova nuovi incitamenti al peccato, che non possono esser vinti senza grandi sforzi e senza l'aiuto della grazia.

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Approfondimenti

  • Si presenta la natura relazionale dell’essere umano e la si radica nella immagine trinitaria di Dio nell’uomo. Opportunità di valorizzare oggi, in molti ambiti, la prospettiva relazionale.

  • La vita sociale, politica, l’organizzazione comunitaria a vari livelli, ecc. sono tutti aspetti della vocazione dell’uomo, perché promanano dal suo essere immagine di Dio.

  • Tale natura relazionale ha una dimensione di responsabilità: ciò che l’uomo fa nel bene o nel male ha ripercussioni su tutti. Il peccato ha anche una dimensione sociale. Si tratta di una prospettiva recentemente ribadita con forza da papa Francesco nella Laudato si’

  • Vi sono ambiti anche dell’apostolato, in cui valorizzare la prospettiva comunitaria e relazionale. Nessuno si salva da solo. Ancor prima, nessuno può crescere e maturare da solo. Ciascuno ha bisogno del sostegno degli altri. Si segue Cristo quando si incontra una comunità in cui Cristo è seguito ed è presente. occorre vedere in modo armonico e non conflittuale il rapporto fra dimensione personale e dimensione comunitaria della fede.

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Il mistero della morte 18 In faccia alla morte l'enigma della condizione umana raggiunge il culmine.

L'uomo non è tormentato solo dalla sofferenza e dalla decadenza progressiva del corpo, ma anche, ed anzi, più ancora, dal timore di una distruzione definitiva.

Ma l'istinto del cuore lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l'idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona.

Il germe dell'eternità che porta in sé, irriducibile com'è alla sola materia, insorge contro la morte. Tutti i tentativi della tecnica, per quanto utilissimi, non riescono a calmare le ansietà dell'uomo: il prolungamento di vita che procura la biologia non può soddisfare quel desiderio di vita ulteriore, invincibilmente ancorato nel suo cuore. Se qualsiasi immaginazione vien meno di fronte alla morte, la Chiesa invece, istruita dalla Rivelazione divina, afferma che l'uomo è stato creato da Dio per un fine di felicità oltre i confini delle miserie terrene. Inoltre la fede cristiana insegna che la morte corporale, dalla quale l'uomo sarebbe stato esentato se non avesse peccato [Cf. Sap 1,13; 2,23-24; Rm 5,21; 6,23; Gc 1,15], sarà vinta un giorno, quando l'onnipotenza e la misericordia del Salvatore restituiranno all'uomo la salvezza perduta per sua colpa. Dio infatti ha chiamato e chiama l'uomo ad aderire a lui con tutto il suo essere, in una comunione perpetua con la incorruttibile vita divina. Questa vittoria l'ha conquistata il Cristo risorgendo alla vita, liberando l'uomo dalla morte mediante la sua morte [Cf. 1 Cor 15,56-57].

Pertanto la fede, offrendosi con solidi argomenti a chiunque voglia riflettere, dà una risposta alle sue ansietà circa la sorte futura; e al tempo stesso dà la possibilità di una comunione nel Cristo con i propri cari già strappati dalla morte, dandoci la speranza che essi abbiano già raggiunto la vera vita presso Dio.

Forme e radici dell'ateismo 19 L'aspetto più sublime della dignità dell'uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio. Fin dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con Dio.

Se l'uomo esiste, infatti, è perché Dio lo ha creato per amore e, per amore, non cessa di dargli l'esistenza; e l'uomo non vive pienamente secondo verità se non riconosce liberamente quell'amore e se non si abbandona al suo Creatore. Molti nostri contemporanei, tuttavia, non percepiscono affatto o esplicitamente rigettano questo intimo e vitale legame con Dio: a tal punto che l'ateismo va annoverato fra le realtà più gravi del nostro tempo e va esaminato con diligenza ancor maggiore. Con il termine «ateismo» vengono designati fenomeni assai diversi tra loro.

Alcuni atei, infatti, negano esplicitamente Dio; altri ritengono che l'uomo non possa dir niente di lui; altri poi prendono in esame i problemi relativi a Dio con un metodo tale che questi sembrano non aver senso. Molti, oltrepassando indebitamente i confini delle scienze positive, o pretendono di spiegare tutto solo da questo punto di vista scientifico, oppure al contrario non ammettono ormai più alcuna verità assoluta. Alcuni tanto esaltano l'uomo, che la fede in Dio ne risulta quasi snervata, inclini come sono, a quanto sembra, ad affermare l'uomo più che a negare Dio.

Altri si creano una tale rappresentazione di Dio che, respingendolo, rifiutano un Dio che non è affatto quello del Vangelo. Altri nemmeno si pongono il problema di Dio: non sembrano sentire alcuna inquietudine religiosa, né riescono a capire perché dovrebbero interessarsi di religione. L'ateismo inoltre ha origine sovente, o dalla protesta violenta contro il male nel mondo, o dall'aver attribuito indebitamente i caratteri propri dell'assoluto a qualche valore umano, così che questo prende il posto di Dio. Perfino la civiltà moderna, non per sua essenza, ma in quanto troppo irretita nella realtà terrena, può rendere spesso più difficile l'accesso a Dio.

Senza dubbio coloro che volontariamente cercano di tenere lontano Dio dal proprio cuore e di evitare i problemi religiosi, non seguendo l'imperativo della loro coscienza, non sono esenti da colpa; tuttavia in questo campo anche i credenti spesso hanno una certa responsabilità.

Infatti l'ateismo, considerato nel suo insieme, non è qualcosa di originario, bensì deriva da cause diverse, e tra queste va annoverata anche una reazione critica contro le religioni, anzi in alcune regioni, specialmente contro la religione cristiana.

Per questo nella genesi dell'ateismo possono contribuire non poco i credenti, nella misura in cui, per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione ingannevole della dottrina, od anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e della religione.

L'ateismo sistematico 20Ma l'uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà.

L'ateismo moderno si presenta spesso anche in una forma sistematica, secondo cui, oltre ad altre cause, l'aspirazione all'autonomia dell'uomo viene spinta a un tal punto, da far ostacolo a qualunque dipendenza da Dio. Quelli che professano un tale ateismo sostengono che la libertà consista nel fatto che l'uomo sia fine a se stesso, unico artefice e demiurgo della propria storia; cosa che non può comporsi, così essi pensano, con il riconoscimento di un Signore, autore e fine di tutte le cose, o che almeno rende semplicemente superflua tale affermazione.

Una tale dottrina può essere favorita da quel senso di potenza che l'odierno progresso tecnico ispira all uomo. Tra le forme dell'ateismo moderno non va trascurata quella che si aspetta la liberazione dell'uomo soprattutto dalla sua liberazione economica e sociale La religione sarebbe di ostacolo, per natura sua, a tale liberazione, in quanto, elevando la speranza dell'uomo verso il miraggio di una vita futura, la distoglierebbe dall'edificazione della città terrena.

Perciò i fautori di tale dottrina, là dove accedono al potere, combattono con violenza la religione e diffondono l'ateismo anche ricorrendo agli strumenti di pressione di cui dispone il potere pubblico, specialmente nel campo dell'educazione dei giovani.

Atteggiamento della Chiesa di fronte all'ateismo. 21 La Chiesa, fedele ai suoi doveri verso Dio e verso gli uomini, non può fare a meno di riprovare, come ha fatto in passato [Cf. PIO XI, Encicl. Divini Redemptoris, 19 marzo 1937: AAS 29 (1937), pp. 65-106 [in parte Dz 3771-74]; PIO XII, Encicl. Ad Apostolorum Principis, 29 giugno 1958: AAS 50 (1958), pp. 601-614; GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, 15 maggio 1961: AAS 53 (1961), pp. 451-453; PAOLO VI, Encicl. Ecclesiam Suam, 6 ag. 1964: AAS 56 (1964), pp. 651-653], con tutta fermezza e con dolore, quelle dottrine e quelle azioni funeste che contrastano con la ragione e con l'esperienza comune degli uomini e che degradano l'uomo dalla sua innata grandezza. Si sforza tuttavia di scoprire le ragioni della negazione di Dio che si nascondono nella mente degli atei e, consapevole della gravità delle questioni suscitate dall'ateismo, mossa dal suo amore verso tutti gli uomini, ritiene che esse debbano meritare un esame più serio e più profondo. La Chiesa crede che il riconoscimento di Dio non si oppone in alcun modo alla dignità dell'uomo, dato che questa dignità trova proprio in Dio il suo fondamento e la sua perfezione. L'uomo infatti riceve da Dio Creatore le doti di intelligenza e di libertà ed è costituito nella società; ma soprattutto è chiamato alla comunione con Dio stesso in qualità di figlio e a partecipare alla sua stessa felicità. Inoltre la Chiesa insegna che la speranza escatologica non diminuisce l'importanza degli impegni terreni, ma anzi dà nuovi motivi a sostegno dell'attuazione di essi.

Al contrario, invece, se manca la base religiosa e la speranza della vita eterna, la dignità umana viene lesa in maniera assai grave, come si constata spesso al giorno d'oggi, e gli enigmi della vita e della morte, della colpa e del dolore rimangono senza soluzione, tanto che non di rado gli uomini sprofondano nella disperazione. E intanto ciascun uomo rimane ai suoi propri occhi un problema insoluto, confusamente percepito. Nessuno, infatti, in certe ore e particolarmente in occasione dei grandi avvenimenti della vita può evitare totalmente quel tipo di interrogativi sopra ricordato.

A questi problemi soltanto Dio dà una risposta piena e certa, lui che chiama l'uomo a una riflessione più profonda e a una ricerca più umile. Quanto al rimedio all'ateismo, lo si deve attendere sia dall'esposizione adeguata della dottrina della Chiesa, sia dalla purezza della vita di essa e dei suoi membri. La Chiesa infatti ha il compito di rendere presenti e quasi visibili Dio Padre e il Figlio suo incarnato, rinnovando se stessa e purificandosi senza posa sotto la guida dello Spirito Santo [Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. I, n. 8].

Ciò si otterrà anzi tutto con la testimonianza di una fede viva e adulta, vale a dire opportunamente formata a riconoscere in maniera lucida le difficoltà e capace di superarle.

Di una fede simile han dato e danno testimonianza sublime moltissimi martiri.

Questa fede deve manifestare la sua fecondità, col penetrare l'intera vita dei credenti, compresa la loro vita profana, e col muoverli alla giustizia e all'amore, specialmente verso i bisognosi.

Ciò che contribuisce di più, infine, a rivelare la presenza di Dio, è la carità fraterna dei fedeli che unanimi nello spirito lavorano insieme per la fede del Vangelo [Cf. Fil 1,27] e si presentano quale segno di unità. La Chiesa, poi, pur respingendo in maniera assoluta l'ateismo, tuttavia riconosce sinceramente che tutti gli uomini, credenti e non credenti, devono contribuire alla giusta costruzione di questo mondo, entro il quale si trovano a vivere insieme: ciò, sicuramente, non può avvenire senza un leale e prudente dialogo. Essa pertanto deplora la discriminazione tra credenti e non credenti che alcune autorità civili ingiustamente introducono, a danno dei diritti fondamentali della persona umana. Rivendica poi, in favore dei credenti, una effettiva libertà, perché sia loro consentito di edificare in questo mondo anche il tempio di Dio. Quanto agli atei, essa li invita cortesemente a volere prendere in considerazione il Vangelo di Cristo con animo aperto.

La Chiesa sa perfettamente che il suo messaggio è in armonia con le aspirazioni più segrete del cuore umano quando essa difende la dignità della vocazione umana, e così ridona la speranza a quanti ormai non osano più credere alla grandezza del loro destino.

Il suo messaggio non toglie alcunché all'uomo, infonde invece luce, vita e libertà per il suo progresso, e all'infuori di esso, niente può soddisfare il cuore dell'uomo: «Ci hai fatto per te», o Signore, «e il nostro cuore è senza pace finché non riposa in te» [S. AGOSTINO, Confess., I,1: PL 32, 661].

Cristo, l'uomo nuovo. 22 In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo.

Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro [Cf. Rm 5,14. Cf. TERTULLIANO, De carnis resurr., 6: “Tutto quello che il fango significava, si riferiva a Cristo, l’uomo futuro”: PL 2, 802 (848); CSEL 47, p. 33, l. 12-13] (Rm 5,14) e cioè di Cristo Signore.

Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione.

Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte in lui trovino la loro sorgente e tocchino il loro vertice. Egli è «l'immagine dell'invisibile Iddio» (Col 1,15) [Cf. 2 Cor 4,4] è l'uomo perfetto che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa del peccato.

Poiché in lui la natura umana è stata assunta, senza per questo venire annientata [Cf. CONCILIO DI COSTANTINOP. II, can. 7: “Né il Verbo Dio passato nella natura della carne, né la carne si trasformata nella natura del Verbo”: Dz 219 (428) Collantes 4.026. – Cf. anche CONC. DI COSTANTINOP. III: “Come la santissima, immacolata, animata sua carne deificata non fu distrutta, ma rimase nel suo proprio stato e modo d’essere”: Dz 291 (556) Collantes 4.071. – Cf. CONC. DI CALCED.: “Dev’essere riconosciuto inconfusamente, immutabilmente, senza divisione, inseparabilmente in due nature”: Dz 148 (302) Collantes 4.012] per ciò stesso essa è stata anche in noi innalzata a una dignità sublime.

Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo.

Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo [Cf. CONC. DI COSTANTINOP. III: “Così non stata distrutta la sua volontà umana”: Dz 291 (556) Collantes 4.071] ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato [Cf. Eb 4,15]. Agnello innocente, col suo sangue sparso liberamente ci ha meritato la vita; in lui Dio ci ha riconciliati con se stesso e tra noi [Cf. 2 Cor 5,18-19; Col 1,20-22] e ci ha strappati dalla schiavitù del diavolo e del peccato; così che ognuno di noi può dire con l'Apostolo: il Figlio di Dio «mi ha amato e ha sacrificato se stesso per me» (Gal 2,20). Soffrendo per noi non ci ha dato semplicemente l'esempio perché seguiamo le sue orme [Cf. 1 Pt 2,21; Mt 16,24; Lc 14,27] ma ci ha anche aperta la strada: se la seguiamo, la vita e la morte vengono santificate e acquistano nuovo significato.

Il cristiano poi, reso conforme all'immagine del Figlio che è il primogenito tra molti fratelli riceve «le primizie dello Spirito» (Rm 8,23) [Cf. Rm 8,29; Col 1,18] per cui diventa capace di adempiere la legge nuova dell'amore [Cf. Rm 8,1-11].

In virtù di questo Spirito, che è il «pegno della eredità» (Ef 1,14), tutto l'uomo viene interiormente rinnovato, nell'attesa della «redenzione del corpo» (Rm 8,23): «Se in voi dimora lo Spirito di colui che risuscitò Gesù da morte, egli che ha risuscitato Gesù Cristo da morte darà vita anche ai vostri corpi mortali, mediante il suo Spirito che abita in voi» (Rm 8,11) [Cf. 2 Cor 4,14].

Il cristiano certamente è assillato dalla necessità e dal dovere di combattere contro il male attraverso molte tribolazioni, e di subire la morte; ma, associato al mistero pasquale, diventando conforme al Cristo nella morte, così anche andrà incontro alla risurrezione fortificato dalla speranza [Cf. Fil 3,10; Rm 8,17].

E ciò vale non solamente per i cristiani, ma anche per tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore lavora invisibilmente la grazia [Cf. CONC. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. II, n. 16]. Cristo, infatti, è morto per tutti [Cf. Rm 8,32] e la vocazione ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò dobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasquale.

Tale e così grande è il mistero dell'uomo, questo mistero che la Rivelazione cristiana fa brillare agli occhi dei credenti. Per Cristo e in Cristo riceve luce quell'enigma del dolore e della morte, che al di fuori del suo Vangelo ci opprime. Con la sua morte egli ha distrutto la morte, con la sua risurrezione ci ha fatto dono della vita [Cf. Liturgia Paschalis Bizantina], perché anche noi, diventando figli col Figlio, possiamo pregare esclamando nello Spirito: Abba, Padre! [Cf. Rm 8,15; Gal 4,6; Gv 1,12 e 1 Gv 3,1-2].

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Approfondimenti

  • L’essere umano attende di essere liberato anche dalla morte, che coglie come privazione, alla quale non riesce a rassegnarsi, essendo stato creato per l’eternità. La morte, rivelatrice di Dio. La saggezza che deriva dalla meditazione della morte.

  • La morte si prepara per tutta la vita: momento supremo dell’accettazione della propria creaturalità e abbandono pieno di speranza nelle mani del Creatore, anche per coloro che non hanno conosciuto Cristo.

  • Rapporti fra morte e peccato originale. Come spiegarli oggi.

  • La situazione dell’ateismo positivo oggi. L’ascesa dell’indifferentismo religioso.

  • Il fenomeno del “nuovo ateismo”. Il naturalismo sostituisce il materialismo. La religione ridicolizzata e ricategorizzata.

  • La responsabilità dei cristiani nelle cause dell’ateismo e nell’ascesa progressiva della secolarizzazione: gli spunti del testo conciliare.

  • L’ateismo positivo della modernità ha visto Dio come antagonista dell’uomo (Feuerbach, Marx, Nietzsche). Le cose stanno in modo profondamente diverso. La dignità dell’uomo e la sua libertà sono fondate su Dio: negando Dio si nega anche l’uomo. L’analisi della storia: H. de Lubac, Il dramma dell’umanesimo ateo.

  • Il valore della testimonianza cristiana, come argine all’ateismo. Testimonianza e predicazione. Dialogo, interesse per l’uomo, servizio, carità.

  • Un dialogo serio con l’ateismo, partendo dai valori che si desiderano difendere. Saper mostrare che solo in Dio l’essere umano trova appagate le sue profonde aspirazioni. Il Vangelo deve essere predicato, pertanto, con fiducia e con convinzione, come servizio all’uomo, con chiedendo scusa e in punta di piedi...

  • È questo uno dei punti più belli di tuta la Costituzione e probabilmente di tutto il Concilio. Viene riaffermata la convergenza di fondo fra antropologia e cristologia. La Chiesa può proporre a tutti gli uomini, con forza e con chiarezza, che solo in Cristo, l’enigma dell’uomo trova le sue risposte. La Chiesa proclama Cristo Risorto a tutti gli uomini.

  • La proposta cristiana è assolutamente universale e deve raggiungere tutti, perché tutti, anche coloro che ancora non lo sanno, sono stati creati in Cristo e sono stati redenti da Cristo. Cercare di comprendere l’uomo senza Cristo è impresa impossibile e destinata al fallimento.

  • Dio si è unito in Cristo, in certo modo ad ogni uomo. Lo Spirito ha le sue strade affinché ogni essere umano entri in rapporto con il mistero pasquale di Cristo

  • Si gettano le basi delle motivazioni profonde della dignità del lavoro umano, delle realtà terrene, della corporeità, tema di sviluppo dei numeri successivi.

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